Cantando

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Cantando
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NASCITA DEL GIULLARE 18 luglio
Traduzione
Ahh... gente...
venite qui che
c’è
i1 giullare!
Giullare che sono io, quello... che fa salti e che
straparla folle e che... (esegue una piroetta buffa)
Oh... oh... vi ho fatto ridere! Venite… che vi farò
scompiscire, morire dalle risate… quando vi farò
scoprire… i maggiorenti che vanno intorno tronfi e
gonfiati… come palloni a far guerre e a scannare… ve
li mostrerò nudi e col culo al vento… e basta
stappargli, cavargli fuori il tappo dal culo e... pff!!,
si sgonfiano e scoppiano come vesciche! Venite qui,
che è il tempo e il luogo che io faccia il pagliaccio per
voi! Tutti intorno a mé! Venite! V'insegno un modo
nuovo di stare al mondo. Venite... venite! Attenti che
sgambetti e lazzi v’improvviso… una cantatina, e
faccio pure i falsetti a saltabecco!
Guardate la mia lingua come gira! Ah... ah... Vi
mostrerò come si trasformano le parole in lame
taglienti che mozzano i garretti ai bugiardi impostori!
Ma avanti vi voglio raccontare di come mi sono
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ritrovato buffone che fa scompisciar la gente dalle
risate! Che io non sono nato da un fiato caduto dal
cielo, e, op!, sono qui: “Buondì, buonasera!” No! Io,
senza vantarmi sono miracolo vivente! Non volete
credermi? Sì, è vero, io sono nato contadino. Proprio
villano zappazolle. Non avevo tanto da stare allegro:
non avevo terra. Non avevo niente! L’unica, per
poter campare era mettermi sotto padrone:
schiena curva e fatica da spaccabraccia.
Dovete credermi… datemi ascolto! Non è nemmeno
per caso che son saltato sul banco a farvi far
sghignazzi. No, e nemmeno è successo che mia madre
guardandomi bambino spaparanzato nella culla che
ridevo a sganascio, abbia esclamato:
“Ma che
bella
mi
faccina
simpatica...
Allegria
fai!
Pagliacciolino ridente! Guarda, da grande ti faccio
fare il giullare!”
No! E nemmeno è capitato che mi sia rimirato dentro
il culo di una padella lustra che mi faceva da
specchio, così che a guardarmi: “Ohi, che sventagliata
sbaragliante d’occhi, mi ritrovo! Sono proprio
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simpatico, splendente! Vado a fare il giullare!” E
nemmeno è capitato che Dio Padre, che viene sempre
a spiare fuori dalla nuvole... che non ha niente da fare
quello… rimirando il suo creato, beato grida: “Oh!,
che bella terra che ho partorito! Oh, che begli alberi
ho messo in piedi! (Cambia tono) E chi è quello? È
un villano! Con quella faccia! simpatico! “Ehi,
contadino… butta la vanga, molla ‘sta terra, vai a fare
il giullare e non rompere i coglioni!”
No, no, non è stato lui! È stato suo figlio Gesù.
Un miracolo!
Non vado ciarlando ve lo giuro! Un miracolo proprio
di lui: Jesus Cristo in persona. È lui che mi ha
trasformato in giullare!
Non mi credete? Lo vedo bene! Allora ve lo vado a
mostrare! D’accordo?
Ogni mattina mi alzavo che era ancora scuro… il sole
non ancora salito e io andavo con zappa e piccone a
spaccar zolle: il mio sudore era la prima acqua che la
terra beveva.
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A sera tornavo a casa ubriaco... stanco morto, con gli
occhi sbiancati dalla luce e neanche la voglia di
giocare con i miei bambini, fare giochi d’amore con
la ragazza mia, moglie mia… mi allungavo
stravolto
sul
letto,
un
pagliericcio...
e
mi
addormentavo. No che non mi addormentavo!
Svenivo! E nella notte nel mio sonno, non c’erano
sogni. Chicchirichì! Maledetto! Di nuovo a faticare!
Ma un giorno tornando dal campo attraverso la riva
del fiume in cerca di qualche granchio… ho perso il
cammino e, di botto, mi sono trovato davanti a una
montagna nera che non conoscevo.
Tremenda, alta!
E ho domandato a un carrettiere che passa di lì:
“Compare, di chi è questa montagna smargiassante
che si rizza all’improvviso?
“Di nessuno!”
“Ma come può essere di nessuno ‘sto monte
gigante?!”
“Non vale niente! È pietra nera ruttata da un,
vulcano. La chiamano: la cagata del diavolo!”
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“Gli sarà venuto un gran mal
di culo al diavolo
sbroffando dalle chiappe ‘sta cagata!”
E io sono andato fin su... arrampicandomi gattoni, e
raspando con le unghie da una zanca fessata ho cavato
una manciata di terra… l’ho annusata: dolce, grassa!
Sono sceso correndo fino a casa dalla mia femmina.
L’ho chiamata in corte, gridando di allegrezza... ha
brancato
zappa, e secchio e mi è venuta appresso
con i bambini.
Giunti sul dosso, senza nemanco prendere fiato,
abbiamo cominciato a zappare dappertutto cavando
quel poco di terra e poi siamo scesi alla riva del
fiume a raccogliere secchiate di terreno. Siamo
andati anche al cimitero, siamo andati a rubare terra ai
morti! Bella la terra delle tombe vecchie! Grassa! E si
montava carichi di secchi e si spargeva ‘sto terreno
letamoso: giorno dopo giorno, si tiravano su
gradoni… una scalinata di gradoni!
Tutti a lavorare, anche i bambini.
Contenti!
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E mia moglie, bella, bianca… andava reggendo
panieri di terra in capo. Un muoversi a dritto come da
regina! Occhi lucenti, le zinne tonde e sode… che
quando avanzava correndo, sussultavano appena
come frutti per il vento. Oh... se è bella! Dolce amore
mio!
E cantava! Cantava tanto bene che la sua voce,
diritta nel cervello ti arrivava!
Giorno dopo giorno, luna dopo luna, siamo arrivati a
montare tanti gradoni che pareva la Torre di Babele!
Ma non c’era l’acqua... Con le picche di ferro si
facevano buchi per sondare ma non sortiva uno sputo.
Ci toccava discendere fino al fiume, scendere e
rimontare, tutti, moglie e figli, con secchi e secchi, ma
sempre asciutta tornava: beveva, ‘sta terra come
sotto ci fosse un drago assetato!
Un giorno sono andato col piccone in spalla in cima a
‘sta montagna bestemmiando: “Dio maledetto!” e
pieno di rabbia ho picchiato una botta a zappata
con forza la nella pietra: PIUM! La pietra si è
spaccata e SVUOOOM! SCCIHUUM! È sortita una
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gran sbroffata (un gran getto) d’acqua che mi ha
inondato. “Oh Signore, grazie! Bisogna proprio
bestemmiarti perché tu faccia miracoli, Dio santo!”
Getti d’acqua che sbottavano dappertutto...
gorgogliando
scendevano
per
la
e
scarpata
inondando ogni terreno!
Mia moglie è scoppiata in lacrime con un pianto di
gioia e i bambini infangati sguazzavano come pesci
in fregola!
“Grazie! Grazie Dio!”
Un profumo dolce si spargeva dappertutto... e l’erba
che subito sortiva. Ho piantato un seme di segale,
non ho fatto in tempo a voltarmi che TAC!, un butto
di foglietti spuntavano! Terra d’oro era!
Una sera mi sono dimenticato la zappa piantata nel
terreno; il giorno appresso sono tornato, era fiorita: la
zappa fiorita!
Dagli alberi sbottavano frutti… uccelli che venivano a
farsi il nido… profumi… il grano, il frumento... Oh!
Che follia! Avevo il terrore di risvegliarmi da un
sogno
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Sono andato incontro al cielo rosato, col sole che
stava calando dietro ai monti e ho detto: “Dio! Lo so
bene… lo so da sempre che dentro il sole té ne stai
anche in questo momento e ti ringrazio del dono
grande che mi hai fatto con ‘sto miracolo! Ti sarò
riconoscente… a costo di sudare sangue, té la farò
diventare un paradiso terrestre ‘sta terra. Amen!”
Passavano i miei compagni villani e dicevano: “Che
culo hai avuto! Da una montagna secca, hai tirato
fuori il giardino di un pascià!” E invidia avevano.
Sono lì nel campo, volto la testa e ti scorgo, sul suo
cavallo il padrone di tutta la valle che mi punta.
Girava gli occhi intorno e mi guardava… e poi sbotta
a dirmi: “Chi ha messo in piedi ‘sto miracolo? Chi ha
fatto sbottare in fiore ‘sta terra?
“Io, signore! Io, l’ho fatta… zolla su zolla ho
portato…
ho montato i gradoni... Io! Anche
l’acqua che non c’era... io l’ho fatta sputare fuori a
zappate! Mia è ‘sta montagna che non era di
nessuno!”
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“Roba di nessuno è una è un detto che non esiste.
Qui, se non lo sai, per tutta la valle, anche il fiume,
terra, pietre, tutto, ha un padrone… e io, sono quello!
Padrone anche dell’aria che respiri.”
“Ma ho domandato intorno... ‘sto monte lo chiamano
la cagata del diavolo proprio per dire che nessuno l’ha
mai voluto. Nemanco voi padrone.”
“Può darsi... un tempo… ma adesso ci ho ripensato: è
mia!” S’è fatto una risata e via, ha dato di sprone al
cavallo ed è sparito!
Qualche giorno appreso scorgo, là in fondo il prete
che sale la china abbigliato tutto di nero, sudava e
col fazzoletto si tergeva il sudore che colava dalla
fronte giù fino al collo… e già da lontano mi urlava:
(in grammelot imitando il latino) “Cuntadìn, vilàn
caro, in pax tòa végno a dessólvere tòa spudénzia et
presonzión de penzàr che ti pòda poxedére pruoprietà
de un teretòrio. Nullo ex libero de poxexiònem et
ògne palmo de tèra abe una sòja pruoprietàt che
illo Papa e l’Emperadór han comcèxo a èsto
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mazzorénte üneco e ti fiòl méo debbi zéder en santa
pax domine!”
Come è stato vicino, gli ho dato una zappata che per
poco non l’ho inchiodato, lui, con l’asino che
montava! Mai vista una giravolta tanto repentina,
mollando pedate coi talloni sulle palle del ciuccio,
andava saltelloni bestemmiando in una maniera che
mi sono fatto il segno della croce!
Due giorni appresso arriva su il notaio con una bella
mula grossa, con un gran culo... il notaio con un
culone anche lui che quando è disceso dalla sella
non si capiva se fosse
sceso il culo di lui o
quello della mula!
Ha srotolato una pergamena lunga e scura tempestata
di segni, sghiribizzi, e croci e ha detto, senza prender
fiato, sputando parole come una litania: “Mio caro
amico, lo so bene e ti do fiera ragione del fatto che
per il volgo era sconosciuta alcuna possessione di ‘sto
monte, ma dando un’occhiata a ‘ste carte di
pergamena antica, si scopre chiaramente che questo
terreno era possessione del re Boezio I, il quale
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aveva donato il territorio metà, al di qui del fiume a
una sua amante, una santa monaca, e l’altro lato a un
figlio bastardo, il più amato tra tutti i bastardi suoi che
teneva. Ma è capitato in quel tempo che il fiume per
un gran tempesta straripasse dagli argini e si
dividesse in due corsi: metà da un canto, metà
dall’altro, lasciando in mezzo un’isola con sopra un
monte nero. Per questa ragione, per secoli il monte
non risultò di alcuno. Ma oggi il nostro signore
padrone ha scoperto l’accaduto della straripata del
fiume, pretende giustamente di tornare in possesso di
questa diabolica cagata!
Non aveva manco ripreso fiato il notaio che gli ho
ammollato una gran botta, una azzannata sulle
chiappe, che è partito al galoppo lui e la sua mula!
“Di queste braccia è la terra e non la mollo a
nessuno!”
Ma ecco che un giorno riappare il padrone con i suoi
sbirri.
Noi si era nei campi a lavorare, con i bambini, mia
moglie… e i suoi soldati mi hanno afferrato, allargate
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le braccia e mi hanno tenuto fermo. Il padrone si è
calato le brache, ha preso mia moglie e la scaraventata
a terra: le ha strappato le sottane... allargate le gambe,
gli è saltato sopra, l’ha montata come fosse una
manza. E tutti i soldati ridevano.
I bambini mi guardavano con occhi sbarrati...
sbiaditi.
Guardavano la madre... guardavano mé.
E io mi dibattevo, sono riuscito a liberarmi, ho
afferrato una zappa e ho urlato: “Disgraziato!
Prendi!”.
“Fermo figlio! Fermo! - mi ha gridato mia moglie Non dargli il pretesto di accopparti. Non aspettano
altro. Tu giustamente pensi di crepare piuttosto che
spiaccicare
il tuo onore... ma tu non hai onore. Onore l’hanno
solamente quelli che possiedono roba, possiedono
denaro, terre! Noialtri nudi di tutto non abbiamo
onore! Nostro onore è la terra! Salva la terra, tieni la
terra e sputaci sopra a ‘sto onore!”
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E io di botto ho franato di ogni volontà… ho mollato
la zappa a terra.
I soldati sghignazzavano con fracasso: “Becco,
coglione, senza dignità! Gli hanno montato la
femmina e lui sta lì imbambolato come un
allocco!”
Il signore è montato a cavallo e dietro a lui si
incamminavano i suoi sbirri. “Adesso té la puoi pure
tenere la tua terra. Mé l’hai bén pagata!” e rideva.
Muovendoci come un gregge sbandato siamo tornati
alla casa.
La mia donna andava avanti, in testa a tutti, non
guardava nessuno.
I figli non mi guardavano.
Io non guardavo.
Nessuno si guardava.
Quando poi mia moglie è discesa in paese per fare
scorta di masserizie, la gente al suo passaggio si
scansava. Nessuno che le dicesse buongiorno… come
se non la vedessero.
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Dopo qualche notte mia moglie gridando è fuggita
correndo su per la montagna... saliva ridendo...
batteva le mani, cantava a perdifiato con parole da
svergognata.
Matta era.
“Ferma! Fermati bene mio dolce! Torna indietro col
cervello... a mé non importa... sempre il mio amore
sei!”
Non mi dava retta. È sparita. Non l’ho mai più vista.
I bambini non dicevano parole, non giocavano, non
ridevano, non piangevano. Giorno dopo giorno
dimagrivano: morti!
Uno dopo l’altro, morti sono!
Solo, sono restato... unico cristiano su ‘sta terra
bruciata... giacché i soldati avevano dato fuoco anche
alla casa e al bosco.
Imbesuito non sapevo cosa fare. Una sera ho preso un
pezzo di corda, l’ho lanciata su una trave, l’unica
restata sana tra i muri affumicati... ho fatto un nodo,
mé lo sono sistemato intorno al collo e ho detto: “Dio
che anche nel buio della notte guardi gli uomini
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attraverso i mille luccichii delle stelle… per quale
gioco maledetto, Signore, mi hai dato ‘sto dono della
terra e dell’acqua caricandomi di speranza... per poi,
appresso,
rovesciarmi
nella
merda
della
disperazione?! Tu dovevi dirmelo che era per
segnarmi col ferro arroventato e dare testamento
chiaro che chi inizia la sua vita da villano-poveretto
sempre uguale deve restare, non farsi né speranze né
sogni di presunzione! Signore ti dico che è stata gran
sbeffeggiata crudele questa di farmi provare qui in
terra il paradiso, per poi ributtarmi con uno
spernacchio giù, all’inferno, senza pietà! E allora ti
voglio dire che ‘sta vita di merda che mi hai dato, io
té la ritorno indietro. Tienteta ‘sta vita!”
Faccio per lanciarmi impiccato, mi sento appoggiare
una mano qui sulla spalla, mi volto e c’è un giovane
con i capelli lunghi... malmesso... la faccia pallida...
gli occhi grandi, dolci e tristi che mi dice: “Potrei
avere un po’ d’acqua da bere che ho sete?”
“Ma ti pare il momento di venire a domandare da bere
a uno che sta per impiccarsi? Ma dov’è la creanza ?”
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Gli do un’occhiata... aveva una faccia da povero
cristo anche lui. Appresso a quello ci sono altri due
disperati: uno con i capelli e la gran barba bianca e
l’altro senza barba… magri e smorti (pallidi) che
parevano lavati nella calcina... con la faccia patita.
“Avete altro che bisogno di bere voialtri! Da
mangiare ci vuole! (Fa il gesto di togliersi il cappio
dal collo) Bene, vi do un po’ da mangiare e poi mi
impicco!”
Vado... cerco sotto un arcone l’unico non franato:
fave solamente ho trovato e due cipolle. Le ho cotte
bollite. Ho riempito tre ciotole e gliele ho messe in
mano. Mangiavano con golosia da affamati. Di poi
che si son sfamati, quello giovane di figura svelta e
con gli occhi grandi, sorridendo mi dice: “Grazie per
‘sta minestra calda! A té, viene in menti chi possa
essere io?”
Lo guardo bene: “Mi pare che tu... quasi... sia Jesus
Cristo!”
“Bene! Hai indovinato! Questo è Paolo e l’altro è
Pietro.”
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“(China il capo in segno di saluto) Piacere! E cosa
posso fare ancora per voi?”
“È abbastanza quello che ci hai offerto. Io ti conosco
contadino, io so cosa ti è capitato... quello che hai
fatto… conosco la fatica che t’è costata tirare in piedi
‘sta terra, far fiorire ‘sta montagna sbroffata fuori
dalle chiappe del diavolo. So del sudore dei tuoi figli
e di tua moglie… e della violenza del signore sulla tua
femmina. Tutto per l’orgoglio di non lasciare ‘sta
terra! Grande forza e coraggio... hai dimostrato di
essere un bravo uomo! Ma è giusto che tu sia finito
così... in ‘sto modo.”
“(Tono risentito del contadino) Per quale ragione,
Cristo?!”
“Perché l’hai tenuta tutta solamente per té la terra e
non l’hai spartita con gli altri villani, poveri come té!”
“Ma cosa dici?! Spartire con gli altri un fazzoletto di
terra che non bastava nemmeno per me e per la mia
gente?!”
“No, non fare il piagnone… ci potevano venire a
campare tanti altri disperati come té! Dimmi villano…
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sei andato intorno per casali... per le capanne di
paglia a raccontare la tua storia? Hai cercato di tirarli
dentro la tua vita? No? Bene, ora da adesso devi
fare in modo che gli altri si facciano carico di
quello che ti è capitato... devi dirgli del padrone...
della sua bastardata che ha fatto con la tua donna, e
prima del prete e del notaio! E sopra ogni cosa non
raccontare piagnucolando ma con lo sghignazzo…
impara a ridere! A tramutare anche lo spavento in
risata. Ribaltare col culo per aria i furbacchioni che
cercano di incastrarvi con le parole! E fa che tutti
sbottino in gran risate… così che ridendo ogni paura
si sciolga.”
“Ma io non so, non so dire parole rovesciate... non
so fare il controcanto da buffone... e nemanco
filastrocche a torciglione beffardo che la lingua mi si
inceppa dentro i denti… col cervello che tengo
ubriacato dal sole e dalla fatica!”
“Hai ragione. Ci vuole il miracolo!”
Mi ha preso per la testa, mi ha tirato vicino alla sua
faccia e mi ha detto: “Io, Jesus Cristo da ‘sto
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momento ti do un bacio sulla bocca e tu sentirai la tua
lingua frullare a cavatappi e poi diventare come un
coltello che punta e taglia... smuovendo parole e
frasi, chiare come un vangelo. E poi corri nella
piazza! Giullare sarai! Il padrone sbragherà, soldati,
preti, notai sbiancheranno scoprendosi nudi
come vermi!”
E così mi ha preso la testa, ha portato le labbra sue
dolci alle mie e mi ha baciato. Mi è arrivato un
tremore di fuoco sulle labbra... la lingua ha
cominciato a trillare a torciglione come una biscia.
Parole nuove scivolavano rotolando nel mio cervello.
Ogni pensiero mi si rivoltava... ogni idea mi sortiva
capovolta. Sono corso a perdifiato giù nel borgo, sono
saltato sui gradoni del battistero e ho gridato: “Ehi!
Gente! Il giullare son io! Venite qui, fate attenzione,
ascoltate! Vi mostrerò come si trasformano le parole
in lame taglienti che stroncano d’un botto i garretti
degli infami impostori... e altre parole che diventano
tamburi per svegliare i cervelli dormienti
(addormentati)! Venite! Venite gente!”
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MARIA ALLA CROCE
DONNA (entra correndo e si rivolge alle altre donne
che stanno ai piedi della croce) Andì a fermàla... l'è
rént a 'gni la sòa mama de lü, la beata Maria, no'
féghel vardà incrusàt 'me l'è che ól pare un cavrètto
inscortegà, che cola sàngui a fontanèla partütt
cumpàgn 'na muntagna de nev' in primavéra per via
di 'sti gran ciòdi che gh'han picàt in de la carne
dulurùsa dei man e di pie, intramèsa ai òsi sfurà!
CORO No' féghel vardà!
Entra correndo un’altra donna
PRIMA DONNA No' la se vòl fermà... a la végne
coréndo desesperàda in sul sentié che in quatro no' la
podémo tegnìr...
SECONDA DONNA Se in quatro non la tegnì, prové
in sìnque... in sie... èi no' la pòl vegnì, no' la pòl vardà
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'sto fiolì intorsegà cumpàgn 'na radìs d'oliva magnàda
dai furmìghi!
ALTRA DONNA Quercéghe, covrìghe almànco la
fàcia al fiöl de Deo, la soa mama no' l' posa
'recugnósarlo... agh dirém che l'incrusàt l'è un óltar,
un forèsto... che no' l'è ól so' fiöl de lé!
PRIMA DONNA
Mi a creo che purànco al
querciàssimo tütto con un linzòl bianco, al fiöl de
Deo, la sòa mama ól recognuserà istèsso... abàsta che
ghe spónta de föra un dit d'un pìe… un rìzzul dei
cavèj, imperchè la gh'l'ha fàit lée, la sòa mama, quèi.
QUARTA DONNA (entra in scena con il fiato in
gola) La végn... la végn… l'è chì lòga la beata
Maria... agh farìa mén dulúr masàla de cultèl… pitòst
che lasàgh vèd ól fiöl!
ALTRA DONNA Dème un sass de trasmurtìla d'un
bòtt, che la sé ruèrsa per tèra, che no' la pòsa vardà!
Entra Maria. Il suo sguardo corre immediatamente al
figlio in croce.
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Schiantata dal dolore, ammutolita
lo guarda in
silenzio.
Il gruppo delle donne si scosta al suo passaggio
spostandosi poi sul lato destro del proscenio
DONNA Ste quàcc, fèv in là... Oh povra dòna che la
ciamìt beata... e cum la pòl ès beata con ‘sta
decurasiún de quatro ciòdi che gh'han picàt in de la
carna dolorosa a rabatúni, cumpàgn che a no' l s'farìa
a 'na lusèrta venenúsa o un scurbàtt!
ALTRA DONNA Sti' quàcc... mantegní ól fiàt che
adèss ‘sta dòna la 'scoltarì criàre de toeta vüs,
compàgn s'l'avès squartàda ól dulúr… sgrasiàda…
dulúr de sètte cultelàde a spacàgh ól cör!
ALTRA DONNA La està lí ferma… la dis nagòta.
Fèit che la piàngia almànco un pòch! Fela criàre, ch'el
s'àbia de s’ciopàr 'sto gran magóne che ghe suféga ól
gòz.
PRIMA DONNA
'Ntendíu, 'stu silénsi che gran
frecàss ól mena… e nól vale cuerciàse i urègi.
(Avvicinandosi a Maria) Parla, parla... digh quai còss,
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Maria... Plangi, Maria... ohi té pregi... (Quasi urlano
per scuoterla, farla uscire dal quel suo terribile
silenzio) Parla, Maria!
MARIA (con un fil di voce) Dèime 'na scala... a vòj
montàrghe a rénta al mé nann... (si avvicina straziata,
lentamente alla croce e parla al figlio) Nan, oh 'l me
bèlo smòrto fiöl de mi… stàit següro méo bén, che
'des la 'riva la tòa mama... Come i t'han combinàt 'sti
assasìt, purscèl, becàri! Còssa ól 'véa fàito, 'sto mé
tarlòch, de véghel inscí a scann de fav tanto canàja
con lü! Ma am burlerí in ti mani: a vün a vun! Oh m'la
pagarì… anch' duarìssi 'gniv a cercàv in capp al
mund, (urlando) 'nimàl, besti, sgrasió!
CRISTO Mama… no' stat a criàr… mama.*
MARIA* Pardúname, ól mé nan, 'sto burdeléri c'ho
tràit in pie… e ‘sti paròl de inrabìt che hu dit… ma l'è
stàit 'stu strènc dulúr de truvàrte impatacàt de
sangu…s’ciuncàt chì lòga sü 'ste trave, sbiutàt... de
bott pestà... sbusà in de' i me bej man si delicàt… e i
pie... oh i pie!… che gòta sangu, gòta a gòta... ohi,
che dua ès un gran mal!
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CRISTO (parla a fatica) No mama… no stàrte a
casciàt… 'des, t'el giüri… no' senti pì mal... no' senti
pü nagòta... Va' a ca', mama, té pregi... va a casa...
MARIA Sì, sì… anderèm a ca' insèma… 'égni sü, a
tiràt giò de 'ste trave... (mima si salire sulla scala
appoggiata alla croce) cavàrte föra i ciòdi piano
pian... (si rivolge alle persone che le stanno intorno)
Dèm una tenàj... (È disperata) Ajdéme quaicun!
Entra un soldato.
SOLDATO Ehi dòna, cosa té fàit lì lòga de soravìa a
‘sta scala? Chi v'l'ha dàito ól permèso?
MARIA A l'è ól mé fiöl de mi ch'avìt incrusàd... al
vòj s’ciodàl, purtàl a ca' cun mi...
SOLDATO A ca'? Ohj che premüra! No' l'è ancmò
fròll asè, santa dòna… no' l'è ancmò bén stagionàt!
Bòj… 'pena che ól tira i ültem, av fò fistcèto e venì a
tòl bèlo che impachetà, ól vòs car zóvin... Cuntenta?
'Gni giò 'dès.
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MARIA No che no' deséndo! No' lasarò pasà chi lòga
la nòce al mé fiöl suléngo... a murìrme! E vui no' podì
miga fam ‘sta preputénsa… che mi a sòn a sua mama
de lü… a sòn la sua mama, mi!
SOLDATO Bòn! Cara la mia mama de lü, adès mé
t'l'hàit sgionfàde a sufficìt i bali! Agh farèm com
quando se scròda i pómi… vòj védar? Agh darò ‘na
bèla scrulàda a ‘sta scala… e ‘vegnirì giò da la scala,
de stónfate ‘me un bèl peròt marügo!
CRISTO (quasi rantolando) No, oh té prégi, soldàt,
che ti è bòn e caro! Fame a mi quèl che ti vòl: scòrla
la cròse de mé scarpàrme i carni e le man e i òsi, ma a
la mia mama... té prégi, no’ farghe mal!
SOLDATO Hàit sentìt, la mia patróna, quant inn i
uri? As gh’ho de fà? Per mi l’è ól stèss laüri: o
s’iabatì vui, e de prèscia, de ‘sta scala, o mi scòrli la
cruse!
MARIA (Mima di scendere velocemente) No, no...
per carità... pecì che son già giò... vardì son chì abàs
la scala.
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SOLDATO Oh, l’intendìu al tèrmin ‘sta balàda, o
dòna benedètta! E no’ vardì a mi cun sti ögi a
brüsatàm, che mi no’ ghe n’ho colpa niùna se ól zóvin
ól s’è catàt ‘sta posisión iscòmuda de stagh coi brasc
slargàdi... Ohj che no’ gh’ho péna de vui? Che no’
cognósi mi, l’isbarluscià di làgreme sanguagnénti
ch’av süda giò di ögi? Sa l’ha èstu on dulùr de madri!
Ma agh pòdi fagh nagòt... che mi sónt comandàt che
vaga fina a l’órden ‘sta cundàna… sónt condanàt a
fav murì ól fiòll, o bén, de cuntra, lì lòga, me picheràn
sü mi co’ i stèss só’ ciòdi.
MARIA (si cava orecchini e anello che porta al dito)
Oh bòn suldàt curtés e caro… tegnì… av fò un
presénti de ‘st'anèl d’ori e de 'sti uregìti d'argénto...
tegnì…in cambio de un plegìr ch’am podìt cuncèd…
SOLDATO Ól sarìa 'stu plagér?
MARIA De lasàm netàgh via ól sangu, al mé fiòl…
cont un pòch d’aqua e un stràsc… e de dàghen un
pòch de ‘nbiassegàrse i lavri s’cepàd de la sét...
SOLDATO Nagòt de plü de ‘sti cialàdi?
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MARIA Vurarìa ancmò che catì 'stu sciàle e andìt de
suravìa a la scala a mètighel intùrna a i spale de sóta a
i brasc, de aidàl un pòch a ‘sta' tacàt a la cruse...
SOLDATO O dòna, agh vursìt mal de cuntra al vòst
car zóvin dònca, s'ól vursìt guarnàl pi' a lònga in vita
a fal sgranì di 'sti treméndi dulùri. Al post vui, farìa
col Cristo ól mœra e sübet!
MARIA (rendendosi conto di quanto il soldato le ha
detto, quasi sussurrando) Murì…?!
Ól duvrà giüsta 'gnì morto 'sto car mé d´ólze? Morte
le man… morta la bóca... i ögi... morti i cavèj?
(Disperata, tra sè) Ohj, che m'han tradìtta. (Chiama
con voce via via più terribile, volgendo gli occhi al
cielo) Gabrièl, Gabrièl... Gabrièl… zóvin de dulza
figüra, p'ól prim ti, ti!, m'hàit tradìt de mmalorgnón!
Con la tóa vóse de viola inamorósa té sèt 'gnù a dime
che sarìa 'gnüda Rejna mi... e beata mi, e jucùnda
mi... cap de tœti i doni!
Vàrdum, vàrdeme 'me sont a tochi e sberlüsciàda…
l'ùltema dòna al mundo me sónt discovèrta! E ti... ti ól
savévi in del purtàrme ól nünzi deslinguént, de fam
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fiurì in t'el véntar ól fiolìn, col sarès 'gnüda a 'sto bèl
trono rejna!… Rejna! Rejna, col fiöl cavajér zentìle…
con dòj speróni fàit con dòj gran ciòdi impiantàt in de
la carne dei pie!
Parchè no' té l m'h'hàit dit avànte ól ségn?
Oh mi, té ‘sta' següro… mi no' gh'avarìa gimài
vorsüdo
vès
pregnìda…
no!…
gimài
a
‘sta
cundisiün... teut-anch füèss 'gniüdo el Deo Patre in
t'la persona, e no' el piviùn colombo, so' spirito beàt, a
maridàrme.
