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Proprietà letteraria riservata
© 2010 Aufbau Verlag GmbH & Co. KG, Berlin
© 2013 RCS Libri S.p.A., Milano
ISBN 978-88-7768-630-5
Lettere scelte da Unterdeß halten wir zusammen. Briefe an Die Kinder
Selezione operata dall’editore Archinto sulla base dell’edizione originale tedesca
curata da Michael Schröter
Per le immagini: © Freud Museum, London
In copertina: Sigmund Freud, 1913 (disegno a matita di John Philipp)
I lettori che desiderano informarsi sui libri della casa editrice Archinto
possono consultare il sito internet: www.archinto.it
L’indirizzo e-mail è [email protected]
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Sigmund Freud
Intanto rimaniamo uniti
Lettere ai figli
A cura di Michael Schröter
con la collaborazione
di Ingeborg Meyer-Palmedo ed Ernst Falzeder
Edizione italiana a cura di Arianna Ghilardotti
Archinto
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Introduzione
Un padre scrive ai suoi figli. Scrive loro quando sono in vacanza, quando
si trovano in un soggiorno di cura o quando lui stesso è lontano da casa
per farsi curare. Scrive ai figli militari al fronte, alla figlia che si è sposata
all’estero, ai figli maschi che si sono trasferiti in paesi stranieri che offrono
loro migliori possibilità professionali. Dopo la morte della figlia scrive al
genero rimasto vedovo, oppresso dalla cura dei due nipotini, e a una nuora, per ringraziarla di avergli fatto avere certe foto di famiglia. Chiede ai figli delle cortesie, manda ai nipotini gli auguri di compleanno allegando
una banconota; combina incontri, dà consigli su questioni finanziarie o
mediche, informa i figli delle più recenti novità di famiglia e vuole a sua
volta essere tenuto al corrente. In tutto ciò, che cosa è degno di nota?
Perché dovremmo leggere queste lettere? Non sono banali solo perché
non le ha scritte un uomo qualunque, bensì il fondatore della psicoanalisi,
Sigmund Freud?1
Il contesto biografico
Nel momento in cui ha inizio la corrispondenza qui per la prima volta
pubblicata, ossia intorno al 1907, Freud aveva già superato la soglia dei
cinquant’anni. Da più di vent’anni era sposato con Martha Bernays. Quel
matrimonio aveva unito un ambizioso rampollo di ebrei dell’Europa
orientale immigrati a Vienna e la figlia di una famiglia dell’establishment
ebraico amburghese; peraltro, il ramo cui apparteneva Martha era stato
messo in cattiva luce da una pena detentiva del padre. I difficili anni in cui
Freud aveva gettato le basi della propria carriera e della propria vita, nonché la crisi che la sua attività di neurologo aveva conosciuto nella seconda
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metà degli anni Novanta dell’Ottocento – quando egli si specializzò nell’innovativo, scandaloso e costoso procedimento psicoanalitico –, erano
ormai alle sue spalle. Dal settembre 1891 abitava nell’appartamento al primo piano di Berggasse 19 ove sarebbe rimasto fino al 1938, quando fu costretto a emigrare. Aveva ottenuto il titolo di professore, stava per diventare un’autorità riconosciuta a livello internazionale e percepiva parcelle
cospicue da agiati pazienti privati. Lo stile di vita della sua famiglia, come
notò un osservatore,2 era quello di un «milieu consapevolmente patrizio».
Non da ultimo, il crescente benessere di Freud si esprimeva nel fatto che
ora poteva permettersi quei due mesi abbondanti di vacanze estive che
erano abituali nelle famiglie della migliore borghesia viennese: per le villeggiature egli sceglieva località prestigiose, soprattutto nel Sudtirolo, che
fino al 1918 appartenne all’Austria. Oltre che a scopo ricreativo, approfittava delle vacanze per scrivere; intraprendeva regolarmente anche viaggi di
più settimane senza la famiglia, recandosi per esempio a Roma, in Sicilia e
ad Atene.
