La Chiesa gallicana
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La Chiesa gallicana
CULTURA, CIVILTÀ E RELIGIOSITÀ IPERTEsTo Il cattolicesimo francese La Chiesa gallicana Riferimento storiografico IPERTESTO A ➔Il problema dell’autonomia da Roma 1 Stampa del xvii secolo che raffigura il solenne ingresso di Luigi xiv a Strasburgo. F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010 1 pag. 5 il cattolicesimo francese Per designare la Chiesa d’Inghilterra, nel Cinquecento fu coniata l’espressione anglicana; allo stesso modo, la formula Chiesa gallicana nacque per indicare l’esistenza di una comunità cristiana nazionale: quella francese. Tra le due vi era una profonda differenza: mentre l’istituzione britannica sorse da un atto di separazione da Roma, da una solenne dichiarazione del Parlamento, secondo cui il capo della Chiesa inglese non era il papa, ma il re d’Inghilterra, il clero francese continuò a dichiararsi cattolico e a riconoscere la figura del papa. Eppure, proprio sulla questione del rapporto con il pontefice, la Chiesa gallicana ci appare molto diversa da quella spagnola o austriaco-tedesca, che pure a volte ebbero contrasti con Roma. I vescovi e il clero francese, infatti, pur riconoscendo il primato del papa e respingendo la teologia riformata, periodicamente rivendicarono il diritto di esercitare un’eccezionale autonomia d’azione, che mal si conciliava con le pretese sempre più forti del papato stesso a essere riconosciuto come autorità indiscutibile, assoluta e – al limite – infallibile in materia di fede. In questa sua lotta per l’autonomia, la Chiesa gallicana trovò spesso un valido alleato nel re e fu disposta a sostenere la monarchia tutte le volte che essa entrò in conflitto con Roma; tuttavia, i vescovi francesi spesso non esitarono a sfidare i sovrani, opponendosi al loro volere. E ciò accadeva quando – a loro giudizio – una linea politica ultramontana (finalizzata a ottenere il sostegno del papa, la cui sede si collocava, da un punto IPERTEsTo ➔Schieramenti fluidi UNITÀ I ➔Conquista di Strasburgo L’ETÀ DI LUIGI XIV E DI JOHN LOCKE 2 ➔Cattolicesimo senza papa di vista francese, al di là delle montagne, cioè in Italia, al di là delle Alpi) metteva in pericolo le libertà e le tradizioni della Chiesa di Francia. Per questo motivo, nella Francia del seicento e del primo settecento gli schieramenti furono spesso fluidi e instabili: uomini che in un primo tempo troviamo schierati dalla parte del re, possiamo incontrarli venti o trent’anni più tardi come suoi avversari su una questione specifica, per il fatto che, in quel caso, a loro giudizio il re si era esposto troppo e aveva fatto al papa troppe concessioni. Un primo importante episodio che vide Chiesa francese e monarchia schierate sullo stesso fronte contro Roma fu il cosiddetto affare della regale, esploso mentre la Francia era in guerra con l’olanda. In molte diocesi, quando una sede vescovile era vacante, il re amministrava le rendite e poteva nominare gli ecclesiastici. Nel 1673, Luigi XIV decise unilateralmente di estendere questa prassi a tutti i vescovati e soprattutto la introdusse nel sud del Paese, dove essa non era mai stata adottata. Il papa protestò in modo energico, ma il clero francese, in questa circostanza, sostenne apertamente il sovrano. Tale sostegno toccò l’apice nei primi anni ottanta. Nel 1681, l’esercito di Luigi XIV riuscì a conquistare strasburgo e a portare l’Alsazia sotto dominio francese; poiché la città aveva aderito alla Riforma, la grande cattedrale di strasburgo era diventata un luogo di culto luterano. Luigi XIV ne ordinò l’immediato ritorno alla Chiesa cattolica, presentandosi come il campione della vera fede contro l’eresia. L’anno seguente (1682), il predicatore di corte J.B. Bossuet riuscì a convincere l’assemblea del clero francese a votare una solenne dichiarazione organizzata in Quattro articoli, nei quali si proclamava che l’autorità dei Concili era superiore a quella del papa e che il pontefice non aveva alcun diritto di abrogare o modificare i principi e le consuetudini della Chiesa gallicana. Infine, nel 1685, la decisione di revocare l’editto di Nantes fu accolto con un plauso generale