Come il pettegolezzo di divenne un`arte

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Come il pettegolezzo di divenne un`arte
SETTECENTO
COME IL PETTEGOLEZZO DIVENNE UN’ARTE
Quando
i salotti
erano una
cosa SERIA...
…e divertente. Nel ‘700 è in Francia
che si sviluppa un fenomeno culturale
e di costume senza precedenti:
il «salotto», spesso animato da donne
di cultura e affascinanti, dove si
costruiscono le fortune
e le sventure (private e pubbliche)
di letterati, nobili, politici, cortigiani
e nobildonne. Alla base di tutto il gusto
raffinato per l’indiscrezione, la notizia
piccante, il dettaglio. E l’aneddoto, non
necessariamente autentico al 100%
«Storia in Rete» ne ha parlato
con tre esperte del XVIII secolo,
Francesca Sgorbati Bosi, Milena
Contini e Daniela Pizzagalli
di Elena & Michela Martignoni
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I
l Settecento: un Secolo
di ineguagliabili raffinatezze e spietate crudeltà.
Proiettato alla conoscenza, ai Lumi, al razionalismo, secolo di scoperte
scientifiche e geografiche, di enciclopedie e di
eminenti pensatori. Secolo di eccessi e
di rivoluzioni, molto studiato e amato
per i suoi fermenti culturali, basilari
per il progresso europeo. Ricercatori e
appassionati però ne indagano anche
gli aspetti più intimi e salottieri. È il
caso della deliziosa «Guida pettegola
al Settecento francese» di Francesca
Sgorbati Bosi (Sellerio, pp. 360, euro
18,00) che offre uno spaccato della
società francese dell’epoca visto at-
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Il salotto di madame Geoffrin (1699-1777). Sul fondo
della sala, accanto al busto di Voltaire, sono ritratti
Rousseau, Montesquieu, Diderot, d’Alembert e Buffon
traverso il «gossip». Il pettegolezzo
(rumors in inglese e bruits in francese, molto onomatopeici!), questa mescolanza tra verità nascoste e calunnie belle e buone, è una attività vecchia come l’uomo, ma nel Settecento
viene promossa a vera e propria arte
in quanto scritta e fatta circolare. La
prova ce la fornisce questo libro/inchiesta tanto vivace da sembrare un
romanzo storico, anzi molti romanzi
storici insieme; infatti ogni aneddoto
riportato, vero o falso, sbandierato o
sussurrato, sconcio o tragico, è una
piccola storia dalle mille sfumature
e implicazioni. Si trattava di brevi
storie, motti di spirito, «sentito dire»,
maldicenze e indiscrezioni che coinvolgevano anche personalità di spicco
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come Voltaire, Diderot, D’alembert e
altri pensatori, re, regine, favorite,
nobildonne e nobiluomini, attrici,
attori e tutta quella variegata umanità che ruotava intorno alla spumeggiante corte di Francia.
Divisa per argomenti, la «Guida
pettegola» affronta temi come l’amore, la gelosia, il teatro. Ma anche gli
avari, gli avvocati, le donne, i figli,
i ladri e altri ancora per finire con
gli spettri che, a dispetto dei Lumi e
della scienza nascente, nemici giurati di superstizioni e ignoranza,
accendono invece un interesse morboso tra la gente comune e i letterati
. Approfondiamo l’argomento con
l’autrice Francesca Sgorbati Bosi.
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pag. 94
«Guida pettegola al Settecento
francese» di Francesca Sgorbati
Bosi (Sellerio, pp. 360, € 18,00)
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n Quali caratteristiche ha il pettegolezzo francese nel ‘700?
«È spesso breve, non di rado spiritoso
e sempre scritto con eleganza. Non riferisce solo peccatucci: riesce a rendere con pochi tratti la personalità degli
interessati e il mondo in cui vivono.
È una piccola finestra su un’epoca,
un romanzo in poche parole».
n Cosa si ammirava di più nel
‘700, in Francia?
«La presenza di spirito e la risposta
sagace».
n E ciò che si temeva di più?
«Il ridicolo. Per unanime ammissione, a Parigi si tollerava il vizio ma
una figuraccia uccideva».
n Quando si parla di Settecento
francese ci si riferisce solo a Parigi
e alla corte di Versailles, perché?
