Sentenza sezione VI civile 13 aprile, n. 5924

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Sentenza sezione VI civile 13 aprile, n. 5924
Archivio selezionato: Sentenze Cassazione Civile
ESTREMI
Autorità: Cassazione civile sez. VI
Data: 13 aprile 2012
Numero: n. 5924
CLASSIFICAZIONE
CORTE EUROPEA DIRITTI DELL'UOMO (Strasburgo) - In genere Vedi tutto
GIUSTO PROCESSO - Tempo ragionevole e riparazione per l'eccessiva durata dei processi
Unione europea - Convenzione europea dei diritti dell'Uomo - Processo equo - Termine
ragionevole - Irragionevole durata del processo di equa riparazione - Diritto all'indennizzo ai
sensi della legge n. 89 del 2001 - Sussistenza - Fondamento Vedi tutto
Unione europea - Convenzione europea dei diritti dell'Uomo - Processo equo - Termine
ragionevole - Indennizzo per l'irragionevole durata del processo relativo all'irragionevole
durata di altro processo - Durata complessiva dei due gradi di giudizio (presso la Corte di
appello e la Corte di cassazione) - Termine ragionevole non superiore a due anni - Fondamento
INTESTAZIONE
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SALME'
Giuseppe
- Presidente
Dott. DI PALMA
Salvatore
- rel. Consigliere Dott. PETITTI
Stefano
- Consigliere Dott. SCALDAFERRI Andrea
- Consigliere Dott. DE CHIARA
Carlo
- Consigliere ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 15142-2011 proposto da:
G.C. (OMISSIS) elettivamente domiciliata in
ROMA, VIA ANDREA DORIA 48, presso lo studio dell'avvocato ABBATE
FERDINANDO EMILIO, che la rappresenta e difende, giusta procura a
margine del ricorso;
- ricorrente contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA (OMISSIS) in persona del Ministro pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,
presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e
difende, ope legis;
- controricorrente e ricorrente incidentale contro
G.C. (OMISSIS) elettivamente domiciliata in
ROMA, VIA ANDREA DORIA 48, presso lo studio dell'avvocato ABBATE
FERDINANDO EMILIO, che la rappresenta e difende, giusta procura a
margine del ricorso principale;
- controricorrente al ricorrente incidentale - ricorrenti incidentali avverso il decreto nel procedimento n. 140/2011 della CORTE D'APPELLO
di PERUGIA del 7.2.2011, depositato il 28/02/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
09/02/2012 dal Consigliere Relatore Dott. SALVATORE DI PALMA;
udito per la ricorrente l'Avvocato Ferdinando Emilio Abbate che ha
chiesto l'accoglimento del ricorso e deposita la sentenza della Corte
di Strasburgo del 27.9.2011, n. 41107/02 e n. 22405/03;
udito per il controricorrente e ricorrente incidentale l'Avvocato
Gabriella D'Avanzo che insiste nelle conclusioni della memoria
depositata. E' presente il Procuratore Generale in persona del Dott.
TOMMASO BASILE che ha concluso per il rigetto del ricorso principale
ed incidentale.