CRISTO (parla con maggior difficoltà) Mama… oh
che ól dulùr ól t'hàit trat föra mata che ti biastémi...
(Agli astanti) Menìla a ca' fradèli… ve prégi…
menéla a casa prima che la abia a rabatàrse là ruèrsa e
strepenàda…
UOMO ‘ndém Maria, fèt consulàt ól fiòl de vüj…
lasél in pase.
MARIA No che no' vòj! Perdonéme... laséme istà chì
lòga arénta de lü… che no' dirò pü ‘nanca 'na parola
incóntra de so' patre... incóntra de njùno. Laséme... oh
fèite bòn!
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CRISTO (rantolando ogni volta che prende fiato)
Hoi de murì… mama... e fagh fadìga... Hoi de
lasàrme andàre mama… sconsumàre ól fiàt che me
mantégne en vida… ma con ti… chì lòga a près…
ch'at stràzii, no' so’ capàze mama... e fo' plü grande
fadìga.
MARIA (implorante, quasi sottovoce) No' casàrme
via Jesus! No' casàrme via! (È al limite della
disperazione) Vòj murì, Jesus… vòj murì… (Grida
disperata agli astanti) Sufeghéme e sepeléme in üna
tomba sola embrassàda al mé fiòl! (Al Cristo) Voj
murì Jesus! Voj murì...
SOLDATO Sacra dòna l’è tròpo grando ‘sto dolór de
matre... Fémo inscì: nunch suldàt a farém mostra de
miga stagh co’ i ögi… caté ‘sta lanza pichéghela a tüt
picà de punta in del custàt e a fund in dól gòzz… e de
lì a un mumént, vedrìt, ól Crist ól va a murìr. (La
Madonna cade a terra svenuta) Os' ve pasa? O s'lè
svegnüda che no' l'ho gnanch tucàda!?
UOMO La gh’ha i malori!
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DONNA Slonghéla lilé… fàite piàn… e ‘ndé via
d’intórna che la gh’abia a respirà.
ALTRA DONNA Povra dòna!
MARIA
(come in sogno) Chi sèt liló, bèl zóvin,
ch'am par aricugnùset?
ALTRA DONNA La gh'ha i visióni!
GABRIELE Gabrièl, l'àngiol de Deo… són mi quèlo,
Vérzen… ól nùnzi d'ól to' soléngo e delicàt amore.
MARIA (inizia con un fil di voce, prendendo via via
tono e forza) Gabrièl… Gabrièl… torna a slargàt i ali,
Gabrièl… tórna indré al to' bèl ziél zojóso... no' ti
gh'ha niénte a che far chì lòga… in ‘sta sgarósa tèra…
in 'stu turménto mundo.
Vaj Gabrièl … che no' té sé sburdéga i ali de plüme
culuràde 'e zentìl culüri... no' ti védi fango e sangu e
buàgna, mèsta a la spüsénta d'partüto?
Vaj… che no' té ne sbréghi i orègi tant delicàt co' 'sto
criàr desasperàto e plàngi e ploràr che crésse in òmnia
parte...
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Vaj Gabrièl … che ne té se sconsüma i ögi luminósi a
remeràr piàghe e croste... bugnóni e mosche e
vèrmeni!, föra dai morti squarciàdi!
Ti no' t'è abitüàt, Gabrièl… che in d'ól Paradìso no'
gh'hai ni rumór, nì plàngi, né guère, nì presón, nì
òmeni impicàdi, nì done violàde!
No' ghè nì fam, nì carestia, njùno che süda a
stracabràsci, nì fiolìn sénsa surìsi, nì madri smarìde e
scuràde dal dulùr… njùn che péna per pagà ól pecàt!
Vaj
Gabrièl!
Gabrièèèèl!
Musica
Buio
Vaj
Gabriel!
(Urlando)
Vajjjj
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si può fare a meno de inserirlo
NELLA prima VERSIONE EINAUDI il
brano
chiudeva con queste altre battute
gabriele Dòna induluràda... che fin ’n’d’ól vénter t’ha
scarpàda ól patimént, oh, mi ól cognósi ciàro ‘sto
turmént che t’hàit catàt mirànd ól Segnor zóvin Deo
inciudàt... in ‘sto mumént ’égni a cognüsel anc mi, de
parimént.
maria Ól cognóset de parimént... de parimént a mi? Ah
l’hàit ü ti, Gabriél, in dól venter grosì, al mé fiòl? At
n’è sgagniàt ti i lavri par no’ criàr di dulüri ’nd’ol
parturìl? At l’hàit nutregàt ti? Dàit de tèta ól latt, ti,
Gabriél? Hàit soffregà ti, quand l’è stàit malàd con la
féver, i macc de la rosolia e i nòti in pie a ninàl c’ol
piagnéva pèi prém dénci? No Gabriél… si no’ hàit
scuntàt ‘ste bagatèle, no’ pòdet parlà d’avegh ól me
stèso dolùr in ‘sto mumént.
gabriele At gh’hàit resón, Maria... perdóname ‘sta
presonzión che m’l’ha gh’ha detàt ól strapacòre che
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gh’ho in de dentro, che m’ figüràva vès in punta o
òmnia patimént.
Ma mi égni recurdàt che ól sarà pròpi ‘sta tua canzon
plangìda sanza vóse… ’sto lamento intonàt sanza
singülti… ‘sto sacrifìzi to’ e del caro fiòl de ti, c’ol
farà squarciàrse ól cièl… che pòda i òmeni reversàrse
par la préma volta in paradìs!
traduzione
gabriele Donna addolorata... che perfino nel ventre t’ha
strappato il patimento, oh, io lo conosco chiaramente
questo tormento che ti ha preso guardando il Signore
giovane Dio inchiodato... In questo momento vengo a
conoscerlo anch’io (al) pari di té.
maria Lo conosci al pari mio, pari a me? L’hai avuto tu,
Gabriele, nel ventre ingrossato - che cresceva giorno
dopo giorno - che si ingrossava giorno dopo giorno, il
mio figlio? Ti sei morso le labbra per non gridare di
dolore nel partorirlo? L’hai nutrito, tu? Dato il latte
dalla mammella tu, Gabriele? Hai sofferto tu, quando
è stato ammalato con la febbre, le macchie della
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rosolia e le notti in piedi a ninnarlo che (quando)
piangeva per i primi denti? No, Gabriele… se non hai
provato queste bagatelle, non puoi parlare d’avere il
mio stesso dolore in questo momento.
gabriele Hai ragione, Maria... perdonami questa
presunzione che me l’ha dettata lo strappacuore che
ho dentro (tanto) che mi figuravo di essere in cima ad
ogni patimento. Ma io vengo a ricordarti che sarà
proprio questa tua canzone, pianta senza voce, questo
lamento intonato senza singhiozzi, questo sacrificio
tuo e del caro figlio tuo che farà squarciare il cielo,
affinché possano gli uomini riversarsi per la prima
volta in paradiso!
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MARIA ALLA CROCE
Traduzione
DONNA (entra correndo e si rivolge alle altre donne
che stanno ai piedi della croce) Andate a fermarla...
‘sta arrivando la sua mamma di lui, la beata Maria,
non fateglielo guardare crocefisso com’è che pare un
capretto scorticato, che cola sangue a fontanella
dappertutto
come
una
montagna
di
neve
in
primavera… per via di ‘sti gran chiodi che gli hanno
piantato nella carne dolorosa delle mani e dei piedi,
frammezzo le ossa forate!
CORO Non fateglielo guardare!
Entra correndo un’altra donna
ALTRA DONNA Sta arrivando! Non si vuole
fermare... viene correndo disperata sul sentiero che in
quattro non la possano tenere (trattenere)...
ALTRA DONNA
Se in quattro non la tenete
(trattenete), provate in cinque... in sei... Lei non può
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arrivare sin qui, non può guardare ‘sto figlio suo
attorcigliato come una radice di olivo mangiata dalle
formiche!
ALTRA DONNA Nascondetegli, copritegli almeno la
faccia al figlio di Deo, che sua madre non possa
riconoscerlo... le diremo che il crocifisso è un altro,
un forestiero... che non è il figlio suo!
PRIMA
DONNA
Io
credo
che
puranche
lo
coprissimo tutto con un lenzuolo bianco, il figlio di
Dio, la sua mamma lo riconoscerà lo stesso... basta
che dal lenzuolo gli spunti il dito d’un piede... un
ricciolo dei capelli, perché glieli ha fatti lei, la sua
mamma, quelli.
ALTRA DONNA (entra in scena con il fiato in gola)
Arriva... arriva… è qui la beata Maria... Le darebbe
meno dolore ammazzarla di coltello... piuttosto che
lasciarle vedere il figlio!
ALTRA DONNA
Datemi un sasso da tramortirla
d’un botto, così che si rovesci a terra, e non le riesca
di guardare!
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Entra Maria. Il suo sguardo corre immediatamente al
figlio in croce.
Schiantata dal dolore, ammutolita
lo guarda in
silenzio.
Il gruppo delle donne si scosta al suo passaggio
spostandosi poi sul lato destro del proscenio
DONNA State quieti, fatevi in là... Oh povera donna
che la chiamate beata... e come può essere beata con
‘sta decorazione di quattro chiodi che gli hanno
conficcato nella carne dolorosa a ribattuti, che così
non si farebbe a una lucertola velenosa o a un
pipistrello!
ALTRA DONNA State quieti... trattenete il fiato che
adesso ‘sta donna la sentirete gridare a tutta voce,
come se l’avesse squartata il dolore... stravolta...
dolore di sette coltellate a spaccarle il cuore!
ALTRA DONNA Sta lì ferma... non dice niente. Fate
che pianga almeno un poco! Fatela gridare, che debba
scoppiare ‘sto gran magone che le strozza la gola.
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PRIMA DONNA Ascoltate ‘sto silenzio che gran
fracasso mena (porta)... e non vale coprirsi le
orecchie. (Avvicinandosi a Maria) Parla, parla... di
qualcosa, Maria... Piangi, Maria... ohi ti prego...
(Quasi urlano per scuoterla, farla uscire dal quel suo
terribile silenzio) Parla, Maria!
MARIA (con un fil di voce) Datemi una scala...
voglio salire vicino al mio bene... (si avvicina
straziata, lentamente alla croce e parla al figlio) Mio
bene, oh bello smorto figlio mio... stai sicuro mio
bene, che adesso arriva la tua mamma… Come ti
hanno conciato ‘sti assassini, porci, macellai! Cosa vi
aveva fatto, ‘sto mio tontolone, da averlo così in odio,
da essere tanto canaglie con lui! Ma mi cadrete tra le
mani: a uno a uno! Oh me la pagherete... anche se
dovessi venire a cercarvi in capo al monto, (urlando)
animali, bestie, disgraziati!
CRISTO Mamma… non stare a gridare… mamma. *
MARIA * Perdonami, mio bene, ‘sto bordello che ho
tratto in piedi... e queste parole da arrabbiata che ho
detto… ma è stato ‘sto stretto dolore che mi strige il
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cuore di trovarti imbrattato di sangue… spezzato…
qui su ‘ste travi, denudato... di botte pesto... bucato
nelle mie belle mani così delicate... e i piedi... oh i
piedi!... che gocciolano sangue, goccia a goccia... ohi,
deve essere un gran male!
CRISTO (parla a fatica)
No mamma... non ti
preoccupare... adesso, ti giuro... non sento più male...
non sento più niente... Vai a casa, mamma, ti prego...
vai a casa...
MARIA Sì, si... andremo a casa insieme... vengo su,
a tirarti giù-a staccarti da ‘ste travi... (mima di salire
sulla scala appoggiata alla croce) a cavarti i chiodi
piano piano... (si rivolge alle persone che le stanno
intorno) Datemi una tenaglia... (È disperata) Che
qualcuno mi aiuti!
Entra un soldato.
SOLDATO Ehi donna, cosa fate lì sopra a ‘sta scala?
Chi ve l’ha dato il permesso?
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MARIA È il figlio mio che avete inchiodato... voglio
schiodarlo, portarlo a casa con me...
SOLDATO A casa? Ohi che premura! Non è ancora
frollato abbastanza, santa donna... non è ancora ben
stagionato! Bene... facciamo così, appena tira gli
ultimi vi faccio un fischietto e venite a prenderlo bello
e impacchettato, il vostro caro giovane... Contenta?
Venite giù adesso.
MARIA No che non discendo! Non lascerò passare
qui la notte a mio figlio solo… a morirmi! E voi non
potete farmi ‘sta prepotenza... che io sono la sua
mamma di lui... sono la sua mamma, io!
SOLDATO Bene! Cara la mia mamma di lui, adesso
me le avete gonfiate a sufficienza le palle! Faremo
come quando si scrollano le mele… vuoi vedere?
Darò una bella scrollata a questa scala… e verrete giù
a tonfo come una bella pera matura!
CRISTO (quasi rantolando) No, ti prego, soldato, che
sei buono e caro! Fai a me quello che vuoi: scrolla la
croce fino a lacerarmi le carni delle mani e le ossa, ma
a mia madre… ti prego, non far del male!
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SOLDATO Avete sentito, cara mia padrona, quante
sono le ore? Cosa devo fare? Per me è lo stesso
lavoro: o scendete voi, e in fretta, da questa scala,
oppure io scrollo la croce!
MARIA (Mima di scendere velocemente) No, no...
per carità... aspettate che sono già giù... guardate sono
qui sotto la scala…
SOLDATO
Oh, l’avete capita alla fine questa
ballata, o donna benedetta! E non guardatemi con
questi occhi che piangon fuoco, che io non ho colpa
alcuna se il giovane si è presa questa posizione
scomoda di stare con le braccia allargate… Oh che
non ho pena di voi? Che non conosco io il luccicchio
di lacrime sanguinanti che vi sudano giù dagli occhi?
Questo è dolore di madre! Ma non ci posso far
niente… che io sono comandato che vada fino
all’ordine questa condanna… sono condannato a farvi
morire il figlio, o altrimenti, lassù, attaccheranno me,
con gli stessi chiodi.
MARIA (si cava orecchini e anello che porta al dito)
Buon soldato cortese e caro… tenete… vi faccio un
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presente di questo anello d’oro e questi orecchini
d’argento… tenete… in cambio di un piacere che mi
potete concedere…
SOLDATO Sarebbe ‘sto piacere?
MARIA Di lasciarmi pulir il sangue a mio figlio con
un po' d’acqua e uno straccio… e anche di inumidirgli
le labbra spaccate dalla sete…
SOLDATO Niente di più di queste sciocchezze?
DONNA Vorrei anche che prendeste ‘sto scialle e
andaste sopra alla scala a metterglielo intorno alle
spalle sotto alle braccia, per aiutarlo un poco a stare
appeso alla croce...
SOLDATO Oh donna, gli volete male al vostro caro
giovine dunque, se lo volete mantenere più a lungo in
vita a fargli patire ‘sti tremendi dolori. Al posto
vostro, farei che il Cristo muoia e subito!
MARIA (rendendosi conto di quanto il soldato le ha
detto, quasi sussurrando) Morire...?!
Dovrà veramente morire ‘sto caro mio dolce? Morte
le mani... morta la bocca... gli occhi... morti i capelli?
(Disperata, tra sè) Ohi, mi hanno tradita. (Chiama
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con voce via via più terribile, volgendo gli occhi al
cielo)
Gabriele, Gabriele... Gabriele... giovane di
dolce figura, per primo tu, tu!, mi hai tradita! Con la
tua voce da viola innamorante sei venuto a dirmi che
sarei divenuta Regina io... e beata io, e gioconda io...
a capo di tutte le donne!
Guardami,
guardami
come
sono
a
pezzi
e
sbertucciata... l’ultima donna al mondo mi sono
scoperta! E tu... tu lo sapevi nel portarmi l’annunzio
disciogliente, che mi ha fatto fiorire nel ventre questa
mia creatura, che sarei arrivata a ‘sto bel trono
regina!... Regina! Regina, con figlio cavaliere
gentile... con due speroni fatti con due gran chiodi…
piantati nella carne dei piedi!
Perché non me lo hai detto prima del segno?
Oh io, stai sicuro... io non avrei mai voluto essere
ingravidata... no!... mai a ‘sta condizione... anche se
fosse venuto il Dio Padre nella sua persona, e non il
piccione colombo, spirito beato, a maritarmi!
CRISTO (parla con maggior difficoltà) Mamma... oh
che il dolore ti ha fatto ammattire che bestemmi...
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(Agli astanti) Portatetela a casa fratelli... vi prego...
portatela a casa prima che crolli riversa...
UOMO Andiamo Maria, fate consolato (contento) il
figliolo vostro… lasciatelo in pace.
MARIA
No che non voglio! Perdonatemi...
lasciatemi stare qui vicino a lui... non dirò più
nemmeno una parola contro suo padre… contro
nessuno. Lasciatemi... oh siate buoni!
CRISTO (rantolando ogni volta che prende fiato)
Devo morire... mamma... e faccio fatica... Devo
lasciarmi andare mamma... consumare il fiato che mi
mantiene in vita... ma con te... qui vicino... che ti
strazii, non mi riesce mamma... e faccio grande
fatica.
MARIA (implorante, quasi sottovoce) Non cacciarmi
via Gesù! Non cacciarmi via! (È al limite della
disperazione) Voglio morire, Gesù... voglio morire...
(Grida
disperata
agli
astanti)
Soffocatemi
e
seppellitemi in una tomba sola abbracciata a mio
figlio! (Al Cristo) Voglio morire Gesù! Voglio
morire...
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SOLDATO Sacra donna è troppo grande ‘sto dolore
di madre... Facciamo così: noi soldati faremo finta di
non guardare… prendete ‘sta lancia picchiategliela a
tutta forza nel costato e a fondo nel gozzo... e di lì a
un momento, vedrete, il Cristo va a morire. (La
Madonna cade a terra svenuta) Cosa vi succede? È
svenuta che non l’ho neanche toccata!
UOMO Ha i malori, povera donna!
DONNA Allungatela là… fate piano… e andate via
d’attorno che abbia a prendere fiato!
ALTRA DONNA Povera donna!
MARIA (come in sogno) Chi sei lì, bel giovane, che
mi pare di riconoscerti?
ALTRA DONNA Ha le visioni!
GABRIELE
Gabriele, l’angelo di Dio... sono io
quello, Vergine... il nunzio del tuo solitario e delicato
amore.
MARIA (inizia con un fil di voce, prendendo via via
tono e forza) Gabriele... Gabriele... torna ad allargare
le ali, Gabriele... torna indietro al tuo bel cielo
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gioioso… tu non hai niente a che fare, qui… in questa
schifosa terra... in questo tormentato mondo.
Vattene Gabriele... che non ti si sporchino le ali
colorate di gentili colori... non vedi fango e sangue e
letame misto a puzzolente merda dappertutto?
Vattene Gabriele...
che non ti si spacchino le
orecchie tanto delicate con ‘sto gridare disperato e
pianti e implorare che cresce a ogni parte...
Vattene Gabriele... che non ti si consumino gli occhi
luminosi a rimirare piaghe e croste… bugnoni e
mosche e vermi!, fuori dai morti squarciati!
Non sei abituato, tu Gabriele... che nel Paradiso non
ci sono né rumori, né pianti, né guerre, né prigioni, né
uomini impiccati, né donne violentate!
Non c’è né fame, né carestia, nessuno che sudi a
stracciabracce, né bambini senza sorrisi, né madri
scurite dal dolore... nessuno che peni per pagare il
peccato!
Vattene
Gabriele!
(Urlando) Vatteneee Gabrieeele!
Musica
Vattene
Gabriele!
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Buio
ROMA 24.O3.91 LA PARPAIA TOPOLA
Il pezzo che io vado a raccontare è un pezzo osceno,
ma così come intendevano l'osceno nel medioevo,
legato alla sessualità ma altamente poetico. Il titolo è
"La parpaia topola, passera". L'origine di questo
fablieu, si chiamano così queste rappresentazioni
grottesche legate alla sessualità che vengono dalla
Francia del nord, che poi si sono sviluppate anche in
Provenza e lì hanno avuto una grande esplosione, poi
sono arrivate anche in Italia. Questo pezzo, un
fablieu, che sarebbe una giullarata, tratta di un
argomento scabroso: "parpaia" per i provenzali è la
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farfalla con un doppio senso perché è anche il sesso
femminile,
"parpaia",
è
anche
onomatopeico,
"topola", per chi ha difficoltà a capire, e poi proprio
per
i deficienti "passera", così capiscono. Il
personaggio principale è il sesso femminile. E' la
storia di un capraio che sta' sull'Alpe, intorno ai mille
metri sempre con capre, con armenti, e siccome non
scende mai di lì, è da quando è in vita che sta lassù è
diventato un pò rozzo, primitivo, e ha difficoltà anche
di esprimersi, in quanto l'allenamento che può fare
con le capre e le pecore nel lessico è un pò limitato,
per il fatto che le pecore sono animali di poche parole
e soprattutto di suoni elementari e basta. Si ritrova
anche in inverno a vivere lassù; per sua fortuna viene
a trovarlo ogni tanto un vecchio molto colto e fuori di
testa. E' un misantropo e legato a un risentimento
verso le donne che non si può pesare. Naturalmente
da ragazzo ha avuto delle insoddisfazioni, delle
buggerature.... odia le donne e va a scaricare il
proprio odio addosso a questo Giavan Pietro che è un
candido assoluto. Giavan non vuol dire Giovanni ma
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"coglioncione", insomma il suo nome vero è
Coglioncione Pietro. Questo ragazzo si vede investito
da questo vecchio misantropo ossessionato che gli
dice "le donne sono straordinarie ma tu devi stare
attento... hanno un richiamo, nei loro occhi c'è tutto il
paradiso, il suono rotondo delle loro voci, argentine le
loro risate, e le movenze sono accattivanti è pieno di
fascino il loro movimento ma ...attento NON
ANDARGLI VICINO PERCHE' HANNO DELLE
LAMINE! LA PARPAIA TOPOLA E' UNA BESTIA
INCREDIBILE CHE TI TAGLIA VIA TUTTE LE
DITA
E
ANCHE
RIPRODUZIONE."
GLI
ORPELLI
PER
Questo
povero
ragazzo
LA
è
terrorizzato di vedere una donna, e quando vede
arrivare una pastora scappa in mezzo al gregge e finge
di essere un cane. Ora questo povero uomo, così
solo,isolato,che ha trovato l'unica persona che lo stia a
sentire in questo Giavan Pietro, sta per morire. Attenti
che non è un personaggio qualsiasi, lui è un ricco,
ricchissimo, è padrone di tutta la valle, padrone di
case, palazzi, di fiumi e di laghi, di TUTTO e lascia
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tutto quello che possiede a questo Giavan Pietro,
TUTTO!! Così che questo diventa una specie di re,
principe, barone e tutte le donne che hanno ragazze da
marito vengono su correndo per l'Alpe per offrire a
questo ragazzo le proprie figlie. Tutte agghindate,
belle, lui si terrorizza a vedere tutte queste donne che
arrivano e scappa. In fondo alla valle c'è un prete che
ha un nome che è tutto un programma: si chiama don
Faina, voi capite, furbastro, agile, molto simpatico e
intelligente ma cinico di un cinismo ributtante, il
quale però ha avuto una fortuna incredibile, ha avuto
la possibilità di fare innamorare di sè la più bella
ragazza di tutta la valle. Si chiama Alessia, bella, così
splendente, con occhi meravigliosi, seducenti, poppe
che ... adesso non stò a descriverla... immaginate! I
ragazzi l'adorano, tutti vorrebbero sposarla ma lei ha
ceduto il proprio spirito e il proprio corpo soltanto a
questo prete, di nascosto fanno all'amore, di questa
tresca non si è reso conto nessuno salvo LA MADRE
di lei, che è una donna di un coraggio terribile che va
subito spietatamente decisa verso questo prete e dice
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"se vuoi continuare a fare gli affari tuoi con mia figlia
da questo momento devi produrre a lei la possibilità
di coprire il disastro che succederebbe se lo venisse a
sapere la gente. Il DISONORE!! Tu gli devi procurare
un marito di paglia, non importa se basso, grosso,
tonto, idiota, laido, vecchio, giovane, storpio ,
gobbo...basta che sia ricco e le dia la possibilità di
coprire ogni infamia che tu le procuri. Soltanto allora
potrai approfittare di mia figlia. Il prete furbo subito
ha nella testa l'idea geniale, di accasare la sua amante
con Giavan Pietro, lo chiama con un trucco giù a
valle...lui attraversa tutti i paesi, arriva nel paese dove
c'è la pieve, incontra questa ragazza, preparata ad doc
col faro di luce che le viene dal rosone addosso, una
cosa poetica, meravigliosa, il ragazzo perde la testa e
decide di sposarsi. C'è il matrimonio e vedrete tutti i
trucchi, le infamie organizzate da questo prete che si
diverte anche ad umiliare questo candore assoluto che
esiste negli occhi e nella testa
di questo povero
ragazzo. Alla fine c'è un risvolto. Invece vi voglio
ricordare per chi ama le ricerche ed è colto in queste
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cose che tutti gli autori italiani del medioevo hanno
attinto a questa chiave, vi ricordo Boccaccio,
Macchiavelli. Ebbene però qui c'è un salto verticale
rispetto a questi due: mentre questi due hanno
percorso la strada delle mazzolate, delle bastonate
contro questo Giavan Pietro, invece nella favola
originale, questa che vi vado a raccontare, c'è un salto
mortale liberatorio straordinario. A un certo punto il
vincitore è proprio lui col suo candore, grazie anche
all'amore straordinario che riesce a far nascere in
questa ragazza che all'inizio invece è dalla parte del
prete. E' uno dei testi nella dimensione oscena, più
poetici che io abbia mai incontrato. Io l'ho trovato
nella prima edizione in francese antico medioevale del
mille e duecento, poi sempre più o meno dello stesso
periodo in provenzale, e vi devo dire che in
provenzale e meraviglioso, con questa armonia, questi
timbri tanto che ho deciso che questa sera ve lo recito
in provenzale, e sono sicuro che voi, grazie a tutti gli
addentellati culturali che il popolo romano e laziale ha
avuto con la Provenza, grazie al fatto che ad
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Avignone il papa è rimasto per qualche tempo, poi
tornando ha portato avignonesi qua, io so benissimo
che a Roma il provenzale è di casa e voi lo parlate
quando siete un pochino in intimità anche negli inni
d'amore... esistono tre o quattro cantici in provenzale
che fanno parte della vostra cultura come "Roma
bella" e via dicendo...non è così? Forse ho sbagliato!
Ad ogni modo io dei pezzi in provenzale ve li lascio.
Per aiutarvi a comprendere, è uno scherzo che ho
fatto, la parte centrale, la più importante, la recito in
lombardo arcaico antico, così voi capite tutto più
facilmente. Non vi preoccupate, capirete tutto perché,
questo linguaggio è fortemente onomatopeico e anche
dove non comprenderete i termini esatti, nel senso
generale capirete ogni cosa, grazie anche alla vostra
particolare intelligenza... di centro meridionali.
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QUESTO è quello su cui sto lavorando
@RICORDATEVI, SEMPRE!, FINITO UN
BRANO, DI FARE LA GRAMMATICA.
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Questa II parte contiene i seguenti brani:
BRANI INSERITI
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BONIFACIO VIII - presentazione- P. 2 -brano
dialetto - traduzione 17
MATTO E LA MORTE- presentazione brano
dialetto traduzione
MATTO SOTTO LA CROCE - presentaz. manca
brano dialetto traduzione
GESù BAMBINO
LE MARIE - napoletano - presentazione- brano
dialetto- traduzione
LE MARIE - lombardo - presentazione- brano
dialetto- traduzione
MARIA SOTTO LA CROCE
I GRAMMELOTTE - completi da rivedere
presentazioni
VARIANTE 1- AL PROLOGO: GUERRA NEL
GOLFO
VARIANTE 2
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STAMPATO
PRESENTAZIONE - corretta, MA da rileggere
BONIFACIO
VIII
E arriviamo a Bonifacio VIII. Questo Papa fu
senz’altro uno dei più grandi pontefici del medioevo
soprattutto dal punto di vista politico e strutturale
dello stato cattolico, apostolico romano; un po’ meno
dal punto di vista mistico e religioso. Infatti fu il Papa
che inventò paradossalmente il dogma del potere
temporale della Chiesa. Con la sua spregiudicatezza
provocò grandi apprezzamenti con contrappunto di
rancori feroci. Dante Alighieri, suo contemporaneo, di
certo non aveva molta simpatia per lui, tanto che lo
scaraventò all’inferno prima ancora che morisse. Vi
ricordate la scena : Dante chiede a Virgilio “Maestro,
cos’è quel buco dal quale prorompe fuoco? A chi è
destinato?”... e il Maestro “Lì verrà infilato Bonifacio
VIII con la testa in giù e le zampe che zompano,
sbattendo fuori dal buco!”
Ma, a parte il giudizio negativo e spesso ostile
dimostratogli da molti uomini di pensiero del tempo,
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bisogna
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ammettere
che
sul
piano
della
riorganizzazione della Chiesa, l’apporto di questo
Papa fu determinante. Egli diceva più o meno: “Basta
con questa chiesa accattona che per sopravvivere deve
dipendere dalle elargizioni dei potenti, re e imperatori
che poi ti impongono l’elezione di vescovi, loro
tirapiedi... ti ricattano, si servono della chiesa come di
uno zerbino per montare più comodi al trono!
Vogliamo la libertà della chiesa, l’autonomia, ma per
far questo dobbiamo riuscire a creare e gestire il
nostro potere... sì, un potere che non può risolversi
coll’occuparsi della sola spiritualità, ma che deve
diventare anche
potere temporale, che significa
economico, politico e, scusate se vi sembrerà una
bestemmia, giuridico-militare, senza dimenticare il
bancario.
Naturalmente, come dicevamo, un programma tanto
spregiudicato determinò una reazione indignata da
parte di infiniti gruppi religiosi che pretendevano la
santa povertà della chiesa seguendo la regola del
poverello d’Assisi. A capo del movimento c’erano i
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più radicali e senz’altro i cosiddetti spirituali, che
oggi potremmo chiamare la sinistra accesa della
Chiesa: costoro si gettarono con impeto contro le idee
di questo Papa.
Jacopone da Todi, il grande poeta, capo ispiratore
degli zeloti (da zelo) di San Francesco, urlava: “ Ahi
Bonifax, che come putta hai traìto l’eclésia”, “Ahi,
Bonifacio che come una puttana hai ridotto la
Chiesa”.
Bonifacio se la legò al dito e riuscì a catturare il frate
poeta, lo gettò in un carcere profondo, costretto a
restare legato in questa posizione, chino (allarga le
braccia e si piega sulle proprie ginocchia ad imitare la
costrizione di Jacopone), incatenato sulle proprie feci.
Quando, dopo 5 anni, alla morte di Bonifacio, lo
liberarono era ridotto ad un catorcio, talmente
anchilosato che non riusciva neanche a muoversi. I
fratelli dell’ordine lo portavano in giro su una carriola
e quando di lì a poco Jacopone morì lo dovettero
seppellire da seduto, giacché i suoi fratelli non
riuscivano ad allungarlo sull’asse della sepoltura...