«Non solo, ma soprattutto: d’altronde fin dal medioevo Parigi era un
crocevia di basilare importanza per
commercio, agricoltura e cultura. Con
Enrico III di Valois diventa anche la
residenza dei re di Francia, quindi un
centro di potere politico e di conseguenza, un polo di attrazione per gli
artisti. Con Luigi XIV la corte si sposta a Versailles (fino ad allora un piccolo borgo circondato da paludi) e la
nobiltà si raccoglie attorno al Re Sole
che diventa il cuore del regno e il protagonista indiscusso di una complessa coreografia del potere. Frequentare la corte diventa imprescindibile per
chiunque voglia farsi strada ma ciò
non diminuisce l’importanza di Parigi, che riacquista lentamente la supremazia a partire dalla morte di Luigi XIV, durante la Reggenza di Filippo
d’Orléans, gli ultimi anni di regno di
Luigi XV e infine sotto Luigi XVI. Per
Enrico IV, a fine Cinquecento, “Parigi
valeva ben una messa”; nel XVIII secolo, per chiunque avesse ambizioni,
Parigi valeva addirittura... l’anima».
n Il pettegolezzo, attività vecchia
come l’uomo e non certo invenzione della nostra epoca, compare
Madame Geoffrin in un quadro di Jean-Marc Nattier. Molte
donne dell’alta società settecentesca amavano farsi ritrarre
con libri in mano, come segno distintivo del loro ingresso nel
mondo - fino ad allora prettamente maschile - della cultura
nella sua “forma scritta” proprio
a Parigi nel Settecento? Possiamo
affermare che i giornali di cronaca nascono allora?
«Il pettegolezzo girava in forma scritta anche prima, pensiamo a quella
linguaccia dell’Aretino [Pietro Aretino, 1492-1556, NdR], ad esempio.
Ma nel XVIII secolo in Francia il pettegolezzo diventa pervasivo e onnipotente: può far cadere un ministro,
bloccare la nomina di un poeta all’Accademia di Francia, rendere un uomo
un irresistibile sex-symbol, spianare la
strada per il patibolo a una regina. In
un paese imbrigliato dalla censura e
privo di libera stampa, è l’unico modo
per sfogarsi, comunicare, colpire gli avversari e farsi sentire fino al trono. In
Inghilterra dal 1695 era stata abolita
la censura della stampa, le indiscrezioni venivano scritte nero su bianco sui
giornali, ed erano quindi riconducibili
ai loro autori. Quindi preferisco parlare
semmai di “stampa scandalistica” inglese e di “pettegolezzo” francese. Per
quanto riguarda la cronaca il discorso
è delicato: il primo vero quotidiano
(nel senso che forniva notizie vere su
politica, economia e attualità) nasce
in Germania, a Lipsia, nel 1660. Il primo vero quotidiano inglese nascerà
a Londra nel 1702. Nelle colonie del
nord America, il “Boston News-Letter”
esce nel 1704. Se per cronaca intendiamo invece una prima alla Comédie
Française, la pubblicazione di un saggio poetico o l’annuncio della morte
di un accademico, in Francia fin dal
1672 troviamo il settimanale “Mercure
Galant” (poi “Mercure de France” dal
1724). Per le cronache di corte, i fatti
politici e diplomatici c’era invece dal
1631 la “Gazette”, che era ovviamente
un organo sotto lo stretto controllo del
potere costituito. Per il primo giornale
di cronaca come lo intendiamo noi, in
Francia bisogna aspettare il 1777».
n Leggendo il suo libro si resta
meravigliati per le somiglianze
comportamentali tra la società
odierna e quella del Settecento…
«La quantità dei paralleli colpisce:
l’obbligo di seguire la moda e di esse-
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re sempre aggiornati su ogni novità,
il consumismo sessuale, l’adorazione per le stelle del palcoscenico e per
i sex-symbols di allora, la frenetica
ricerca del divertimento, l’intraprendenza delle donne che volevano conquistarsi un ruolo attivo nella politica,
nella cultura e nella società in generale, il diffuso ateismo cui curiosamente
corrisponde la morbosa attrazione per
vampiri, spettri e superstizioni... Anche il progressivo baratro che si scava
tra la nazione e una la classe dirigente assurdamente privilegiata e sorda
al bisogno di rinnovamento e rigore
espresso da tutto il paese suona pericolosamente familiare...».
