Numero 92 - Anno XVI, Gennaio/Febbraio 2008

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Numero 92 - Anno XVI, Gennaio/Febbraio 2008
IL CLUB
Anno XVI n. 92 (gennaio/febbraio 2008)
Bimestrale di informazione per i soci del Club Plein Air BdS
Pubblicazione periodica a circolazione interna
inviata anche ad altre associazioni di campeggio e alla stampa
Responsabile editoriale
Maurizio Karra
Associazione dei camperisti e
degli amanti del plein air del
Redazione
Mimma Ferrante, Giangiacomo Sideli e Alfio Triolo
Collaboratori
Larisa ed Emanuele Amenta, Gabriella Braidotti, Luigi Fiscella,
Enza Messina e Vittorio Parrino
Aderente a
In questo numero:
Editoriale
A.I.T.R. Associazione Italiana
Turismo Responsabile
pag.
3
Vita del Club
Il progetto di adozioni a distanza
Bianca, soffice, candida neve
All’inseguimento dei formaggi
4
5
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Tecnica e Mercato
Gemellato con
Camping Car Club ProvenceCote d’Azur
Calabria Camper Club Sila
Sede sociale
Via Rosolino Pilo n.33
90139 Palermo
Tel 091.608.5152
Fax 091.608.5517
Internet: www.pleinairbds.it
E-mail: [email protected]
Parliamo di tecnica
La punta di una nuova linea
Una valida idea per viaggiare in due
Made in Italy o no?
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Viaggi e Turismo
Un solo Stato, un solo Popolo, un solo Capo
Voglia di libertà
Quel paradiso lassù tra i monti
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Terra di Sicilia
Acireale, non solo Carnevale
La storia passò di qui
L’angolo della poesia
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Comitato di Coordinamento
Maurizio Karra (Presidente);
Giangiacomo Sideli (Vice Presidente); Francesco Bonsangue, Adele Crivello, Patrizia
La China, Massimiliano Magno ed Elio Rea (Consiglieri);
Mimma Ferrante, Enrico Gristina, Vittorio Parrino e Alfio
Triolo (Collaboratori)
Collegio sindacale
Silvana Caruso La Rosa (Presidente); Luigi Fiscella e
Franco Gulotta (Componenti)
Collegio dei Probiviri
Pippo Campo (Presidente);
Giuseppe Carollo e Pietro
Inzerillo (Componenti)
Rubriche
Viaggiare in modo responsabile
Terza pagina
Vita in camper
Musica in camper
Cucina da camper
Riflessioni
Internet, che passione
News, notizie in breve
L’ultima parola
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In copertina
- I nostri camper nel borgo medievale di Castroreale - foto di Maurizio Karra
Questo numero è anche online sul nostro sito Internet
www.pleinairbds.it
IL CLUB n. 92 – pag. 2
Editoriale
C
i avviciniamo ai sedici
anni di vita del nostro Club – il
compleanno avverrà a fine marzo
– e mi rendo conto che, forse proprio per questo, non è facile trovare idee nuove per la vita associativa; me ne rendo conto guardando
la cartina della nostra Isola,
all’interno dei cui confini siamo costretti a muoverci con i nostri
camper per gran parte dell’anno, e
me ne rendo conto nell’organizzare
insieme al direttivo le gite e gli altri programmi che poi tutti voi, cari
amici, leggete in seno alle varie
circolari emanate. Non che ciò che
facciamo da anni non mi piaccia
più, sia chiaro; ma sono convinto
che senza un continuo rinnovamento si finisca col cadere nel banale. E a tutto posso abituarmi
tranne che alle banalità, voi mi conoscete.
In effetti, dopo anni di gite in
lungo e in largo, ma sempre in Sicilia (e solo qualche volta in Calabria o sporadicamente in altre regioni d’Italia), a parte i viaggi a più
lungo raggio, credo che per noi siciliani sia davvero difficile in un fine settimana utilizzare i nostri
camper senza ritornare anche più
volte in luoghi già noti, per altro
bellissimi; e questo nonostante alcune destinazioni risultino nuove ai
soci che del Club fanno parte solo
da pochi anni, non avendo vissuto
quindi tutte le esperienze passate.
Proprio per questo, facendo
esplicito riferimento al nome di un
centro commerciale alla periferia di
Palermo che di tanto in tanto vado
a visitare (uscendo sempre con
qualcosa che non pensavo inizialmente di “dovere” acquistare), ho
ipotizzato anche per il nostro Club
di dare vita a una sorta di “Fabbrica delle idee”, un laboratorio
aperto a disposizione di tutti i soci
per costruire progetti di ogni tipo,
anche al di fuori di ciò che si può
fare in camper, così da consentire
al direttivo di esaminare suggerimenti anche informali buttati quasi
a caso da chi, magari la mattina
svegliandosi, ricorda di avere avuto in sogno un’idea: un cesto in cui
provare a indirizzare, come in un
allenamento di basket, i tanti palloni che ci vengono davanti nella
nostra vita quotidiana o che siamo
in grado di raccogliere “a bordo
campo”.
Come realizzare tutto questo? Ci lavoriamo già da tempo insieme a Giangiacomo Sideli e
stiamo parlando di un’altra sezione
del nostro sito Internet, all’interno
dell’area riservata ai soci, prevista
già da qualche tempo e adesso finalmente concretizzatasi, una sorta di “lavagna virtuale” dove appendere dei “post-it” sugli argomenti più disparati:
•
l’idea di una gita da effettuare
in futuro o i contatti personali
messi a disposizione del direttivo per effettuarla nel miglior
modo;
•
una mostra o un monumento
di cui si chiede di gestire una
visita di gruppo;
•
un camper, un accessorio o
una videocamera posti in vendita nel “mercatino dell’usato”
(vendo, cerco...);
•
un viaggio estivo da condividere o da programmare insieme;
•
un invito esteso agli amici del
Club per una serata in pizzeria
o una festa per bambini;
•
la voglia di condividere la
proiezione di un film personale
o di una raccolta di immagini
digitali;
•
e tante altre cose ancora che
nemmeno mi vengono in mente.
Io credo che anche questo
strumento, messo a disposizione di
tutti i soci, possa essere concepito
IL CLUB n. 92 – pag. 3
come un’ulteriore, diversa modalità di condividere il Club nel suo insieme anche per chi magari non
può intervenire sempre di persona
alle varie iniziative. Un modello di
partecipazione attiva dove realtà
materiale e realtà virtuale si fondono e si confondono avvalorando
il senso di quella vita associativa
che io da sempre auspico al nostro
interno: un’associazione, cioè, dove tutti siano e si sentano protagonisti e dove ciascuno comprenda
di dover essere custode del bene
comune, ossia il Club nel suo insieme, con la sua storia e le sue
potenzialità.
Il camper è solo lo strumento di base che ci unisce e che ci ha
indotto, all’inizio, a formare un
Club o a iscriverci ad esso. Ma sono ormai anche altre le iniziative
che il nostro sodalizio porta avanti
oltre ai viaggi e alle gite in camper, e lo sappiamo bene; e la voglia di essere protagonisti di questa vita associativa a 360 gradi
deve continuare ad essere, secondo me, ciò che più ci dà valore aggiunto rispetto ad altre associazioni di camperisti che esistono solo
per portare decine di loro equipaggi a organizzare le grigliate collettive nei luoghi meno appropriati o
a gozzovigliare gratis al desco delle
sagre organizzate dai Comuni,
quasi sempre con i soldi di Regione, Province e sponsor privati.
Noi fin dall’inizio abbiamo
voluto essere intimamente diversi,
e abbiamo voluto gestire programmi e attività di più alto profilo, costringendoci a essere migliori
di quanto magari non saremmo
stati se fossimo rimasti senza una
casa comune qual è stato ed è il
nostro Club. Quindi, anche questa
“Fabbrica delle idee” che sta per
partire non deve essere solo oggetto di una fugace curiosità una
tantum, ma va concepita come un
momento di aggregazione come lo
è questo giornale, come lo è la
mostra fotografica di fine anno, il
calendario dei soci, il programma
di adozioni a distanza, ecc. Spero
che tutti abbiate il tempo di concretizzare qualche vostra idea e di
appendere in bacheca un post-it...
Io li leggerò tutti, siatene certi!
Maurizio Karra
Il progetto di adozioni a distanza
Si chiama Olive ed è ruandese la terza bambina adottata dal nostro Club
S
di cui la casa è dotata per tenere
lontane le zanzare che infestano la
zona, soggetta a malaria.
La Comunità di Sant’Egidio ci
ha recentemente dato notizie aggiornate anche su Annie, la terza
delle nostre bambine. Intanto Annie gode di buona salute e ha iniziato a frequentare l’undicesima
classe del sistema scolastico malgascio. A scuola va abbastanza
bene e, grazie al sostegno dell'adozione a distanza del nostro Club,
Annie ha ricevuto il materiale scolastico (libri e uniformi) oltre ad
abiti e scarpe nuovi. Tutti i bambini adottati a distanza a Tulear, il
villaggio dove vive Annie, hanno
inoltre la possibilità di mangiare
alla mensa scolastica, dove ricevono pasti ricchi e nutrienti.
i chiama Olive N. e abita
a Kigali in Ruanda la terza bambina che il Club Plein Air BdS ha appena adottato all’inizio di gennaio
nell’ambito del progetto di adozioni
a distanza varato a fine 2006 in
collaborazione con la Comunità di
Sant’Egidio.
Olive, che si aggiunge ad
Annie e Clarisse, le due bambine
del Madagascar adottate a inizio
del 2007, è anche la più piccola fra
le tre, essendo nata nel 2004. La
Comunità di Sant’Egidio ci comunica che la piccola abita con la madre Vestine, il padre Jean Claude e
due fratelli in un quartiere molto
povero della sua città.
Clarisse R.
Olive N.
Anche la sua famiglia è molto povera in quanto il padre non ha
un lavoro stabile e cerca di guadagnare qualcosa con piccoli lavori
occasionali, non riuscendo così a
sostenere con regolarità la famiglia
in tutte le sue necessità.
Olive gode comunque di
buona salute e frequenta la “Creche Amizero”, una scuola materna
gestita da un’associazione di donne
ruandesi impegnate nella società
civile, creata per ovviare al problema dei bambini costretti a lavorare anche in tenera età per dare
una mano alle esigenze familiari.
Nell’asilo che Olive frequenta
i bambini hanno anche la possibilità di mangiare a colazione e pranzo. Inoltre l’adozione a distanza
della bambina garantirà l’accesso
alle cure mediche necessarie per
crescere bene.
E ora qualche notizia aggiornata su Clarisse: la bambina sta
bene e cresce, grazie alla migliore
alimentazione
resa
possibile
dall’adozione a distanza. Continua
a frequentare la scuola con regolarità e buoni voti ed è grata per il
materiale scolastico che riceve nel
corso dell'anno, oltre a vestiti e
scarpe nuove. La sua classe ha iniziato anche un corso di educazione
sanitaria. La sua famiglia vive già
da qualche mese in una nuova casa, in condizioni igieniche migliori,
grazie anche ad alcune zanzariere
Per il progetto pluriennale di
adozioni a distanza, com’è noto,
il Club Plein Air BdS ha acceso
un apposito conto corrente
presso la Filiale 99 di Palermo
del Banco di Sicilia. Invitiamo
quindi tutti i nostri soci e le persone di buona volontà a offrire
il loro sostegno al progetto anche con un piccolo versamento
di pochi euro (ogni mese, ogni
tanto, anche una tantum!). Ecco le coordinate del conto:
•
banca: Banco di Sicilia (ABI
01020);
•
filiale: Palermo 99 (CAB
02699);
•
intestazione: Club Plein Air
BdS – progetto di adozioni a
distanza;
•
numero del conto: 2698.32
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Annie C.
Di recente purtroppo il Paese
è stato nuovamente provato da
forti cicloni che hanno provocato
danni ingenti e hanno distrutto i
raccolti. Il sostegno garantito
dall’adozione a distanza di Annie è
stato quindi più che mai prezioso a
lei e alla sua famiglia.
E adottare a distanza un
bambino costa “appena” 312 euro,
cioè meno di 1 euro al giorno, meno di una tazzina di caffé presa al
bar. Ma spesso salva una vita umana o comunque è in grado di
offrirle serenità e dignità.
Bianca, soffice, candida neve
La Gita sulla Sila di inizio anno
L
e previsioni del tempo
fanno presagire un “polare” fine
settimana sulla neve; invece, a
causa di un po' di vento del sud, le
temperature rimarranno sempre
sensibilmente sopra la media. E'
giovedì mattina quando cominciamo la salita verso Camigliatello Silano; i paesaggi sono splendidi, si
alternano abeti e pini, la natura
esprime senza alcun dubbio la sua
massima espressione.
Arrivati in paese, ci sistemiamo nel parcheggio della Comunità Montana. Il centro è ancora
addobbato da luci e colori tipici del
Natale appena trascorso, i negozietti che si affacciano sulla via
principale, offrono degustazioni di
dolci tipici, salumi e latticini ( una
tentazione continua!), e tra un negozio e l'altro c'è pure chi riesce a
comprare da un fornito antiquario,
per la felicità della consorte, una
splendida scultura in bronzo. La
sera, ci ritroviamo all'interno di
una delle poche pizzerie del centro
per assaporare l'ottima pizza ai
funghi... porcini naturalmente.
La mattina seguente, fatti
pochi chilometri, raggiungiamo le
piste da sci; la fortuna ci assiste e
riusciamo a parcheggiare tutti i
mezzi davanti agli impianti di risalita. Acquistate coloratissime palette, utilizzando una moderna ovovia, raggiungiamo la vetta del
monte Curcio, sita a 1700 mt slm.
Un vento freddo e particolarmente pungente ci accoglie sulla
sommità della montagna; i paesaggi sono offuscati da una fitta
nebbia, che tuttavia non frena in
nessuna maniera la voglia di trascorrere una simpatica mattinata
di puro e sano divertimento.
Anche
quest'anno
non
manca la mitica battaglia di palle
di neve, le discese ardite utilizzando ogni mezzo di "locomozione"...
Ma chi l'ha detto che sulla neve il
divertimento è principalmente dei
bambini??? Nulla di più falso, a
giudicare dalle espressioni di gioia
e di soddisfazione dei grandi. Il tepore dei nostri camper, in sosta
con le fumanti stufe, ci permette di
consumare un frugale pranzo che
concludiamo con una meritata siesta.
Nel pomeriggio decidiamo
di anticipare, per ovvi motivi di
parcheggio, l'escursione a Lorica. Il
trasferimento avviene in modo
tranquillo, le temperature di qualche grado sopra lo zero ci consentono di godere panorami dove il
verde della vegetazione fa capolino
tra la neve. Arriviamo al parcheggio, interamente circondato da alberi secolari, quando ormai i vacanzieri hanno lasciato il sito. Un
buon film in DVD e qualche gioco
di società condiscono una serata
che trascorriamo in totale rilassatezza.
La mattina successiva uti-
lizziamo la pista da bob che si snoda all'interno del bosco, mentre
altri equipaggi si dilettano a scattare foto che permettono di portare a casa incantevoli ricordi; anche a Lorica esiste un impianto di
risalita che permette di raggiungere, dopo circa venti minuti, la vetta
del Monte Bottone.
Dopo il pranzo rientriamo a
Camigliatello, dove espletiamo le
varie operazioni che consentono la
totale autonomia delle nostre case
viaggianti. Il parcheggio adesso è
stracolmo di camper; notiamo come ogni anno ( il sottoscritto ci viene da sette anni) sempre più turisti
I camper in sosta a Camigliatello Silano
In basso il gruppo dei nostri soci
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Un originale modello di ...discesa libera
scelgono l'autocaravan come mezzo per le vacanze invernali.
A completamento di un'intensa giornata, da sfrenate "caval-
lette" - come ci siamo simpaticamente battezzati - non rinunciamo
ad un appetitoso piatto di fettucine
consumato in un caratteristico ri-
Un momento di relax sulla neve
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storante, situato appena fuori dal
centro.
Domenica mattina, ci avviamo alla volta del Lago Cecita; la
strada è un po’ tortuosa, ma libera
da qualunque avversità. Giungiamo nel parcheggio del Parco Nazionale della Calabria dove sistemiamo i nostri camper con qualche
difficoltà per il fondo reso viscido
dalla neve e dal fango. Il paesaggio è superlativo, la fitta vegetazione, il silenzio del lago, il profumo del muschio che copre gli altissimi arbusti, ci offrono magiche sensazioni.
Sulla strada del rientro ci
fermiamo ad acquistare, direttamente dai contadini, le primizie
della terra, le conserve, le rinomate patate silane, il liquore di finocchietto selvatico e i cestini in vimini realizzati con cura e maestria da
mani esperte.
E' questa l'ultima piacevole
esperienza della gita di inizio d’anno in terra di Calabria; con dispiacere riprendiamo la via del ritorno
consapevoli, ancora una volta, che
divertimento, neve e camper, sono
il connubio del vivere felici.
Vittorio Parrino
All’inseguimento dei formaggi
Nel corso del primo week-end di febbraio siamo andati a Novara di Sicilia, a Milazzo e a Castroreale, alla scoperta di piacevoli borghi medievali e di antiche tradizioni, come quella
della gara del maiorchino, il pregiato formaggio locale, senza trascurare l’atmosfera carnevalesca, grazie ai pazzi costumi dei nostri soci
L’
alternanza delle stagioni ci porta a salutare l’inverno,
che quest’anno è stato presente
solo di nome, per immergerci nei
progetti e nelle atmosfere della
primavera che si avvicina sempre
di più. E tra i riti di fine inverno
che non potevamo perderci ci sono
quelli collegati al periodo di Carnevale, con il consueto sovvertimento di ruoli e di regole, e le conseguenti manifestazioni tutte da esplorare.
Così, nel pomeriggio di venerdì 1° febbraio, la carovana di
camper dei nostri soci si è diretta
verso la provincia di Messina per
visitare un paio di borghi medievali
arroccati in collina nei pressi del
versante tirrenico, dove immergersi nei riti locali del Carnevale. Il
pernottamento del venerdì si è effettuato però nella comoda area di
servizio di Sant’Agata di Militello,
sulla A.20, dove i diversi equipaggi
si sono andati riunendo nel corso
della serata, in attesa di formare il
familiare serpentone di mezzi la
mattina dopo.
Il giorno seguente, sabato
2 febbraio, la carovana ha raggiunto dapprima il borgo di Novara di
Sicilia, situato ad oltre 600 metri di
altitudine e inserito nell’elenco dei
Borghi più belli d’Italia. Dopo la sistemazione nel parcheggio messo
a nostra disposizione dal Comune
nel punto più elevato della cittadina, in Piazzale Annibale di Francia,
hanno avuto inizio le nostre esplorazioni, sotto un cielo azzurro, anche se con una temperatura inferiore ai 10 gradi.
Il borgo sorge al confine
tra i Peloritani e i Nebrodi a picco
su una pittoresca vallata che si affaccia sul Tirreno e le isole Eolie, e
le sue origini affondano nella preistoria, come testimoniano diversi
ritrovamenti avvenuti nelle vicinanze. Ma è il medioevo ad aver
lasciato
la
sua
impronta
nell’abitato, dopo l’arrivo dei normanni che vi fondarono un monastero e dopo l’istituzione della ri-
serva di caccia voluta da Federico
II; a quell’epoca risalgono le strette stradine in pendenza, le viuzze
lastricate e i cortili sormontati dagli
archi, mentre un po’ ovunque si
notano palazzetti nobiliari dalle
facciate in pietra viva e dai portali
scolpiti da valenti scalpellini.
Il monumento più importante è il Duomo, caratterizzato da
una monumentale facciata del XVI
secolo in arenaria, al cui interno vi
sono tre navate scandite da colonne monolitiche, sormontate da capitelli corinzi, sotto le quali si allarga la cripta che ospita diverse
mummie, mentre nella navata sinistra vi è il pregevole altare del Sacramento, in marmo intarsiato, e
nella navata destra l’altare dedicato all’Assunta, protettrice della città. Nei pressi vi è il Museo Civico,
ospitato nei locali della Pro Loco,
che testimonia con i reperti custo-
Foto ricordo dei nostri soci a Novara di Sicilia
In basso alcune fasi della gara di lancio del maiorchino
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diti al suo interno le peculiarità del
territorio, dai minerali fossili, alle
tradizioni locali, con esposizione di
merletti e ricami, mobili e suppellettili d’epoca, oltre ad una curiosa
collezione di medicine dei primi del
‘900.
In alto una panoramica del borgo
di Novara di Sicilia. In basso alcune forme di formaggio maiorchino,
tipiche del piccolo centro del messinese
Ma, come di consueto, i
nostri soci non si sono dedicati soltanto alle esplorazioni monumentali, ma hanno voluto conoscere
anche i prodotti locali, tuffandosi
letteralmente nelle pasticcerie, per
l’assaggio delle ghiottonerie del
luogo, tra cui le cosiddette “dita
d’apostolo”, particolari cannoli rivestiti di glassa di zucchero e cioccolato, e nelle macellerie per gustare l’ottima salsiccia asciutta e il
rinomato maiorchino, il pregiato
formaggio cittadino di latte di pecora e di capra, dalla forma cilindrica e dalla pasta dura invecchiato
almeno 8 mesi. Viene confezionato
in forme da dieci chili circa, con un
diametro di 35 centimetri, una pasta giallo paglierino e un sapore a
dir poco accattivante.
A questo proposito nel
borgo si perpetua una tradizione
che risale al ‘600 e che consiste in
una sorta di gara con il lancio delle
forme di formaggio che ha inizio il
15 dicembre e va avanti fino al periodo di carnevale con le gare fra i
vari rioni e infine, il martedì grasso, con la finalissima. Ad una delle
ultime eliminatorie abbiamo avuto
la possibilità di assistere con grande interesse, insieme al resto del
paese che si esibiva in un tifo molto sentito.
La Maiorchina, questo il
nome
della
manifestazione
...sportiva, una delle più antiche
della Sicilia, è un torneo vero e
proprio, nel corso del quale si deve
far rotolare una forma di maiorchino lungo un percorso, ormai consueto da secoli, che si snoda lungo
le vie del centro storico in forte
pendenza per oltre due chilometri.
Il lancio deve essere un misto di
forza, precisione, esperienza e velocità che coinvolge squadre di tre
persone; il formaggio viene attorcigliato con un robusto laccio, “a
lazzata”, che serve a determinare
la direzione voluta e ad imprimere
la necessaria forza al lancio, come
se si trattasse di un gigantesco yoyo. Vince la squadra che taglia per
prima il traguardo, “a sarva”, impiegando il minor numero di lanci.
Dopo aver trascorso un
paio di ore ad ammirare i lanci e
cercare di schivare le diverse forme di maiorchino che, grazie alla
velocità dei tiri e alla pendenza del
percorso, schizzavano con la pericolosità di schegge impazzite, nel
tardo pomeriggio siamo tornati al
nostro “accampamento” per riprendere i mezzi e tornare verso il
mare, fermandoci a Milazzo, nei
pressi del ristorante “la Pineta”,
dove avremmo trascorso la serata
tutti insieme per un mascheraparty organizzato dal nostro Vittorio Parrino. Ma prima ci siamo concessi una piacevole passeggiata
IL CLUB n. 92 – pag. 8
nel centro storico cittadino, ammirando le vetrine e il porticciolo.
