Parlare - Edizioni Anicia

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Roberta Rigo, Insegnare la lingua italiana nella scuola secondaria di primo grado
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Parlare
Testo n. 5 - Le caratteristiche verbali e non verbali del parlato1
I tratti, presi in esame nella scheda di comparazione tra lingua scritta e lingua orale (ÃT6),
combinandosi tra loro nelle diverse situazioni, influenzano il discorso sul piano più propriamente
linguistico, anche se non si può parlare di una rigida determinazione dei tratti linguistici dell’orale. Si
è ampiamente dibattuto inoltre sull’esistenza o meno di una grammatica dell’italiano parlato,
alternativa a quella che regola lo scritto; in vero pare difficile, come sostiene Berretta (1994), dare una
risposta positiva in merito. Non è possibile per la lingua italiana individuare regole morfosintattiche
specifiche dell’orale, in quanto le differenze tra scritto e parlato riguardano piuttosto la frequenza o
meno di alcuni tratti di tipo morfologico e sintattico. Si possono invece individuare alcune
caratteristiche generali, come accade per altre lingue, quali il prevalere della semantica sulla sintassi o
particolari aspetti di testualità.
1 - Le caratteristiche linguistiche
Il grado di formalità del parlato, anche di quello più pianificato, è minore rispetto allo scritto.
Nella lista sottostante si riassumono gli aspetti che vengono definiti tipici del parlato, relativi al piano
lessicale, morfosintattico e testuale2; essi, a scuola, possono essere oggetto di riflessione sulla lingua,
di raffronto tra parlato e scritto e di molteplici attività di trasposizione, di riscrittura, ecc. Vengono qui
esclusi i riferimenti al piano fonetico e fonologico per la complessità legata alla variabile diatonica.
Molti dei fenomeni descritti caratterizzano anche l’italiano “dell’uso medio” o del “neostandard”3.
Numerosi errori che si trovano negli scritti degli allievi rispecchiano questo uso dell’italiano.
Piano del lessico
− lessico, in generale, più ridotto;
− ripetizione degli stessi termini, uso di perifrasi, di parole alterate mediante suffissi, di frasi fatte;
− categorie di parole che sintetizzano un’idea: interiezioni, particolari espressioni o esclamazioni
(Proprio! Già!, ecc.);
− presenza di tutte le forme legate alla soggettività di chi parla (mamma/madre; momentino,
pazzesco, ecc.);
− ricorso alla deissi personale (egli/ella, lui/lei, tu/voi/loro, ecc.), spaziale (qui/qua, lì/là,
questo/quello, costui/costei, ecc.), temporale (oggi, ieri, ecc.), sociale, del discorso4);
− presenza di esitazioni e di pause: pause vuote, che corrispondono ai silenzi, e pause piene, che
contengono riempitivi fonici o allungamenti di vocali (diciamo diii… di, mmh, ecc.) (Bazzanella,
1994, p.23).
Piano morfologico
− pronomi: semplificazione delle terze persone, lui o lei sostituiscono egli ed ella, e si estendono ad
esso/essa; uso del clitico gli al posto di le e di loro; ciò sostituito da questo/quello;
− sistema verbale: riduzione nell’uso di modi e tempi, il presente indicativo tende a sostituire il
passato (presente storico), e spesso anche il futuro; il passato prossimo è preferito al passato
remoto; l’imperfetto è in espansione, sostituisce il congiuntivo e il condizionale nel periodo
ipotetico dell’irrealtà, può segnalare il futuro nel passato (l’allievo pensava che era bocciato al
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Tratto da Rigo, 2005
Nel testo ci si limita ad un sintetico elenco, per gli approfondimenti si rinvia a Berruto (1986 e 1993b), Voghera (1992), Bazzanella
(1994), Berretta (1994), Lo Duca (2003), D’Achille (2003); quest’ultimo autore dedica attenzione anche al trasmesso.
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Sabatini (1985) ha parlato di “uso medio” dell’italiano, Berruto (1987; 1993a) di “neostandard”; si tratta di una varietà
nazionale meno formale di lingua, diversa dall'italiano standard, è una varietà di italiano anche scritto, secondo Sabatini.
Alcuni tratti infatti sono tollerati anche nella forma scritta, altri invece sono ritenuti veri e propri errori.
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Le categorie sociale e del discorso non sono riconosciute da tutti gli studiosi in quanto meno frequenti. Per la prima si pensi
alla “grammaticalizzazione” delle relazioni sociali (io/lei in italiano), per la seconda ai rinvii del tipo “nel capitolo seguente”
(Bazzanella, 1994, pp. 45-48).
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posto di sarebbe stato bocciato), può avere funzione attenuativa (volevo chiederti); il congiuntivo
viene frequentemente sostituito con l'indicativo nelle frasi dipendenti completive, nelle
interrogative indirette, nelle dipendenti da verbi di opinione (penso che viene o verrà), o nelle frasi
di sapere, o di dire, al negativo (non so se è vero), nelle relative restrittive (cerco un barista che
conosce bene il tedesco).