n Malattie e paranoie dei nostri
giorni si trovano anche nella società parigina del Settecento, anzi
sembrano una conseguenza di un
certo modo di vivere…
«Come conseguenze dei divertimenti
protratti fino all’alba c’erano sicuramente insonnie e cefalee. La mancanza di valori e la noia potevano
spingere a un consumismo sessuale
esasperato, che a volte sfociava nella violenza. L’opportunismo, l’aridità, la superbia, la perfidia che si incontravano nella vita di società (cui
nessuno poteva sottrarsi) portavano
molti alla depressione o a un amaro
scetticismo. La moda aveva poi gravi
responsabilità: i corpetti troppo stretti provocavano problemi agli organi
interni e alle ghiandole mammarie, le
ampie scollature erano responsabili
di polmoniti e tisi. L’uso massiccio di
pomate, cipria, arricciacapelli rovinava la chioma e portava calvizie precoce. I cosmetici per rendere bianca
la pelle e rosse le gote erano spesso
a base di metalli tossici che avvelenavano l’organismo [vedi “Storia in
Rete” n. 87-88 NdR]».
Una scena dal film «Ridicule» (1996) del registra francese Patrice Leconte.
La storia, ambientata nella Versailles del 1780, è incentrata proprio sul tema
dei salotti dove il pettegolezzo e il motto di spirito possono decidere,
nel bene o nel male, il destino di un uomo, di un’idea, di un’opera letteraria
n Dalle sue ricerche risulta che
a Parigi nel Settecento le donne,
nobili, ricche borghesi, persino
attrici, hanno avuto una notevole rilevanza nella diffusione della
nuova cultura. Ci parli di questi
meravigliosi salotti dove non solo
si spettegolava ma si faceva anche cultura.
«La lista sarebbe lunga... Mi limiterò
alle più famose salonnières: madame
de Lambert, virtuosa e filosofa; madame de Tencin, che faceva marciare
gli affari e gli amanti con lo stesso rigore; madame du Deffand, depressa e
perfida; Julie de l’Espinasse, che viveva
con l’inferno nel cuore e il sorriso sulle
labbra; madame Geoffrin, che celava la
sua ambizione sotto la semplicità di un
solido buonsenso borghese; madame
Necker, rigida ma buona, tutta votata
al culto del marito. E c’erano anche le
artiste di teatro, dai numerosi amanti
e dalla conversazione sciolta: l’attrice
mademoiselle Quinault, la ballerina
mademoiselle Guimard che riduceva
sul lastrico i suoi amanti, la cantante
mademoiselle Arnould, dallo spirito mordace e i gusti bisessuali. Ogni
salotto aveva le sue caratteristiche e
il suo gruppo di fedeli frequentatori:
qui l’alta aristocrazia e i diplomatici
stranieri, là i filosofi enciclopedisti, in
questo gli economisti, in quello poeti
e letterati. A volte le padrone di casa
ricevevano insieme gli ospiti, a volte
preferivano tenere separati gli artisti o
i filosofi dagli aristocratici, ricevendoli
in giorni diversi. Si leggevano le ultime
creazioni letterarie, si discutevano teorie filosofiche, si facevano esperimenti
scientifici, si recitava in casa, si recensivano gli spettacoli, si complottava a
favore o contro i nuovi candidati all’Accademia di Francia. Il tutto cercando
di far parlare tutti, di ascoltare tutti, di
istruire divertendo e bandire la noia».
n Amore e libertà sessuale, seduttori e seduttrici: il Settecento passa
per un secolo dissoluto e gaudente.
