Catalogo_TM_final_LR_BASSA - Libera Associazione Forense

Transcript

Catalogo_TM_final_LR_BASSA - Libera Associazione Forense
Il sorriso
della libertà
I l s o r r i s o d e l l a l i b e r tà . To m m a s o M o r o , l a p o l i t i c a e i l b e n e c o m u n e
A c u r a d i : E d o a r d o R i a lt i
Prefazioni: Rino Fisichella e Lorenzo Ornaghi
si ringraziano
In copertina
Tommaso Moro, Hans Holbein II Giovane, Frick Collection, New York
© Mondadori Portfolio / Picture DeskA
Il sorriso
della libertà
I l s o r r i s o d e l l a l i b e r tà . To m m a s o M o r o , l a p o l i t i c a e i l b e n e c o m u n e
A c u r a d i : E d o a r d o R i a lt i
Prefazioni: Rino Fisichella e Lorenzo Ornaghi
Testi: Edoardo Rialti
Ricerca iconografica: Carlotta Borghesi, Valentina Frigerio
Direzione artistica e progetto grafico: Blossom Communications - blossoming.it
Pubblicato da:
A. G. Bellavite s.r.l.
Per conto di: Copyright ©2012 Fondazione Costruiamo Il Futuro
Fotografie: © indicato nelle singole didascalie
Stampato in Italia nel ottobre 2012 da:
“Dubitare di Lui [Dio], mia piccola Margherita, io non posso e non voglio, sebbene mi senta tanto
debole. E quand’anche io dovessi sentire paura al punto da esser sopraffatto, allora mi ricorderei
di san Pietro, che per la sua poca fede cominciò ad affondare nel lago al primo colpo di vento, e
farei come fece lui, invocherei cioè Cristo e lo pregherei di aiutarmi. Senza dubbio allora Egli mi
porgerebbe la Sua santa mano per impedirmi di annegare nel mare tempestoso. Se poi Egli dovesse
permettere che imiti ancora in peggio san Pietro, nel cedere, giurare e spergiurare (me ne scampi
e liberi nostro Signore per la sua amorosissima passione, e piuttosto mi faccia perdere, che vincere
a prezzo di tanta bassezza), anche in questo caso non cesserei di confidare nella Sua bontà, sicuro
che Egli porrebbe su di me il Suo pietosissimo occhio, come fece con san Pietro, e mi aiuterebbe
a rialzarmi e confessare nuovamente la verità, che sento nella mia coscienza […]. Ho però ferma
fiducia, Margherita, e nutro certa speranza che la tenerissima pietà di Dio salverà la mia povera anima
e mi concederà di lodare la Sua misericordia. Perciò, mia buona figlia, non turbare mai il tuo cuore per
alcunché mi possa accadere in questo mondo. Nulla accade che Dio non voglia, e io sono sicuro che
qualunque cosa avvenga, per quanto cattiva appaia, sarà in realtà sempre per il meglio.”
Tommaso Moro, Lettera dal carcere alla figlia Margaret
sommario
Prefazioni
Rino Fisichella
Lorenzo Ornaghi
8
10
Presentazione
Maurizio Lupi
12
Discorsi del Beato Giovanni Paolo II
Discorso di Sua Santità Benedetto XVI
14
22
Nota del curatore
Edoardo Rialti
26
Quella che sembrava la fine
28
CAPITOLO 1. L’amico del mondo
30
Un commediante nato
L’uomo di lettere
L’amore e la famiglia
Non c’è mai stato ingegno più grande
Si vede meglio a testa in giù
Il più perfetto degli avvocati
32
34
36
38
40
42
CAPITOLO 2. L’amico del re
44
Difensore della fede
La grande questione
Wolsey, Cromwell e Anna Bolena
Sulla nave in piena tempesta
Grande misericordia e poco rigore
46
48
50
52
54
CAPITOLO 3. L’amico di Dio
56
Il dossier Moro
Il cerchio si stringe
Sempre vicini al cielo
Ecclesia libera sit
Servo fedele del re ma prima di Dio
Quel che ne seguì
La sua eredità nel tempo
58
60
62
64
68
70
72
Biografia
Testi di Tommaso Moro
Per saperne di più
La Fondazione Costruiamo Il Futuro
78
84
86
88
MONS. rino fisichella
prefazione
«Fin dall’inizio del mio ministero come Successore
di Pietro ho ricordato l’esigenza di riscoprire
il cammino della fede per mettere in luce con
sempre maggiore evidenza la gioia ed il rinnovato
entusiasmo dell’incontro con Cristo». Con queste
Parole, Papa Benedetto XVI nella Lettera
Apostolica Porta fidei, indica il motivo fondamentale
per cui ha deciso di indire uno speciale Anno
della fede. Si tratta di prendere coscienza della
situazione di crisi nella quale l’umanità si trova.
Una crisi generale, che coinvolge anche la Chiesa,
manifestandosi, soprattutto in Occidente, come
crisi di fede. Quello che era un presupposto ovvio
in passato, per il nostro contemporaneo non lo
è più. Il secolarismo, obbedendo ad un ideale di
autonomia individuale che si sente minacciata
da qualsiasi riferimento ad una verità rivelata, ha
assunto come proprio programma il «vivere come
se Dio non esistesse». Così ha condotto l’uomo ad
una situazione di confusione e disorientamento, lo
ha ridotto all’isolamento in balia di forze di cui non
conosce neppure il volto. Il progetto di una vita
senza fede si tramuta inevitabilmente in una crisi
Il sorriso della libertà Tommaso Moro, la politica ed il bene comune
che rende impossibile all’uomo scoprire la propria
identità, il senso per la propria vita.
Anche l’impegno per il conseguimento del bene
comune segna il passo in una situazione di
generale disorientamento e confusione. E ciò
è comprensibile in quanto vivere di indifferenza,
agnosticismo e ateismo non aiuta a realizzare
un progetto comune, perché impedisce di
approdare ad un senso pieno nella ricerca della
verità. Pensare che si possa costruire una società
realmente attenta al bene dell’uomo e di tutti gli
uomini, capace di superare la frammentarietà e
l’individualismo, prescindendo dal contributo del
cristianesimo vorrebbe dire gettare le basi per il
fallimento di un progetto per il futuro. Rinunciare a
riconoscere le radici che sostengono l’Occidente
e l’identità cristiana che ancora lo plasma, vuol dire
determinare il fallimento di qualunque progetto
per il futuro.
L’Anno della fede intende essere innanzitutto un
sostegno offerto ai credenti in Cristo, a quanti, cioè,
continuano a professare con convinzione la fede
e ad offrire la loro preziosa testimonianza, talvolta
fino al martirio. «Desideriamo che questo Anno
susciti in ogni credente l’aspirazione a confessare
la fede in pienezza e con rinnovata convinzione,
con fiducia e speranza. Sarà un’occasione propizia
anche per intensificare la celebrazione della
fede nella liturgia, e in particolare nell’Eucaristia,
che è “il culmine verso cui tende l’azione della
Chiesa e insieme la fonte da cui promana tutta
la sua energia”. Nel contempo, auspichiamo che
la testimonianza di vita dei credenti cresca nella
sua credibilità. Riscoprire i contenuti della fede
professata, celebrata, vissuta e pregata, e riflettere
sullo stesso atto con cui si crede, è un impegno
che ogni credente deve fare proprio, soprattutto in
questo Anno» (Porta fidei 9).
Sono convinto che la mostra Il sorriso della
libertà. Tommaso Moro, la politica ed il bene
comune possa offrire una bella opportunità, nel
contesto dell’Anno della fede, per riscoprire la
singolare testimonianza di un uomo che ha saputo
vivere la propria fede nel servizio disinteressato al
bene comune fino al dono della vita, preferendo
obbedire a Dio prima che ai governanti. Questa
testimonianza consentirà di prendere sempre più
coscienza che il contributo della fede cristiana
nella definizione di un progetto che consenta di
uscire dalla situazione di crisi è fondamentale
proprio nella misura in cui favorirà la riscoperta
delle radici e dell’anima dell’identità occidentale,
passaggio obbligato per poter creare desiderio
di appartenenza, superamento dell’individualismo
e del particolarismo, condivisione. In questa
prospettiva si coglie l’urgenza dell’invito che il Papa
rivolge ai fedeli perché considerino l’importanza
della testimonianza cristiana nella vita politica, che
già Paolo VI aveva definito come la «forma più alta
di carità».
Auspico che la mostra possa essere conosciuta
ed apprezzata da molti, a partire da quanti già sono
coinvolti in diversa misura nell’impegno politico.
† Rino Fisichella
Presidente del Pontificio Consiglio
per la Promozione della Nuova Evangelizzazione
9
LORENZO ORNAGHI
prefazione
A Thomas More – santo e martire inglese, che il
Beato Giovanni Paolo II ha voluto proclamare
patrono dei governanti e dei politici nell’anno
giubilare del 2000 – la Fondazione Costruiamo il
Futuro dedica una mostra importante e suggestiva,
all’avvio dell’Anno della Fede indetto dal Santo
Padre Benedetto XVI. E alla mostra, bella, ha dato
un titolo altrettanto bello: Il sorriso della libertà.
Al cuore e alla mente di ciascuno di noi, il titolo
subito richiama le molte ragioni per cui si sorride:
dalla gioiosa spensieratezza del bambino che
formula i suoi «perché?» sulla realtà di cui
incomincia ad avere esperienza, alla speranza
fiduciosa del giovane che intende attivamente
Il sorriso della libertà Tommaso Moro, la politica ed il bene comune
partecipare all’edificazione di una società migliore,
sino alla rasserenante saggezza di chi, giunto quasi
al termine della propria avventura umana, ogni
giorno ringrazia il Signore che senza sosta gli allieta
la ‘giovinezza’. Sono tutti sorrisi che nascono dalla
libertà. E che cercano la libertà, indispensabile
affinché la creatività e la responsabilità di ogni
persona si possano esprimere con pienezza ed
efficacia.
Affinché questo sorriso possa continuare a
risplendere sul volto di ogni cittadino, la politica
non può degenerare in un’attività di second’ordine.
Né deve essere percepita o intesa come
inevitabilmente tale da chi appartiene alla polis
e, vivendo con fierezza questa appartenenza, è
consapevole che il primo compito della politica
consiste proprio nel perseguimento di ciò che è
autenticamente bene per la comunità. Non vi è
politica degna di questo nome, allorché il bene
comune risuona come un’espressione retorica o,
peggio, come un infingimento sin troppo facile da
smascherare. È la grande lezione di Thomas More,
oggi attuale e vitale ancor più di quanto non lo sia
stata nei secoli passati. In essa riecheggia, potente,
l’ammonizione di Sant’Agostino: non diversamente
da quando la giustizia sembri negata o dimenticata
da chi governa, anche l’assenza del bene comune
inesorabilmente trasforma la politica e gran parte
del ceto politico in magnum latrocinium.
La liturgia inglese riserva a Thomas More una
significativa preghiera: «Lord, strengthen us by
example of your martyr Thomas, so that we may
always follow conscience, and be king’s good
servant, but God’s first, through Jesus Christ our
Lord. Amen». Che tali parole – rafforzate e bene
esemplificate dalla mostra Il sorriso della libertà
– possano davvero essere di guida per tutti noi,
nell’agire quotidiano così come nell’impegno
politico.
Lorenzo Ornaghi
Ministro per i Beni e le Attività Culturali
11
maurizio lupi
presentazione
Tommaso Moro non è stato un politico, è stato
uno statista. Uno dei pochi uomini cui si possa
con piena cognizione attribuire questo titolo. Non
lo dico io, l’ha definito così Giovanni Polo II nel
giorno della sua proclamazione a patrono dei
governanti e dei politici, il 31 ottobre del 2000.
Anzi, Papa Wojtyla parlò di “grande statista”.
Sessantacinque anni prima, il 19 maggio 1935
a quattro secoli dalla sua morte, il Cancelliere di
Enrico VIII, il re che gli fu amico e che lo fece
decapitare, era stato canonizzato dalla Chiesa
cattolica.
Politico e santo. L’accostamento di questi due
nomi fa rabbrividire, non solo per l’apparente
inconciliabilità tra loro di cui noi politici diamo
spesso testimonianza, ma soprattutto per l’altezza
dell’ideale cui anche un “mestiere sporco” come
il nostro deve tendere. D’altronde, come ricordava
Francesco Cossiga - che quanto alla propria
moralità diceva di aver “trasgredito quasi l’intero
Decalogo” - rispondendo a chi gli chiedeva se
Tommaso Moro non fosse una figura un po’ troppo
Il sorriso della libertà Tommaso Moro, la politica ed il bene comune
elevata da proporre al mondo politico di oggi in
cui i riferimenti a principi ideali scarseggiano, e la
coerenza sembra merce davvero rara: “La Grazia
serve essenzialmente ai peccatori. E di protettori
ne hanno bisogno soprattutto i deboli”.
Politico e santo. Per questo una mostra che
abbiamo voluto pronta in concomitanza con
l’Anno della fede proclamato da Benedetto XVI.
Perché la fede c’entra con la politica, non in modo
prescrittivo ma certamente come giudizio ideale.
Perché la democrazia senza riferimento a un valore
che non sia solo quello derivato dal consenso
popolare (o del re) mostra tutta la sua fragilità e
il suo rischio di violenza. Perché un uomo di fede
come Tommaso Moro ha saputo essere testimone
dell’irrinunciabilità della libertà di coscienza e
insieme della responsabilità di un uomo di Stato.
Le sue dimissioni e il silenzio di fronte a scelte
che non condivideva documentano il suo amore
al bene comune e alla pace sociale, che sono le
condizioni per uno sviluppo ordinato e costruttivo
della vita di un popolo.
Il potere, che quando rinuncia al suo fondamento
morale diventa pre-potere, non gli permise neanche
il diritto al silenzio. A Socrate fu impedito di parlare,
a Tommaso Moro fu impedito di tacere. Il suo silenzio
gli fu imputato come tradimento.
La vicenda di Tommaso Moro ci mette in guardia
da questa prepotenza, che tende a non arrestarsi
di fronte a nulla, neanche a usare della religione:
è tremendamente significativo che Enrico VIII
abbia convinto i vescovi inglesi ad accettarlo come
capo della Chiesa “comprando” il loro assenso
condonandogli la restituzione delle ricchezze
accumulate grazie alla corruzione.
Chiamato dai suoi contemporanei “uomo per tutte le
stagioni”, Tommaso Moro è invece un uomo per tutte
le generazioni, perché ricorda a chi ha responsabilità
politica, e a chi gliela concede, la domanda
fondamentale sulla legittimità del potere. Fin dove
può spingersi il potere per conservarsi? O, come ha
detto Benedetto XVI: “Quali sono le esigenze che i
governi possono ragionevolmente imporre ai propri
cittadini e fin dove possono estendersi?”.
Ci sono due ultimi motivi apparentemente meno
decisivi per la scelta di allestire questa mostra ma
non secondari né nella vita di Tommaso Moro né
nell’atteggiamento che dovremmo avere noi politici.
Il primo, la preoccupazione per la giustizia: nei suoi
anni da giudice presso la Corte delle richieste
Tommaso Moro accelerò e sburocratizzò la macchina
giudiziaria, smaltendo, con sorpresa di tutti, i
numerosi processi pendenti accumulatisi nel tempo
(succedeva già allora). Secondo, guardava alla vita,
a sé e ai suoi progetti politici con grande senso
dell’umorismo che gli permetteva di considerare
con distacco e fin con ironia i tentativi che metteva
in essere. Un sorriso che non lo ha abbandonato
neppure sul patibolo: “Per favore aiutatemi a salire –
disse al boia con l’ascia in mano – poi per scendere
non disturberò nessuno”.
Augurandoci la stessa profondità e la stessa
leggerezza, buona mostra.