Freud aveva bisogno di molto denaro, giacché doveva mantenere parecchie persone. Oltre ai sei figli, nati tra il 1887 e il 1895 (Mathilde,
Martin, Oliver, Ernst, Sophie e Anna), la sua famiglia comprendeva la sorella della moglie, Minna Bernays, che a partire dal 1896 visse per lunghi
periodi nella casa di Berggasse e che, in qualità di «zia», aveva nella vita
dei nipoti un ruolo di importanza quasi pari a quello della madre. Del ménage facevano parte anche una cuoca e una domestica, nonché, fino a
quando i figli furono piccoli, una bambinaia e poi un’istitutrice, alla quale
era affidata buona parte della loro istruzione prima dell’ingresso al ginnasio. Come se ciò non bastasse, Freud doveva mantenere la madre e la sorella nubile che se ne prendeva cura, Adolfine («Dolfi»); inoltre, almeno
da un certo momento in poi, sostenne economicamente le sorelle Pauline
(«Pauli») e Rosa, rimaste vedove rispettivamente nel 1900 e nel 1906.3 Per
la madre e le sorelle, alla metà del sostegno contribuiva il fratello minore
Alexander (chiamato in famiglia semplicemente «zio»), un ricercato esperto nel ramo dei trasporti.
Intanto, da una parte l’attività professionale di Freud fioriva, dall’altra
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veniva sempre più recepita (ma anche contestata) la sua dottrina dell’inconscio e del ruolo centrale della sessualità nell’insorgere delle nevrosi e in
generale nella formazione della personalità. Dopo la pubblicazione degli
Studi sull’isteria (1895, con Josef Breuer), rispetto alla comunità scientifica Freud si era trovato in una situazione di crescente isolamento, mitigato
soltanto dall’intensa amicizia col medico berlinese Wilhelm Fließ. Le opere che scrisse nei dieci anni successivi e che gettarono le basi della psicoanalisi, soprattutto l’Interpretazione dei sogni (1900), la Psicopatologia della
vita quotidiana (1901) e i Tre saggi sulla teoria sessuale (1905), incontrarono scarsa risonanza; gli allievi che dal 1902 cominciò a raccogliere attorno
a sé a Vienna erano, alla fine del 1905, appena una dozzina. La svolta ebbe luogo nel 1905-1906, quando gli psichiatri della cattedra e della clinica
di Eugen Bleuler a Zurigo – oltre allo stesso Bleuler, soprattutto Carl Gustav Jung – si misero in contatto con lui e si dichiararono suoi seguaci. Da
Zurigo la psicoanalisi venne introdotta nel dibattito psichiatrico; da lì provennero gli allievi che fecero conoscere l’opera di Freud in altri paesi
(Germania, Ungheria, Paesi Bassi, Inghilterra, Stati Uniti); insieme agli zurighesi venne fondata la prima rivista psicoanalitica, organizzato il primo
congresso internazionale e infine, nel 1910, costituita l’Associazione Psicoanalitica Internazionale (IPV, Internationale Psychoanalitische Vereinigung), strutturata in sezioni nazionali e locali.
Come si può rilevare dalle lettere qui pubblicate, i figli di Freud senz’altro parteciparono, seppure in misura diversa, all’evoluzione della sua carriera e allo sviluppo del movimento da lui creato; quanto meno conoscevano alcuni dei suoi pazienti (Mathilde fantasticò addirittura di poterne
sposare qualcuno), ebbero ospiti nella casa paterna i sostenitori zurighesi e
lessero i suoi scritti più popolari. La diciassettenne Mathilde sapeva della
particolarità del «procedimento terapeutico di papà»; da giovane, Martin
cercò di farsi lustro della fama del padre, presentandosi come «il figlio
maggiore di Sigmund Freud». Tutti e tre i figli maschi, tuttavia, scelsero un
ambito di studi lontano da quello del padre: Martin divenne avvocato,
Oliver ingegnere, Ernst architetto. Quasi novantenne, Martha Freud ricordava: «Per espresso desiderio del padre, nessuno dei figli maschi ha segui-
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to le sue orme, alla figlia [Anna] non ha potuto impedirlo».4 Anna fu l’unica figlia femmina a seguire una formazione professionale e a esercitare
una professione (in un primo momento come maestra elementare). L’obiettivo delle altre due sorelle era invece il matrimonio, che conseguirono
l’una nel 1909 all’età di 22 anni e l’altra nel 1913 a 20. Entrambi i mariti
erano ebrei: un commerciante viennese e un fotografo amburghese.