da parte dei vescovi e del clero cattolico, che mai come allora si strinse unanime intorno al sovrano che aveva schiacciato l’eresia e riportato il Paese all’unità religiosa. Del resto, alcuni religiosi gallicani si spinsero ad affermare che proprio il loro cattolicesimo senza papa era la religione più idonea a riportare sulla retta via gli ugonotti, che mai si sarebbero convertiti alla versione papista della fede cattolica, a causa della lunga tradizione riformata che identificava il vescovo di Roma con l’Anticristo. Il giansenismo Quella stessa Chiesa francese che, nel 1685, celebrò l’unità religiosa del regno, in realtà al suo interno era profondamente divisa da forti contrasti che risalivano a circa quarant’anni prima. Nel 1640, infatti, uscì Augustinus, un dotto trattato teologico che presentava in modo ➔Cornelis Jansen organico il pensiero di sant’Agostino; l’autore era l’olandese Cornelis Jansen (noto anche come Giansenio), professore di sacra scrittura a Lovanio, in Belgio, e (dal 1636) vescovo di Ypres. Nella sua opera, Jansen illustrava in tutta la sua forza e la sua coerenza il radicale pessimismo antropologico del santo teologo, convinto della totale corruzione della natura umana a seguito del peccato originale. secondo la sua opinione, il libero arbitrio era del tutto inesistente e impossibile: lasciato a se stesso, l’uomo non avrebbe commesso altro che azioni malvagie. Inoltre, Agostino sosteneva la dannazione eterna dei bambini morti senza battesimo, la predestinazione e la dottrina della grazia efficace: Cristo, in altre parole, non ha salvato tutti gli uomini, ma solo un gruppo ristretto di eletti, separati da una vastissima massa dannata; la fede e la grazia efficace (cioè la possibilità di compiere azioni buone, con l’aiuto divino) sono doni gratuiti, concessi da Dio agli eletti e negati ai dannati. Libero arbitrio Con questo termine si indica un concetto Poiché voleva restare cattolico, Jansen riconosceva valore alla Verteologico e filosofico in base al quale ogni gine e ai sacramenti, che invece il protestantesimo aveva rifiutato persona è libera di operare secondo la procategoricamente. Tuttavia, recuperando e rilanciando i punti che pria volontà. Al libero arbitrio si contrappose la dottrina luterana del servo arbitrio, seabbiamo appena menzionato, sul tema della salvezza eterna il condo cui l’uomo era inclinato verso il Male teologo di Lovanio non era molto distante da Calvino, che era e incapace di compiere il Bene. stato buon interprete di Agostino. L’ostilità maggiore contro Jan- le parole F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010 IPERTESTO A ➔“Lassismo” dei gesuiti 3 in questo dipinto di Philippe de Champaigne (1662) è raffigurata madre Angelica, sorella di Antoine Arnauld e direttrice del monastero femminile di Port-Royal-des-Champs, con suor CatherineSuzanne de Champaigne, figlia dell’autore del quadro. F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010 IPERTEsTo ➔Condanne di Roma il cattolicesimo francese sen venne dall’ordine dei gesuiti, che lo accusò di negare le dottrine cattoliche del Concilio di Trento e ottenne dal papa una prima condanna dell’Augustinus. In Francia, alcuni importanti teologi parigini presero le difese di Jansen e suscitarono un vivace dibattito; una seconda condanna romana emanata nel1653 non chiuse affatto la questione, in quanto Antoine Arnauld (professore di teologia alla sobona) dimostrò che il pensiero dell’autore dell’Augustinus coincideva con quello del santo, considerato dalla Chiesa una delle massime autorità di riferimento. Inoltre, fin da questo momento, si infiltrò nella disputa una sfumatura gallicana, in quanto quattro vescovi promulgarono nelle loro diocesi le bolle di Roma solo dopo averle accompagnate da proprie lettere pastorali, a segnalare che ritenevano l’azione del papa un’intrusione non autorizzata, contraria alla tradizione. Infine, il nucleo più determinato della resistenza giansenista divenne il prestigioso monastero femminile di Port-Royal-des-Champs, situato fuori Parigi, presso Versailles, e diretto dalla sorella di Arnauld (denominata madre Angelica, per la sua devozione e il suo rigore monastico, che