Maurizio Lupi
Presidente della Fondazione Costruiamo il Futuro
13
GIOVANNI PAOLO II
LETTERA APOSTOLICA
IN FORMA DI MOTU PROPRIO
PER LA PROCLAMAZIONE DI SAN TOMMASO MORO
PATRONO DEI GOVERNANTI E DEI POLITICI
31 ottobre 2000
Dalla vita e dal martirio di san Tommaso Moro
scaturisce un messaggio che attraversa i secoli
e parla agli uomini di tutti i tempi della dignità
inalienabile della coscienza, nella quale, come
ricorda il Concilio Vaticano II, risiede “il nucleo
più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli si
trova solo con Dio, la cui voce risuona nella sua
intimità” (Gaudium et spes, 16). Quando l’uomo
e la donna ascoltano il richiamo della verità, allora
la coscienza orienta con sicurezza i loro atti verso
il bene. Proprio per la testimonianza, resa fino
all’effusione del sangue, del primato della verità
sul potere, san Tommaso Moro è venerato quale
esempio imperituro di coerenza morale. E anche al
di fuori della Chiesa, specie fra coloro che sono
chiamati a guidare le sorti dei popoli, la sua figura
viene riconosciuta quale fonte di ispirazione per
una politica che si ponga come fine supremo il
servizio alla persona umana.
Di recente, alcuni Capi di Stato e di Governo,
numerosi esponenti politici, alcune Conferenze
Episcopali e singoli Vescovi mi hanno rivolto
petizioni a favore della proclamazione di san
Tommaso Moro quale Patrono dei Governanti e dei
Politici. Tra i firmatari dell’istanza vi sono personalità
Il sorriso della libertà Tommaso Moro, la politica ed il bene comune
di varia provenienza politica, culturale e religiosa,
a testimonianza del vivo e diffuso interesse per il
pensiero ed il comportamento di questo insigne
Uomo di governo.
Tommaso Moro visse una straordinaria carriera
politica nel suo Paese. Nato a Londra nel 1478
da rispettabile famiglia, fu posto, sin da giovane al
servizio dell’Arcivescovo di Canterbury Giovanni
Morton, Cancelliere del Regno. Proseguì poi gli
studi in legge ad Oxford e a Londra, allargando i suoi
interessi ad ampi settori della cultura, della teologia
e della letteratura classica. Imparò a fondo il greco
ed entrò in rapporto di scambio e di amicizia con
importanti protagonisti della cultura rinascimentale,
tra cui Erasmo Desiderio da Rotterdam.
La sua sensibilità religiosa lo portò alla ricerca
della virtù attraverso un’assidua pratica ascetica:
coltivò rapporti di amicizia con i frati minori
osservanti del convento di Greenwich e alloggiò
per un certo tempo presso la certosa di Londra,
due dei principali centri di fervore religioso nel
Regno. Sentendosi chiamato al matrimonio, alla
vita familiare e all’impegno laicale, egli sposò nel
1505 Giovanna Colt dalla quale ebbe quattro
figli. Giovanna morì nel 1511 e Tommaso sposò
in seconde nozze Alicia Middleton, una vedova
con figlia. Fu per tutta la sua vita marito e padre
affezionato e fedele, intimamente impegnato
nell’educazione religiosa, morale e intellettuale
dei figli. La sua casa accoglieva generi, nuore e
nipoti, e rimaneva aperta per molti giovani amici alla
ricerca della verità o della propria vocazione. La
vita di famiglia lasciava, per altro, ampio spazio alla
preghiera comune e alla lectio divina, come pure
a sane forme di ricreazione domestica. Tommaso
partecipava alla Messa quotidianamente nella
chiesa parrocchiale, ma le austere penitenze che
adottava erano conosciute solo dai suoi familiari
più intimi.
Nel 1504, sotto il re Enrico VII, venne eletto per la
prima volta al parlamento. Enrico VIII gli rinnovò il
mandato nel 1510, e lo costituì pure rappresentante
della Corona nella capitale, aprendogli una carriera
di spicco nell’amministrazione pubblica. Nel
decennio successivo, il re lo inviò a varie riprese in
missioni diplomatiche e commerciali nelle Fiandre
e nel territorio dell’odierna Francia. Fatto membro
del Consiglio della Corona, giudice presidente di
un tribunale importante, vice-tesoriere e cavaliere,
divenne nel 1523 portavoce, cioè presidente, della
Camera dei Comuni.
Universalmente stimato per l’indefettibile integrità
morale, l’acutezza dell’ingegno, il carattere aperto
e scherzoso, la straordinaria erudizione, nel 1529,
in un momento di crisi politica ed economica del
Paese, fu nominato dal re Cancelliere del regno.
Primo laico a ricoprire questa carica, Tommaso
affrontò un periodo estremamente difficile,
sforzandosi di servire il re e il Paese. Fedele ai
suoi principi si impegnò a promuovere la giustizia
e ad arginare l’influsso deleterio di chi perseguiva
i propri interessi a spese dei deboli. Nel 1532,
non volendo dare il proprio appoggio al disegno
di Enrico VIII che voleva assumere il controllo sulla
Chiesa in Inghilterra, rassegnò le dimissioni. Si
ritirò dalla vita pubblica, accettando di soffrire con
la sua famiglia la povertà e l’abbandono di molti
che, nella prova, si rivelarono falsi amici.
Costatata la sua irremovibile fermezza nel rifiutare
ogni compromesso con la propria coscienza, il re,
nel 1534, lo fece imprigionare nella Torre di Londra,
ove fu sottoposto a varie forme di pressione
psicologica. Tommaso Moro non si lasciò piegare e
rifiutò di prestare il giuramento che gli si chiedeva,
perché avrebbe comportato l’accettazione di un
assetto politico ed ecclesiastico che preparava
il terreno ad un dispotismo senza controllo.
Nel corso del processo intentatogli pronunciò
un’appassionata apologia delle proprie convinzioni
circa l’indissolubilità del matrimonio, il rispetto del
patrimonio giuridico ispirato ai valori cristiani, la
libertà della Chiesa di fronte allo Stato. Condannato
dal Tribunale, venne decapitato.
Col passare dei secoli si attenuò la discriminazione
nei confronti della Chiesa. Nel 1850 fu ricostituita
in Inghilterra la gerarchia cattolica. Fu così possibile
avviare le cause di canonizzazione di numerosi
martiri. Tommaso Moro insieme a 53 altri martiri,
tra i quali il Vescovo Giovanni Fisher, fu beatificato
dal Papa Leone XIII nel 1886. Insieme allo stesso
Vescovo fu poi canonizzato da Pio XI nel 1935,
nella ricorrenza del quarto centenario del martirio.
Molte sono le ragioni a favore della proclamazione
di san Tommaso Moro a Patrono dei Governanti
e dei Politici. Tra queste, il bisogno che il mondo
politico e amministrativo avverte di modelli credibili,
che mostrino la via della verità in un momento
storico in cui si moltiplicano ardue sfide e gravi
responsabilità. Oggi, infatti, fenomeni economici
15
fortemente innovativi stanno modificando le strutture
sociali; d’altra parte, le conquiste scientifiche nel
settore delle biotecnologie acuiscono l’esigenza di
difendere la vita umana in tutte le sue espressioni,
mentre le promesse di una nuova società, proposte
con successo ad un’opinione pubblica frastornata,
richiedono con urgenza scelte politiche chiare a
favore della famiglia, dei giovani, degli anziani e
degli emarginati.
In questo contesto, giova riandare all’esempio di san
Tommaso Moro, il quale si distinse per la costante
fedeltà all’autorità e alle istituzioni legittime proprio
perché, in esse, intendeva servire non il potere,
ma l’ideale supremo della giustizia. La sua vita ci
insegna che il governo è anzitutto esercizio di virtù.
Forte di tale rigoroso impianto morale, lo Statista
inglese pose la propria attività pubblica al servizio
della persona, specialmente se debole o povera;
gestì le controversie sociali con squisito senso
d’equità; tutelò la famiglia e la difese con strenuo
impegno; promosse l’educazione integrale della
gioventù. Il profondo distacco dagli onori e dalle
ricchezze, l’umiltà serena e gioviale, l’equilibrata
conoscenza della natura umana e della vanità del
successo, la sicurezza di giudizio radicata nella
fede, gli dettero quella fiduciosa fortezza interiore
che lo sostenne nelle avversità e di fronte alla morte.
La sua santità rifulse nel martirio, ma fu preparata
da un’intera vita di lavoro nella dedizione a Dio e al
prossimo.
Accennando a simili esempi di perfetta armonia
fra fede e opere, nell’Esortazione apostolica
post-sinodale Christifideles laici ho scritto che
“l’unità della vita dei fedeli laici è di grandissima
importanza: essi, infatti, devono santificarsi
nell’ordinaria vita professionale e sociale. Perché
possano rispondere alla loro vocazione, dunque, i
fedeli laici debbono guardare alle attività della vita
Il sorriso della libertà Tommaso Moro, la politica ed il bene comune
quotidiana come occasione di unione con Dio e di
compimento della sua volontà, e anche di servizio
agli altri uomini” (n. 17).
Quest’armonia fra il naturale e il soprannaturale
costituisce forse l’elemento che più di ogni altro
definisce la personalità del grande Statista inglese:
egli visse la sua intensa vita pubblica con umiltà
semplice, contrassegnata dal celebre “buon
umore”, anche nell’imminenza della morte.
Questo il traguardo a cui lo portò la sua passione
per la verità. L’uomo non si può separare da Dio, né
la politica dalla morale: ecco la luce che ne illuminò
la coscienza. Come ho già avuto occasione di
dire, “l’uomo è creatura di Dio, e per questo i diritti
dell’uomo hanno in Dio la loro origine, riposano
nel disegno della creazione e rientrano nel piano
della redenzione. Si potrebbe quasi dire, con
espressione audace, che i diritti dell’uomo sono
anche i diritti di Dio” (Discorso, 7.4.1998).
E fu proprio nella difesa dei diritti della coscienza
che l’esempio di Tommaso Moro brillò di luce
intensa. Si può dire che egli visse in modo
singolare il valore di una coscienza morale che è
“testimonianza di Dio stesso, la cui voce e il cui
giudizio penetrano l’intimo dell’uomo fino alle radici
della sua anima” (Lett. enc. Veritatis splendor, 58),
anche se, per quanto concerne l’azione contro gli
eretici, subì i limiti della cultura del suo tempo.
Il Concilio Ecumenico Vaticano II, nella Costituzione
Gaudium et spes, nota come nel mondo
contemporaneo stia crescendo “la coscienza della
esimia dignità che compete alla persona umana,
superiore a tutte le cose, e i cui diritti e doveri sono
universali e inviolabili” (n. 26). La vicenda di san
Tommaso Moro illustra con chiarezza una verità
fondamentale dell’etica politica. Infatti la difesa
della libertà della Chiesa da indebite ingerenze
dello Stato è allo stesso tempo difesa, in nome
del primato della coscienza, della libertà della
persona nei confronti del potere politico. In ciò sta
il principio basilare di ogni ordine civile conforme
alla natura dell’uomo.
Confido, pertanto, che l’elevazione dell’esimia figura
di san Tommaso Moro a Patrono dei Governanti e
dei Politici giovi al bene della società. È questa,
peraltro, un’iniziativa in piena sintonia con lo spirito
del Grande Giubileo, che ci immette nel terzo
millennio cristiano.
Pertanto, dopo matura considerazione, accogliendo
volentieri le richieste rivoltemi, costituisco e
dichiaro celeste Patrono dei Governanti e dei
Politici san Tommaso Moro, concedendo che gli
vengano tributati tutti gli onori e i privilegi liturgici
che competono, secondo il diritto, ai Patroni di
categorie di persone.
Sia benedetto e glorificato Gesù Cristo, Redentore
dell’uomo, ieri, oggi e sempre.
Dato a Roma, presso san Pietro, il giorno 31 ottobre
dell’anno 2000, ventitreesimo di Pontificato.
17
GIOVANNI PAOLO II
GIUBILEO DEI GOVERNANTI E DEI PARLAMENTARI
OMELIA DEL SANTO PADRE
5 Novembre 2000
“Ascolta, Israele!” (Dt 6,3.4).
La parola di Dio, in forma solenne e nello stesso
tempo amorevole, ci ha rivolto poc’anzi l’invito ad
«ascoltare». Ad ascoltare «oggi», «ora»; e a farlo non
singolarmente o privatamente, ma insieme: “Ascolta,
Israele!”.
Questo appello giunge stamani in modo particolare a
voi, Governanti, Parlamentari, Politici, Amministratori,
convenuti a Roma per celebrare il vostro Giubileo.
Tutti saluto cordialmente, con uno speciale pensiero
per i Capi di Stato presenti tra noi.
Nella celebrazione liturgica si attualizza, qui ed ora,
l’evento dell’Alleanza con Dio. Quale risposta Dio
s’attende da noi? L’indicazione or ora ricevuta nella
proclamazione del testo biblico è perentoria: occorre
innanzitutto mettersi in ascolto. Non un ascolto
passivo e disimpegnato. Gli Israeliti compresero
bene che Dio attendeva da loro una risposta attiva
e responsabile. Per questo promisero a Mosé: “Ci
riferirai tutto ciò che ti avrà detto il Signore nostro
Dio e noi lo ascolteremo e lo faremo” (Dt 5,27).
Nell’assumere questo impegno, essi sapevano di
aver a che fare con un Dio di cui potevano fidarsi.
Dio amava il suo popolo e ne voleva la felicità. In
cambio, Egli chiedeva l’amore. Nello “Shema Israel”,
Il sorriso della libertà Tommaso Moro, la politica ed il bene comune
che abbiamo ascoltato nella prima Lettura, accanto
alla richiesta della fede nell’unico Dio, è espresso il
comando fondamentale, quello dell’amore per Lui:
“Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con
tutta l’anima e con tutte le forze” (Dt 6,5).
Il rapporto dell’uomo con Dio non è un rapporto di
paura, di schiavitù o di oppressione; al contrario, è
un rapporto di sereno affidamento, che scaturisce
da una libera scelta motivata dall’amore. L’amore
che Dio attende dal suo popolo è la risposta a
quello fedele e premuroso che Egli per primo gli
ha manifestato attraverso le varie tappe della storia
della salvezza.
Proprio per questo i Comandamenti, prima che come
un codice legale e un regolamento giuridico, sono
stati compresi dal popolo eletto come un evento di
grazia, come un segno della propria appartenenza
privilegiata al Signore. è significativo che Israele
non parli mai della Legge come di un fardello, di
un’imposizione, ma come di un dono e di un favore:
“Beati noi, o Israele, - esclama il profeta - perché ciò
che piace a Dio ci è stato rivelato” (Bar 4,4).
Il popolo sa che il Decalogo è un impegno
vincolante, ma sa anche che è la condizione per la
vita: Ecco, dice il Signore, io pongo dinanzi a te la
vita e la morte, cioè il bene e il male; ti comando di
osservare i miei comandi, perché tu abbia la vita
(cfr Dt 30,15). Con la sua Legge Dio non intende
coartare la volontà dell’uomo, bensì liberarlo da
tutto ciò che può comprometterne l’autentica
dignità e la piena realizzazione.
Mi
sono
soffermato,
illustri
Governanti,
Parlamentari e Politici, a riflettere sul senso e sul
valore della Legge divina, perché questo è un
argomento che vi tocca da vicino. Non è forse, la
vostra quotidiana fatica, quella di elaborare leggi
giuste e di farle accettare ed applicare? Nel fare
ciò voi siete convinti di rendere un importante
servizio all’uomo, alla società, alla stessa libertà.
E a buon diritto. La legge umana infatti, se giusta,
non è mai contro, ma a servizio della libertà.
Questo aveva intuito già il saggio pagano, che
sentenziava: “Legum servi sumus, ut liberi esse
possimus” - “Siamo servi delle leggi, per poter
essere liberi” (Cic., De legibus, II,13).
La libertà a cui fa riferimento Cicerone, tuttavia, si
situa principalmente a livello dei rapporti esterni
tra cittadini. Come tale, essa rischia di ridursi ad
un congruo bilanciamento dei rispettivi interessi,
e magari dei contrapposti egoismi. La libertà a
cui fa appello la parola di Dio, invece, affonda le
proprie radici nel cuore dell’uomo, un cuore che
Dio può liberare dall’egoismo, rendendolo capace
di aprirsi all’amore disinteressato.
Non a caso, nella pagina evangelica poc’anzi
ascoltata, allo scriba che gli chiede quale sia il
primo di tutti i comandamenti, Gesù risponde
citando lo “Shema”: “Amerai il Signore Dio tuo
con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente, con
tutta la tua forza” (Mc 12,30). L’accento è posto
sul «tutto»: l’amore di Dio non può che essere
“totalitario”. Ma solo Dio è in grado di purificare
il cuore umano dall’egoismo e di «liberarlo» alla
piena capacità di amare.