La splendida annunciazione del Gagini nel Duomo di Novara di Sicilia
Appena tornati nei camper
hanno avuto inizio i laboriosi preparativi da parte di diversi soci per
trasformarsi in nuove identità, con
una buona dose di ironia e di allegria. Così, come per magia, dai
mezzi sono usciti Minnie con Topolino, un coloratissimo pagliaccio,
una seducente spagnola e un sanguinario pirata, accolti dalle risate
e dagli applausi dei presenti; e
questa eterogenea compagnia si è
poi incontrata all’interno del ristorante anche con un novello spadaccino, un affascinante elfo, un
mandarino cinese e un’odalisca
(vedere le foto per credere!!!).
Il ballo in maschera...
Quindi si è dato il via alla
cena, nel corso della quale il presidente, finalmente presente, ha donato un libro su Palermo e le sue
numerose chiese a Vittorio Parrino,
in qualità di Socio dell’anno 2007.
I nostri ...coraggiosi eroi
Sono poi seguiti scatenati balli sia
da parte delle nostre allegre maschere che da parte di clienti abituali del ristorante, tra liscio e allegri trenini, mentre le cavallette
BdS divoravano gli ottimi e numerosi antipasti, i maccheroni con
sugo di maiale, il tris di carne e la
macedonia di frutta.
nato con i balconi presenti, prima
di poterci sistemare nel parcheggio
del campo sportivo all’altra estremità dell’abitato. Quindi hanno
preso il via le nostre esplorazioni,
attraverso un insieme di scalinate
e di vicoletti che ci hanno condotto
nella piazza-belvedere su cui si affaccia il pregevole Duomo, ricco
all’interno
di pregevoli opere
d’arte, tra cui una Santa Caterina
di Gagini e un pergamo cinquecentesco, oltre ad una meridiana a
camera oscura, ma che purtroppo
non abbiamo potuto visitare a causa di restauri in corso.
La tappa seguente è stata
presso la chiesa della Candelora,
risalente al XIV secolo, nella quale
si trova un sontuoso altare maggiore in legno intagliato e indorato
in oro zecchino del ‘600, al cui interno i soci, in occasione delle fe-
stività della Candelora, si sono fatti
benedire la gola con le candele di
San Biagio. Grazie alla presenza di
una gentile guida della Pro Loco
abbiamo poi visitato anche la chiesa di Sant’Agata, che ospita il
gruppo marmoreo della Annunciazione, squisita opera di Gagini, oltre al simulacro in cartapesta del
SS. Crocifisso risalente al XVII secolo, oggetto della tradizione religiosa di “U Signori Longu”, nel
corso della quale viene fissato su
un palo alto dodici metri che viene
poi trasportato a spalla per le
strette vie del borgo, a dominio di
tutte le costruzioni, nel corso di
una processione che ha luogo nella
Settimana Santa e il 23 e il 25 agosto, data in cui si commemora il
miracolo della liberazione della cittadina dal colera nell’anno 1854.
Dopo una passeggiata in
Piazza Peculio, che deve il nome
all’antico Peculio frumentario, che
era il deposito del grano per i periodi di carestia, su cui affaccia il
municipio e in cui è visibile un arco
che doveva introdurre all’antico
quartiere ebraico, i presenti sono
tornati ai camper per rispettare il
rito del pranzo domenicale.
Ma prima del ritorno a casa, non è mancato un ulteriore
momento di aggregazione tutti insieme, complice la chitarra di
Mimmo Romano e le canzoni (stonate) di tutti gli altri. E poi si sono
accesi i motori, in rotta verso casa,
ma con la testa piena dei prossimi
progetti di fuga…
Testo di Mimma Ferrante
Foto di Maurizio Karra
Il grandioso altare in oro zecchino
della chiesa della Candelora di Castroreale
Dopo aver trascinato vicini
alla mezzanotte le panze fluttuanti
fin dentro i mezzi, i nostri soci si
sono concessi una buona notte di
sonno, pronti la mattina della domenica a dirigersi verso il borgo di
Castroreale, anch’esso di impronta
medievale, che è stato necessario
attraversare con i mezzi, con qualche incontro un po’ troppo ravvici-
La chitarrata del pomeriggio della domenica con le ...canzoni stonate
IL CLUB n. 92 – pag. 9
Parliamo di tecnica
Chiarezza, sicurezza della retta via e quindi certezze: questo vogliano soprattutto noi camperisti da un navigatore satellitare. Ma è sempre così?
Anima, se ti pare che abbastanza
vagabondammo per giungere a sera,
vogliamo entrare nella nostra stanza,
chiuderla, e farci un po’ primavera?
Questi
pochi versi di
Umberto Saba ci fanno rivivere le
nostre
diuturne
peregrinazioni
camperistiche: giunti a sera, prepotente si affaccia un dilemma,
comune a tutti gli equipaggi, che
riaffiora dai primordi. Dove siamo?
Dove possiamo noi dormire in pace
ed in sicurezza?
Abbiamo certamente seguito le cartine al 200.000, le più
aggiornate, con alcuni inserti al
50.000 veramente dettagliati, ma
uscendo dallo storico paesino medioevale, imboccando una rotonda
perdiamo l’ultima indicazione; ci
fermiamo per consultare ancora
una
volta
la
cartina,
ma
l’improvviso calare del sole non fa
che completare la perdita di ogni
riferimento. Inutile ripensare gli
ultimi movimenti; i ricordi si intrecciano tra statali, superstrade,
numeri a due o tre cifre, Kilometri
o miglia. Tornare indietro ci riporterebbe alla sconosciuta rotonda e
al paesino.
Ormai da qualche anno i
nostri compagni di viaggio dicono
di aver superato queste problematiche con un apparecchietto diabolico chiamato navigatore; altri invece dicono che esso sarebbe veramente d’aiuto solo se lo si tenesse spento. Partendo dal presupposto
che bisogna avere fiducia nella tecnica,
intesa come ausilio alla pigrizia
dell’uomo, mi accingo allo studio del misterioso oggetto, in vendita oggi anche
al supermercato.
Grazie alla digitalizzazione
e sequenziazione di dati, fonia e
video (cfr. “Il Club” n. 81, pag. 34
e segg.), codificati secondo opportuni protocolli, e trasmessi con
doppino telefonico, emettitori radio, antenne, nel nostro caso da
satelliti in posizione geostazionaria, noi sappiamo sempre dove
siamo. Il GPS (Global Positioning
System), che sfrutta il calcolo dei
tempi di ritorno dei segnali, con
triangolazioni tra alcuni degli oltre
27 satelliti in circolo, usato dalla
Marina Americana sin dal 1960, ce
lo dice con un’approssimazione di
circa 15 metri, in attesa del sistema europeo Galileo, civile e più
preciso, rifinanziato dopo non pochi contrasti, e dal costo finale di
3,5 miliardi di euro.
Molto è stato scritto sul
“mostruoso oggetto”, incapace di
adattarsi in modo autonomo al nostro modo di vedere, sempre oscillando tra notizie tecniche e resoconti di viaggio più o meno avventurosi dovuti proprio al navigatore,
ai suoi errori, spesso tragici, raccontati con dovizia di particolari, e
che riguardano proprio i neofiti che
si affidano totalmente alle sue indicazioni; ecco allora le cadute dagli argini nei fiumi, la scopertura
dei camper nell’inserimento sotto
basse gallerie o la precisa ed accurata guida fino a strade non ancora
...progettate.
Trovo rifugio in un negozio
specializzato, che non potrà mai
essere un supermercato, dove vale
solo la legge del minor costo, ma
nel quale però iniziano i veri problemi, perché i modelli esposti sono un centinaio, ognuno con caratteristiche peculiari, spesso speculari tra l’uno e l’altro. Ogni modello
è specializzato in un campo ben
preciso: portatile, per bici, per moto, per auto, con mappe italiane o
europee; autonomia la più varia;
costo ben determinato imposto
dalle case costruttrici; visore che
spazia da 3,5 a 4,3 pollici, ma arriva anche a 5 o 5,6 pollici, per non
dire 7; tutto schermo lcd touch
screen o schermo contornato da
tasti funzione; sensore satellitare
diventato negli ultimi tipi interno;
unità-disco elettromeccaniche di
enorme capacità (40 giga) o memoria statica; estetica piatta o posteriormente tonda; velocità di calcolo a 300 o 400 megahertz; mappe Navteq o Tele Atlas, e così via
dicendo..
Inutile chiedere informazioni al cosiddetto personale tecnico competente, che si limita a poche parole; bisogna in un primo
approccio fare aprire la vetrina e
leggere integralmente le informa-
IL CLUB n. 92 – pag. 10
zioni stampate sulle variopinte scatole di imballaggio; queste si riferiscono
a
dati
pseudotecnici
dell’oggetto, in quanto si soffermano solo su valori estetici non
funzionali e nulla dicono sul modo
di operare del software operativo
che controlla le mappe o su queste, rimandando al CD allegato,
non consultabile in loco; per meglio
dire
consultabile
dopo
l’acquisto.
Poi c’è la conoscenza diffusa dalla pubblicità della quale faccio un solo esempio. La ditta … ha
presentato il nuovo navigatore,
PND (portable navigation device),
dotato del nuovo Digital Elevation
Model 2007 e dei landmark 3D,
TMC integrato, processore da 400
Mhz, 20 canali SiRF starIII, Mp3,
photo-viewer, Bluetooth, FM...; ma
voglio sintetizzare, perché altri
modelli hanno sigle come navigation New Edition, CPU Atlas 2 Dual
Core, Secure Digital Card, foto
JPEG, filmati WMV o AVI, Reality
View, DTM, Satellite Imagery,
DVB-T, Dial a POI, flash memory.
Per quanto riguarda le
marche si va dalla ACER, ALDINET,
ALPINE, ASUS, BECKER, BLAUPUNKT, DESTINATOR tecnology,
alla GARMIN, GEOSAT, HARMAN
KARDON, LG, MAGELLAN, MICHELIN, MIO Technology, NAVIGON,
NAVTEQ,
NOKIA,
PIONEER,
QUANTUM, SIEMENS, SONY, TELE
System, TOM TOM, e sicuramente
ce ne sono altre.
Il navigatore proposto dalla rivista
PLEINAIR: si tratta di un apparecchio della Geosat che utilizza le
mappe della Garmin con software
modificato per le esigenze dei
camperisti italiani
Un navigatore Tom Tom
Navigatore Geosat
Affinando le ricerche si
comprende, infatti, che il sistema
operativo è fornito quasi esclusivamente dalla Navigon, ma esistono anche quelli proprietari: vedi
Avmap con mappe Tele Atlas su
Quantum o la nuova Bluesense
spagnola con immagini simili a
quelle di LiveEarth della Microsoft;
la Garmin, pur essendo molto più
grande della Tom Tom, è costretta
ad operare con fornitura ricontrattabile con la rivale Navtec che produce oltre l’hardware, anche le
mappe per il territorio Nordamericano ed europeo. La Tom Tom olandese ha invece acquisito - con
una feroce lotta per il controllo dei
mercati e indebitandosi oltre misura (per 3 miliardi di dollari) - la Tele Atlas che opera in Europa, ma
anche in America, e ora rifornisce
con le sue mappe la MIO, mentre
la Garmin le fornisce alla Sony, alla Acer o alla Geosat scelta da
Plein Air, con software modificato
adatto ai camper, con siti italiani.
cano i controlli!); con Bluetooth,
che mi permette di telefonare e di
ricevere escludendo il telefonino;
con scheda del digitale terrestre
che capta i programmi televisivi;
con il TMC (traffic message channel), bellissimo, della Porche; quello che mi riproduce i dvd; l’ultimo
perfetto tipo della Tom Tom, il
720, superato però dopo qualche
ora dal 720T, e da un tipo molto
impertinente che riproduce la vista
delle strade con indicatore di corsia: si chiama appunto reality…
Un moderno telefonino può inglobare anche le funzioni di navigatore satellitare
Un navigatore Garmin
Il Mio H610, un navigatore GPS
con riproduttore di musica MP3 e
altri accessori incorporati
Un navigatore Harman
Ciò per dire come il navigatore
sia diventato quasi un oggetto indispensabile, uno strumento con gradimento sempre maggiore, al di là della
sua possibile, effettiva utilità, oltre che
per l’utenza consumer anche per l’industria: l’ingordigia economica si evince dal fatto che sempre più numerose
sono le aziende che personalizzano sostanzialmente gli stessi modelli e solo
poche aggiornano il loro know how.
Io ho allora pensato di dotarmi di una decina di navigatori, i
più rappresentativi della odierna
tecnologia, per avere maggiore
possibile verità sul percorso da effettuare: quello del TCI con immagini e testi di 75 itinerari e borghi
italiani; quello con segnalazione di
curve pericolose; con livrea intonata al colore del mio camper; con
registrazione vocale degli indirizzi;
con i POI (point of interest); con
gli allarmi Autovelox (fissi, mobili,
ai semafori, sui cavalcavia, a destra o a sinistra, in un fitto reticolo
di punti senza soluzione di continuità che in definitiva ci dice come
bisogna rispettare i limiti di velocità sempre, e meno male che man-
IL CLUB n. 92 – pag. 11
Intanto si assiste al trasferimento dei dati sul mezzo personale portatile per eccellenza, cioè il
telefonino che viene fornito di sensore GPS integrato e mappe, mentre la NOKIA, vera antesignana nel
settore con il sistema Simbian, acquista la Navtec e innesca nuovi
processi. Le azioni Tom Tom, visti i
debiti, precipitano.
Intanto praticamente io
sono costretto a non muovermi
dall’ultimo campeggio dovendo
programmare il calcolo completo
dell’itinerario d’uscita dallo stesso,
che richiede uno studio accurato,
con basi scientifiche notevoli, una
buona dose di adattabilità ed inventiva ed una accurata sensibilità
allo sfioramento dello schermo tattile: guai a sollecitarlo oltre il famoso punto G...
A proposito, dove siamo??
E perché il settimo navigatore, e
solo lui, ancora non capta il terzo
satellite?
Giuseppe Eduardo Spadoni
La punta di una nuova linea
Il Kea M71 è un comodo e bel mansardato della nuova linea Kea, che ha sostituito nella
produzione 2007/2008 Mobilvetta la linea Top Driver
L’
ultima rivoluzione in
casa Mobilvetta, che ha rivoluzionato la produzione da un anno
all’altro, passa prima di tutto dalla
sostituzione della linea Top Driver,
la più venduta fino all’estate 2007,
con la nuova linea Kea, che eredita
dalla prima i modelli di base (mansardati e semintegrali) rinnovandoli fino in fondo soprattutto negli allestimenti interni. E il mansardato
M71 è, di questa linea, il modello
che certamente avrà più successo
di vendite. Vediamo di capire il
perché.
Parliamo di un comodo veicolo su meccanica Fiat Ducato, al-
lestito sia con motore 2.300 da
130 cavalli che con il più versatile
e potente 3.000 da 160 cavalli; le
dimensione generose del mezzo
non lasciamo in questo caso alcun
dubbio sulla scelta, dato che è lungo 7,34 metri.
All’esterno la mansarda ha
subito la modifica della volumetria
della cupoletta, adesso ancor meglio inserita stilisticamente sul resto della carrozzeria che si conferma in vetroresina lucida con due
finestre laterali e oblò centrale;
mentre l’interno, sia di questo
mezzo che di tutta la linea Kea, è
stato rivisitato rispetto alla precedente serie Top Driver soprattutto
L’esterno e un interno del nuovo Mobilvetta Kea M71
nei colori, sia del mobilio - adesso
più scuro rispetto al ciliegio chiaro
precedente - che delle tappezzerie
- adesso in duplice colore coordinato.
Mobilvetta Kea M71
Tipologia: autocaravan
Meccanica: Fiat Ducato 2.300 da
130 cav (optional 3.000 da 160
cav)
Lunghezza: m. 7,34
Larghezza: m. 2,33
Altezza: m. 3,08
Posti omologati: n. 6
Posti letto: n. 7 (1 matrimoniale
in mansarda e 1 ottenibile per
trasformazione della dinette centralie 2 a castello posteriori e 1
ottenibile per trasformazione
della minidinette centrale)
Serbatoio acque chiare: l. 120
Serbatoio acque grigie: l. 110
WC: kasset l. 17
Riscaldamento Airtop Webasto
3500 a gasolio
Boiler Truma 10 litri a gas
Frigorifero: trivalente l. 150
Cucina: piano cottura 3 fuochi +
forno a gas
Oblò: n. 1 maxi + 6 cm. 40x40
Prezzo: € 53.300 chiavi in mano
Uguale è invece la pianta
rispetto al passato modello M71
Top Driver, con lo schema classico
della doppia dinette anteriore, ben
illuminata dalla finestratura latera-
IL CLUB n. 92 – pag. 12
le e dal maxi oblò al tetto, e i sette
posti letto, con letti a castello e
garage
posteriori,
ottenibile
quest’ultimo dall’abbattimento del
letto in basso. Accanto alla porta di
ingresso, dalla parte opposta rispetto al comodo living anteriore,
si trova il piano cucina con lavello
e cucina a tre fuochi; accanto al
piano cucina e prima dei due letti
posteriori è posizionata la colonna
frigo (a doppia porta automatico
da 150 litri) con il forno nella parte
superiore.
Altre due prospettive degli interni del Kea M71: si notano l’eleganza e
la funzionalità degli arredi, rinnovati rispetto alla precedente serie Top
Driver che è stata sostituita quest’anno dalla linea Kea
L’angolo cucina
Dalla parte opposta, invece, in corrispondenza della colonna
frigo è posizionato l’armadio, e in
corrispondenza del piano cucina il
bagnetto che, come si evidenzia
dall’immagine qui accanto, è estremamente luminoso e arioso
(con finestra e oblò al tetto), nonché curato sia nelle dotazioni che
negli arredi: il piatto doccia, infatti,
è ovviamente separato dal resto
del vano da una comoda porta in
vetri scorrevole a fisarmonica, il wc
con cassetta Thetford è girevole e
sopra e sotto il lavabo angolare
sono sistemati eleganti e funzionali
mobili e ripiani in legno.
Le dotazioni di bordo sono
anch’esse di tutto rispetto, a partire dal riscaldamento Webasto a
gasolio. E il successo che avrà il
mezzo è determinato anche dal
suo prezzo: 53.300 euro chiavi in
mano nella versione Ducato 2.300;
circa 55.000 euro per la più potente 3.000. Il rapporto qualità-prezzo
è obiettivamente altissimo, e per
questo crediamo che Mobilvetta
abbia centrato il suo obiettivo.
Maurizio Karra
L’elegantissimo vano bagno del nuovo mansardato Mobilvetta: anche in
questo caso salta agli occhi l’eleganza e la funzionalità dell’insieme
IL CLUB n. 92 – pag. 13
Una valida idea per viaggiare in due
Vi presentiamo il Prince 420 L, un bel semintegrale targato Elnagh
I
l Prince 420 L è uno dei
più interessanti modelli della
gamma Prince, la produzione di fascia alta che la Elnagh propone
nell’ambito dei semintegrali; un
veicolo ideale per la coppia che,
alla migliore meccanica attualmente sul mercato (quella del Ducato
Fiat), accoppia anche l’ottima dotazione di bordo ed eleganti e funzionali interni.
Elnagh Prince 420 L
Tipologia: semintegrale
Meccanica: Fiat Ducato 2.300 da
130 cav (optional 3.000 da 160
cav)
Lunghezza: m. 7,00
Larghezza: m. 2,35
Altezza: m. 2,85
Posti omologati: n. 4
Posti letto: n. 4 (1 matrimoniale
pronto in coda e 1 ottenibile per
trasformazione della dinette centrale)
Serbatoio acque chiare: l. 100
Serbatoio acque grigie: l. 100
WC: kasset l. 17
Riscaldamento Airtop Webasto
3500 a gasolio
Boiler Truma 10 litri a gas
Frigorifero: trivalente l. 150
Cucina: piano cottura 3 fuochi +
forno a gas
Oblò: n. 1 maxi + 2 cm. 40x40
Prezzo: € 47.300 chiavi in mano
L’esterno del Prince
La pianta del mezzo è una
delle più classiche, con semidinette
e divanetto contrapposto nella parte anteriore, zona cucina al centro
e zona notte in coda con letto contrapposto al bagnetto. Entrando
quindi dalla porta della cellula abitativa il grande spazio fisico del
420 L della Elnagh
veicolo è subito visibile, così come
l’eleganza e il calore del mobilio,
colore ciliegio e con i pensili resi
ancor più capienti anche dalle forme bombate delle antine; ottimamente sfruttato è anche lo spazio
superiore alla cabina di guida, con
spazi e ripiani laterali ricavati
Visione d’insieme della parte anteriore del veicolo
IL CLUB n. 92 – pag. 15
Made in Italy o no
La parte posteriore dell’Elnagh
all’interno della cupoletta anteriore
e il vano centrale all’interno del
quale è collocabile su una piattaforma reclinabile già predisposta
un video lcd, facilmente nascondibile poi da un’antina scorrevole.
Anche la tappezzeria è di pregio,
anche se forse dei colori più chiari
avrebbero dato maggiore luminosità all’insieme, comunque molto elegante; la luminosità in ogni caso
è garantita dall’ampia finestratura
laterale e dal maxi-oblò del tetto.
(198x128), sotto il quale trova
spazio un maxi gavone di uguale
dimensione,
con
accesso
sia
dall’esterno che dall’interno, sollevando la rete a doghe.
Il bagnetto
Il funzionale angolo cucina
L’angolo cucina è comodo e
funzionale sia nell’arredamento
che nella logistica: lavello e piano
cottura in acciaio, cappa aspirante,
luci spot, ripiano in materiale ignifugo, mensolina laterale porta barattoli e in basso ripiani scorrevoli
e fissi oltre al classico cassetto per
le posate.
In coda vi è nella parte sinistra il letto matrimoniale basso
Accanto al letto si trova il
bagnetto, con wc girevole, lavandino angolare e vano doccia separato da una porta a vetri a fisarmonica; l’aerazione e la luce sono
garantiti da finestra e oblò.
Completano la pianta, accanto alla porta di ingresso del bagnetto, l’armadio e, vicino la porta
di ingresso (attrezzata con pattumiera e zanzariera), il frigo da 150
litri e il forno nella parte superiore.
Completa la dotazione il boiler a
gas Truma e il riscaldamento a gasolio Webasto da 3500 Kcal.
Maurizio Karra
IL CLUB n. 92 – pag. 16
Anche fra gli amanti del
viaggiare in camper esiste la diatriba fra i fautori del Made in Italy
e coloro che, a volte anche per
partito preso, snobbano la produzione di casa nostra e decantano
sempre virtù e pregi della produzione d’oltralpe (come avviene
anche con auto, elettrodomestici
ecc.). Personalmente io non sto
né con gli uni né con gli altri, anche se nella mia venticinquennale
vita di camperista ci sono stati
solo veicoli italiani. La scelta è
stata però sempre legata a
un’analisi del mercato, che con
l’esperienza si è fatta ovviamente
più attenta, relegando a un interesse marginale gli inutili abbellimenti o i costosi orpelli che come
tante sirene inducono in tentazione in particolare i neofiti, e privilegiando, al contrario, la robustezza dell’insieme, l’elasticità e
la potenza della meccanica, le reali comodità e le dotazioni tecniche di bordo; senza mai dimenticare la disponibilità finanziaria.