la rendevano una specie di santa vivente agli occhi dei contadini della zona). La discussione sulla teologia di Jansen si intrecciò poi, nei medesimi anni, con una serrata polemica sul sacramento della confessione. I principali avversari dei giansenisti – i gesuiti – avevano infatti introdotto una serie di argomenti e di stratagemmi che, agli occhi di molti cattolici più intransigenti di loro, finivano per assolvere anche i peccatori più gravi. L’obiettivo dei gesuiti, che davano molta importanza alle circostanze in cui il peccato era stato commesso, e quindi cercavano di distinguere attentamente un caso dall’altro, era quello di costruire una Chiesa di massa, capace di comprendere in sé il maggior numero possibile di individui. Gli intransigenti cattolici, invece, mentre accusavano i gesuiti di lassismo, avevano in mente una Chiesa d’élite, di cristiani fortemente motivati e selezionati (di fatto non molto diversi dagli eletti di cui parlavano Agostino, Calvino e Jansen). La posizione intransigente trovò il suo esponente più prestigioso in Blaise Pascal, che nel 1656-1657 pubblicò le Provinciales, una raccolta di diciotto lettere che immaginava indirizzate a un provinciale dei gesuiti (il padre responsabile di una provincia, cioè il superiore di tutti i gesuiti presenti in una data regione). In questi testi, Pascal rimproverava ai gesuiti di offrire «il cielo a basso prezzo e una vita senza obblighi» e respingeva categoricamente la validità di una conversione dettata solo dalla paura delle pene dell’inferno: in tal caso, scriveva, si potrebbe paradossalmente «essere salvati senza mai aver amato Dio nella propria vita». IPERTEsTo Luigi XIV contro i giansenisti 2 Riferimento storiografico UNITÀ I pag. 7 L’ETÀ DI LUIGI XIV E DI JOHN LOCKE 4 il monastero di PortRoyal-des-Champs in un’illustrazione di un artista anonimo. ➔La rivoluzione contro re e Chiesa Nel 1671 apparve in Francia Il Nuovo Testamento in francese, con delle riflessioni morali su ciascun versetto, di Pasquier Quesnel. In un primo tempo, il testo fu accolto con grande favore da numerosi vescovi e preti; l’opera pertanto fu ampliata in continuazione, fino al 1691. Trattandosi di un lavoro monumentale, solo dopo parecchio tempo ci si accorse che in vari punti esso sosteneva tesi assai simili a quelle gianseniste, soprattutto là dove insisteva sul piccolo numero degli eletti. L’offensiva contro i giansenisti, pertanto, riprese con rinnovato vigore; nell’ottobre 1709, il re ordinò la distruzione del monastero di Port-Royal-des-Champs e persino l’esumazione dei cadaveri di quanti erano seppelliti nel cimitero situato nelle vicinanze, trattati secondo le stesse modalità che i tribunali più intolleranti (sia cattolici sia protestanti) avevano riservato agli eretici nel XVI secolo. Nel 1709, la Francia era in mezzo alla guerra di successione spagnola (1701-1713) e il Paese stava soffrendo a causa di una violentissima carestia. In questa situazione estrema Luigi XIV si sentiva minacciato dalla dissidenza giansenista, che si rifiutava caparbiamente di entrare nella logica dell’assolutismo monarchico. Tale concezione poggiava sulla triade un re, una legge, una fede; nell’ottica del sovrano, la religione aveva principalmente una funzione pubblica, politica, di cemento sociale della nazione (e, a maggior ragione, della nazione in guerra, che doveva essere certa di avere Dio dalla propria parte). Il giansenismo non aveva finalità e obiettivi politici; tuttavia, il suo orientamento andava in direzione opposta: una religione interiore ed esigente, vissuta nell’intimità personale più che nell’esteriorità e nella pompa delle cerimonie pubbliche. Inoltre, una fede di questo genere spingeva a disprezzare potere, gloria militare e attività mondana stessa, considerati indegni dell’eletto e di pertinenza del Maligno. sotto questo profilo, il giansenismo appare più simile a certi gruppi anabattisti del XVI secolo che al calvinismo rivoluzionario del Cinquecento francese, scozzese e olandese, o al puritanesimo regicida del seicento britannico. Nella sua durissima azione repressiva, Luigi XIV scelse di appoggiarsi al papato che, nel 1713, emanò la bolla Unigenitus, nella