Un uomo dal cuore così «bonificato» può aprirsi al
fratello e farsi carico di lui con la stessa premura
con cui si preoccupa di se stesso. Per questo Gesù
aggiunge: “Il secondo (comandamento) è questo:
Amerai il prossimo tuo come te stesso” (Mc 12,31).
Chi ama Dio con tutto il cuore e lo riconosce come
«unico Dio», e perciò come Padre di tutti, non può
guardare a quanti incontra sul suo cammino che
come ad altrettanti fratelli.
Amare il prossimo come se stessi. Questa
parola trova sicuramente eco nei vostri animi, cari
Governanti, Parlamentari, Politici e Amministratori.
Essa pone oggi a ciascuno di voi, in occasione del
vostro Giubileo, una questione centrale: in che modo,
nel vostro delicato e impegnativo servizio allo Stato
e ai cittadini, potete dare adempimento a questo
comandamento? La risposta è chiara: vivendo
l’impegno politico come un servizio. Prospettiva
luminosa quanto esigente! Essa non può, infatti,
ridursi a una riaffermazione generica di principi o alla
dichiarazione di buone intenzioni. Il servizio politico
passa attraverso un preciso e quotidiano impegno,
che esige una grande competenza nello svolgimento
del proprio dovere e una moralità a tutta prova nella
gestione disinteressata e trasparente del potere.
D’altra parte, la coerenza personale del politico
ha bisogno di esprimersi anche in una corretta
concezione della vita sociale e politica che egli è
chiamato a servire. Sotto questo profilo, un politico
cristiano non può non fare costante riferimento a
quei principi che la dottrina sociale della Chiesa ha
sviluppato nel corso del tempo. Essi, com’è noto,
non costituiscono un’”ideologia” e nemmeno un
“programma politico”, ma offrono le linee fondamentali
per una comprensione dell’uomo e della società
19
alla luce della legge etica universale presente nel
cuore di ogni uomo e approfondita dalla rivelazione
evangelica (cfr Sollicitudo rei socialis, 41). Tocca a
voi, carissimi Fratelli e Sorelle impegnati in politica,
farvene interpreti convinti e operosi.
Certo, nell’applicazione di questi principi alla
complessa realtà politica, sarà spesso inevitabile
incontrarsi con ambiti, problemi e circostanze
che possono dare legittimamente adito a diverse
valutazioni concrete. Al tempo stesso, però, non può
giustificarsi un pragmatismo che, anche rispetto ai
valori essenziali e fondanti della vita sociale, riduca
la politica a pura mediazione degli interessi o, ancor
peggio, a una questione di demagogia o di calcoli
elettorali. Se il diritto non può e non deve coprire
l’intero ambito della legge morale, va anche ricordato
che esso non può andare “contro” la legge morale.
cristiano, che ogni giorno deve confrontarsi con
quello che Cristo ha qualificato come «il primo» dei
comandamenti, il comandamento cioè dell’amore?
Illustri
Governanti,
Parlamentari,
Politici,
Amministratori, numerosi ed esigenti sono i compiti
che attendono, all’inizio del nuovo secolo e del
nuovo millennio, i responsabili della vita pubblica.
è proprio pensando a questo che, nel contesto del
Grande Giubileo, ho voluto, come sapete, offrirvi il
sostegno di uno speciale Patrono: il santo martire
Tommaso Moro.
Ciò assume particolare rilevanza in questa fase
di intense trasformazioni, che vede emergere una
nuova dimensione della politica. Il declino delle
ideologie s’accompagna ad una crisi delle formazioni
partitiche, che spinge ad intendere in modo nuovo
la rappresentanza politica e il ruolo delle istituzioni.
Occorre riscoprire il senso della partecipazione,
coinvolgendo maggiormente i cittadini nella
ricerca delle vie opportune per avanzare verso una
realizzazione sempre più soddisfacente del bene
comune.
La sua figura è veramente esemplare per chiunque
sia chiamato a servire l’uomo e la società nell’ambito
civile e politico. L’eloquente testimonianza da lui
resa è quanto mai attuale in un momento storico
che presenta sfide cruciali per la coscienza di chi
ha responsabilità dirette nella gestione della cosa
pubblica. Come statista, egli si pose sempre al
servizio della persona, specialmente se debole e
povera; gli onori e le ricchezze non ebbero presa
su di lui, guidato com’era da uno spiccato senso
dell’equità. Soprattutto, egli non scese mai a
compromessi con la propria coscienza, giungendo
fino al sacrificio supremo pur di non disattenderne
la voce. Invocatelo, seguitelo, imitatelo! La sua
intercessione non mancherà di ottenervi, anche nelle
situazioni più ardue, fortezza, buon umore, pazienza
e perseveranza.
In tale impegno il cristiano si guarderà dal cedere
alla tentazione della contrapposizione violenta,
fonte spesso di grandi sofferenze per la comunità.
Il dialogo resta lo strumento insostituibile per ogni
confronto costruttivo, sia all’interno degli Stati che
nei rapporti internazionali. E chi potrebbe assumere
questa «fatica» del dialogo meglio del politico
È l’auspicio che vogliamo corroborare con la forza
del sacrificio eucaristico, nel quale ancora una
volta Cristo si fa nutrimento e orientamento della
nostra vita. Vi conceda il Signore di essere politici
secondo il suo Cuore, emuli di san Tommaso
Moro, coraggioso testimone di Cristo e integerrimo
servitore dello Stato.
Il sorriso della libertà Tommaso Moro, la politica ed il bene comune
BENEDETTO XVI
VIAGGIO APOSTOLICO NEL REGNO UNITO
INCONTRO CON LE AUTORITÁ CIVILI
Westminster Hall - City of Westminster
17 settembre 2010
Signor Presidente,
La ringrazio per le parole di benvenuto che mi ha
rivolto a nome di questa distinta assemblea. Nel
rivolgermi a voi, sono consapevole del privilegio
che mi è concesso di parlare al popolo britannico
ed ai suoi rappresentanti nella Westminster Hall, un
edificio che ha un significato unico nella storia civile
e politica degli abitanti di queste Isole. Permettetemi
di manifestare la mia stima per il Parlamento, che
da secoli ha sede in questo luogo e che ha avuto
un’influenza così profonda sullo sviluppo di forme
di governo partecipative nel mondo, specialmente
nel Commonwealth e più in generale nei Paesi di
lingua inglese. La vostra tradizione di “common
law” costituisce la base del sistema legale in molte
nazioni, e la vostra particolare visione dei rispettivi
diritti e doveri dello stato e del singolo cittadino, e
della separazione dei poteri, rimane come fonte di
ispirazione per molti nel mondo.
Mentre parlo a voi in questo luogo storico, penso
agli innumerevoli uomini e donne che lungo i secoli
hanno svolto la loro parte in importanti eventi che
hanno avuto luogo tra queste mura e hanno segnato
la vita di molte generazione di britannici e di altri
Il sorriso della libertà Tommaso Moro, la politica ed il bene comune
popoli. In particolare, vorrei ricordare la figura di
San Tommaso Moro, il grande studioso e statista
inglese, ammirato da credenti e non credenti per
l’integrità con cui fu capace di seguire la propria
coscienza, anche a costo di dispiacere al sovrano,
di cui era “buon servitore”, poiché aveva scelto di
servire Dio per primo. Il dilemma con cui Tommaso
Moro si confrontava, in quei tempi difficili, la perenne
questione del rapporto tra ciò che è dovuto a Cesare
e ciò che è dovuto a Dio, mi offre l’opportunità di
riflettere brevemente con voi sul giusto posto che il
credo religioso mantiene nel processo politico.
La tradizione parlamentare di questo Paese deve
molto al senso istintivo di moderazione presente
nella Nazione, al desiderio di raggiungere un giusto
equilibrio tra le legittime esigenze del potere dello
stato e i diritti di coloro che gli sono soggetti. Se
da un lato, nella vostra storia, sono stati compiuti
a più riprese dei passi decisivi per porre dei limiti
all’esercizio del potere, dall’altro le istituzioni
politiche della nazione sono state in grado di
evolvere all’interno di un notevole grado di stabilità.
In tale processo storico, la Gran Bretagna è emersa
come una democrazia pluralista, che attribuisce
un grande valore alla libertà di espressione, alla
libertà di affiliazione politica e al rispetto dello stato
di diritto, con un forte senso dei diritti e doveri dei
singoli, e dell’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte
alla legge. La dottrina sociale cattolica, pur formulata
in un linguaggio diverso, ha molto in comune con un
tale approccio, se si considera la sua fondamentale
preoccupazione per la salvaguardia della dignità
di ogni singola persona, creata ad immagine e
somiglianza di Dio, e la sua sottolineatura del dovere
delle autorità civili di promuovere il bene comune.
E, in verità, le questioni di fondo che furono in gioco
nel processo contro Tommaso Moro continuano a
presentarsi, in termini sempre nuovi, con il mutare
delle condizioni sociali. Ogni generazione, mentre
cerca di promuovere il bene comune, deve chiedersi
sempre di nuovo: quali sono le esigenze che i governi
possono ragionevolmente imporre ai propri cittadini,
e fin dove esse possono estendersi? A quale
autorità ci si può appellare per risolvere i dilemmi
morali? Queste questioni ci portano direttamente
ai fondamenti etici del discorso civile. Se i principi
morali che sostengono il processo democratico non
si fondano, a loro volta, su nient’altro di più solido
che sul consenso sociale, allora la fragilità del
processo si mostra in tutta la sua evidenza. Qui si
trova la reale sfida per la democrazia.
L’inadeguatezza di soluzioni pragmatiche, di breve
termine, ai complessi problemi sociali ed etici è stata
messa in tutta evidenza dalla recente crisi finanziaria
globale. Vi è un vasto consenso sul fatto che la
mancanza di un solido fondamento etico dell’attività
economica abbia contribuito a creare la situazione
di grave difficoltà nella quale si trovano ora milioni
di persone nel mondo. Così come “ogni decisione
economica ha una conseguenza di carattere
morale” (Caritas in Veritate, 37), analogamente,
nel campo politico, la dimensione morale delle
politiche attuate ha conseguenze di vasto raggio,
che nessun governo può permettersi di ignorare.
Una positiva esemplificazione di ciò si può trovare in
una delle conquiste particolarmente rimarchevoli del
Parlamento britannico: l’abolizione del commercio
degli schiavi. La campagna che portò a questa
legislazione epocale, si basò su principi morali
solidi, fondati sulla legge naturale, e ha costituito un
contributo alla civilizzazione di cui questa nazione
può essere giustamente orgogliosa.
La questione centrale in gioco, dunque, è la seguente:
dove può essere trovato il fondamento etico per le
scelte politiche? La tradizione cattolica sostiene che
le norme obiettive che governano il retto agire sono
accessibili alla ragione, prescindendo dal contenuto
della rivelazione. Secondo questa comprensione,
il ruolo della religione nel dibattito politico non
è tanto quello di fornire tali norme, come se esse
non potessero esser conosciute dai non credenti
– ancora meno è quello di proporre soluzioni
politiche concrete, cosa che è del tutto al di fuori
della competenza della religione – bensì piuttosto di
aiutare nel purificare e gettare luce sull’applicazione
della ragione nella scoperta dei principi morali
oggettivi. Questo ruolo “correttivo” della religione
nei confronti della ragione, tuttavia, non è sempre
bene accolto, in parte poiché delle forme distorte di
religione, come il settarismo e il fondamentalismo,
possono mostrarsi esse stesse causa di seri
problemi sociali. E, a loro volta, queste distorsioni
della religione emergono quando viene data una
non sufficiente attenzione al ruolo purificatore e
strutturante della ragione all’interno della religione. È
un processo che funziona nel doppio senso. Senza
il correttivo fornito dalla religione, infatti, anche
la ragione può cadere preda di distorsioni, come
avviene quando essa è manipolata dall’ideologia, o
applicata in un modo parziale, che non tiene conto
pienamente della dignità della persona umana. Fu
questo uso distorto della ragione, in fin dei conti,
23
che diede origine al commercio degli schiavi e poi
a molti altri mali sociali, non da ultimo le ideologie
totalitarie del ventesimo secolo. Per questo vorrei
suggerire che il mondo della ragione ed il mondo
della fede – il mondo della secolarità razionale e il
mondo del credo religioso – hanno bisogno l’uno
dell’altro e non dovrebbero avere timore di entrare
in un profondo e continuo dialogo, per il bene della
nostra civiltà.
La religione, in altre parole, per i legislatori non
è un problema da risolvere, ma un fattore che
contribuisce in modo vitale al dibattito pubblico
nella nazione. In tale contesto, non posso che
esprimere la mia preoccupazione di fronte alla
crescente marginalizzazione della religione, in
particolare del Cristianesimo, che sta prendendo
piede in alcuni ambienti, anche in nazioni che
attribuiscono alla tolleranza un grande valore.
Vi sono alcuni che sostengono che la voce della
religione andrebbe messa a tacere, o tutt’al più
relegata alla sfera puramente privata. Vi sono alcuni
che sostengono che la celebrazione pubblica di
festività come il Natale andrebbe scoraggiata,
secondo la discutibile convinzione che essa
potrebbe in qualche modo offendere coloro che
appartengono ad altre religioni o a nessuna. E vi
sono altri ancora che – paradossalmente con lo
scopo di eliminare le discriminazioni – ritengono
che i cristiani che rivestono cariche pubbliche
dovrebbero, in determinati casi, agire contro la
propria coscienza. Questi sono segni preoccupanti
dell’incapacità di tenere nel giusto conto non solo
i diritti dei credenti alla libertà di coscienza e di
religione, ma anche il ruolo legittimo della religione
nella sfera pubblica. Vorrei pertanto invitare tutti
voi, ciascuno nelle rispettive sfere di influenza, a
cercare vie per promuovere ed incoraggiare il
dialogo tra fede e ragione ad ogni livello della vita
nazionale.
Il sorriso della libertà Tommaso Moro, la politica ed il bene comune
La vostra disponibilità in questo senso si è già
manifestata nell’invito senza precedenti che mi
avete rivolto oggi, e trova espressione in quei
settori di interesse nei quali il vostro Governo
si è impegnato insieme alla Santa Sede. Nel
campo della pace, vi sono stati degli scambi circa
l’elaborazione di un trattato internazionale sul
commercio di armi; circa i diritti umani, la Santa
Sede ed il Regno Unito hanno visto positivamente
il diffondersi della democrazia, specialmente negli
ultimi 65 anni; nel campo dello sviluppo, vi è stata
collaborazione nella remissione del debito, nel
commercio equo e nel finanziamento allo sviluppo,
in particolare attraverso la “International Finance
Facility”, l’”International Immunization Bond” e
l’”Advanced Market Commitment”. La Santa Sede è
inoltre desiderosa di ricercare, con il Regno Unito,
nuove strade per promuovere la responsabilità
ambientale, a beneficio di tutti.
Noto inoltre che l’attuale Governo si è impegnato
a devolvere entro il 2013 lo 0,7% del Reddito
nazionale in favore degli aiuti allo sviluppo. È stato
incoraggiante, negli ultimi anni, notare i segni
positivi di una crescita della solidarietà verso i
poveri che riguarda tutto il mondo. Ma per tradurre
questa solidarietà in azione effettiva c’è bisogno
di idee nuove, che migliorino le condizioni di vita
in aree importanti quali la produzione del cibo, la
pulizia dell’acqua, la creazione di posti di lavoro, la
formazione, l’aiuto alle famiglie, specialmente dei
migranti, e i servizi sanitari di base. Quando è in
gioco la vita umana, il tempo si fa sempre breve: in
verità, il mondo è stato testimone delle vaste risorse
che i governi sono in grado di raccogliere per salvare
istituzioni finanziarie ritenute “troppo grandi per
fallire”. Certamente lo sviluppo integrale dei popoli
della terra non è meno importante: è un’impresa
degna dell’attenzione del mondo, veramente “troppo
grande per fallire”.