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come lo stendevano... lui, caparbio, NIEHH! (Mima il
rattrappirsi di nuovo nella posizione di accasciato).
Un altro ricordo della violenza di questo papa è il
fatto storico, anche se solo legato alla memoria
popolare, del crimine condotto a Cesena dove agiva
un gruppo di cento frati che contestavano il papa e
soprattutto i maggiori della città che lo appoggiavano.
Bonifacio riuscì a far catturare in massa i contestatori,
ne scelse sette di loro, i caporioni, li fece inchiodare
per la lingua con le mani legate dietro la schiena, ai
rispettivi sette portoni della città.
Per secoli i ragazzini della Romagna hanno cantato la
tiritera:
“Penzola, penzola frate
sbalanza,
come il pendolo fai la danza.
Sbatti fratello per la lingua inchiodato,
come il batocchio che batte a martello
come campana sbatacchia, fratello”.
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Ora grazie anche alla vostra fantasia, aiutandomi con
gesti, canti e sproloqui appropriati, cercherò di
mostrarvi Bonifacio che si appresta ad indossare
paramenti a dir poco fastosi... per andare in
processione. Il Papa amava molto il rito dello sfilare
tra folle di fedeli acclamanti, preceduto e seguito da
turbe di vescovi e cardinali, soldati in grande
uniforme, bandiere, drappi e fanfare. Sotto un gran
baldacchino procedeva quasi in estasi. Nella nostra
giullarata accade un evento magico. Il Papa si
incontra con un'altra processione nella quale c'è Gesù
Cristo che,
sotto la croce, se ne sta andando sul
monte Sinai per essere inchiodato.
Quando ho scoperto il frammento che mi ha ispirato
la
giullarata
di
Bonifacio,
alla
descrizione
dell’incontro fra Cristo e il pontefice sono rimasto un
poco perplesso, ma poi mi sono informato, ho chiesto
a storici illustri e mi hanno spiegato che si tratta solo
di un anacronismo, classico espediente allegorico
delle giullarate medievali. Quindi mi hanno assicurato
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Cristo non si é mai incontrato con nessun Papa. Ho
quindi tirato un bèl respiro di sollievo!
Dicevamo... nella giullarata il pontefice vorrebbe
approfittare dell’incontro e sfruttare a grande effetto
cossì da provocare stupore e ammirazione nei fedeli
astanti. Bonifacio cerca di sostituirsi al Cireneo
infilandosi sotto la croce e reggerla con Gesù. Bèl
colpo, da gloria in coro! Ma Gesù intuisce l’antifona,
gli girano tutti i santissimi e le madonne e, indignato,
sferra una gran pedata al Papa proprio sul coccige...
che da quel giorno si chiamerà OSSO SACRO in
memoria del santo piede di Cristo.
A ‘sto punto io metto sempre le mani avanti perché
so che gran parte del pubblico tende a ravvisare ad
ogni costo un parallelo fra Bonifacio e il Papa attuale.
E’ incredibile! Sono ormai quasi 30 anni, sottolineo
30 anni, che rappresento questo testo e da allora si
sono succeduti alla soglia di Pietro ben 3 papi,
Wojtyla è il quarto. Ebbene, indipendentemente dalle
diverse personalità dei pontefici, il pubblico sempre
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ha cercato di scoprire allegorie e concomitanze di
questi, con Papa Bonifacio.
Lasciamo perdere i precedenti pontefici, io chiedo
come si può rintracciare una qualsivoglia somiglianza
fra Papa Wojtyla e Bonifacio?
Ma come si può pretendere una somiglianza fra Papa
Wojtyla e Bonifacio?! Tanto l’inventore del potere
temporale era dispotico, violento e vendicativo, cossì
questo nostro attuale pontefice è totalmente portato
alla comprensione e al perdono. Basti pensare come
ha reagito nei riguardi del criminale che ha tentato di
ucciderlo; un killer spietato e infame, un turco
fanatico e fascista.
Io ho molti amici turchi, attori, scrittori e intellettuali
che più volte hanno provato la galera per difendere il
diritto alla democrazia, ma questo lo odio!
Eppure Wojtyla l’ha perdonato... Si fa presto a parlare
di carità evangelica, ma voglio vedere io come
qualsiasi essere umano avrebbe reagito davanti a un
bastardo criminale che ti spara nel coccige, proprio
nel momento in cui tu stai per affacciarti dal tuo
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trabiccolo-mobile per afferrare un bimbo e baciarlo.
Eppure
lui,
Wojtyla,
ancora
zoppicante,
s’è
scomodato ad andare di persona a fare visita al suo
killer... per abbracciarlo. Vi ricordate la scena: lui, Ali
Akka, turco assassino, seduto su una sedia di ferro e
accanto Wojtyla, anche lui su una sedia di ferro che
gli pone un braccio sulle spalle, gli accenna gesti di
rimprovero (esegue una breve pantomima agitando la
mano e fingendo di schiaffeggiare benevolmente il
criminale). I due si trovano davanti ad una vetrata
squallida, incorniciata di ferro arrugginito... la regia
era di Zeffirelli e devo ammettere che in queste messe
in scena lui ci sa proprio fare!
Dunque, dicevamo... Wojtyla si stava affacciando
dalla Pope-mobile per afferrare un bambino dalle
braccia della madre e baciarlo; voi sapete che il nostro
Giovanni Paolo ha una vera passione per i bambini...
se non ne bacia almeno una decina al giorno sta male.
E ancor oggi, per quanto non più sciolto nei
movimenti, causa gli acciacchi dell’età, esegue il
sollevamento del bimbo con una velocità a dir poco
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sorprendente,
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sembra
la
catena
di
montaggio
(accompagna la descrizione con gesti a scatto
meccanico): solleva il bimbo, lo bacia e via: li butta!
Che se non ci fosse sempre intorno a lui quella
squadra di pallacanestro, truccata da preti autentici
giocolieri che come lancia il bambino (mima la scena
con saltelli, scarti veloci seguiti dal gesto di
palleggiare il bimbo al suolo come fosse una palla e
quindi infilarlo nel canestro)... “OP OP... passa.. è
tua!!” e lancia: sarebbe un disastro!
L'altra passione irrefrenabile
del pontefice è
senz'altro quella che lo porta ad inchinarsi e baciare la
terra, immancabilmente ad ogni sbarco in un paese
nuovo travolto dal desiderio di quel bacio. E non c’è
verso di dissuaderlo. Ogni volta che ci hanno provato
si è sfiorata la catastrofe. Ha trascinato con se preti,
suore, frati che tentavano di trattenerlo; e una volta
anche una guardia svizzera che nel cadere ha infilzato
con la lancia un prete in estasi. Oggi purtroppo per le
sopravvenute
difficoltà
deambulatorie
e
non
riuscendo a flettersi come un tempo, è costretto ad
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accontentarsi di un capace vaso, dentro il quale è
sistemata una gran zolla di terra, glielo sollevano e lui
bacia. Rito purtroppo ridotto. Pensare che solo 10
anni fa ogni discesa con bacio alla terra era uno
spettacolo ineguagliabile!
Io mi trovavo a recitare in Spagna proprio alla sua
prima visita e mi sono mosso alle sei del mattino da
Madrid per raggiungere l’aeroporto dove sarebbe
atterrato.
Già allo spuntare dell’alba c'erano là un milione di
fedeli ad attenderlo... una cosa esagerata.... Avevano
sfondato anche le transenne, dilagando per tutto
l’aeroporto, anche sulla pista. Tutti, con la faccia
rivolta in su a scrutare il cielo, un cielo tessuto di nubi
fitte e basse. Ad un certo punto a bucare le nubi è
spuntato il muso dell’aereo papale... un DC13 che
adesso non ci sono più i DC… (pausa, con ghigno
accattivante) ... Noi ci siamo illusi che non esistano
più, ma ci sono e ancor più numerosi truccati con
sigle di fantasia CC, CPCC, CCC, CDU... sono fitti
come la nebulosa
di Andromeda… Non sono un
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partito , ma un’ameba … oggi ce li troviamo di nuovo
al governo e anche all’opposizione! All’apparizione
dell’enorme jet… sapete, quello con la papalina in
testa, giallo e bianco… i colori del Vaticano, un
fedele , anzi un fanatico che stava vicino a me ha
esclamato:
"Com’è' bello il Papa! Come vola bene!" "No, - gli
faccio - guardi che questo non è il Papa, é l’aereo
dentro il quale vola il Papa." "No, è lui!" e io "Guardi
che il Papa mica ha i finestrini sui fianchi!" il fanatico
mistico con tono sicuro: "Se vuole se li fa!". Quando
si dice la fede!
Intanto
l’aereo
si
è
abbassato
e,
evitando
miracolosamente la folla di fedeli, é atterrato sulla
pista. Immediatamente una scalinata semovente di
100 gradini ha raggiunto la carlinga dell’aereo.
All’istante tutti abbiamo visto scorrere il portellone e
apparire il Papa... Lui per primo. Bellissimo, con la
papalina in testa, gli occhi cerulei, un sorriso radioso,
il collo taurino, i pettorali ben disegnati, come allora
poteva ben mostrare, la fascia stretta in vita, gli
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addominali tesi, il nastro che, avvolto al collo, gli
tratteneva un mantello rosso che gli scendeva fino ai
piedi (pausa)... Superman!!! Proprio lui che ha
cominciato ad oscillare avanti e indietro: uuuno…
dueeee… già la gente gridava "Il Papa volaaa" e tutti i
fedeli lo immaginavano
librarsi nell’aria con un
fumone bianco e giallo che gli usciva da sotto il
gonnellone a scrivere per il cielo Dioo è con noii!
Perdiooo!! TUN TUN (fa il gesto di disegnare nel
cielo le lettere della frase). E invece un arcivescovo
ha purtroppo spezzato l’incanto: ‘sto gran prelato
distratto, per dialogare con il pilota, gli è montato
sulla coda del mantello e lui, il papa, bloccato (mima
l’impedimento del mantello)! Se ci fosse stato un altro
pontefice al suo posto sarebbe morto di vergogna, ma
Wojtyla ha dilatato di scatto i muscoli della golacollo, ha spezzato il mantello. La santa cappa è
caduta, scivolando via dalle sue spalle, e lui è
letteralmente precipitato per le scale a velocità
inaudita!
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Io non ho mai visto nessuno al mondo scendere per i
gradini di una scala con quella velocità, naturalmente
sto parlando del papa quando ancora era una vera e
propria forza della natura. Non posso dimenticare uno
dei suoi primi exploit mistico-sportivi quando aveva
deciso di montare su un picco del trentino, a 3000
metri di altezza, a dir messa.
Durante il rito esplose una tormenta spaventosa, fuori
dalla piccola chiesa una slavina aveva travolto alcune
guide e uno stuolo di parroci alpinisti...lui, Wojtyla ha
salvato tutti e anche due o tre cani san Bernardo che
erano sepolti nella neve. Da solo. Con la fiaschetta
qua, al collo, è andato a raspare e a dissotterrarli. Era
l'unico che riuscisse a muoversi in quell’inferno,
facendo tutto, coperto solo del suo mantello e con in
capo papalina, che per me gliela avvitano... e quel
pirulino che gli spunta qua è suo personale, è un
picciolo che aveva fin da bambino, lui è nato cossì:
...EHI PIRULINO! Ché infatti Wojtyla in polacco
vuol dire pirulino. WOJTYLA!
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Spostiamoci dalle montagne e torniamo all’aeroporto
di Madrid. Dicevamo che il Papa s’é buttato a
precipizio giù dalla scalinata ... non so come ci
riuscisse
con
TATATATATA.
quei
piedini
Purtroppo
che
nel
zampettavano
discendere
é
incappato in un guaio: non s’era accorto che la scala,
dopo i primi 50 gradini, presentava un breve
pianerottolo, quindi riprendeva fino in fondo con un
normale ritmo di pedata. Wojtyla non si è reso conto
di quel basello e TAC (fa il gesto di scattare in aria a
braccia levate). Naturalmente nessuno di voi, con
tutto che magari eravate di fronte al televisore, ha
potuto godere di quella scena per intero, per la
ragione che non si trattava di una normale ripresa in
diretta, ma di una ripresa in diretta leggermente
differita. No, non è una battuta di spirito: chi ne sa
qualcosa di televisione è al corrente che quando si
riprende un avvenimento importante non lo si manda
immediatamente in onda, si registra il tutto per poi
trasmetterlo con qualche minuto di ritardo, cosicché
se accade qualcosa di imprevisto, non si fa altro che
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tagliare la sequenza inutilizzabile, si riduce e via che
si prosegue senza che nessuno si sia reso conto
dell’accaduto. Infatti chi ha assistito all’avvenimento
si ricorderà che appariva una sequenza strana: il papa
scende la scaletta (mima) TARTASSATA, giunge al
gradino (fa il gesto di scattare in aria)... stacco: ed
eccolo già in fondo alla scaletta che si stropiccia il
viso, si spazzola la veste (mima rapidissimo
l’accaduto). Ma cosa era successo nello spazio
censurato? Io ero presente e vi posso testimoniare
l’intera sequenza: lui scende velocissimo, s'intoppa
TA PAM (allarga le braccia e mima d’essere
proiettato in aria con un gran salto), scende a picco
verso il prato, lo raggiunge planando e ara il campo
per tre metri e mezzo con i suoi splendidi incisivi…
un solco profondo, e quindi gli sferra un bacio con
tale voluttà alla terra che questa freme in un brivido
tremendo
(mima,
agitando
le
braccia
come
attraversato da un fremito di mille Volt) AAAH!
Splendido!
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Ma torniamo ad Alì Agchà e al tentato assassinio, al
punto in cui il papa solleva il bambino dalle braccia
della madre. La donna ha vicino il marito che la tiene
a braccetto. Wojtyla fa il gesto di voler afferrare il
bambino, la donna si schernisce e dice "Santità, non
vi offendete, non ve lo do perché voi poi lo buttate!"
Il Papa assicura "No, io non lo butto!" il marito "Sì,
lei butta!". Wojtyla non s’arrende: solleva il bambino
con appresso la madre a braccetto del padre… un
grappolo familiare… che lui ci tiene alla famiglia
unita... RAMBO VII. Proprio in quel momento il
bastardo killer infame gli ha sparato! Gli ha sparato
apposta alla schiena per umiliarlo.
A ‘sto punto c'è stato quel folle speaker della prima
rete, che giustamente hanno cacciato da tüte le
televisioni, che si è messo ad urlare: "Il Papa e ' stato
colpito allo sfintere!!!". Ma dico si dice che il papa
ha lo sfintere?! IL PAPA HA UN CONDOTTO
SACRO!!!
Ma come ha potuto quel killer sparare indisturbato? A
parte che l'hanno fotografato da tutte le posizioni e
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durante l’intera azione! Vi siete resi conto di quante
fotografie hanno scattato? Ce n’è una di lui che estrae
la pistola; c’è ne un’altra che lo ritrae mentre, con
calma, punta l’arma , un'altra ancora dove lui bagna il
mirino sulla canna con la saliva, il fumo che esce, lui
che soffia sulla bocca della canna per disperdere il
fumo, un’ultima dove lo si vede infilare l’arma nella
fondina OK! e va via. C’è addirittura una foto
scattatagli al mattino, 3 ore prima che arrivasse il
Papa, Ali Akka che infila tranquillamente i proiettili
uno a uno nel tamburo della pistola. Nessuno che si
scomodi chiedendogli : “Ma che fa, carica la pistola
in piazza San Pietro col Papa che sta per uscire?” No,
tutto normale... uno per prepararsi spiritualmente che
fa? Snocciola il rosario?... No, è roba da pizzocchero
d’altri tempi... no, lui infila proiettili: è molto più
mistico!
Poi c’è la sequenza delle foto coi bulgari... è risaputo
la piazza era ricolma di bulgari, tutti coi baffi alla
bulgaro. Loro, hanno organizzato l’attentato: erano lì
presenti, per dare indicazioni al killer idiota.
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Naturalmente senza dare nell’occhio. Infatti c’è la
foto col bulgaro col dito nel naso, quello che si gratta
la natica, l’altro che gratta la natica di una donna…
bulgara anche lei; ancora un altro bulgaro che lecca il
gelato, il suo vicino che ha il gelato ma lecca quello
dell'altro e, finalmente in fondo, il capo dei bulgari,
l’organizzatore che da gli ordini al turco (da inizio ad
una pantomima in cui gesticola per far intendere
l’azione che il killer deve mettere in atto): “ Ali Akka
(fa il gesto napoletano che significa qui, in questo
momento), QUELLO!! (indica il Papa che entra nella
piazza, ne descrive la mitria e le mani giunte, fa il
gesto di sparare e descrive il Papa che cade riverso.
Fa poi immaginare l’espressione attonita e un po'
beota del killer che non capisce)”
“EHH?”.
(Il
capo
bulgaro
ripete
velocemente
l’azione
dell’esecuzione): “Quello!! Quello bianco... vestito di
bianco... ma no! Quella è una suora!”
E il fatto della presenza dei bulgari è documentato dal
New York Times, il settimanale che qualche giorno
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dopo l’attentato è uscito con una specie di depliant a
soffietto che s’allargava a mostrare una foto di 50 x
40 cm; nella foto appariva tutta piazza S. Pietro,
gremita di folla e tanti cerchietti rossi che
inquadravano ognuno un bulgaro: quello del gelato, il
palpa-natiche eccetera... Cosicché , ancor oggi,
quando un bulgaro in vacanza arriva alla nostra
frontiera, subito gli consegnano un cerchietto rosso
che dovrà tenere davanti al viso, anzi rimanerci
affacciato per tutto il soggiorno cossì da poterlo
comodamente identificare in ogni evenienza.
Torniamo finalmente a Bonifacio VIII che si prepara
per l’andata in processione.
Alcuni chierici
collaborano ad addobbarlo dei sacri arredi: gli
porgono la pesante mitria, i guanti, gli caricano sulle
spalle un enorme mantello tempestato d’oro e pietre
preziose. Il papa, coadiuvato dai chierici durante la
vestizione, canta in gregoriano. Purtroppo a funestare
il rituale c’è un chierico che per la troppa emozione si
inciampa, crea guai e soprattutto nel cantare stona.
Infatti sentirete spesso il papa inveire gridando
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“Stünàt” e lo vedrete promettere allo sventurato
chierico, con gesti eloquenti che, se continuerà a
combinare guai, lo inchioderà per la lingua al portone
come già aveva fatto con i frati di Cesena.
Per tutta la giullarata io canterò in gregoriano, ma non
si tratterà di grammelot, una parodia sfarfugliata a
soggetto, no, il canto che andrò ad eseguire sarà in
autentico gregoriano dell’XI secolo.
Io ho avuto la fortuna, quand'ero ragazzino di far
parte di un coro famoso, quello della cattedrale del
mio paese, Domo Valtravaglia, ero prima voce di
contralto, la voce portante di tutto il coro. L’intera
curia era orgogliosa di me e quando arrivava un
vescovo in visita pastorale mi presentavano quasi
fossi un dono del Signore. Il vescovo mi poneva la
mano in capo e mi sorrideva.
Io ero la speranza della chiesa! (Pausa) Intendo dire
della chiesa del mio paese.
Poi sono cresciuto, sono arrivato a Milano, ho
frequentato cattive compagnie, specie marxiste e
leniniste, e ho perduto quella mia preziosa dote; però
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mi è rimasta la memoria del canto... sapete, quel che
si impara da ragazzi non si dimentica più.
Immaginatemi nei panni di Bonifacio VIII
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(stampato)
BONIFACIO VIII
giullarata per un mimo fabulatore solista
Il giullare nella sua azione, fa immaginare di
essere circondato da chierici cantori che lo
assistono nella vestizione addobbandolo per la
processione che dovrà tenere tra poco.
Mima il gesto di pregare e canta:
(testo in lingua catalana del XII secolo cossì come
viene ancora eseguito nei corali di Alghero):
MI
SEMBRA
QUALCOSA
CHE
CHE
SI
IN
QUESTA
Può
CI
SIA
AGGGIUNGERE
ALL’ALTRA MIGLIORE
AL JORN DEL JUDICI
PARRA QUI AVRÀ FET SERVISI
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UN REY VINDRÀ PERPETUAL
VESTIT DE NOSTRA CARN MORTAL
DEL ZIEL VINDRÀ TOTI SERTAMENT
AL JORN...
(S’interrompe e si rivolge ad uno dei suoi
immaginari chierici)… el capèlo… (riprende a
cantare) ... AL JORN... (S’interrompe) El capelón,
quèlo grande… (riprende a cantare)
ANS QUEL JUDICI NO SERÀ
UN GRAN SENIAL SA MONSTRARÀ...
(mima di afferrare la mitria dalle mani del chierico
e se la calza in capo. Di scatto se la toglie) Ahia!
Bòja desgrasió, a l'è de fèro! Te me s’ciùchi la
crapa! Dévio andare in batàja a gueregiàre?
(Canta sul modulo gregoriano) Dame quèlo legéro
che débio andar a pasegiàre… (Afferra un altro
copricapo) Quèsto ól è bòn... (Se lo ficca in testa e
riprende a cantare)
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AL JORN DEL JUDICI...
(S'interrompe: ordina) Ól spègio... (Mima di
rimirarsi
allo
specchio
soddisfatto)
Guanto!
(Riprende il canto) ANS QUÈL JUDICI... (Ordina)
Guanto!! (Seccato) L'ólter... Un guanto domà?!
No’ gh'ho 'na mano sola... Vòi ch'me la tàje?
(Mima il braccio monco. Riprende il canto
infilandosi il guanto e timbrando sulle note, conta il
numero delle proprie dita che ad un primo
passaggio gli risultano più numerose. Ripete il
conto, sempre solfeggiando e si tranquillizza
scoprendo che ne ha proprio cinque per mano.
Soddisfatto esegue un crescendo festoso)
Come canto bene!
(Ordina) Ól mantèlo!... Il mantelón… quèlo
grando, quèlo con le piére... d’oro, d’arzénti.
(Canta)
AL JORN DEL JUDICI
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PARRA QUI AVRÀ...
Portémelo chi-lòga! Sèt in sinque chiérici, bòja!…
Svalsì 'sto mantèlo, me lo sbordeghé tüto a
strasicàrmelo par tèra, andémo! Ehi, avìt magnà
l'acquagiàda incóe? (Mima di afferrare dalle mani
dei chierici un largo, pesante mantello) Ohi se l’è
greve quèsto! (Riprende il canto cercando di
caricarsi il mantello sulle spalle senza riuscirci)
PARRA QUI AVRÀ FET SERVICI.. (Ordina)
Aidème a mèterlo in spala! (Canta)
PARRA QUI AVRÀ FET SERVICI...
Dai, monta! Déighe un trusùn! (Lo sforzo lo
costringe a stonare. Si arresta, si rivolge ai chierici
abbassando il mantello) Bòja! A débio far tüto
mé?...
A sónt un Pàpie o un bóve? Débio
caregàrme el mantèlo, portar el capelón, cantare!
No' ghi vója viàltri de cantare? A gh’è tristìsia?
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Sìnque chiérisi sénsa vus? (Si rivolge a uno dei
chierici
immaginari)
Ti,
prima
vus,
canta!
(Accenna, impostando la tonalità della prima voce
nel coro)
FET SERVICIII…
(Riprende dirigendo col capo) Prima! (Canta come
fosse il chierico) FET SERVICI…
Tégne la nota! SERVICIIII…
(Rivolgendosi ad un altro chierico immaginario)
Secùnda!
UN REY VINDRÀ PERPETUAL… Mantién la
nota… PERPETUAAAAL...
(Ad un altro chierico) Terza!
VESTIT DE NOSTRA CARN MORTAL… plü
alto!
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(Ad un altro chierico) Quarta!
DEL CIEL VINDRÀ TOT CERTAMENT…
(esegue un alleluiatico saltando da una tonalità
all’altra e dirigendo il coro, trasforma il canto in
una sequenza di rimbrotti, risentimenti e minacce,
quindi, indica un quinto corista) e ti repèt sü lo
mismo tòn in sustién. (E, come fosse il chierico,
esegue una specie di accommagnamento su sole tre
note, quindi termina sgarrando con la voce in un
acuto
fuori
Stunàt!!!
tono.
S’interrompe
scoraggiato)
Metémose a spìgnere insèmbia. (Canta
salendo in acuto)
PER FER DEL SETGLE JUGIAMENT…
(Si
blocca di scatto)
Stunàt, cito! Ti sit pròpio sborlunàt de vose. No’ ti
divegnerà gimài prèvete che no’ ti pol cantare de
mèsa! Sémpre chiérico t’ serèt! Cito! (Fendendo
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l’aria con la mano tesa gli ordina il silenzio
assoluto. Ad un altro chierico) Quinta!
PER FER DEL SETGLE JUGIAMENT…
Adèso tüti insèmbia canté e valsé 'sto mantèlo, me
lo careghé en spala... Ti stuna' no' cantare!
(Sempre
eseguendo
in
gregoriano,
mima
di
caricarsi, con grande sforzo il matello sulle spalle e
accenna a porsi in cammino)
AL JORN DEL JUDICI
PARRÀ QUI AVRÀ FET SERVICI...
(Si arresta all’istante e fa il gesto di strattonare il
manto, si blocca esausto e furente) Chi l'è che l'è
montà coi pìe sul mantèlo?!... (Si guarda alle spalle
imbestialito) Stunàt! Desènde! No’ te canti! Ti è
stunàt! No' te valsi ól mantèlo, te monti coi pìe...
Aténto a ti!… Che mi te tégno d'ögio!... Te inciòdo
la léngua sul purtùn! Lèngua, ciòdo, portùn,
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martèlo... TON TON TON! (Mima velocissimo
l’operazione dell’inchiodamento, quindi prosegue
disegnando nell’aria il chierico inchiodato per la
lingua che ciondola a mo’ di batacchio, mosso dal
vento. Emette un gemito che ricorda quello dei
portoni che cigolano sui cardini) GGNAAAA!
AAAAA! GGNAAAA! AAAAA! Aténto a ti!…
Valsé
'sto
mantèlo!
(Riprende
il
canto
aggiustandosi il mantello sulle spalle e annodandosi
i nastri sul petto: esausto) Che mesté de bòja fa' ól
Pàpie! (Riprende il canto)
UN REY VINDRÀ PERPETUAL…
(Ordina) Cussìno con i anèli! (Canta)
VESTIT DE NOSTRA CARN MORTAL...
(Mima di prendere un anello dal cuscino che gli
viene offerto, lo rimira e dopo avere alitato sulla
pietra se lo infila e commenta) Va come sbarlüsciga
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quèsto! Te dà una inciucàta che no' tèl pòl
vardàre! (Riprende il canto infilandosi anelli
dall’indice al mignolo e a questo punto commenta)
L'è grando… ah no… a l'è par ól didón! (Sposta
l’anello dal mignolo al pollice) Oh, adèso sì che ól
va bén! (Rivolto agli immaginari chierici) Mo’ stit
in campana, che partìssum tüti insémbia! Cantare!
(Riprende con foga gesti e canto. Si muove. Quasi
spintonato, si ritrova proiettato in avanti. Con gran
scatto di reni, evita per poco di finire lungo disteso
con la faccia sbattuta al suolo. Si rizza, si riassesta
negli abiti, mitra e mantello, quindi puntando feroce
l’immaginario chierico imbranato)
UN REY VINDRÀ PERPETUAL…
Stunàt! Cossa ti va a spìgnere che i altri no’ iè
ancamò partì! Te vòi scarpusciàrme? Te piaserìa
vedè ól Pàpie sbragào, con la fàcia immergiùa in
de la mota… el capelón incarcào fin al bàbie a
sufegàre!... Aténto te! (Ripete la pantomima
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dell’inchiodamento per la lingua, rimpicciolendo i
gesti come se il chierico si fosse trasformato in un
pupazzetto di pochi centimetri. Indi, perentorio)
Slarghé 'sto mantèlo! Indrio! No' se fa parténsa
sübito… se fa balànsa, prima... Se fa mostra de
parténsa, ma no' se parte miga! (Mima i movimenti
appena descritti e si avvia) Se cata ól respiro… se
torna indrìo… un altro respiro, e pö, al fine se
parte! A sunt un Pàpie, no' un carètto! Aténto te!
(Rapidissimo esegue la pantomima sintetizzata
dell’inchiodamento) Andémo! (Riprende sull’aria
del motivo religioso) Se parte… adèso indrio… (Si
avvia facendo qualche passo con incedere maestoso,
sempre cantando)
UN REY VINDRÀ PERPETUAL...
(Si blocca di colpo e si guarda intorno come seguisse
la fuga di tutti i chierici) Oh, chiérighi... Dua andì
tüti?! Me piantì chi soléngo in mèso a la strada…
da par mi?!… (Con altro tono) Cossa gh'è?…
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Un'altra procesiùn?!... Un altra procesiùn… de
contra a la méa?! Chi gh'è in procesiùn? Jesus?...
Chi l’è 'sto Jesus?... Ah, Cristo! (Come ricordando,
all’istante si batte una gran manata sulla fronte)
Jesus Cristo! Al gh'ha do' nómi... ‘tachéi insémbia,
che mi a me sconfùnde!… (Come osservando Cristo
che avanza con la croce sulle spalle verso di lui) A
l'è quèlo sota la cróse... Bòja come l'han consciàt!
(Sinceramente addolorato) Varda… tüti i spini
gh'han piantàt sü la crapa... ól sànguo che ghe cóla
dapartüto… gh'han spüdà adòso… sgarbelà…
strascià... Adès capìssi parchè ól ciàmano “pòvero
Crist”! (Rivolto ai chierici china il capo come
stravolto) Fradèli, portéme via de chi-lòga, no' poi
véder… me fa impressiùn vardà ‘ste robe...
(fingendo di rispondere ai consigli di un altro
prelato) Eh? Te dise che è mejòr che mi ghe vaga
incontra?… Parchè?... Ah, par la zénte! Ziusta, la
ziénte che ghe vede insèmbia dise: "Oh, se
cognósse quèi dòj… i son de la mèsma eglésia!". Ti
gh’ha resón. (Mima di togliersi cappello, mantello,
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anelli) Tégne, tégne ól capelón, tégne ól mantèlo,
tégne i anèli... L'è un mato quèlo! No' pòle
suffregàr i prèveti co' le robe che sbarlüsega! (Si
china nel gesto di raccogliere una manciata di
fango) Dame, dame la tèra... (In risposta, seccato)
Per sbordegàrme! (Si strofina il fango sul viso e
sugli abiti) L'è un mato, l'è un fìsimo sofistico
treméndo! Ghe piàse sojaménte i disgrasió, i
malarbèti, i vuncióni, le pütane... (Mima di
allontanare da sè i chierici) Vaì, vaì, foera! Foera!
No' gh'ho besògn de vèsser acompagnàt… Vago
soléngo!... (Si avvicina a Cristo con un gran sorriso
accattivante) Com valla Jesus?... Eh? Chi a son mi?
