La guerra dei canali del commercio globale
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La guerra dei canali del commercio globale
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Una frenetica corsa ad ammodernare le vecchie infrastrutture di cui è protagonista anche l’Italia grazie alle capacità delle sue imprese di costruzione di DANIELE AUTIERI, LUCA PAGNI e dal nostro corrispondente FEDERICO RAMPINI ‹› Evento storico un secolo dopo la prima rivoluzione dal nostro corrispondente FEDERICO RAMPINI NEW YORK - Post Panamax. Per gli esperti del traffico marittimo questo termine designa le mega-navi che potranno usare il nuovo Canale di Panama, formato extra-large, dopo i lavori di ampliamento e ammodernamento che hanno per protagonista il made in Italy con il gruppo Impregilo. Post Panamax: un giorno forse questa espressione entrerà nell’uso comune, per indicare l’inizio di un nuovo capitolo nella storia della globalizzazione. Potremmo chiamarla la “gara dei canali”. Metterà in scena anzitutto le due potenze rivali, America e Cina, impegnate a garantirsi rotte più veloci, economiche e sicure. Metterà in scena anche la Scatola Globale, quel container che è diventato il “mattoncino lego” della globalizzazione fin dalla sua apparizione più di mezzo secolo fa. La Scatola Globale, il container che trasporta ogni genere di merce, presto viaggerà ad una velocità superiore, costerà ancora meno, grazie al nuovo Canale di Panama. La cui inaugurazione porterà con sé l’eco di altri eventi storici: un secolo fa, per la prima volta i miei antenati liguri (tutti navigatori) poterono raggiungere da Genova i porti della California senza più dover affrontare la lunga e pericolosa circumnavigazione del Sudamerica. Quante navi affondate, quanti naviganti morti in quei naufragi al largo del Capo Horn… Nel 1915, mentre l’Europa sprofondava nella prima guerra mondiale, la California con l’esposizione Pan-americana non si limitava a festeggiare l’inaugurazione del Canale di Panama (avvenuta l’anno prima, 1914) che le avrebbe dato un ruolo enorme nei commerci mondiali, abbattendo i tempi del trasporto navale tra Atlantico e Pacifico. Quell’evento propose San Francisco come vetrina d’invenzioni, prefigurando il ruolo di tecnopoli, capitale della Silicon Valley, che era ancora di là da venire e per la realizzazione del quale ci sarebbero voluti l’attacco giapponese a Pearl Harbor, la necessità di spostare nel 1941 la ricerca militare verso la West Coast e gli investimenti del Pentagono nell’elettronica. Tant’è, l’Expo di San Francisco con la costruzione del Palace of Fine Arts (oggi sede dell’Exploratorium) fu una specie di faro acceso sul futuro, l’annuncio visionario di quel che sarebbe divenuta la California. Un tassello di quella storia fu proprio la costruzione del Canale di Panama, che rese improvvisamente la West Coast un po’ meno distante da noi. Che cosa significa oggi in termini economici e commerciali tra l’Atlantico e il Pacifico l’inaugurazione operativa di un braccio più grande del Canale? Le conseguenze saranno enormi, si diramano perfino verso Cuba, che improvvisamente potrebbe aspirare a diventare uno dei prossimi hub portuali dei Caraibi, dove faranno sosta e riferimento le meganavi portacontainer. E’ difficile calcolare con certezza quel che accadrà ai prezzi, le ripercussioni sulle merci, quali attori entrano in scena, come cambierà la fisionomia del mercato globale. Un abbattimento dei costi di trasporto, in linea di principio, avvantaggia tutti coloro che sono consumatori e importatori; ma è anche una grande opportunità per i paesi dell’emisfero Sud. Dall’Africa all’America latina, improvvisamente molte nazioni vedono aprirsi rotte alternative per accedere ai mercati di sbocco. Non a caso i militari egiziani hanno voluto bruciare i tempi con il loro progetto alternativo, l’allargamento del Canale di Suez, appena