Mi rendo conto però che
la capacità di scegliere il veicolo
più consono alle proprie necessità
non è così facile, e quindi è secondario che la scelta avvenga fra
un mezzo italiano e uno tedesco o
francese: oltre alle dotazioni di
serie (alcune francamente inutili),
ci sono infatti gli optional che si è
propensi a montare spendendo
cifre anche molto alte, senza pensare al loro reale utilizzo futuro:
per esempio, quante volte in un
anno si usa il tendalino (1.000
euro) se non si va mai in campeggio? E nessuno riflette altresì
sul fatto che ogni accessorio
montato ha il suo peso che incide
sul camper e quindi sulla sua sicurezza e stabilità in marcia; e a
maggior ragione si può sbagliare
strutturalmente la scelta privilegiando mezzi da 6 o 7 posti anche
se si è in due. Che poi la lunghezza del camper in ambedue i casi
sia uguale (ormai sono tutti di 7
metri) è un altro discorso, ma
almeno se si sceglie un semintegrale con ampio living si starà
meglio a bordo rispetto che in un
mansardato con tante cuccette
destinate a essere utilizzate poi
solo come ripostigli.
A questo punto, se ci riproponiamo la domanda iniziale,
la risposta sarà meno ovvia: per
fare una scelta intelligente bisogna toccare con mano le cose e
non affidarsi solo a una bella fotografia e alle descrizioni di un
catalogo: italiano, francese o tedesco, meglio scegliere il proprio
camper confrontandolo concretamente con tanti altri, sedendosi
sulle dinette e sdraiandosi sul letto, salendo sulla mansarda e aprendo un gavone. Pensando
sempre al suo costo e alla nostra
disponibilità anche di indebitarci.
Che ne pensate?
Un solo Stato, un solo Popolo, un solo Capo
Il male simboleggiato da Auschwitz non è iniziato nel momento in cui si aprirono per la
prima volta le porte del campo e non è finito nel momento in cui furono spenti i suoi forni
crematori. Ed il timore che ciò possa avvenire di nuovo non può farci dimenticare Auschwitz
né ci permette di minimizzarne il significato. Ecco l’articolo vincitore del 1° premio del concorso giornalistico 2007 del Club.
28
edifici di un piano,
20.000 prigionieri; 5 milioni gli internati; 1,5 milioni i morti accertati; 2000 alla volta entravano nelle
docce da 250 mq; 15/20 i minuti
per morire; 300.000 i marchi che
ha guadagnato la ditta produttrice
del gas Ziklon B; 5/7 i Kg di gas
necessari per eliminare 1500 persone; 7000 kg i resti di capelli che
non erano riusciti ad inviare alle
fabbriche; migliaia le scarpe, i vestiti, le spazzole, i pennelli da bar-
ba, gli occhiali, le protesi; 1300
pro-capite le calorie giornaliere: 1
litro di caffé, 1 litro di minestra
senza carne, 300 gr. di pane duro
come la pietra, 30 gr. di margarina; 23/35 kg. il peso dei corpi trovati; 200 le persone che dormivano in camerate adatte a 40/50; 1
forca mobile; 1 muro della morte;
3 forni crematori; 350 i corpi cremati ogni 24 ore… E’ una gentile,
garbata e distinta signora dai capelli bianchi che ci accompagna
nella visita, che parla. Una quanti-
L’ingresso del campo di concentramento di Auschwitz e, in basso, alcune baracche divise anche fra di loro da barriere di filo spinato collegate
ad elettricità ad alto voltaggio
IL CLUB n. 92 – pag. 17
tà di numeri che ci piovono sulla
testa, ancor più impressionanti in
quanto legati ognuno ad un evento
drammatico, sconcertante.
C’eravamo già stati nel
1995 ed all’epoca il piccolo Sergio
aveva cinque anni, pochi per fissare e creare un processo logico su
dei fatti difficilmente comprensibili
anche a noi adulti. Crescendo, ha
sempre manifestato un vivo interesse per la storia di quel periodo e
un po’ per curiosità, un po’ per
confrontare il “sentito dire” con la
narrazione diretta dei fatti ha avuto il desiderio di ritornare a visitare quei luoghi. E poiché anche a
me e ad Annamaria faceva piacere
tornare nella bella terra di Polonia… siam partiti.
La stessa emozione che mi
spinse allora a scrivere qualche
riga sull’argomento muove ancora
la necessità di testimoniare lo stupore, lo sgomento, l’incredulità
che possa davvero essere accaduto, con queste righe che di sicuro
non possono far passare i sentimenti ma che almeno possano
trasmettere, con dati obiettivi ed
inconfutabili, quello che è stato
riconosciuto uno dei più spietati ed
efferati, genocidi della storia di
tutti i tempi. Un solo stato, un solo
popolo, un solo capo, questo era
lo slogan che faceva capo al pensiero di Hitler e dei vertici del III
Reich, che non volevano la germanizzazione dell’Est europeo, ma
una sua colonizzazione da parte di
gente di razza pura, di pura origine tedesca.
Fino al 1939 Oswiecim era
un tranquillo minuscolo paese di
povere case alla confluenza della
Sola con la Vistola, nella regione
di Cracovia; a quel tempo i nazisti
cambiarono il suo nome, imponendole il più tristemente noto
nome di Auschwitz. L’essere un
importante
nodo
ferroviario,
l’esistenza delle caserme polacche
pre-belliche abbandonate, il trovarsi al di fuori del centro abitato
con possibilità di ampliamento ed
isolamento delle costruzioni, furono tutte motivazioni che determi-
narono la scelta per fondarvi il
campo di concentramento. Il continuo aumento degli internati (poco
importa che fossero, ebrei, zingari,
omosessuali, criminali, studiosi
delle Sacre Scritture, detenuti ritenuti asociali dai nazisti) rese necessario l’ampliamento del campo.
Ma non fu sufficiente. Così Auschwitz divenne il campo “madre”
per tutta la rete dei nuovi campi.
Nel 1941, a circa tre chilometri da
Oswiecim, iniziò la costruzione di
un altro campo chiamato in seguito
Auschwitz II – Birkenau e nel 1942
ne fu costruito un altro a Monowice: Auschwitz III.
Unica l’entrata al campo,
ma altrettanto unica l’uscita. Nel
campo di Auschwitz si accedeva da
una porta sovrastata da una scritta
cinica: ”ARBEIT MACHT FREI” (Il
lavoro rende liberi), mentre l’unica
uscita era.. dai camini dei forni
crematori. Varcando quella soglia,
lunghe fila di tetri edifici, le vecchie camerate dei prigionieri del
campo, sono oggi gli occhi della
memoria.
Iniziamo dal blocco 7 dove
c’erano le camere di prima “accoglienza”: centinaia di foto appese
alle pareti, la marchiatura e il taglio dei capelli e lo smistamento
nei vari settori. Il blocco 10, sede
di criminosi esperimenti medici di
massa, aveva le finestre oscurate
da tavole di legno perché si affacciavano sul vicino muro della morte dove i prigionieri venivano portati nudi e fucilati, alcuni vegetavano per mesi in celle sotterranee
inumane. Il blocco 11, quella della
morte, era composto da celle di
rigore da dove non si usciva vivi,
con una piccola apertura nel muro
per l’aria: alcune misuravano 90 x
90 e vi mettevano quattro prigionieri… Padre Maksymiliam Kolbe vi
morì dopo aver scelto di dare la
propria vita in cambio di un altro
prigioniero e venne fatto Santo nel
1982 da Giovanni Paolo II. Una costruzione bassa ospita i forni crematori: c’e’ poca luce in questi locali, anche perché i muri e il soffitto sono completamente anneriti.
Il blocco 5 è adibito a museo e raccoglie le migliaia di oggetti trovati dopo l’evacuazione, montagne di scarpe, capelli, valigie,
vestiti, occhiali, documenti ecc…
sono conservati in memoria di
questo luogo. All’esterno le indimenticabili recinzioni di filo spinato
con la corrente elettrica: a volte
alcuni vi si lanciavano contro esau-
Auschwitz II – Birchenau: in alto la fine del binario che vi conduceva i
deportati; in basso uno dei dormitori
sti di vivere… Ai nuovi arrivati si
confiscavano i vestiti e qualsiasi
effetto personale, si rasava loro i
capelli, quindi venivano contrassegnati con un numero e registrati.
Inizialmente ogni detenuto veniva
fotografato in tre pose, ma poi per
l’alto costo del sistema, fu introdotto il tatuaggio e, a secondo dei
motivi dell’arresto, i detenuti venivano contrassegnati da triangoli di
diverso colore cuciti sulle casacche
insieme al numero di matricola. Gli
Ebrei ricevevano una stella formata da un triangolo di colore giallo
incrociato con un triangolo che indicava il motivo dell’arresto. Agli
zingari triangolo nero, agli studiosi
delle Sacre Scritture triangolo viola, agli omosessuali rosa, ai criminali verde.
Dall’Alta Slesia, dalla Slovacchia, dalla Francia, dal Belgio,
dall’Olanda, dalla Germania, dalla
Norvegia, dalla Lituania, dall’URSS,
IL CLUB n. 92 – pag. 18
dalla Grecia, dall’Ungheria e da altri Paesi dell’Europa occupata, migliaia e migliaia di Ebrei europei
morirono gradualmente per fame,
per le micidiali condizioni igieniche,
per le malattie, le epidemie, per gli
esperimenti, le vessazioni, le percosse, le violenze e per le esecuzioni singole e collettive che venivano spesso eseguite dopo 5-10
minuti di processo molto sommario. Molti degli Ebrei condotti allo
sterminio nel campo di Auschwitz
erano convinti di essere deportati
ad abitare aree dell’Europa orientale. Furono ingannati con l’offerta
di un lavoro o di una fabbriche,
con la vendita di inesistenti terreni
edilizi e fattorie, ed è per questo
che spesso portavano con sé, al
campo di concentramento, le cose
più preziose che possedevano.
I treni si fermavano alla
stazione ferroviaria di Auschwitz
dopo sette ma anche dieci giorni di
viaggio, piombati e sigillati. Quando si levavano le spranghe per aprire le porte dei vagoni, spesso
parte dei deportati, specialmente
vecchi e bambini, era deceduta e i
rimanenti si trovavano in un estremo stato di degrado e di esaurimento fisico. Si ritiene che circa il
70/75% dei deportati che arrivavano ad Auschwitz sia stato portato direttamente nelle camere a
gas. Le persone entravano tranquille negli spogliatoi sotterranei,
rassicurate dal fatto che si sarebbero andate a lavare. Passavano
quindi in un altro locale simile ad
una sala da bagno con al soffitto
installate delle docce, per le quali
però non è mai passata dell’acqua.
Dopo la chiusura delle porte 15-20
minuti e le vittime morivano soffocate. Per i bambini nessuna particolare pietà: venivano trattati come gli adulti, contrassegnati come
prigionieri politici dovevano lavorare duramente, i gemelli servivano
da cavie per esperimenti criminali.
Il clima malarico di Oswiecim, le pessime condizioni abitative, la fame, il freddo, il vestiario
insufficiente ed impotente contro il
freddo, non cambiato e non lavato
per lunghi periodi, i topi e gli insetti, erano causa della diffusione di
malattie ed epidemie che decimavano i prigionieri. I più deboli o coloro che non davano speranze per
una pronta guarigione, venivano
portati nelle camere a gas oppure
soppressi
in
ospedale
con
un’iniezione di fenolo al cuore. I
medici delle SS con il prof. Carl
Clauberg ed il dott. Mengele sottoposero ad esperimenti criminosi di
sterilizzazione molte donne ed i
bambini, gemelli o menomati fisici,
ad esperimenti terribili. Rottura di
ossa, uso di acidi, innesti di pelle,
mutilazioni permanenti.
Il detenuto poteva essere
punito per tutto: per aver colto
una mela, per aver sbrigato un bisogno fisiologico durante il lavoro,
perché ritenuto lento nel lavoro. Si
punivano con le fustigazioni, appendendoli ad appositi paletti per
le mani legate dietro la schiena,
con lavori punitivi speciali, con esercitazioni punitive, obbligandoli a
stare per ore ed ore in posizione
eretta, costringendoli in minuscole
celle, con un foro per l’aerazione di
cinque centimetri anche in quattro,
in piedi. Non ci si poteva sedere,
non si poteva dormire, si poteva
morire per soffocamento. Spesso i
puniti ricevevano le razioni alimen-
tari ridotte ed erano costretti ad
eseguire i lavori più duri… Visitando Auschwitz, quindi, l'angoscia è
totale. Prima di lasciare il campo
mi soffermo davanti all'unico forno
crematorio ancora esistente, sul
quale è stata adagiata una ghirlanda tricolore... Davanti a quel
forno, dove i corpi venivano bruciati, ti senti inerme, inutile. Tutta
l'umanità dovrebbe almeno una
volta prostrarsi davanti al più
grande monumento dell'odio.
Ci spostiamo col camper a
pochi chilometri per raggiungere
Birkenau (Auschwitz 2), posteggiamo a pochi metri dall’ingresso
del campo. Quando nel 1944 fu
terminata la costruzione di un apposito scalo ferroviario, i morti viventi proseguivano fino a Birzezinka (Auschwitz II – Birkenau). Entriamo da sotto la torretta di sorveglianza, chiamato il cancello della morte, da dove entravano i treni
con i deportati; questo era molto
più grande del campo precedente,
e qui vennero sterminati 1 milione
di ebrei.
L'impatto è, se possibile,
ancora più forte. Davanti agli occhi
si estende un campo infinito, tutto
delimitato da alti pali, uniti fra loro
da cupi e lunghi fili spinati e vi
posso garantire che, appena avvistate le baracche con i binari che
tagliano in due il campo di concentramento, allora vi vengono i brividi; il giro a piedi è lungo, ma è
consigliabile farlo tutto entrando
nelle baracche a vedere le classiche strutture in legno trasformate
in letti. Dopo questa visita avrete
ancora più chiara l’idea di ciò che è
stato lo sterminio degli ebrei.
L'ingresso è attraverso un
arco sovrastato da una grande torretta di avvistamento. Sotto l'arco
scorrono i binari del treno, sui quali correvano i convogli dei deportati. I binari corrono rettilinei per circa un chilometro, terminando in un
grande spiazzo dove fino al 1945,
prima di essere distrutti dai tedeschi poco prima della liberazione
del campo, sorgevano i tre grandi
forni crematori dove allora, ufficiali
e medici selezionavano gli ebrei
deportati, inviando gli abili al lavoro ed i disabili alla camere a gas e
dove oggi, si ergono, a memoria
eterna, funebri macerie ed un monumento in ricordo dei morti.
A destra e sinistra dei binari si ergono le grandi baracche in
legno e muratura dove erano ammassati gli ospiti del campo. Den-
IL CLUB n. 92 – pag. 19
tro quegli ambienti, camminando
sullo sconnesso pavimento in cemento grezzo, fra i letti a castello
fatti con rozze tavolacce, sembra
di vedere i deportati, lì ammassati
come bestie dentro quei cassoni in
legno che di letto non hanno neanche la funzione.
Non saprei spiegare meglio
di come riportato da un libro, il
trattamento riservato agli ospiti del
campo: Le donne a Birkenau furono collocate in baracche predestinate a stalle per cavalli, senza finestre, solo piccoli vetri opachi
sotto al soffitto, fra il tetto e le pareti vi erano aperture per ventilare
da dove entrava pioggia, vento,
neve, come del resto dal soffitto
bucato. Il pavimento di argilla diventava presto infangato, le scarpe
costituiscono una rarità, le poche
fortunate posseggono zoccoli di legno; il cambio della biancheria è
molto raro e quando avviene si ricevono solo stracci sporchi e laceri,
all’inizio non era previsto lavarsi, le
donne si lavavano con il caffé o tè
che compravano dalle compagne in
cambio di pane; i pidocchi, la
scabbia, la mancanza d’acqua non
erano la cosa peggiore, l’incubo
era il quotidiano uso delle latrine,
lunghi blocchi di cemento dove vi
erano due file di fori, alla fine del
blocco il canale di scolo trasformava la terra in fango misto ad escrementi una latrina serviva ad
alcune migliaia di donne…
Nessuno è in grado di
comprendere in pieno né di ricostruire le condizioni di vita ed il
dramma di oltre un milione di deportati nel campo. Auschwitz, il più
grande e noto campo nazista di
morte è diventato il simbolo stesso
dell’olocausto, ovvero dell’annientamento sistematico di ebrei, zingari, prigionieri di guerra e deportati di varie nazionalità. Ciò che
rimane dalla visita, grazie anche
alle informazioni della gentile guida, è la profonda persuasione che
il male simboleggiato da Auschwitz
non è iniziato nel momento in cui
si aprirono per la prima volta le
porte del campo e non è finito nel
momento in cui furono spenti i suoi
forni crematori. Ed il timore che ciò
possa avvenire di nuovo non può
farci dimenticare Auschwitz né ci
permette di minimizzarne il significato.
Luigi Fiscella
Voglia di libertà
In giro per la Spagna, la Francia e il Portogallo
I
nteressati ed affascinati
dal percorso del Camino di Santiago, nonché da alcune località della
Spagna, della Francia e del Portogallo, nei primi del mese di Luglio
decidiamo di partire con il nostro
camper (si tratta del nostro primo
viaggio – in camper - in Europa).
Siamo desiderosi di percorrere
l’itinerario del Camino di Santiago,
noto anche come Camino de las
Estralles: sarebbe stato, per noi,
emozionante vedere i “Peregrini”,
incontrare i “caminantes” dotati
soltanto di capa (tabarro), cappellaccio, zucca a mò di borraccia,
bastone e conchiglia.
Così, animati di buona volontà, dopo aver attraversato
l’Italia, abbiamo iniziato il percorso
da Jaca, procurandoci anche la
“Credencial del Peregrino” così da
percorrere, giorno dopo giorno, le
strade del cammino. La città di Jaca è situata al nord-ovest della
provincia spagnola, nella valle del
fiume Argon e ai piedi del monte
Oroel, nel cuore dei Pirenei. Arrivati nel tardo pomeriggio dopo aver
parcheggiato il camper in una
piazzetta vicino al centro della città, ci siamo incamminati verso le
strade del centro storico, ammirando i negozi e le indicazioni del
camino e, la sera, fermandoci ad
ammirare gli effetti dell’illuminazione nella zona pedonale, e infine
assaggiando e gustando “Tapas
variedados”.
Proseguiamo poi verso la
città di Pamplona con visita veloce
al centro città, quindi verso Logrono, città accogliente ed allegra.
Qui visitiamo le vie del centro che
sono piene di bar di pinchos da accompagnare con un buon vino di
denominazione Rioja; ed infine
raggiungiamo Burgos, la città del
Cid (dall’Arabo Sidi, cioè signore e
grande guerriero), visitando la
Cattedrale, dichiarata patrimonio
dell’Umanità. La costruzione delle
sue strutture principali richiese una
quarantina d’anni di lavori, e venne consacrata nel 1260. Si passa
dal gotico al rinascimentale, dal
barocco al neoclassico. La facciata
con le due stupende torri laterali
colpisce per la maestosità e lo
slancio verticale.
Il viaggio prosegue fino a
raggiungere Santiago de Compostela, capoluogo della Galizia, situata in provincia di A Coruna),
luogo di continue peregrinazioni
religiose di devoti provenienti da
tutto il mondo. Qui ci dedichiamo
alla visita della maestosa Cattedrale e dei luoghi dei “Peregrini”.
Ultimato il Camino scendiamo verso il Portogallo. Dopo
aver percorso strade interne arri-
viamo così ad Oporto (in portoghese Porto), seconda città del
Portogallo, situata sulla riva del
fiume Douro, vicino all’Oceano Atlantico. Dopo aver parcheggiato il
camper facciamo una visita veloce
al centro e assaggi di baccalà, per
poi
proseguire il viaggio verso
Braga con la visita della Cattedrale. Quindi, partenza per il Santuario “do Bom Jesus do monte barocco”, su un colle cui si accede da
I Peregrinos lungo il Camino de Santiago e, in basso, la conchiglia che è
il simbolo del pellegrinaggio lungo il “Camino”
IL CLUB n. 92 – pag. 20
Un’immagine del centro storico di Porto
In basso il lungomare di Donostia - San Sebastian
una spettacolare gradinata adorna
di fontane e statue allegoriche.
La mattina seguente ci si
avvia verso A Coruna per la visita
della città: molto bello il viale della
Marina, anche se quasi tutti gli edifici avevano le verande chiuse. La
chiusura della veranda forma una
camera termica per proteggere le
facciate dalla pioggia migliorando
altresì la conservazione del calore
in inverno e del fresco in estate:
un insieme architettonico molto
bello. Questa scenografia a vetri
delle verande si presenta come
uno specchio che raccoglie i riflessi
della luce dall’alba al tramonto e
per questo A Coruna viene definita
la “città di vetro”. Qui assaggiamo
l’Empanada con Bonita o pulpo,
una pastafrolla ripiena con tonno o
polipo cotta al forno.
Sempre animati di interesse per visitare anche i piccoli centri, ci avviamo a percorrere le strade che costeggiano le spiagge lungo il mar cantabrico. Da una cittadina ad un’altra arriviamo a Donostia-San Sebastiàn, a circa 20 Km.
dal confine con la Francia, e ci fermiamo per tre giorni, ospiti presso
una nostra carissima amica, parcheggiando il camper all’interno
della sua villa situata presso il fiume Uumea, a 500 mt dal centro
storico e dalla Cattedrale.
Il primo giorno viene dedicato alla visita della città di Dono-
IL CLUB n. 92 – pag. 21
stia San Sebastian, ammirando le
varie bellezze – la Cattedrale, il
centro storico, la Chiesa di San
Sebastian, il pittoresco lungomare
con le spiaggie, la Concha, la Zurriola, l’Ondarreta, che la rendono
una
città
turistica,
con
l’esposizione di statue in bronzo
sul lungomare, uno spettacolo architettonico straordinario. La sera
la occupiamo con una lunga passeggiata nel centro storico con
una sosta in taverna per le tapas e
per rinfrescarci assaggiando un
cocktail a base di coca-cola e
whisky con ghiaccio.
Il secondo giorno è dedicato a visitare Biarritz, centro balneare, molto raffinato e stupendo,
curato in tutta la costa, con viottoli e passerelle che si inoltrano nel
mare. La città di Biarritz è famosa
per il turismo d’èlite, fatto di moda
e locali branchès. Molto belle le
dimore stile liberty sul lungomare.
Facciamo una visita anche alla basilica di Arantzazu dedicata a SS.
Maria, realizzata nel 1468, con accanto il convento di suore. Nel
pomeriggio trasferimento ed escursione sulla montagna de la
Rhune con il piccolo trenino, e poi
visita alla città basca di Onati,
molto bella e curata, piena di verde e fiori. La sera, a conclusione
della giornata, cena in agriturismo
a base di ciervo e corsero (cervo
ed agnello) con asparagi e carciofi
piccoli, specialità del luogo e di
una qualità eccezionale.
Il terzo giorno lo passiamo
in vero relax a mare, su una
spiaggia attrezzatissima e ben curata, “la Concha”. Nel pomeriggio,
per effetto dell’alta marea, notiamo che il mare, con forte onde,
entra nel fiume (uno spettacolo
affascinante).
Lasciata Donostia San Sebastian, continuiamo il viaggio verso i piccoli centri. Aiutati dal navigatore satellitare, percorriamo le
autostrade, senza pagare, ed usciamo tranquillamente nei centri
minori per il pranzo e la visita delle
cittadine. Con l’aiuto sempre del
navigatore usiamo le strade più
veloci per non perderci in stradelle
o trazzere. Attraversando le frazioni o i piccoli centri si è attratti
dalle numerose chiesette, che con
le loro semplici facciate e la loro
articolazione animano le piazze. Si
notano i prodotti artigianali e le loro tradizioni e scendendo poi per i
tornanti dei Pirenei si scopre la
bellezza del paesaggio. Compene-
trarsi con la natura, lasciarsi sedurre dai costumi della civiltà contadina e godere del fascino del posto è meraviglioso.