Ogni salotto aveva il suo gruppo di fedeli frequentatori:
qui l’alta aristocrazia e i diplomatici stranieri, là i filosofi
enciclopedisti, in questo gli economisti, in quello poeti
e letterati. A volte le padrone di casa ricevevano
insieme gli ospiti, a volte preferivano tenerli separati
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La gelosia era schernita e considerata di cattivo gusto,
e il marito vendicativo era unanimemente disapprovato;
ma anche l’amore coniugale veniva ridicolizzato,
e d’altronde sbocciava di rado tra persone che venivano
fatte sposare per puro interesse
E in Italia? C’erano realtà che potessero ricordare in qualche modo la frizzante società francese? La domanda
può essere girata a Milena Contini, italianista presso l’Università di Torino ed
esperta di Settecento.
n Lei, da italianista, come giudica
l’influenza francese sulla cultura
italiana nel Settecento?
Ragazza che origlia una conversazione
fra amanti di Michel Garnier (1753-1819)
I testi che lei ha analizzato lo confermano?
«Sì. Anche se con gli opportuni distinguo: gli uomini potevano abbandonarsi alla debauche [dissipazione, NdR]
senza timori (se erano maggiorenni e
liberi di disporre del loro patrimonio)
mentre le donne dovevano usare prudenza ed evitare a qualsiasi costo il
pubblico scandalo. Quindi la società
poteva sospettare, ma mai avere la certezza che una donna avesse una liaison. Inoltre si veniva giudicati anche
in base all’amante che ci si sceglieva.
La gelosia era schernita e considerata
di cattivo gusto, e il marito vendicativo
era unanimemente disapprovato; ma
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anche l’amore coniugale veniva ridicolizzato, e d’altronde sbocciava di rado
tra persone che venivano fatte sposare
per puro interesse. Di certo, nel XVIII
secolo si preferisce l’amore lieve e birichino, che stuzzica e detesta la noia. Le
grandi passioni, gli amori eroici erano
tramontati con Luigi XIV».
n Erano più pettegoli gli uomini o
le donne?
«Le donne spettegolavano tra loro o per
lettera. Ma gli uomini spettegolavano
non solo con le chiacchiere da salotto
(o da caffé) ma soprattutto con satire,
pamphlet avvelenati, poesie anonime,
canzoni salaci, accuse infamanti».
«La Francia ebbe un ruolo fondamentale per gli intellettuali di tutta Europa:
il francese era la lingua universale della
cultura. Per quanto riguarda la nostra
penisola, basta ricordare che sia Goldoni sia Casanova scelsero il francese
per stendere la propria autobiografia:
il primo, nelle “Mémoires”, si soffermò
soprattutto sulle tappe della propria
carriera teatrale, il secondo, nella “Histoire de ma vie”, racconta la propria
rocambolesca esistenza. Anche l’autore
del “Misogallo” (opera che trasuda odio
feroce verso i rivoluzionari d’oltralpe),
il tragico Vittorio Alfieri, in realtà aveva scritto la sua prima operetta satirica, “Esquisse du jugement universel”,
nell’idioma dei detestati galli, usato abitualmente dai nobili del regno sabaudo,
che non disdegnavano, in alternativa, il
dialetto torinese. Piemontese era anche
Tommaso Valperga di Caluso, erudito,
scienziato, poeta, filosofo al quale ho
dedicato una monografia volta a valorizzarne la figura visto che è noto ai
più soprattutto come amico carissimo
e maestro dell’Alfieri. Valperga di Caluso, sorprendente poliglotta (conosceva
francese, inglese, spagnolo, portoghese,
tedesco e russo, mentre tra quelle antiche e orientali aveva studiato ebraico,
greco ellenistico, caldeo, siriaco, samaritano, arabo, copto, etiopico), aveva
scelto il francese per la propria fatica filosofica “Principes de philosophie pour
des initiés aux mathématiques”».
n Gli intellettuali italiani leggevano
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Valanghe di testi interessantissimi giacciono
negli archivi di biblioteche, fondazioni, castelli e dimore
patrizie di tutta Europa, aspettando solo di essere
strappati all’oblio, studiati e resi disponibili al grande
pubblico, anche grazie al web
Il salotto letterario milanese dell’Accademia
dei Pugni dove si incontravano i fratelli Verri,
animatori del simposio, e Cesare Beccaria
le opere dei filosofi e degli enciclopedisti francesi?