inaugurato. Per alcune rotte Suez e Panama diventano fungibili, e questo crea una competizione non solo sui costi bensì anche su efficienza, sicurezza, garanzie anti-pirateria. Molto lontano da casa loro, i cinesi si candidano a diventare i grandi costruttori del XXI secolo anche in America latina. Pechino finanzia e realizza la mega-ferrovia Brasile-Perù, che attraverserà le Ande, collegherà la costa brasiliana sull’Atlantico a quella peruviana sul Pacifico, accorciando i tempi per il transito merci verso la Cina. Sempre la Repubblica Popolare progetta la costruzione dell’anti-canale di Panama: un gemello di 172 miglia che traversa il Nicaragua e consente di passare da un oceano all’altro. Che schiaffo simbolico agli Stati Uniti. La costruzione del Canale di Panama dal 1904 al 1914 segnò davvero l’inaugurazione del secolo americano, l’ascesa di Washington al rango di superpotenza mentre l’Europa collassava nella prima guerra mondiale. Ora è nel loro “cortile di casa”, come l’America latina viene considerata dai tempi della Dottrina Monroe e di Ted Roosevelt, che gli Usa devono assistere a questa penetrazione cinese. E non solo nelle infrastrutture. Nel 2014 il totale dei prestiti cinesi all’America latina, 22 miliardi di dollari, ha superato quelli erogati dalla Banca mondiale e dalle altre istituzioni multilaterali influenzate da Washington. D’altronde ormai la Cina ha scalzato gli Stati Uniti come primo partner commerciale di 140 nazioni al mondo. Intanto per i Caraibi il sogno è quello di un “ritorno alle origini”. La loro fortuna economica – sia pure entro i limiti e le regole predatorie di un’economia coloniale – fu legata al fatto che erano collocati idealmente sulle rotte navali che collegavano le colonie spagnole e portoghesi alla madrepatria. Non si spiega altrimenti la bellezza decadente di una capitale come L’Avana: il centro storico, fatiscente e pericolante, è una collezione di meravigliosi palazzi dell’epoca coloniale spagnola. Ora una fortunata coincidenza di calendario geopolitico, piazza l’inaugurazione del nuovo Canale di Panama molto vicina al disgelo tra Washington e L’Avana, con relativa promessa di levata dell’embargo. La gara dei Canali dunque è appena cominciata, e già promette di essere un capitolo avvincente, in una sfida ancora più vasta e complessa: la posta in gioco sono le nuove mappe strategiche dei traffici planetari. Finora il vecchio Canale di Panama poteva far transitare solo il 3% del trasporto mercantile, perché più della metà delle navi mondiali sono troppo grosse per transitare in quell’ “imbuto”. Con l’ampliamento, si taglieranno di un terzo i costi di trasporto. Come avvenne all’epoca delle grandi scoperte, quando l’Atlantico surclassò il Mediterraneo, i cambiamenti nei grandi flussi di trasporto hanno spesso conseguenze a catena sui rapporti di forze geoeconomici e strategici. Un capolavoro di ingegneria che parla italiano di DANIELE AUTIERI ROMA - I due oceani hanno ripreso a guardarsi. Il 24 giugno scorso la paratoia alta come un palazzo di dieci piani e pesante quasi quattromila tonnellate ha lasciato entrare nel Nuovo Canale di Panama le acque dell’Atlantico, esattamente due giorni dopo l’operazione speculare compiuta sul fronte del Pacifico. Sono le prime prove del complesso sistema di sedici paratoie inserite nel Terzo Set di Chiuse, il progetto che prevede la realizzazione del nuovo Canale di Panama a oltre cento anni dalla storica inaugurazione del 1914. A realizzare l’opera, il consorzio Grupo Unidos por el Canal (Gupc), composto da Salini-Impregilo (l’impresa italiana leader nel mondo nel settore acqua), dalla spagnola Sacyr, dalla belga Jan de Nul, e dalla CUSA di Panama. Un lavoro iniziato ufficialmente nell’agosto del 2009 che ha attraversato anche momenti di stallo come nella querelle su 1,6 miliardi di extra costi che all’inizio del 2014 ha reso più tesi i rapporti tra il