Il nostro viaggio continua
verso Lourdes, dove ci fermiamo
per una visita al Santuario ed alla
grotta della Madonna, utilizzando il
parcheggio “Parc Bus Arrouza”. Altra sosta a Perpignan con pranzo e
visita del Palazzo Reale del Mediterraneo Medievale, un palazzofortezza in stile gotico. La pianta è
organizzata intorno a tre corti (circa sessanta metri di lato). I muri,
costruiti con ciottoli e mattoni legati a malta, sono rivestiti a calce
e dipinti. L’entrata del palazzo è
protetta da un fossato e da una
feritoia merlata.
Proseguiamo il viaggio verso la città di Narbonne, fermandoci
lungo la strada per assaggi ed acquisto di vino e moscato, prodotti
nella zona dei Pirenei Orientali
(A.O.C. Muscat de Rivesaltes). La
strada che si percorreva era fornita
di aree idonee per pic-nic, comprendo anche zone riservate per
carico e scarico del camper.
Arrivati a Narbonne parcheggiamo il camper nei pressi del
Canal de la Robine, in un posteggio
gratuito anche per la notte di Avenue Victor Ugo: un posto sicuro,
tranquillo, rilassante e vicino al
centro città. Visitiamo la Cattedrale
di Saint-Just e Sant Pasteur, il Tresor, la via Domitia (antica via che
legava l’Italia alla Spagna ) restaurata nel 1997, la piazza del Comune, centro nevralgico della città. Ci
colpiscono il giardino ed il chiostro
della Cattedrale, con le gallerie
sotterranee del periodo romano; e
passeggiando sotto l’ombra di platani centenari che costeggiano il
canale, attraversiamo il ponte dei
mercanti.
La mattina successiva visitiamo Les Halles (il mercato del
pesce), nel cuore della città, dove
assaggiamo le ostriche con una
spruzzata di limone (il costo delle
ostriche è di € 4,00 al Kg). Ne approfittiamo anche per fare uno
stripping al nostro cane presso un
salone d’estetica del cane, limitrofo
al Comune.
Ci avviamo il giorno successivo verso Sète, la piccola Venezia del Languedoc, che è situata
fra il Mediterraneo e lo stagno di
Thau, separata dal Cap d’adge da
dodici chilometri di spiagge dalla
sabbia finissima. Per pranzo ci
fermiamo lungo la spiaggia, facen-
Il mercato del pesce di Narbone. In basso vini della Camargue
do anche il bagno e rilassandoci,
prendendo il sole, parcheggiando il
camper vicinissimo alla spiaggia.
La sera ci spostiamo, per la notte,
al porto di Sète. Molto caratteristici
IL CLUB n. 92 – pag. 22
sono qui i quartieri dei pescatori,
con le case delle facciate colorate e
molti gabbiani in volo lungo i canali; la sera passeggiata e cena in un
locale tipico dove assaggiamo la
“bourride” (una zuppa di pesce
molto buona), l’emjillòn (le cozze),
l’huitres (le ostriche) e altri piatti
di mare. Assistiamo anche a una
giostra nautica, in cui i cavalieri
moderni si affrontano sulle acque
del canale nello splendido “Thèatre
de la Mer” (teatro del mare). Caratteristico il giro in nave del canale, che attraversa tutta la città.
Il Thèatre de la Mer a Sète
L’indomani, di buon mattino partiamo percorrendo la strada
che costeggia il canale du Midi.
Questo canale venne costruito nel
sec. XVII per collegare l’Atlantico
al Mediterraneo attraverso l’Aude
da ovest verso est, su più di 100
Km. Si tratta di un patrimonio architettonico eccezionale: lungo 240
Km. in totale, il canale presenta le
più antiche invenzioni in termine di
maestria idraulica e di opere
d’arte, alcune mai modificate fin
dalla loro costruzione, e una strada
di alaggio costeggiata da alberi secolari (il canale du MIDI è stato inserito dall’Unesco, a dicembre
1996, nel Patrimonio Mondiale
dell’Umanità. Percorriamo anche la
strada che costeggia il Golf du
Lion, e nella mattinata ci fermiamo
per visitare il paese medievale di
Aigues Mortes con una torre massiccia e salda, emblema prestigioso
della sovranità reale.
Le mura di cinta della città
formano un quadrilatero quasi perfetto, con torri e ponti. che si sviluppano lungo un perimetro di
1634 metri. Alle porte di Aigues
Mortes si trova l’insediamento delle
“Salin du MIDI “ che per la Francia
rappresenta il più importante centro di produzione di sale marino.
Le
prime
saline
risalgono
all’antichità e oggi si estendono su
una superficie di circa 10.000 ettari di terre selvagge dove l’acqua
del mare, dopo essere stata pompata, circola per un periodo di cinque mesi concentrandosi progressivamente, fino a consentire la cristallizzazione che avviene, appunto, nelle saline. Il sale raccolto vie-
Riflessioni
Il viaggio: E’ durato 30 giorni, con una percorrenza di Km. 7.500. Tutto è andato meravigliosamente bene, sia per la temperatura trovata,
sia per la comodità di guida del nostro camper nonché delle ottime
strade percorse. Il viaggio non è stato faticoso proprio perché abbiamo
percorso strade che sono, come dice Braudel, “le più belle del mondo,
splendidamente disegnate, che seguono le ondulazioni e parlano il linguaggio particolareggiato del rilievo”. Siamo stati aiutati molto anche
dal navigatore satellitare oltre che dalle mappe stradali aggiornate, con
facilità di accesso alle città e posti di parcheggio, senza mai fermarci
per chiedere informazioni a passanti e quindi senza perdere del tempo
inutile. Lungo tutto il percorso abbiamo parcheggiato e dormito generalmente nei centri minori, nel pieno rispetto degli usi cittadini, della
popolazione residente, della natura e dell’ambiente, assaggiando e gustando i prodotti tipici del posto. E siamo stati svegliati, molto spesso,
dal canto del gallo! Quasi sempre trovavamo fontanelle per il carico acqua del camper, e così non abbiamo avuto alcuna necessità di usare
campeggi. Essendo autonomi nel camper anche per l’energia elettrica,
grazie all’inverter nel camper, usavamo molto il computer portatile per
scaricare le foto, scattate a migliaia, lungo la strada.
La Spagna: Conoscevamo la Spagna ma abbiamo visto una nazione
mutata, nuova, proiettata ed inserita fra le grandi potenze industriali
del mondo. E abbiamo visto, entrando attraverso la più sofisticata delle
vie, quel Camino di Santiago che da secoli porta i pellegrini fino in Galizia, una regione elegante e raffinata.
La Francia: Molti pensano: “Parigi è la Francia”; la grande città, non
c’è dubbio, domina ed affascina, ma il piccolo, con la dimensione locale,
resiste ed è molto bello da vedere. In Francia, forse più che altrove,
rimane viva la tradizione locale che si percepisce anche semplicemente
bevendo un caffé all’ombra dei platani nelle piazze di paesi e cittadine,
osservando il numero straordinario di musei locali e perfino la varietà
delle tradizioni eno-gastronomiche, conservate e ostentate con fierezza. Il fascino della Francia è nella provincia, nei suoi centri minori, con i
loro quartieri storici ben conservati; centri localizzati quasi sempre lungo i fiumi, piccoli corsi tranquilli collegati da reti di trasporto moderne
ed efficienti, con strade splendidamente percorribili che seguono le ondulazioni del rilievo del terreno circostante.
ne ammassato in cumuli, formando
montagnole di oltre 20 metri di altezza e 400 di lunghezza.
Dopo la visita del paese
medievale ci si avvia verso Saintes
Maries de la Mer, che merita una
sosta per la sua atmosfera; è di
fatto la “capitale” della Camargue,
in Provence, un’area dove si trovano molti allevamenti di cavalli
bianchi con i quali vi è la possibilità
di passeggiate guidate lungo i sentieri della riserva naturale, per osservare fenicotteri. In questa zona
è possibile assistere anche alla
corrida di tori neri.
Si pranza in un parcheggio
all’ombra e si prosegue il viaggio
sulla strada che costeggia il mare
della “Còte d’Azur”. attraversando
Frejus, Cannes, Nice, Menton. Ci
fermiamo anche nel centro di Montecarlo per una visita al Casinò e al
Cafè de Paris con la bellissima
piazza, piena di piante e fiori; infine giungiamo per parcheggiare e
dormire a San Remo.
L’indomani ci avviamo per il
IL CLUB n. 92 – pag. 23
rientro graduale e riposante verso
casa, percorrendo la strada che
costeggia il mare e fermandoci per
la notte a Marina di Carrara in località Fossa Mestra in un parcheggio con possibilità di carico, assistendo anche allo spettacolo di
“Fontane in Concerto” in piazza. La
mattina seguente, soddisfatti del
concerto, continuiamo la discesa
fermandoci per la notte al lago Sirino, a 15 Km. dall’uscita di Lagonegro dell’autostrada dove di fronte a un albergo–ristorante si trova
un parcheggio tranquillo e rilassante
con
una
fontanella
per
l’eventuale carico di acqua nelle
vicinanze.
Riposati e soddisfatti, di
buon mattino, ci si rimette in camper per continuare il nostro rientro
e per essere la sera a casa. Come
previsto, con questo viaggio ci portiamo dietro un’esperienza in più e
siamo pronti a programmare e ad
affrontare nuovi viaggi.
Larisa ed Emanuele Amenta
Quel paradiso lassù tra i monti
Il Parco Nazionale del Gran Paradiso, fra la Valle Orco in Piemonte e la Valsavarenche in
Valle d’Aosta, offre uno scenario naturalistico di incomparabile bellezza per passeggiate a
piedi e gite in mountain bike
I
l Parco Nazionale del
Gran Paradiso, primo Parco Nazionale istituito in Italia nel 1922, abbraccia un territorio di oltre 70 mila ettari, compreso fra le Valli Orco
e Soana in Piemonte, le Valli di
Cogne, Rhemes e Savarenche in
Valle d’Aosta. Boschi di larici e abeti, vaste praterie alpine, rocce e
ghiacciai costituiscono lo scenario
ideale per la vita di una fauna straordinaria che ha nello stambecco il
suo animale simbolo.
La Valle Orco
La Valle Orco, sul versante
piemontese del Parco, prende il
nome dall'omonimo torrente che
nasce a ridosso dell'altipiano del
Nivolet a 2300 metri di altezza e
percorre l'intera vallata che nei toponimi viene anche indicata come
"valle di Locana". Intorno al 1859
la Valle Orco visse un momento di
grande visibilità grazie alle “incursioni” di Vittorio Emanuele II, il
“Re cacciatore” al quale il Comune
di Ceresole aveva ceduto il diritto
di caccia su camosci e stambecchi,
ottenendo in cambio il titolo onorifico “Reale”.
Ceresole era anche meta
delle escursioni estive della Regina
Margherita, di Giosuè Carducci, di
Guido Gozzano. Fra fine ‘800 e inizio ‘900, Ceresole visse una stagione di turismo di elite, di moda
fra la borghesia torinese, legata
alla presenza dei Savoia e alla fonte di acque minerali molto conosciuta e apprezzata. Segni di
quell’epoca sono le architetture di
pregio del Grand Hotel e di alcune
ville. L’attività economica era legata,
inoltre,
all’agricoltura
e
all’allevamento del bestiame, soprattutto nel vasto pianoro del capoluogo.
In seguito, con la realizzazione del bacino artificiale dell’Aem
di Torino, inaugurato il 2 agosto
del 1931 dall’allora Principe ereditario
Umberto
di
Savoia,
l’economia del centro montano
cominciò a gravitare intorno ai
nuovi impianti idroelettrici, esempio straordinario di sfruttamento
delle acque dell’Orco e dei suoi affluenti. La vocazione turistica di
Ceresole Reale ha cominciato a riprendere quota alla fine degli anni
’80, con una serie di interventi mirati alla valorizzazione di questa
importante area del Parco del Gran
Paradiso.
La Valsavarenche
Racchiusa dal massiccio del
Gran Paradiso, la Valsavarenche
confina con le Valli di Rhemes e
Cogne, mentre proprio attraverso il
Nivolet confina con la Valle Orco.
E’ attraversata dal torrente Savara, che si getta nella Dora Baltea
nei pressi di Villeneuve (AO). Grazie alle sue caratteristiche, la valle
è
rimasta
a
lungo
isolata;
l’interesse turistico nei suoi confronti si è sviluppato solo a partire
dall’Ottocento, quando il re Vittorio
Emanuele II la scelse come meta
prediletta delle battute di caccia, di
cui era grande appassionato.
Oltre che da camosci e
stambecchi, le montagne della Valsavarenche sono abitate da aquile
reali, gipeti e i più grandi rapaci
alpini. Il territorio è estremamente
Panorami della Valle Orco e della Valsavarenche
IL CLUB n. 92 – pag. 24
e la valle dell’Orco (Dondeynaz,
Lauson, Orvieille, Nivolet e Gran
Piano), passando per le valli di
Cogne e Valsavarenche. Nella zona del Nivolet passa il collegamento tra la Casa reale di Orvieille e il
Gran Piano di Noasca, attraverso
l’attuale Rifugio Savoia (circa 55
chilometri di percorso).
La costruzione della strada
asfaltata ha interrotto la continuità
dell’antico percorso reale, che è
però ancora in larga misura percorribile, in mezzo a scenari di
grande interesse naturalistico e
paesaggistico, ed è parte di numerosi itinerari all’interno dell’area.
Le escursioni al Nivolet
Escursionisti nel Parco
vario, con ghiacciai e laghi alpini,
che caratterizzano il paesaggio
d’alta quota, ed è base di partenza
per l’ascesa al Gran Paradiso (m
4061), l’unico 4000 interamente
italiano.
La Valsavarenche è attraversata da una strada che dal piccolo comune di Introd, all’imbocco
della valle, raggiunge Dégioz, a
1540 metri, ai piedi della Grivola e
del Gran Nomenon, e arriva a Pont
per terminare proprio alle falde del
Gran Paradiso.
Una cascata della valsavarenche
L’altopiano del Nivolet
L’altopiano del Nivolet si
estende per circa sei chilometri fra
l’alta
Val
Savarenche
(Valle
d’Aosta) e la Valle Orco (Piemonte), ad una quota media di circa
2.420 metri. E’ un pianoro particolarmente ricco di acque grazie alla
Dora del Nivolet e ai due piccoli laghi alpini con accanto molte torbiere a rendere unico il paesaggio. Un
delicato ecosistema in cui si possono osservare specie alpine piuttosto rare come il Ranuncolo Acquatico, con fiori bianchi galleggianti; il Sedum Villosum, con fiori
rosa e foglie grasse; o i diffusi Eriofori, che durante la fioritura, dipingono caratteristici ciuffetti bianchi sulla radura del Nivolet.
Fra i 1.500 e la sommità
del Nivolet inoltre è ancora possibile osservare la Stella Alpina (Leontopodium
alpinum),
simbolo
dell’alta montagna, il Génépy (Artemisia Spicata o Glacialis) da cui
si ricava la famosa bevanda e il
Giglio di monte (Paradisea Liliastrum), che è stato scelto come
simbolo per il Giardino Botanico
Paradisia (all’imbocco del Parco
nazionale in Valnontey, Cogne).
Dal colle del Nivolet non è
raro sentire il richiamo delle marmotte e osservarle lungo i sentieri.
Inoltre, specie con l’aiuto delle
Guide del Parco, è possibile avvistare stambecchi, camosci, poiane,
gheppi e…con un po’ di fortuna,
perfino le aquile reali che ancora
popolano il Parco Nazionale del
Gran Paradiso.
Nell’Ottocento l’area dell’odierno Parco Nazionale del Gran
Paradiso fu interessata dalla realizzazione di una serie di mulattiere e
sentieri voluti dai sovrani sabaudi
per la loro attività venatoria. Il sistema stradale, superiore ai 156
km totali per la sola dorsale principale, collegava cinque palazzine di
caccia tra la valle di Champorcher
IL CLUB n. 92 – pag. 25
Il progetto di regolamentazione del traffico domenicale
permette di assaporare il Nivolet e
il suo territorio con maggiore attenzione, alla scoperta di scenari
naturali di grande fascino. Si possono infatti visitare luoghi storici,
come le case di caccia fatte costruire da Vittorio Emanuele II alla
fine dell’800 o percorrere i numerosi “sentieri natura” che con l'aiuto di un opuscolo (consegnato
all’inizio dell’itinerario presso il
punto informativo) e indicazione
sul terreno, consentono al visitatore (perfino ai nonvedenti!) di conoscere l'ambiente, le realtà locali e
la flora.
Le località del Serrù, del
Chapili, di Ceresole Reale (che si
estendono a sud del Nivolet e sono
dotate di parcheggi custoditi) o
della Valsavarenche (versante valdostano del Parco Nazionale Gran
Paradiso) presentano molti itinerari
(alcuni più brevi e altri di qualche
ore) che conducono al Nivolet o nei
dintorni. Eccone alcuni da percorrere a piedi.
•
I Sensi in gioco - Ceresole
Reale (Valle Orco) - 6 km dal
Nivolet: E’ un sentiero natura
unico nel suo genere, indirizzato ai non-vedenti. Un itinerario
guidato, lungo oltre un chilometro e con modesta pendenza, percorribile dai non vedenti
e da persone con difficoltà di
ambulazione che possono avvalersi del mancorrente. Permette il transito con carrozzina
ma
la
pendenza
richiede
l’intervento di un accompagnatore. E’ il primo sentiero realizzato dal Parco per disabili. Il
progetto è stato realizzato grazie a un contributo messo a disposizione dal Conai (Consor-
•
•
•
•
zio Nazionale Imballaggi), da
tempo sensibile alle tematiche
ambientali e ai temi dei materiali riciclabili.
Vallone del Roc - Noasca (Valle
Orco) - 8 km dal Nivolet: Il
sentiero natura del Roc, vallone laterale della Valle Orco, si
snoda in un ambiente in cui la
secolare presenza dell’uomo ha
lasciato preziose testimonianze
fra borgate e terrazzamenti. In
frazione Maison, l’antica scuola
elementare è stata trasformata
in Eco museo. Il percorso si
svolge interamente su un sentiero ben tracciato e segnalato,
con partenza poco a monte di
Noasca e arrivo, con itinerario
circolare, presso la frazione
Pianchetti. Il tempo medio di
percorrenza è di 3 ore.
Noasca (Valle Orco): Questo
sentiero natura rappresenta
un’utile traccia per prepararsi a
conoscere il Parco Nazionale
del Gran Paradiso. Il tracciato,
che dal paese di Noasca si sviluppa lungo un anello al di là
del torrente, è ricco di informazioni naturalistiche particolarmente utili per un lavoro didattico sui bambini ma divertente anche per le famiglie.
Dal Colle del Nivolet al Lago
Lillet (Valle Orco) - Dislivello in
salita: 650 mt - Tempo di salita: 4 ore): L’itinerario inizia ai
piedi del Colle del Nivolet nella
zona denominata Losere, dove
si prende la strada reale segnata, che aggira la Costa della Civetta e raggiunge l’Alpe
Combetta. Da qui si può godere di uno splendido punto panoramico.
Si
sale
quindi
all’Alpe Comba per poi raggiungere, con un percorso più
ripido, fino al Colle della Terra.
Superato il Colle inizia la discesa verso il Lago Lillet, l’”Occhio
azzurro” del Gran Paradiso,
posto in una conca glaciale. Si
arriva sulle sponde del lago attraverso gli ultimi tornanti della mulattiera. Gli appassionati
delle lunghe camminate e delle
pendenze di montagna possono proseguire e arrivare fino al
Colle della Porta e godere degli
splendidi panorami alpini.
Dal Rifugio Savoia (2532 mt,
dal colle del Nivolet verso la
Valsavarenche) ai laghi - Rosset Leytaz (2703 mt) - Punta
Basei (3338mt) (Valle Orco) Dislivello in salita : 8 06 mt ; T
•
empo di salita : ½ora fino ai
laghi; 3 ore fino al Colle Basei:
E’ un itinerario molto amato
dai frequentatori del Nivolet: è
infatti di grande bellezza paesaggistica e non presenta difficoltà anche per i meno esperti.
Dal Rifugio Savoia si arriva alla
zona dei laghi Rosset e Leytaz,
fino al Colle Nivolet e poi al
Colle Basei. Volendo da qui, in
un’ora, e con capacità alpinistiche, si raggiunge la cima della
punta Basei (mt 3338), dove il
panorama si allarga a tutti i
“4000” della valle d’Aosta.
Dai Chiapili di Sopra di Ceresole Reale al Rifugio Città di Chivasso (Valle Orco) - Dislivello
in salita: 800 mt Tempo di salita: 3 ore: Il circuito parte da
Alpe Brengiat a monte dei
Chiapili di Sopra (1754 m) di
Ceresole Reale. Si segue la
vecchia strada del Nivolet che
corre parallela alla provinciale
fino ad un ponte di legno. Di
qui si prende la strada asfaltata per un centinaio di m per ritornare sul sentiero della mulattiera reale, in corrispondenze di un gruppo di baite. Proseguendo per una serie di tornanti si arriva alla comoda mulattiera che sale all’Alpe Buffà.
Si continua poi a salire, fino ad
incontrare il sentiero, che volgendo a destra, conduce al casotto del Bastalon. Proseguendo lungo la provinciale per più
di 500 mt si arriva sotto le rocce del Nivolet e in breve al rifugio Chivasso (m 2604).
•
•
Da Degioz (1541 m) al Colle
del Nivolet (Valsavarenche) Dislivello in salita:1350 mt.
Tempo di salita: 8 ore: Il luogo
di partenza è Degioz. Superati
il torrente Savara e le poche
case di Vers le Bois, si segue
l’ex strada reale di caccia. Oltre il bosco si trova la casa di
caccia d’Orvieille, la prima delle costruzioni volute da Vittorio
Emanuele. La seconda è l’ex rifugio Savoia, dove si raggiunge il piano del Nivolet. Per raggiungerla da Orvieille si segue
il sentiero per il Col di Entrelor
fino al lago Djouan. Da
quest’ultimo si raggiunge il colletto della Costa della Mentò
scendendo poi nel vallone delle
Meyes dal quale si risale per
un breve tratto fino a superare
la Costa dell’Aoullier. Il sentiero prosegue con andamento
prevalentemente pianeggiante
passando nelle vicinanze del
casotto
dei
guardaparco
dell’Aoullier. La pista si mantiene alta sul piano del Nivolet
e conduce fino ai laghi, dove si
trova l’antica palazzina di caccia sabauda, oggi rifugio Savoia.
Da Pont di Valsavarenche
(1960 m) al Piano del Nivolet
(Valsavarenche) - Dislivello in
salita:450 m (600 m fino al
Colle) Tempo di salita: 1 ora
30min (2 ore 30min fino al
Colle): E’ uno degli itinerari
classici della Valsavarenche,
con panorami di grande fascino
soprattutto a luglio, quando i
Nel Parco anche in carrozza
IL CLUB n. 92 – pag. 26
•
•
Un camoscio nel parco
prati offrono meravigliose fioriture. Il sentiero inizia nei pressi del piazzale di Pont di Valsavarenche, salendo poi in un
bosco di larici, fino alla base
dei pendii per poi salire con alcuni tornanti ripidi alla croce
dell’Arolley. Il sentiero prosegue salendo mantenendo la sinistra (destra idrografica) del
torrente Dora del Nivolet fino
al Nivolet.
Ma anche gli appassionati
di mountain-bike possono apprezzare la possibilità di cimentarsi
lungo la strada (6 km) che conduce al Nivolet dal Serrù o da Ceresole Reale nelle domeniche estive
di regolamentazione del traffico.