(Ai chierici che ci si immagina alle sue spalle) Oh,
no' me gh'ha recognossùo! (Al Cristo) Son ól
Pàpie… Bonifax, maximun… prénze de la romana
eglésia... Pa-pi-e! (Ai chierici) S'è desmentegàt cosa
a l'è ól Pàpie! L'è inciuchìt! (Al Cristo) Pàpie! Papi-e! (Conciliante) No' te se regòrdi che te gh'ha
dito a Piétro: "Piétro, adèso che gh’avémo
l'eglésia, fasémo el capo de l'eglésia. E ti, te sarét ól
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prim cap che ól se ciamerà Pàpie... Aprèso che te
sarét morto ti, ghe sarà un altro Pàpie, quindi
(ritmando) un Pàpie, un morto, un Pàpie, un
morto, un Pàpie… (pausa) 'na papada!... (Come
ascoltando il commento di Gesù, atteggia un moto di
meraviglia, trattenendo a stento la risata) Non te
ghe l'aveva gimài ditto ti, a Pietro? Alóra se l’éra
inventàt! (La risata esplode fragorosa. Si blocca
all’istante recitando sorpresa, ascoltando quanto va
dicendogli Cristo) Eh?! Mi?! Mi ho masàto dei
fra’? No’ è vera! Chi te l'ha dito? (Irato e
minaccioso) Dime el nome de chi te l’ha dito, che
ghe intorcìgo… ghe sbùso la crapa... (Fa il gesto di
afferrare lo spione, di torcergli il collo e quindi di
trapanargli il capo con le dita. Si blocca e mima di
rimediare al gesto di violenza ritappando il foro nel
cranio della sua vittima) No Jesus, ghe vòjo bén mi
ai frati… tüte le matìne apéna me lévo… (si rivolge
ad un chierico): "Va a tórme un frate…"
(Riprende la sua difesa con Cristo)… me baso un
frate… tüte le matìne! (Sollecita il chierico) "Va a
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tórme 'sto frate!…” (Ascolta la replica del chierico,
quindi spazientito) “Destàcheghe la léngua dal
portón!"
(Si
interrompe
rendendosi
conto
dell’orrendo sproposito, indi cambia registro, si
inginocchia davanti a Cristo e parla con disperata
umiltà) Jesus te gh'hai resón… son l'òmo pejór che
gh'àit
a
'sto
mondo…
canàja…
ladrón…
malarbèto… ma ti è tanto bon e caro che t'hai
fàito perdonànza a tüti i òmeni de la tèra
desgrasiò, asasìni, pütane... fai perdonànsa anca a
mi che son to’ fiöl… Fai de manéra che tüta la
zénte ghe véde… mi e ti sóta la mèsma cróse… mi
che t'aìdo a portàrla (Mima di infilarsi sotto la
croce e di caricarsela)… Fòra dai cojóni Sirenèo!
(Quindi, volgendo il capo all’indietro verso Cristo,
che si immagina gli stia alle spalle) A son forte
mi… a porto certi
mantelóni... (Cerca di fare
resistenza a Cristo che evidentemente lo ‘sta
spingendo
via
da
sotto
la
croce)
No
descasàrmeeee!... (Mima di ricevere una terribile
pedata
nel
sedere.
Si
ritrova
letteralmente
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scaraventato dall’altro capo della scena) Cristo!
Una pesciàda a mi?! Al Pàpie?! Ma è 'gnüdo
mato?! Se ól savèsse to' pare, poaràsso!... (Punta il
dito verso il pubblico) Ah, te fa gran plasér vedàr
tüta ‘sta zénte che se fa de le gran rigolàde cuntra
de mi! (Carico di livore) Ariverà ól ziórno che ti te
anderà su la cróse inciodàt… In quèl ziórno sarò
gran contento… andarò a pute, mé vòi embriagàr
da sfrogognàr! Cap de i àseni! Prènze son mi!
Prènze Màximon de la Romana Eglésia! (Ordina ai
chierici) Déme el capelón… paséme ól mantèlo…
déme i anèli… (Al Cristo) Varda come sbarlüsega!
Prènze son mi! E ti cap de i àseni! Laude, laude
Bonifax Maximun prènze... Gloria! Gloria a
Bonifax! Cantare! (Se ne va tronfio e impettito
intonando a tutta voce il canto gregoriano)
LAUDE BONIFAX MAXIMO
PRENZE ROMANA EGLESIA
MAGNIFICAT ET EXULTE
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(Cala lentamente la luce)
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TRADUZIONE BONIFACIO
Giullarata per un mimo fabulatore solista
sono state controllate le didascalia con dialetto
Il giullare nella sua azione, fa immaginare di
essere circondato da chierici cantori che lo
assistono nella vestizione addobbandolo per la
processione che dovrà tenere tra poco.
Mima il gesto di pregare e canta:
AL JORN DEL JUDICI
PARRA QUI AVRÀ FET SERVISI
UN REY VINDRÀ PERPETUAL
VESTIT DE NOSTRA CARN MORTAL
DEL ZIEL VINDRA’ TOTI SERTAMENT
AL JORN...
(S’interrompe e si rivolge ad uno dei suoi
immaginari chierici)… Il cappello (riprende a
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cantare)… AL JORN… il capellone, quello
grande...… (riprende a cantare)
ANS QUEL JUDICI NO SERA’
UN GRAN SENIAL SA MONSTRARÀ...
(mima di afferrare la mitria dalle mani del chierico
e se la calza in capo. Di scatto se la toglie) Ahia!
Boia disgraziato, è di ferro! Mi vuoi sfasciare la
testa! Devo andare in battaglia a guerreggiare?
(Canta sul modulo gregoriano)
Dammi quello
leggero che devo andare a passeggiare... (Afferra
un altro copricapo) Questo va bene... (Se lo ficca in
testa e riprende a cantare)
AL JORN DEL JUDICI...
(S’interrompe: ordina) Lo specchio... (Mima di
rimirarsi allo specchio soddisfatto)
Guanto!
(Riprende il canto) ANS QUÈL JUDICI...(Ordina)
Guanto!! (Seccato) L’altro... Un guanto solo?! Non
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ho una mano sola... vuoi che me la tagli? (Mima il
braccio monco. Riprende il canto infilandosi il
guanto e timbrando sulle note, conta il numero delle
proprie dita che ad un primo passaggio gli risultano
più numerose. Ripete il conto, sempre solfeggiando e
si tranquillizza scoprendo che ne ha proprio cinque
per mano. Soddisfatto esegue un crescendo festoso)
Come canto bene!
(Ordina) Il mantello!... Il mantellone...
quello
grande, quello con le pietre... d’oro, d’argento.
(Canta)
AL JORN DEL JUDICI
PARRA QUI AVRÀ...
Portatemelo qua! Siete in cinque chierici, boia!...
Alzate ‘sto mantello, me lo sporcate tutto a
strascicarlo per terra, andiamo! Ehi, avete
mangiato lo stracchino (il latte cagliato) oggi?
(Mima di afferrare dalle mani dei chierici un largo,
pesante mantello) Ohi se è pesante questo!
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(Riprende il canto cercando di caricarsi il mantello
sulle spalle senza riuscirci)
PARRA QUI AVRÀ FET SERVICI... (Ordina)
Aiutatemi a mettermelo sulle spalle! (Canta)
PARRA QUI AVRÀ FET SERVICI...
Forza, caricatelo! Dategli uno spintone (Lo sforzo
lo costringe a stonare. Si arresta, si rivolge ai
chierici abbassando il mantello) Boia! Debbo fare
tutto io?… Sono un Papa o un bue? Debbo
caricarmi il mantello, portare il cappellone,
cantare! Non avete voglia voialtri di cantare? Siete
tristi? Cinque chierici senza voce? (Si rivolge a uno
dei chierici immaginari) Tu, prima voce, canta!
(Accenna, impostando la tonalità della prima voce
nel coro)
FET SERVICIII…
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(Riprende dirigendo col capo) Prima! (Canta come
fosse il chierico) FET SERVICI...
Tieni la nota! SERVICIIII...
(Rivolgendosi a un altro chierico immaginario)
Seconda!
UN REY VINDRÀ PERPETUAL … Mantieni la
nota... PERPETUAAAAL...
(Ad un altro chierico) Terza!
VESTIT DE NOSTRA CARN MORTAL... Più
alto!
(Ad un altro chierico) Quarta!
DEL CIEL VINDRÀ TOT CERTAMENT…
(esegue un alleluiatico saltando da una tonalità
all’altra e dirigendo il coro, trasforma il canto in
una sequenza di rimbrotti, risentimenti e minacce,
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quindi, indica un quinto corista) e tu ripeti sulla
stessa tonalità in appoggio. (E, come fosse il
chierico, esegue una specie di accompagnamento su
sole tre note, quindi termina sgarrando con la voce
in un acuto fuori tono. S’interrompe scoraggiato)
Stonato!!! Mettiamoci a spingere insieme. (Canta
salendo in acuto)
PER FER DEL SETGLE JUGIAMENT… (Si
blocca di scatto)
Stonato, zitto! Sei proprio SBORLUNAT di voce.
Non diventerai giammai prete ché non puoi
cantare messa! Sempre chierico resterai! Zitto,
non cantare! (Fendendo l’aria con la mano tesa gli
ordina il silenzio assoluto. Ad un altro chierico)
Quinta!
PER FER DEL SETGLE JUGIAMENT…
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Adesso tutti insieme cantate e alzate 'sto mantello,
me lo caricate in spalla... Tu stonato non cantare!
(Sempre eseguendo in gregoriano, mima di caricarsi
con grande sforzo il mantello sulle spalle e accenna
a porsi in cammino)
AL JORN DEL JUDICI
PARRÀ QUI AVRÀ FET SERVICI...
(Si arresta all’istante e fa il gesto di strattonare il
manto, si blocca esausto e furente) Chi è montato
coi piedi sul mantello?!... (Si guarda alle spalle
imbestialito) Stonato! Scendi! Non canti! Sei
stonato! Non alzi il mantello, ci monti sopra con i
piedi... Attento a te!… Che io ti tengo d’occhio!…
Ti inchiodo la lingua sul portone! Lingua, chiodo,
portone, martello... TON TON TON! (Mima
velocissimo l’operazione dell’inchiodamento, quindi
prosegue disegnando nell’aria il chierico inchiodato
per la lingua che ciondola a mo’ di batacchio, mosso
dal vento. Emette un gemito che ricorda quello dei
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portoni che cigolano sui cardini) GGNAAAA!
AAAAA! GGNAAAA! AAAAA! Attento a te!
Alzate
'sto
mantello!
(Riprende
il
canto
aggiustandosi il mantello sulle spalle e annodandosi
i nastri sul petto: esausto) Che mestiere da cane
(maledetto) fare il Papa! (Riprende il canto)
UN REY VINDRÀ PERPETUAL…
(Ordina) Cuscino con gli anelli! (Canta)
VESTIT DE NOSTRA CARN MORTAL...
(Mima di prendere un anello dal cuscino che gli
viene offerto, lo rimira e dopo averci alitato sopra se
lo infila e commenta) Guarda come brilla questo!
Ti ammolla una lampeggiata che ti accieca
(Riprende il canto infilandosi anelli dall’indice al
mignolo e a questo punto commenta) E’ grande…
ah no… è per il ditone (pollice)! (Sposta l’anello dal
mignolo al pollice) Oh, adesso sì che va bene!
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(Rivolto agli immaginari chierici) Adesso state in
campana (state attenti), che partiamo tutti
insieme! Cantare (Riprende con foga gesti e canto.
Si muove. Quasi spintonato, si ritrova proiettato in
avanti. Con gran scatto di reni, evita per poco di
finire lungo disteso con la faccia sbattuta al suolo.
Si rizza, si riassesta negli abiti, mitra e mantello,
quindi puntando feroce l’immaginario chierico
imbranato)
UN REY VINDRÀ PERPETUAL…
Stonato! Cosa vai a spingere che gli altri non sono
ancora partiti! Mi vuoi rovinare a terra! Ti
piacerebbe vedere il Papa sbragato, ruzzolato con
la faccia immersa nel fango… il capellone calcato
fino alla barbozza a soffocare!... Attento a te!
(Ripete la pantomima dell’inchiodamento per la
lingua, rimpicciolendo i gesti come se il chierico si
fosse trasformato in un pupazzetto di pochi
centimetri.
Indi,
perentorio)
Allargate
'sto
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mantello! Indietro! Non si parte subito… ci si
altalena un poco, prima... si finge di partire, ma
non si parte! (Mima i movimenti appena descritti e
si avvia) Si prende il respiro… si torna indietro…
un altro respiro, e poi, alla fine si parte! Sono un
Papa, non un carretto! Attento a te! (Rapidissimo
esegue
la
pantomima
sintetizzata
dell’inchiodamento) Andiamo! (Riprende sull’aria
del motivo religioso) Si parte... adesso indietro... (Si
avvia facendo qualche passo con incedere maestoso,
sempre cantando)
UN REY VINDRÀ PERPETUAL...
(Si blocca di colpo e si guada intorno come seguisse
la fuga ti tutti i chierici) Oh, chierici... Dove andate
tutti?!
Mi piantate qui come un mammozzo in mezzo alla
strada... tutto solo?!... (Con altro tono) Cosa c’è?…
Un’altra processione?!… Un’altra processione…
contro la mia?! Chi c’è in processione? Jesus?...
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Chi è ‘sto Jesus?… Ah, Cristo! (Come ricordando,
all’istante di batte una gran manata sulla fronte)
Jesus Cristo! Ha due nomi… attaccateli insieme,
che io mi confondo!… (Come osservando Cristo che
avanza con la croce sulle spalle verso di lui) Ah è
quello sotto la croce… Boia come l’hanno
conciato!
(Sinceramente addolorato)
Guarda...
tutte le spine gli hanno piantato nella testa... il
sangue che gli cola dappertutto… gli hanno
sputato addosso... graffiato… stracciato… Adesso
capisco perché lo chiamano “povero Cristo”!
(Rivolto ai chierici china il capo come stravolto)
Fratelli, portatemi via di qua, non posso vedere…
mi fa impressione guardare ‘ste cose... (fingendo di
rispondere ai consigli di un altro prelato) Eh? Dici
che è meglio che gli vada incontro?... Perché?…
Ah, per la gente! Giusto, la gente che ci vede
insieme dice: “Oh, si conoscono quei due… sono
della medesima chiesa!” Hai ragione. (Mima di
togliersi cappello, mantello, anelli) Tieni, tieni il
capellone, tieni il mantello... tieni gli anelli... È un
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matto quello! Non può soffrire i preti con le cose
che brillano! (Si china nel gesto di raccogliere una
manciata di fango) Dammi, dammi qui la terra...
(In risposta, seccato) Per sporcarmi-imbrattarmi!
(Si strofina il fango sul viso e sugli abiti) È un
matto, è un fissato sofistico tremendo... gli
piacciono solamente i disgraziati, i maledetti, la
gente unta e sporca, le puttane... (Mima di
allontanare da sé i chierici) Andate, andate, fuori!
Fuori! Non ho bisogno di essere accompagnato...
Vado solengo!... (Si avvicina a Cristo con un gran
sorriso accattivante) Come va Jesus?... Eh? Chi
sono io? (Ai chierici che ci si immagina discosti)
Oh, non mi ha riconosciuto! (Al Cristo) Sono il
Papa... Bonifax maximum... principe della Chiesa
romana... Pa-pa! (Ai chierici) S’è dimenticato cosa
è il Papa! É ubriaco! (Al Cristo) Papa! Pa-pa!
(Conciliante) Non ti ricordi che hai detto a Pietro:
"Pietro, adesso che abbiamo la Chiesa, facciamo il
capo della Chiesa. E tu, tu sarai il primo capo che
si chiamerà Papa... Dopo che tu sarai morto, ci
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sarà un altro Papa, quindi (ritmando) un Papa, un
morto, un Papa, un morto, un Papa... (pausa) una
papata!... (Come ascoltando il commento di Gesù,
atteggia un moto di meraviglia, trattenendo a stento
la risata) Non l'avevi mai detto tu, a Pietro?...
Allora se l’éra inventato! (La risata esplode
fragorosa. Si blocca all’istante recitando sorpresa,
ascoltando quanto va dicendogli Cristo) Eh?! Io?!
Io ho ammazzato dei frati? Non è vero! Chi te l'ha
detto? (Irato e minaccioso) Dimmi il nome di chi te
l’ha detto, che gli trapano… gli buco il cranio...
(Fa il gesto di afferrare lo spione, di torcergli il collo
e quindi di trapanargli il capo con le dita. Si blocca
e mima di rimediare al gesto di violenza ritappando
il foro nel cranio della sua vittima) No Jesus, voglio
bene io ai frati... tutte le mattine appena mi levo
(mi alzo)… (si rivolge ad un chierico): "Vai a
prendermi un frate...” (Riprende la sua difesa con
Cristo)… io mi bacio un frate… tutte le mattine!
(Sollecita il chierico) "Vai a prendermi 'sto
frate!…” (Ascolta la replica del chierico, quindi
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spazientito) “Distaccagli la lingua dal portone!".
(Si
interrompe
rendendosi
conto
dell’orrendo
sproposito, indi cambia registro, si inginocchia
davanti a Cristo e parla con disperata umiltà) Jesus
hai ragione... sono l'uomo peggiore che ci sia a 'sto
mondo… canaglia… ladrone… maledetto… ma tu
sei tanto
buono
e caro
che hai concesso
“perdonanza” (perdono) a tutti gli uomini della
terra
disgraziati,
assassini,
puttane...
fai
“perdonanza” anche a me che son tuo figlio… Fai
in modo che tutta la gente ci veda... io e te sotto la
medesima croce... io che ti aiuto a portarla (Mima
di infilarsi sotto la croce e di caricarsela)... Fuori
dai coglioni, Cireneo! (Quindi, volgendo il capo
all’indietro verso Cristo, che si immagina gli stia
alle spalle) Sono forte io... porto certi mantelloni!
(Cerca di fare resistenza a Cristo che evidentemente
lo sta spingendo
via da sotto la croce) Non
scacciarmiii!... (Mima di ricevere una terribile
pedata
nel
sedere.
Si
ritrova
letteralmente
scaraventato dall’altro capo della scena) Cristo!
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Una pedata a me?! Al Papa?! Ma sei divenuto
matto? Se lo sapesse tuo padre, poveraccio!...
(Punta il dito verso il pubblico) Ah, ti dà gran
piacere rimirare tutta ‘sta gente che si fa gran
risate alle mie spalle (Carico di livore) Arriverà il
giorno che tu andrai sulla croce inchiodato ... In
quel giorno sarò gran contento (avrò grande
felicità)... andrò a puttane, mi voglio inchiuchire
da schiattare! Capo degli asini! Principe sono io!
Principe Massimo della Romana Chiesa! (Ordina
ai chierici) Datemi il capellone... passatemi il
mantello... datemi gli anelli... (Al Cristo) Guarda
come brillano! Principe! E tu capo degli asini!
Lode, lode a Bonifacio Massimo Principe... Gloria!
Gloria a Bonifacio! Cantare! (Se ne va tronfio e
impettito intonando a tutta voce il canto gregoriano)
LAUDE BONIFAX MAXIMO
PRENZE ROMANA EGLESIA
MAGNIFICAT ET EXULTE
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Cala lentamente la luce
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20 MAGGIO
IL MATTO E LA MORTE
Presentazione
Eccoci alla giullarata de “Il matto e la Morte”. Questo
testo è di origine croata, ma l’abbiamo scovato in una
trascrizione dalmata, piuttosto antica. Fool, fou,
baléngo, luch, lòco, ecc... sono termini, espressioni
che in vari paesi d’Europa alludono soprattutto ad una
maschera del folle, appunto.
Nel teatro popolare dei primordi il matto indica il
personaggio di contrappunto, il capovolto, fuoriregola, che non accetta né consuetudini né logica...
per non parlare di tutto ciò che la società presenta
come
regolamento,
legalità,
dogma
assoluto.
Insomma è il rappresentante allegorico di tutti gli
scombinati che si chiamano fuori.
Esiste un testo famoso di Erasmo da Rotterdam che
ha per titolo “La nave dei folli”. Il testo satirico è
ispirato a una autentica consuetudine medievale.
All’inizio
della
primavera
nelle
Repubbliche
Anseatiche tutti i pazzi, i diversi, i giullari, gli
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squinternati, compresi eretici, liberi pensatori e
prostitute irregolari, venivano a forza imbarcati su
una nave priva di timone e deriva. Il vascello veniva
poi trascinato al largo e affidato alle correnti
ascendenti che lo accompagnavano immancabilmente
al nord nel Baltico fra i ghiacci. Un modo simpatico
per eliminare tutti i rompiscatole, “fuori dal coro”.
Il matto lo troviamo anche in molte storie sacre: è il
personaggio che s’incontra nell’osteria di Emaus,
proprio nella notte della cena famosa: l’ultima. Gesù
Cristo e i suoi Apostoli stanno in una saletta
appartata, il matto e gli avventori abituali sono nello
stanzone attiguo alle cucine. Intorno a un gran tavolo
stanno giocando a carte un prete, un soldato, un
mercante. E’ evidente: si tratta
di personaggi
allegorici che alludono a professioni di potere. Con
loro c’è anche il matto che naturalmente è destinato a
perdere ogni partita. Il matto, che rappresenta
soprattutto il popolo minuto, insiste a voler giocare
con la speranza di guadagnare almeno qualche mano,
ma le regole le fanno i tre che conducono il gioco, per
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di più barano smaccatamente e nascondo le carte in
ogni piega dei loro abiti: impossibile batterli!
Dall’altra stanza, un fuoriscena, giunge ogni tanto
qualche
rumore:
una
sommessa
risata,
voci
sovrapposte, un dialogo confuso di Santi che si
accalorano in animate discussioni. Scoppia un breve
alterco con Giuda che, risentito, se ne va sbattendo la
porta; lo rincorrono alcuni seguaci, cercano di
calmarlo, lo convincono a tornare nella stanza del
banchetto: “Su non fare cossì, non prendertela... lo sai
com’è lui, ogni tanto gli gira storto e va giù pesante,
ma non lo fa per cattiveria. Di sicuro non lo pensava,
anzi per me... scherzava! Torna indietro, dai... vedrai
che ti chiede pure scusa!”, e Giuda rientra, sospinto
da quattro Apostoli.
Notiamo passare i servi con bacinelle colme d’acqua,
“Strana gente - commenta il matto sbirciando
nell’altra stanza - che originali! Si lavano i piedi
prima di mangiare.” La porta si spalanca e si chiude
di continuo... il matto continua a sbirciare al di là dei
battenti e, ogni tanto, fa gesti di saluto verso Gesù, gli
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strizza l’occhio e commenta: “Che simpatico quel
Cristo!”.
Ad un certo punto il salone è attraversato da una
folata di vento gelido, sbattono le tende... entra in
scena una strana figura... una donna avvolta da un
enorme manto nero, orlato di nappa a straccio con un
velo in testa che fa appena intravedere il viso. Regge
una falce: è la “stribbia”, la morte. Colti da brividi, i
giocatori che stanno intorno al tavolo, chi correndo,
chi strisciando lungo le pareti, fuggono. L’ostessa e i
servi si ritirano rinchiudendosi nella cucina. Nel
salone rimane solo il matto: allocchito fissa la stribbia
che gli si avvicina e siede di fronte a lui. Il matto, se
pure in ritardo, l’ha riconosciuta, è convinto sia
venuta per lui, cerca di apparire nient’affatto
sgomento, anzi gioca a fare lo smargiasso: “Non era
proprio il caso che ti scomodassi per uno sbilenco
come me... capisco darti da fare per acchiappare un
pezzo grosso, un ricco sfondato!”. Quasi subito il
matto si rende conto che le attenzioni della morte non
sono rivolte a lui, la “stribbia” è venuta per prendersi
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Gesù Cristo. I due discorrono e il matto riesce a
conoscere dalla velata quale sarà la fine di Gesù. Gli
si blocca il respiro, non sa trattenere le lacrime poi,
all’improvviso, imprevedibile da autentico pazzo,
esplode in una risata e comincia a cantare saltellando
qua e là per la sala... offre da bere alla stribbia, la
corteggia con adulazioni paradossali, esasperate. La
triste velata, incredula, si diverte, brinda col matto e
beve, ma è risaputo, la morte non regge il vino. Dopo
un po' eccola ridere e danzare, quasi sguaiata, tenuta
per la vita dal matto che la fa piroettare intorno come
un fantoccio. Volano veli, stracci e mantelli, appare il
viso pallido della regina tombarola: “Oh, la bella
smortina!” esclama il matto. Spuntano seni tondi e
sbianchiti ; il matto l’accarezza e la stordisce di parole
, la stringe a sé, la solleva, la fa volare. La smortina
s’è illanguidita, sta proprio andando via di testa per
‘sto pazzo e con lui se ne esce abbracciata, pigolando
come una gazza in amore.
L’allegoria
è
antica,
proviene
certamente
dal
protocristianesimo, allude, è ovvio, al rito che vede il
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matto come doppio di Cristo, che conquista la morte,
compresa
sofferenza
è
sepoltura,
poiché
lui,
immortale si sacrifica e muore per liberare gli uomini.
Ora vi presentiamo il frammento della stessa scena
interamente dialogata. Ci si rende immediatamente
conto che il brano non può essere rappresentato che
da almeno una mezza dozzina di attori recitanti.
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da rivedere con dario
STAMPATA ∞∞
IL MATTO E LA MORTE
In una locanda alcuni sfaccendati giocano a carte
con il matto.
MATTO
Ól cavàl sü l'àsen, la vérzen sóra al
viziùs e am porti a casa tüto! Ah, ah. Avìt sémper
üt la cunvinziùn ca mi fudèssi
un polàstro de
spenà vu, eh? E mo', com' la metìu? (Distribuisce
le carte)
PRIMO GIOCATORE No' a l'è finìda ancmò la
partìda... 'pècia un bòt a cantà!
MATTO No, che mi a canto de cóntra... e a balo!
Ohi che bele carte! Bòna sira maiestà, segnór
régio, av despiàse andarme a catàr la corona de
quèl bastardàsc d'ól mé amìgh? (Sbatte una carta
sul tavolo).
SECONDO GIOCATORE
Ah ah... at sèt
tumburnà col régio ca mi ghe pichi l'imperadùr!
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MATTO
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Ohi ohi, varda ti còssa ól mé càscia
st'imperadùr: agh pichi là quèst (si volta di schiena
appoggiando il sedere sul tavolo) e peu de giùnta
'st'asasìn che at cópa l'imperadùr 'me un porscèl.
PRIMO GIOCATORE E mi at stòpi l'asasìn col
capitàni...
MATTO
E mi at fagh 'egnìr la guèra che ól
capitàni ól dev partìr!
SECONDO GIOCATORE E mi la carestia e ól
culéra e la peste che le guère a fan furnì!
MATTO
E ti alóra to’ l'umbrèla che sptiù
tempesta, sptiù tempuraj... sptiú piòva e delügi!
(Ha bevuto dalla brocca e spruzza tutti quanti)
PRIMO GIOCATORE
Ohi desgrasiàd d'un
Matazón, at si mat?!
MATTO Eh sì che a son mato ah... se a mé ciamìt
Matazón, son mato... e a mé vìncio 'e partìde de
taròchi cónt al delügi che a òmni pestilenza fa fà ól
fagòt.
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OSTESSA
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Déighe on tàj par piazér de fà 'sto
burdeléri, che gh'ho zénte in d'ól stanzón ch'i è a
rénta andàr a tàbola.
MATTO Chi a sont?
OSTESSA No'l sagh mi... che no' i gh'avévi gimài
vedúi chilò a Emmàus quèili, in la méa lucànda. I
ghe dise i apostoli... (interrompono un attimo il
gioco)
SECONDO GIOCATORE Ah, i sont quèi dódes
che agh van intorno al Nazaréno.
MATTO Sì, ól Gesú, che ól serìa quèilo che ól sta
in del mèz, vàrdalo là... ch'ól m'è tant sempàtich a
mi. (Chiama a gran voce) Ohè Gesú Nazarén, at
salüdi! Bon apetit! (Agli amici) Hàit vist, ól m'ha
schisciàd eugio... Com'a l'è sempàtich!
TERZO GIOCATORE Dódes e vün trèdes... o i's
mèt a tàbola in trèdes, che agh ména’ sì tanto
gram!
MATTO Oh, ma se i sont matòchi! 'Pècia che agh
fagh 'na scaramànza par scasciàrghe via ól
maleugio. (Canta)
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Trédes a çena scalògna nol ména
maleugio stà quac
che at tóchi 'sti ciàpp! (Palpa il sedere all'ostessa)
OSTESSA Stàite bòn, Matazón, che am fàit
reversàre l'acqua bujénta!
PRIMO GIOCATORE L'acqua bujénta? Cosa an
ne fan cos'è quèili? (Distribuisce le carte)
OSTESSA A credi che i se vol lavàsse i pìe.
SECONDO GIOCATORE Lavàrse i pìe inànze de
magnàr? Ohi, chi è 'mpròpi mati! Matazón, ti at
dobiarèset andàrghe cont lóri che a quèili a sónt i
compagnón fadi a bela pòsta par ti.
MATTO (Nella foga del discorso non si accorge che
i compari velocemente gli sostituiscono le carte) At
l'hàit dit… ti gh'ha rezón: am véncio 'sta partida e
cont i palànchi che am pagarét vagh de là in d'ól
stanzón a bévarmei tüti cont lóri... e vui no' vegnì
miga, che vui no' podìt star coi mati e matazóni,
che a sit fiòl de putàne e de ladroni!
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TERZO GIOCATORE Gieuga, gieuga, che am
vòi pròpi geud 'sta tua vinciüda.
MATTO A spropòsit de ladroni: indùa l'è 'ndàd a
furnì ól mato che gh'l'avevi in mèz a i mé carti?
SECONDO GIOCATORE Dèighe un spèc che ól
se pòda miràr: at truarèt de sübet la fàcia d'ól tò
mato.
PRIMO GIOCATORE Gieuga e no' stà a pèrd ól
témp! (Gioca) Cavajér col spadón!
SECONDO GIOCATORE Rejna col bastón!
MATTO Stròlega col cavrón!
TERZO GIOCATORE Ól bambìn innozénte!
PRIMO GIOCATORE Ól Deo 'nipoténte!
MATTO La justìzia e la rezón!
SECONDO GIOCATORE Ól furbàso e l'avocàt!
TERZO GIOCATORE Ól bòja e l'impicàt!
MATTO Ól papa e la papèsa!
PRIMO GIOCATORE Ól préite che fa mèsa!
SECONDO GIOCATORE La vita bela e alegra!
TERZO GIOCATORE La morte bianca e negra!
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SECONDO GIOCATORE De carte a gh' n'èt pü:
caro ól me mat ti gh'ha perdü!
MATTO 'Pusìbil! Ma come ho fàit a pèrdre?
PRIMO GIOCATORE Com l'ha fàit? No' ti è bòn
de ziogàr, ól mé car Matazón cojón. Paga mo',
foera 'ste palànche!