Gupc e il governo panamense. Ma oggi i tempi sono maturi: lo stato di avanzamento dei lavori è al 90% e già dalla primavera del 2016 saranno operative le prime linee di transito, che passeranno attraverso le sedici paratoie arrivate dall’Italia. «Il Canale di Panama – commenta Pietro Salini, amministratore delegato del Gruppo Salini Impregilo – è senza dubbio un progetto strategico per il commercio mondiale, una miscela di alta tecnologia, , esperienza costruttiva e competenza progettuale che testimonia ancora una volta la leadership di Salini Impregilo a livello globale. È per noi motivo di enorme soddisfazione essere riusciti a realizzare questa grande infrastruttura che parla italiano con i nostri ingegneri ma anche con i nostri fornitori, un’opera che già dall’inizio dell’anno prossimo permetterà alle enormi navi Post Panamax di passare dall’Atlantico al Pacifico, cambiando il destino del traffico mondiale per dimensione e per durata». Un’autostrada del mare, aperta alle navi moderne che possono arrivare a 400 metri di lunghezza portando sulla schiena 14.000 containers, tre volte di più rispetto alla portata odierna. Il loro viaggio attraverso il continente americano è garantito da un sofisticato gioco di chiuse che farà innalzare le imbarcazioni di 27 metri permettendogli di accedere alle acque del lago Gatùn, il bacino artificiale più grande del mondo. Una volta superato, le chiuse all’imbocco dell’altro oceano riportano l’imbarcazione al livello del mare e le permettono di lasciarsi il Canale alle spalle. Un’opera costosa (circa 4 miliardi di euro il conto finale) che tuttavia garantirà all’Autoridad del Canal de Panama e all’indotto incassi annuali fino a 5 miliardi di dollari, circa il doppio rispetto a quelli attuali. Il Canale è infatti già un affare per il commercio mondiale. Valgono 270 miliardi di dollari (il 3% dei percento dei traffici marittimi mondiali) le merci che transitano ogni anno nel corridoio che collega l’Atlantico e il Pacifico e attraverso 144 rotte marittime raggiungono 160 Paesi e 1.700 porti. Ma il nuovo Canale sarà un affare ancora più grande. Secondo uno studio redatto dal professor Oliviero Boccelli, direttore del Certet (Centro di economia regionale, trasporti e turismo) dell’Università Bocconi di Milano, nel 2014 il 54% della flotta commerciale sui mari di tutto il mondo aveva dimensioni superiori rispetto a quelle previste per superare l’istmo di Panama. E questa percentuale è destinata a salire al 60% nel 2018. Sempre la Bocconi rileva che transitare con i carichi da 12.600 TEU, contro i 4.400 di oggi, significa una riduzione dei costi del trasporto marittimo del 34%. Per una nave del genere, ogni giorno in meno di navigazione vale 100.000 dollari. Questo comporta un impatto sensibile sugli equilibri del commercio mondiale, e una rivoluzione per le prospettive di sviluppo della regione. Il 17 giugno scorso la Banca Mondiale ha pubblicato lo studio “Trade matters: new opportunities for the Caribbean”, un’analisi dettagliata sulle prospettive di crescita di tutta l’area, sottolineando come l’espansione del Canale porti con sé una naturale attesa verso l’aumento degli scambi tra i Paesi dei Caraibi, oltre alla modernizzazione delle infrastrutture (soprattutto porti e ferrovie) in Giamaica, Repubblica Domenicana, Bahamas e Haiti. L’impatto dell’opera si allarga a centri concentrici e arriva fino all’Italia. Attraverso Panama passa il 5% del commercio marittimo del nostro Paese, e le rotte internazionali che partono dalle città della costa Est statunitense (Seattle, Oakland, Long Beach) e passano per il Canale arrivano fino ai grandi porti italiani del Tirreno, La Spezia, Civitavecchia e Gioia Tauro. Autostrade del mare battute da uomini e merci. “Rispetteremo i tempi, apertura entro la primavera” di LUCA PAGNI MILANO - E’ uno di quei manager che è molto difficile intercettare per una intervista