Con una pendenza media dal 6 al
12% e un dislivello totale di 1.000
metri… infatti la strada è una prova ambita per gli appassionati e un
buon allenamento per i professionisti. Per chi voglia passare dal Nivolet al versante valdostano il sentiero fino alla Croix de l'Arolley è in
buona parte pedalabile anche da
non esperti. Dopo la Croce, bisogna però superare i 400 metri di
dislivello che separano dalla sottostante Pont. Questo tratto è da
considerare come un tracciato da
down hill in alcuni tratti anche esposto. Accompagnando a mano la
bicicletta si raggiunge Pont in meno di un’ora. Da qui una lunga discesa porta da Pont a poco dopo
Introd.
Ma non basta: sono previste anche escursioni a cavallo al
Colle del Nivolet, organizzate per
appassionati dai 14 anni in su dal
Gruppo Attacchi Valle D’Aosta
(www.gruppoattacchivda.it). Il limite di età è dovuto al fatto che il
cavallo è considerato un veicolo a
tutti gli effetti e per transitare su
strada è necessario aver compiuto
il 14esimo anno di età (per informazioni:
Tel.
0165/251247348/2312390 Tiziano Bedostri).
•
I centri visita
e gli eco-musei del Parco
•
•
•
•
•
NOASCA, segreteria turistica
del Parco. Ospita l'esposizione
permanente sulla geologia e
sulla geomorfologia del Parco.
Il centro è un punto di educazione ambientale, che offre
programmi di attività per scuole e gruppi durante tutto
l’anno. Tel. 0124/901070.
CERESOLE REALE in località
Pian della Balma, mostra permanente sullo stambecco (durante l’estate) e ufficio turistico, Tel. 0124/953186.
CERESOLE REALE località Serrù, mostra sul sentiero del Colle della Losa, che collega i parchi Gran Paradiso e Vanoise:
aperto solo in estate LOCANA
presso la chiesa sconsacrata di
San Francesco, mostra sugli
antichi mestieri delle vallate
piemontesi del parco, con particolare attenzione alla figura
dello
spazzacamino.
Tel.
0124/83557.
RONCO CANAVESE, in Borgata
Castellaro è situato l’ecomuseo
della Fucina da rame. Il percorso di visita all'interno della
Fucina, risalente alla fine del
'600, segue idealmente le fasi
del processo di lavorazione del
metallo. L’apertura è su prenotazione e l’ingresso a pagamento. Tel. 338/6316627.
SANTUARIO DI PRASCONDU’,
nel Comune di Ribordone, mo-
IL CLUB n. 92 – pag. 27
•
stra permanente sulla cultura
e sulle tradizioni religiose nel
Parco Nazionale del Gran Paradiso. Tel. 0124/901070.
COGNE, il nuovo centro visitatori, pensato e realizzato con
l’idea di farne un laboratorio di
ricerca, fornisce spunti e stimoli per sviluppare percorsi di
visita sempre diversi. Fino a
settembre 2007 il Centro ospita “Mémoires… vers le futur”,
esposizione di artigianato. Aperto mercoledì, sabato e domenica dalle 10 alle12 e dalle
14 alle 19. Tel. 0165/749264.
DEGIOZ (Valsavarenche), il
centro visitatori ospita una
mostra sui predatori e sulla
lince, la sua rapida scomparsa
e la lenta ricolonizzazione del
territorio alpino. Aperto mercoledì, sabato e domenica dalle
10 alle 17. Tel. 0165/905500.
RHEMES NOTRE DAME, in località Chanavey, presso il centro
visitatori è possibile visitare
l’esposizione dedicata alla reintroduzione del Gipeto nelle Alpi. La storia di un'estinzione, di
un ritorno e, forse, di un lieto
fine per il più grande uccello
europeo. Tel. 0165/936193.
Subito dopo Cogne, salendo
verso Valnontey, alle porte del
Parco Nazionale del Gran Paradiso, si trova il GIARDINO BOTANICO ALPINO PARADISIA,
con circa 1500 specie di piante, tra cui rari esemplari della
flora d’alta quota europea ed
extra-europea. Percorsi guidati
tra i licheni e nel Giardino delle
Farfalle. Aperto dal 9 Giugno al
9 Settembre, Tel. 0165/74147
Le battute di caccia del re
Re Vittorio si recava nella
riserva del Gran Paradiso di solito
nel mese di agosto e vi si fermava
da una a quattro settimane. I giornali e le pubblicazioni dell'epoca
esaltano il carattere bonario del re,
che conversa e discute con grande
affabilità, in lingua piemontese,
con la popolazione locale e lo descrivono come un baldo cavaliere
ed un fucile infallibile. In realtà le
campagne di caccia erano organizzate in modo che il re potesse fare
il tiro a segno sulle prede stando
comodamente ad aspettare in una
delle poste di avvistamento costruite lungo i sentieri.
Il seguito del re era composto da circa 250 uomini, ingaggiati tra gli abitanti delle valli, che
svolgevano le mansioni di battitori
e portatori. Per quest'ultimi la caccia cominciava già nella notte. Si
recavano nei luoghi frequentati
dalla selvaggina, formavano un
enorme cerchio attorno agli animali e poi con urla e spari li spaventavano in modo da spingerli verso
la conca dove il re era in attesa
dietro una vedetta semicircolare di
pietre. Soltanto il sovrano poteva
sparare agli ungulati; alle sue spalle stava il "grand veneur" che aveva l'ordine di dare il colpo di grazia
agli esemplari feriti o sfuggiti al tiro del re. Oggetto della caccia erano i maschi di stambecco e camoscio adulti. Ne venivano abbattuti
diverse decine al giorno. Nonostante queste annuali carneficine,
la scelta di risparmiare le femmine
ed i cuccioli favorì l'aumento del
numero degli ungulati e le cacce
reali divennero di anno in anno più
abbondanti. Il giorno dopo la caccia il re ed il suo seguito si trasferivano alla successiva casa di caccia, la domenica era di riposo per i
battitori e dai paesi qualche prete
saliva a celebrare la messa all'aperto.
Camper nel Parco del Gran Paradiso
fino al paese di Noasca (1058 m.)
lungo il vallone di ciamosseretto
(come dice il nome ricchissimo di
camosci). Le case di caccia maggiormente utilizzate furono quelle
di Dondena (2186 m.), del Lauson
(2584 m., oggi rifugio Vittorio Sella), di Orvieille e del Gran Piano di
Noasca (anche quest'ultima recentemente recuperata come rifugio).
Anche i successori di Re
Vittorio, Umberto I e Vittorio Emanuele III, intrapresero lunghe
campagne venatorie nella riserva,
l'ultima delle quali risale al 1913.
Vittorio Emanuele III, più colto e
meno affabile con i valligiani del
nonno, cambiò orientamento e decise, nel 1919, di cedere allo Stato
i territori del Gran Paradiso. Nacque così il Parco Nazionale.
Carducci a Ceresole
Re Vittorio Emanuele II
Il percorso maggiormente
battuto dal re partiva da Champorcher, valicava l'omonima finestra
(2828 m.), scendeva a Cogne,
raggiungeva Valsavarenche passando dal Colle Lauson (3296 m.),
saliva al Colle del Nivolet (2612
m.) e da qui si inoltrava nel territorio piemontese passando sopra
Ceresole Reale per poi scendere
Come ricorda una lapide, il
poeta Giosuè Carducci, nel 1890,
al cospetto delle cime del gruppo
delle Lavanne, (le "dentate scintillanti vette"), compose l'ode "Piemonte":
Su le dentate scintillanti vette
salta il camoscio, tuona la valanga
da' ghiacci immani rotolando
per le selve scroscianti:
ma da i silenzi de l'effuso azzurro
esce nel sole l'aquila, e distende
in tarde ruote digradanti
il nero volo solenne.
Salve Piemonte! …
Il poeta fu ospite del Grand
Hotel di Ceresole, dove, a partire
dal 1888, data di apertura, albergò
nel periodo estivo l'aristocrazia
piemontese, che orbitava intorno
alla famiglia reale; soggiornarono
infatti nel 1890 la regina Margherita, nel 1892 il Duca degli Abruzzi,
nel 1893 il Conte di Torino e nel
1894 il Re Umberto.
IL CLUB n. 92 – pag. 28
Leggende delle Valli
Tutto comincia con un furto
di campane dal campanile della
Chiesa di Ceresole Reale: l'epoca è
incerta, tra il ‘500 e il ‘600. La reazione dei derubati era stata violentissima: i “ceresolini” avevano
pensato di farsi giustizia da sé, fidandosi poco delle leggi dell'uomo,
che di quelle di Dio, per nome e
conto del quale avevano portato a
termine un'autentica strage.
Il furto era – meglio usare
“sarebbe” – stato messo a segno
dagli abitanti di Bonzo, frazione di
Groscavallo, sul versante della
Valgrande che si apre scendendo
dal Colle della Crocetta: quelli di
Bonzo volevano vendicarsi di torti
mai bene chiariti patiti ad opera
dei “ceresolini”. Durante la fuga
per riguadagnare il Colle della Crocetta, l'imprevisto: tutta colpa dei
battacchi delle campane che avevano fatto svegliare mezza Ceresole. E puntuale arrivò la rappresaglia. Raggiunti i ladri, i “ceresolini”
non esitarono ad ucciderli per riprendersi le campane.
Ma come sempre capita
quando si tramandano le leggende,
la versione del furto raccontata in
Valgrande è diametralmente opposta: i ladri erano di Ceresole, ed il
colpo era stato messo a segno nella chiesa di Groscavallo. Allora, per
evitare successive incursioni dalla
Valle Orco, venne sistemato un tavolato per chiudere la finestra del
campanile. Le due opposte versioni
concordano sul finale, vale a dire
la strage avvenuta su quel pianoro
poco sotto del Colle della Crocetta
che da allora si chiama “Pian dei
morti”.
Un’altra leggenda, quella
del "Petit mineur", risale alla fine
dell'ottocento quando alcuni abitanti di una borgata dell'alto Ceresole (pian dei Gias) furono vittime
di un curioso fenomeno che infondeva una certa inquietudine tra la
gente. La sera, sul tetto di “lose”,
si sentiva uno strano rumore come
se qualcuno picchiasse sulle pietre
con un martelletto. Il mistero fu
svelato quando, in una giornata
nebbiosa, un pastore salito all'alpeggio con il suo gregge di pecore,
vide un piccolo omino nero che con
un balzo saltò giù dal tetto di una
casa brandendo un piccolo martello.
Uno dei rifugi del Nivolet
Lo spavento fu tale che le
pecore e il pastore scapparono
come se avessero visto uno spettro. Da quel giorno però gli abitanti
della borgata dormirono sonni
tranquilli perché quella sorta di folletto, sentitosi scoperto, sparì.
I sapori del Nivolet
Attraverso il progetto “A
piedi tra le Nuvole” l’ente Parco
Nazionale Gran Paradiso ha voluto
valorizzare le risorse e le attività
del territorio anche dal punto di
vista
culturale
ed
enogastronomico. Di qui l’idea di coinvolgere i ristoratori dell’alta Valle
Orco attraverso un “cartello” dei
“Sapori del Nivolet”.
La torta di Nivolet
Grazie anche alla partecipazione di molti professionisti della
ristorazione negli scorsi anni sono
così nate la “Torta del Nivolet” a
Buono a sapersi
I campeggi del Parco
•
CAMPING “PICCOLO PARADISO” - Indirizzo: Località Foiere - 10080
Ceresole Reale - Per informazioni e prenotazioni: tel. 0124-953235
•
CAMPING “LA PESCHIERA” - Indirizzo: Bg. San Maniero - 10080
Ceresole Reale - Per informazioni e prenotazioni: tel. 0124/953222
•
CAMPING “VILLA” - Indirizzo: Loc. Foiere - 10080 Ceresole Reale Per informazioni e prenotazioni: tel. 0124/953232
•
CAMPING “PONT BREUIL” - Indirizzo: Loc. Pont, Valsavarenche Per informazioni e prenotazioni: tel. 0165/95458
•
CAMPING “GRAN PARADISO” - Indirizzo: Loc. Pian de la Plesse,Valsavarenche - Per informazioni e prenotazioni: tel.
0165/905801
•
CAMPING “GRIVOLA” - Indirizzo: Loc. Bien, Valsavarenche - Per informazioni e prenotazioni: tel. 0165/905743
Come raggiungere il Colle del Nivolet
•
Da Torino si percorre la A5 in direzione Aosta fino ad Ivrea, qui si
imbocca la statale 565 in direzione Castellamonte-Cuorgnè. A
Courgnè si seguono le indicazioni per Ceresole Reale e si attraversano i paesini di Pont Canavese, Locana, Noasca. Ceresole Reale è
l’ultima località prima del Colle del Nivolet, distante da qui circa 20
minuti di strada.
•
Da Milano, invece, si percorre la Milano-Torino fino all’allacciamento
con la A5 Torino-Aosta in direzione Aosta. L’uscita da prendere è
quella di Ivrea, dopodiché si seguono le indicazioni sopra fornite.
Per maggiori informazioni
•
Segreteria turistica del Parco nazionale Gran Paradiso: Via Umberto
I, 1- 10080 Noasca (TO) – Tel./ Fax: 0124- 901070 - e-mail: [email protected]
•
Per Trekking naturalistici rivolgersi a: Parnassius Apollo Club, c/o
guida del Parco Gianni Tamiozzo - Tel. 011-2680062 - e-mail: [email protected]
•
Per Trekking a cavallo rivolgersi a: Associazione Attacchi VdA - Per
informazioni: Tiziano Bedostri, Tel. 0165/251247-348/2312390 www.gruppoattacchivda.it
base di cioccolato e genepy, con la
sagoma dello stambecco in evidenza sulla superficie corsparsa di
zucchero vanigliato; e i “Biscotti
del Nivolet”, premiati dal pubblico
per la genuinità e il profumo particolare. I turisti potranno assaporare le diverse specialità all’interno
dei locali contrassegnati dal marchio “Sapori del Nivolet”.
Il sito di Ceresole Reale
(www.ceresolereale.com) è particolarmente ricco di informazioni
circa luoghi di ristoro (oltre che sistemazioni alberghiere) e altri punti di interesse.
Segnaliamo per le escursioni al Nivolet:
•
il CAFFE’ “MORETTI” (Ceresole
Reale): Affacciato sulla piazza
principale, il bar-paninoteca
Moretti, offre una splendida vista sul lago e sulle montagne
circostanti ed è dotato di due
grandi terrazze solarium con
IL CLUB n. 92 – pag. 29
•
sdraio e lettini. Possibilità di
gustare l”aperitivo Ceresole”,
con prodotti tipici del paese e
del Canavese e la coppa gelato
“Nivolet” col miele del posto.
il RISTORANTE “LA BARACCA”
(Località Serrù): Il ristorante
“la Baracca” si trova all’ imbocco del parcheggio del Serrù,
dove partono le navette verso
il Nivolet. Punto ideale per godere di una vista panoramica
sul lago e per assaggiare i
piatti tipici dell’antica tradizione di questa valle, dalla polenta concia con farina macinata a
pietra, allo zabaione caldo, dal
pane di castagne, alla toma
condita, al tortino di castagne
con crema di formaggio.
Gabriella Braidotti
Dal sito www.threesixty.it
Acireale, non solo Carnevale
Ai dintorni di questa cittadina, famosa per il più rinomato Carnevale di Sicilia, è collegato uno
dei miti più famosi dell'antichità, quello del pastore Aci e della ninfa Galatea, cantato da
Virgilio e Ovidio e raffigurato dagli artisti innumerevoli volte dagli affreschi di Pompei alla famosa Galatea di Raffaello alla Farnesina a Roma
S
eguendo la S.S.114 orientale sicula per 26 Km a nord di
Catania, dopo aver attraversato un
paesaggio dominato da aranceti, si
giunge ad Acireale, una delle più
belle città della Sicilia. La privilegiata posizione su un altopiano a
picco sul mare Ionio, i numerosi
monumenti di età barocca e le
terme di Santa Venera ne fanno
una meta turistica di grande attrazione. Famosissimo pure il suo Carnevale, con la grande sfilata di
carri allegorici allestiti sia in cartapesta che in fiori dai colori smaglianti. In origine, il luogo dove sarebbe
sorta la cittadina era abitato da
popolazioni ignote e solo in seguito fu colonizzato dai greci, che lo
chiamarono Aids, da cui è derivato Aci: lo stesso nome del fiume
La Piazza del Duomo di Acireale
In basso una balconata barocca di un palazzo nobiliare del centro
IL CLUB n. 92 – pag. 30
che un tempo la bagnava e che oggi
è scomparso, legato nell'antichità
al mito di Aci e Galatea.
La visita della cittadina parte da quello che è considerato il
vero centro, la piazza del Duomo,
da cui si dipartono corso Umberto
verso nord e corso Vittorio Emanuele verso sud. Sul lato est della
piazza si erge il Duomo dedicato a
Santa Venera che, costruito tra il
1597 e il 1618, è stato però modificato nel XVIII secolo. La facciata
delimitata da due campanili, è
opera del Basile e s'ispira a canoni
romano-gotici. Al centro è un bel
portale barocco in marmo, decorato nella parte alta con statue raffiguranti le Sante Venera e Teda e
l'Annunciazione, opere di P. Blandamente. L'interno è a croce latina
a tre navate. Dove le navate s'incontrano col t r a n s e tto , c ' è l a
m e r i di a n a t ra c c i at a dall'astronomo tedesco Christian Peters
nel 1843. La volta della navata
centrale è stata affrescata nel
1905 da Giuseppe Sciuti, mentre
gli affreschi della parete sinistra
del transetto e della volta del presbiterio sono stati eseguiti tra il
1736 e il 1737 da Pietro Paolo Vasta. Nel braccio destro del transetto
è la cappella di Santa Venera, dedicata alla patrona della città, affrescata all'inizio del '700.
Sul lato est della piazza,
ma piuttosto arretrata rispetto al
Duomo è la basilica dei Santi Pietro
e Paolo. Costruita nel '600, è rimasta praticamente inalterata, tranne
il campanile a destra della facciata
che risale al ‘700. Seicentesco è
anche il palazzo Comunale, che
prospetta sul lato sud della piazza.
La facciata è ornata da un bellissimo
portale, ma quello che più attira
l'attenzione sono le bizzarre mensole che sostengono le balconate
al primo piano, i cui motivi sono
ripetuti nelle cornici delle finestre.
Percorrendo la via Cavour di fronte al D u o mo s i a r r i v a a l l a c h i e s a di S a n Domenico che prospetta sulla
piazza omonima. Sulla destra, in
via del Marchese di San Giuliano,
Il Re Burlone e il più
bel Carnevale di Sicilia
In ogni caso, uno dei
momenti migliori in cui visitare
Acireale è quello carnascialesco,
quando ha luogo “Il più bel Carnevale della Sicilia”, come viene
ornai da anni pubblicizzato; si
tratta di una manifestazione che
anima le vie cittadine per una
decina di giorni, scomponendosi
in una miriade di diverse occasioni per far festa e divertirsi e
che raggiunge il suo fulcro nei
due week-end che precedono il
martedì grasso e ovviamente il
martedì grasso, giorno in cui,
secondo le migliori tradizioni, il
Re Burlone viene allegramente
bruciato su un falò di enormi
dimensioni.
Famose e imponenti le
sfilate dei classici carri allegorici, realizzati con una buona dose di ironia tutte le magagne
del vivere quotidiano; non mancano i fantasmagorici cortei di
majorettes e i gruppi musicali
provenienti un po' da tutta Italia; né gli allegri concerti tenuti
per concludere allegramente le
serate nella piazza principale.
Ma agli enormi carri allegorici si
aggiungono da queste parti dei
caratteristici carri "infiorati", per
la cui preparazione si utilizzano
centinaia di garofani freschi su
un'intelaiatura in fil di ferro e
legno, in un alternarsi di petali
dai mille colori e di foglie vellutate.
Tutto il lavoro dei carri
allegorici e dei carri infiorati finisce però in modo decisamente
effimero nel grandioso falò di
mezzanotte con cui si brucia il
Re Burlone, quando tutte le
composizioni vengono divorate
dal fuoco crepitante, innalzando
al cielo gli ultimi frammenti di
materiali effimeri in una danza
di grande bellezza.
Mimma Ferrante
hanno sede in uno stesso palazzo
la biblioteca e la pinacoteca Zelantea, cosi denominate perché a
commissionarne la costruzione, fu
l'Accademia di scienze, lettere e
belle arti degli Zelanti. Percorrendo invece il Corso Umberto I, dal
lato nord di piazza Duomo si giunge alla Villa Belvedere dalla quale
si può ammirare un bellissimo
panorama sia verso l'Etna che
verso il mare. Dopo aver attraversato piazza Roma, sulla destra
è da segnalare la chiesa dei Crociferi anch'essa del 1700. Da visitare con attenzione sono pure il bellissimo palazzo Permisi di Fioristella e la vicina bellissima chiesa di
San Sebastiano.
Al termine di corso Vittorio
Emanuele, che diventa viale Libertà dopo la confluenza con via Galatea, si apre via delle Terme, così denominata perché porta alle
Terme di Santa Venera. Il grande
stabilimento termale, pur costruito
verso la fine dell'800, è ispirato a
canoni neoclassicheggianti. Le
acque sulfuree, provenienti da una
sorgente a 22° posta in contrada
Santa Venera al Pozzo, sono usate
per tutte le varie possibilità di cura
(bagni, fanghi, inalazioni) senza
intervallo durante tutto l'arco
dell'anno. Do ve è la sorgente
erano in antichità le Terme Xiphonie: fondate dai greci e perfezionate dai romani, oggi sono ricordate da pochi ruderi.
Ai piedi della rupe vulcani-
ca che sbocca sul mare vi è poi la
zona della Timpa, coperta dalla
macchia mediterranea, con il borgo
marinaro di Santa Maria della Scala che ospita una chiesetta del XVI
secolo, un magnifico lungomare e
la formazione lavica detta “Pietra
Sappa” che è quasi un’isola.
Aci Castello e il maniero normanno
A circa nove chilometri a
sud di Acireale, alle falde dell'Etna, è infine Aci Castello. Già villaggio di pescatori, è oggi una
frequentata stazione balneare
dominata da una rupe imponente
che è stata più volte indicata come
la più bella del mondo nel suo genere. Sui grandi globi basaltici ricoperti di una grande crosta vetrosa sorge il Castello normanno,
eretto nel 1076. Solo due chilometri più a nord si trova il piccolo paese di Aci Trezza assurto agli
onori della letteratura grazie ai
Malavoglia di G. Verga (1881).
Alfio Triolo
Cosa acquistare:
Acireale è una meta famosa per i golosi: dalla granita, dai mille gusti diversi, alla pasta di mandorla ai gelati, i cui colori e sapori non sembrano
avere limiti, grazie alla sfrenata fantasia dei gelatai locali; i golosi non potranno perdersi nemmeno le scacciate farcite con numerosi ingredienti e
le saporite zeppole con ricotta o alici. Chi poi volesse catturare i colori della Sicilia nelle ceramiche artistiche locali può visitare “Nello Ferlito”, in
Piazza Indirizzo n.3.