FATTO
FATTO E DIRITTO
Ritenuto che G.C., con ricorso del 31 maggio 2011, ha impugnato per cassazione - deducendo due
motivi di censura -, nei confronti del Ministro della giustizia, il decreto della Corte d'Appello di Perugia
depositato in data 28 febbraio 2011, con il quale la Corte d'appello, pronunciando sul ricorso della
G. - volto ad ottenere l'equa riparazione dei danni non patrimoniali ai sensi della L. 24 marzo 2001,
n. 89, art. 2, comma 1-, in contraddittorio con il Ministro della giustizia - il quale ha concluso per
l'inammissibilità o per l'infondatezza ricorso -, ha respinto la domanda;
che resiste, con controricorso, il Ministro della giustizia, il quale ha anche proposto ricorso
incidentale fondato su due motivi, al quale resiste, con controricorso, la G.;
che ambedue le parti hanno depositato memoria;
che, in particolare, la domanda di equa riparazione del danno non patrimoniale, proposta con ricorso
del 10 giugno 2010, era fondata sui seguenti fatti: a) con ricorso alla Corte d'Appello di Roma,
depositato in data 16 giugno 2005, la G. aveva chiesto l'equa riparazione dei danni non patrimoniali
ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 1; b) tale giudizio era stato definito con
decreto del 16 giugno 2006; c) tale decreto era stato impugnato per cassazione con ricorso del 27
luglio 2007; d) il giudizio di legittimità era stato definito con sentenza del 22 dicembre 2009;
che la Corte d'Appello di Perugia, con il suddetto decreto impugnato, ha affermato: "Il giudizio ha
avuto pertanto una durata complessiva di circa 3 anni e 6 mesi 1 anno + 1 mese per predisporre il
ricorso (tempo ritenuto sufficiente per predisporre il gravame) + anni 2 e mesi 5, Dall'esame del
ricorso e della sentenza della Suprema Corte si desume che il procedimento, benchè non possa depositato in data 16 giugno 2005, la G. aveva chiesto l'equa riparazione dei danni non patrimoniali
ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 1; b) tale giudizio era stato definito con
decreto del 16 giugno 2006; c) tale decreto era stato impugnato per cassazione con ricorso del 27
luglio 2007; d) il giudizio di legittimità era stato definito con sentenza del 22 dicembre 2009;
che la Corte d'Appello di Perugia, con il suddetto decreto impugnato, ha affermato: "Il giudizio ha
avuto pertanto una durata complessiva di circa 3 anni e 6 mesi 1 anno + 1 mese per predisporre il
ricorso (tempo ritenuto sufficiente per predisporre il gravame) + anni 2 e mesi 5, Dall'esame del
ricorso e della sentenza della Suprema Corte si desume che il procedimento, benchè non possa ritenersi complesso, è tuttavia caratterizzato da molteplici elementi (determinazione degli interessi e liquidazione degli onorari c/ diritti) che inducono a ritenerlo non semplice o di immediata soluzione.
Deve pertanto ritenersi che, avuto riguardo ai criteri indicati nella citata sentenza n. 7688 del 2006,
il procedimento si sia svolto in termini ragionevoli";
che, all'esito dell'odierna discussione, il Procuratore generale ha concluso per il rigetto dei ricorsi.
Considerato, preliminarmente, che il ricorso principale e quello incidentale, proposti contro lo stesso
decreto, debbono essere riuniti, ai sensi dell'art. 335 cod. proc. civ.;
che, con il primo (con cui deduce: "Violazione e/o falsa applicazione di legge: L. n. 89 del 2001, art.
2; artt. 6, 13 e 41 CEDU - Violazione principio di sussidiarietà: art. 35 CEDU") e con il secondo motivo (con cui deduce: "Violazione e/o falsa applicazione di legge: L. n. 89 del 2001, art. 2; artt. 6,
13 e 41 CEDU - Contraddittorietà e/o illogicità della motivazione su punti decisivi della controversia") - i quali possono essere esaminati congiuntamente, avuto riguardo alla loro stretta connessione -, il
ricorrente principale critica il decreto impugnato, anche sotto il profilo dei vizi della motivazione,
sostenendo che: a) in forza del principio di sussidiarietà sancito dalla CEDU e dell'art. 6 del Trattato di Lisbona, il diritto fondamentale di ogni persona ad un processo equo, da definirsi entro un
termine ragionevole, è entrato a far parte dei principi generali del diritto comunitari; b) secondo la giurisprudenza della Corte EDU, il termine ragionevole per la risoluzione di una controversia avente
ad oggetto l'equa riparazione di cui alla L. n. 89 del 2001 è pari a quattro mesi per il giudizio di primo grado ed a complessivi quattordici mesi ove intervenga il giudizio di impugnazione; c)
conseguentemente, nel caso di specie, i Giudici a quibus hanno errato nell'applicare al giudizio di
equa riparazione per la durata irragionevole di precedente giudizio avente il medesimo oggetto i
consueti parametri di tre anni per il primo grado e di un anno per il grado di legittimità; d) inoltre i Giudici a quibus hanno errato nel detrarre dalla durata complessiva del giudizio presupposto il
periodo di un anno per la proposizione del ricorso per cassazione, di cui all'art. 327 cod. proc. civ.,
considerando ragionevole un solo mese di tempo per proporlo; e) la motivazione del decreto è contraddittoria ed insufficiente, laddove ritiene "non complesso" ed al contempo "complesso" il
giudizio presupposto, senza dar conto specificamente degli elementi concreti di tale complessità;
che, con il primo (con cui deduce: "Violazione dell'art. 112 con riferimento all'art. 360 c.p.c., n. 3.