Questo sguardo generale alla cooperazione recente
tra Regno Unito e Santa Sede mostra bene quanto
progresso sia stato fatto negli anni trascorsi dallo
stabilimento di relazioni diplomatiche bilaterali, in
favore della promozione nel mondo dei molti valori
di fondo che condividiamo. Spero e prego che
questa relazione continuerà a portare frutto e che
si rifletterà in una crescente accettazione della
necessità di dialogo e rispetto, a tutti i livelli della
società, tra il mondo della ragione ed il mondo della
fede. Sono certo che anche in questo Paese vi sono
molti campi in cui la Chiesa e le pubbliche autorità
possono lavorare insieme per il bene dei cittadini, in
armonia con la storica pratica di questo Parlamento
di invocare la guida dello Spirito su quanti cercano
di migliorare le condizioni di vita di tutto il genere
umano. Affinché questa cooperazione sia possibile,
le istituzioni religiose, comprese quelle legate alla
Chiesa cattolica, devono essere libere di agire in
accordo con i propri principi e le proprie specifiche
convinzioni, basate sulla fede e sull’insegnamento
ufficiale della Chiesa. In questo modo potranno
essere garantiti quei diritti fondamentali, quali la
libertà religiosa, la libertà di coscienza e la libertà
di associazione. Gli angeli che ci guardano dalla
magnifica volta di questa antica Sala ci ricordano
la lunga tradizione da cui il Parlamento britannico
si è sviluppato. Essi ci ricordano che Dio vigila
costantemente su di noi, per guidarci e proteggerci.
Ed essi ci chiamano a riconoscere il contributo vitale
che il credo religioso ha reso e può continuare a
rendere alla vita della nazione.
Signor Presidente, La ringrazio ancora per questa
opportunità di rivolgermi brevemente a questo
distinto uditorio. Mi permetta di assicurare a Lei e
al Signor Presidente della Camera dei Lords i miei
auguri e la mia costante preghiera per Voi e per il
fruttuoso lavoro di entrambe le Camere di questo
antico Parlamento. Grazie, e Dio vi benedica tutti!
25
NOTA DEL CURATORE
Sotto le stelle
È facile, a volte, donare il proprio sangue alla patria e ancora più facile donarle del denaro. Talvolta è
più difficile donarle la verità. G. K. Chesterton, L’imputato
Per chi, come il sottoscritto, tanta parte del
bene e della gioia su questa terra è venuta nel
leggere e nell’ascoltare storie e racconti, quel
che è più facile e forte ad imprimersi non sono
anzitutto concetti od intuizioni, ma delle immagini,
delle scene visibili; e al termine di questi mesi di
lavoro su Thomas More ed il suo tempo convulso,
quello che appunto continua a interrogarmi e
talvolta a commuovervi è, appunto, una scena,
che potrebbe essere l’inizio di un romanzo e che
invece è un episodio di vita reale: due uomini sono
seduti su un balcone in una calda notte d’estate,
Il sorriso della libertà Tommaso Moro, la politica ed il bene comune
il capo rovesciato a guardare assieme le stelle,
a commentarne i moti, a discutere e godere
d’una serata d’amicizia. Un consigliere ed il suo
re, Thomas More ed Enrico VIII, così come ce li
racconta William Roper.
è uno di quei momenti nei quali per chi scrive
è come se si intravedesse il misterioso segreto
della vita di un uomo, l’unicità della sua presenza
sulla terra ma anche la sua capacità di esprimere
moti e sentimenti che appartengono al cammino
di tutti.
Thomas More è stato sempre ed anzitutto un
amico, come notava con affetto Erasmo da
Rotterdam: un amico del suo tempo, delle sue
conquiste, delle sue passioni intellettuali, delle
sue sofferte questioni e lacerazioni, un amico del
suo paese, che voleva servire al meglio delle sue
notevoli capacità, un amico del suo Re. Ma in
tutto questo ha sempre tenuto lo sguardo rivolto
al cielo, ad un orizzonte infinitamente più vasto,
l’unico a suo giudizio che donasse a tutto la sua
giusta proporzione ed il suo valore. è questa la
sorgente del suo inesauribile senso dell’umorismo
(un carisma molto britannico in effetti), della sua
tenerezza come padre, della sua magnanimità
come giudice e politico, della sua fermezza nel
voler consegnare al suo tempo, al suo Paese,
ai suoi avversari di dibattito, e perfino al suo Re
niente altro che la verità, la sua amicizia con Dio.
Sono uno sguardo ed uno sorriso quelli di More
che, in questo molto simile a Socrate, attraversano
il tempo e continuano a sfidare chi vi si imbatta.
Anche noi oggi possiamo sederci e discutere con
lui di politica, religione, libertà, confortati dal fuoco
quieto del suo acume, del suo umorismo, della sua
lungimiranza. Anche noi possiamo essere invitati
a sollevare gli occhi alle stelle, e non smettere di
farlo in nome di qualsivoglia parzialità, per quanto
intensa o sofferta, come accade al giovane Enrico
VIII. Anche noi possiamo decidere se accettare la
sua amicizia.
Edoardo Rialti
Edoardo Rialti è Docente di Letteratura Italiana ed Inglese all’Istituto Teologico di Assisi, e Visiting
Professor della OLSWA University, Ontario. Collabora con “Il Foglio” ed è traduttore e biografo di
autori come C. S. Lewis e G. K. Chesterton.
27
quella che
sembrava la fine
L
a predetta Commissione inquirente dichiara che il sunnominato Tommaso
Moro perfidamente, proditoriamente e dolosamente ha di fatto progettato,
tramato, tentato e perpetrato di privare interamente il predetto serenissimo
Re nostro sovrano dei suddetti dignità, titolo e appellativo della sua regale
condizione - e cioè della sua dignità, titolo e appellativo di capo supremo della
Chiesa inglese sopra la Terra - a manifesto spregio dello stesso Re e sovrano e
detrimento della sua regale corona, contro la forma e gli effetti dei predetti Statuti
e contro la pace dello stesso Re e sovrano.
È con queste parole che il 28 Giugno 1535 veniva
deliberata l’accusa e l’incarcerazione di Tommaso
Moro, avvocato, scrittore ed ex Cancelliere del reame.
Si dava avvio ad un processo che si sarebbe concluso
con la sua condanna a morte e che avrebbe dovuto
marchiarne d’infamia per sempre la memoria, come
per qualsiasi altro nemico del Re. Ma stavolta non si
trattava di un criminale comune: a morire era uno degli
Il sorriso della libertà Tommaso Moro, la politica ed il bene comune
intellettuali più stimati d’Europa, amato dal popolo e
chiamato a corte dal Re in persona, ed il colpo della
mannaia sarebbe stato come un sasso gettato in uno
stagno, che amplifica i suoi cerchi ancora e ancora.
Tommaso Moro non sarebbe stato dimenticato mai
più, continuando ad affascinare ed interrogare il mondo
con la forza irriducibile della sua testimonianza, della
sua vita e della sua morte.
La cella dove fu rinchiuso
Tommaso Moro nella Torre
di Londra
© Corbis
29
1
L’AM ICO
DEL MONDO
“Il mondo è fuori dissesto”
(W. Shakespeare)
l’Europa del ‘400 e ‘500
La situazione di profonda crisi e trasformazione spirituale,
culturale e politica dell’Europa di Enrico VII, Carlo V e
Filippo II è per molti aspetti assai affine alla nostra medesima
situazione di incertezza e radicali rivolgimenti. Un intero cosmo
sta tramontando per sempre: Costantinopoli e la sua civiltà
millenaria cadono sotto l’assedio turco; l’orizzonte geografico
si allarga vertiginosamente con la scoperta delle Americhe,
ed antiche certezze ed istituzioni sono poste in questione: le
due grandi istituzioni sovranazionali della civiltà medievale, la
Chiesa e l’Impero, soffrono profonde crisi interne ed esterne,
come i dolorosi scismi, che si concluderanno solo col Concilio
di Costanza, e le spinte dei singoli Stati, sempre più potenti. È
in momenti come questo che “il bene comune” si fa incerto e
ancora più prezioso, e la natura stessa dell’agire politico viene
investita da una serie di interrogativi radicali come quelli de
“Il Principe” del fiorentino Niccolò Machiavelli: fin dove può
spingersi il potere per conservarsi? È meglio essere amati o
temuti? Si possono forzare gli eventi con la frode e la violenza?
L’Inghilterra si sta ancora fasciando le ferite della sanguinosa
guerra interna delle “Due Rose” delle famiglie Plantageneti: la
dinastia Tudor ottiene il sopravvento e stabilisce la pace, ben
consapevole che ogni successione al trono può portare ad un
nuovo bagno di sangue. È questo il mondo in cui Tommaso
Moro aprirà per la prima volta gli occhi, il 7 febbraio 1478.
Geographia Sacra, 1598, by Abraham Ortelius
Mondadori Portfolio / Akg Images
UN COMMEDIANTE
NATO
L’infanzia e gli studi
Il padre John era a sua volta avvocato, si sposò
quattro volte, ed era solito affermare che “scegliere
la moglie è sempre un bel rischio: è come mettere
la mano in un sacco pieno di serpenti ed anguille,
sette serpenti per ogni anguilla: un bel caso
fare la scelta buona”. Un gusto per l’umorismo e
gli scherzi che si trasmetterà anche al figlio. Preso
a servizio come paggio nella casa del Cardinale
Morton, il dodicenne Tommaso già prendeva parte
alle rappresentazioni natalizie, rubando la scena
agli attori, col piglio e la presenza scenica di un
improvvisatore consumato. Sono i primi passi di uno
spirito desideroso di ergersi nel teatro del mondo e
recitare il proprio ruolo con estro brillante per il gusto
di tutti gli spettatori, nella divertita consapevolezza
che i teatri, grandi o piccoli, tali restano, e che l’agire
dell’uomo, per quanto decisivo, non costituisce
l’ultimo orizzonte della sua dignità e della sua natura,
ma è circondato e compreso da una misura ben più
grande.
Infanzia son chiamata, tutta gioco è la mia mente
Lanciare un cerchio, un bastoncello ed un pallone.
Ben so girar la trottola e così condurla attorno:
ma quegli odiosi libri, Dio mio, come vorrei
che bruciassero nel fuoco - tutti a polvere ridotti.
Per sempre allora un gioco la mia vita sarebbe,
qual vita Dio conceda, sino all’ultimo mio giorno.
T. Moro, Versi giovanili Ritratto dell’Infanzia
Il sorriso della libertà Tommaso Moro, la politica ed il bene comune
1478
nasce a Londra
1490
a servizio del
Cardinale Morton
1501
diventa avvocato
Bambini che giocano
© istockphoto
Tommaso invece i libri li amò sempre e continuò
i suoi studi ad Oxford, dove perfezionò il latino
e apprese greco, francese, aritmetica, geometria.
Platone, Aristotele e Tommaso d’Aquino saranno
le letture di tutta una vita. Nel 1501 era già
avvocato.
33
33
l’uomo
di lettere
Conferenze, traduzioni e saggi
sul valore ed i rischi della politica
Non si finirebbe più di spiegare quante cose mancano
a chi non conosce i greci.
T. Moro, Lettera a Martin Dorp
Nel 1504 l’illustre grecista Grocyn gli affida un ciclo
di conferenze su “La Città di Dio” di Sant’Agostino, il
grande affresco teologico sulla natura della società civile
e sulla presenza della Chiesa nella storia. Sono gli anni
in cui Moro si dedica anche a tradurre gli amati scrittori
antichi, così come poi la vita di Pico della Mirandola, il
giovane prodigio italiano che aveva scritto sulla divina
dignità dell’essere umano e sull’ultima armonia tra la
ricerca filosofica dei grandi geni del mondo antico e la
rivelazione divina.
Il sorriso della libertà Tommaso Moro, la politica ed il bene comune
Sono questi, in fondo, i due grandi pilastri del
pensiero di Tommaso Moro: la grandezza e la portata
dell’umana libertà, che può e deve agire nella storia,
e l’autentico orizzonte spirituale nel quale ogni
azione ed impegno deve esercitarsi per essere un
effettivo servizio, e non ridursi ad errore, e magari a
violenza. Una riflessione che, anche quando assume
toni drammaticamente seri, non perderà mai il guizzo
del sorriso.
In coscienza non amo molto parlare dei principi, cosa non del tutto
immune da rischi… quando il leone ebbe proclamato che, pena la
vita, nessun animale cornuto sarebbe dovuto restare nella foresta,
uno di loro, che aveva in fronte un grumo di carne, fuggì via di corsa.
La volpe gli chiese perché tanta fretta. Quello le disse del proclama.
“Ma non è un corno quello che hai in testa”. “Lo so” rispose l’altro,
“ma se il leone lo chiamasse un corno, che ne sarebbe di me?”.
T. Moro, Vita di Riccardo III
Tommaso Moro con la figlia Margaret,
1850 circa, Collezione privata
© Mondadori Portfolio / Leemage
35
l’amore e
la famiglia
Picchiatela voi
Moro si sarebbe sposato due volte; la prima con la
diciassettenne Jane Colt, nel 1504, da cui ebbe un
maschio e tre femmine, tra cui la prediletta Margaret.
Si racconta che la giovane moglie lamentasse sia
che non sapesse mai quanto suo marito parlasse sul
serio, sia la sua pretesa di farle apprendere il latino e
la musica. Moro arrivò a riportarla dal suocero. “Usa
dei tuoi diritti – picchiala per bene” fu il consiglio
dal padre di Jane. “Picchiatela voi” ribatté Moro. E
da allora marito e moglie vissero assieme in pace fino
al 1511, quando Jane morì. Moro si risposò con Alice
Middleton, che il latino non lo imparò mai e che a sua
volta si trovò a fare i conti con l’umorismo affettuoso
del marito.
[Ricordo] un uomo molto onorato e molto buono, il quale,
avendo diverse volte notato come sua moglie si desse pena
nel legare stretti i capelli per far apparire più larga la fronte,
e nel serrare strettamente il corpo per rendere più sottile
la vita, pensando al grande dolore che si procurava […]
le disse: “Certo, signora, vi farebbe gran torto il Signore
Iddio se non vi mandasse all’inferno, dal momento che ve lo
guadagnate con tanta fatica”.
T. Moro, Dialogo del Conforto
Il sorriso della libertà Tommaso Moro, la politica ed il bene comune
La mia scuola
Moro fu padre dolcissimo ed educatore esigente,
capace di una stima ed una valorizzazione davvero
fuori del comune e in netto anticipo su tanti schemi
del tempo, ad esempio per quel che concerne la
formazione delle donne. Tutti i suoi figli, ragazzi e
ragazze, appresero non solo il latino col quale gli
scrivevano pressoché tutti i giorni, ma anche greco,
matematica, filosofia e astronomia. Egli li chiamava
“la mia scuola” e alla costante attenzione con cui
seguiva la loro formazione umanistica e spirituale
si accompagnava sempre il gusto per il sorriso e lo
scherzo:
Sento che siete divenuti abili astronomi, che conoscete non solo la
stella polare, ma pure la costellazione del cane; mi assicurano che
sapete perfino distinguere il sole dalla luna.
T. Moro, Lettera ai figli
Egli li amò tutti, ma fu Margaret la sua prediletta, la confidente che lo riempiva di gioia e di
orgoglio anche quando lo cercava per delle necessità economiche:
Se la mia possibilità fosse uguale al desiderio,
vorrei ricompensare ogni sillaba della tua lettera
con due monete d’oro. Ti mando quanto hai
chiesto.
Avrei voluto mandartene di più, ma come godo
nel dare, così mi piace sentirmi richiesto e
vezzeggiato dalla mia figliola; specialmente da
te, la cui virtù e il cui sapere hanno resa tanto
cara al mio cuore.
La famiglia di Sir Tommaso Moro,
Rowland Lockey, 1590 circa,
National Portrait Gallery, Londra
© Mondadori Portfolio / The Bridgeman Art Library
T. Moro, Lettera a Margaret
37
non c’è mai
stato ingegno
più grande
Erasmo, l’amico di tutta una vita
Per Moro l’amicizia sarà sempre “l’ottavo
sacramento”, il fondamentale strumento donato ad
ogni uomo per uscire dall’angustia delle proprie
pretese visioni, il centuplo di gioia nei momenti
felici ed il balsamo nei momenti di oscurità. E nel
1499 egli incontrò per la prima volta l’uomo con
cui avrebbe camminato assieme per tutta la vita:
Erasmo da Rotterdam. Ne nacque una strana
coppia, formata da un laico inglese ed un apolide
religioso fiammingo, entrambi convinti sostenitori di
un profondo rinnovamento morale e culturale della
Chiesa, cui l’Umanesimo avrebbe potuto fornire un
contributo fondamentale. Tutti e due erano persuasi
che non ci sia fede senza libertà e non ci sia libertà
Il sorriso della libertà Tommaso Moro, la politica ed il bene comune
senza senso dell’umorismo per i poveri sforzi
dell’intelletto umano, sostenuto ed ultimamente
corretto da una verità ben più grande delle sue
capacità di investigazione.