Questo percorso lineare e ascendente venne interrotto dallo scoppio
della prima guerra mondiale. Il lavoro scientifico della scuola freudiana si
arrestò; le riviste psicoanalitiche sopravvissero soltanto perché, nei primi
anni di guerra, l’attività professionale di Freud come medico diminuì a tal
punto da lasciargli moltissimo tempo per scrivere, occupando le pagine di
quelle pubblicazioni con contributi propri. Naturalmente i suoi figli maschi (così come il genero Max Halberstadt, marito di Sophie) furono chiamati alle armi; Martin visse addirittura l’esperienza militare con positiva
partecipazione. Soltanto lui rimase al fronte per la maggior parte del tempo; gli altri due, prima o poi, si sottrassero a tale sorte. Tutti sopravvissero, e senza danni. Solo all’inizio del 1920 la famiglia dovette pagare tributo alla guerra, quando Sophie, sicuramente debilitata a causa delle difficoltà di approvvigionamento dell’epoca, morì ad Amburgo di influenza,
lasciando due bambini, dell’età di un anno e poco meno di sei.
Il movimento psicoanalitico, dopo la guerra, riprese ben presto. Nel
1920 si tenne un congresso internazionale all’Aja, e un secondo nel 1922 a
Berlino. Con l’aiuto di un «comitato» costituito dagli allievi a lui più vicini, Freud fece conoscere meglio l’attività dell’IPV, rimasta fino ad allora in
secondo piano. Grazie a finanziamenti provenienti dall’Ungheria (Anton
von Freund) e dalla Germania (Max Eitingon), poté fondare e dirigere una
propria casa editrice psicoanalitica. A Berlino sorse un policlinico psicoanalitico, nucleo della prima scuola dedicata all’apprendimento della dottrina freudiana. Personalmente, Freud poté evitare le peggiori difficoltà
del dopoguerra, avendo numerosi pazienti inglesi, svizzeri e americani (in
un primo momento anche tedeschi), che pagavano in valuta estera. Con la
notevole diffusione internazionale della psicoanalisi, che si affermò con
forza dopo la prima guerra mondiale, nella sua attività professionale egli
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spostò l’accento dalle analisi terapeutiche a quelle didattiche. I lavori da
lui scritti nei primi anni del dopoguerra contenevano, ancora una volta, un
importante cambiamento e ampliamento della sua teoria, soprattutto con
la nuova concezione delle istanze psichiche dell’Es, dell’Io e del Super-io,
pubblicata nel 1923 in L’Io e l’Es.
Per i figli maschi la fine della guerra coincise con l’inizio della vita lavorativa: un passaggio reso assai difficile dalla crisi economica allora imperante in Austria e in Germania. Martin, laureato in giurisprudenza, trovò
impiego in una banca; Oliver faticò a trovare un lavoro adeguato come ingegnere, mentre Ernst poté sistemarsi abbastanza velocemente come architetto. Entro la primavera del 1923 si sposarono tutti e tre: Martin a
Vienna, Ernst e Oliver a Berlino, dove si erano trasferiti perché la situazione economica là non appariva così priva di prospettive come a Vienna.