MATTO
M'avìt pelàt al cumplèt, bòia d'un
geubo!... E di' che a pensàg mé pareva d'avérghela
mi, de següro, 'sta carta de la morte... am regòrdi
che agh l'avevi chi in d'ól mèz.
Sul fondo appare la Morte avvolta in un gran
mantello. Un velo le copre il viso pallido
SECONDO GIOCATORE Ohi mama... chi a l'è
quèla?!
TERZO GIOCATORE La stria... la Morte!
Fuggono tutti meno il matto, che intento a contare
i soldi, non la vede.
MATTO Sì, la Morte, impròpri... gh'l'aveva mi!
Ohi che frio... 'ndua av sit casciàdi tüti? Gh'è ól
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frio ch'a'm riva in d'i òsi. Sarìt 'sta porta... (Sbircia
appena la Morte) Bon dì. Gh'è tüto seràd... d'in dóe
ól végne 'sto infregiaménto bòia? (Vede la Morte)
Bòn dì, bona sira... bona note… Madama, cont
permès. (Si alza per andarsene) Sicóme i mé amìsi
a sónt andàtt... (Si rende conto di aver a dimenticato
i soldi sulla tavola) Scerché quaidün? La padrona
l'è de là in d'ól stanzùn a servigh in tàola a i
apòstul ól baslòt de lavàs i pìe: se a vorsì andagh,
no' fit di cumpliménti… (trema vistosamente) Ohi
che barbèli!
MORTE
No, av rengràzio, ma prefèrzo de
spectàre quìnve.
MATTO Bòn... se la vòl sentàrse, las tòga 'sta
cadréga... l'è anc’mò calda, che gh'l'ho scaldàda
mi!(La donna si siede) Ca scüsa, madama... ma
indès che la vardi plü de rénta am somégia
d'avéghla reconosüda ‘n'altra veulta.
MORTE El sta imposìble, ch’éo mé sónt üna ch'as
conóse ‘na volta… mas solamente.
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MATTO Ah sì? ‘Na volta mas...? A la gh'ha una
parlàda de forèsta... che la mé par toscània... No'
la è toscània? Ferarésa? Romana? Trevigiana? De
Cicìlia? Nemanco de Cremona? Che i sont i plü
forèsti de tüti quèi, plus forèsti de i lodigiani che i
son forèsti infine derénto a Lodi! Ab òmni manéra
madama, am permetì de dirve che av truvi un
poch giò de caregiàda, un poch smortìna… de
l'ültema veulta che no' vé gh'ho cognosüda.
MORTE At dit smòrta?
MATTO Sì, no' ve ofendìt, a spéro?
MORTE No, che eo a sónt in sempitèrna stada
smòrta. Che smòrto e gli è el meo naturale.
MATTO Smòrto al naturale? (Di colpo si ricorda)
Ah, eco a chi a ghe somégia! Vu che somegì spuàda
a 'sta figura ch'è pinturàda su 'sta carta! (Gliela
mostra)
MORTE Enfàcti. Eo a sónt la Morte.
MATTO La Morte? A sit la Morte, a vu? (Gli
trema vistosamente la gamba) Oh ti varda la
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combinasiün! A l'è la Morte! Bon... piazére... mi a
sont Matazón.
MORTE Te fago pagüra, eh?
MATTO Pagüra a mi? No, che mi a son mato
matazóne, e ól san tüti che anco in d'ól ziògo de i
taròchi ól mato no' ól gh'ha pagüra de la morte.
Anze, de contra la va zercàndo par far copia
maridàda, che inséma i vénze òmnia carta: infin
quèla d'amore!
MORTE Se no' ti g'hai pagüra, come l'è che te
trémba 'sta giàmba?
MATTO La giàmba? A l'è perchè a no' l'è mia
'sta giàmba chì! Che la mia vera de mi mé la gh'ho
perdüda in d'ól campo a guerezàre... e alóra ne
gh'ho catàda una d'un càpitani... che lü a l’éra
morto e la sòa giàmba la svisigàva an’cmò viva
como la fuèse ‘na côa d'üna luzèrtula cupàda. E
donca gh'l'hàit taiàda, 'sta giàmba e m'la sónt
tacàta a mi con la spüa... che, vardìt, ól se
comprénd bén che no' la pò ess la méa... a l'è plü
lónga de òna spana che la mé fa 'ndà sòpo de
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stràmbola, a mi! (Si rivolge alla gamba che
continua a tremare) Ohi, güra, che no' as deve
trembàr de fifa d'enànze a una segnóra madòna
lustrìsema compàgna... (come fosse un cavallo)
'dèm… pògia!
MORTE At sèt bòn zentìle a nomàrme lustrìsema
e madòna.
MATTO Oh, n'ól fagh per zerimònia, credìme...
ca par mi, a vel ziüri, vu s'èt ‘lustrìsima e infìn
sempàtega... e mi gh'hàit plazér che vui sit 'gnüda
a trovàrme a mi, che vui me piazìu, tant che av voj
pagàr de bévar, se am permetì!
MORTE Bén volentéra... Hai dit ch'éo at plazi a
ti?
MATTO Següra! Tüto am piàze de vui: ól parfüm
de grizantémi che gh'i' indòso… e ól palór smòrto
de la fàcia, che de noiàltri as dise: "Dòna de carna
fina, d'ól colór d'la biàca, dòna che in d'ól far
l'amór no' l'è mai straca!".
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MORTE
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Oh… che 'm fàit 'gnire svergognósa,
mato che no' sèit àrtro! Niùno me aveva gimài fata
‘rosìre in 'sta manéra.
MATTO ‘Rusìt imparchè vui sit dòna vérzine et
purìsima: che a l'è véra che parèci òmeni vui avìt
imbrasàd, ma par una veulta sojaménte... che
niùno de quèi ól meritàva de 'gnì a dormì con vui,
strengiüda, che niùno av porta amór sinzér ni
stima.
MORTE A l'è véra, niùno me stima.
MATTO Imparchè vui sèt trop modesta e no' fèt
sonàr corni, ni bàter tambóri a 'nunziàr la vostra
vegniüda, con tüt che sit Reèjna.. (Versa da bere)
Rèjna d'ól mundo! (Alza il bicchiere e brinda) A la
vostra sanità, Rèjna!
MORTE Sanità de la Morte? No' 'ndivìno si ti è
plü mato o plü poeta.
MATTO Tüti li dò: imperochè òmni poeta a l'è
mato, e al roèrso. (Le offre da bere) 'Evìt,
smortìna, che ól ve darà un poch d' colùr 'sto vin.
MORTE (sorseggia il vino) Oh ch l'è bòn!
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MATTO E come n'ól podarìa es bòn... a l'è istèso
che l'è rénta a béf ól Nazaréno, in d'ól stanzùn de
là... e quèl as n'intend e come ad vin... gran
cognosidùr l'è quèl!
MORTE Lo qual'è ól Nazareno in fra quèi?
MATTO Ól zóvin sentàd ind'ól mèz, quèl cont i
ögi grandi e ciàri.
MORTE Oh gli è un gran bèl'òmo… e dólze!
MATTO Sì, a l'è un bèl òmo, ma no' me vorsarì
far 'gnir gialùso... no' me vorsarì far ól despèt de
lasàrme de par mi zol, par andàghe in compagnia
de lóri... che am vegnarìa de plànger desesperàt!
MORTE Ti me vòl luzingàre oh, furbàso? (La
Morte si toglie il velo nero: ha lunghi capelli dorati)
MATTO
Mi luzingàr? Luzingàr 'na dama che
nemanco de imperadór, ne manco de papa no' se
lasa menàr in sogezión? Ohi che bèla che ti è co'
'sti cavèi, che mi volentéra a catarìa tüti i fiór de la
tèra per bütàrteli indòso de covrìrte tüta sóto un
gran mücio, e po' am butarìa anc’mi a scercàrte
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sòta a quèl mücio e a spoiàrte de i fior… e de tüto
!
MORTE
At m' fàit 'gnir gran calór con 'ste
parole, el meo mato… e am rincrésse caro, che
volentéra avrìa vorsüdo starte in compagnia e
portàrte séco a mi.
MATTO No' ti è 'gnüda par quèl… par portàrme
via con ti? (Ride felice) Ah ah, no' sèt 'gnuda par
mi... ah ah... e mi che am figuràva... ohj che a l'è
gran ridiculàso 'sto
fato… bòn, am fa majòr
piazér 'sto scambio, a sónt pròpi contént... ah ah!
MORTE
Mo’ a végo bén che ti éri falzo...
bosiàrdo... che ti fazévi móstra de amàrme par
tegnérme bòna, per pagüra de la Morte... che a
sónt éo, quèla.
MATTO No, no' ti gh'ha capìt smortìna... a mi
sónt contént imperchè vu no' s'et 'gnüda de mi par
interèse... no' v'et restàda in compagnia de mi par
ól mesté de tram foera l'ültem sospìr... ma
sojaménte imparchè mi a ve sónt sempàtech a
vui... a l'è vera? Av sónt sempàtich mé... smortìna?
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Dime! (Breve pausa) Se l'è ch'av sücéd… che av
góta feura i làgrem da i ögi? Oh 'sta l'è gròsa! La
Mort che la plange! Av'àit purtàt ofésa a mi?
MORTE
No, ti ne me gh'hai ofésa... ti m'hai
molcìdo ól còr sojaménte... eo plango par
malenconìa de quèl fiòlo Jésus sì dolze... che élo
quèl che ne tocherà de tòllerme a morìr.
MATTO Ah, par lü at set 'gnüda... Par ól Crist!
Bén, a mé rencrés anca a mi... pòr zóvin, cónt la
fàcia inscì de bón c'ól gh'ha. E par quale azidént
t'òl menarèt via: maladìa de stòmec, de còr o
curedèla?
MORTE Maladìa de la croze
MATTO
De la croz? Ól fornirà inciudàd? Oh
pòver Crist... che n'oòl podéva 'vegh 'n'àlter nóm
plü sventuràt! Sént, smortìna: fam un piasér, lasa
che mi agh vaga a 'visàl... c'ól se prepara a 'sto
suplìzi treménd!
MORTE Gli è inütil che t' l'avìsi, imparchè sì 'l
conóse… el sape bén de quand l’è nascìo al mündo
che dimàn e dobiarà slongàrse in cróze.
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MATTO Ól sape... ól cognós e, de ‘giùnta, ól resta
lì lóga tranquìl a cuntàrla sü e ghe surìd beàt ai so'
compagnón? Oh che a l'è mat anc lü pejiór de mi,
quèl!
MORTE Te l'hàit dito! E còmo no' el podarìa es
mato, ün che l'ama de tanto amór i òmeni,
imperfìno quèi che el menerànno a la cróze...
imperfìno 'l Giuda che l'anderà a trajrlo?
MATTO Ah, ól sarà ól Giuda? Quèl là che e sta in
un cantùn a la tàbola, che agh farà ól servìzi? Agh
l’avrìa scumetüd!… 'Sta fàcia de Giuda! Spècia
che agh vagh là a darghe un para de sgiafùni a 'stu
malnàt... e agh spüdi in t'ün ögio!
MORTE Lasa corìr... n'ól val la pena... che a tüti
agh dovarìaghe spüdàrghe in l'ögi, che tüti agh
volteràno le spale quand el vegnerà el momento.
MATTO Tüti? Anc ól sant Pédar?
MORTE
Lo quèl par el primo, e tre volte de
retórno! Vién… no' stémoce a pensare plü... 'egni
a versàrme el vino che me vòjo imbriacgàre...
slontanàr de 'sta trestìzia.
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MATTO At gh'hàit rezón... ól meiór è avérghe la
morte alégra! Dònca: bevémo a scaciamagón! Bèla
smortìna... vègn in alegrèza: slàzate 'sto mantèl
che at vòi védar 'ste braze stagne d'ól colór d'la
luna... (la donna si toglie il mantello) ohi che e són
bèle… e slàzet anc’ ól gibòt d'inànz che at vòi
lustràrme i ögi con 'sti to' dòi pómi d'arzénto che
par le stèle Diane... AGGIUNGERE DIDASCALIA
MORTE No, a te prégi, mato... che éo a mi sónt
donzèla, o garzonèta e me svergógno tüta... che
niùno òmo el m’ha gimài tocàta snùda!
MATTO AGGIUNGERE DIDASCALIA Ma mi
no' sont òmo... mi a sont mato... e no' ghe sarà
pecàt par la Morte far l'amòr con un fòll baléngo,
che a songh mi quèl... No' t'habia (Franca perché
ci vuoi l’H?) pagüra che mi a smorzerò tüti i
lümi... e a un soléngo, an lasarò... o andarémo a
balar... di bei pasèti che at vòi 'nsegnàr... at vòi far
cantar de sospiri e de laménti inamorosi.
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TRADUZIONE matto e morte
stampata per
correggere
In una locanda alcuni sfaccendati giocano a carte
con il matto.
MATTO Il cavallo su l'asino, la vergine sopra al
vizioso e mi porto a casa tutto! Ah, ah. Avete
sempre avuto la convinzione che io fossi
un
pollastro da spennare, voi eh? E adesso, come la
mettiamo? (Distribuisce le carte)
PRIMO GIOCATORE
Non è ancora finita la
partita… spetta un momento a cantare!
MATTO No, che io canto de cóntra... e ballo!
Ohi che belle carte! Buona sera maestà, signor
re… vi dispiace ad andarmi a prendere la corona
di quel bastardaccio del mio amico? (Sbatte una
carta sul tavolo).
SECONDO GIOCATORE Ah ah... sei tumburnà
col re che ci picchio l'imperatore!
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MATTO Ohi ohi, guarda tu cosa mi combina sto
imperatore: ci picchio là questo (si volta di schiena
appoggiando il sedere sul tavolo) e poi de giunta
'‘sto assassino che ti cópa l'imperatore come un
porcello.
PRIMO GIOCATORE E io ti stoppo l’assassino
col capitano...
MATTO E io ti faccio venire la guerra così il
capitano deve partire!
SECONDO GIOCATORE E io ti faccio venire la
carestia e il colera e la peste che le guerre fanno
finire!
MATTO E tu allora prendi l'ombrello che sputo
tempesta, sputo temporali... sputo pioggia e
diluvio! (Ha bevuto dalla brocca e spruzza tutti
quanti)
PRIMO GIOCATORE
Ohi disgraziato d'un
Mattazzone, sei matto?!
MATTO Eh sì che son matto ah... se mi chiamate
Mattazzone, son matto... e mi vinco le partìte dei
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tarocchi con il diluvio che a ogni pestilenza fa fare
fagotto.
OSTESSA Dateci un taglio per piacere de fare 'sto
bordello, che ho gente nello stanzone che stanno
andando a tavola.
MATTO Chi sono?
OSTESSA Non so io... non li avevo mai visti quelli
ad Emmaus nella mia locanda. Li chiamano gli
apostoli...
Interrompono per un attimo il gioco
SECONDO GIOCATORE Ah, sono quei dodici
che vanno intorno (che seguono) al Nazareno.
MATTO Sì, Gesù, che sarebbe quello che sta nel
mezzo… guardalo là... che m'è tanto simpatico
(Chiama a gran voce) Ohè Gesù Nazareno, ti
saluto! Buon appetito! (Agli amici) Avete visto?
M'ha schiacciato l’occhio... Com’è simpatico!
TERZO GIOCATORE Dodici e uno tredici... si
mettono a tavola in tredici che porta tanto gramo
(sfortuna)!
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MATTO Oh, ma se sono matti! Aspetta che gli
faccio una scaramanzia per cacciargli via il
malocchio (Canta)
Tredici a cena scalogna non mena
malocchio sta quieto
che ti tocco queste chiappe! (Palpa il sedere
all'ostessa)
OSTESSA Sta buono, Mattazzone, che che mi fai
rovesciare l’acqua bollente!
PRIMO GIOCATORE L’acqua bollente? Cosa ne
fanno quelli? (Distribuisce le carte)
OSTESSA Credo si vogliano lavare i piedi.
SECONDO GIOCATORE Lavarsi i piedi prima
di
mangiare?
Ohi,
sono
proprio
matti!
Mattazzone, tu dovresti andare con loro che quelli
sono i compagnoni, fatti apposta per te.!
MATTO (Nella foga del discorso non si accorge che
i compari velocemente gli sostituiscono le carte)
L’hai detto… hai ragione: mi vinco ‘sta partita e
con i palanchi che mi pagherete vado di là nello
stanzone a bermeli tutti con loro... e voi non venite
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(non potete venire) perché voi non potete stare
con i matti e mattazzoni, che siete figli di puttane e
di ladroni!
PRIMO GIOCATORE Gioca e non perdere
tempo... (gioca) Cavaliere con lo spadone.
SECONDO GIOCATORE Regina col bastone.
MATTO Strega col caprone.
TERZO GIOCATORE Il bambino innocente.
PRlMO GIOCATORE Il Dio onnipotente.
MATTO La giustizia e la ragione.
SECONDO GIOCATORE Il furbo e I’ avvocato.
TERZO GIOCATORE Il boia e l’impiccato.
MATTO Il papa e la papessa.
PRIMO GIOCATORE Il prete che fa la messa.
SECONDO GIOCATORE La vita bella e allegra.
TERZO GIOCATORE La morte bianca e negra.
SECONDO GIOCATORE Di carte non ne hai più:
caro il mio matto, hai già perso.
MATTO Possibile! Ma come ho fatto a perdere?
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PRIMO GIOCATORE Come hai fatto? Non sei
capace di giocare, caro il mio Mattazzone coglione.
Adesso paga, fuori questi soldi!
MATTO M'avete pelato completamente, boia d'un
gobbo... E dire che a pensarci mi sembrava
proprio di averla io questa carta della morte, mi
ricordo che ce l'avevo qui nel mezzo.
Sul fondo appare la Morte: una donna bianca
con gli occhi cerchiati di nero.
SECONDO GIOCATORE Ohi mamma... chi è
quella?
Il matto volta le spalle alla Morte. È intento a
contare i soldi.
TERZO GIOCATORE La strega... La morte!
Fuggono tutti meno il matto.
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MATTO Sí, la morte! Proprio... ce l'avevo io! Oh
che freddo... Dove vi siete cacciati tutti? Ho il
freddo che mi arriva alle ossa. Chiudete quella
porta... (Sbircia appena la Morte) Buon giorno. (tra
sè) È tutto chiuso… da dove viene (arriva) questo
freddo boia? (Vede la Morte: si spaventa) Buon
giorno, buona sera... buona notte, madama, con
permesso. (Si alza per andarsene… ma non sa come
accomiatarsi) Siccome i miei amici sono andati...
(Si rende conto di aver dimenticato i soldi sulla
tavola,
si
blocca
e
torna
indietro)
Cercate
qualcuno? La padrona è di là nello stanzone a
servire in tavola gli apostoli e la bacinella per
lavarsi i piedi… se volete andarci non fate
complimenti. (Tra se) Oh che batto i denti!
MORTE No, vi ringrazio, ma io preferisco
aspettare qui.
MATTO Bene, se vuol sedersi si prenda questa
sedia è ancora calda, l'ho scaldata io! Mi scusi,
signora ma adesso che la guardo più da vicino mi
sembra d'averla già conosciuta un'altra volta.
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MORTE È impossibile, che io sono una che si
conosce una volta sola.
MATTO Ah sí? Una volta sola? E ha una parlata
forestiera, che mi sembra toscana. (La donna
diniega) Non lo è? E ferrarese? Romana?
Trevigiana? Di Sicilia? Nemmeno di Cremona?
Che quelli lí sono i più forestieri di tutti, più
forestieri dei lodigiani, che sono forestieri persino
dentro Lodi! Ad ogni modo, signora, mi permetta
di dirle che la trovo un po' giù di carreggiata, un
po' pallida… dall'ultima volta che non l'ho
conosciuta.
MORTE Dici che sono pallida?
MATTO Sí, non vi offendete, spero?
MORTE No, io sono eternamente stata pallida. Il
pallore è il mio (colore) naturale.
MATTO Pallida naturale? Ah, ecco a chi
assomigliate! Voi assomigliate sputata a questa
figura dipinta sulla carta (prende dal mazzo una
carta e la mostra)!
MORTE Infatti, sono la Morte.
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MATTO La Morte? Ah, siete la Morte, voi? Oh
guarda che combinazione! È la Morte! Bene...
piacere... io sono Mattazzone.
MORTE Ti faccio paura, eh?
MATTO Paura a me? No, io sono matto e lo sanno
tutti, anche nel gioco dei tarocchi, che il matto non
ha paura della Morte. Anzi, al contrario, la va
cercando per far coppia maritata, che insieme
vincono ogni carta, persino quella d'amore!
MORTE Se non hai paura, com'è che ti trema
questa gamba?
MATTO La gamba? È perché questa gamba non è
mia. La mia vera l'ho persa in un campo a
guerreggiare... e allora ne ho presa una di un
capitano che era morto e la sua gamba si muoveva
ancora viva come fosse stata la coda di una
lucertola ammazzata. E dunque gli ho tagliato
questa gamba e me la sono attaccata da solo, con
lo sputo; che, guardate, si capisce bene che non
può essere la mia... e più lunga di una spanna e mi
fa andare zoppo. (Rivolto alla gamba) Ohi! Sta'
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buona (gamba del capitano), che non si deve avere
paura
davanti
a
una
signora
madonna
illustrissima cosí! (Come parlasse ad un cavallo)
Andiamo, appoggia!
MORTE Sei ben gentile a chiamarmi illustrissima
e madonna.
MATTO Oh, non lo faccio per cerimonie,
credetemi, è che per me, lo giuro, voi siete
illustrissima e anche simpatica. E ho piacere che
voi siate venuta a trovarmi, ché voi mi piacete,
tanto che vi voglio pagare da bere, se me lo
permettete!
MORTE Ben volentieri! Hai detto che ti piaccio?
MATTO (Versa del vino nei bicchieri) Certo! Tutto
mi piace di voi, il profumo di crisantemi che avete
addosso… il pallore smorto della faccia… che da
noi si dice: «Donna di carne fina dal colore della
biacca, donna che a far l'amore mai non si stracca
(stanca)».
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MORTE Oh, mi fai diventare vergognosa, matto
che non sei altro, nessuno mi aveva mai fatto
arrossire in questo modo.
MATTO Arrossite perché voi siete donna vergine
e purissima: è vero che parecchi uomini voi avete
abbracciato, ma per una volta sola... ché nessuno
di quelli meritava di venire a dormire stretto a voi,
che nessuno vi porta amore sincero né stima.
MORTE È vero, nessuno mi stima!
MATTO Perché voi siete troppo modesta e non
fate suonare corni, né battere tamburi ad
annunciare la vostra venuta, con tutto che siete
Regina... Regina del mondo! Alla vostra salute,
Regina!
MORTE Salute della Morte? Non indovino se sei
più matto o più poeta.
MATTO Tutti e due, perché ogni poeta è matto, e
viceversa. Bevete, pallidina, che vi darà un po' di
colore questo vino. (Bevono).
MORTE Oh come è buono!
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MATTO E come non potrebbe essere buono? È lo
stesso che sta bevendo il Nazareno, nello stanzone
di là, e quello se ne intende eccome di vino! Gran
conoscitore è!
MORTE Qual è il Nazareno fra quelli?
MATTO Il giovane seduto nel mezzo, quello con
gli occhi grandi e chiari.
MORTE Oh, è un gran bell'uomo, e dolce.
MATTO Sí, è un bell'uomo, ma non vorrete
ingelosirmi? Non mi vorrete fare il dispetto di
lasciarmi solo per andare con loro, ché mi
verrebbe da piangere disperato!
MORTE Mi vuoi lusingare, eh, furbacchione?! (Si
toglie il velo nero, appare con i capelli biondi, il viso
pakkidissimo e gli occhi cerchiati di nero: è
bellissima).
MATTO Io lusingare? Lusingare una dama che
non si lascia mettere in soggezione né da papi, né
da imperatori? Oh! Che bella che sei con questi
capelli, che io volentieri coglierei tutti i fiori della
terra per buttarteli addosso da coprirti tutta sotto
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un gran mucchio, e poi mi butterei anch'io a
cercarti sotto quel mucchio, e ti spoglierei dei
fiori... e di tutto!
MORTE Mi fai venire un gran caldo con queste
parole, caro il mio matto, e mi spiace, ché
volentieri sarei rimasta in tua compagnia e ti avrei
portato con me.
MATTO Non sei venuta per quello? Per portarmi
via con te? Ah! Non sei venuta per me... Ah, ah... E
io che credevo... Oh, è molto ridicolo 'sto fatto!
Bene! Mi fa proprio piacere 'sto scambio, sono
proprio contento... (Ride felice) Ah, ah.
MORTE Ora vedo che tu eri falso e bugiardo e che
fingevi di amarmi per tenermi buona, per paura
della Morte (oppure di dover morire)... che sono
io, quella.
MATTO Non hai capito, pallidina, io sono
contento perché non sei venuta da me per
interesse… non sei rimasta in mia compagnia per
il tuo mestiere di tirarmi-strapparmi fuori
l'ultimo respiro, ma solamente perché io sono
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simpatico a voi, non è vero? Vi sono simpatico io,
pallidina? Ditemi, cosa vi succede? Perché vi
gocciolano fuori le lacrime dagli occhi? Oh, questa
è grossa! La morte che piange! Vi ho fatto offesa
io?
MORTE No, non mi hai offeso, tu… mi hai
addolcito
il
cuore
solamente.
Piango
per
malinconia di quel figlio Gesù (che è) cosí dolce,
che è lui quello che mi tocca portar via a morire.
MATTO Ah, per lui sei venuta? Per il Cristo!
Bene, mi spiace proprio, povero giovane, con la
faccia così da buono che ha. E per quale accidente
lo porterai via? Malattia di stomaco? Di cuore? Di
polmoni?
MORTE Malattia della croce...
MATTO Della croce? Finirà inchiodato? Oh
povero Cristo, che non poteva avere un altro nome
più sventurato. Senti, pallidina fammi un piacere,
lascia che io vada ad avvisarlo che si prepari a
questo supplizio tremendo.
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MORTE È inutile che tu lo avvisi, perché lui lo sa
già… lo sa da quando è nato che domani dovrà
allungarsi sulla croce.
MATTO Lo sa e resta lí tranquillo a raccontarla
su, e sorridere beato coi suoi compagni? Oh, che è
matto anche lui peggio di me!
MORTE L'hai detto... E come non potrebbe essere
matto uno che ama di tanto amore gli uomini,
persino quelli che lo porteranno in croce, persino
Giuda che lo tradirà?
MATTO Ah, sarà Giuda? Quello là che sta in un
angolo della tavola, che gli farà il servizio? L'avrei
scommesso! Con quella faccia da giuda! Aspetta
che vado di là a dargli un paio di schiaffoni a 'sto
malnato e poi gli sputo in un occhio.
MORTE Lascia correre, non vale la pena, ché a
tutti dovresti sputargli negli occhi, ché tutti gli
volteranno le spalle, quando verrà il momento.
MATTO Tutti? Anche il san Pietro?
MORTE Lui per primo e tre volte di seguito. Vieni
non stiamoci a pensare più a loro, vieni a versarmi
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del vino che mi voglio ubriacare, allontanare da
'sta tristezza.
MATTO Hai ragione, è meglio avere la morte
allegra. Dunque: beviamo e scacciamo il magone.
Bella pallidina, vieni che stiamo allegri. Slacciati
questo mantello che voglio vedere queste braccia
sode del color della luna... (La donna esegue) Oh,
come sono belle! E slacciati anche il giubbetto
davanti che voglio vedere e lucidarmi gli occhi con
questi due pomi d'argento che sembrano le stelle
Diane.
MORTE No, ti prego, matto, che io sono signorina
e ragazzina (vergine) e mi vergogno tutta, ché
nessun uomo mi ha mai toccata nuda!
MATTO Ma io non sono un uomo, io sono matto e
la Morte non farà peccato a fare l'amore con un
matto con un folle pazzo come sono io. Non aver
paura, ché io spegnerò tutti i lumi e ne lascerò uno
solo e andremo a ballare (balleremo) dei bei
passetti che ti voglio insegnare e ti voglio far
cantate di sospiri e di lamenti amorosi.
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MANCA PRESENTAZIONE
crocifissione
GIOCO DEL MATTO SOTTO LA CROCE
Dialetto
Quattro uomini che alla cintola tengono infilate
mazze e lunghi chiodi (i crociatori) stanno
accingendosi a crocifiggere Cristo. La croce è già
distesa sul terreno. Sul fondo, dietro ad un
lenzuolo steso, in controluce, vediamo Gesù che,
costretto dai soldati, si spoglia, mentre alcune
donne appartate in un angolo del proscenio,
seguono l’azione. In piedi su uno sgabellotto c’è il
banditore buffo.
BUFFONE Dòne! Ehj dòne inamoràte d'ól Crist,
'gnit a lustràrve i ögi! 'Gnit a vidèl bèlo snùdo
ch'ól se sbiòta, ól vostro ‘moróso... dòi palanchi
par sguardàda, ‘egnìt dòne! Oh che l'è bèlo de
catà! A disìu che a l'éra ól fiòl de Deo: mi am parès
col sébia iguàl a un altér òmo… par tüto
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cumpàgn!... Dòi palànchi dòne par sguardàl! Agh
n'è niùna ch'as vöja tòr 'sto sfizi par dòj palànchi?
(Nessuna reazione da parte delle donne) Bòn, l'è dì
de festa incóe... am vòj ruinàrme... (Rivolgendosi
ad una donna) Végn chi te, ch'at ól fagarò vidè a
gratis... (La donna non si muove) Ohi che
smòrbia... vègn scià!, no' pèrd 'st'ocasión... No' ti è
ti quèla, la Madaléna tanto inamorùsa de lü che,
no' truànd mantìn ni salvièta par sugàrghe i pie, ti
gh'l’ha sügàdi con i tò cavèi? (Non riceve risposta
alcuna) Bòn, pég par vui… che adès, par lége, a
duarèm cuarciàl covèrto in s'ül pecàt... con t'ün
scusarìn c'ól somegiarà a 'na balerìna! (Verso
l’esterno) L'è a l'órdin ól cap di còmichi? Tira sü ól
telün che andarèm a incomenzàre ól spectàcol.
(Viene sollevato il drappo dentro il quale si trova il
Cristo)
Scena prima: ól fiòl de Deo, gran cavajér cónt la
corona ól mónta a cavàlo... un bèl cavalòt de légn
par andà a torneo in giòstra… e par fà che n'ól
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bòrla in tèra... a l'inciodarèm süra la sèla... man e
pie ! (Cristo viene disteso sulla croce)
CAPO DEI CROCIATORI Móchela de fà ól
pajàso e 'ègn chì a dagh 'na man... Tachéghe 'na
corda ai polsi, vün par part, c'ól se slónga de
polìto... ma laséme sgumbràt le palme, ch'as pòda
‘filzàrghe i ciòdi. Mi agh picarò in quèsta de drita,
e...
PRIMO CROCIATORE
E mi in 'st' óltra.