Erasmo dedicherà a Moro quell’“Elogio della Follia”
(Moria, appunto) che scrisse in gran parte come
suo ospite, nel quale attaccava con ironia sferzante
l’ignoranza pomposa ed il bigottismo ottuso di tanti
uomini di Chiesa. Ne nacque una polemica infuocata
e Moro scese in campo a difesa dell’amico e della
sua battaglia per lo studio filologico della Bibbia:
“Preferisco discutere servendomi della ragione
piuttosto che dell’autorità”.
Occhi grigio celesti con piccole
macchie che sono segno d’un ingegno
non comune; la bocca è sempre pronta a
sorridere e tutto in lui parla di facezie e
di buon umore, piuttosto che di serietà
e di gravità. Non ho mai visto nessuno
tanto indifferente quanto lui ai vari cibi.
Preferisce la frutta, i latticini, le uova. È
grande amatore di ogni specie di musica,
non ha però abitudini al canto. Non bada
ai formalismi, è franco e familiare con tutti.
Sembra nato e creato per l’amicizia. Dei suoi
interessi non si dà troppa preoccupazione,
mentre per gli amici non risparmia fatiche né
premure. Ha una tale carica di simpatia e di
gaiezza che vicino a lui si rasserenano anche
i più malinconici e diventano piacevoli anche
le cose più uggiose. Fin da ragazzo prendeva
grande piacere negli scherzi: non sono però
scherzi sciocchi né mai crudeli... ha sempre
pronte battute spiritose e si diverte anche
quando gli altri si prendono gioco di lui... se
gli capita di vedere qualcosa di insolito, lo
compera subito.
Erasmo da Rotterdam, Lettera a Von Hutten
Hans Holbein the Younger, Erasmus von Rotterdam,
1523, Kunstmuseum, Basilea
Erasmo da Rotterdam, Hans Holbein Il Giovane,
1523, Kunstmuseum,
Basilea
© Mondadori
Portfolio / Picture
DeskA
39
© Mondadori Portfolio / Akg Images
si vede meglio
a testa in giù
L’Utopia
È nello stesso spirito ironico di Erasmo che Moro
stese, da uomo di Stato, la sua opera più celebre,
“Utopia”: un grande paradossale affresco sulla
natura del buon vivere comunitario, che, come
“L’Elogio della Follia” o il “Don Chisciotte”, rimette
in discussione le più scontate sicurezze e si
domanda chi sia pazzo e chi no, cosa sia davvero
utile e cosa no. Perché, talvolta, non c’è modo
migliore per comprendere una cosa che accostarla
da un punto di vista divertitamente rovesciato, ma
niente affatto disimpegnato; una parodia che critica
ferocemente la sete di potere di tanti governanti e
le sue conseguenze per i più poveri: “il popolo non
va alla guerra di sua spontanea volontà, ma vi è
trascinato dalla follia dei re”.
Uno scherzo che voleva far pensare sorridendo:
ma è proprio delle ideologie non avere il senso
dell’umorismo. Ed il monarchico Moro avrebbe
trovato davvero divertente che il suo nome potesse
figurare su una stele della Piazza Rossa di Mosca,
come profeta della Rivoluzione Comunista. Cosa
che in effetti avvenne.
L’“Utopia” è opera quanto mai caratteristica di Moro. Soprattutto perché,
in gran parte, è concepita in scherzo. Alcuni nostri contemporanei hanno
pure scritto delle Utopie, ma senza accorgersi che erano scherzi. Scritta
questa burletta in latino, impedì che fosse tradotta in inglese, per timore
che la prendessero sul serio ed accrescesse il baillame scismatico. Ed
affermò di preferire che tutti i propri libri e quelli di Erasmo andassero
distrutti, piuttosto che, “come a quei giorni era verisimile”, ne venisse
danno a qualcuno. In altre parole, quanto egli era strenuo patrono di
libertà spirituale, altrettanto era convinto che dovesse esserci qualcuno,
o qualcosa, a disciplinarla, e non gli passava per la testa di poter essere
lui questo qualcuno.
G. K. Chesterton, Tommaso Moro e l’Umanesimo
Il sorriso della libertà Tommaso Moro, la politica ed il bene comune
1499
incontra Erasmo
1511
Erasmo gli dedica
l’“Elogio della Follia”
1516
pubblica “Utopia”
L’isola di Utopia, 1516
© Mondadori Portfolio / Akg Images
41
Il più perfetto
degli avvocati
Moro e la pace del regno
Nel 1502, ancora giovane, Moro fu nominato
Commissario di pace per l’Hampshire, e nel 1510,
Giudice di pace, deputato alla Camera dei comuni
sotto Enrico VII e vice-sceriffo di Londra. E fu
proprio nella City che, il 1 maggio 1517, si scatenò
una violenta insurrezione popolare contro i mercanti
stranieri. A fronteggiare i ribelli fu anche Moro,
che prese poi parte alla delegazione che implorò
clemenza al Re nei confronti degli arrestati.
Il discorso con cui Moro arringò la folla, condannando
la paura dello straniero, sarebbe stato celebrato
anche da Shakespeare, che collaborò ad un’opera
teatrale intitolata “Sir Thomas More”. Il protagonista
chiede alla folla di immedesimarsi con le sue stesse
vittime, di sentirsi come “loro”, i mercanti attaccati,
fosse pure per un istante:
Immaginate di vedere i desolati stranieri, coi bambini sulle spalle, ed i
miseri bagagli, arrancare verso i porti in cerca di trasporto.
La tragedia di Tommaso Moro
Al tempo stesso il Tommaso Moro di Shakespeare condanna l’uso della violenza per finalità politiche e sociali,
con la quale la vita in comune collassa “e gli uomini, come pesci voraci, si divoreranno l’un l’altro”.
Ritratto di Tommaso Moro,Pierre Duflos
Ritratto di Edward Coke, Avvocato e Statista, Pierre Duflos
© Corbis
Il sorriso della libertà Tommaso Moro, la politica ed il bene comune
Piccole e grandi rivoluzioni del diritto
Del periodo di studi e contemplazione vissuto presso
i certosini il giudice Moro conserverà per tutta la
vita l’abitudine ad alzarsi presto, per cominciare una
giornata interamente dedita al benessere del Paese e
dei singoli. E sotto di lui, come Giudice alla Corte delle
Richieste, la lenta macchina burocratica dei processi e
delle vertenze prese ad accelerare: il genero racconta
che un giorno “quando chiamò la successiva, si
sentì rispondere che non c’era più nessuno che
attendesse giudizio”. Erano decenni, se non secoli,
che non capitava.
E l’attenzione di Moro non era rivolta solo a che ogni
suddito avesse diritto a processi rapidi ed equi, ma
anche a sostenere la delicata condizione dei suoi
colleghi politici. Eletto Portavoce dei Comuni nel
1523, chiese al Re “di dare a tutti coloro che fanno
parte di questa assemblea la Sua generosa licenza
e benevola assicurazione di poter liberamente
parlare, senza temere di incorrere nel Vostro
temutissimo sdegno, e francamente esporre il
proprio pensiero su tutto ciò che concerne quello
per cui siamo qui riuniti”. È la prima attestazione
ufficiale della libertà di parola. Ma l’impegno quotidiano,
fatto di sfumature, dettagli, particolari, non lo avrebbe
mai distolto dall’unico orizzonte nel quale egli riteneva
che ogni azione, piccola o grande, acquistasse senso.
È proprio quando venne nominato Cavaliere del
Regno che egli compone “Le ultime quattro cose”, una
meditazione sulla morte ed il destino dell’anima.
“Se un tuo amico avesse in corso una causa
davanti a me, potrei certo dare udienza prima a
lui che non ad un altro.
Ma in ogni caso puoi star sicuro che se le parti
avranno rimesso la causa nelle mie mani, allora,
anche se uno dei contendenti fosse mio padre
e l’altro il diavolo, e il diavolo avesse ragione,
ti assicuro che sarebbe il diavolo a vincere la
causa”.
W. Roper, Vita di Tommaso Moro
43
2
L’AM ICO
DEL re
“Una bufera è in arrivo”
lutero e lo scisma
“Sorgi Signore… le volpi si sono levate a distruggere la tua
vigna… il cinghiale selvaggio la devasta…”.
Sono queste le prime parole della Bolla Papale che il 15 giugno
1520 condannava la pubblicazione e la diffusione delle tesi con
cui il monaco Martin Lutero attaccava le indulgenze e la ricchezza
della Curia Papale. E furono quelle parole ad essere consumate
dalle fiamme in cui Lutero le gettò pubblicamente. L’unità della
Chiesa è investita dalla tempesta protestante, che attaccherà poi
l’infallibilità papale, alcuni sacramenti, il celibato sacerdotale ed il
monachesimo, e niente in Europa sarà più come prima. Si critica
l’autorità spirituale, ma non quella politica: l’azione dei principi
e dei governanti, soprattutto se protestanti, per Lutero non può
essere oggetto di critica. Lo si evince bene dalla sua durissima
condanna della rivolta dei contadini tedeschi.
“Ritengo che sia meglio uccidere dei contadini che i principi
e i magistrati, poiché i contadini prendono la spada senza
l’autorità divina. Il momento è talmente eccezionale che un
principe può, spargendo sangue, guadagnarsi il cielo. Perciò
cari signori sterminate, scannate, strangolate, e chi ha potere
lo usi”.
Martin Lutero
Si sollevano questioni e problemi che non possono più essere
ignorati. Con quale autorità i governi possono esigere fedeltà dai
sudditi? Da come si intenderà prendere posizione sulla natura
della Chiesa e dello Stato dipenderà l’assetto, ed il benessere dei
singoli popoli.
Erasmo e Tommaso dal Giovane Enrico VIII a
Greenwich nel 1499, Frank Cadogan Cowper,
1910, Palace of Westminster, Londra
© Mondadori Portfolio / The Bridgeman Art Library
difensore
della fede
Enrico VIII
Principe, sotto il tuo regno l’età dell’oro è tornata.
Voglia il cielo che qui si arresti la profezia di Platone!
T. Moro, Componimento in onore di Enrico VIII
Moro lo incontrò assieme ad Erasmo, quando il
principe aveva solo otto anni e sapeva già leggere
il latino degli umanisti. Colto, esperto musicista
e poliglotta, amante delle discussioni scientifiche
e teologiche, nel giovane principe Enrico VIII, che
sognava le crociate, i gesti generosi in battaglia
e che fece della propria corte il centro delle arti
d’Europa, sembrava essersi incarnato il fiore della
cavalleria. Convinto cattolico, scrisse di suo pugno
contro Lutero una “Difesa dei sette sacramenti” e fu
insignito dal Papa del titolo di “Difensore della Fede”.
Moro lo amò ed ammirò, arrivando a dire che quando
il re arringava la folla sembrava che parlasse sempre
ad ogni singolo uomo. All’improvvisa morte del fratello
maggiore si trovò a sposare la cognata Caterina
d’Aragona, zia del potente imperatore Carlo V, in
virtù di una dispensa papale e dell’assicurazione che
la giovane fosse ancora vergine. Moro ed Enrico si
incontrarono ancora in occasione dell’incoronazione
e quando si trattò di risolvere una causa legale tra
il re e la Santa Sede in merito ad una nave. Moro
difese Roma, vinse, e l’ammirato Enrico decise di
averlo al suo fianco, nel consiglio privato del Re.
Ne nacque l’amicizia tra uno dei re più complessi
e contraddittori della storia, e l’umanista che voleva
donargli sempre e solo la verità.
Lo mandava a chiamare e, ricevendolo nei suoi appartamenti privati,
sedeva con lui a parlare di astronomia, geometria, teologia… e talvolta,
alla sera, voleva salire con lui fino ai lucernari per commentare assieme
le variazioni, i corsi, i moti e le fasi dei pianeti e degli astri.
W. Roper, Vita di Tommaso Moro
Il sorriso della libertà Tommaso Moro, la politica ed il bene comune
Eppure Tommaso scherzava sulla sua presunta fortuna di sedere accanto al re, ad ammirare le stelle: “Sono convinto
che se la mia testa potesse procurargli un castello in Francia, essa non tarderebbe a cadere”.
Tommaso Moro ed Enrico VIII furono amici,
benché finisse che uno ammazzò l’altro. Amici
e, come già dissi, diversi. Enrico VIII voleva
l’ordine, la disciplina, l’ortodossia, e voleva
essere precisamente lui a regolare tutte queste
cose. A Moro importavano le idee nuove, gli
autori greci, le discussioni filosofiche, ma non
pretendeva di essere lui a decidere fino a che
punto fosse giusto e conveniente…. Il re
voleva l’ordine nella Chiesa, ed essere lui
a stabilire quest’ordine. L’altro sentiva
che nella Chiesa doveva esserci libertà,
tanto non sarebbe toccato a lui
disciplinarla.
G. K. Chesterton,
Tommaso Moro e l’Umanesimo
Contributo audio: Greensleeves,
ballata di Enrico VIII,
musicata da Loreena Mckennit.
Ritratto di Enrico VIII, Hans Holbein Il
Giovane, 1539-1540, Galleria Nazionale
d’Arte Antica, Palazzo Barberini, Roma
© Mondadori Portfolio / Akg Images
47
la grande
questione
Il divorzio da Caterina d’Aragona
Se uno prende la moglie del fratello è un’impurità, egli ha
scoperto le nudità del fratello: non avranno figli.
Levitico XX, 21
Quando i fratelli abiteranno insieme e uno di loro
morirà senza lasciare figli, il suo cognato verrà a lei e
se la prenderà in moglie.
È tra queste due sentenze bibliche che oscilla
l’animo di Enrico: Caterina non riesce a dargli figli
maschi e si sta allontanando dalla fertilità. Senza
un erede il Paese potrebbe conoscere di nuovo
l’orrore delle guerre di successione. La regina,
amata dal popolo, rispetta il re e ne tollera persino
le numerose amanti, ma nel 1527 il segreto della
coppia regale, che vive di fatto separata, esplode.
Il re decide di allontanare la regina “per motivi di
coscienza”, spingendola senza risultato ad entrare
in convento, e chiede al Papa di ratificare il divorzio.
Il sorriso della libertà Tommaso Moro, la politica ed il bene comune
Deuteronomio XXV, 5
Clemente VII invia un cardinale a presidiare il
processo. Per una volta Tommaso Moro e Lutero
sono d’accordo: la ragione è dalla parte della
regina allontanata. È l’inizio di una complessa
partita a scacchi, alla quale partecipa anche il
nipote di Caterina, l’Imperatore Carlo V, in tensione
con Enrico ed in contrasto col Papa; una partita cui
si aggiunge d’un tratto una nuova pedina: l’ultima
amante del Re, una delle dame della regina, che
promette di dargli un erede maschio. Un erede che
deve però diventare legittimo.
Enrico VIII e Anna Bolena, T. Cooke
© Mondadori Portfolio / The Bridgeman Art Library
49
Wolsey,
Cromwell e
Anna Bolena
Alfiere, Cavallo e Regina
Sono questi i tre grandi protagonisti del
momento: Wolsey, l’ultimo cardinale-principe del
rinascimento inglese, dai vizi privati e pubblici
debordanti e dall’immenso fiuto politico. L’uomo
che ha tenuto sulle spalle l’enorme peso della
gestione del regno, ma che non riesce ad
ottenere l’annullamento del matrimonio, finendo
in disgrazia; il segretario del cardinale stesso, un
uomo di umili origini che vede nel divorzio del re la
prima fessura per la grande cascata della riforma
protestante di cui è convinto sostenitore, e la
“donna del desiderio”, che astutamente continuò a
non concedersi al re e gli promise quello che non
Il sorriso della libertà Tommaso Moro, la politica ed il bene comune
sarebbe stata in grado di mantenere, un erede al
trono.