quale si rimproverava a Quesnel di aver rinnovato alcune eresie, già condannate dalla Chiesa, prima fra tutte quella di Jansen. La nuova alleanza tra monarchia e papato, però, fu accolta con estrema diffidenza dalla Chiesa gallicana; la promulgazione della bolla fu criticata da una quindicina di vescovi, tra cui L.A. Noailles, vescovo di Parigi, mentre il Paese fu inondato di scritti polemici o critici: ne furono pubblicati più di 180, solo nel 1714. Nel gennaio 1716, una ventina di prelati scrisse un documento congiunto, sollecitando al papa dei chiarimenti sulla bolla; l’anno seguente, quattro vescovi – che daranno vita al partito degli appellanti – depositarono presso la sorbona un appello al concilio generale, che in seguito fu firmato da altri 12 vescovi e 3000 sacerdoti. Nel 1718, l’Inquisizione condannò gli appellanti e la crisi gradualmente iniziò a risolversi. La dinamica complessiva dell’intera vicenda del cattolicesimo francese tra seicento e settecento, però, ebbe effetti molto importanti per il futuro della Chiesa in terra di Francia, e si può dire che essi furono per tutti – sul lungo periodo – pericolosi e devastanti. A un primo livello possiamo notare che, tra i francesi, l’idea di una Chiesa nazionale subordinata allo stato aveva messo salde radici. A un secondo livello, con il passar del tempo, il ricordo del legame strettissimo che aveva unito Chiesa gallicana e monarchia assoluta spinse a considerare entrambe delle istituzioni tiranniche e obsolete. F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010 Gli ultimi decenni del Seicento non conobbero ancora la piena affermazione del principio della tolleranza religiosa. L’idea che due o più fedi potessero coesistere all’interno di uno stesso Stato era considerata pericolosa, sotto il profilo politico, ed errata da un punto di vista dottrinale. Per tale motivo, il clero francese era piuttosto propenso a prendere le distanze dal papa di Roma e a raccogliersi intorno alla figura semidivina del re di Francia. Fin dal 1660 le misure antiugonotte dipendevano dai decreti del Consiglio del re. Esso fungeva da tribunale amministrativo più che da Consiglio dei ministri. Tali misure emanavano anche dal volere dei parlamenti [in Francia, il termine parlamento non designava un’assemblea legislativa, ma una corte giudiziaria, cui ci si rivolgeva in appello, dopo una sentenza di primo grado, n.d.r.] (a Tolosa) o dai voti delle assemblee regionali (gli Stati di Linguadoca). Il Consiglio del re dunque non sempre agiva spontaneamente: spesso era sollecitato dalle istanze clericali (assemblee o agenti generali del clero, sindaci di diocesi). L’entità che combatteva il protestantesimo era duplice: ecclesiastica ma anche statuale o monarchica. La seconda, che in seguito si impadronirà del controllo della situazione, era in un primo tempo docilmente subalterna alle ispirazioni della prima. […] Il Consiglio del re impediva ai protestanti francesi di partecipare ai consigli cittadini e di acquistare cariche reali o signorili. Nel settore privato, d’altra parte, e in quello semipubblico il divieto antiugonotto impediva loro di esercitare i mestieri artigianali che prevedevano il rilascio di giurande (biancheria, vasi di stagno) e le professioni liberali (avvocato, medico). Il ciclo vitale nelle sue successive tappe era posto interamente sotto sorveglianza. Ogni essere umano doveva venire al mondo con l’aiuto di una levatrice cattolica anche se la partoriente era riformata. Erano bandite le scuole ugonotte. Al protestante si arrivò a sottrarre persino l’agonia, funestata dalla visita dei giudici incaricati di indagare su un’eventuale estrema conversione. Queste clausole inerenti la vita reale erano completate da altre puramente teoriche, ma simbolicamente vessatorie, come quella che vietava ai musulmani di convertirsi al culto ginevrino… Tali misure […] emersero progressivamente inasprendosi nel corso di un quarto di secolo scandendo una cronologia e delineando una strategia da parte delle autorità che le avevano preparate. Il gesto della revoca [dell’editto di Nantes, n.d.r.] si andava progressivamente definendo. Il suo uso non era rivolto solo all’esterno. Non si