Piano sintattico
− prevalente l’andamento paratattico, più adatto al mezzo fonico-uditivo;
− diffuso l’uso di congiunzioni coordinanti generiche (ma, però, così, e, poi, ecc.), e di frasi
giustapposte per asindeto;
− subordinazione meno frequente, ma non esclusa; alcune particolarità: prevalgono le subordinate
implicite sulle esplicite, o meglio, le infinitive rette da verbi semiservili, le forme perifrastiche o
simili (Berretta, 1994), per esempio: stare + gerundio, stare per + infinito, stare + a + infinito,
cercare di + infinito, riuscire a + infinito, ecc. (sto mangiando; sto per annunciarvi; cercherò di
finire prima possibile;…);
− frase relativa: prevale l’uso del che rispetto a il/la quale, i,/le quali, cui;
− uso frequente di che in maniera polivalente: come pronome relativo e come congiunzione, come
subordinante generico.
Strutture particolari nella frase semplice:
− “frase scissa” per mettere in rilievo espressioni negative o interrogative (è stato Paolo che ha
incontrato Francesca alla festa; non è che sia molto convinto della cosa; com’è che non sei
arrivato in tempo?);
− “c’è presentativo” + che per mettere in risalto elementi nuovi (c’è qualcuno che mi ha detto…);
− “dislocazione a sinistra” e conseguente ripresa pronominale clitica quando un argomento diverso
dal soggetto costituisce il punto di partenza della frase (il conto l’ho pagato io; di questo ne
discuteremo a quattr’occhi); “dislocazione a destra” con l’anticipazione clitica di un
complemento, soprattutto in frasi interrogative (l’hai detto o l’ho immaginato che non vuoi venire?
L’hai preso l’ombrello?);
− “tema sospeso” (non dico che hai ragione);
− possibili ellissi, concordanze irregolari, proprio per la prevalenza della semantica sulla sintassi.
Piano testuale
− il parlato è meno lineare, più frammentario rispetto alla forma e al tema in rapporto al grado di
pianificazione e alla possibilità di una pianificazione anticipata;
− la coesione risulta più allentata sia per quanto riguarda il collegamento di parti del discorso sia di
singoli enunciati. Viene meglio assicurata da segnali discorsivi: i demarcativi (indicano l’inizio o
la fine del discorso: allora, niente, ecco, ho finito, ecc.; o la ripresa dopo una pausa: certo, eh così,
ecc.; possono segnalare una correzione: cioè, diciamo, ecc., oppure la scansione interna: allora,
ecco, basta, insomma, ecc.), i segnali fatici (servono al parlante a tenere aperto il contatto e a non
perdere il proprio turno, ed anche a sollecitare assenso o partecipazione nell’interlocutore: Va
bene, giusto, rendo l’idea? Guarda, senti, vedi, ecc.); gli elementi discorsivi con funzione di
connettivi (perché poi, comunque, ecc.);
− la ripetizione funge spesso da meccanismo di coesione: essa assolve ad un “compito di controllo
della progettazione testuale in fieri del parlato” (Voghera, 1992);
− il grado di coerenza e di coesione è garantito anche dall’enfasi e dall’intonazione;
− i riempitivi assumono funzioni diverse: prendere tempo e recuperare in memoria una parola che al
momento sfugge (ehm, niente, insomma, cioè, ecc.); compendiare il significato di un’intera frase
(ho visto botteghe, persone, eh niente, interessante); esprimere un’emozione del parlante (toh!);
sollecitare una risposta nell’ascoltatore (ehi!). Quando in un discorso i riempitivi si accavallano,
vuol dire che manca un progetto su cui il discorso si basa.
Per quanto riguarda il parlato trasmesso, risulta difficile individuare le caratteristiche linguistiche
comuni, in generale si può dire che il messaggio trasmesso ricorre ad alcuni demarcativi di apertura e di
chiusura; predilige la concisione; prevede elementi ridondanti che possano ovviare a incomprensioni o
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rumori. L’italiano telefonico, per esempio, è caratterizzato da segnali fatici che assicurano il contatto
(Pronto? Ci sei?), da riempitivi, come esclamazioni, risatine, per colmare i silenzi; da segnali di apertura,
presentazione, chiusura (Pronto? Sono la signora…; Parlo con…?); tipico è anche l’imperfetto di
cortesia (Volevo sapere come ti va). Il parlato radiofonico preferisce frasi brevi, la paratassi, evita gli
incisi, le inversioni sintattiche. Oggi comunque l’italiano della radio e della televisione accoglie sempre
più largamente i tratti propri del parlato autentico. Un’ultima considerazione, il continuum tra scritto e
parlato, individuato nella comunicazione “tradizionale”, diventa ancora più evidente nelle nuove
tecnologie: segreterie telefoniche, cellulari, e-mail, chat-on-line.