Butéme un ciòdo lóngo, che ól martèl a gh'l'ho del
mè. Ohi che ciodàsc! A scumetì che in sète
martelàde ól pichi déntar tüto?
PRIMO CROCIATORE E mi ól fagarò in sése, at
vòj scumèt?
CAPO CROCIATORE D'acòrdi. Forsa, slarghìve
vui dòi che agh mètum le ale a 'st'angiulòto, ch'al
gh'àbia a volàr 'me l'Icaro in d'ól ziél.
Trajèm inséma... Insémbia ho dit!... A m'lo
stravachì! Pian c'ól dév restà in d'ól mèz d'la sèla
ól cavajér... Un poch pusé a mi... bòn, agh són al
ségn... impròpi in d'ól beugio!
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SECONDO CROCIATORE Mi no' agh són miga,
hàit fàit i beugi tròp destànti... rüsa ti... forsa! T'è
magnà la furmagèla a 'sto mesdì? Sfòrsa!
PRIMO CROCIATORE Sì, sfòrza, va a fornì che
agh s’ciuncarèm i ligadüri de le spale e d'li
gùmbet.
TERZO CROCIATORE Ti no' te casciàre, che no'
è miga tòe le ligadüre! Rüsa! Eh eh, sforsa!
Gemito di Gesú sottolineato dal contrappunto
lamentoso delle donne.
PRIMO CROCIATORE Ohj, hàit sentìt ól s’cèpp?
SECONDO CROCIATORE Sì, no' l'è stàit bèl... a
l'è un s’ciòcch col mé fa sgrignì i òsi... de contra, ól
s'è giüsta slongàd de misüra: adès agh sónt ancmì
sóra al beugio.
CAPO CROCIATORE Bòn, (rivolgendosi ad altri
soldati) vui tegnìt in tir la corda… e ti valza ól
martèl che a partìsum insèmbia.
SECONDO CROCIATORE Stagh aténto a no’
picàrte i didi!
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Sghignazzata generale.
PRIMO CROCIATORE (a Cristo) Slarga 'sto
sciampìn che no' te fagh galìtigo, at següri!… Oh ti
varda ‘sta man, come la gh'ha impruntàt ól rigo de
la vita!... A l'è un ségn tant lóngo che ól parèse che
a gh'ha ól destìn de campàr ancmò sinquant'àni
almànco, 'sto cavajér! Vagh a créderghe a le
bàgole de 'e stròlighe, a ti!
SECONDO CROCIATORE Stòpa '‘sta léngua e
valza ól martèl!
PRIMO CROCIATORE Son prunt a mi!
CAPO
CROCIATORE
Dàighe
alóra...
(Dà
l’ordine alzando la voce) Dàighee dól prém bòt...
(Tonfo) Ohioa ahh!
Urlo di Cristo
BUFFONE Ghe ha sbüsà i palmi!
CAPO
DEI
CROCIATORI
(a
contrappunto
dell'urlo di Cristo) Ohoo, ól trémba da par tüto. Stì
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calmi! (Impartendo l’ordine) Dàghee d'ól segùnd
bòt!
Ohaoioaohh! A slargà i osi!
Ohoh… agh spüda ól sangu a gnòchi.
Dàighe ól terzo bòto!
Ohahiohoh!
'Sto ciòd t'ha sverzenàt.
Ohoh… che e dòne no' ti gh'ha gìmai sforzàt.
El quarto bòto t'ól regala i soldàt!
Ohahiohoh!
Che ti gh'hàit dit de no' masàre!
Ohahiohoh!
E i nemìsi 'me fradèli i dovarìa amare.
Ól quinto t'ól manda i vescovi d'la senagòga!
Ohahiohoh!
Che ti gh'hàit dit che i sónt falzi e malarbèti!
Ohahiohoh!
Che i tòi vescovi i sarà tüti ümili e povarèti.
Ól sesto l'è ól regalo de i segnóri!
Ohahiohoh!
Che ti gh'hàit dit che i no' anderàn in ziélo!
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Ohahiohoh!
E ti gh'hàit fàit l'exémplo del camèlo.
Ól sètemo t'ól pica i'mpostóri!
Ohahiohoh!,
che ti gh'hàit dit che n'ól cùnta nagót se i préga!
Oohahiohoh!,
che i è bòni a fregàr mincióni in tèra ma ól Segnór,
quèl no'l sé fréga.
PRIMO CROCIATORE
Hàit venciüd mè! At
duarét pagàm de bévar, recórdes.
BUFFONE
Agh bevarémo a la santità do 'sto
cavajér e a la sòa sfortuna! (Al Cristo) Come av
trouvìt, majstà? Av sentìt bén saldo in d'i mani,
‘sto destrér? Bòn, alóra adèso andarémo in
giòstra, sanza lanza e sanza scudo!
CAPO DEI CROCIATORI
Gh'hàit slazàde le
corde dai pólzi? Bravi i mè baroni... strenzéghe
ben saràda ‘sta corèza (i crociatori avvolgono il
petto di Cristo affrancandolo torno-torno alla croce)
intórna a e spale, che nol débia borlàghe adòso in
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d'ól tirarlo in pie, 'sto campión! Daspò, 'na volta
inciodàd i pìe a gh'la caverém...
SECONDO CROCIATORE 'Gnì chi tüti... spuéve
in ti mani che a gh'èm de 'ndrisàr l'àrbor de la
cucàgna! Viàltri 'gnì inànze co' e corde e féle pasàr
de soravìa a la travèrsa de trànzet... Végn scià
anca ti, Matazón: mónta in co' a la scala, prónt a
tegnìl.
MATTO Me dispiàse ma mi no' pòdi aidàrve: che
n'ól me gh'ha fàit nagòt a mi, quèlo...
SECONDO CROCIATORE
O baléngo!, ma
nemànco a noàltri ól ne gh'ha fàit nagót: a l'èm
giüsta incrusàt par pasatém! (Ride sgangherato)
Ah ah... e gh'han dàit de giùnta diése palànche a
testa par ól destùrbo! Dài, daghe üna man che
après at fèm l'onür de giugàrghe 'na partìda a
dadi cun ti...
MATTO Ah bòn… se a l'è par 'na partìda no' me
tiri minga indré! Sónt già su la scala, varda... a
podì scomenzà!
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CAPO CROCIATORE Brao! Sèm a l'órden tüti?
'Ndém alóra, rüzèm insèmbia… me aricomàndi,
un strèp lóngo a la volta. Av dagh ól témp:
Ohj izarémo
ehiee
'sto penón de nave
ohoho
par fagh de drapo
ohoho
gh'èm tacàd un mato.
ohoho
Ohj izarémo
ehiee
'sto palón de festa
ohoho
cucàgna gròsa
ohoho
Gesú Cristo in còfa.
ohoho
Ohi che cucàgna!
ahaa
che la sbüsa ól ziélo
ohoho
agh piove sangu…
ohoho
Patre nostro ól plange.
ohoho
‘Legrìve, ‘legrìve!
ehee
ch'èm trovàt chèlo bravo
ohoho
c'ól s'è fàit s’ciàvo
ohoho
par vestìrghe da nòvo.
ohoho
(Alla maniera dei cavallanti) Loeu… a l'è asè! (La
croce è stata issata) Mé par che ól stévia ben
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franco. Bòn... (al Matto) alóra, tra' feura i dadi che
fèm ‘sta ziogàda.
I giocatori mimano velocemente di giocare varie e
concitate partite ai dadi e ai tarocchi: il Matto
vince la tunica di Cristo, le paghe dei "crociatori".
MATTO Oh, se vorsìt tüti indré i vòst palànchi,
mi a ve i lasi de voluntéra… cumprés la culàna, i
uregìt, l'anèlo... e varda… agh tachi ancmò quèst.
PRIMO CROCIATORE E par tüta 'sta ròba cus
te vorarèset in scàmbi?
MATTO Quèl là... (indica il Cristo).
SECONDO CROCIATORE Ól Cristo?!
MATTO Sì, veuri che m'ól lasì stacàl via de la
cròse.
CAPO DEI CROCIATORI Bòn: pècia c'ól meura
e a l'è tò...
MATTO No, mi ól veuri adès che l'è ancmò vivo.
PRIMO CROCIATORE Oh mat de tüti i mati...
at vorèste che de contra a gh'àbiüm de sfurnì
inciodàt tüti nünch e quatàr al so' rempiàz?
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MATTO
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No, no' avérghe pagüra, che no' av
capitarà nagòta a vui: abastarà che agh pìcum su
un'ólter al so' pòst… vün de la sua tàja, e at
vedarèt che no' s'incorgerà niùn d'ól scambi... che
intanto su la cròse a se insomègen tüti.
PRIMO CROCIATORE
Quèst l'è anco vera...
inscurtegàt in 'sta manéra peu, che ól par un pèss
in gratiróla...
CAPO DEI CROCIATORI Ól sarà vera, ma mi
no' ghe stago. E peu, chi ti gh'avarìat in mént de
tacàghe d'ól rempiàz?
MATTO Ól Giuda !
CAPO DEI CROCIATORI Ól Giuda? Quèl...
MATTO Sì, quèl so' apòstul traditùr che ól s'è
impicàt pendùt per disperaziün al figo de drio a la
sces, sinquànta pas de chi.
CAPO DEI CROCIATORI
Meuves, de corsa,
andém a sbiutàl che ól gh'avarà ancmò in sacòcia i
trenta denari d'ól servìsi...
MATTO No, no' stit a disturbàv... che intànt quèi
i ha bütàd via de sübet in mèz a un rosc de spin.
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CAPO DEI CROCIATORI Me fàit a savèl ti?
MATTO Ól sago, imparchè i gh'ho catàt mi quei
dinari, vün par vün. Vardì chì che brasi sgurbiàt
che am sunt cunsciàt...
CAPO DEI CROCIATORI
No' m' interèsa i
brazi... faghe vedè 'sti dinàri. (Matazzone mostra i
denari) Ohi, ohi, e tüti d'arzénti... va' beli... me i
pésa, e i sòna...
MATTO Bòn, tegnìvei, i è i vòster anca quèli, se
'gnit d'acòrdi d'ól scambi. Par mi... mi agh sont
d'acòrdi.
CAPO DEI CROCIATORI Anca nujàrtri...
MATTO Bòn, alóra andìt de prèscia a tòrve ól
Giuda impicàt pendüt, che mi agh pénsi a tirà de
baso ól Crist...
PRIMO CROCIATORE E se arìva ól zenturión e
at cata in d'ól scrusaménto?
MATTO Agh dirò che a l'è stat una penzàda de
mi... che peu sont un mato… e che vui non gh'avét
colpa niùna. Ma no' stit chì a pèrd ól tempo,
andìt...
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CAPO DEI CROCIATORI Sì, sì... andèm… e a
sperém che no' ghe pòrten rogna, 'sti trenta dinàri.
(I soldati escono di scena).
MATTO
Bòn, a l'è fada. Ohi, me par gnanca
vera: sunt inscì cunténto... Gesú, tégn dur, che a l'è
'rivàd ól salvamént... töi e tenàie... ècoe. Ti no’
l'avarèset gimài dit, ah Gesú, che ól sarèse 'gnüd a
salvàrte impròpri un mato... ah ah... 'pècia che
imprima at ligarò con 'sta coréza, agh fagarò in un
mumènt... no' èghe pagüra che no’ te fagarò mal…
at fagarò 'gnir giò dolze 'me ‘na sposa e peu at
cargarò in le spale, che a mi a sont fort 'me un
beu... e via de vulàda! At porterò giò al fiüm, che lì
a gh'ho un barchèt, e cont quàter palàdi ól
travèrsum ól fium... E prima che végna ciàro as
truerèm bèli 'mé ól sol, a ca’ d'un mè amiso
stregón c'ól te medegarà e at fagarà guarì in trì
dìe. (Pausa) No' ti veuret? No' ti veuret ól
stregón...?
Bòn,
andarèm
da
ól
médego
onguentàri, co a l'è un mè amigo fidàt anca quèlo,
de mi. Ne manco quèlo? Se te veuret alóra?
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(Pausa) Nagót... no' at veuret miga che at stciòdi?
Ho capìt... at gh'hàit la convinziùn che con 'sti
beuci in di mani e in di pìe, tut instcincà 'n di
ligadür 'me t'han cunsciàt, no' ti serà pì capàz de
andà intórna, ni de imbucàt de par sòl. No' ti vol
star al mùndo a dipènd da i olter 'mé un
disgraziàd? Gh'ho indovinàt?… No' l'è nemànco
par quèlo? O sacrabiòt... e par qual razón dònca!
(Pausa) P'ól sacrifizi? Se te dìset cos'è? Ól
salvamento? La redenziün... cos te strapàrlet cosa?
O poveràz!... Asfìdo mi... at gh'hàit la féver... sent
'me te büjet... Bòn, ma adès at tiri giò, at quarci
bén con la tònega... chì, perdónam se am permèti,
ma at sèt un bèl testón... a vores miga es sarvàt? At
veuret propri murìr su 'ste trave? (Pausa) Sì...?
Par ól salvamént di òmeni... Oh, quèsta a l'è de no'
crédarghe!... E peu a i dìsen che ól mato a son mi...
ma ti am bati de mila pértighe a vantàgio, caro ól
mè fiòl Gesú! E mi che a sont stàit a scanàm a
ziogàr a e carte tüta la nòte par peu avérghe 'sta
gran bèla satisfazión! Ma sacragnón, ti at sèt ól fiòl
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de Deo, no? Mi al cognósci bén, fam la corezión se
a sgaro: bén, dònca, d'ól mumènt che ti è Deo, t'ól
savarèt bén ól resultàt che ól gavarà daspò 'sto to’
sacrifìzi de crepare incrusàt... Mi no' son deo e
nemànco profeta: ma m'l'han cuntàd la smortìna
'sta nòte, in fra i làgreme, 'mé ól 'gnirà a furnì. In
prima at fagaràno 'gnir tüto induràt, tüto d'oro,
dal có fino ai pìe… daspò 'sti ciòdi de fèro i t'ei
fagaràno tüti d'arzénto, i làgrem egnaràno tochèti
sluzénti de diamante… ól sangu che at góta de
partüto ól stciambieràno cont una sfilza de rubini
sbarluscénti, e tüto quèst a ti, che t'hàit sgulàt a
parlàg d'la povertà. De giunta 'sta tua croze
dulurüsa e la picheràn in dapartüto: sóra ai scudi,
su e bandére de guèra... su e spade a copàr zénte,
'me i fudès vidèli... a copàre parfìn in d'ól nome de
ti... ti, che t'hàit criàt che a sémo tüti fradèli, che a
no' se deve masare. Ti gh'hàit üt un Giuda
giamò… Bòn, ti n'agarà tanti 'me furmìghe de
Giuda a traìrte e a duvràrte par impagnutà i
cojóni! Dam a tra'... no’ val la pena... (Pausa) Eh?
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No' saràn tüti traiùri? Bòn, fam inquàlche nom:
Franzèsco ól beàt... e peu ól Nicola... san Michel
tàja mantèl... Domenich... Catarina e Clara... e
peu... d'acordo… metémeg anca quèsti: ma i saran
sémper quàter gatt in cunfrùnta al nùmer di
malnàt... e anco quei quàter gatt i se trovaràn
‘n'altra veulta compagni che i t'han fàit a ti, dòpo
che i gh'avaràn schischiàdi de vivi. (Pausa) Ripèt,
scusa, che quèsta no' la gh'ho capìda... Anca se an
fudèse vün zol... si anca un òmo dumà in tüta la
tèra dégn d'ès salvàd imparchè ól è un giusto, ól
to’ sacrifìzi n'ól sarà stàito fàit par nagòt... Oh no:
no, alóra no’ gh'è pü speranza… at sèt impròpi ól
cap di mat... at sèt un manicòmi intrégo! La zola
veulta che ti mè gh'ha piazüdo, Jesus, l'è stàit la
veulta che sèt ‘rivàt in gésa che i fasévan mercàt e
t'è scomenzà a sfruntà tüti col bastùn. Ohi che bèl
véd... quèl l'éra ól to’ mestè... Miga ól crepà in
cróse par ól salvaménto! Oh Segnor Segnor... am
vegn de piàng... a no’ créderghe, a piàngi
d'inrabìt...
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Rientrano i soldati
CAPO DEI CROCIATORI
Ohi Matazón,
disgraziàt! No’ tl'hàit ancmò tirà a baso a quèl?
S't'hàit fàit cos'è infìna adèso, a t'hàit dormìt?
MATTO
No che no' gh'ho dormìt... gh'ho üt
dumà un ripenzamént... A no' vojo stciodàrlo plü
'sto Cristo... a l'è mejór ch'ól resta in cróse.
CAPO DEI CROCIATORI Oh bravo… e magàra
adèso at vorarèste indrìo tüta la cavàgna di ori e di
dinàri... ohi che furbaso! Ti gh'ha mandàdi a fare i
fachìni a torte 'sto Giuda impicàt sojaménte par
farte 'na ridàda? No, caro Matazón! Se ti voi
indrìo la tóa ròba, at la duarèt vénzer de nòvo a i
taròchi! Justa... a 'sta zola condizión.
MATTO No, mi no’ gh'ho vója de ziogàr. Tegnéve
'mpùre
tüto... dinàri, ori, oregìni, che mi no'
ziogarò gimài plü in 'sta vita... Ho vinzùt par la
préma veulta 'sta nòte, e me gh'ha bastàt... (Parla
tra se) Anco par un òmo zol col sébia degno ól val
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la pena de morir in cróze! O se l'è mato... l'è mato
ól fiòl de Deo! (Al Cristo) Picà, picà tüti, l'éra ól to’
mestè, tüti quèi che fan mercàt in gésa: làder,
balòs, impustùr e furbacióni!
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TRADUZIONE
TRADUZIONE stampata controllare
“CROCIFISSIONE” O IL MATTO SOTTO LA
CROCE
Quattro uomini che alla cintola tengono infilate
mazze e lunghi chiodi (i crociatori) stanno
accingendosi a crocifiggere Cristo. La croce è già
distesa sul terreno. Sul fondo, dietro ad un
lenzuolo steso, in controluce, vediamo Gesù che,
costretto dai soldati, si spoglia, mentre alcune
donne appartate in un angolo del proscenio,
seguono l’azione. In piedi su uno sgabellotto c’è il
banditore buffo.
MATTO Donne! Ehi, donne innamorate di Cristo,
venite a lustrarvi gli occhi... venite a vederlo bello
nudo che si spoglia, il vostro innamorato... due
palanche per occhiata, venite donne! Oh, che è
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bello da comprare! Dicevano che era il figlio di
Dio: a me sembra che sia uguale a un altro uomo...
ugual dappertutto!... Due palànche donne per
guardarlo! Non c'è nessuna che ha voglia di
togliersi ‘sto sfizio per due palanche? (Nessuna
reazione da parte delle donne) Bene, è giorno di
festa oggi... mi voglio rovinare... (Rivolgendosi ad
una donna) Vieni qui tu, che te lo farò vedere
gratis... (La donna non si muove) Ohi, che
smorfiosa...
Vieni
qua!,
non
perdere
‘st’occasione... Non sei tu quella, la Maddalena
tanto innamorata di lui che, non trovando né
tovagliolo né salvietta per asciugargli i piedi, glieli
hai asciugati con i tuoi capelli? (Non riceve risposta
alcuna)
Bene, peggio per voi... che adesso, per legge,
dovremo
coprirlo
sul
peccato...
con
un
grembiulino, che assomiglierà a una ballerina!
(Verso l’esterno) É pronto il capo dei comici?
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Tira su il telone (inteso come un lenzuolo) che
andremo ad incominciare lo spettacolo! (Viene
sollevato il drappo dentro il quale si trova il Cristo)
Scena prima: il figlio di Dio, gran cavaliere con la
corona, monta a cavallo... un bèl cavallone di
legno, per andare a torneare in giostra... e per fare
che non cada a terra… l'inchioderemo sopra la
sella... mani e piedi! (Cristo viene disteso sulla
croce)
CAPO DEI CROCIATORI
Smettila di fare il
pagliaccio e vieni qui a darci una mano...
Attaccategli una corda ai polsi, una per parte,
cossì
si
allunga
per
bene...
ma
lasciatemi
sgombere-libere i palmi, che si possa infilzargli i
chiodi. Io picchierò su questa di destra, e...
PRIMO CROCIATORE
E io in quest'altra.
Buttatemi un chiodo lungo, che il martello ce l'ho
di mio. Oh che chiodaccio! Scommettete che in
sette martellate lo picchio dentro tutto?
PRIMO CROCIATORE E io ce la farò in sei, vuoi
scommettere?
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CAPO
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CROCIATORE
D'accordo.
Forza,
allargatevi voi due che gli mettiamo le ali a questo
angiolotto (cossì) che possa volare come Icaro nel
cielo.
Tiriamo insieme... Insieme, ho detto!... Me lo
rovesciate! Piano che deve restare in mezzo della
sella il cavaliere... Un po' di più verso me... bene,
sono sul segno... proprio nel buco.
SECONDO CROCIATORE Io non ci sono mica,
hai fatto i buchi troppo distanti... tira tu... forza!
Hai mangiato il formaggio a mezzogiorno? Forza!
PRIMO CROCIATORE Sì, forza… va a finire
che gli spezzeremo i legamenti delle spalle e dei
gomiti.
TERZO CROCIATORE Non ti preoccupare, non
sono mica i tuoi legamenti. Tira! Eh eh, forza!
Gemito di Gesù sottolineato dal contrappunto
lamentoso delle donne.
PRIMO CROCIATORE
schianto?
Ohi, avete sentito lo
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SECONDO CROCIATORE Sì, non è stato bello...
è stato uno schiocco che mi fa scricchiolare le
ossa... di contro, si è giusto allungato di misura:
adesso ci sono anch'io sopra il buco.
CAPO CROCIATORE Bene, (rivolgendosi ad altri
soldati) voi tenete in tiro la corda… e tu alza il
martello che partiamo insieme.
SECONDO CROCIATORE
Stai attento a non
picchiarti le dita!
Sghignazzata generale.
PRIMO CROCIATORE (a Cristo) Allarga questa
zampetta che non ti faccio il solletico, te
l'assicuro!... Oh tu guarda ‘sta mano, come ha
segnata- evidenziata la linea della vita!... É un
segno tanto lungo che sembrerebbe abbia il destino
di campare ancora cinquant'anni almeno, ‘sto
cavaliere! Vai a credere alle bagole-storie delle
streghe, tu!
SECONDO CROCIATORE Stoppa ‘sta lingua e
alza il martello.
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PRIMO CROCIATORE Sono pronto io!
CAPO CROCIATORE Dagli allora... (Dà l’ordine
alzando la voce) Dà il primo botto...
(Tonfo) Ohioa ahh!
Urlo di Cristo
BUFFONE Gli ha bucato i palmi!
CAPO DEI CROCIATORI
(a contrappunto
dell'urlo di Cristo) Ohoo, trema dappertutto. State
calmi! (Impartendo l’ordine) Vai col secondo botto!
Ohaoioaohh! Ad allargare le ossa!
Ohoh... sputa il sangue a gnocchi.
Dagli il terzo botto!
Ohahiohoh!
‘Sto chiodo ti ha sverginato.
Ohoh... che le donne non ti hanno mai forzato.
Il quarto botto te lo regalano i soldati!
Ohahiohoh!
Che tu hai detto di non ammazzare!
Ohahiohoh!
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E i nemici come fratelli si dovrebbero amare.
Il quinto te lo mandato i vescovi della sinagoga!
Ohahiohoh!
Che tu hai detto che sono falsi e maledetti!
Ohahiohoh!
Che i tuoi vescovi saranno tutti umili e poveretti.
Il sesto è il regalo dei signori!
Ohahiohoh!
Che tu hai detto che non andranno in cielo!
Ohahiohoh!
E tu hai fatto l’esempio del cammello.
Il settimo te lo picchiano gli impostori!
Ohahiohoh!,
che tu hai detto che non conta (non vale a) niente
se pregano!
Ohahiohoh!,
che sono buoni a fregare i minchioni in terra ma il
Signore quello non si frega.
PRIMO CROCIATORE
Ho vinto io! Dovrai
pagarmi da bere, ricordatelo.
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BUFFONE Berremo alla santità-salute di questo
cavaliere e alla sua sfortuna! (Al Cristo) Come vi
trovate, maestà? Ve lo sentite ben saldo nelle mani,
‘sto destriero? Bene, allora adesso andremo in
giostra, senza lancia e senza scudo!
CAPO DEI CROCIATORI
Avete slacciato la
corda dai polsi? Bravi i miei baroni... stringete ben
serrata-chiusa
questa
cinghia
(i
crociatori
avvolgono il petto di Cristo affrancandolo tornotorno alla croce) attorno alle spalle, che non debba
caderci addosso nel tirarlo in piedi, ‘sto campione!
Appresso, una volta inchiodati i piedi gliela
toglieremo...
SECONDO CROCIATORE
Venite tutti qui...
sputatevi sulle mani che dobbiamo raddrizzare
l'albero della cuccagna! Voi venite avanti con le
corde e fatele passare sopra l'asse trasversale...
vieni qui anche tu, Matazone: monta in cima alla
scala, pronto a tenerlo.
MATTO Mi dispiace ma io non posso aiutarvi:
non mi ha fatto niente, quello...
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SECONDO CROCIATORE
O balengo!, ma
nemmeno a noialtri non ha fatto niente: l'abbiamo
giusto
crocifisso
per
passatempo!
(Ride
sgangherato) Ah ah... e ci hanno dato per di piú
dieci palanche a testa per il disturbo! Dài, dacci
una mano, che dopo ti faremo l'onore di giocare
una partita a dadi con te...
MATTO A bene, se è per una partita non mi tiro
indietro! Sono già sulla scala, guarda... potete
incominciare!
CAPO CROCIATORE
Bravo! Siamo a posto
tutti? Andiamo allora.... Tiriamo insieme... mi
raccomando, uno strappo lungo alla volta. Vi do il
tempo.
Ohi isseremo
Ehiee
‘sto pennone di nave
ohoho
per far da drappo-bandiera
ohoho
gli abbiamo attaccato un matto.
ohoho
Ohi isseremo
Ehiee
‘sto palo da festa
ohoho
cuccagna grossa
ohoho
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Gesú Cristo in coffa.
ohoho
Ohi che cuccagna
Ahaaa
che buca il cielo
ohoho
ci piove sangue...
ohoho
Il Padre nostro piange.
ohoho
Rallegratevi, rallegratevi!
Oheee
che abbiamo trovato quello bravo
ohoho
che si è fatto schiavo
ohoho
per vestirci di nuovo.
ohoho
(Alla maniera dei cavallanti) Loeu... è abbastanza!
(La croce è stata issata) Mi pare che sia ben saldo.
Bene... (al Matto) allora, tira fuori i dadi che
facciamo ‘sta giocata.
MANCA LA PARTE CHE CONTINUA
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MATTO SOTTO LA CROCE A MONOLOGO
questa presentazione va cambiata perché è la
sintesi del brano prededente
A seguire abbiamo la giullarata del gioco sotto la
croce condotto dal Matto che ritorna protagonista
assoluto. In questa versione ci ritroviamo di nuovo
con una scrittura che prevede la presenza di un
solo giullare che interpreta tutti i ruoli del
dramma, dal gruppo dei crociati al Matto stesso e
perfino di Cristo.
Per la giullarata della gran partita si ritorna
all’uso del doppio o persona.
Sulla croce c’è il Cristo inchiodato ma si tratta di
una statua linea policroma disarticolata, identica a
quelle impiegate nei misteri toscani ed umbri dal X
al XIII secolo e dei quali esistono ancora splendidi
esemplari.
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MATTO
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(il giullare nei panni del Matto sta
accovacciato e mima di battere
le carte su una
tavola) Rèi, cóppe, bagàtt, fémena sul cavàl! Gh’ho
perdü! (Fa il gesto di raccogliere altre carte
distrubuite da uno dei giocatori) Carètto, dòi
fradèli, sinco de bastón e sèro co’ l’imperadór. Ho
perdü ‘n’altra volta. Pago, pago, cata i to’ dané...
tégne! No’ gh’ho vinciù nagóta. (Mima di levarsi in
piedi e di spostarsi verso destro dove sta il crocifisso
col Cristo-persona. Rivolto ai compagni di gioco)
Scusé... no, no, ste’ lì... specième... végni indré
sübit! (Leva lo sguardo in alto come parlasse a Gesù
sulla croce) Jesus perdona se végno a zo’ a
sulzegàrte i cojón... Ól sàbie bén che no’ è bòna
creanza de ‘egnìr a sgrapignàr i beati cojómbari a
ün che gh’ha già de sòe rógne in sü la cróse,
inciudàt per giónta! Ma mi végne a dimandàrte un
plasér che ti mé dovrèssi fare: Jesus mi sont ün che
gh’ha gimài guadagnàt a un ziògo, gh’ho mai
vinciüt ‘na fiàta... che in sempitèrna mé són
scontrà co’ ‘sti malnati trufadór che sfolzìna al
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ziògo ‘me mercanti de patàche de piombo doràt.
Come se impastrùcca coi carti, t’ol set... tòi védet,
tòi védet ti... (lo richiama perché il Cristo guarda da
un’altra parte) Jesus son chi... in dóa te vàrdet? (Il
Cristo volge con fatica ilcapo verso di lui. È risaputo
che tutte le statue sceniche hanno la possibilità di
essere agite per mezzo di fili che vengono azionati
dalle quinte o dal soppalco. Con tono e gesti di
supplica) Jesus, féite bòn, séa zentìl co’ mi, dame el
meravegióso plasér de farme vìnzer ‘na volta
almànco. (Batte leggermente sul palo come ad
incitare Cristo) Jesus fa’ un segno! Oh sì, d’acòrdo,
co’ le man inciodàe l’è un po’ difìzil... (cambia
tono) Cu l’ögio, schìscia l’ögio! A te l’è schisciàt?
Ma belèssa mia! A vegnarìa sü a ‘mabrasàrte,
varda! De bòn té mé fèt vìnzer eh... no’ farme
schèrso, va ca té blasfémi... Testimòni to’ Pare che
te me l’hai dito! Varda che sarìa pròpri ‘na
carugnàda de v’es su la cróse e farme ün schèrso
prima de crepàr... A sarìa ün schèrso da prèvete!
Ah, bon... a vago a ziogàr Jesus. (Come parlando
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agli altri giocatori) Atensiùn... torno al giògo! Féve
in là! (Poi, in gramelot, riprende come all’inizio a
indicare velocissimo il segno di ogni carta che va
gettando sul tavolo) El fante co’ la mata, el cavàlo
sü la rejna: l’è mè! (Fa il gesto di raccogliere la
vincita) Ti la lüna, lü la papèssa, mi el demòni: l’è
mè! (Rivolto a Cristo) Orco Jesus che fòrsa che té
sèt! (Riprende il gioco) Recumìncium. Rèj de
bastón, vérzen co cavrón, tremamòto col testón: l’è
mè! (Sempre rivolto a Gesù) Esageràt! Sinque de
fila! (Agli altri giocatori) A giughìt pü? A ghit pü
de denàr?... Ve li dò mi i danàr. A ghe li ho chi de
arzénto, tégne, tégne, tégne! (Fa il gesto di gettare
le monete sulla tavola) L’è arzénto! No’ li gh’ho
rubàt. I éra del Ziùda che li gh’ha bütàt in di rovi,
son ‘ndait a sgarbelàrme dapartüto per catài.