Il primo cadrà, per la soddisfazione dei molti ed
invidiosi nemici che colgono l’occasione per
fargli pagare gli anni di assoluto dominio; gli
altri due otterranno sempre più potere presso
Enrico, invitandolo a non dipendere dalla presunta
autorità di nessun altro, a spogliare le millenarie
abbazie ed incorporarne i beni. Il tempo della
loro rovina è solo rimandato, perché Enrico ha
ben poca misericordia con chi delude le sue
aspettative: cadranno anche loro, anni dopo, una
per stregoneria, l’altro per tradimento.
Per quanto gradita, la corona non rappresentava il
supremo trionfo di Anna.
Il figlio, l’erede maschio che gli astrologi prevedevano
con tanta sicurezza, era quella la sua vittoria finale.
C. Erickson, Elisabetta I
Cardinal Wolsey,
Thomas Cromwell
Anna Bolena
© Corbi - ˜© Mondadori Portfolio / Akg Images - © Corbis
51
sulla nave in
piena tempesta
Una regina sotto processo
Fu una sorpresa per tutti quando, il 31 maggio 1529
al processo presso i Blackfriars, non si presentarono
solo i difensori della regina, ma Caterina stessa. Il
vescovo Fisher ha parole di fuoco contro il re e la sua
amante, lo stesso “non ti è consentito” che Giovanni
Battista riservò ad Erode, ma è Caterina ancora una
volta a compiere l’inaspettato, attraversando la sala
e inginocchiandosi davanti al marito:
Sire, io vi supplico, per tutto l’amore che c’è stato tra
noi e per amore di Dio, di rendermi giustizia. Sono
stata per voi una moglie degna, fedele, obbediente,
sempre pronta a soddisfare la vostra volontà e i vostri
desideri. E quando per primo mi avete avuta (chiamo
Dio a testimone) ero una fanciulla pura, mai toccata
da un uomo; e se ciò sia vero o no, lascio decidere alla
vostra coscienza.
Poi, non riconoscendo il valore di un processo al
suo matrimonio, lasciò l’aula tra l’ammirazione della
folla. La Santa Sede tergiversa ancora e Moro,
attivo anche nelle trattative di pace con la Francia
e l’Impero, si impegna a studiare la questione, ma le
sue ricerche riconfermano quanto egli si sente già di
Il sorriso della libertà Tommaso Moro, la politica ed il bene comune
sottoscrivere: Caterina è la legittima sposa di Enrico
ed egli, più volte sollecitato dal re, glielo ribadisce
ancora e ancora, pur conservando in pubblico
un assoluto riserbo. Molte facoltà teologiche
appoggiano Enrico, e la pressione si fa sempre più
forte.
Moro cancelliere
Non si deve abbandonare la nave in piena tempesta, solo perché non
potete comandare ai venti… se non potete far andare bene tutte le cose,
dovete almeno aiutare, perché vadano il meno male possibile. T. Moro, Utopia
Alla disfatta di Wolsey, che il re allontana nonostante gli anni di servizio, segue la più difficile delle richieste:
assumere le redini del regno come nuovo Cancelliere, nella promessa da parte di Enrico VIII di dover
“sempre servire lui, ma Dio prima ancora”. Sono parole che Moro non dimenticherà, accettando l’incarico.
È il 25 ottobre 1529.
Sono tutti lieti di questa promozione, perché egli è persona retta e colta,
e buon servitore della regina.
Mi fanno tutti le congratulazioni. Sono sicuro che
almeno tu mi compiangerai.
T. Moro, Lettera ad Erasmo
E così egli è anche in piena corte. E poi dicono che
i buoni cristiani si trovano solo nei monasteri!
Erasmo da Rotterdam, Lettera ad Ulrich Von Hutten
Il processo di Caterina d’Aragona,
Henry Nelson O’Neil
Birmingham Museums and Art Gallery
© Mondadori Portfolio / Akg Images - © Corbis
Grande
misericordia
e poco rigore
Moro e la libertà di coscienza
Tommaso Moro era sostenitore irriducibile della
libertà di coscienza, ma non che le personali
convinzioni dovessero portare alla perturbazione
dell’ordine civile.
Per questo egli era favorevole alla repressione
della predicazione pubblica dei protestanti, ma al
tempo stesso fu capace di ospitarli ed accoglierli
personalmente in Inghilterra, qualora vi si recassero
per motivi di studio: sarà così con Simone Greyer,
che lo ricorderà con gratitudine nella sua edizione di
Platone (Basilea 1534). Moro sarà inoltre convinto
assertore che:
Quando si ha che fare non con gente arrogante e maliziosa,
ma con persone ignoranti o semplici e sprovvedute,
io desidero che si usi grande misericordia e poco rigore.
Il sorriso della libertà Tommaso Moro, la politica ed il bene comune
Martin Lutero, Cranach il Vecchio,
Firenze, Uffizi
Tommaso Moro, litografia del 1835
© Mondadori Portfolio / Leemage - © istockphoto
55
3
L’AM ICO
Di dio
Capo Supremo della Chiesa
La teocrazia
di enricO viii
Il cardinal Wolsey aveva accumulato un’enorme ed illegale
ricchezza personale, che è facile gioco attribuire alla
connivenza di altri vescovi corrotti, costretti così ad una
pesante offerta a titolo di risarcimento. Ma Enrico coglie
l’occasione e nel febbraio 1531 acconsente a perdonare
il clero suo debitore, purché questi lo riconosca “Unico
e Supremo Capo della Chiesa d’Inghilterra”. Ed i
vescovi acconsentono, sotto la fragile clausola “fin dove
lo consente la legge di Cristo”. È il debole tentativo di
arginare una cascata, per cui Stato e Chiesa si fondono in
una nuova ibrida teocrazia, che non ha alcun fondamento se
non l’arbitrio del re, che potrà così ottenere il suo divorzio.
“Date a Cesare quel che è di Cesare, e a Dio ciò che è
di Dio” aveva affermato Cristo, ponendo così le basi della
laicità occidentale.
Già in pieno Medioevo un altro re inglese di nome Enrico aveva
assassinato il vescovo Beckett, che difendeva l’indipendenza
della Chiesa: l’omicidio si era scandalosamente svolto in
una cattedrale, per l’orrore di tutta la società inglese. Con
Enrico VIII non ci sarà più scandalo alcuno, perché il re si
è preso la cattedrale stessa, e Cesare si è nuovamente
arrogato ciò che spetta a Dio.
Sentenza di divorzio tra Enrico VIII e
Caterina d’Aragona, 23 maggio 1533,
Londra, The National Archives
© Artres.com
il dossier
moro
Infangare, dileggiare, indebolire
È un metodo di tutti i tempi, ieri come oggi, quello
di insozzare con false accuse la reputazione di un
uomo buono e stimato, pur di ricattarlo e costringerlo
a schierarsi col Re e la Nuova Chiesa. Si comincia
sempre minandone la credibilità con delle parodie.
Nel 1533 i teatri vedono lanciare una nuova
commedia dal titolo “L’immagine dell’Ipocrisia”
dove si sbeffeggia “un cavaliere sofista che ha
scritto una Apologia, un Dialogo, una Supplica,
una Debellazione, e anche un’Utopia”. Ma è solo
il primo passo: Moro viene accusato da Cromwell,
che adesso è segretario del Re, di aver accettato
donazioni che influenzassero le sue sentenze di
giudice: egli si limita a ribattere che “queste accuse
possono far paura ad un bambino, ma non a me”,
e ne dimostra l’infondatezza senza problemi.
Il sorriso della libertà Tommaso Moro, la politica ed il bene comune
Lo si iscrive dunque tra i sostenitori di una “fanciulla
del Kent” che aveva profetizzato contro re Enrico.
Moro mostra alla Commissione la copia della sua
lettera alla ragazza, nella quale la ammoniva a non
occuparsi delle faccende del re e dello Stato. Si
passa dunque alle minacce, citandogli il versetto
biblico per cui “L’ira del re è morte”. “Tutto qui?”
risponde Moro, “L’unica differenza è che io morirò
oggi, e voi domani”.
Egli conosce la paura e la preoccupazione per
sé ed i propri cari, eppure un giorno confida
misteriosamente al genero: “Figliolo, grazie al cielo
la battaglia è vinta”. Agli occhi del mondo invece il
peggio doveva ancora arrivare.
Tommaso Moro, 1857 circa, Collezione privata
© Mondadori Portfolio / Leemage
59
il cerchio
si stringe
Le dimissioni
Enrico si è incamminato lungo una strada che Moro
non vuole seguire. Il silenzio del cancelliere su gesti
dalle conseguenze politiche così eclatanti sarebbe
semplicemente insostenibile. Ufficialmente per
motivi di salute - ed in effetti soffriva di gravi disturbi
polmonari - il 16 maggio 1532 il re accetta le sue
dimissioni, “a malincuore”, come scrive lo stesso
Moro ad Erasmo. Dopo aver tentato ogni strada,
nel rispetto del re e della propria coscienza, dopo
anni di sforzi nel grande teatro del mondo, Moro
sembra non chiedere di meglio che veder calare il
sipario: inizia a profilarsi l’inarrestabile china della
povertà per chi, prima, era l’uomo più potente
del regno. Privo dei suoi titoli anche le entrate si
assottigliano: la grande casa familiare non ha più
legna e la sera i camini si riscaldano con le felci.
I vescovi inglesi che si sono arresi ad Enrico VIII
offrono a Moro una donazione per la sua opera
profusa negli anni a servizio della Chiesa e del
Reame, ma egli la rifiuta.
Preferirei vedere gettata nel Tamigi la somma intera piuttosto
che consentire che io o qualcuno dei miei ne toccasse un
solo centesimo.
W. Roper, Vita di Tommaso Moro
Anna Bolena è incoronata regina il 1 giugno 1533
e Moro viene invitato alla cerimonia ed alcuni
vescovi lo pregano personalmente di partecipare.
Moro rifiuta; per Anna Bolena il gesto è un insulto
Il sorriso della libertà Tommaso Moro, la politica ed il bene comune
che non dimenticherà. Per la sua famiglia di convinti
riformatori e anche per Enrico VIII il silenzio di
Moro si fa clamore sempre più insopportabile.
Successione e Supremazia
Nel 1534 vengono promulgati l’Atto di Successione
e di Supremazia: criticare il nuovo matrimonio del re,
la discendenza della regina Anna, l’unica legittima
nonostante certe insinuazioni, comporta il tradimento.
Ogni suddito deve giurare “fedeltà e obbedienza
unicamente alla maestà del Re e ai suoi diretti
discendenti; e a nessun’altra autorità, principe o
potenza entro o fuori i confini di questo regno”.
Al Re viene riconosciuto “pieno potere ed autorità
di vagliare, reprimere, raddrizzare, riformare,
riordinare, correggere, contenere ed emendare
di volta in volta tutti quegli errori, eresie,
abusi, peccati, prevaricazioni e irregolarità di
qualunque genere, che per mezzo di qualsiasi
autorità o giurisdizione spirituale debbano
o possano legittimamente essere riformati,
repressi, riordinati, raddrizzati, corretti, contenuti
o emendati, nulli essendo ogni qualsivoglia uso,
costume, prescrizione, legge o autorità straniera”.
Vi si irridono anche “presunte dispense accordate
dal potere di un uomo”.
Ormai lo scisma da Roma è ufficiale. I vescovi
sottoscrivono all’unanimità: ad opporsi saranno Moro,
il vescovo Fisher, alcuni certosini, ed altri fedeli, come
l’ex cappellano del re, che Moro ricordò poi di aver
visto “scortato gentilmente da due gentiluomini”
alla prigione della Torre. Moro, come il Papa, è pronto
a riconoscere la successione di Anna, ma non la
validità sacramentale del nuovo matrimonio e del
nuovo titolo del re, e si ostina a non voler giurare e a
non voler dire perché. A Socrate era stato impedito di
parlare. A Moro sarà negato il silenzio con cui rispetta
la sua coscienza ed al tempo stesso il suo re: viene
accusato di tradimento ed incarcerato.
Tommaso Moro con la figlia Margaret,
1810-90
© Mondadori Portfolio /
The Bridgeman Art Library
61
sempre vicini
al cielo
Conforto nella Torre
Iniziano i lunghi mesi di reclusione di uno strano
prigioniero, che nel fetore è capace di scrivere come
non mai, di immaginare fiabe, di confortare i familiari
e non smettere di augurare ogni bene per il suo re.
Fuori, le decapitazioni si susseguono, eppure quel
tetto per Moro “non è meno lontano dal Cielo di
qualunque altro”. Certamente egli è consapevole,
e lo scrive, che “un Turco purosangue non è così
crudele per il popolo cristiano quanto un falso
cristiano”, ma, quando gli uomini del re lo accusano
di malvagità ed ingratitudine nei confronti di chi l’ha
tanto amato, Moro si ribella:
Io non faccio male a nessuno, non dico male di nessuno.
Desidero il bene di tutti. E se questo non basta a garantire
ad un uomo la sua vita, allora io non ho più alcun
desiderio di rimanere in vita. Sono già del resto nelle
condizioni di un moribondo. Del mio corpo faccia il re
quel che vuole, e voglia Iddio che dalla mia morte non
gliene venga altro che bene.
T. Moro, Testimonianza durante il processo
Pur negli strazi e nelle umiliazioni, nella paura e nella
confusione, Moro sorprende una strana letizia e non
perde neppure il gusto per il sorriso, come quando,
scrivendo dei tanti che nei momenti di paura si rivolgono
ai maghi, nota che “talvolta avviene che vedano
Il sorriso della libertà Tommaso Moro, la politica ed il bene comune
cose meravigliose, ma un quattrino dei loro soldi
non lo rivedono mai più”. Inizia una meditazione sulla
“Tristezza di Cristo” nell’Orto degli Ulivi, prima di essere
arrestato ed ucciso, ma il progetto resta incompiuto.
Moro stesso si troverà non a scriverlo, ma a viverlo.
Pur negli strazi e nelle umiliazioni, nella paura e nella
confusione, Moro sorprende una strana letizia:
1532
dimissioni
1534
rifiuta di sottoscrivere
l’Atto di Supremazia
1535
processo
La Torre di Londra, litografia, XVII sec.
© Mondadori Portfolio / Picture Desk
63
ecclesia
libera sit
Il processo
Il sorriso della libertà Tommaso Moro, la politica ed il bene comune
Il 1° Luglio 1535 Moro aveva cinquantotto anni, ma con la barba lunga,
appoggiato ad un bastone, sembrava un vecchio consumato. Tra coloro
che dovevano giudicarlo c’erano il padre, lo zio, il fratello di Anna Bolena e
Cromwell. Uno degli uomini di Cromwell stesso, Richard Rich, dichiara di
aver udito Moro negare al re il titolo di Capo della Chiesa. Moro accusa Rich
di spergiuro, ma la sentenza è già scritta: la Corte lo dichiara colpevole, e
Moro decide di rompere il suo silenzio, gridando alto cosa siano davvero la
Politica e lo Stato.
Arresto e condanna di Tommaso Moro,
Antoine Caron, XVII sec., Blois,
Musee Communal Du Chateu
© Mondadori Portfolio / The Bridgeman Art Library
65
“L’incriminazione è basata su un Atto del Parlamento
che contrasta direttamente con le leggi di Dio e della
sua Chiesa, in quanto la suprema giurisdizione della
Chiesa o di una sua parte non può venire avocata a
sé, con nessuna legge, da nessun principe temporale,
appartenendo di diritto alla Sede di Roma per quel
primato spirituale trasmesso per singolare privilegio
a san Pietro e ai suoi successori, i vescovi di quella
Sede, dalla parola stessa di Cristo nostro Salvatore al
tempo della Sua presenza su questa terra. [...] E ancora
disse che tutto ciò era contrario alle leggi e agli Statuti
del nostro paese come si può chiaramente rilevare
nella Magna Charta, là dove sta scritto: «Quod Ecclesia
Anglicana libera sit et habeat omnia iura sua integra
et libertates suas illaesas»; e che per di più era in
contrasto col sacro giuramento con cui il re si impegna
solennemente all’atto dell’incoronazione. E aggiunse
inoltre che il regno d’lnghilterra non potrebbe mai
rifiutare obbedienza alla Sede di Roma, così come un
figlio non può rifiutare obbedienza al proprio padre”.