Omessa pronuncia su un punto decisivo della controversia") e con il secondo motivo (con cui
deduce: "Violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e degli artt. 6 p. 1 e 35 della CEDU in relazione
all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3") - i quali possono essere esaminati congiuntamente, avuto
riguardo alla loro stretta connessione -, il ricorrente incidentale critica a sua volta il decreto
impugnato, sostenendo che: a) i Giudici a quibus avrebbero omesso la pronuncia sull'eccezione
preliminare, sollevata dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, circa l'inammissibilità del ricorso proposto per l'irragionevole durata del processo presupposto avente ad oggetto la richiesta
d'indennizzo di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2; b) non sarebbe ammissibile il giudizio promosso per
ottenere l'equa riparazione per la durata irragionevole di precedente giudizio avente il medesimo
oggetto, in quanto tale giudizio non sarebbe idoneo di per sè ad ingenerare "patema d'animo" indennizzabile;
che assume carattere logicamente prioritario l'esame del ricorso incidentale;
che il primo motivo è infondato, atteso che la Corte d'appello, esaminando nel merito la domanda con la quale gli attori chiedevano l'equa riparazione per la irragionevole durata del procedimento ex
lege n. 89 del 2001, ha implicitamente rigettato l'eccezione della difesa erariale di inammissibilità della domanda con riferimento alla indicata tipologia di giudizi, con la conseguenza che deve
escludersi la denunciata omessa pronuncia su tale eccezione;
che anche il secondo motivo è infondato, atteso che il giudizio di equa riparazione, che si svolge presso le Corti d'appello ed eventualmente, in sede di impugnazione, dinnanzi a questa Corte, è un ordinario processo di cognizione, soggetto, in quanto tale, alla esigenza di una definizione in tempi
ragionevoli, esigenza, questa, tanto più pressante per tale tipologia di giudizi, in quanto finalizzati proprio all'accertamento della violazione di un diritto fondamentale nel giudizio presupposto, la cui
lesione genera di per sè una condizione di sofferenza e un patema d'animo che sarebbe eccentrico non riconoscere anche per i procedimenti ex lege n. 89 del 2001;
che non appare neppure condivisibile l'assunto che il giudizio dinnanzi alla Corte d'appello e
l'eventuale giudizio di impugnazione costituiscono una fase necessaria di un unico procedimento
destinato a concludersi dinanzi alla Corte europea, nel caso in cui nell'ordinamento interno la parte
interessata non ottenga una efficace tutela all'indicato diritto fondamentale, atteso che il
procedimento interno rappresenta una forma di tutela adeguata ed efficace, sempre che,
ovviamente, si svolga esso stesso nell'ambito di una ragionevole durata;
che il ricorso incidentale va quindi rigettato;
che il primo motivo del ricorso principale è fondato;
che, ai fini della individuazione di quale sia la ragionevole durata di un giudizio di equa riparazione,
che si sia svolto dinnanzi alla Corte d'appello e in sede di impugnazione dinnanzi a questa Corte,
occorre preliminarmente procedere alla ricognizione della giurisprudenza della Corte europea sul
punto;
che con la sentenza 29 marzo 2006 della Grande Camera, nella causa Cocchiarella contro Italia, si è affermato che "il periodo di quattro mesi previsto dalla legge Pinto soddisfa il requisito di rapidità necessario perchè un rimedio sia effettivo. L'unico ostacolo a ciò può sorgere dai ricorsi per cassazione per i quali non è previsto un termine massimo per l'emissione della decisione.