Tegnì, tegnì voiàltri che tanto el Ziùda l’è là
impicào in funda. Gh’ho anco un uregìt de la
Madòna, che l’ho ‘grafignàt ma lée l’è cunténta, u
l’è bòna, santa... no’ è pecàt. Tégne, tégne tüto...
(finge l’ascolto) Par contro de cossa? Fasémo uno
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s’ciàmbio. Vui me darìt quèlo (indica il Cristo), el
permèso de tirarlo ziò e purtàrlo via cunt mi. Sì,
Jesus Cristo! Par mi! No, no’ de mort, al mort ól
tégnet ti. Ancora vivo ól vòj!, come l’è adèss... col
respira! Ah! Ah! Te me lo sàsset? No’ gh’hai
pagüra! Ól so ben che se ‘riva ól centurión e ól
descòvre la cróse vòda ól ve impatàca v’ün per
v’ün, ün ciòdo de chi, ün ciòdo de là, un pie sü
l’óltro (mima di dare martellate) pam!, pam! Sàvio,
sàvio... ma mi ve fago propòsta de no’ svoiàrla la
crose, de mèterghene un altro in replàs... ól Giuda
par exémpli! Andì a tórlo col è sül figo impicàt,
andì a torlo... ól porté, lo impataché chi lòga coi
bei quatro ciudàssi... che tanto nesciùno ól se ne
incòrge de lo s’ciàmbio, son tüti iguàl sü la cróse,
tüti poveri cristi i divégne. A ghe stit? Ben fàito!
Vaj vaj... No, al Cristo ghe pénsi mi, ól Cristo ól
tiri giò mi solo, vàj tranquìl col tégno, me cato ‘sta
scala (mima di prendere la scala e di appoggiarla
alla croce. Il giullare può anche servirsi di una scala
agibile che andrà ad appoggiare sul braccio della
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croce)… Jesus, tira in là un po’ ól brascìn che no’
vorarìa schisciàrtelo. Èco cussì, adèso végno (mima
di montare per i piolo, riprendendo felice)... Ah,
aha... Jesus... No’ te l’avrìa gimài pensàt che sarìa
stàito un mato a tiràt giò da la cróse, a salvarte. Ti
te végnet a salvare i òmeni e un mato ól salva ti!
Ah, ah, ah! Che schèrso che ghé fémo. Arìvo. No’
aver pagüra che mo’ te tiro giò come una bèla
spusòta dólza e cara... te càrego su le spale, pö’ at
pòrto cont un barchèt co’ gh’ha al fiume fino a
l’oltra parte de la riviéra.
Quando che sémp
rivàiti dolze ól sarà... chè là, gh’è un stregón amiso
de mi co’ gh’ha un unguénto, üno spagnàsso oleóso
che come té lo spantéga dapartüto ti: gnamm!, té
anderà via curéndo ‘me ‘na légura. Tranquilo
Jesus! (Il Cristo ligneo si agita) Cos’hai co’ ‘sti
trémbi? To’ ghè la febre, perchè te fai co’ la testa
de no? No’ ti voi?!… No’ te voi che té distàchi da
chi lòga? Par che rasòn?… Par plasér repèt, no’
hai capìt!… Par ól sacrifìssio?… (Il brano che
segue viene recitato a ritmo sostenuto) Parchè t’set
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vegnü par morire su la cróse... par ól sacrifìzio,
par ól salvamento dei òmeni dal pecàt e
in
s’ciàmbio ti dèi crepàr inciudàt?! Oh, oh, oh... E ti
diset ch’el mato son mè? Mato t’set te, bòja! Té e
tòta la toa famègia… a comenzàr del Deo Patre en
persona! E l’üselón! Rasa de mati!
Ah bela
truvàita quèsta del sacrifìssio devìno! At set cossa
faran i prèveti de ‘sto tò martirio santo? Tüto
d’arzénto i te pitürerà a mascaràr la tòa carna che
se marzìsse… i te farà i gòte de sànguo coi
rubini… tüti d’oro… e le tàvule de legno de ‘sta
toa cróse le saràn imprezióse, imparfümàde e la
andràn intorno a portar de manéra che tüti i vilàn,
pizzòc, mortificàt, in genögio i se büterà, schisciàdi
de la devosiòn ai pie de la cróse e dei prèveti che la
mostra in processiòn: “Vardé col s’è sacrificào par
vui! En ginögio sacrifiché anca vui! In ginögio
pelandróni!”.
A ‘stà manéra i combinerà ól gran spetàcolo del
to’ patiménto. Bòn salvaménto che te fàit! Slargàt
come ‘n üsèl té impatacheràn anca sóra li scudi e
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targhe de guèra… e anco su le bandére ghe sarà
pituràt la toa cróse te ingrisciao (Il brano che segue
viene recitato a ritmo sostenuto), e te ól sarai su le
spade a copàre, a strasàre, in nome de Deo e
sbusegà le done, i òmini e infanti tüti! Sgrosà e
scanà in nóm del to’ segno! Bèla trufaldeìa i
combenerà col sacrifìssio tòo!… Còssa? Repéte: no
te importa che faga profìto de la tua passìon…
basta che ghe sébia un òmo solo, ciàro e beato che
racoìsse el tòo ensegnaménto e ne faga santa
rasòn?
E qual sarèse ‘sti santi omèni digni? Féme quarche
nóm! (Fa immaginare di ripetere l’elenco detto da
Cristo) Franzèsco, bòn, Benedècto, sì, Nigola…
d’acòrdi! E aprèso d’avérghe sopportà ògni
violénsia e morteficasiòn a la cérca de tiràr fòra de
la desperasión i poveràsi schisciàt d’ògni magiór,
draghe conforto… come i són fornìt? De vivi sfotüt
e spudàd… casiàt a pescàdi daspó, crepàdi, de ‘sti
santón gh’han fàito tabèrna decorà de flóri e fructi
doràt e reporta con statue de sòi retràct in
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processiòn davanti o drio a ti, par mèter i cojón in
ginögio, imbrisàr, basàr la tera!
Jesus ma cossa è ‘gnudo a far té sü la tera? Se’
dessandùo a insegnarghe a noàltri che in cróse ghe
stémo dal ziórno che sortìmo al mondo?
A noàltri te végne a insegnàrghe a stare incuidài in
sü la cróse?
No, de quèlo no’ gh’émo besógn. Scüsa, no te
inrabìr che in cóse no’ è bòn…
‘N’altra cosa ti dovarèsse insegnàrghe, un exéplio
che ‘na volta sojaménte tò vedùo darghe ai
cristiàn...
L’è stàito ól ziórno che ti è entràt ne la eglésia e ti
ha descovèrto i mercanti sióri coi vendevan, i
comprava, i
brigàva, co’ le mèrzi, coi òri, coi arzénti, balànse e
ti co’ i ögi sirolàt ti i gh’ha vardàt, ti ha catàt un
bastón per le man e… picàre!, picàre!
Cristo, no’ potevet insergnàrghe a noàltri a
picàre?! Picàre! Picàre! Picàre! (Esce agitando il
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braccio nel gesto di bastonare una moltitudine di
mercanti).
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MATTO SOTTO LA CROCE
A seguire abbiamo la giullarata del gioco sotto la
croce condotto dal Matto che ritorna protagonista
assoluto. In questa versione ci ritroviamo di nuovo
con una scrittura che prevede la presenza di un solo
giullare che interpreta tutti i ruoli del dramma, dal
gruppo dei crociati al Matto stesso e perfino di Cristo.
Per la giullarata della gran partita si ritorna all’uso del
doppio o persona.
Sulla croce c’è il Cristo inchiodato ma si tratta di una
statua linea policroma disarticolata, identica a quelle
impiegate nei misteri toscani ed umbri dal X al XIII
secolo e dei quali esistono ancora splendidi esemplari.
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MATTO
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(il giullare nei panni del Matto sta
accovacciato e mima di battere
le carte su una
tavola) Re, coppe, calzolaio, femmina sul cavallo! Ho
perso! (Fa il gesto di raccogliere altre carte
distribuite da uno dei giocatori) Carretto, due fratelli,
cinque di bastone e chiudo con l’imperatore. Ho
perduto un’altra volta. Pago, pago, prendi i tuoi
denari... tieni! Non ho vinto niente. (Mima di levarsi
in piedi e di spostarsi verso destro dove sta il
crocifisso col Cristo-persona. Rivolto ai compagni di
gioco)Scusate... no, no, state lì... aspettatemi... vengo
indietro (ritorno) subito! (Leva lo sguardo in alto
come parlasse a Gesù sulla croce)Gesù, perdona se
vengo giù a stuzzicarti i coglioni... Lo so bene che
non è buona creanza di venire a grattare i beati
cojómbari (coglioni) a uno che ha già delle sue rogne
sulla croce, inchiodato per giunta! Ma io vengo a
domandarti un piacere che tu mi dovresti fare: Jesus
io sono uno che non ha mai guadagnato-vinto a un
gioco, non ho mai vinto ‘na fiata... che in sempiterno
(sempre) mi sono scontrato con ‘ti malnati truffatori
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che imbrogliano al gioco come mercanti di patacche
di piombo dorato. Come si impasticciano con le carte,
lo sai... lo vedi, lo vedi tu... (lo richiama perché il
Cristo guarda da un’altra parte) Jesus sono qua...
dove guardi? (Il Cristo volge con fatica il capo verso
di lui. È risaputo che tutte le statue sceniche hanno la
possibilità di essere agite per mezzo di fili che
vengono azionati dalle quinte o dal soppalco. Con
tono e gesti di supplica) Jesus, sii buono, sii gentile
con me, dammi il meraviglioso piacere di farmi
vincere una volta almeno. (Batte leggermente sul palo
come ad incitare Cristo) Jesus fa un segno! Oh sì,
d’accordo, con le mani inchiodate è un po’ difficile...
(cambia tono) Con l’occhio, schiaccia l’occhio! L’hai
schiacciato?
Ma
bellezza
mia!
Verrei
su
ad
abbracciati, guarda! Davvero mi fai vincere eh... non
farmi scherzi, guarda che ti blasfemo... Testimonio
tuo Padre che me l’hai detto! Guarda che sarebbe
proprio una carognata di essere sulla croce e farmi
uno scherzo prima di crepare... Sarebbe uno scherzo
da prete! Ah, bene... vado a giocare Jesus. (Come
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parlando agli altri giocatori) Attenzione... torno al
gioco! Fatevi in là! (Poi, in grammelot, riprende
come all’inizio a indicare velocissimo il segno di ogni
carta che va gettando sul tavolo) Il fante con la matta,
il cavallo sulla regina: è mio! (Fa il gesto di
raccogliere la vincita) Tu la luna, lui la papessa, io il
demonio: è mio! (Rivolto a Cristo) Orco Jesus che
forza che sei! (Riprende il gioco) Ricominciamo. Re
di bastone, vergine con caprone, terremoto col
testone: è mio! (Sempre rivolto a Gesù) Esagerato!
Cinque di fila! (Agli altri giocatori) Non giocate più?
Non avete più denaro?... Ve li do io i denari. Ce li ho
qui d’argento, tieni, tieni, tieni! (Fa il gesto di gettare
le monete sulla tavola) È argento! Non li ho rubati.
Erano di Giuda che li ha buttati nei rovi, sono andato
a graffiarmi dappertutto per prenderli. Tenete, tenete
voialtri che tanto Giuda è là impiccato in fondo. Ho
anche uno orecchino della Madonna, che le ho
rubacchiato ma lei è contente, è buona, santa... non è
peccato. Tieni, tieni tutto... (finge l’ascolto) In cambio
di cosa? Facciamo uno scambio. Voi mi darete quello
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(indica il Cristo), il permesso di tirarlo giù e portarlo
via con me. Sì, Jesus Cristo! Per me! No, non da
morta , il morto lo tieni tu. Ancora viva lo voglio!,
come è adesso... che respira! Ah! Ah! Me lo lasci?
Non hai paura! Lo so bene che se arriva il centurione
e scopre la croce vuota vi spiaccica uno per uno, un
chiodo di qua, un chiodo di là, piede sull’altro (mima
di dare martellate) PAM!, PAM! Lo so, lo so... ma io
vi faccio la proposta di non svuotarla la croce, di
mettercene un altro al suo posto... Giuda per esempio!
Andate a prenderlo che è sul fico impiccato, andate a
prenderlo... lo portate, lo spiaccicate qui con quattro
bei chiodo... che tanto nessuno si accorge dello
scambio, sono tutti uguali sulla croce, tutti poveri
cristi diventano. Ci siete? Ben fatto! Vai, vai... No, a
Cristo ci penso io, il Cristo lo tiro giù io solo, vai
tranquillo che lo tengo, mi prendo ‘sta scala (mima di
prendere la scala e di appoggiarla alla croce. Il
giullare può anche servirsi di una scala agibile che
andrà ad appoggiare sul braccio della croce)…
Jesus, tira in là un po’ il braccino che non vorrei
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schiacciartelo. Ecco cossì, adesso vengo (mima di
montare per i piolo, riprendendo felice)... Ah, aha...
Jesus... Non l’avresti mai pensato che sarebbe stato un
matto a tirarti giù dalla croce, a salvarti. Tu vieni a
salvare gli uomini e un matto salva te! Ah, ah, ah!
Che scherzo che gli facciamo. Arrivo. Non aver paura
che ora ti tiro giù come una bella sposotta dolce e
cara… ti carico sulle spalle, poi ti porto con una barca
che c’è al fiume fino all’altra parte della riva. Quando
siamo arrivati dolce sarà… che là c’è uno stregone
mio amico che ha un unguento, un spagnasso oleoso
che come te lo sparge dappertutto tu: gnamm!, andrai
via correndo come una lepre. Tranquillo Jesus! (Il
Cristo ligneo si agita) Cosa sono questi tremori? Hai
la febbre, perché fai con la testa di no? Non vuoi?!…
Non vuoi che ti distacchi da qui? Per quale
ragione?… Per piacere ripeti, non ho capito?… Per il
sacrificio?… (Il brano che segue viene recitato a
ritmo sostenuto) Perché sei venuto a morire sulla
croce… per il sacrificio, per la salvezza degli uomini
dal peccato e in cambio tu devi crepare inchiodato?!
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Oh, oh, oh… E tu dici che il matto sono io? Matto sei
tu, boia! te e tutta la tua famiglia… a cominciare da
Dio Padre in persona! E l’uccellone! razza di matti!
Ah bella trovata questa del sacrificio divino! Sai cosa
faranno i preti di ‘sto tuo martirio santo? Tutto
d’argento ti pittureranno a mascherare la tua carne che
marcisce… ti faranno le gote di sangue coi rubini…
tutte d’oro… e le tavole di legno di questa tua croce
saranno impreziosite, profumate e andranno intorno a
portarla in maniera che tutti i contadini, pizzoc,
mortificati, in ginocchio si butteranno, schiacciati
dalla devozione ai piedi della croce e i preti che la
mostrano ( che ne fanno mostra) in processione:
“Guardate che si è sacrificato per voi! In ginocchio
sacrificate anche voi! In ginocchio pelandroni!”.
In questo modo combineranno il grande spettacolo del
tuo patimento. Bel salvamento che fai! Slargato come
un uccello ti spiaccicheranno anche sopra gli scudi e
le targhe di guerra… e anche sulle bandiere ci sarà
pittata-dipinta la tua croce te ingrisciao (Il brano che
segue viene recitato a ritmo sostenuto), e sarai sulle
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spade ad accoppare, a stracciare, in nome di Dio e
infilzare le donne, gli omini e i bambini tutti!
Sgrossare e scannare in nome del tuo segno! Bella
truffalderia combineranno col tuo sacrificio!… Cosa?
Ripeti: non ti importa che si approfittino della tua
passione… basta che ci sia un uomo solo chiaro e
beato che raccolga il tuo insegnamento e ne faccia
santa ragione? E chi sarebbero questi santi uomini
degni? Fammi qualche nome! (Fa immaginare di
ripetere l’elenco detto da Cristo) Francesco, bene,
Benedetto, sì, Nicola… d’accordo! E dopo avere
sopportato ogni violenza e mortificazione allo scopo
di tirare fuori dalla disperazione i poveracci
schiacciati dai maggiori, dargli conforto… come sono
finiti? Da vivi fottuti e sputati… poi cacciati a pedate,
una volta crepati, di questi santoni hanno fatto
tabernacoli decorati di fiori e frutti dorati e riportano
statue con i loro ritratti- effigi in processione davanti
o dietro a te, per mettere i coglioni in ginocchio,
imbrisàr, baciare la terra!
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Jesus ma cosa sei venuto a fare sulla terra? Sei
disceso ad insegnare a noialtri che in croce ci stiamo
dal giorno in cui siamo nati?
A noialtri vieni ad insegnare come stare inchiodati
sulla croce?
No, di quello non abbiamo bisogno. Scusa, non ti
arrabbiare, che su queste cose non è bene…
Un altra cosa tu dovresti insegnarci, un esempio che
un’altra volta solamente ti ho visto dare ai cristiani…
È stato il giorno che sei entrato nella chiesa e hai
scoperto
i
mercanti
signori
che
vendevano,
compravano, brigavano, con le merci, con gli ori, con
gli argenti, bilance e tu con gli occhi sbarrati tu li hai
guardati, hai preso un bastone per le mani e…
picchiare!, picchiare!
Cristo, non potevi insegnare a noialtri a picchiare?
Picchiare! Picchiare! Picchiare! (Esce agitando il
braccio nel gesto di bastonare una moltitudine di
mercanti).
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Il primo miracolo di Gesù bambino
Prologo
Il monologo che segue ha per titolo "Il primo
miracolo di Gesù bambino” è tratto da un vangelo
apocrifo. È risaputo che apocrifo ai primordi del
cristianesimo
non
significava
falso,
eretico
o
blasfemo ma solo non inserito nei vangeli ufficiali.
Alcuni di questi scritti venivano tenuti nascosti in
quanto destinati solo agli iniziati.
Nel III, IV secolo si contavano decine di vangeli che
oggi ritroviamo pubblicati in un gran numero di
edizioni, tra le quali di certo l più completa è quella
edita da Einaudi. Ogni comunità cristiana aveva il
suo vangelo, lo sviluppava, lo rappresentava.
La selezione dei vangeli accettabili durò per molti
secoli, molti episodi sulla vita di Gesù furono
cancellati dall’elenco ufficiale perché raccoglievano
situazioni
e
moralità
che
contrastavano
eccessivamente con gli scritti dei quattro evangelisti,
Luca, Matteo,, Marco, Giovanni. Il miracolo di Gesù
bambino appartiene proprio alla moltitudine dei
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vangeli ritenuti inconsoni. Nella raccolta degli scritti
non omologati si ritrovano fabulazioni provenienti dai
miti della Grecia arcaica e classica, dove si incontra
Cristo che, come Orfeo, suona il flauto e affascina
con la sua musica gli animali intorno; altre storie che
provengono
dall'oriente
con
draghi,
palafreni
scalpitanti che Cristo cavalca, agile come un centauro.
Insomma narrazioni che evadono dall’immagine
canonica, tanto che una gran quantità di vangeli
ritenuti apocrifi furono accantonati, ma spesso si
decise di distruggerli.
Ancora nel VI, VII secolo, in un famoso Concilio,
esplose una incredibile rissa fra i vari vescovi delle
diverse comunità: ognuno si batteva perché venisse
accettato e riconosciuto solo la propria visione della
vita
di
Cristo
e
soprattutto
la
particolare
interpretazione del Verbo espresso dal Messia. Come
già era accaduto al Concilio di Nicea nel 325, i santi
delegati, si insultarono, si aggredirono, provocando
anche scontri fisici, alla fine sul terreno restarono
molti testi stracciati, molti contusi e forse anche
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qualche morto. Testimonianza di questi terribili
scontri, è l'attuale forma del pastorale, diventato
ricurvo in conseguenza delle mazzate, con relativi
contraccolpi, che di volta in volta ne attorcigliavano
la cima. Anche il cappello che calzano i vescovi, i
cardinali: avete in mente quella fessura nel mezzo? È
il segno rimasto ad attestare le “frappate” che si son
vicendevolmente appioppati..
Questo episodio
davvero poetico sull’infanzia di
Cristo che qui vi proponiamo nel VI secolo, nelle
chiese dell'oriente, veniva normalmente letto e
commentato. E ancora oggi, viene recitato e cantato
nelle sagre che si svolgono nei borghi dell’Irpinia e
del Salento.
Nel Nuovo Testamento, cossì detto ufficiale, si narra
della nascita del Redentore col presepe e i Magi, della
fuga in Egitto, della presentazione al tempio e del
dialogo di Gesù giovinetto con i saggi nella sinagoga;
quindi, ecco che all’istante Gesù sparisce e di lui,
della sua giovinezza non sappiamo più nulla. Lo
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ritroviamo già adulto in riva al Giordano nell’istante
in cui chiede a Giovanni di essere da lui battezzato.
Nei vangeli apocrifi, questo vuoto del racconto è
colmato
da
un
numero
notevole
di
episodi
sull’infanzia di Gesù, dei quali questo primo miracolo
possiamo ben azzardare sia da considerarsi un
autentico capolavoro di fantastica allegoria.
La sacra famiglia in fuga verso l’Egitto, con l'asinello,
va verso il mare e poi lo costeggia fino a Jaffa. Jaffa è
la città dei pompelmi... A questo punto come nomino
questa città esplode immancabilmente una sonora
risata, si tratta
di certo di uno sghignazzo a
commento di uno sfondone; parte del pubblico
intuisce, errando che io alluda al timbro che ancora
oggi ritroviamo sui pompelmi prodotti in quella
regione, parlo della J impressa sui frutti… magari da
Jesus
Per carità... non è questo, il miracolo di Gesù
bambino. Il suo primo miracolo è molto di tutt’altra
forza e meraviglia. Il piccolo arriva a Jaffa con la
famiglia, e in quella terra si ritrovano ad essere
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stranieri, forestieri e poveri. Cercano subito una casa
e trovano una catapecchia "scaruffata"... cossì
malridotta che al confronto la capanna di Betlemme,
era una reggia. Giuseppe, che è falegname, va in
cerca di lavoro, ma non lo trova. È proprio il caso di
dire che non batte chiodo. La Madonna, per rimediare
qualche soldo, è costretta ad andare a lavare i panni
nelle famiglie. Gesù bambino si ritrova sbandato tutto
il giorno per la strada. Vede i bambini che giocano.
Assiste al gioco dei ragazzini del quartiere, vorrebbe
riuscire ad inserirsi, farsi accettare, e invece viene
cacciato: è un forestiero, parla un altro dialetto, quasi
un'altra lingua.
È risaputo, e lo possiamo verificare ogni giorno nelle
nostre periferie-dormitorio, che là dove esiste il
razzismo, i bambini sono più razzisti dei grandi, e
quindi Gesù bambino, mortificato, pur di riuscire ad
essere accettato nel gruppo, realizza un suo piccolo
miracolo, meraviglioso come può essere il miracolo di
un bambino, e ottiene un successo incredibile: tutti lo
abbracciano e lo eleggono capo dei giochi. Risate,
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grida di entusiasmo , le madri alle finestre
applaudono. Ma ecco ed ecco che entra in scena, in
groppa a un piccolo cavallo con finimenti d'oro, il
figlio del padrone della città accompagnato da due
sbirri. Il ragazzino del ricco pretende di partecipare al
nuovo gioco, ma i piccolo straccioni non
accettano.
lo
Il piccolo cavaliere, rosso di rabbia, si
sente offeso e distrugge tutti i giochi dei bambini.
La reazione del piccolo Gesù è tremenda… si può ben
dire che gli girano tutti i santissimi. Non s'è mai visto
un Gesù cossì adirato, nemmeno-neppure da grande,
ha mai reagito con tanta violenza. Nemmeno quando,
nel tempio, si è trovato con tutti i mercanti che
facevano scempio d’ogni sacralità.
Il ritmo e la sintesi scenica che ritroviamo in questo
episodio… cossì come in atri Vangeli apocrifi, è
davvero straordinario, oserei dire di una sorprendente
modernità.
Sembra di ritrovarci davanti alla
sceneggiatura di un grande maestro dell’attuale
cinema d’avanguardia. E fra poco, son sicuro che,
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ascoltando l’incalzare stravolgente di questa giullarata
del primo miracolo, me ne dovrete dare atto.
Nel presentarvi questa storia, uso un linguaggio che è
l'insieme di parecchi dialetti del nord, tra i quali
prevale il veneto.
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MIRACOLO GESU’ BAMBINO DA MARINA
stampato
accenti corretti
Attenzione!!
Bisogna
confrontare
i
due
dialetti e sistemare le didascalie
Quand in tèl ziélo impiegniìdo de stèle tüto strapuntà’
de lûs l’è ‘rivà deréntro un stelùn tremendo co’ ‘na
cuàssa cól brugàva, ól dava a scuretùn e tüte le stèle
che criàva “Bòja chi l’è?!” L’éra la stèla cometa! Che
‘rivàva da l’oriente e drio gh’éra i tre re magi. Uno
l’éra vègio, tüto ingrugnà, sbòco, ól bestemàva su un
cavàlo negro... aténto a l’alegorìa... e intànt che
andava su ‘sto cavàlo négro ól dava dei sacramént, ól
sgnacàva perchè gh’avéa i ciàpe ‘piegnìde de
forùncoli bugnün e ogni incrugàda che dava IHAAA
PA!, ól biastemàva ‘me Dio!
Aprèso a gh’éra un re magio biondo, ciàro… su un
cavàlo bianco... aténto a l’egorìa, cont un gran
mantèlo ròso, arzénto d’intorno e i risolùn, con di ögi
cól rideva, ól surideva. Aprèso un magio negro su un
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camèlo griso… un negro cossì negro, con ‘sti ögi
sbiancà, che quando ól rideva ól camèlo griso ól
pareva pì bianco e ciàro dèl cavàlo bianco cól gh’avéa
ól biondo re magio.
E i andava e ól negro sul camèlo ól cantava:
“Oh che bèl che bèl che bèl che l’è andare sul camèl
che bèl che bèl
che bèl che bèl che andémo a Betlèm
a Betlèm gh’è ‘na capàna
con deréntro la Madona
ól bambìn che nina nina
San Giusèp cól séga séga
i angiulìt che vólan vólan
oh che bèl che bèl che bèl che l’è andare sul camèl.”
“Baastaaa! L’è tre ziórni e tre nòti che te canti ‘sta
storia dèl camèlo! Emo capìt che l’è bèlo andare sul
camèlo, ma adèso basta!”
“E no, che devo cantare sul camèl… che débio andare
che se mi no’ canto el camèlo s’endorménta
bòrlo de sóto se spavénta
casca par tèra
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mi schisciàdo
e no’ arivo pì a Betlèm.
A Betlèm gh’è ‘na capàna
con deréntro la Madona
el bambìn che nina nina
San Giüsèp cól séga séga
i angiulìt che vólan vólan
oh che bèl che bèl che bèl che l’è andare sul camèl!”
“Bastaaa! Mi té magno crüdo! Té pélo via tüto ól
negro d’intorno e magno ól bianco deréntro! Basta
cantare!”
(Il Re Magio nero riprende la tiritera)
“E no che devo cantare
ritmo ritmo a débio dare
ch’el camèl no’ è come ól caval
el caval ól va al galòpo
el camèl ól va al tròto
gamba devànti, gamba de drio
se intorcìga
se no’ do ól ritmo se intropìga
bòrlo de sòto, se spaventa
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casca per tèra
mi schisciàdo
no’ ‘rivo pì a Betlèm.
A Betlèm gh’è una capàna
con deréntro la Madona
ól bambìn che nina nina
San Giüsèp cól séga séga
i angiulìt che vólan vólan...”
“Te magno!!! Mi no’ capìssi ma perchè gh’han fàito
vegnì ‘sto negro con tüti i magi culuràdi che gh’éra?
Perchè? DIDASCALIA Dovémo far cosmopòlitos!
Che l’è ‘na brava persona ma no’ se pòl continuare de
‘sta manéra, continua a cantare!... E certe volte me fa
catare degli spaventi! Gh’ho dei bisógn... cói bugnón
che me s’tciópa chi... DIDASCALIA sunt un màgio
ma gh’ho dei bisogni... desséndi dal cavàlo, vó ne lo
scüro in de la nòte... me fò per calare le braghe... e
devànti a mi té vedo dòe ògi de bèsti... cunt di dénci
de béstia... Bòja l’è un leon?!... Me sun cagào sü le
braghe! Invece l’éra lü, cól cagàva devànti a mi... che
ól ride, ól caga e ól ride... e no’ canta.
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La prema volta che no’ canta!
No’ podéva cantare “Oh che bèl che bèl che bèl l’è
cagàr sénsa camèl che bèl che bèl!”?
Me fa catàre dei spaventi- stremìzzi che fra i
bugnóni che i me s’tiòpa e lü, gh’ho ‘na rabbia adòsso
che se ‘rivo de ‘sta manéra a Betlèm ‘maso ól bambìn
ne la cûna!”
In quel momento in dél ziélo ól stelùn s’è fermào e
tuti i dise “Cos’è capità?” e el Magio negro cantando
“S’è fermàt per catàrse un po’ de fiàt! Oh che bèl che
bèl che bèl che l’è andare a Betlèm...” “Bastaaa!” Ól
magio vègio salta sul so’ cavàlo, dà de sprón “Ghe
vago da solo a Betlèm, no’ vòi nisciùno! Bastaa!”
“Anca mi végno con ti! Oh che bèl che bèl che bèl...”
“Bastaaa!” “Oh che bèl che bèl che bèl...” (Porta la
voce quasi a spegnersi sempre più flebile in
lontananza) “Bastaaa!”
De bòta in dèl ziélo impiegnìdo de stèle l’è vegnü
föra l’arcanzèlo cun un cerción tremendo cunt de le
alàse, cunt tüto un brocognàr che gh’è, co’ la sfèrzula
cun su scrito: “ANZELO”... per quèi che no’ capìsse!
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Ól va per ól zielo gridando “Venite è nato....”
(RIMANE IN ITALIANO) ól pica de volàde de sóto
BRUAAMMM (mima la picchiata con volo radente
dell’angelo), con i pastori: “Oh desgrasiò té ghé fàit
andà via ól late a le pégure!” (Mima un’altra
picchiata dell’angelo che per poco non li travolge) “È
nato ól redentore...BRUAMMM!” “Andasse a sbàter
cóntra la muntàgna! Col cerción incarcào fino al
bàbie! Tüte le plùme spantegàe! Galinasso!... A l’è
mejór che andémo sübit a portàrghe qualchiregalo a
quèsto bambìn fiòl dé Déo, che quèl angiolòn lì, ól se
va avanti e indré tüta la note ghe ara ól prato!” Tüti
che i ciàpa de la fructa, dèl formàjo, de le gaìne... a
ghè dei disgrasio’ che i ’riva con de le sbèrle
tremende de pulénta... e i végne avanti cussì da la
montagna... Ma che disgrasió... a un bambìn apéna
nasciüo té vòi darghe la polenta!