W. Roper, Vita di Tommaso Moro
E alla pretesa di validità giuridica accampata dalle
decisioni del Parlamento Moro oppose fieramente
che “per un singolo vostro parlamento e Statuto
(e Dio sa di qual sorta) io ho tutti i Concili di
un intero millennio, io ho tutti gli altri regni
della Cristianità”. I suoi nemici lo volevano
morto, ma egli non li odiò neppure allora. Anzi
Il sorriso della libertà Tommaso Moro, la politica ed il bene comune
concluse ricordando “la morte di santo Stefano,
cui assisteva consenziente anche Paolo: ora
entrambi sono insieme santi in Paradiso. Così
mi auguro e prego che anche voi, giudici della
mia condanna, possiate un giorno trovarvi con
me in cielo a godere insieme della gioia del
Paradiso”.
La condanna
Doveva essere impiccato e squartato, come Giuda.
Ma il re non lo sopportò e commutò la sentenza in
decapitazione. La data fu fissata per il 6 luglio ed il 5
Moro scrisse alla figlia Margaret.
La data alla quale Moro fa riferimento è quella
dell’anniversario della traslazione delle spoglie di
san Tommaso Becket: un altro Tommaso, ucciso da
un altro Enrico, del quale era stato a sua volta amico
e servitore, per difendere le chiavi che Cristo aveva
affidate a Pietro.
Domani è la vigilia di san Tommaso e il giorno dell’ottava di san Pietro.
Vorrei andare a Dio proprio domani, in un giorno così propizio
ed adatto per me.
T. Moro, Lettera alla figlia Margaret
Arresto e condanna di Tommaso Moro,
Antoine Caron, XVII sec., Blois,
Musee Communal Du Chateu
© Mondadori Portfolio / The Bridgeman Art Library
servo fedele
del re ma prima
di dio
La morte
“Per favore aiutatemi a salire, poi per scendere
non disturberò nessuno”. è questo che Moro
sussurrò sorridendo al luogotenente che lo
accompagnava al patibolo. Si rivolse poi alla folla
riunita, ribadendo che moriva per la Santa Chiesa
La decapitazione di Tommaso Moro,
A man for all seasons, 1966
© Corbis
Il sorriso della libertà Tommaso Moro, la politica ed il bene comune
Cattolica, invitandola a pregare sempre per Enrico
VIII, a cui aveva mantenuto la parola data al momento
di diventare Cancelliere: egli moriva “suddito fedele
del Re, ma di Dio prima di lui”. Benedisse il
carnefice e si inginocchiò a ricevere il colpo.
Il corpo fu fatto a pezzi e la testa esposta su quello
stesso ponte di Londra di cui Moro aveva avuto la
responsabilità come vice-sceriffo. Nel mondo si
traduceva e si stampava ovunque il racconto della sua
morte. Moro, “quell’uomo sorridente che si lascia
ammazzare per affermare il diritto di ognuno a
non essere obbligato a pensare come vuole il
governo” (A. Paredi) e che i contemporanei ammirati
avevano definito “un uomo per tutte le stagioni”, si è
rivelato un uomo per tutte le generazioni.
Dubitare di Lui [Dio], mia piccola Margherita, io non posso e
non voglio, sebbene mi senta tanto debole. E quand’anche
io dovessi sentire paura al punto da esser sopraffatto,
allora mi ricorderei di san Pietro, che per la sua poca fede
cominciò ad affondare nel lago al primo colpo di vento, e
farei come fece lui, invocherei cioè Cristo e lo pregherei
di aiutarmi. Senza dubbio allora Egli mi porgerebbe la
Sua santa mano per impedirmi di annegare nel mare
tempestoso […].
Perciò, mia buona figlia, non turbare mai il tuo cuore per
alcunché mi possa accadere in questo mondo. Nulla accade
che Dio non voglia, e io sono sicuro che qualunque cosa
avvenga, per quanto cattiva appaia, sarà in realtà sempre
per il meglio.
T. Moro, Lettera alla figlia Margaret
Contributo video:
La morte di Thomas More
e la benedizione del
carnefice, da I Tudor
69
quel che
ne seguì
Anna Bolena non riuscirà a dare ad Enrico il sospirato
erede maschio: caduta in disgrazia con l’accusa
di adulterio e stregoneria, sarà condannata alla
decapitazione. Cromwell assurgerà alle più alte cariche
dello Stato, ma la sua politica di inesorabile crudeltà verso
le antiche tradizioni religiose del paese gli attireranno
l’odio del popolo. Il suo maldestro tentativo di rafforzare
i rapporti dell’Inghilterra con la Lega Protestante per
mezzo delle nozze di Enrico con Anna di Cleves sarà la
sua rovina: il re divorziò in fretta da una consorte che non
lo attraeva ed i cui vantaggi politici risultarono di poco
conto. Accusato di eresia protestante e tradimento,
conoscerà la medesima Torre in cui aveva fatto segregare
Tommaso Moro, e, come lui, la decapitazione. Enrico VIII,
il re che per la passione amorosa e per obbedienza alla
propria coscienza aveva rotto il millenario legame con
Roma, si sposò così tante volte da allestire, agli occhi
dei contemporanei, una tragica farsa. Tragica perché
sempre più dominata dal sangue e dalla collera. Il
vecchio Enrico, tormentato dalla gotta e dalla piaga di
un’ulcera che continuava ad infettarsi, chiuse gli occhi
dopo aver perseguitato sia cattolici che luterani, in un
clima di disamore e di sospetto. Paradossalmente al
breve interregno di suo figlio Edoardo saranno due delle
sue figlie dichiarate bastarde e senza diritti ad impugnare
le redini del regno: Maria, e poi Elisabetta.
Il prestigio dell’uomo che avevano voluto distruggere
continuò invece a colpire e sfidare le generazioni a
venire: nel 1886 Moro era beato, nel 1935 una petizione
di oltre 170 mila persone ne chiedeva la canonizzazione,
che avvenne il 19 maggio 1935. Giovanni Paolo II lo
proclama patrono di politici e governanti nel 2000. Dal
1980 anche la Chiesa Anglicana, che Enrico VIII aveva
fondato, lo commemora tra i Santi.
Il cattolicesimo perfezionato dal povero Enrico VIII, il suo piccolo
cattolicesimo senza Papa, andò a gambe all’aria, anche prima
che il re fosse morto. Venne spazzato via dal torrente delle cose
che Enrico VIII aveva più odiate: il protestantesimo, che si mise
subito a sfruttare il re; e il puritanesimo, che più tardi doveva
decapitare il re. Analoga sorte è toccata al puritanesimo. Mentre
l’umanesimo di Moro anche oggi è fresco come il primo giorno,
nell’immortale giovinezza dell’umorismo e del pensiero.
G. K. Chesterton, Tommaso Moro e l’Umanesimo
Il sorriso della libertà Tommaso Moro, la politica ed il bene comune
La proclamazione di Tommaso Moro
patrono di politici e governanti, il 31 ottobre 2000
in Piazza San Pietro a Roma
© L’Osservatore Romano
71
la sua eredità
nel tempo
Tommaso Moro è più importante in questo
momento storico di quanto lo sia mai stato
fin dalla sua morte, persino più di quel grande
momento stesso; eppure non è oggi così
importante come invece sarà tra un centinaio
d’anni. Egli potrebbe arrivare ad essere
riconosciuto come il più grande tra gli
inglesi, o quantomeno il più grande
personaggio storico nella storia
d’Inghilterra. perché egli fu
al di sopra di tutto ciò che è
storico; e rappresentò ad un
tempo un tipo, un punto di
svolta ed un destino ultimo.
se non fosse successo
l’avvento di quell’uomo
particolare in quel
particolare momento,
la storia intera sarebbe
stata differente.
G. K. Chesterton
Il sorriso della libertà Tommaso Moro, la politica ed il bene comune
La resistenza di Moro e [del cardinale] Fisher
alla supremazia della Corona sul governo della
Chiesa fu un ergersi eroico. Erano consapevoli
dei difetti dell’esistente sistema cattolico, ma
odiavano e temevano il nazionalismo aggressivo
che stava distruggendo l’unità della
Cristianità. Videro che la rottura con
Roma comportava il rischio di un
dispotismo libero d’ogni vincolo.
Moro si erse come difensore di
quanto v’era di più bello nello
sguardo medievale. Al cospetto
della storia ne rappresenta
la sua universalità, il suo
credo nei valori spirituali e il
suo senso istintivo dell’aldilà.
Enrico VIII con una mannaia
crudele decapitò non solo un
consigliere onesto e dotato,
ma un intero sistema che,
per quanto avesse mancato
di vivere all’altezza dei suoi
ideali nella realtà, aveva a
lungo fornito l’umanità dei
suoi sogni più luminosi.
W. Churchill
73
Che cos’era, per noi che abbiamo
combattuto il fascismo e il nazismo,
la Resistenza? La Resistenza è stata
innanzitutto un’intima e profonda scelta
morale, compiuta dai giovani e dai non
giovani.
Alla fine accettai. Tommaso Moro, che
per noi cattolici era un simbolo di libertà
e di opposizione all’assolutismo di stato,
divenne il mio nome di battaglia.
B. Zaccagnini
Il sorriso della libertà Tommaso Moro, la politica ed il bene comune
Una domanda provocatoria. Non è
una figura un po’ troppo elevata,
quella di Tommaso Moro, per
poterla proporre al mondo politico
di oggi? Attualmente i riferimenti
a principi ideali scarseggiano, e
la coerenza, in politica, sembra
merce davvero rara.
La Grazia serve essenzialmente ai
peccatori. E di protettori ne hanno
bisogno soprattutto i deboli.
F. Cossiga
75
Tommaso Moro si distinse
per la costante fedeltà alle
autorità e alle istituzioni
legittime proprio perché, in
esse, intendeva servire non il
potere, ma l’ideale supremo
della giustizia. La sua
santità rifulse nel martirio,
ma fu preparata da un’intera
vita di lavoro nella dedizione
a Dio e al prossimo.
Quest’armonia fra il
naturale e il soprannaturale
costituisce forse l’elemento
che più di ogni altro
definisce la personalità del
grande statista inglese:
egli visse la sua intensa
vita pubblica con umiltà
semplice, contrassegnata
dal celebre “buon umore”,
anche nell’imminenza della
morte. Questo il traguardo a
cui lo portò la sua passione
per la verità. L’uomo non si
può separare da Dio, né la
politica dalla morale: ecco
la luce che ne illuminò la
coscienza.
Papa Giovanni Paolo II
Il sorriso della libertà Tommaso Moro, la politica ed il bene comune
In particolare, vorrei ricordare la figura di san Tommaso Moro, il
grande studioso e statista inglese, ammirato da credenti e non
credenti per l’integrità con cui fu capace di seguire la propria
coscienza, anche a costo di dispiacere al sovrano,
di cui era “buon servitore”, poiché aveva scelto di
servire Dio per primo [...].
E, in verità, le questioni di fondo che furono
in gioco nel processo contro Tommaso Moro
continuano a presentarsi, in termini sempre
nuovi, con il mutare delle condizioni sociali.
Ogni generazione, mentre cerca di promuovere
il bene comune, deve chiedersi sempre di
nuovo: quali sono le esigenze che i governi
possono ragionevolmente imporre ai propri
cittadini, e fin dove esse possono estendersi?
A quale autorità ci si può appellare per
risolvere i dilemmi morali? Se i
principi morali che sostengono
il processo democratico
non si fondano, a loro
volta, su nient’altro
di più solido che sul
consenso sociale,
allora la fragilità
del processo si
mostra in tutta
la sua evidenza.
Qui si trova la
reale sfida per la
democrazia.
Papa Benedetto XVI
77
Documenti a cura del Centro Culturale “San Tommaso Moro”
BIOGRAFIA
1474
John More, Padre di Thomas More, magistrato di piccola nobiltà, sposa il 24 aprile di quest’anno Agnes
Granger, che in sette anni dal 1475 al 1482 gli darà alla luce ben sei figli.
1478
Secondogenito dopo la sorella Joan, il 7 febbraio 1478 nasce a Londra Thomas More
1490
More entra come paggio in casa di John Morton, cancelliere d’Inghilterra e futuro cardinale.
1492
All’Università di Oxford segue gli studi di umanità.
1493
Nel New Inn di Londra inizia lo studio del diritto.
1496
Il 12 febbraio si trasferisce da New Inn al più prestigioso Lincoln’s Inn, perfezionando la sua preparazione
giuridica. Vi resterà fino al 1500.
1497
L’1 settembre, muore Henry Abyngdon, organista del re, e More compone tre epigrammi funebri in suo
onore (nn. 159, 160 e 161), altri due suoi epigrammi (nn. 273 e 274) appaiono a stampa ad Anversa in
una grammatica latina per fanciulli intitolata “Lac puerorum”. Si tratta delle sue prime composizioni databili.
1499
Nel giugno Erasmo sbarca in Inghilterra, dove si tratterrà fino al gennaio 1500. In agosto More lo conduce a
rendere omaggio al principe Enrico (il futuro Enrico VIII), allora in età di otto anni, al quale entrambi i visitatori
offrono versi. Inizia da quell’incontro la loro fervida amicizia.
Il sorriso della libertà Tommaso Moro, la politica ed il bene comune
1501
Ammesso alla professione forense, dà lezioni di diritto a Furnival’s Inn, una scuola dipendente da Lincoln’s
Inn; assolverà tale incarico fino al 1517. Prende stanza presso la Certosa di Londra, dividendo la severa vita
dei monaci, per saggiare la propria vocazione ascetica.
1502
Approfondisce lo studio del greco e gareggia con William Lily nel tradurre in versi latini, diciotto carmi tratti
dall’Anthologia Planudea; col titolo di Progymnasmata li pubblicherà nel 1518 in apertura della raccolta dei
propri Epigrammata.
1504
Si apre il 21 gennaio la sessione del Parlamento; More vi siede alla Camera dei Comuni.
Dopo l’ottobre sposa la diciassettenne Jane Colt, figlia maggiore di un gentiluomo di campagna dell’Essex.
La coppia si installa nel sobborgo di Bucklersbury sul Tamigi, nella casa detta The Barge («La scialuppa»),
dove More abiterà fino al 1524.
1505
Probabilmente il 1 gennaio offre quale strenna la propria versione inglese della biografia di Giovanni Pico
della Mirandola all’amica d’infanzia Joyce Lee, che ha preso a Londra il velo delle clarisse. Erasmo sosta
per qualche mese in Inghilterra, ospite di More. Circa in settembre nasce la primogenita Margaret, colta,
affettuosa e devota (m. 1544).
1506
Nasce la seconda figlia Elizabeth.
1507
Fino al 29 settembre More è pensioner di Lincoln’s Inn, dove assume poi funzione di butler (maestro di
casa). Nasce la terza figlia Cecily.
1508
Probabilmente nell’autunno compie il suo primo e breve viaggio sul continente, dove visita le Università di
Parigi e Lovanio, interessandosi ai programmi e ai metodi didattici.
1509
Il 21 aprile muore a Richmond Enrico VII; l’incoronazione di Enrico VIII e di Caterina d’Aragona (sposi l’11
giugno) ha luogo a Westminster il 24. In agosto, reduci dall’Italia, giunge in Inghilterra Erasmo, il quale,
ospite in casa di More, vi compone l’“Elogio della follia”.
79
In settembre More rappresenta i negozianti di Londra (la Mercers’ Company, che il 21 novembre lo accoglierà
fra i suoi membri) nelle trattative con la città di Anversa.
Nasce John, quarto ed ultimo figlio, l’unico maschio, che morirà nel 1547.
1510
More rappresenta la City di Londra (21 gennaio) nel primo Parlamento convocato da Enrico VIII.
È chiamato (3 settembre) alla carica di vice-sceriffo di Londra; siederà ogni giovedì mattina per giudicare
le cause spicciole del tribunale municipale. È nominato docente (22 ottobre) a Lincoln’s Inn per il ciclo di
lezioni autunnale.
1511
I primi d’aprile Erasmo è daccapo ospite di More, cui dedica (9 giugno) l’“Elogio della follia”, destinato a
vedere la luce ad Anversa l’anno seguente.
Tra il luglio e l’agosto muore, a soli 23 anni, la moglie Jane; dopo un solo mese di vedovanza, certo spinto
dalla necessità di affidare a cure responsabili i suoi quattro bambini, si accasa con la quarantenne Alice
Middleton, da due anni vedova di un mercer londinese, che ha con sé una figlia grandicella.