Dove mangiare:
Abbiamo parlato già di prodotti per i golosi. L’imbarazzo della scelta c’è
anche per i ristoranti tipici; uno in cui gustare i “maccaruna cincu puttusa”
(maccheroni con cinque buchi) e la “sasizza cu sucu” (salsiccia al sugo) è
“Dietro l’angolo”, in Piazza San Domenico n.23; un altro è “Opera prima”,
in Corso Sicilia n.2/b. Nella frazione di Santa Maria la Scala vi è poi “La
Grotta”, famosa per le grigliate di pesce, in un ambiente scavato nella
roccia di Via Scalo Grande n.46; mentre uno dei templi della cucina marinara del catanese è senz’altro la “Cambusa del Capitano”, in Via Marina
n.65 ad Aci Castello.
Dove sostare:
Il punto di approdo ideale è presso il camping “Panorama”, Via Santa Caterina 55, tel.095.7634124, situato ai piedi della cittadina, che da qui è
raggiungibile a piedi.
Informazioni utili:
Comune:
Piazza
Duomo,
tel.
095.895273;
sito
web:
www.comune.acireale.com; e-mail: [email protected]
IL CLUB n. 92 – pag. 31
La storia passò di qui
Montalbano Elicona: anche questo piccolo paese dei Nebrodi è tutto da scoprire, in un fine
settimana, "andando" e non "passando”
L
a storia ci dice che
Montalbano Elicona sia da sempre
un "posto dove si passa". Il suo
principale fascino è proprio quello
sprigionato dalle pietre, vestigia
del paesaggio delle legioni di
Pompeo in fuga da Roma o dall'attraversamento di quelle di Ottaviano Augusto. Gli arabi ne fecero
uno dei più importanti posti di avvistamento per la difesa dell'isola.
Costanza d'Altavilla lo ricevette in
dono dal marito Federico II di Svezia, che vi eresse uno dei suoi
classici castelli a pianta quadrangolare. A seguito dei moti di rivolta
popolare, il paese venne raso al
suolo e i suoi abitanti ribelli deportati ad Augusta e ad Agrigento. All'inizio del Trecento, il paese
rinacque a nuovi splendori quando
Federico d'Aragona trasformò il
castello in reggia, soggiornandovi
dal 1302 al 1308. All'inizio dell'Ottocento i Gesuiti apportarono gli
ultimi cambiamenti al volto del
paese. Poi un lento decadimento,
anche a seguito di un continuo
flusso dei giovani verso posti con
maggiori possibilità lavorative.
In alto panorama di Montalbano Elicona
In basso il bosco di Malabotta
Il castello di Montalbano Elicona
Mentre dall'alto del belvedere Portello guardiamo il Santuario di Tindari e le isole Eolie,
splendido scenario naturale, pensiamo a come la vita stia rinascendo in questo antico borgo,
grazie alla volontà dei suoi abitanti. Passeggiando nel paese tra i
vicoli e le antiche pietre, sentiamo
i suoni noti e dolci della Sicilia, ci
appropriamo degli antichi profumi,
assistiamo agli antichi mestieri. La
Chiesa Madre, edificata nel medioevo, con all'interno lo splendido
dipinto "L'ultima cena", attribuita a
Guido Reni, un Cristo ligneo del
1400 e l'altare con bassorilievi del
Gagini.
La piccola chiesa di Santa
Caterina del 1300, il museo fotografico "Eugenio Belfiore" , e infine la salita al Castello, la reggia
di Federico, dove si ha la netta
testimonianza dell'importanza del
luogo. Arrivando dal bosco di Malabotta (che prende il nome secondo le storie locali dal fatto che
il proprietario lo perse al gioco
delle carte in una serata, ed ebbe ad esclamare: "Che malabotta") possiamo poi proseguire fino
all'Argimusco, per poter ammira-
IL CLUB n. 92 – pag. 32
re l'Etna in tutta la sua maestà.
L'inverno da queste parti
è duro, freddo e bianco di neve,
ma in paese si stanno recuperando ben 87 unità abitative,
da destinare a case albergo.
L'Università di Messina vi sta allestendo la direzione di un Centro
residenziale di alti studi, le botteghe artigiane riapro no i battenti, i suo ni riprendono i loro
vigori, e le grida gioiose dei bambini ritornano a rallegrare l'aria.
La fresca aria dei 9 00 me-
tri di altitudine permette una gastronomia ricca e calorica, dai
maccheroni stirati a mano, conditi
con sugo di maiale e ricotta infornata e grattugiata con guarnizioni di "scurcilla" (cotenna di
maiale), prelibate provole, pancetta, lardo e “u sutta e supra”
cioè lardo e carne. I dolci sono
tutti a base di nocciola, perché
un tempo l'economia del paese
era basata sulla produzione di
nocciole. Può essere un’altra ragione per visitare questo paese,
non credete?
Alfio Triolo
L’angolo della poesia
Sicilia bedda e abbannunata
Nascisti tra li rosi e 'i gilsumini,
lu campanaru ti saluta tutti 'i matini...
'Nu vecchiareddu stancu e malandatu
ti ringrazia di lu suli ca ci ha' datu;
tu si' la me' Sicilia, terra d'amuri;
lu suli vasa 'sti biddizzi rari!
Notizie utili
Chianci 'stu cori dintra lu me pettu
Come arrivare:
Montalbano Elicona si raggiunge facilmente in auto o
in camper dall'autostrada
A.20 Messina – Palermo uscendo allo svincolo di Falcone e proseguendo quindi in
direzione Belvedere. In alternativa,
dall'autostrada
A.18 Catania-Messina si esce
allo svincolo di Giardini Naxos per proseguire quindi
in direzione di Francavilla.
pi 'sta Sicilia bedda senza rispettu.
Dove dormire:
Un buon punto sosta, sia per il
parcheggio che per il pernottamento in camper, è alla fine
di Via Giardino, a 200 metri
dalla piazza principale, dopo le
scuole (seguire indicazioni del
panificio Puglisi).
Sicilia bella e abbandonata
Manifestazioni:
Le feste più importanti si
svolgono principalmente d'estate: il 15 agosto si tiene il
corteo storico, con 200 personaggi in costume medievali;
il 20 di agosto è invece la festa degli "smanicati", una
tradizione risalente al ‘600
in onore di Maria SS. Assunta della Provvidenza
tu sei la mia Sicilia, terra d'amore;
Prodotti tipici:
Per chi voglia apprezzare la
gastronomia, Montalbano offre, oltre alle rinomate nocciole, insaccati e carni suine locali. Tra i prodotti tipici anche le provole fresche o
stagionate, i biscotti, semplici o ripieni, i dolci di ricotta
e i gelati alla nocciola.
Si' bedda e macari abbannunata,
ca pari na fimmina strasannata!
... E mi ni vaju e' 'o me' cori ruttu
pi 'sti picciotti persi
e 'stu munnu distruttu!
Nascesti tra le rose e il gelsomino,
il campanaro ti saluta al mattino...
Un vecchierello stanco e malandato
ti ringrazia del sole che gli hai dato;
il sole bacia queste bellezze rare!
Piange questo cuore dentro il mio petto
per questa Sicilia bella, ma senza rispetto.
Eppure sei bella anche se abbandonata
che sembri una femmina malvestita!
... E me ne vado con il cuore rotto
per questi ragazzi perduti
in questo mondo distrutto!
Alfio Triolo
IL CLUB n. 92 – pag. 33
Viaggiare in modo responsabile
La sostenibilità nel turismo: firmato il 7 febbraio a Ravenna un protocollo d’intesa fra l’AISA
(Associazione Professionale Italiana Scienze Ambientali) e Legambiente Turismo Italia
E'
stato firmato il 7
febbraio u.sc. a Ravenna, tra AISA
(Associazione professionale Italiana Scienze Ambientali), rappresentata dal dr. Luca Vignoli, e Legambiente Turismo, rappresentata dal
suo Presidente Nazionale, Luigi
Rambelli, un protocollo d’intesa finalizzato alla sempre più necessaria diffusione delle buone pratiche
di sostenibilità ambientale del settore e mercato turistico, e alla creazione ed al consolidamento di
nuovi ambiti e specializzazioni professionali per i dottori laureati in
Scienze Ambientali.
molto più alte: sfiorano in alcune
aree del Paese anche il 20% del
prodotto interno lordo e costituiscono il primo settore produttivo.
Inoltre si tratta di una attività economica ricca di prospettive, capace di creare sinergie più
di ogni altra attività, interagendo
questa con l'ambiente e la società in modo assiduo. Lo sviluppo
delle destinazioni turistiche è, infatti, strettamente collegato al
loro contesto ambientale e naturale, alle caratteristiche culturali,
all'interazione sociale, alla sicurezza e al benessere delle popolazioni locali.
La sostenibilità ambientale, nel turismo, può essere anche rappresentata dalle cosiddette "greenways", da percorrere a piedi o in bicicletta
L'accordo sottoscritto prevede lo scambio di informazioni e
di iniziative comuni e si inserisce in
una quadro nel quale il turismo costituisce una delle principali attività
economiche con il maggiore potenziale per generare crescita e posti
di lavoro nell'Unione Europea.
Nella definizione più limitativa della materia (riferito al solo
reddito da lavoro diretto nelle
strutture ricettive), il turismo contribuisce oggi per il 4% alla creazione del PIL nell'UE, con percentuali variabili dal 2% in molti nuovi
Stati membri al 12% di Malta. Il
suo contributo indiretto alla creazione del PIL è, poi, molto più elevato: il turismo genera indirettamente oltre il 10% del PIL dell'UE
e circa il 12% di tutti i posti di lavoro. In Italia queste cifre sono
L’obiettivo finale è la promozione del Turismo Sostenibile,
ovvero il raggiungimento di un equilibrio tra i turisti, lo sviluppo autonomo delle destinazioni turistiche e la tutela dell'ambiente (i
soggetti che fruiscono del turismo)
da un lato, e lo sviluppo di un'attività economica competitiva che valorizza le proprie risorse anziché
consumarle, dall'altro lato (chi gestisce le attività turistiche).
Integrando l'attenzione per
la sostenibilità ambientale nella loro attività, gli operatori del settore
proteggeranno tutti quei vantaggi
competitivi che fanno dell'Italia la
destinazione turistica più attraente
al mondo con la sua intrinseca ricchezza e varietà di paesaggi naturali e cultura. Almeno così si spera..
IL CLUB n. 92 – pag. 34
Le vie verdi
Secondo una definizione importata dagli USA le vie verdi o "greenways" sono un sistema di territori
lineari tra loro connessi che sono
protetti, gestiti e sviluppati in modo
da ottenere benefici di tipo ecologico, ricreativo e storico-culturale.
Ma le vie verdi possono essere le strade secondarie, i tratturi, i
sentieri di parchi e riserve, le strade
sterrate di campagna, i solchi rimasti di ferrovie dismesse, ossia quella
ragnatela di percorsi secondari e talora non transitabili nemmeno su
gomma la cui conoscenza può contribuire a valorizzare un territorio e
la natura circostante. Affinché le vie
verdi siano utilizzate al massimo e
possano incentivare forme di mobilità dolce e di turismo sostenibile (a
piedi, in bici, a cavallo) è necessario
potenziare il loro grado di interconnessione e favorire l'intermodalità
ossia la piena compatibilità con la
rete di trasporti pubblici (treni, navi,
aerei, autobus).
La conoscenza e la tutela
delle strade storiche si integra armonicamente con lo sviluppo delle
vie verdi. Lo conoscenza della viabilità antica può contribuire a comprendere lo sviluppo storico di un
territorio e a verificare le continuità e
discontinuità verificatesi tra diverse
fasi storiche. Molto più di tante testimonianze del passato, le strade
rappresentano l'identità e la ricchezza di una comunità. Rappresentano
l'importante eredità che antenati laboriosi ci lasciarono costruendo pietra su pietra, lastricati, selciati, ponti
e muri a secco.
La bicicletta o il cavallo rappresentano in questa visione strumenti di conoscenza ed esplorazione
unici per comprendere la viabilità
antica. Consentono di percorrere
strade che le macchine non possono, il loro intercedere piano ci riporta
l'eco e le sensazioni dei viandanti del
passato. Molte delle vecchie strade
sono oramai dimenticate e decadute. Ma in molti casi queste vecchie
strade non sono del tutto scomparse
bensì coincidono con strade secondarie belle e tranquille.
Terza pagina
Immigrazione e integrazione: quando sono gli altri a venire da noi
C
ittadini
del
mondo,
ambasciatori di pace: tali cerchiamo di essere quando, a bordo dei
nostri camper, viaggiamo per le
strade del mondo. E’ ovvio che ci
venga più facile in Francia o in
Germania, Paesi della vecchia e
amata Europa a noi limitrofi (e abbastanza simili al nostro per usi e
costumi). Magari difficile può esserlo invece in Paesi più lontani,
sia geograficamente che culturalmente, come i Paesi arabi dell’altra
sponda del Mediterraneo, là dove il
turista è “l’altro”, da alcuni anche
invidiato e talora odiato perché
“ricco” per antonomasia, più spesso poco interessato alle condizioni
di sottosviluppo di un sud del mondo che vede nel nord del mondo a
volte un miraggio, a volte solo un
continente “estraneo” se non un
vero e proprio inferno da combattere ideologicamente.
Vi sono Paesi che molti di
noi hanno negli anni visitato – me
compreso – accorgendosi anche
dell’evoluzione (o involuzione) che
alcuni di essi stanno progressivamente subendo a causa soprattutto del risorgere o dell’esplodere
dell’integralismo religioso, anche
laddove la laicità dello stato è formalmente garantita dalla costituzione (come in Tunisia o Turchia).
Tuttavia, non credo che nessuno di
noi, visitando una nazione araba
come, per esempio, la Turchia o
l’Egitto, si sia rifiutato di togliersi
le scarpe nell’entrare in una moschea, luogo sacro dell’islam al pari di una chiesa per un cristiano,
dove i musulmani mai oserebbero
entrare se non a piedi nudi e dopo
aver effettuato i lavacri rituali; e
sono certo che nessuno di noi, una
volta all’interno della moschea,
abbia osato “ingiuriare” Maometto
o i fedeli lì in preghiera, così come
ci aspettiamo analogo rispetto da
un islamico che entra in una chiesa
anche come semplice turista.
So bene che nessuno di noi
ha dubbi al riguardo, così come so
bene che non per tutti gli occidentali sia così ovvio avere atteggiamenti di rispetto verso gli altri e le
loro culture, soprattutto se diverse. Purtroppo, è in particolare il
rozzo atteggiamento di alcuni
gruppi d’oltre Atlantico che inficia
la considerazione generale che
spesso si ha invece di noi “occidentali” nell’insieme. E così un po’ tutti
noi scontiamo pur senza colpa diretta l’effetto “trascinamento” di
questo atteggiamento culturale tipico di alcuni statunitensi, così poco “sensibili” e “aperti” verso gli
altri, a causa della loro visione etnocentrica del mondo, del loro bisogno patologico di esportare i loro
modelli sociali e culturali (conside-
rati migliori e “superiori” a qualunque altro) e della loro conseguente
poca dimestichezza con la storia e
la geografia, prim’ancora che con
le lingue o le religioni degli altri!
Atteggiamento che ricorda quello
coloniale degli inglesi e dei francesi
fino a poche decine di anni fa.
Su questo si potrebbe continuare a scrivere tanto, ma credo
che la nostra sensibilità sull’argomento sia assai omogenea e quindi
fuori discussione. Vorrei invece
spostare l’attenzione, in questa
Un barcone di immigrati in arrivo sulle coste siciliane
In basso la coda per la regolarizzazione dei lavoratori extracomunitari
IL CLUB n. 92 – pag. 35
Figure diverse di lavoratori immigrati in Italia:
manovalanza spicciola e professionisti in carriera
mia riflessione, sul fenomeno opposto, quello dell’immigrazione nel
nostro Paese di persone e gruppi di
altre nazionalità che, spesso, portano con sé altri usi, altre leggi e
modelli di vita rispetto ai nostri,
oltre alla loro lingua e, in molti casi, anche a una religione diversa. E
so anche che, trattando questo argomento così spinoso, non sarà
facile non toccare nervi scoperti di
una sensibilità che ogni italiano vive a modo suo, politicamente corretta o non...
Partiamo quindi da una
considerazione di base: c’è una
grossa differenza fra i flussi turisti-
ci e quelli migratori (chi meglio di
un siciliano può saperlo?!). Il turista è quello che visita un Paese per
pochi giorni o settimane, spesso in
gruppo, e quindi ha poche ragioni
per provare a integrarsi con le persone del luogo, anche perché non
ve ne sarebbero né i tempi né le
ragioni, anche se ovviamente non
può non interagire con gli autoctoni soprattutto se viaggia da solo o
in piccoli gruppi senza una guida o
un capogruppo che giocoforza filtra
i contatti degli uni con gli altri. Il
migrante è invece colui che lascia il
Paese di origine per esigenze familiari, lavorative, politiche, o magari
IL CLUB n. 92 – pag. 36
perché insegue solo un sogno di
ricchezza che nel proprio Paese sa
che non potrà mai ottenere, un
sogno spesso generato dalle pubblicità che vede attraverso la propria televisione e un’antenna satellitare; ma quel migrante, una
volta immigrato nel Paese di destinazione, deve fare anche i conti
con la necessità di interagire con
la popolazione del luogo e con le
sue leggi, le sue abitudini sociali, i
suoi standard etici, politici, ecc. E
più è in grado di integrarsi, più gli
sarà facile interagire con gli altri,
trovare lavoro, sentirsi comunque
parte di una comunità. E ciò a
prescindere
dal
fatto
che,
all’interno
di
questa
macrocomunità (la società nel suo insieme), egli tenga vivi i legami con
i propri connazionali e con essi aspiri a realizzare una sottocomunità che faccia sentire meno
a ciascuno il peso della lontananza
dalla madrepatria, come è accaduto nel passato (e come accade anche oggi) anche agli emigrati italiani negli Stati Uniti o in Australia,
in Argentina o in Germania.
Il problema è semmai un
altro: cosa vuol dire integrazione?
Vuol dire snaturare le proprie origini per omologarsi con la nuova
cultura all’interno della quale si è
costretti (o vogliosi) di vivere?
Vuol dire rinunziare alla propria
lingua o ai propri standard (alimentari,
familiari,
religiosi...)?
Vuol dire definire per se stessi un
profilo d’identità quasi binario, in
modo tale da essere ciò che si è
stato e apparire nel contempo come gli altri in un certo senso vogliono che si sia? E’ molto difficile
sul piano culturale e prim’ancora
su quello sociale trovare un equilibrio, soprattutto quando la cultura
originaria (oserei dire ereditaria)
di un individuo è profondamente
diversa da quella che questi trova
nel Paese in cui è emigrato.
La libertà dell’individuo,
legge inalienabile della natura umana, finisce quando inizia la legge sociale che la regola al fine di
consolidarla e garantire quella degli altri, altrettanto inalienabile. Ma
cosa succede allorquando la libertà
del singolo, per esempio quella religiosa, si scontra con le legge del
Paese in cui vive? Tutti noi – credo
fortemente - riteniamo indispensabile sottometterci al principio di
autorità che è regolato dalla legge,
ma il nostro corpus legium è separato, per noi ovviamente, dalla re-
ligione, religione per la quale lo
stato garantisce libertà individuale.
Ma questa separazione non
è sempre un fatto assodato, né logico, dato che molti paesi musulmani considerano il Corano come
la sola legge della nazione islamica
(nazione in senso lato, per altro) e
applicano le regole scritte nel libro
sacro dell’Islam come le sole regole del vivere civile. Per noi può anche essere illogico e può apparire
del tutto “innaturale” che esistano
popoli la cui religione è un tutt’uno
con la legge, come i musulmani o
comunque come i musulmani più
integralisti. Ma così non è e
l’argomento merita un’attenta analisi. «Ci si dimentica – ha affermato in una recente intervista la nota
antropologa Ida Magli – che il fondamento delle nostre leggi è la separazione fra il diritto civile e quello religioso. Per gli immigrati musulmani questa separazione è inconcepibile e inattuabile. Il Corano
infatti è tutta la legge».
Questo significa che un
immigrato musulmano in un Paese
occidentale può non avvertire affatto il bisogno di osservare la legge del Paese ospitante se questa è
in conflitto con la “sua” legge, che
è quella atavica di Maometto; e
quindi può non voler affatto integrarsi. Può accadere quindi che egli voglia reiterare anche in Italia,
dove ovviamente non è consentito,
il matrimonio multiplo che invece
l’Islam garantisce e che in alcuni
Paesi arabi è legge oltre che uso
tranquillamente accettato dalla
comunità. Così come il cristiano
può essere visto come l’infedele da
convertire o uccidere solo perché
così è scritto nel Corano, e ciò anche se è stato l’islamico a venire a
vivere, da immigrato, in un Paese
dove la religione cristiana è quella
della stragrande maggioranza della
popolazione locale.
Non può non evidenziarsi
come sia questa la ragione di base
del maggior numero dei conflitti
locali, anche in alcune aree del nostro Paese dove più massiccia è la
presenza di stranieri immigrati, e
ciò anche laddove la paura
dell’altro, del diverso (per colore
della pelle, per lingua, ecc.), non
sia sfociata in un fenomeno isterico
di massa (via gli stranieri da casa
nostra!, predicano gli oltranzisti
della Lega). La frattura, spesso
profonda (e comunque destinata
ad allargarsi ancor più), fra la popolazione locale e gli immigrati c’è
ed è inutile negarla solo per voler
essere politicamente corretti; ed è
sentita anche da chi non è stupidamente razzista, soprattutto per
colpa dei tanti che, anno dopo anno giungono in Italia sfuggendo
alle norme sull’immigrazione legale
e rimanendo quindi più o meno in
clandestinità, lavorando pagati poco e in nero (e togliendo quindi il
lavoro ai locali, come insistono vari
gruppi politici) o ancor peggio vivendo di espedienti, come lavavetri o manovali dello spaccio di droga, o al limite dell’accettabilità anche per il migliore buonista, come
chi ruba anche con la violenza o
chi alleva proseliti della guerra
santa in nome di dio, inficiando così gli standard di sicurezza sociale
che oggi sono proprio fra le cose
più reclamate dai cittadini ai poteri
locali e dello stato.
D’altronde,
il
problema
dell’immigrazione e dell’integrazione sociale e culturale degli stranieri che vivono in Italia è anche legato all’inadeguatezza dello stato nel
contrastare l’immigrazione irregolare e l’illegalità che da essa viene
generata, mentre all’opposto tanti
immigrati si integrano anno dopo
anno perfettamente con gli italiani
pur conservando, all’interno delle
loro comunità, la loro lingua o la
loro religione; e questa illegalità,
sempre più diffusa – secondo le
statistiche proprio anche a causa
dell’aumento degli immigrati - poi
porta i nostri istituti di detenzione
ad “accogliere” circa il 50% di
stranieri rispetto al totale dei detenuti mentre la percentuale di stranieri sull’intera popolazione italiana
non supera il 5% (e nessuno mi
convincerà che è solo “colpa” degli
avvocati inesperti che difendono gli
stranieri quando questi delinquono
e vanno in giudizio).
Da ciò può derivare la sensazione di “essere lasciati soli” dallo stato che avvertono molti cittadini, quelli stessi che chiedono alla
politica fatti e non più solo parole,
quelli stessi per i quali è “ovvio”
provare un sentimento xenofobo
che “ovviamente” non fa onore né
a loro come singoli né a noi come
italiani nell’insieme. Ma non saranno certamente i proclami politicamente corretti di alcuni nostri esponenti politici a fare rientrare le
paure o a far cambiare le opinioni
della gente, né a sconfiggere
l’illegalità che continua ad aumentare, alimentando a sua volta il fenomeno della xenofobia (come il
IL CLUB n. 92 – pag. 37
cane che si morde la coda, si dice
abitualmente).