voleva semplicemente eliminare una minoranza fastidiosa, deviante o atipica a favore del monopolio del clero. Il monarca e i suoi uomini fecero al clero il dono dell’unanimismo dottrinario, ma ottennero in cambio da esso una più totale subordinazione al potere sovrano. I fautori dell’ordine costituito ottennero così un grande vantaggio. L’ordine era sempre meno insidiato dalla rivolta perché le popolazioni, ormai, erano meglio controllate dal clero diventato rigidamente lealista: si trattava però di un calcolo miope, da parte di politici opportunisti. Infatti i sacerdoti non valutarono i rischi impliciti a lungo termine, in questa vasta operazione di intolleranza, ai danni di una Chiesa inizialmente persecutrice [dopo essere stata intollerante e persecutrice nel Seicento, la Chiesa cattolica francese sarebbe stata a sua volta perseguitata, un secolo dopo, dalla Rivoluzione, perché ritenuta un pilastro essenziale dell’assolutismo monarchico e dell’antico regime, n.d.r.]. Nel secolo successivo, anche se essa divenne nei fatti più tollerante, sarà facilmente criticata per la sua passata complicità con i governanti, a lungo tanto favorevole ad essa. […] Luigi XIV e i suoi ministri si avvicinano, sul piano dei princìpi, all’assolutismo religioso che caratterizzava un Giacomo I d’Inghilterra o un Hobbes o un Cromwell, violento oppressore del papismo irlandese o i fautori delle dottrine che saranno definite erastiane [simili alla teorizzazione formulata nel Cinquecento dal teologo svizzero Thomas Erastus, che auspicava la subordinazione della Chiesa allo Stato, n.d.r.]. Cattolici e protestanti convergono al potere in tali comportamenti. Il semplicistico scambio tra l’oppressione antiugonotta e l’accettazione cattolica del gallicanesimo potrebbe essere illustrata, ben prima della revoca, dall’assemblea del clero del 1670. Essa concesse al re, finanziariamente, un dono gratuito di notevole entità. Come contropartita però si aspettava che Sua Maestà assumesse le misure energiche che «si imponevano» contro i protestanti. […] L’illustre assemblea clericale del 1681-1682 non derogò da questo schema ormai canonico. Il buon gallicano Bossuet, quando propose a tale istanza nel novembre del 1681 di limitare il potere del papa nei confronti della Chiesa di Francia e alla Francia tout court, sotF.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010 IPERTEsTo Gallicanesimo e intolleranza IPERTESTO A 1 5 il cattolicesimo francese Riferimenti storiografici IPERTEsTo tolineò nello stesso tempo i meriti di Luigi XIV verso il cattolicesimo, cioè quelli che il re si era conquistato grazie ai «calvinisti convertiti», i templi abbattuti, la cattedrale di Strasburgo strappata ai seguaci di Lutero. Qualche giorno dopo, l’arcivescovo di Parigi Harlay riecheggiò i toni di Bossuet e Le Tellier [arcivescovo di Reims, nella cui cattedrale avveniva il rito dell’incoronazione del re, n.d.r.]. Luigi XIV, a parere di Harlay, aveva reso tali servigi (antiprotestanti) alla Chiesa che tutti i suoi tesori non sarebbero bastati a ricompensarlo: il vescovo auspicava che il papa si decidesse (a riconoscere e ricompensare i servigi del re) invece di scegliere di attaccare le libertà della Chiesa gallicana. I termini del mercato anche se impliciti si mostrano ancora una volta in piena chiarezza. Nel mese di novembre del 1681, nella stessa assemblea, il promotore Chéron, subordinato dell’arcivescovo di Parigi, lodò i successi del sovrano contro l’eresia in chiave antiprotestante ed esaltò il gallicanesimo episcopale (i vescovi restituiti alle loro sedi) fra loro complementari. Si potrebbero moltiplicare le citazioni a questo proposito, ma diremo semplicemente che il gallicanesimo di monsignor Le Tellier, Luigi XIV e i loro consorti, non è evidentemente altro che un fatto tutto francese, uno scambio di buoni servigi da una parte, di lealismo dall’altra fra un re sempre più assolutizzato e i vescovi. Perciò il papa veniva lasciato ai margini e gli ugonotti abbandonati ai colpi di una intollerabile oppressione. UNITÀ I E. LE RoY LADURIE, L’Ancien Régime. Il trionfo dell’assolutismo da Luigi XIII a Luigi XIV (1610-1715), il Mulino, Bologna 2000, pp. 