di persona. Bisognerebbe inseguirlo in giro per il mondo. Perché fin dai primi anni ‘80, dopo essersi laureato in Ingegneria civile al Politecnico di Milano, ha scelto di lavorare all’estero, cambiando in continuazione paese, dal Nepal al Paraguay, dalla Turchia al Peru. Se non altro, Giuseppe Quarta, 56 anni, da un anno a questa parte fa base a Panama. Da quando è diventato responsabile dei lavori per il raddoppio del Canale per conto di Salini-Impregilo, uno dei leader mondiali nel campo delle grandi opere. Nomina arrivata all’indomani dell’accordo che ha messo fine al contenzioso tra il consorzio guidato dalla società italiana e le autorità locali che minacciavano di ritirare l’appalto. Ora il cantiere è avviato verso il suo completamento, con l’apertura commerciale prevista per la prossima primavera. Ingegner Quarta, può confermare che non ci saranno più rinvii? “Vorrei essere prudente, visto che si tratta di un cantiere estremamente complesso, con moltissime variabili tecniche. Però, si può dire che dei 28 obiettivi che ci eravamo prefissati un anno fa, 24 sono stati tutti raggiunti nel rispetto dei tempi. Ce ne sono ancora quattro da qui al primo aprile dell’anno prossimo, quando le autorità hanno fissato l’apertura del Canale”. Quali sono state le maggiori difficoltà tecniche in un cantiere così complesso? La produzione di tutto il cemento necessario? “Questo è un tema delicato, per il quale è nato anche il contenzioso con le autorità del Canale. Il basalto locale che abbiamo utilizzato per la produzione ha caratteristiche tali per cui si disgrega facilmente quando lo si lavora per farne calcestruzzo. Bisogna processarlo in modo particolare e questo ha comportato costi addizionali. Un arbitrato ci ha dato ragione e riconosciuto 245 milioni, ma la vicenda per noi non è ancora conclusa, non è una cifra sufficiente”. Panama è un paese piccolo e la sua economia è quasi tutta rivolta al Canale e al settore finanziario. Avete avuto problemi di approvvigionamento o di reperimento del personale? “In effetti, l’economia del paese è limitata ad alcuni settori e ha solo tre milioni di abitanti. Per le necessità del cantiere dobbiamo importare quasi tutto. Ogni mese, utilizziamo mediamente il doppio del cemento e dell’acciaio che viene consumato in un anno in tutta Panama. La manodopera, in base agli accordi con il Governo, è quasi tutta locale: non possiamo superare il 10 per cento di lavoratori stranieri. Mentre abbiamo avuto non pochi problemi per lo staff e i quadri intermedi perché abbiamo dovuta reperirli in giro per il mondo. Bisogna dire che la recessione in Europa ci è venuta in aiuto: in particolare, la crisi dell’edilizia e delle opera pubbliche in Spagna e Portogallo ha portato alla chiusura di molte imprese. E molti professionisti e tecnici si sono resi disponibili per essere selezionati per il cantiere”. Il governo cinese, attraverso uno dei suoi colossi di Stato, vuole costruire un canale che collega i due oceani attraversando il Nicaragua. Ma ci sarà mercato sufficiente per entrambi? “Secondo un convegno organizzato di recente qui a Panama, sembra proprio di no. Dal mio punto di vista di tecnico, faccio solo osservare che il Nicaragua è un paese ancora più complicato. Secondo il progetto presentato dai cinesi, si tratta di realizzare un miliardo di dollari di lavori al mese: nel nostro cantiere ne abbiamo fatti 100 milioni al mese nei momenti di picco. E poi, un conto è allargare un canale già esistente, già accettato dalla popolazione locale su cui ruota l’economia. Mentre in Nicaragua il canale va scavato ex novo, dovranno sventrare un paese e trasformare un habitat molto particolare. Vediamo cosa succederà”. Da Suez al Nicaragua, la sfida a collegamenti più efficienti di LUCA PAGNI MILANO - In Egitto hanno fatto tutto in tempi record: nemmeno un anno di scavi per arrivare nella scadenza prevista all’inaugurazione