Fatto sta che, chi ha bisogno di una badante, sa che deve
rivolgersi a una rumena o a una
polacca; chi necessita di una colf,
non trovando più italiane sul “mercato”, cerca di trovare un aiuto fra
filippini e mauriziani; le imprese
che cercano operai per l’edilizia, li
trovano fra gli albanesi; chi necessita
di
lavoratori
stagionali
nell’agricoltura, li recluta – magari
con l’altra piaga del caporalato –
fra senegalesi e arabi in genere: e
così via. E la popolazione italiana
nel frattempo aumenta, non tanto
per un incremento delle nascite
degli italiani di origine, quanto per
l’aumento dei flussi migratori
dall’estero e, in alcuni casi, per il
ricongiungimento delle famiglie dei
lavoratori stranieri, che a loro volta
cominciano a dare ...una mano
all’aumento delle nascite in un Paese come il nostro dove la natalità
è tra le più basse del mondo e dove gli anziani stanno ormai diventando maggioranza assoluta.
Una bambina del Maghreb impara
la lingua italiana per integrarsi nella nuova società in cui vive
Magari, quei figli di immigrati, come è capitato nelle comunità di emigrati italiani all’estero,
vorranno integrarsi il più possibile
agli italiani per non sentirsi emarginati e per emanciparsi socialmente ed economicamente; e forse diventeranno degli ottimi cittadini italiani contribuendo alla crescita culturale, sociale ed economica della nostra vecchia Italia; e
forse saranno i primi che vorranno
contrastare l’immigrazione illegale
e che lotteranno contro l’illegalità.
Forse...
Maurizio Karra
Vita in camper
La difficile scelta di sostituire un vecchio camper al quale si è affezionati con un nuovo modello diventa ancora più complicata, dal punto di vista affettivo oltre che da quello economico, dalla possibilità di un recente provvedimento di legge che consente la rottamazione
non solo delle autovetture ma anche dei vecchi camper Euro 0 ed Euro 1
A
nche fra i nostri soci vi
sono coloro che non hanno mai rinunziato al loro primo amore: non
stiamo parlando della compagna o
“del” compagno “della vita” (donna
o uomo che sia), ma comunque di
“un” compagno “di vita” quale può
essere un camper, in grado di supportare la nostra voglia di viaggiare e il nostro bisogno di libertà. E
infatti, accanto ai tanti veicoli nuovi presenti a ogni gita del nostro
Club (ce n’è sempre uno appena
immatricolato da festeggiare!) ce
ne sono anche di “maggiorenni”,
spesso fantasticamente mantenuti
proprio per l’affetto che ne hanno i
loro proprietari.
Alla voglia di nuovo di alcuni, talvolta generata da consumismo e ovviamente alimentata
anche da condizioni economiche
favorevoli (quanto costa un camper nuovo!!!), si contrappone in
altri proprio l’attaccamento affettivo al mezzo, che è una casa su
ruote e non un semplice veicolo,
determinando la scelta di tenerselo
per anni anche quando è tecnicamente e meccanicamente obsoleto
e meriterebbe, con un fare razionale, anche il pensionamento.
Al riguardo, forse non tutti
sanno
che
esiste
in
Italia
un’associazione di proprietari di
camper storici, con tanto di registro dei veicoli legato all’ASI (Automobil Club Storico Italia), guidata dall’amico Franco Galliani, che
ha sede in Via 9 Agosto n. 4 34170
GORIZIA
e-mail:
Uno dei più classici camper “maggiorenni” ancora circolanti in Italia
[email protected]. Fra gli obiettivi dell’associazione vi è quello di
non disperdere la memoria storica
del camperismo italiano, favorendo
con iniziative anche legali i proprietari di veicoli “datati”, al pari
dei proprietari di auto d’epoca.
Ma spesso non è il valore
affettivo per il mezzo che blocca
l’acquisto del nuovo, ma il suo valore
di
mercato
sul
fronte
dell’usato pari a zero o poco più:
capita, infatti, che un concessionario non prenda in permuta veicoli
che abbiano più di dieci anni di vita, o che comunque li stimi poche
migliaia di euro; e allora si tenta,
spesso senza risultati, la via della
vendita fra privati, riuscendo a recuperare 5 o 6 mila euro, poco significativi rispetto al valore affettivo del camper ceduto.
Un evento nuovo ha cambiato (forse) lo scenario a fine
2007, anche se non ha avuto una
grande eco, e pochi ne sono a conoscenza: si tratta del Decreto
Legge n. 248/2007 emanato dal
governo Prodi proprio a fine anno,
che ha allargato gli ecoincentivi
per la rottamazione di vecchi veicoli in cambio dell’acquisto di nuovi
da immatricolare, oltre che alle autovetture (come era fino a quel
IL CLUB n. 92 – pag. 38
momento), anche ai camper. E così, per la prima volta, i proprietari
di camper Euro 0 ed Euro 1 immatricolati fino al 1998 riceveranno
per tutto il 2008 un bonus statale
fino a 2.500 euro per la loro rottamazione in cambio della immatricolazione di veicoli nuovi Euro
4, rispondenti quindi alle ultime
normative antinquinamento. La facilitazione riguarderà i contratti di
acquisto di camper stipulati tra il
1° gennaio e il 31 dicembre di
quest’anno, con la possibilità anche di immatricolare il mezzo fino
al 31 marzo 2009. Un anno di
tempo, dunque, per decidere se
vale la pena rottamare il proprio
camper e passare a un veicolo
nuovo, con motore Euro 4, sia su
base Fiat, che su meccanica Ford,
lveco, Mercedes o Renault.
Ma siamo sicuri che questi
incentivi siano davvero “utili” a fare decidere i più riottosi al cambiamento? Per la rottamazione di
autocaravan di massa complessiva
fino a 3000 kg (come i vecchi Rimor Koala, i vecchi CI 360 su Ford,
i Safariways Abidjan, i Laverda o
gli Arca Scout) si riceveranno infatti solo 1.500 euro. Mentre saranno 2.500 euro per la rottazione
dei camper oltre i 3.000 kg., in
Nuovo o vecchio, poco
importa: viaggiare in
camper è un’altra cosa
Un viaggio in camper è
qualcosa di profondamente diverso dal classico viaggio con
un mezzo tradizionale (auto,
treno, aereo, ecc.) che va dal
punto A al punto B; perché incorpora tante esperienze diverse, tanti momenti distinti che si
incasellano l’uno dentro l’altro,
formando una serie di cerchi
concentrici perfettamente integrati.
Viaggiando in camper ci
si ritrova sempre a seguire tanti
mini-itinerari, tante direttrici
diverse che portano ad esplorare realtà a volte in contrapposizione tra loro, ma sempre cariche di una lezione di vita difficilmente riscontrabile in viaggi
più "ortodossi"; gli spazi del vasto mondo ci si allargano davanti e ci invitano a proseguire
ancora avanti, oltre l’orizzonte
che si intravede appena, alla
ricerca costante di tutto ciò che
non si conosce, in un fantastico
alternarsi di culture, di lingue,
di religioni, di frontiere…
E poco importa che il
nostro amico di viaggio sia un
veicolo nuovo fiammante o
all’opposto, magari come pensano alcuni, un vecchio catorcio: il camper è solo un mezzo,
non dimentichiamolo, per dare
le ali alla nostra voglia e al nostro bisogno di libertà.
genere più moderni (quindi più pesanti!).
Da qualche anno, infatti, i
modelli di camper di nuova produzione di peso inferiore alle tre tonnellate sono davvero pochissimi ed
è facile riscontrare questo dato
sfogliando anche via Internet i cataloghi dei vari costruttori: ci accorgiamo che in molti casi non vi è
un solo modello di peso complessivo autorizzato entro le tre tonnellate, sia per la lunghezza che tutti i
veicoli hanno preso anno dopo anno, sia per le dotazioni di bordo
che le varie case costruttrici vi
hanno sistemato (oggi un sistema
di riscaldamento Webasto, molto
efficiente, pesa tuttavia molto più
di una stufa Truma da 3.000 kcal.
montata su un mezzo di 15 o 20
anni fa!).
In ogni caso, conviene
davvero accedere a questi ecoincentivi? Facciamo l’esempio di un
camperista che voglia provare a
rottamare il suo camper Euro 0 o
Euro 1 di 3000 kg di peso complessivo per acquistare un nuovo
veicolo Euro 4 da 40-50.000 euro:
1.500 euro sono niente se il concessionario non gli viene incontro
con uno sconto sostanzioso, dato
che non prende in cambio l’usato
che vale poco o niente. Altrimenti,
può essere utile ottenere anche
5.000 euro per disfarsi del vecchio
mezzo che non ha mercato nemmeno fra i privati dandolo in permuta del nuovo ma rinunziando (in
tutto o in parte) allo sconto sul
nuovo che certamente il concessionario concederà. Insomma, ogni
caso va valutato con attenzione.
Ma dobbiamo considerare
anche che già ci sono (e saranno
sempre maggiori) delle restrizioni
alla circolazione per i mezzi più datati (auto o camper poco importa)
a causa dei loro motori più inquinanti, soprattutto nelle regioni del
nord, ma anche in singole città (fra
poco anche a Palermo). Per cui, se
qualcuno fosse indeciso, questi incentivi possono sicuramente spro-
nare all'acquisto. <<Qualcuno obietterà che per le auto gli incentivi valgono anche per la rottamazione degli Euro 2, e quindi è stata
fatta una discriminazione>>, leggiamo su AutoCaravan di febbraio
che dedica un interessante articolo
al tema. <<In realtà, a nessuno
verrebbe in mente di rottamare un
camper Euro 2, che è da considerarsi semi-nuovo, visto che ha meno di 10 anni. In più, non dimentichiamo che per le auto il bonus è
700-800 euro, quindi una cifra ben
inferiore>>.
Tutto ciò tenendo sempre
conto, tuttavia, che il camper non
è solo una “macchina”, ma anche
un “compagno di viaggio” che, per
quanto vecchiarello, se ne curiamo
l’assistenza tecnica e non lo trascuriamo mai, per quanto più lentamente e con meno accessori dei
nuovi mezzi, potrà continuare a
portarci per le vie del mondo, da
Capo Nord al Sahara. E non si può
certo mandare alle ortiche con
noncuranza un compagno fedele se
lui non ti ha mai tradito!
Maurizio Karra
Anche un camper maggiorenne può varcare il Mediterranneo o arrivare
a Capo Nord: basta che ne sia curata l’assistenza tecnica e non sia mai
trascurato; sarà magari più lento, meno ricco di accessori che adesso
sono di serie sui nuovi mezzi, ma un camper è sempre un amico fedele
che può portarci in capo al mondo...
IL CLUB n. 92 – pag. 39
Musica in camper
L
a primavera si avvicina sempre di più e i progetti per le
nostre fughe itineranti si fanno
sempre più concreti, rendendo più
vicini i sogni lungamente accarezzati per i week-end più lunghi e poi
per le future vacanze. In tale attesa, facciamoci almeno cullare dalle
ultime novità in campo musicale.
Cominciamo con un doppio album davvero da non perdere,
“All the best” di Zucchero Fornaciari,
il
secondo
best
dell’artista, dopo quello uscito nel
1996; stavolta il cantautore italiano conosciuto internazionalmente
come “Sugar”, dopo che una maestra l’aveva così soprannominato al
tempo delle scuole elementari, sintetizza oltre vent’anni di carriera in
due cd che lo consacrano nel mondo della musica soul. Si tratta di
35 splendide canzoni, di cui cinque
inedite, che permettono di ripercorrere tutta la sua carriera alla
riscoperta delle più belle ballate
che fanno ormai parte della storia
della musica (italiana e non solo).
moderna con un arrangiamento
perfettamente riuscito, e “Miserere”, in duetto con il grande Luciano Pavarotti.
Insomma un album che
testimonia
l’eccellente
lavoro
compiuto negli ultimi 25 anni da
Zucchero, che ha dato vita ad uno
stile internazionale dal melodico al
pop al blues, con una voce senza
uguali che può fare da perfetta colonna sonora alle nostre vacanze
in camper.
La seconda proposta riguarda, invece, un duo irlandesenorvegese, che si dedica da una
dozzina di anni alla musica new
age con risultati eccellenti. Si tratta dei Secret Garden, così chiamati perché si identificano con il
giardino segreto in cui ascoltare
musica soft quando le asperità
della vita ci conducono a necessari
momenti di raccoglimento e di ricarica delle batterie; dietro questo
poetico nome si celano la violoncellista
irlandese
Fionnouala
Sherry e il compositore e pianista
norvegese Rolf Lovland, che insieme hanno venduto oltre 3 milioni di dischi in tutto il mondo,
vincendo anche l’Eurovision Song
Contest nel 1995 con il brano
“Nocturne” di struggente dolcezza.
Ed è stata la prima unica volta in
cui un pezzo quasi interamente
strumentale ha vinto l’Eurovision.
Cucina in camper
Penne alle verdure
Ingredienti: 400 gr. di penne, 1
zucchina, 1 melanzana, ½ peperone, 10 pomodorini, 1 cipolla
piccola, 1 costa di sedano, 1 spicchio d’aglio, qualche foglia di basilico, olio extravergine d’oliva,
sale q.b.
Preparazione: lavate ed asciugate le verdure, tagliandole a dadini. Tagliate a metà i pomodorini. Tritate insieme la cipolla,
l’aglio ed il sedano. Mettete il trito
in una casseruola con un po’
d’olio. Salate e fate appassire a
fiamma bassa. Unite le verdure, i
pomodorini, il basilico spezzettato
e continuate a tegame coperto la
cottura. Unite le penne, che avrete cotto a parte, e mantecate a
fiamma vivace.
Scaloppine con funghi
Ingredienti: gr. 600 di vitello a
fettine, gr. 300 di funghi, un po’
di farina, 1 spicchio d’aglio, 1
mazzetto di prezzemolo tritato, 1
scatola di pomodori pelati, olio
extravergine d’oliva, sale e pepe.
Preparazione: infarinate le fettine di carne e salatele. Tritate il
prezzemolo e l’aglio, facendoli
soffriggere nell’olio. Aggiungete le
fettine, facendole dorare. Unite i
funghi affettati insieme ai pomodori. Salate, pepate e fate cuocere a fuoco lento.
Enza Messina
Tra gli inediti non si può
non segnalare la struggente “Wonderful Life”, già portato al successo
da Black, oltre al brano “Tutti i colori della mia vita”, ad “Amen”, in
pieno stile Zucchero, al dolcissimo
“You are so beautiful”, e a “Madre
dolcissima”, realizzata con Steve
Ray Vaughan. Tra i successi
dell’autore ricordiamo, invece, “Nel
così blu”, tratto dalla versione internazionale di Fly, l’indimenticabile “Diamante” e “Così celeste”, utilizzata per un celebre spot
natalizio, oltre agli ormai classici
“Overdose (d’amore)”, “Senza una
donna”, “Donne”, il celeberrimo
“Va pensiero”, rivisitato in chiave
Dopo diversi album caratterizzati da una melodia intervallata dal suono del violoncello e del
pianoforte, con risultati di grande
sonorità che invitano al relax, nel
mese di dicembre il duo ha pubblicato l’album “Inside I’m singing”, in cui tredici dei loro maggiori successi vengono ripresi in
versione cantata, con la partecipazione di cantanti famosi, una per
IL CLUB n. 92 – pag. 40
tutti l’intramontabile Barbra Streisand che ha adattato il brano “Heartstrings” trasformandolo in “I’ve
dreamed of you”. Ma non mancano
versioni rinnovate anche della già
citata “Nocturne”, o di altri brani
dolcissimi come “You raise me up”,
incisa da Josh Groban e poi anche
dal gruppo Il Divo.
Si tratta senza dubbio di
un album da ascoltare sia quando
c’è bisogno di divorare la strada
che ci separa dalla prossima meta,
sia quando c’è bisogno di rilassarsi
a fine giornata, magari davanti alla
magia di un magnifico tramonto a
bordo del nostro camper.
Mimma Ferrante
Riflessioni
Il tunnel: cercare la morte per dare un senso alla vita
H
o tentato tante volte
- riflettendo su quegli argomenti
che destavano maggior interesse
in me, sulle novità, sulle realtà
della vita quotidiana e non - di cercare delle risposte che spesso non
arrivano, e sperando, con un po’ di
presunzione di far riflettere. E’
questo lo spirito con il quale a
gennaio 2005 è nata questa rubrica, cioè quello di proporre un argomento prevalentemente di largo
interesse, per coinvolgere quanto
più possibile, pareri, considerazioni, esperienze che non solo potessero trovare sfogo in questo piccolo angolo, ma che testimoniassero
il piacere e la volontà di creare una
discussione, un’espressione del
pensiero personale. Forse gli argomenti trattati non sono sempre
stati interessanti, magari non per
tutti, magari poco trattati, magari
non esaustivi, ma si auspicava un
confronto non un dibattito,
un
“consorzio di pareri” o puri parti
cerebrali o frutto di esperienze che
di sicuro avrebbero potuto dare un
valore aggiunto accrescendo coscienza e conoscenza in chi legge.
Detto ciò, desidero introdurre un argomento tanto contemporaneo quanto sconcertante. In
tutta Europa, ed anche in Italia, la
situazione è drammatica. Spesso
per la risoluzione di questo problema ci si è affidati a Commissioni
di pseudo-esperti che, non potendo non dare delle risposte, si arrampicano sugli specchi, dimo-
strando spesso di vivere fuori da
questa realtà. Si dice che è un
problema di tutti. Si dice addirittura che si può e si deve raddoppiare
la dose per uso personale di una
certa sostanza, in quanto la sua
assunzione non crea dipendenza,
assuefazione, facendo passare il
messaggio che certe sostanze sono
innocue e non droghe. La legalizzazione delle droghe cosiddette
“leggere” ha creato un disastro.
Adesso aleggia una sorta di
mea culpa generale per la permissiva politica intrapresa negli ultimi
anni. Una delle trovate, forse a dir
poco discutibili, è stata, negli ultimi anni, la chiusura di 200 comunità di recupero, ed i soldi risparmiati lo Stato li ha investiti in metadone e stupidaggini simili. Quella
delle droghe leggere è una questione sottovalutata o quantomeno
poco approfondita. Fanno credere
che sia innocua perché è un gran
bel mercato. La usano tutti.
Direttamente o indirettamente abbiamo imparato anche
noi, popolo di persone che non sapevano nemmeno di cosa stavano
parlando, cos’è la cannabis, come
si prepara uno spinello, come si
fuma...; ci è stato anche fatto vedere in tv che a scuola c’è qualche
insegnante che, oltre la propria
materia, insegna anche come si
confeziona una canna; in altre trasmissioni qualcuno dice pure che
uno spinello ogni tanto non fa male. E se non fa male, può anche far
bene! Potrebbe essere terapeutico!
Sono ignorati gli studi scientifici
che parlano di gravi disturbi mentali, psicosi, disturbi psichiatrici,
schizofrenia, depressione, ansia,
danno cerebrale cognitivo. Ma lo
fanno papà e mamma, anche il
professore, anche il direttore, anche l’onorevole ministro, che forse
per giustificare il proprio comportamento, ha dichiarato imprudentemente che si tratta di sostanze
innocue. L’Italia sembra l’unico paese dove i politici credono ancora
che la cannabis sia una “droga
leggera” e ne parlano in questi
termini.
Intanto la strage dei “giovani sognatori” continua. Giovani
spesso delusi, insoddisfatti, deboli,
plagiati, senza ideali, che si infilano spesso inconsciamente nel tunnel, quasi a cercare la morte per
dare un senso alla vita. Ogni tentativo è per ora fallito. E’ ora di
dimostrare la falsità di questa vecchia tesi datata e pericolosa per
salvare i giovani, quei giovani che
vivono nella solitudine, nella non
gioia, nella malattia mentale, nella
paura.
Oggi sono tanti i Paesi che
hanno finalmente deciso di attuare
una politica che rifiuta la depenalizzazione della Cannabis. E’ anche
da auspicare, collateralmente a
queste decisioni, che si intraprendano studi seri e ricerche aggiornate che permettano di comprendere l’impatto che queste sostanze
hanno sulla salute mentale. Penso
che chiunque abbia figli non possa
e non debba sentirsi fuori dal problema e non possa pensare che il
problema riguardi gli altri e soltanto gli altri. Occhi aperti, sempre in
guardia, sempre vigili, sempre sospettosi dei cambiamenti.
La Cannabis non è una
droga leggera! E’ una strage! E’ il
cancro dei giovani, che lavora
spesso in modo subdolo per tanto
tempo, per poi manifestarsi, come
il tumore, non dando tempo per
pensare, riflettere, decidere. E’
davvero un’emergenza: disinformazione, superficialità, leggerezza, in questo campo possono essere peccato mortale. Mortale per
i giovani.
Luigi Fiscella
IL CLUB n. 92 – pag. 41
Internet, che passione
Come sarà la rete del futuro? Gli scenari possibili con le opinioni dei guru a confronto
A
nche fra gli appassionati della navigazione su Internet,
pochi forse sanno cosa sia “Evergrow”. Si tratta di un progetto di
ricerca europeo sulla futura rete
che ha avuto inizio già da qualche
anno. Il suo obiettivo è aprire la
strada alla creazione di una
Internet completamente nuova e
diversa nel giro di qualche decina
di anni, costruendo le fondamenta
scientifiche
delle
reti
dell’informazione globale del futuro. Partecipano a questo progetto
ricercatori eccellenti provenienti da
più di venti università ed istituti di
tutta l’Europa, nonché di Israele ed
Egitto, e grandi aziende come Ericsson, IBM ecc.
Se Internet ha aperto le
porte a un sapere più democratico
e a uno scambio in tempo reale di
conoscenze e informazioni, presto
le reti non si limiteranno solo a
questo, ma a una fruizione interattiva e a 360 gradi di Internet nel
nostro quotidiano: l’intera società
del futuro, infatti, sarà basata sulle
reti, dalla vita privata al mondo del
lavoro, all’industria ed ai processi
dell’amministrazione e del governo
degli stati. Questa Internet futura
avrà ovviamente grandi potenzialità ma anche fortissime necessità.
Già oggi è chiaro come la complessità cresca continuamente, e possiamo comprendere molte cose su
quali saranno i problemi indotti da
questa complessità, a partire dai
processi che oggi sono eminentemente manuali e che dovranno essere automatizzati: pensiamo ad
esempio alla gestione di reti, alla
loro organizzazione o al processo
di riparare un nodo di rete ad uno
dei molti livelli rilevanti.
Un guru d’eccezione del
mondo di Internet è l’americano
Leonard Kleinrock, docente presso
la University of California di Los
Angeles (UCLA). Per lui «la vera
chiave del successo di Internet è la
capacità di creare comunità annullando le barriere fisiche. In
Internet si azzerano le distanze e
si annullano i pregiudizi perché,
attraverso la comunicazione in rete, non esistono più nazionalità,
religioni, differenze sessuali e credenze politiche».
Kleinrock fa anche una riflessione: Internet è nata nel
1969, l’anno in cui l’uomo è andato
sulla Luna, e la sua è stata dunque
una nascita in sordina, dato che
nessuno ne ha parlato e nessuno
ha diffuso la notizia nel mondo in
quel momento. Se Armstrong, a
commento del suo viaggio nello
spazio, ha dichiarato “è stato un
piccolo passo per l’uomo e un
grande passo per l’umanità", «io
devo invece confessare – ha dichiarato il professor Kleinrock in
una recente conferenza – di essere
riuscito a scrivere nel mio primo
messaggio in rete, destinato ad un
collega dell’università, soltanto le
iniziali LO del termine "LOG" (che
significa codice di entrata), dato
che il collegamento si era bloccato
prima della digitazione della terza
lettera».