Nel caso di specie, la fase giudiziaria è durata dal 3 ottobre 2001 al 6 maggio 2002, cioè sette mesi, che, pur eccedendo il termine previsto dalla legge, sono ancora ragionevoli" (n. 99);
che, con la successiva decisione della Seconda Sezione 31 marzo 2009, causa Simaldone contro
Italia (n. 29), si è invece ritenuta eccessiva una durata di un giudizio "Pinto", svoltosi in un solo grado dinnanzi alla Corte d'appello e protrattosi per undici mesi;
che nel caso deciso dalla Seconda Sezione il 22 ottobre 2010, causa Belperio e Ciarmoli contro
Italia, la Corte europea, dopo aver dato atto del contenuto della sentenza Cocchiarella, ha
ulteriormente precisato che la durata di un giudizio "Pinto" davanti alla Corte d'appello, inclusa la
fase di esecuzione, salvo circostanze eccezionali, non deve superare un anno e sei mesi;
che, da ultimo, con la decisione 27 settembre 2011 della Seconda Sezione, causa CE.DI.SA. Fortore
s.n.c. Diagnostica Medica Chirurgica contro Italia, la Corte ha ritenuto che, in linea di principio, per
due gradi di giudizio, la durata di un procedimento "Pinto" non debba essere, salvo circostanze
eccezionali, superiore a due anni;
che nella giurisprudenza di questa Corte si è, invece, ritenuto che la ragionevole durata del giudizio di equa riparazione previsto e disciplinato dalla L. n. 89 del 2001 vada determinata in quattro mesi
dalla data del deposito del ricorso, in coerenza con la chiara indicazione desumibile dall'art. 3,
comma 6, della medesima legge (cfr. la sentenza n. 8287 del 2010);
che il Collegio ritiene che a tale orientamento non possa essere data continuità e che - pur
rinviandosi alle singole fattispecie la valutazione della durata ragionevole di una procedura "Pinto"
che si svolga soltanto dinnanzi alla Corte d'appello - ove, come nel caso di specie, venga in rilievo
un giudizio "Pinto" svoltosi anche dinanzi alla Corte di cassazione, la durata complessiva dei due
gradi debba essere ritenuta ragionevole ove non ecceda il termine di due anni, essendo tale
termine pienamente compatibile con le indicazioni desumibili dagli ultimi approdi della giurisprudenza
della Corte europea dei diritti dell'uomo e rispondente sia alla natura meramente sollecitatoria del
termine di quattro mesi di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 3, comma 6, sia alla durata ragionevole del
giudizio di cassazione che, anche in un procedimento di equa riparazione, non è suscettibile di compressione oltre il limite più volte ritenuto ragionevole di un anno;
che, ovviamente, nella predetta durata biennale massima va incluso il termine di sessanta giorni
previsto dal nostro ordinamento per la proposizione del ricorso per cassazione (cfr. la sentenza n.
8287 del 2010, cit.);
che, in applicazione del su enunciato principio al caso di specie - tenuto conto: che il ricorso
introduttivo è stato depositato presso la corte d'appello il 16 giugno 2005; che l'unico grado di giudizio di merito si è concluso con decreto depositato il 16 giugno 2006;
giudizio di cassazione che, anche in un procedimento di equa riparazione, non è suscettibile di compressione oltre il limite più volte ritenuto ragionevole di un anno;
che, ovviamente, nella predetta durata biennale massima va incluso il termine di sessanta giorni
previsto dal nostro ordinamento per la proposizione del ricorso per cassazione (cfr. la sentenza n.