«Nelle opere degli autori italiani è facilissimo ravvisare l’influenza delle speculazioni dei philosophes, che avevano
ampia circolazione, anche se a volte
non si ritrovano palesi riferimenti alle
teorie degli autori coevi. In alcuni casi,
infatti, è arduo stabilire con certezza
se una data teoria fosse approdata nel
testo di uno scrittore italiano attraverso una lettura diretta, attraverso una
lettura indiretta (citazioni, rifacimenti,
plagi) o attraverso una conversazione
letteraria nelle accademie o nei salotti,
moltiplicatisi con sorprendente velocità.
n Il Settecento custodisce tesori ancora da scoprire nell’era del 2000?
«Eccome! Molteplici sono le pieghe del
XVIII secolo ancora da svelare e indagare. Valanghe di testi interessantissimi
giacciono negli archivi di biblioteche,
fondazioni, castelli e dimore patrizie di
tutta Europa, aspettando solo di essere
strappati all’oblio e di essere rieditati,
studiati sotto diverse prospettive e resi
disponibili al grande pubblico, anche
grazie al web. In questo senso sono
al lavoro diversi progetti: io, ad esempio, collaboro ad “Arprego” (Archivio
del Teatro Pregoldoniano) promosso
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dall’Università di Santiago de Compostela, il cui scopo è quello di realizzare
l’edizione critica e commentata di testi
teatrali ormai pressoché dimenticati,
in cui siano riscontrabili caratteristiche
utili a illuminare i percorsi della riforma
goldoniana in tutta la sua complessità.
Parlando del siècle epistolaire è d’obbligo, inoltre, accennare all’importanza
dei carteggi, veri scrigni di notizie sulla
cultura, sulla mentalità e sulla vita quotidiana nel Settecento».
Da Torino passiamo a un’altra città
culturalmente molto viva nel Settecento: Milano. Chiediamo quindi a Daniela
Pizzagalli, nota saggista e studiosa del
Settecento milanese, di darci qualche
informazione in proposito.
n Nel Settecento la moda dei salotti
letterari in auge a Parigi si diffonde anche a Milano. Ci parli di questi simposi e delle personalità che li
animavano.
«È vero, i salons nascono in Francia,
ma non bisogna dimenticare che il primo modello è quello delle corti italiane
del Rinascimento, in Italia poi è prevalso il modello un po’ saccente delle Accademie, raduni soprattutto maschili,
dato che le donne italiane erano in generale meno colte e autonome rispetto
a quelle francesi. Questo non toglie che
nelle grandi città italiane come Milano,
Venezia e Roma ci fossero salotti culturali, riverbero di quelli francesi, dato che
c’era molta ammirazione per la nuova
filosofia illuminista. Il rapporto fra Accademia e salotto ha il suo esempio più
famoso a Milano: l’Accademia dei Pugni nacque nel salotto di Pietro Verri, fra
coloro che divennero poi i redattori del
“Caffè”, Pietro e Alessandro Verri, Cesare
Beccaria, Rinaldo Carli, Alfonso Longhi,
Luigi Lambertenghi».
n Anche a Milano le donne sono
fondamentali per la cultura o il circolo culturale è prerogativa maschile?
«Del gruppo attorno a Verri facevano
parte alcune donne colte e animatrici di
salotti: la duchessa Vittoria Serbelloni
Ottoboni, prima amante di Pietro Verri,
che con lui tradusse in italiano alcune commedie di Detouches, e Antonia
Barbiano di Belgioioso contessa della
Somaglia, che ebbe corrispondenza con
filosofi illuministi come Condillac, nel
salotto della quale fu fondata un’Accademia dei Vegetabili, i cui partecipanti
dovevano assumere il nome di un vegetale: lei assunse quello di Palma».
n Quali erano gli argomenti più
trattati? Il pettegolezzo o più la politica e la letteratura?
«Per sapere di che cosa si parlava nei
salotti italiani basta rileggere “Il Giorno” di Parini, specchio fedele, anche
se deformato dalla parodia, della società settecentesca. I pettegolezzi non
mancavano, soprattutto perché si era
nell’età dei cicisbei, che ogni dama alla
moda doveva cambiare frequentemente
come gli abiti!».
Elena&Michela Martignoni
www.elenaemichelamartignoni.com
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