237-243, trad. it. M.G. MERIGGI L’ETÀ DI LUIGI XIV E DI JOHN LOCKE 6 Spiega l’espressione «clausole […] puramente teoriche, ma simbolicamente vessatorie». Spiega l’espressione secondo cui il clero era diventato «rigidamente lealista». Per quale motivo gli ecclesiastici sono definiti «politici opportunisti», autori di un «calcolo miope»? L’autore usa più volte termini quali patto, accordo, contropartita, scambio, mercato… Quali fenomeni designa con tali parole? Chi sono i contraenti? Quali vantaggi reciproci ottennero, almeno nel breve periodo? Hyacinthe Rigaud, Ritratto di Jacques-Bénigne Bossuet. vescovo di Meaux durante il regno di Luigi xiv, Bousset fu uno dei più importanti sostenitori del gallicanesimo, la dottrina politico-religiosa che voleva la Chiesa cattolica francese largamente autonoma rispetto al papa. F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010 Il giansenismo come mentalità di opposizione IPERTEsTo 2 F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010 7 il cattolicesimo francese C’era, nel temperamento giansenista, come in quello di Antigone, un istinto naturale per la contestazione, cioè per l’opposizione, e questo esasperava le autorità. Richelieu finì per far mettere in prigione Saint-Cyran [direttore spirituale di alcuni dei principali teologi giansenisti, tra cui Antoine Arnauld, n.d.r.]. Luigi XIV non ebbe ragione di Port-Royal che distruggendolo. Arnauld e Quesnel dovettero andarsene esuli. Per più di 150 anni, soprattutto in Francia, il governo, nelle diverse situazioni che andavano via via sviluppandosi, dovette costantemente fare i conti con l’opposizione dei rappresentanti della corrente di pensiero giansenista. Richelieu, impegnando la Francia nella guerra dei Trent’anni, rifiutava la politica del partito devoto, che avrebbe voluto riunire gli stati cattolici contro i principi riformati. Giansenio, in un libello divenuto immediatamente celebre – il Mars Gallicus (1635) –, accusò il cardinale di tradimento della Chiesa romana; e, dal punto di vista di quest’ultimo, ciò era vero. Ora Saint-Cyran, amico di Giansenio, era stato pure il confidente di Brulle, che disapprovava le alleanze protestanti, e, sparito costui (1629), era diventato a Parigi l’oracolo delle anime pie. Richelieu tentò di lavorarselo offrendogli una cattedra vescovile. Il santo abate rifiutò e fu costretto a «sposare una prigione». Dice Godefroi Hermant [docente alla Sorbona vissuto tra il 1617 e il 1690, n.d.r.] che Richelieu «non aveva nessuno scrupolo nell’usare tutta la sua autorità per rovinare coloro che non aveva potuto conquistare e legare ai propri interessi». […] Al di là delle vicissitudini della congiuntura politica, esisteva, tra teologia giansenista e ragione di Stato, una fondamentale incompatibilità. Saint-Cyran esaltava il ritiro e la fuga dal mondo: «Per quel che è la nostra vita mortale – egli scriveva – bisogna essere malati nell’anima e posseduti da qualche cattiva passione, per arrivare ad amarla». Il mondo è fattura del Maligno. «La Scrittura non ne parla in altro modo che come d’un deserto, di una prigione, di un ospedale e di un’immagine dell’inferno. Maledizione dunque a coloro che vi si affezionano e non lavorano per morire a tutte le cose della vita presente». «Dio, avendo tenuto in considerazione, mentre lo creava (il mondo), le conseguenze del peccato che doveva essere commesso…, l’ha fatto solo perché servisse all’uomo come occasione per essere virtuoso, fuggendolo, odiandolo e rovinandolo per quanto è possibile». Si comprende quindi la preoccupazione dei responsabili dello Stato, davanti al fenomeno di un pessimismo così assoluto. Sembra che Richelieu si decidesse ad agire contro Saint-Cyran, quando il brillante avvocato Antoine Le-Maître, una tra le persone di cui l’abate era direttore spirituale, fece conoscere per lettera al cancelliere il suo desiderio di lasciare il foro, per vivere da allora in poi, come «solitario» a PortRoyal-des-Champs. Che sarebbe successo se una parte dell’élite avesse seguito un simile esempio? Questa solitudine volontaria non era forse la scelta di coscienze non conformiste, di individualisti che volevano vivere in margine ad una società francese, che