2 - Le componenti non verbali
Nel parlato, accanto alle parole, le componenti cinesiche, prossemiche, paralinguistiche, e altri
canali non verbali partecipano ugualmente all’attività comunicativo-linguistica; questi segnali ne
costituiscono una parte molto rilevante, poiché integrano, modificano, sostituiscono, a volte persino
contraddicono la comunicazione verbale. Nel loro insieme, i mezzi ausiliari non solo forniscono
numerose informazioni sul parlante, ma regolano anche la misura e la condotta comunicativa (la
continuità e la fluidità del discorso, la presa di parola, ecc.). Attraverso i tratti paralinguistici, per
esempio, il parlante trasmette informazioni emotive (gioia, paura, tristezza, ecc.) ed attitudinali
(cortesia, impazienza, ecc.), ma si prefigge anche “di raggiungere determinati scopi o di modificare il
comportamento dell’ascoltatore” (Bertinetto, Magno Caldognetto, 1993, p. 159). Così l’intonazione è
ritenuta un meccanismo interno di costruzione del discorso alla pari della sintassi (Voghera, 1992,
p.253); e la gestualità è considerata parte integrante della comunicazione orale, tanto che anche in
mancanza di una interazione faccia a faccia, come potrebbe essere la comunicazione telefonica, si
continua a gesticolare. I gesti rispetto alle parole possono ridondare o sostituire la battuta o addirittura
contraddire il senso della frase.
Proprio sulla relazione tra parola e gestualità diverse sono le ricerche condotte; così diverse sono
anche le ipotesi a cui sono pervenute. Secondo molti studiosi teorici del linguaggio, i gesti che
accompagnano le parole hanno una funzione marginale, rappresentano un canale espressivo
secondario attraverso cui il locutore completa, enfatizza, illustra il contenuto espresso verbalmente.
Alcuni studi in ambito antropologico portano avanti l'ipotesi che i gesti entrino in gioco nel veicolare
concetti che risultano difficili da esprimere in parole (Kendon, 1980); l’azione iconica o analogica precisano - è un processo altrettanto importante quanto la formulazione di idee in forma verbale,
tuttavia questi due sistemi di significazione se pur coordinati sono separati tra loro. Diversa invece è la
posizioni di alcuni studiosi in ambito psicolinguistico, secondo cui parole e gesti appartengono
entrambi alla stessa struttura psicologica e sono quindi sincronizzati nel discorso (McNeill, 1992)5;
queste ricerche ipotizzano che il gesto abbia funzioni semantiche e sintattiche anche complementari
rispetto al parlato (non è cioè una semplice appendice), per cui le funzioni dei due canali, verbale e
gestuale, si integrano a vicenda.
Indiscutibilmente l’attività verbale e quella gestuale assumono un’importanza fondamentale nel
processo comunicativo, combinandosi insieme, e focalizzano la centralità di un approccio multimodale
alla comunicazione, come è stato messo in evidenza nel volume di Poggi, Magno-Caldognetto (1997),
Mani che parlano. Sul piano didattico entrambe le componenti sono oggetto di apprendimento.
Riferimenti bibliografici
BAZZANELLA C. (1994), Le facce del parlare. Un approccio pragmatico all’italiano parlato, La Nuova Italia,
Firenze.
BRASCA L., ZAMBELLI M. L. (a cura di), (1992), Grammatica del parlare e dell’ascoltare a scuola, La
Nuova Italia, Firenze.
CORNAIRE C., GERMAIN C. (1998), La compréhension orale, CLE International, Paris.
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L’autore distingue i gesti iconici (presentano una certa somiglianza con l’avvenimento descritto), metaforici (esprimono
concetti astratti) e deittici (indicano un oggetto presente) da quelli batonici (gesti non formati, esprimono il ritmo della
conversazione e sottolineano o enfatizzano parole o frasi).
Roberta Rigo, Insegnare la lingua italiana nella scuola secondaria di primo grado
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D’ACHILLE P. (2003), L’italiano contemporaneo, il Mulino, Bologna.
ONG W. J. (1984), Oralità e scrittura. Le tecnologie della parola, (trad. it.), il Mulino, Bologna.
ORSOLINI M. (1988), Guida al linguaggio orale, Editori Riuniti, Roma.
POGGI I., MAGNO CALDOGNETTO E. (1997), Mani che parlano. Gesti e psicologia della comunicazione,
Unipress, Padova.
SORNICOLA R. (1981), Sul parlato, Il Mulino, Bologna.
SOBRERO A. A. (a cura di), (1993a), Introduzione all'italiano contemporaneo. Le strutture, Laterza, Bari.
, (a cura di), (1993b), Introduzione all'italiano contemporaneo. Le variazioni e gli usi, Laterza, Bari.
VOGHERA M. (1992), Sintassi e intonazione nell’italiano parlato, il Mulino, Bologna.