ufficiale del “nuovo” Canale di Suez. In Nicaragua, invece, la tabella di marcia è molto più in là nel tempo: il canale che dovrebbe attraversare il paese centroamericano da Atlantico a Pacifico dovrebbe aprire al traffico per il 2020. Il boom del trasporto via mare delle merci, frutto della globalizzazione del settore industriale, nonché la costruzione di navi portacontainer sempre più grandi, ha dato un rinnovato impulso alla costruzione o - in alternativa - all’allargamento dei canali artificiali. Ne sono coinvolti i canali storici, come Panama o Suez, ma anche progetti inediti che faranno molto parlare nei prossimi anni nella circostanza in cui - è proprio il caso di dirlo - dovessero andare in porto: perché si concentrano tutti nell’area centroamericana fino ad arrivare alla Colombia, in tutti quei paesi che si affacciano su entrambi gli oceani. E che saranno destinati inevitabilmente a farsi concorrenza tra loro, prima ancora di farla al Canale di Panama. Chi non ha di questi problemi è l’Egitto, visto che di concorrenti per evitare i 16mila chilometri della circumnavigazione dell’Africa non ne ha. Seguendo un progetto già avviato dall’ex presidente Mubarak, il governo de Il Cairo ha dato il via nell’agosto scorso ai lavori di scavo per quello che si potrebbe definire un ampliamento parziale del Canale. Dalla sua apertura alla fine dell’Ottocento, Suez ha sempre viaggiato per un lungo tratto (72 chilometri su un totale di 193) a senso unico alternato: due navi di grandi dimensioni non possono passare affiancate, con tutti i limiti del caso. Bocciando un primo progetto che era stato dato in appalto a società del Qatar, il governo egiziano ha consegnato il cantiere all’esercito (e non solo per questioni di sicurezza) e i lavori a un consorzio di imprese europee. Risultato: in un anno sono stati scavati 37 chilometri di “espansione in profondità” garantendo il passaggio a navi di grande pescaggio e altri 35 chilometri “a secco” di allargamento effettivo. Il che dovrebbe garantire il passaggio di 97 imbarcazioni al giorno contro le attuali 49, con un tempo di percorrenza da 18 ore a meno di 10 ore a regime. Il tutto per un investimento di oltre 4 miliardi di dollari, che in realtà nel suo complesso vale per oltre 8,5 miliardi: perché lungo le sponde del Canale saranno realizzati centri urbani, cantieri navali, punti di rifornimento. Un’opera pensata per dare lavoro ai giovani egiziani che da disoccupati sono facile preda dei predicatori integralisti. Altre questioni geopolitiche stanno alla base della scelta della Cina di puntare le sue carte sul Nicaragua, per un progetto che sarà il più faraonico di tutti: tre volte più lungo di Panama (sfruttando un lago al centro del paese) con una larghezza dagli 83 ai 520 metri e una faraonico di tutti: tre volte più lungo di Panama (sfruttando un lago al centro del paese) con una larghezza dagli 83 ai 520 metri e una profondità di 27 metri. Nel 2013, il governo di Daniel Ortega ha concesso un permesso di 50 anni alla Hong Kong Nicaragua Development Investment il cui titolare ha garantito la bellezza di 40 miliardi di investimenti. Gli esperti del settore sono scettici: i fondi potrebbero non bastare perché i problemi tecnici sono notevoli e il Nicaragua è un paese povero di industrie e che offre poca manodopera: in sostanza, bisognerebbe importare uomini e materiali di ogni tipo. E poi, si domandano, c’è abbastanza traffico su queste rotte per due canali? Ma per la Cina il problema è politico: Panama è ancora troppo sotto l’influenza degli Usa, nonostante il Canale sia tornato nella disponibilità del governo locale. La guerra per la supremazia economica mondiale è appena iniziata. 6 agosto 2015 Divisione Stampa Nazionale — Gruppo Editoriale L'Espresso Spa - P.Iva 00906801006 Società soggetta all'attività di direzione e coordinamento di CIR SpA - Privacy © Riproduzione riservata