ci si sforzava di far gravitare intorno al re assoluto? Inoltre il rifiuto eroico del mondo sottintendeva il disprezzo di quelle virtù mediatorie [disponibilità al compromesso morale e politico, n.d.r.], senza le quali è impossibile la vita nello Stato. La qual cosa fu sottolineata dal signor De Marandé, consigliere del re, nel trattato sugli Inconvenients d’Estats procédans du Jansénisme (1654): «Se la nostra ragione corrotta e le nostre virtù mediatorie non sono che ipocrisie e non producono come frutti che concupiscenza, se non si dà vita cristiana che nel rifiuto e nel ritiro, a che pro la società e lo Stato? Un cristianesimo esasperato, con l’evasione delle élites e la condanna delle virtù sociali, non conduce forse all’anarchia?». […] Dal pessimismo radicale, riguardo all’uomo peccatore, derivano necessariamente il relativismo morale, la critica della legge, la contestazione dell’autorità. Pascal nelle sue Pen- IPERTESTO A Lo storico francese Jean Delumeau tenta di precisare le ragioni della determinazione con cui Luigi XIV si sforzò di schiacciare il giansenismo in Francia. A suo giudizio – pur essendo tutt’altro che una fede rivoluzionaria – il movimento metteva in discussione alla radice le pretese assolutistiche (verrebbe quasi da dire totalitarie) del sovrano. Philippe de Champaigne, Ritratto di Saint-Cyran (Grenoble, Museo di Belle Arti), direttore spirituale di importanti teologi giansenisti. IPERTEsTo UNITÀ I Processione in un chiostro giansenista, guazzo da un’incisione del xvii secolo (Port Royal, Musée des Granges). L’ETÀ DI LUIGI XIV E DI JOHN LOCKE 8 sées ha saputo trarre queste conclusioni, anche se sul piano pratico dichiarò con saggezza e prudenza di obbedire alla legislazione e alla giustizia del suo paese, perché l’ordine stabilito protegge dal caos. Dopo il peccato originale la «nostra ragione corrotta ha corrotto tutto»: «non si vede niente di giusto o di ingiusto che non cambi qualità cambiando il clima». La giustizia non è dunque giusta ma necessaria. La legge è legge «e niente di più»; «la forza è la regina del mondo». «Ma non potendo dare forza alla giustizia, si è giustificata la forza». «Ma non c’è nulla di più scorretto di queste leggi che raddrizzano gli errori». Come si può allora giustificare il carattere divino del potere regale? Il sovrano sembra forse al di sopra dell’umanità? È che ci si è abituati a vederlo accompagnato «da guardie, tamburi, ufficiali e tutte quelle cose che innescano il meccanismo dell’ossequio e del terrore». Se il cancelliere è «importante», ciò è dovuto al fatto che «si riveste di ornamenti» e ha la forza dalla sua parte. Re e ministri non sono altro che «grandezze stabilite per convenzione». Il cristiano deve dunque rifiutare l’azione, ritirarsi da un mondo in cui non esiste un valore sicuro e mettersi in un’obbedienza passiva e disincantata. «I veri cristiani obbediscono alle follie; non che rispettino con ciò le follie: ma piuttosto l’ordine di Dio che, per punire gli uomini, li ha asserviti a queste follie». Senza spesso condividere concezioni così tragiche – e così antisociali –, i giansenisti costituirono sempre più, di fronte alla monarchia assoluta, una forza di opposizione. Innanzi tutto perché si posero oggettivamente come difensori dell’autonomia della coscienza e della libertà di critica. Poi perché ebbero come tattica costante, ai tempi delle Provinciales come all’epoca della bolla Unigenitus, di appoggiarsi sull’opinione pubblica per far pressione sul potere. Così facendo, il giansenismo, da scuola teologica, divenne progressivamente movimento e poi partito, arrivando ad interessare l’intera società per strati successivi. J. DELUMEAU, Il cattolicesimo dal XVI al XVIII secolo, Mursia, Milano 1983, pp. 155-158, trad. it. X. TosCANI Quale giudizio viene espresso sulla realtà mondana dai giansenisti? Sotto questo profilo, ti appaiono vicini o lontani alla mentalità contemporanea? Per qual motivo un consigliere del re arrivò ad affermare che il giansenismo avrebbe potuto portare all’anarchia? Per qual motivo il giansenismo finiva per negare «il carattere divino del potere regale»? F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010