8287 del 2010, cit.);
che, in applicazione del su enunciato principio al caso di specie - tenuto conto: che il ricorso
introduttivo è stato depositato presso la corte d'appello il 16 giugno 2005; che l'unico grado di giudizio di merito si è concluso con decreto depositato il 16 giugno 2006;
che il giudizio di cassazione è stato introdotto con ricorso notificato il 27 luglio 2007 ed è terminato con sentenza depositata il 22 dicembre 2009 -, dalla durata complessiva del procedimento di circa
quattro anni e due mesi (50 mesi) va detratto il termine ragionevole, stimato due anni, nonchè il termine di circa undici mesi intercorso tra il deposito del decreto della corte d'appello e la
proposizione del ricorso per cassazione, ulteriore rispetto a quello legislativamente previsto per tale
impugnazione, con la conseguenza che la durata non ragionevole risulta essere stata di un anno e
tre mesi;
che il primo motivo di ricorso va quindi accolto, con assorbimento del secondo motivo, concernente la
contraddittorietà della motivazione del decreto impugnato quanto alla non semplicità della definizione del giudizio di merito;
che, pertanto, il decreto impugnato deve essere annullato in relazione alle censure accolte;
che, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell'art. 384 c.p.c., comma 2;
che, secondo consolidato orientamento, questa Corte, sussistendo il diritto all'equa riparazione per
il danno non patrimoniale di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2, considera equo, in linea di massima,
l'indennizzo di Euro 750,00 per ciascuno dei primi tre anni di irragionevole durata e di Euro 1.000,00
per ciascuno dei successivi anni;
che, nella specie, sulla base dei criteri adottati da questa Corte e dianzi richiamati il diritto all'equa
riparazione per il danno non patrimoniale di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2, va determinato in Euro
940,00 per l'anno e tre mesi circa di irragionevole ritardo, oltre gli interessi a decorrere dalla
proposizione della domanda di equa riparazione e fino al saldo;
che, conseguentemente, le spese processuali del giudizio a quo debbono essere nuovamente
liquidate - sullà base delle tabelle A, paragrafo 4, e B, paragrafo 1, allegate al D.M. Giustizia 8 aprile 2004, n. 127, relative ai procedimenti contenziosi, in complessivi Euro 775,00, di cui Euro 50,00 per
esborsi, Euro 280,00 per diritti ed Euro 445,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli
accessori come per legge, da distrarsi in favore degli avv. F.G. e A.F.E., dichiaratisene antistatari;
che le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate nel
dispositivo.
P.Q.M.
P.Q.M.
Riuniti i ricorsi, rigetta il ricorso incidentale ed accoglie il ricorso principale nei limiti di cui in
motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo la causa nel merito, condanna il Ministro della
giustizia al pagamento, in favore della ricorrente della somma di Euro 940,00, oltre gli interessi dalla
domanda, condannandolo altresì al rimborso, in favore della parte ricorrente, delle spese del giudizio, che determina, per il giudizio di merito, in complessivi Euro 775,00, di cui Euro 50,00 per
esborsi, Euro 280,00 per diritti ed Euro 445,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli
accessori come per legge, da distrarsi in favore degli avv. Giovambattista Ferriolo e Ferdinando
Emilio Abbate, dichiaratisene antistatari, e, per il giudizio di legittimità, in complessivi Euro 525,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge, da distrarsi
in favore dell'avv. Ferdinando Emilio Abbate, dichiaratosene antistatario.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Sesta Civile, il 9 febbraio 2012.
Depositato in Cancelleria il 13 aprile 2012
CONFORMI E DIFFORMI
(1) Vedi Sfogliando il Massimario. Il giudizio volto ad ottenere l'indennizzo per la irragionevole durata
del processo, ai sensi della l. 24 marzo 2001 n. 89, è un ordinario processo di cognizione che è soggetto, in quanto tale, all'esigenza di una definizione in tempi ragionevoli, la quale è tanto più pressante in quanto finalizzata all'accertamento della violazione di un diritto fondamentale nel
giudizio presupposto, la cui lesione genera di per sé una condizione di sofferenza e un patema d'animo che sarebbe ingiustificato non riconoscere anche per i procedimenti di cui alla legge n. 89
del 2001.
(2) Non si rinvengono precedenti in termini.
Cassazione civile sez. VI, 13 aprile 2012, n. 5924
Utente: CAB CENTRO ATENEO PER BIBLIOTECHE cabce6412
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