«Fin dal principio – continua - ho intuito le enormi potenzialità di Internet, ma il mio progetto iniziale è destinato ad essere
ulteriormente sviluppato in futuro
– ha dichiarato lo studioso. Fino ad
ora si è diffuso il principio del deskbound mentality, cioè della falsa
credenza di associare il funzionamento di Internet solo ad un collegamento con un PC fisso. La vera
rivoluzione sarà, invece, quella di
applicare la cosiddetta "mentalità
nomadica", che consiste nel poter
fruire, elaborare e modificare dati
in qualsiasi momento, ad esempio
attraverso l’uso di una spina o di
un cellulare».
Per tutti gli studiosi della
rete, comunque, l’accesso ad
Internet è ancora troppo complesso, soprattutto in alcune parti del
mondo dove le tecnologie latitano
per problemi ben più gravi (malattie, carestie e fame, analfabetismo
di base, ecc.), ed è necessario entrare al più presto in una nuova
dimensione che sfrutti tecnologie
d’avanguardia, quella della "tecnologia invisibile”. La prossima frontiera sarà dunque quella di permettere di accedere ai dati attraverso un unico "veicolo tecnologico" che assolva diverse funzioni –
come, ad esempio, quelle di cellulare, radio, fotocamera, registratore - oltre a quella di permettere di
accedere in rete. Internet dovrà
IL CLUB n. 92 – pag. 42
trasformarsi in un "sistema nervoso globale pervasivo" in grado di
“attraversare tutti i livelli di interfacciabilità”. Anche se con qualche
rischio...
Ad Helsinki, invece, nel
2006, è nato “Aula”, il movimento
animato da Marko Athisaari e Jyri
Engestrom, che già da qualche anno si occupa di confrontare ogni
estate nella capitale finlandese le
esperienze più avanzate e visionarie della rete. Fra i guru di Internet
c’è Dan Gillmor, ex firma di punta
del Mercury News, la Bibbia della
Silicon Valley, e ora devoto animatore del fenomeno dei «media di
cittadinanza»
con
il
sito
http://citmedia.org/blog/; c’è Tyler
Brule, fondatore del fortunato
magazine Wallpaper; c’è Adam
Greenfield, studioso dell’ubiquitous
computing, scenario non troppo
futuribile in cui i computer invaderanno strade, parchi, negozi; c’è
Joshua Ramo, ex ragazzo prodigio
del Time magazine, ora socio di
Kissinger in un’agenzia di consulting globale; c’è Martin Varsavsky,
fondatore del nuovo movimento di
wi-fi globale Fon, in società con
Google e Skype. C’è un esercito di
agguerriti blogger, da Danah Boyd,
studiosa del celeberrimo
sito
Myspace.com, a Cory Doctorow,
brillante autore di fantascienza.
Ma su tutti brilla per visionarietà Joi Ito, giapponese, cresciuto anche lui nelle atmosfere
della San Francisco Bay, quel misto hippy e irripetibile di tecnologia, new age, attivismo politico e
suggestioni esoteriche. Ito è il visionario di una Internet aperta e
comunitaria. Ito già ipotizza una
Internet 3.0 mentre il mondo ancora cerca di capire cos’è l’Internet
2.0. Una Internet, come dice lui,
«sempre fuori linea», sempre
spenta, perchè in realtà sempre
accesa nella vita reale.
A chi crede che la rete sottragga tempo alla vita spingendo a
vivere un’esistenza parallela e virtuale, Ito risponde che il futuro
proverà il contrario. Internet sarà
sempre più integrata nella vita
reale, anzi le barriere fra le due
vite presto cadranno, per fare una
sola ed unica vita digitale. Dove il
tempo sarà “policronico”. «Oggi
Chi è Joi Ito
Joi Ito è oggi uno dei
personaggi più interessanti nella cultura digitale. Figura eclettica di manager, studioso, attivista, viaggiatore e speaker instancabile, è uno dei teorici della nuova era "mobile", uno che
pensa alle tecnologie wireless
come alle sole che determineranno una mutazione antropologica nel modo di pensare, vivere, e nel modo in cui la gente
si relaziona ai media.
Come manager, Joi ha
costruito il suo successo agli albori di Internet in Giappone.
Nel 2000 ha costituito Neoteny,
società di venture capital quotata per 20 milioni di dollari. È
stato fra i primi a investire nei
blog, creando Six apart, un blog
dedicato alla business community. Il World Economic Forum
lo ha incluso fra i 100 leader del
futuro.
Come studioso, Joi - che
ha vissuto a lungo a San Francisco e si è imbevuto della cultura digitale Wired style - applica all'interpretazione della nuove comunità mobili il modello
dei cultural studies (la scuola
sociologica inglese che a partire
dagli anni Sessanta ha rivoluzionato lo studio dei meccanismi di azione sociale dei mass
media).
siamo abituati a pensare tutto in
un tempo che va da A a B, che ha
un inizio e una fine. La telefonata è
un esempio perfetto di questo
tempo, qualcosa che inizia e deve
poi terminare», spiega Ito.
«Le azioni dentro il tempo
policronico sono simultanee, non iniziano e non finiscono, tutto avviene su
un continuum, dove l’uomo compie
azioni e conduce relazioni nello stesso
momento. E tutto avviene in un dato
contesto. Infatti la caratteristica principale del tempo policronico è il suo
essere contestuale, il suo fare sempre
riferimento ad un contesto».
Per spiegare cosa intende,
Ito porta ad esempio la sua nuova
ossessione: si chiama World of
warcraft ed è un gioco che si gioca
su Internet a più mani, da tutto il
mondo. I giocatori si dividono in
confraternite e ognuna ha le sue
regole di comportamento. Quella di
cui è a capo Ito conta 300 membri,
fra cui il fondatore di Napster,
Shaun Fanning. Insieme collaborano simultaneamente a progettare
strategie e schemi di gioco. «World
of warcraft non è un semplice gioco, è il più sofisticato e potente
strumento di management a distanza che io abbia mai utilizzato»
dice Ito, che di gestione aziendale
se ne intende, essendo uno degli
investitori con il miglior fiuto rispetto al web (ha puntato su progetti come Flickr e Technorati, esponenti di spicco di quel web 2.0
che fa tanto impazzire i giornali e
le borse americane).
«Quello che conta dentro
War of warcraft non è il gioco o il
suo risultato, sono i legami che si
formano nella comunità dei giocatori. Sono relazioni, legami sociali.
La comunità è coesa, si aiuta a vicenda, il modo in cui vengono prese le decisioni è assolutamente orizzontale, e nel gioco il potente
Shaun Fanning conta quanto il ragazzo che gioca facendo il barman
a Sidney. Questo gioco è come una
nuova chiesa, nel senso che restituisce quel legame comunitario che
solo la religione dà. La gente non
si isola, si unisce».
Ito ne è convinto, e forse sta
già usando lo schema del gioco per
provare come funzionerebbe una democrazia
in
rete:
connessione
Internet mobile gratuita per chiunque,
un web di tutti concepito come un insieme di relazioni e di contenuti generati da queste relazioni. Non una
grande tv che spara contenuti a pagamento, come le grandi aziende vorrebbero. Non a caso Ito è anche uno
degli animatori di Creative commons,
l’alternativa al copyright che permette
di scambiarsi e manipolare contenuti
con il consenso degli autori.
Come vedete, nel parlare
IL CLUB n. 92 – pag. 43
dell’Internet che verrà, da ipotesi tecnologiche siamo giunti anche a scenari
di evoluzione sociale che non potranno
non avere refluenze sul piano anche
normativo e legale (quello del
copyright è un nodo cruciale anche
odierno con i vari E-Mule, B-Torrent,
ecc. che consentono di mettere in
comunicazione i vario PC collegati in
rete e scambiarsi file testuali, musicali,
video, ecc.). Ma è ovvio che, al di là
delle discussioni sul concetto legale di
“proprietà intellettuale”, la rete sta di
fatto democraticizzando l’informazione
e la comunicazione. E oltre a tutte le
informazioni che un qualsiasi motore
di ricerca come Google è in grado di
scovarci, in qualunque lingua, su qualunque argomento (dalla filosofia alla
medicina, dalla geografia all’economia), la conferma dell’orientamento
sempre più democratico dell’Internet
già dei nostri giorni è Wikipedia,
l’enciclopedia in tutte le lingue mondiali creata dagli utenti che strappa di
fatto il sapere agli autori paludati e
agli editori che la distribuiscono a pagamento. E il fenomeno Wikipedia,
sociologicamente di enorme impatto
sulla distribuzione, ma anche sulla
formazione del sapere, non può che
evolversi ulteriormente negli scenari di
una Internet futura dove anche il costo di un computer potrebbe venir
meno a fronte di reti wi-fi onnipresenti
a cui tutti - e con qualsiasi “terminale”
- potranno accedere.
Ogni tanto penso agli scenari
futuribili dei libri e dei film di fantascienza, non quelli con i mostri hollywoodiani o giapponesi, ma quelli di
più alto livello come per esempio
“Blade Runner”; penso ai mondi futuribili in cui potrò trovarmi anch’io a
vivere e sono certo che la mia immaginazione ha le gambe più corte della
realtà vera che fra trent’anni o quarant’anni vivremo. Visionario anch’io?
Nient’affatto! Pensate al nostro mondo
degli anni ’60 e ‘70: avevamo la televisione in bianco e nero e cominciavano appena ad essere commercializzate le prime tivù a colori; c’era solo la
RAI e in casa si aveva solo il telefono
fisso collegato ovviamente alla rete
SIP; dei “calcolatori” pochi sapevano
parlare. E pochi avrebbero immaginato i mille canali della tivù digitale in
tutte le case, il cellulare a disposizione
dei bambini anche di pochi anni che
riceve e trasmette immagini, il “computer personale” quasi in ogni casa
con il collegamento a banda larga con
tutto il mondo, e tante altre cose che
sono oggi normale realtà.
Maurizio Karra
News, notizie in breve
Nelle acque siciliane
mille reperti archeologici
Sono un migliaio i reperti
subacquei di età arcaica e medioevale presenti nelle acque della Sicilia e nel Mediterraneo meridionale
e cinquecento i relitti di epoca contemporanea, per lo più, navi, aerei, sommergibili risalenti alla seconda guerra mondiale. La provincia più ricca di reperti è quella di
Trapani con 220 beni subacquei;
seguono quella di Palermo con 200
e quella di Siracusa con 118.
Il dato è emerso da un
censimento effettuato dalla Soprintendenza del Mare della Regione
Sicilia, iniziato nel 2004 con l'obiettivo di creare un database sulle
emergenze del patrimonio culturale subacqueo dell'Isola. Le informazioni sono adesso contenute in
un archivio elettronico che conta
18.000 file, a disposizione di ricercatori, di enti che si occupano di
tutela e valorizzazione dei beni culturali e delle Capitanerie di porto.
quadro del Piano di Riqualificazione
delle Aree di Servizio.
Le altre Società di gestione
delle Autostrade, che gestiscono
un’altra metà della rete, non hanno dato risposta. Esse hanno circa
200 aree di servizio e solo 50 fornite di camper service.
Nel resto delle strade, dai
raccordi autostradali, alle superstrade, alle strade nazionali, provinciali e comunali, dove esistono
circa 3.050 aree di servizio obbligate secondo le norme del Codice
della Strada a dotarsi di tali impianti, solo 60 hanno il camper
service. Va altresì detto che in
buona parte tali impianti non sono
gestiti e spesso sono inutilizzabili.
L’ANAS, interpellata sul
problema,
ha
risposto
che
l’argomento non è di sua competenza, pur avendo in concessione
dallo Stato l’intera rete autostradale e stradale italiana (che poi sub
concessiona) e, stimolata a non
essere reticente, si è trincerata
dietro un imbarazzante silenzio.
Le
Società
Petrolifere,
quelle che dovrebbero realizzare in
sostanza i servizi in quanto gestori
delle aree di distribuzione dei carburanti, sollecitate anche per promuoversi di fronte ai camperisti e
a ai tuor operator (anche i bus turistici scaricano da qualche parte le
loro acque nere), non hanno dato
alcuna risposta.
L’arte in Sicilia
I camper service
su strade e autostrade
A TOUR.it, Salone del turismo itinerante, svoltosi dal 19 al
27 gennaio 2008 alla Fiera di Carrara, in occasione del Convegno “Il
turismo itinerante: una risorsa da
regolamentare”, sono stati forniti i
dati ufficiali di un’indagine sui
camper service esistenti e funzionanti sulla rete stradale e autostradale d’Italia e i progetti in corso di realizzazione. Ecco la situazione:
La Società Autostrade per
l’Italia, che ha la metà della rete
autostradale in concessione, ha realizzato finora 45 camper service e
55 li sta realizzando; altri 100
strutture si è impegnata a realizzarli nei prossimi cinque anni nel
D.P.R. n. 610/1996 (Codice della
Strada).
E’ emerso che Promocamp,
l’associazione che riunisce le aziende del turismo all’aria aperta,
ha interpellate tutte le amministrazioni locali (regioni, province e comuni), fornendo anche tutta la documentazione e proponendo le integrazioni da fare ai loro Regolamenti (sanzioni incluse), oltre a
chiedere un intervento immediato
sulle aree già autorizzate e prive di
impianti. Solo tre regioni hanno
risposto affermativamente (Veneto, Toscana, Emilia-Romagna), le
altre no. Ma nessuna amministrazione locale può più dire di non conoscere la normativa.
A conclusione del convegno
è emerso quindi che, se anche con
l’apporto di Promocamp, oltre che
delle varie associazioni e dei singoli club si può contare oggi su circa
150/200 camper service realizzati
nelle aree di servizio delle autostrade e strade italiane, più una
diffusa consapevolezza del problema, l’obiettivo immediato deve
essere quello di realizzare in poco
tempo i 3.500 camper service che
la legge prevederebbe, triplicando
così l’attuale dotazione complessiva, dato che non occorrono risorse
ingenti per la loro realizzazione e
le Società petrolifere sono in grado
di farvi fronte ...velocemente.
Le Regioni, a seconda delle
varie parti d’Italia, rilasciano le autorizzazioni all’esercizio delle aree
o delegano Province e Comuni,
hanno comunque il compito di emanare Norme per la distribuzione
dei carburanti, che poi vengono
recepite dai Regolamenti Provinciali e Comunali per il rilascio di queste autorizzazioni. Ebbene quasi
tutta questa regolamentazione ignora quanto dispone l’art. 214 del
IL CLUB n. 92 – pag. 44
Vi segnaliamo quattro mostre d’arte di grande livello che in
queste settimane sono o saranno
fra gli appuntamenti di maggiore
richiamo della cultura in Sicilia.
Il primo appuntamento è a
Trapani: rimarrà aperta fino al 14
marzo prossimo al Museo Regionale Agostino Pepoli di Trapani la
mostra "Caravaggio: l'immagine
del Divino", la prima di tali manifestazioni. Tra gli sponsor dell’evento
vi è la Fondazione Banco di Sicilia,
il cui presidente, Giovanni Puglisi,
ha dichiarato all’atto della inaugurazione, avvenuta il 13 dicembre:
"La mostra è un evento unico per
la Sicilia ed ha una grande valenza
storica e culturale, perché, oltre a
mettere in luce i molteplici aspetti
legati al sacro nell'arte di Caravaggio, intende celebrare i 400 anni
del passaggio del pittore nella nostra Isola. Si tratta di un'iniziativa
Un’opera del Caravaggio. In basso un autoritratto di Guttuso
che non poteva che trovare il pieno
sostegno della Fondazione, perché
consentirà di incentivare quel turismo culturale, fra le principali
scommesse per la crescita del nostro territorio".
L'esposizione, realizzata da
RomArtificio, in collaborazione con
la soprintendenza speciale del polo
museale romano, presenta un percorso con quattordici dipinti, di cui
due in copia, selezionati da Sir De-
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nis Mahon, che ne è stato curatore
insieme a Maurizio Marini. Francamente un po’ troppo poco per parlare di “mostra” del Caravaggio,
anche per il costo del biglietto
d’ingresso (8 euro a persona, 5 euro per under 18 e over 60). Non
può per altro non evidenziarsi la
disorganizzazione logistica che costringe il pubblico a lunghe code,
prima alla biglietteria e poi lungo
le scale del museo di Trapani per
poter accedere alle due sale
dell’esposizione, mentre per la visita del resto del Museo Pepoli il biglietto si deve acquistare a parte in
un’altro box di accoglienza. Peccato davvero, a meno che tutto ciò
non porti a visitare, magari per la
prima volta, il Museo Pepoli di Trapani, questo sì di grandissimo valore per le opere d’arte sacra e
profana e i coralli artistici (fra cui
opere sacre e presepi) che vi sono
esposte comunque tutto l’anno.
“La potenza dell’immagine
– 1967/1987” è invece il titolo della mostra che il Museo di Arte Moderna Renato Guttuso di Villa
Cattolica a Bagheria dedica al
grande maestro bagherese; la mostra, aperta fino al 30 maggio, è la
terza tappa di un percorso espositivo che ripropone l'intera ricerca
del pittore siciliano attraverso opere degli ultimi due decenni, a partire dal 1967 e sino alla morte avvenuta nel 1987.
Incentrata sui dipinti di
grande formato che hanno scandito quegli anni, da "I funerali di Togliatti" del '72 a "La Vucciria" del
'74, dal "Caffè Greco"del '76 a
"Bosco d'amore" dell'84, la mostra
dà spazio anche ai dipinti più intimi
legati a una quotidianità antiretorica e antieroica. Completano la rassegna una selezione di disegni e
opere su carta; e opere di artisti
amati da Guttuso, come Picasso e
De Chirico e di altri che a lui hanno
guardato come Warhol e Schifano.
Fino all’8 giugno resterà
poi aperta un’altra grande mostra
di pittura, la retrospettiva dedicata
alle opere di Gianbecchina inaugurata il 15 dicembre u.sc e allestita presso il ridotto del Teatro
Politeama di Palermo (gli spazi di
circa 2.000 mq. che fino a qualche
mese fa ospitavano la Civica Galleria d’arte moderna “Empedocle Restivo”, poi spostata presso il complesso monumentale di S. Anna).
Sono esposte oltre cento
opere pittoriche e circa centocinquanta grafiche del grande mae-
stro
di
Sambuca
di
Sicilia;
e perfino l’ultimo lavoro realizzato
dal pittore due giorni prima di morire. Il percorso espositivo della
mostra, allestita da Alessandro
Becchina, figlio del Maestro e di
Maria, che in molti conoscono per
la sua dedizione costante e la spinta propulsiva all’opera del marito,
e curata da Tanino Bonifacio e
Francesco Gallo, segue un itinerario storico-cronologico e viene accompagnato con installazioni multimediali che raccontano l’opera, la
vita ed i luoghi del pittore siciliano.
Un allestimento che inizia da Gianbecchina-uomo, con un excursus
bio-bibliografico attraverso foto di
famiglia, cataloghi e autoritratti, e
poi attraverso otto sezioni: l’esperienza giovanile, Corrente, il Realismo lirico e sociale, l’Astrattismo,
Gente di Sicilia, gli affreschi del
Sacro, il ciclo del pane sino ad arrivare fino al grande paesaggio.
Infine, l’ultimo appuntamento è fissato per il 28 febbraio,
allorquando sarà inaugurata una
mostra delle opere di Giorgio De
Chirico presso il polo museale di
Sant’Anna a Palermo. Si tratta di
una mostra dedicata a uno dei
maestri della pittura europea del
Novecento, che avrà purtroppo
breve durata, chiudendosi solo dopo un mese, il 30 marzo 2008. Il
progetto della mostra è della Key
75 srl ed è stato concordato con il
Comune di Palermo a 5 euro il
prezzo del biglietto d'ingresso.
Giorgio de Chirico: la Metafisica continua - questo il titolo della
mostra - sarà curata dal professor
Maurizio Calvesi, storico dell'arte e
uno dei più attenti studiosi dell'opera
di de Chirico (fu indimenticabile professore
di
storia
dell’arte
all’Università di Palermo negli anni
‘70); e vedrà esposte importanti opere, fra dipinti, sculture e grafica,
provenienti dalla Fondazione Isa e
Giorgio de Chirico (Roma), dalla Galleria nazionale d'arte moderna di
Roma e dal Museo Bilotti di Roma.
Un appuntamento da non perdere
per comprendere non solo uno dei
percorsi compiuti dall’arte del secolo
scorso (quello della metafisica e del
surrealismo) ma forse anche il senso
di tutta l’arte contemporanea successiva.
del Protocollo di Kyoto” e gli USA,
fra i maggiori inquinatori del mondo, sabato 15 dicembre all’alba è
cessato; e ciò grazie alle forti pressioni di tutto il mondo ambientalista fuori della sala del congresso,
alla posizione decisa dell’Europa,
all’ingresso dell’Australia nel trattato di Kyoto, fattori tutti che hanno giocato un importante ruolo
nella “capitolazione” alla fine, in
“zona Cesarini”, degli USA che
hanno firmato l’accordo.
Ciò vuol dire che gli USA
nel prossimo protocollo di Kyoto 2
aderiranno, ma è solo una promessa.
Al
momento,
infatti,
l’accordo è ancora una volta sulle
buone e volontarie intenzioni, nulla
di più. La parte concreta, le decisioni che dovranno tramutarsi in
leggi e norme rigorose per tutti i
Paesi del Mondo sono state rinviate
al 2009, a un grande summit planetario in cui si dovrà decidere delle sorti della Terra.
Qualcuno
comunque
è
soddisfatto del risultato se non altro perchè si è spazzato via il fronte del no di Kyoto. Ma i più scettici
pensano che questa sia stata una
manovra
USA
per
uscire
dall’isolamento in cui si era cacciato e che da qui a due anni escogiterà ancora qualcosa per non essere vincolato a nessun tipo di riduzione di emissioni di gas serra. Di
concreto e di estremamente interessante dall’avventura di Bali è da
segnalare la volontà delle Nazioni
Unite di concentrare risorse umane
e finanziarie per salvaguardare seriamente le ultime foreste tropicali
della Terra. In che modo e quando
si saprà tra qualche mese.
Al via la strada
dei castelli siciliani
Un circuito per mettere in
rete i quattordici comuni siciliani
proprietari di castelli: è l’iniziativa
denominata la “Strada dei castelli
siciliani” presentata a metà gennaio
nel salone delle Feste del castello di
Carini ai sindaci di Caltabellotta, Geraci Siculo, Modica, Montalbano Elicona, Mussomeli, Randazzo, Sperlinga, Giuliana, Cammarata, Burgio,
Valderice, Aci Castello, Pietraperzia e
Carini che hanno dato l'adesione per
istituire il circuito che punta alla valorizzazione e alla rivalutazione dei
manieri dell’Isola.
“Partendo dalla considerazione che la Sicilia è terra che conserva una numerosissima generazione di castelli - ha detto Pino Agrusa, assessore al turismo del comune di Carini - l'iniziativa intende
mettere in rete un insieme di itinerari territoriali, proponendo nuove iniziative culturali e nuove offerte turistiche”. “La Sicilia che vogliamo rappresentare - ha aggiunto il sindaco
di Castelbuono, Mario Cicero - è
quella dell'entroterra, delle montagne, e dell'immenso patrimonio culturale che c'è e che verrebbe promosso a livello internazionale”.
I risultati della conferenza
su clima e ambiente di Bali
La stanchezza alla fine ha
vinto e il braccio forte tra i “fedeli
Il castello di Mussomeli
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L’ultima parola
di Giangiacomo Sideli