Freud era lieto che «se la fossero svignata dall’Austria».5 Le loro mogli provenivano da famiglie ebraiche molto abbienti (Martin ed Ernst) o comunque benestanti (Oliver); presto diedero ai nonni i primi nipoti. Due dei tre
matrimoni furono decisamente felici; solo Martin andò sempre meno d’accordo con sua moglie. Quanto a Ernst, è evidente che il suo successo professionale era dovuto in buona parte alle relazioni di suo padre, ossia alla
rete internazionale degli psicoanalisti; ma anche il genero Max trasse profitto, in qualità di suo fotografo ufficiale, della crescente fama di Freud.
Mentre negli anni Venti la scuola freudiana andò affermandosi sempre
di più in campo scientifico, didattico e terapeutico, l’anno 1923 segnò per
Freud un’altra dolorosa cesura: accanito fumatore di sigari, aveva sviluppato un carcinoma che richiese una parziale asportazione del palato e della mascella (mandibola compresa) e l’inserimento di una protesi. Da allora, Freud fu pesantemente impedito nel mangiare, nel bere, nell’udire e nel
parlare, e la sua vita divenne una continua lotta per migliorare l’insoddisfacente funzionalità di quella protesi; a tale scopo, tra il 1928 e il 1930 si
recò quattro volte da uno specialista a Berlino. Altrettanto dolorosa fu l’interminabile serie di operazioni che dovette subire, soprattutto dopo il manifestarsi di una recidiva pre-cancerosa nel 1931. Egli dovette ridurre la
propria attività professionale di circa un terzo (5-6 ore di analisi al giorno
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anziché 8-9). Anche la sua produzione scientifica diminuì, concentrandosi su questioni teoriche filosofico-culturali (Il disagio della civiltà, 1930).
Ciò nonostante, Freud continuò a disporre dei mezzi necessari per affittare ininterrottamente dal 1924 fino al 1937 una confortevole villa nei
dintorni di Vienna o nei suoi sobborghi per le vacanze estive (cioè per tresei mesi). A luoghi di villeggiatura più lontani dovette rinunciare per motivi di salute. Durante la crisi economica all’inizio degli anni Trenta, fu in
grado di sostenere economicamente Martin, Oliver e anche i due generi,
che si trovavano in difficoltà. All’inizio del 1932 spese somme notevoli per
salvare dalla bancarotta la casa editrice psicoanalitica. Lo fece, tra l’altro,
anche allo scopo di strappare alla disoccupazione il figlio maggiore; nel
1932, infatti, Martin divenne direttore della casa editrice. Dopo Anna, che
a partire dal 1922 stava facendo rapidamente carriera come analista e come figura di riferimento dell’IPV, egli fu, tra i figli di Freud, quello che
trasse più apertamente profitto dalla psicoanalisi. Nel caso di Martin, che
non aveva alcuna qualifica editoriale, appare particolarmente evidente che
Freud gestiva il proprio lavoro come una sorta di impresa di famiglia, tanto più quando vi erano connesse delle risorse economiche.
La catastrofe generale dell’ascesa al potere dei nazionalsocialisti nel
1933 in Germania e nel 1938 in Austria ebbe conseguenze disastrose anche per la psicoanalisi, per Freud e per la sua famiglia. I due principali centri della scuola freudiana, a Berlino e a Vienna, finirono per perdere ogni
importanza o cessarono addirittura di esistere dopo che i loro membri
ebrei furono emigrati. I figli di Freud residenti a Berlino, Oliver ed Ernst,
si trasferirono con le loro famiglie rispettivamente in Francia e in Inghilterra già nel 1933. Freud stesso, dopo l’«Anschluss», l’annessione dell’Austria alla Germania, emigrò con la moglie, la cognata e gli altri figli a
Londra; le sue quattro sorelle rimasero a Vienna e nel 1942 morirono nei
campi di sterminio. Per il vecchio segnato dal cancro, nel 1939, poco dopo lo scoppio della seconda guerra mondiale, si realizzò il desiderio «to die
in freedom».
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