1512
Nel febbraio-marzo è daccapo deputato di Londra ai Comuni nel secondo Parlamento di Enrico VIII.
1513
Chiamato (13 settembre) a far parte di una commissione incaricata di provvedere al restauro del ponte
di Londra. Inizia la stesura della History of King Richard III, cui non darà l’ultima mano e che vedrà la luce
postuma nel 1641.
1514
Raggiunge a Lincoln’s Inn (1 novembre) il massimo grado accademico di lent reeder.
1515
Chiamato a far parte (7 febbraio) della missione diplomatica inglese incaricata di negoziare nei Paesi Bassi
il rinnovo dei patti commerciali, More figura fra i destinatari delle istruzioni regie (7 maggio). Partito da
Londra il 12, insieme al segretario personale John Clement, giunge a Brugge il 17 e là, poco più tardi, rivede
Erasmo. Nelle pause delle difficili trattative ha occasione di recarsi per consultazioni a Magonza (1 luglio), a
Tournai, e di visitare a Malines (agosto) Hiëronymus Busleyden, nella sua splendida casa-museo.
Tornato a Brugge, il 20 ottobre vi data la lunga lettera polemica diretta a Martin van Dorp in difesa di Erasmo.
Il sorriso della libertà Tommaso Moro, la politica ed il bene comune
1516
Scrive ad Erasmo (febbraio) di aver ricusato una pensione regia, che avrebbe compromesso la sua
indipendenza professionale al servizio della Mercers’ Company. Nel primo semestre stende il libro I di
“Utopia”.
È nominato (10 giugno) consigliere legale della Commissione annonaria di Londra.
Nuova sosta a Londra di Erasmo, sempre ospite di More.
In vista della pubblicazione, il 3 settembre, spedisce ad Erasmo il testo compiuto di “Utopia”, distinta ancora
con il titolo originario Nusquama; il 2 ottobre l’amico gli assicura il proprio interessamento per la stampa.
L’Utopia vede la luce nel dicembre.
1517
Una deliberazione regia (26 agosto) designa More con due colleghi a rappresentare l’Inghilterra in una
controversia con la Francia per questioni di pirateria.
La missione conduce More a Calais ai primi di settembre; L’8 settembre Erasmo scrive a Moro di avergli
inviato in dono il ritratto suo e di Pieter Gilles. Dal 29 di quel mese corre lo stipendio di 100 sterline annue
assegnatogli quale consigliere reale.
1518
Dal 5 marzo More risulta al servizio del re, quale membro del Consiglio privato, e al cadere d’aprile Erasmo
gli scrive col rammarico di vederlo allontanato dagli studi e dagli amici. More si dimette (23 luglio) dalla
carica di vicesceriffo.
1519
Scrivendo ad Ulrich von Hutten (23 luglio), Erasmo delinea un affettuoso e lusinghiero ritratto di More.
1520
È chiamato (8 aprile) a far parte della commissione incaricata di ricevere l’imperatore e di rinnovare il trattato
commerciale con l’Impero: muove da Greenwich (21 maggio).
Al seguito del re, per incontrare a Dover Carlo V; si imbarca (31 maggio) col re per l’incontro con Francesco
I di Francia («campo del Drappo d’oro», 7-24 giugno).
1521
È nominato (2 maggio) cancelliere dello Scacchiere e vice-tesoriere d’Inghilterra; il suo stipendio annuo
ascende ora a 173 sterline; è insignito del titolo di cavaliere, che lo autorizza a portare la collana d’oro con
le S intrecciate e la rosa araldica dei Plantageneti.
La figlia Margaret, sedicenne, sposa (2 luglio) William Roper (1496-1578).
81
È chiamato (25 luglio) a far parte di una missione diplomatica, che sbarca a Calais il 2 agosto e raggiunge
Brugge il 14; là si intrattiene con Erasmo, Vives e Gaspare Contarini.
1523
Con lo pseudonimo «Ferdinandus Baravellus» firma (13 febbraio) la dedica di una sua polemica “Responsio”
contro Lutero; l’opera avrà una seconda edizione in settembre, con un’aggiunta di 60 pagine, sotto il nuovo
pseudonimo di «Gulielmus Rosseus».
È eletto (15 aprile) speaker della Camera dei Comuni nel quarto Parlamento di Enrico VIII.
1524
Si installa, prima dell’ottobre, nella sua nuova, grande casa di Chelsea sul Tamigi.
È nominato (10 giugno) high steward, cioè patrono e censore, dell’Università di Oxford.
1525
Negozia e conclude (28-30 agosto) la tregua con la Francia.
Assume le funzioni di cancelliere del ducato di Lancaster. È nominato (novembre) high steward anche
dell’Università di Cambridge.
1526
Lascia (24 gennaio) l’ufficio di cancelliere dello Scacchiere. Rientra (14 luglio) da una breve missione
diplomatica in Francia. Il re gli concede (19 novembre) una prebenda ecclesiastica a Westminster.
Giunge ospite a Chelsea il grande pittore Hans Holbein, che ritrarrà l’intero gruppo di famiglia e fisserà le
sembianze di More in una celebre tavola.
1527
Il vescovo di Londra Cuthbert Tunstall incarica More (marzo) di confutare le tesi dei riformati. Nominato
(25 aprile) membro della commissione destinata a negoziare la pace con la Francia; al seguito del card.
Wolsey, lascia Londra. Il re gli rivela (ottobre) la propria decisione di ottenere il divorzio; More si schermisce,
sostenendo che si tratta di un affare da teologi e da canonisti.
1529
Insieme a Tunstall è designato (30 giugno) a rappresentare l’Inghilterra alla conferenza di Cambrai con la
Francia; lasciata Londra il 1 luglio, il 4 è a Calais e il 5 a Cambrai, dove il 3 agosto viene firmata la Pace delle
Dame; il 20 More ne dà relazione al re.
Caduto in disgrazia il card. Wolsey, More riceve a Greenwich (25 ottobre), dalle mani del re, il Gran sigillo e
diventa cancelliere del regno; il suo stipendio sale a oltre 400 sterline annue.
All’apertura del Parlamento (3 novembre) presiede ex officio la Camera dei Lords.
Il sorriso della libertà Tommaso Moro, la politica ed il bene comune
1530
Ai primi di dicembre si spegne il padre, John More.
1532
Adducendo a pretesto la cattiva salute, l’eccesso di lavoro e il compenso insufficiente, si dimette (16
maggio) dalla carica di cancelliere e il 19 consegna al re il Gran sigillo; in realtà, non si sente di appoggiare
la condotta del sovrano nella questione del divorzio.
Costruisce la tomba di famiglia nella chiesa di Chelsea e vi trasporta i resti della prima moglie: un affettuoso
epitaffio esprime la volontà di riposare accanto alle sue due consorti.
1533
Anna Bolena viene incoronata regina a Westminster (1° giugno): More si esime dall’assistere alla cerimonia.
1534
Invitato a prender posizione netta nella controversia sul divorzio reale, si presenta (13 aprile) al palazzo
arcivescovile di Lambeth e rifiuta di sottoscrivere l’«Atto di successione». Viene carcerato (17 aprile) nella
Torre di Londra; ammalato, sofferente, ma sereno; compone vari scritti di meditazione e di ascesi religiosa.
1535
Nel corso di quattro drammatici interrogatori (30 aprile, 7 maggio, 3 e 14 giugno), tiene testa con pacata
fermezza alle minacce e alle blandizie dei giudici asserviti al monarca. Viene condannato a morte (Westminster
1 luglio) sotto l’imputazione «di aver parlato del re in modo malizioso, traditoresco e diabolico». Scrive (5
luglio) l’ultima lettera a Margaret, benedicendo tutti i suoi cari.
Il 6 luglio, alle 9 del mattino, viene decapitato sulla Tower Hill per gentile concessione del re, che gli risparmia
l’impiccagione inflitta ai traditori; la sua testa mozzata viene esposta sul Ponte di Londra, rimpiazzando quella
del card. John Fisher, che era stata troncata il 22 giugno.
Un’ondata di sdegno e di commiserazione corre l’Europa: una Expositio fidelis del suo comportamento e
del supplizio patito con inflessibile animo circolò largamente, a partire dal 23 luglio, sotto il nome sibillino di
«Philippus Montanus», che cela forse quello illustre di Erasmo; largamente nota fu anche la lettera di eguale
argomento spedita il 9 agosto dal cardinale Niccolò Schönberg al card. Marino Caracciolo.
Vari scritti ascetici vergati da More in carcere videro la luce postumi.
Nel 1889 papa Leone XIII lo beatificò e nel 1935 (19 maggio), quarto centenario del supplizio, Pio XI lo
proclamò assunto fra i santi. Il 31 ottobre del 2000 Giovanni Paolo II lo dichiara patrono di politici e governanti.
83
Documenti a cura del Centro Culturale “San Tommaso Moro”
TESTI DI
TOMMASO MORO T. Moro, Lettere dalla prigionia, traduzione di Maria Teresa Pintacuda Pieraccini, Bollati Boringhieri,
Torino 1959
T. Moro, Venti lettere, a cura di Alberto Castelli, Editrice Studium, Roma 1966
T. Moro, Preghiere della Torre con una lettera di Erasmo da Rotterdam, introduzione e traduzione di
Marialisa Bertagnoni, Morcelliana, Brescia 1968
T. Moro, Il dialogo del conforto nelle tribolazioni, traduzione e note di Alberto Castelli, Editrice Studium,
Roma 1970
T. Moro, Lettere dal carcere, Introd. di John Harriot S. J., trad. e note di Alberto Castelli, Poliglotta
Vaticana s.l., 1971
T. Moro, Centoventi epigrammi, traduzione italiana di Luigi Firpo, in Il Pensiero politico, a. 11 n. 2.,
Olschki, Firenze 1978, pp. 209-242
T. Moro, L’Utopia o migliore forma di repubblica, Laterza 1981
T. Moro, Nell’orto degli ulivi. Expositio Passionis Domini (1534-35), traduzione di Marialisa Bertagnoni,
Edizioni Ares, Milano 1985
T. Moro, Lettere, a cura di Bruno Fortunato, Editrice Morcelliana, Brescia 1987
T. Moro, Tutti gli epigrammi, traduzione di Luigi Firpo e Luciano Paglialunga, Edizioni San Paolo, Milano
1994
Il sorriso della libertà Tommaso Moro, la politica ed il bene comune
T. Moro, Il Dialogo del conforto nelle tribolazioni, Traduzione e note di Alberto Castelli, Fabbri Editore,
Milano 1997
T. Moro, Le Quattro Cose Ultime con la Supplica delle Anime & nell’Orto degli Ulivi, traduzione e cura
di Vittorio Gabrieli, Edizioni Ares, Milano 1998
T. Moro, Preghiere e lettere dalla Torre, Osanna Venosa, Potenza 2000
T. Moro, Gesù al Getsemani. De Tristitia Christi, traduzione di Simona Erotoli, Figlie di San Paolo, Milano
2001
T. Moro, Lettera a Marten van Dorp (ottobre 1515), in Erasmo da Rotterdam, Elogio della follia,
Introduzione e note di Stefano Cavallotto, traduzione della comunità di San Leonino, Ed. Paoline, 2004,
pp. 378-418
T. Moro, Storia di Re Riccardo III, trad. it. di V. Gabrieli, Ed. di Storia e Letteratura, Roma 2005
T. Moro, Il corpo benedetto di Cristo, trad. it. a cura di Giuseppe Gangale in Città di Vita: Bim. di
Religione Arte e Scienza, Firenze, Anno 60 n. 6, nov.-dic. 2005, pp. 633-642
T. Moro, La lamentazione della Regina Elizabeth, Saggio per un’edizione delle opere liriche di Tommaso
Moro, traduzione italiana di Carlo M. Bajetta, in Testo a Fronte, Rivista semestrale di teoria e pratica della
traduzione letteraria, n. 37 – Anno XVIII – dicembre 2007, Milano
T. Moro, Poesie Inglesi, a cura di Carlo M. Bajetta, Ed. San Paolo, Milano 2010
85
Documenti a cura del Centro Culturale “San Tommaso Moro”
Per saperne
di più
Sui tempi di Tommaso Moro
G. K. Chesterton, Una breve storia d’Inghilterra, Rubbettino, 2003
W. Cobbett, A history of the protestant reformation in England and Ireland, Tan Book and Publishers, 1988
C. Erickson, Il Grande Enrico, Mondadori, Milano 2000
Su Tommaso Moro
D. Regi, Della vita di Tommaso Moro, Cancelliere d’Inghilterra, Malatesta, Milano 1675
W. Roper, Vita di Tommaso Moro, traduzione e note di Joseph Cinquino, M D’Auria Editore, Napoli 1968
J. Aubrey, “Sir Thomas More”, in Vite brevi di uomini eminenti, a cura di Oliver Lawson Dick, traduzione di
J. Rodolfo Wilcock, Adelphi Edizioni, Milano 1977
Il sorriso della libertà Tommaso Moro, la politica ed il bene comune
V. Gabrieli, G. Melchiorri, The book of Sir Thomas More, Editrice Adriatica, Bari 1981
V. Puccim, Tommaso Moro, Edizioni Messaggero, Padova 1984
L. Bouyer, Tommaso Moro: umanista e martire, Jaca Book, Milano 1985
A. Paredi, Vita di Tommaso Moro, Edizioni O.R., Milano 1987
E. E. Reynolds, Il processo di Tommaso Moro, Salerno Editrice 1985
C. Quarta, Thomas More, Edizioni Cultura della Pace, 1993
P. Ackroyd, Thomas More. Una sfida alla modernità, traduzione di Luca Cafiero, Edizioni Frassinelli, 2001
P. C. Martinez, “Tommaso Moro” Il primato della coscienza, Trad. Isabella Mastroleo, Edizioni Paoline,
Milano 2010
G. K. Chesterton, Tommaso Moro e l’umanesimo, in G. K. Chesterton, I delitti dell’Inghilterra, Raffaelli
2011
Un uomo per tutte le stagioni,1966, vincitore di sei Premi Oscar, regia di Fred Zinnemann, con Paul
Scofield, Wendy Hiller, Leo McKern, Robert Shaw, Orson Welles
87
FONDAZIONE
COSTRUIAMO
IL FUTURO
La Fondazione Costruiamo il Futuro nasce nel 2009
su iniziativa di Maurizio Lupi, oggi Vice Presidente
della Camera dei Deputati.
La Fondazione si prefigge come obiettivo “lo studio
e lo sviluppo di una cultura politica che si fondi sul
principio di sussidiarietà” (art.3 dello Statuto).
Per il raggiungimento del proprio scopo la
Fondazione esercita attività di studio e ricerca,
informazione,
formazione
e
divulgazione,
contribuendo al dibattito politico-amministrativo e
ponendosi come punto di raccolta del contributo
delle realtà locali per l’elaborazione di proposte
specifiche da sottoporre nelle sedi istituzionali più
opportune.
Costruiamo il Futuro è una fondazione con una
spiccata attenzione al territorio; recupera e sviluppa
infatti la presenza e le attività delle Associazioni
Il sorriso della libertà Tommaso Moro, la politica ed il bene comune
Costruiamo il Futuro a Merate ed a Seregno.
La peculiarità della Fondazione Costruiamo il Futuro
è riscontrabile sin dal momento costitutivo. Essa
infatti ha come soci fondatori oltre cento esponenti
del mondo imprenditoriale, artigianale, culturale,
liberi professionisti e amministratori estremamente
legati ed innamorati del proprio territorio.
La Fondazione gode del Riconoscimento Nazionale
previsto dal Codice Civile a testimonianza di una
vocazione nazionale e rivolge la propria attività a
tutti quei cittadini che a livello locale e nazionale,
sociale e politico, con il proprio studio e la propria
intrapresa, intendono impegnarsi nello studio
e nell’applicazione di modelli di sussidiarietà,
impegnandosi anche nella raccolta fondi e nel
sostegno di esperienze sociali che studiano o
realizzano il principio di sussidiarietà.
COORDINAMENTO GENERALE:
Carlotta Borghesi
Valentina Frigerio
DIREZIONE ARTISTICA E PROGETTO GRAFICO:
Blossom Communications - blossoming.it
Con l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica
con il patrocinio di