E davanti a ‘sta capàna a gh’è un rebelòt da no’ dire:
a gh’è de la zénte che séga dei palon DIDASCALIA
BRA BRA BRA!, De quèli che i bate cól fèro dèl
fabro BUM BAM! E quèli che i ànsima BRIU BRA
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BRIU BRA!, e el mulèta IAA IAA... e chi vende...
“Bastaaa! Vergogna! ‘Sta povera dona de la Madona!
Tre ziórni e tre nòti che no’ la dorme! Te la voi far
morire?!” “Ma noialtri volemo fare ól presepio!”
E dentro la capàna a gh’è i pastori che i éntra co’ i
loro doni e gh’è Sant’Ana che come i éntran: “Dà chi
in prèscia, prega dopo. Va föra! Oh quanta roba
benedeto Gesù bambìn... te dovarèsse nàsser almànco
quatro volte al mese, té fo una resèrva per tüta
l’eternità!”
E ‘rivan i tre Magi co’ l’oro, l’arzénto... ghe anca ól
negro: “Föra che ól bambìn ól se spaventa!”
(Cantando) “Oh che bèl che bèl che bèl l’è ól bambìn
sensa camèl!” “Basta!”
In quèl momento ariva dentro l’ànzelo con la spada de
fòco: “Föra subito! Fuga in Egitto!” “De già?!” “Gh’è
ól re Erode che staca tüte le teste!”
La Sant’Ana: “Va a tòr quatro cavali e dòe carèti
sübit, e carèga tüta la ròba!” “No, no’ gh’è téo, via
subit!” “Ah bravo, arcànzelo fürbàsso, té vòi fregàrte
tüta la roba ti eh? L’àseno, l’àseno, tira föra l’àseno!”
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Arìva ‘sto àseno tüto imbrocugnà, che nòl sta in pie...
che l’è tre ziórni e quatro nòti che ól bòfa! Ahhh! El è
sctiopà! Coménzan a caregàrlo de ròba e pachi e
pachéti e aprèso la Madona ghe va soravìa, e Giüsèp:
“Madona dessénde, no’ ghe la fa, ól crepa!” “Ma mi
no’ pòdo minga desséndere da l’asino che se po’ la
zénte no’ mé vede sü l’àseno no’ capìsse che stémo a
fare la fuga in Egitto!”. E alóra Giüsèp va sòta a
l’àseno, sé caréga la Madona, ól bambìn e tüti e va via
camenàndo. Camìna camìna camìna, arìvan al mare,
po’ ancora caminàndo caminàndo caminàndo, arìvan
a Jaffa. Jaffa çittà bianca, granda, con grande tóri.
Apéna l’ànzelo che ól zira, zira, zira sòna la tromba,
l’asino: IAAAAP!, la panza par teèra, ‘na scurèzza e
l’anima de l’àseno la va in ziélo!
La Madona la varda e la dise: “Pora bèstia, l’è morto.
Segno divino. Vòl dire che sémo ‘rivàt!”.
Van derèntro ne la çittà e zércano un pòst dove podér
andare a dormire. Gh’è ‘na stambèrga disgrasiàda,
piena de böci, che la capàna a Betlème a l’éra ‘na
reggia e ól povero Giüsèp tüta la nòte a tampunàre.
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Ól bambìn dorme, la mama dorme.
La matina la sé desvégia, la Madona, la va intórna a
zércare qualche lògo dove andare per lavàrghe i pani
a non importa a chi... per portare a casa qualche
dinàro. E Giüsèp no’ trova laóro e ól bambìn tüto ól
ziórno in mèso a la strada. A la sira végne a casa la
madre tüta róta sfrugugnàda con tüti a artrós par
l’acqua, la sé sèta a respiràr, arìva Giüsèp cól
biastéma ‘mé un lasro, po’ arìva Gesù bambìn,
cunscià, cól mócc, coi braghe strsaà, sénsa ‘na scarpa:
“Ma varda come té sét cunscià bambìn... ma con tüto
ól travàil che gh’ho mi mo’ té dévo lavàrte i pani!”
“Mama, gh’ho fame!” “Ma làssame parlare! Ma no’ té
vergógni de ariva’ cunsciàt in ‘sta manéra?” “Mama,
gh’ho fame!” (la Madonna parla velocissima in
grammelot). Che quando la Madona l’éra inrabìta la
parlava palestinés stringiüo che no’ se capiva negòta!
“Diìghelo ti Giüsèp che lü l’è dessendüo dal ziélo per
insegnàrghe ai bòni cristiàni e il primo amor che déve
avérghe l’è ól respécto per la sòa madre e ti inveze
no’ te vergogni?! (AGGIUNGERE DIDASCALIA
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PERCHÈ NON LEGA )” “Oh la madona!” “Giüsèp,
te gh’ha sentì còssa gh’ha dito ól to’ fiòl? Dighe
qualche còis!” “Mi?!” “Té sét so’ pare!” “Mi so’
pare?”
La famégia la sé mèt a tàola, tüta intórna a la tàola i sé
sèta, gh’è ól pane in mèso, ól bambìn fa per slongàre
la man... “Eh, sempre con ‘sta mano sübit! Aspèta!
Va che mani svoònce! E fate ól segno de la cróse
prima! No, aspèta l’è tròpo presto, ‘n’altra volta!”
Ól bambìn va a dormine, dorme tüta la famégia.
Al matìno ól fiulìt sé desvégia, no’ gh’è la madre, ól
padre l’è sortìo, sé mète le braghe, cata un tòco de
pan, ól va föra in de la strada, o gh’è tanti bambìn che
córen avanti e indrìo, che i salta, i zioga
“Mé fèt ziogàr anc’mi al vostro ziógo... féme
ziogàre... mi a són bravo!” “Va via Palestina!” “Ma
perchè no mé vorsìt? Varda mi mé mèto a far la
cavalìna... fago anca ól ladro, el ziògo de la sgiàfa...”
“Va via terùn!” DIDASCALIA
De le làgrime ghe sortòno dai ögi... ghe végne ól
magun al Gesù bambìn. La madre ghe avéa dito
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“Atenti ti, no’ far miracoli che po’ i soldai i végn a
savérlo, i végn e i té copa!” Ma l’éra tropo forte ól
dolór d’és casciàto via che ól dovéa par fòrsa far un
pìcolo miràcûl per far de manéra che ‘sti bambìn
gh’avèsero amistà con quèlo. Per farghe simpatia,
gh’ha pensà de fàghe un miracolo pìcolo, dolzo...
L’è andaìt là, dove che gh’éra una fontàna, intorno
gh’éra de la tèra creta, quèla per fa’ i matoni, bèla,
grassa, bagnàda, l’ha catà un baslòt, a lavoràrla co’
‘ste manine sante e ól vusàva:
“Ehi fiulìt, bambìn, vegnì chi, vé fago un usèlo de
tèra!” (Sfottenti) “Ehi, ól Palestina fa i usèi de tera!”
“Sì, ma po’ mi ól fo’ volare!” (Sgignazzando con
derisione oppure sempre più soddisfatti) “Ehi, ól
Palestina el fa i usèi de tèra e po’ dopo i fa volare! Ma
che bravo!”
I bambìn tüti intórna a vardà giusta per pasàre ól
témp... e quèlo cominza con ‘ste manine sante: ól fa
ól crapìn, pœ le alète, ól panscetìn, le plùme con un
teschetin, ciàpa do’ stechèt e i mète de sóta... i
zampìt... e via in pie... “Sénsa truco ne preparasiùn,
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sénsa gnànca un orasiùn... un, dòe, tri, bófo!(mima di
soffiare con forza...)” Bófa e se vede un trembàr de
‘sto uselìn de tèra... se dèrve le ali... PIU PIU PIU
PIU... “Vola! Vola! Miracolo! Ól Gesù bambìn fa
volare i uselìn de tèra!” “Ma no’ dir stronsàde! L’è un
truco vègio ‘me la madòna! Ól furbastro gh’ha ciapàt
un uselìn che l’è burlà da un àrbaro, l’ha inciucicà in
t’un po’ d’acqua, po’ gh’ha ciapà de la tera e ghé la
metüa de sopra, po’ l’ha metüo su una man, FIUM
bofàda, brivido, CIP CIP CIP e vola via!” “No, l’éra
vera, no’ gh’éra uselìn, no’ gh’éra ól truco! L’ho
vedüo mi, aténto, aténto... ciàpo un altro barslòoc de
tèra!” Ciàpa un altro baslòc de tèra: “Va’ chi - ól
derve - no’ gh’è deréntro niente, no’ gh’è uselìn
deréntro! PAC! Adeso Palestina avanti, fa’ vede’, fa’
‘n’altra volta vola’ l’uselìn... e aténto a no’ far
schèrsi, aténto che te do un casotùn!”
El bambìn Jesus con ‘ste manine sante fa ól cotunin,
de nòvo... “Sperémo che mé riésse anche ‘stavolta!”
Ciàpa un steghetìn, fa tüte le plüme, pœ do’ stechetìn.
(Mima di creare velocemente un altro uccellino)
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“Vun, dò, tri, sénsa truco ne preparasiùn, sénsa
neànca un orasiùn...”
In quèl momento dal fondo végne avanti un bambìn
co’ i ögi negri, i cavèli tüti negri “Fermo!” “Cos’è?”
”Controllo!” “Chi té sèt?” “Tomaso!” “Tomaso, té
cominci la matìna presto a rompe i cojón!” Arìva
Tomaso, ciàpa un ciòd TIUM TIUM, ól sbusa. “Va
bene, no’ gh’è truco, po’ andare! “ -Vun, dòe, tri,
sénsa truco ne preparasiùn, sénsa neànca un orasiùn
(soffia sull’uccellino): FIUM!” ól se slarga: PIU PIU
PIU. “Vola! Miracolo! Oh che fenomeno! Che
stregón meravgióso! Da ‘sto momento ól bambìn
Jesus l’è ól cap dei zióghi! Adeso andémo a tra su la
tèra e fémo un’uselànda de usèli come ghe pare! Pœ
sübit aprèso lü ól bófa e fa volare e noialtri ridum!”
E tüti i bambìn bòja che van a fare dei usèi mai vedù!
A ghé n’et vun cól ciàpa un trocotùn, ól fa un crapón
che no’ se pòl dire, con un pansciòn... un bragò... cunt
un cuìn de stitìc che no’ se vede niànca... pœ ghe
mète ‘na steca per fà ‘na jàmba, ‘n’altra jàmba... ma
ól bórla davanti... ‘n’altra jàmba ól bórla de drio, sul
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cul! Cìnque jàmbe ghe mèto! “Mai vedùo un usèl con
sìnque jàmbe!” ol dise Jesus “L’importante è ch’el
vola!” Un altro fa una bissa a lugànega con dódese
alète tüte intórna, sénsa la côa, sénsa nemànco le
jàmbe. Po’ un altro fa un stronsùn tremendo... no’ se
capìsse dov’è la crapa... Un’altro fa dóe strunsìt... Pœ
un altro fa una torta... co’ intórna tüte le alète e la
testa in mèso. L’ultimo fa un gato, bèlo... co’ le ali.
“No’ se pòl far volare i gati!” “Se vola quèl stronsùn
lì, volerà anca el mé gato!” Ma i gati no’ se pol far
volare...
un
po’
de
regola!”
(Alzando
la
voce)“Mama! Jesus Palestina no’ vol far volare el
me gato!” (S’immagina la madre affacciata ad
una finestra)“Palestina, fa’ sübeto volar el gato dèl
mé bambìn se no’ vegni giò e té inciòdo!”
Ól bambìn Jesus ól ciàpa ól galinón... ól bofa:(mima
via via il volo delle varie creature a cui da la
vita) PFFUUUU QUAC QUIC QUOC QUA TE PU
QUA... la lugànega PICI PETE TE CHE SE TEPE...
la torta PSE PSU PSU... el strunsùn PCE PQUE PTE
OCI... i strunsìt PCE PCI PQUE... El gato
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PFUUUUM GNIAAAOOOO! Magna tüti i osèi dèl
ziélo!
Ohi che bèl, che ridàre a s’cepapànza! “‘N’altra
uselàda, avanti tüti insema!” Tüti che i fan i osèli, che
i zióga, i ride, i canta! E gh’è le madri che le ride a le
finestre! “Va che bravo bambìn ‘sto Jesus, gh’ha
trovào un ziógo bèlo che no’ se fan neànca male!”
Ma in quel momento TRAC!, se spalanca el portón de
la piàssa e végne avanti un fiolìn su un cavàlo negro
tüto infinimentà de ori e arzénto... ól bambìn gh’ha i
cavei ben petenà, le plume sul capèlo, vestìt de velùto
e de seta con un coletón de pisso. E gh’è dòi sbirri
intórno montà su dòi cavali bianchi tüti armà. L’è ól
fiòl dèl parón de tüta la çità.
“Ehi, bambini a che ziógo ziogàte?”
(Sottovoce)“Ól fiol de parón... che rompicojón! (A
Gesù) No’ darghe tra’ Palestina, fa’ finta de gnénte!
“Mé fate ziogàre anca mi al vostro ziógo?”
“No!”
“E perchè no?”
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“Perchè tüte le volte che noàltri domandémo de
ziogàre con ti, coi to’ cavali per far un zirèto, ti té dise
no! Parchè tüte le volte che vegnémo a casa tua che té
gh’è dei gran zióghi, té ne fàit descassàre dai to’ sbiri!
Noàltri adeso gh’avémo un bèl ziógo, el più bèl ziógo
dèl mondo e el Palestina l’è ól cap dèl ziógo. Ti té sèt
siòro ma no’ té gh’è el Palestina! Palestina l’è de
noàltri! Vero Palestina? Palestina no’ té andar con
quèlo, no’ fare el Giuda!”
“Ma se pòl savére che ziógo l’è?”
“Sì... noàltri fasemo i uselón pœ ól Palestina bófa e i
fa volare. Ti vòl ziogàre anca ti? Cala le braghe, bófa
sul to’ uselìn, vedèm sel ól vola!”
E tüti che i ride.
Ma ól fiòl dèl parón no’ ride miga. Rosso, inrabìto,
co’ i ögi föra de la testa, cata ‘na lanza dèl soldàt, dà
de spròn al so’ caval, cól caval arìva in mèso cridàndo
‘mé un mato: “Se no’ ziógo mi, no’ ziogàte gnanca
voialtri!” ZAN ZAN a spacàre còi sòcoli dèl caval
tüte le statue de creta.
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Tüti i fiulìt che piagnéva... tirava bale de mota contra
el fiòl catìvo, ma i soldàt coréndo a caval criàva “Via!
Fœra! Andit fœra, via! Che ól pòl fare quèl che el vòl
quèl, parchè l’è ól fiòl dèl parón!”
Le mame che vegnìvano fœra de le finestre “Catìvo!
Un ziógo sì bèlo... che no’ costava gnénte... i nostri
fiòl i éran contenti...” E i soldai: “Via madre! Via che
ve ‘riva le lanze!” PFIUM PFIUM! tüte le finestre
seràde.
Int un mumént la piàsa l’è vòda.
Gh’éra restà soltanto ól fiolìn dèl parón sul so’ cavàlo
negro, coi soldati che i rideva.
Nesciùno s’éra incorgiüo scorgiuo che visin a la
fontana gh’éra restat ól bambìn Jesus, coi ögi grandi,
impiegnìdi de lagrime... che ól vardava verso ól ziélo
che ól s’era impiegnìdo de nivole. E ól comenza a
ciamàr so’ patre e in dèl momento che ciàma ól Padre
se ferma tüta la vita, se ferma ól tempo... tüti i restan
‘me statue. “PADREEE!” Le nivole se dèrvono, se
mòve a scrocognón deréntro ol ziélo BROOMMM!
“PADREEEE!”
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“Se gh’è?”
“Padre son mi, to’ fiòl, Jesus Palestina!”
“Te recognósso! Còssa t’è capitàt?”
(Trattenendo a fatica le lacrime) “Ehhh, quèl bambìn
lì l’è cativo, gh’ha s’cepà tüti i figurìni de tèra che
noàltri gh’avémo fato per ziogàre...”
“Ma caro bambìn, per ‘na stupidàda cusì té gh’ha de
far ciapàre un spavento cusì grando a to’ pare. Che
éro de l’altra parte de l’universo, son ‘rivàto de corsa,
gh’ho sbusà quasi dosénto nivoli, gh’ho tirà sóta
dódese cherubini, mé son sturtà ól triangolo che ghe
vór una eternità a ripiasàl a l’órden! No’ té
vergogni?!”
(Singhiozzando)“E ma lü l’è staìt catìvo... gh’ha
s’cepà tüti i zióghi... noialtri éremo contenti...
s’tepaàdo tüto... gh’avevo tanto fatigà. Eco!”
“No’ gh’ho capìt nagòta! Parla ciàro. Cosa l’è
capitàt?”
“L’è capitàt che co’ la mama e anca Giüsèp sémo
‘rivat a Jafa...lori i van a lavorar... EHH... e mi resto
soléngo... IHHH... alóra sónt andaìt... in té la piàssa...
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a gh’éra che i bambìn... AHHHH...Loro i ziogàva e
mi: féme ziogàre anca mi a lo ziógo... Va via
Palestina Terùn! E alora mi... IHHH no’ éro capaze
de restà sénsa ziogàre... ‘na tristìzia da morìre...
AHHHH... E alùra gh’ho pensàt... Fo’ un miracolo...
uno picolo... quèlo de far volare i osèli che l’è fàzile e
mé riésse sempér bén... AHHH... gh’ho fato volare...
Vün diseva no’ è vera... quèl Tomaso che rompe i
cojón... AHHH e tüti i dise: bòn Palestina, cap dei
zióghi... dei uselón tremendi... dopo i éran contenti! E
adèso són de nòvo solo come prima... che tüti i amìsi i
son scapàti... EHHH.... Gh’ho un dolore Padre... un
dolór tremendo!”
“Oh té gh’ha rasón. A debio dire che ól spacàre, ól
s’tepàre sogni e zióghi de plager, de fantasia o l’è
propri o pejór de tüti i pecàt. Ma cerca de capire,
quèlo l’è pìcolo, no’ capìsse.”
“Capìsse! Capìsse! Quèlo l’è catìvo de natüra... L’è
grave perìculo lassàrlo diventare grande!”
“Va bén, démoghe un castìgo. Che castìgo té vòi che
ghe daga?”
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“Màsalo!”
“Ah... cominçémo bén! Th’ho mandàt giò dal ziélo in
tèra per imparàghe la pace fra i òmeni, parlàrghe
d’amore, far che la zéente che normalmente se dà
sgiafàde ‘stavolta i cristiani se rocognósse bén ciàro
perchè se sgiàfano sübit l’altra facia e una sgafàda e
se dan sgiafàde da la matina a la sira e i è contenti ‘me
dio... e ti té arìvet al primo momento: màsalo! No’ té
vergogni?”
“Eh ma quèlo lì l’è stàit catìvo, m’ha dàit un dolór...”
“Ma perchè té mé ciàmet mi per fà cativerie? Te sèt
Dio anca ti... picolo, un deietìn. Perchè té mé végne a
ciamàre a mi? Te vòi fare anca ti de manéra che la
zénte dise: ól Padre l’è catìvo ma ól fiol l’è bòn! No,
té lo fàit ti e no’ vegnìre a ciamàrme che mi gh’ho
altro de fare!” BRAAAMMM Tüte le nìvole che se
sèran, tüto ól ziél devénta ciàro, ól bambìn fiöl dèl
parón ól ride de nòvo e anche i sbiri a ridón tanto che
i sé pisa adòso. Ól bambìn fiòl de Déo va visìn e ghe
dise: “Te ridèt ti, eh? Perchè té sèt tranquìlo che
nisciün té pòl castigare, eh... E se adèso ariva vun e té
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castiga?... Mi par ecsempio!... Son tròpo pìcolo? Ah...
no’ son capàze de darte un castigo? Ah sì? E se mi té
fülmino?... Ah no’ té ghe crede eh?” BRUAMMMM!
Un lampo de fògo ghe sòrte da i ögi che arìva e ól
ciapa ól bambìn fiòl dól parón e lo lanza per aria cól
rosso de la tera dentro una fornase BLUOC!, rosso,
giallo... un bambìn de tèra fumante! I sbirri “Ahaaaa!
Ól fiòl dèl diaól!” via che i scapa e tüte le done a la
finestra “Ól stregon! Fiòl dèl diàolo!” Séran tüte le
finestre.
La Madona co’ stava a resentà a la fonte, sente criàre
a ‘sta manéra, va coréndo: “Jesus còssa l’è capitàt?
Perchè la zénte grida de ‘sta manéra?” “No’ so mi.
Éremo chi che sé ziogàva... Varda mama, gh’ho fait
ól mé primo miracolo... l’è ancora caldo!” “Un
bambìn de tèra? Te l’hai faìt ti?” “No, no, l’è lü
giusto... a l’éra catìvo, m’ha faìt ziràre... dopo che
m’ha s’ciepà tüti i zióghi... gh’ho fàit dèl fògo... ghe
lo sbrusà!” “Còssa?! Ma no’ té vergogni? Déo che
cruèl che ti è! Pensa còssa capiterà a la so’matre
quando ghe porteràn ‘sto bambìn su le ginögia... le
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lacrime de sànguo che ghé sorteràn... e ghé dirano:
“L’è stait ól fiòl de Déo, ól Palestina... Té coménzi
bén! Resùsitalo!” No!” “Resùsitalo sübit!” “No’ sé
pòl far una roba che sübit débio resusitàrlo! E pœ
no’son capàze... mi gh’ho imparàt soltanto a
fulminare... no’ son ancora capàze de resuscitàre
mama!” “No’ dir busìe, falo per mi... per i mée ögi,
par ól dolore che to mé procüra con ‘sto bambìn.. àbie
pietàt!” “Mama no’ piagnére... basta de piagnére. A lo
resùito... ma con ‘na pesciàda!” (Mima di sferrare
una terribile pedata al bambino disteso a terra)
PAM! Una pesciàda al bambìn fiòl dèl padrón cól
végne in pie... sé sgretola tüta la tèra, ól sangue ól
comenza a andà, ól respira, ól respira, o l’è vivo, i ögi
i sé ingrandìsse, se mète i mani su i ciapi...
“Té sèt vivo!” “Cos’è capitàt?” “Te gh’avevo
fulmenàt... e pœ... rengràssia la Madona!
Te sentet dolore chi ai ciapi, eh? Té devi imparar che
no’ è con la prepoténsia cge se guadàgna in té la
vida... perché un ziórno o l’óltro ‘riva qualchedün che
té ciapa a pesciadi in tèl cül!”
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Ci vuole un raccordo finale
Là in fondo ariva deréntro un negro co’ è su un
camèlo griso e de drio a gh’è un bianco cól bruacha
su un cavàlo negro: “Oh che bèl che bèl che bèl che
l’è andare sul camèl che bèl che bèl!” “Bastaaa!” “Oh
che bèl che bèl che bèl...” “Basta!”
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IL PRIMO MIRACOLO DI GESU’ BAMBINO
ULTIMO
Quando in tòl ziélo grando e scüro e pién de stèle, de
bòto, come fülmine, l'è 'rivàda la stèla cuméta con 'sto
grande cuùn sbarluscénto de fògo sbarlazàndo 'me un
serpénte immatìdo cól balo de San Vito… e l'è
piombàda deréntro a 'sti lumini de stèle cupàgn d'ón
scurbàt-pipistrèll a spampignà un fròtt de lùciole
stremìde… 'ste pòre stèle i se metüe a criàr: "E ma chi
l'è quèsto? 'Craménto!" E 'sto stelùn spricutàva e ól
tornava indrèe, scumparìva de luntàn, segnàva 'na
gran scia che 1'éra proprio el camìno per i Re Magi.
Infàti a gh'éra tre Regi e Magi che i veniva de luntàn,
fin dèl'oriénte. El pü vègio di tre Magi a l'éra un Rè
con tan de corona d'òra in testa, i cavèli bianchi e una
barba grisàda. La fàcia ingrognìda, un nass a bèch de
catìvo che ól biastemàva e trava sacraménti perchè ól
gh'avéa dei bugnùni sul cül che a ògni selàda: toc!, se
schisciàvan de farlo criàre.
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A ghe n'éra 'n'altro, zóvane, muntà sü un cavàl bianco,
in testa la corona indóva ghe spontáveno risulìn tüti
d'ori e sótta dòi ögi celèstu e sémpre la bóca gh'avéa
un sorìso. E un terso ghe n'éra, terzo Re Magio muntà
sü un camèlo: un Magio negro... un negro, ma cussì
negro, che contro a 'sto camèlo griso che montava,
pareva più bianco dèl cavàlo bianco dèl Magio
biondo. Bèlo de fàcia e tüto ridénte de quaranta
dencióni luzénti e con dòi ögi che sbalusciàva nel
scüro a luminàre. E sémpre sóvra al camèlo andava
cantando. E ól cantava de contìnua, 'sta tiritéra:
"Oh che bèl, che bèl, che l'è andare sül camèl!
Che bèl, che bèl!
Un saltèl, do' saltèl sü le goebe dèl camèl!
Oohh che bèl, che bèl el camèl che va a Betlèm,
Sóta el lüm de mila stèl.
La cométa che a cumpàgna
giüsta fin a la capàna
e la Madòna che la nina
el Bambìn che piàgne e frìgna
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e Giüsèp che séga, séga.
I angiulìt che i vóla e i préga.
L'asinèl e ól boe che i bòfa
el camèl che sgamba e ól sgròpa
balzelóni, vah 'm' el tròta!
Oh che bèl, che bèl, che bèl
che l'è andare sül camèl!
De gran lónga pusé bèl
ch'andar sül cavàl
sul cavàl te scròla i bal
che no' te càpita sul camèl
che bèl, che bèl, che bèl!"
"Baastaa, baastaa! - el vègio Re Magio ól biastemàva
- Ma no' se pòde! O l'è quatro ziórni e quatro nòte cól
canta che l'è bèl andare sü 'sto camèl!"
(Il Re Magio nero riprende la tiritera)
"E per fòrsa che me tóca cantare
in sül camèl per farlo andare
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perchè se mi no' ghe canto
el camèlo s'indorménta.
S'indorménta, burla par tèra
s'impantéga e mi stravàco
cól camèl che mé sbraga adòso
e ghe rèsto tüto schiscià!
Sì che canto sul camèl!
Oh che bèl, che bèl!
Cossì arìvo a la capàna
co' la Madòna che la nina
San Giüsèp che ól séga ól séga
ól Bambìn che ól frìgna e piàgna
i angiulìt che i vóla e i préga
el camèl che sgròpa e ól tròta
oh che bèl, che bèl, che bèl!
Sóra el camèl bisogna che canto
anca per dàrghe un po' de ritmo
perchè andare sul camèl no' l'è come in gròpa dèl
cavàl
che ól cavàl va cól galòpo
e ól camèl ól sgamba a tròto
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sciàmpe ambàde una d'avanti e l'altra de drìo,
che se no' se dà el bòn témpo
se intupìca de 'na gamba
se scarpüscia e ól và de sciàmba
borletóni el va, se stciànta
e mi, sóta de roèrsa
tüto schisciàto dal camèlo!
Oh che bèl, che bèl, che bèlo!
Dàrghe ól ritmo e farlo balàre
che a Betlèm mi vòj arivàre, cól camèl.
Oohhee che bèl!
Oohhee che bèl!"
"Basta! - ól crìa desperàto ól vègio Re Magio - Te
magno vivo! Te pélo via tüto el negro e me magno el
bianco de déntro! Te lo magno intiéro!
Già, l'idéa de far venir anco un Re Magio négro,
parchè doveva èsserghe tüta l'umanità! Poteva mìga
tiràrghe aprèso uno giàldo, rosso, coi balìt?... No,
negro! E poe co' 'sti ögi bianchi c' gh'ha, co' la
sfèrsula negra in mèso... che quando gh'è scüro ghe
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végn rossa ch'el par 'na bèstia feróce. Che l'altro
ziórno sunt andà in campagna, che gh'avéa dèi mè
bisogni un po' de corpo de fare... e me sont tirato giò
le bràghe... perdonéme se ve la cónto... éro a metà
scrusciàdo sü i ginögi, proprio in quèsta posisiòn,
quando te vedo devànti a mi dò ögi de bèstia!
Me sónt cagà sóra le braghe!
E poe l'éra lü ch'ól cagàva devànti a mi!
El cagàva ma nól cantava!
L'ünica vólta che nól cantava: "Oh che bèl, che l'è
cagar sénza camèl!"
In quèl moménto la stèla cométa la fa' una svoltàda
'me un fülmine e de bòta la se ferma in mèzo al ziélo
blucáda. "Cus'è sucèss cus'è?"
E ól negher ghe da la rispòsta con una bèla cantàda:
"La s'è fermàda per ciapà un po' el fià!
El voer dì che sèm arivà!
'Rivàti quasi a Betlèm, che bèl, che bèl!"
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Disperà, ól Rè Magio vègio ghe da de spròn al sò
cavàlo e ól va via come un mato e a drìo, sübito, el Re
Magio negro a seguitàrlo e tüti e dòi i va in fondo nèl
scüro e i scompare... i scompàre ma se sénte sémpre
più baso: "Oh che bèl, che bèl!" - "Basta!" - "Oh che
bèl... " - "Basta!" (Porta la voce quasi a spegnersi
sempre più flebile in lontananza) "Oh che bèl!" "Basta!!"
E poe un gran silénzio!
In quèl, de bòto in dèl ziélo, se vede un grande
anzolón che aparìsse, co' dei cavèi tüti svarulénti de
bòcoli che cól vénto i sbanderàva... Un gran cerchión
d'oro tacà, inciudàd, sü la testa. Vestìdo de séda che
cól vénto i sbratacàva come vele slasàde. E de
travèrso, chì sül stòmego, 'na grande svérzula de séda
con scrito sopra: "Angelo!"
Apòsta per quèi che no' capìse subito.
E 'stu angelo, co' 'ste grande ali tüte coloràde, andava
vdo 'me 'na poiàna treménda nel ziélo. El vegnìva giò
a pigna-morta a raspà la tèra e ól criava:
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"Omeni de bòna vólontàaauuuaaauvvvv, venì ch'è
nato el redentoreeeeaaaauuuuuuuaaaaaavvv!"
(Mima la picchiata con volo radente dèll'angelo)
Con tüti i pastori che se bütàvano per tèra spaventà!
"Oheee... ma te sè mato! Te vo' schisciàrghe? A t'è
spaventà tüti i péguri... che ghe andà via anca el
late!"(Mima un'altra picchiata dèll'angelo che per
poco non lo travolge)
"Almànco te capitàsse d'andàr a sbàtere contra la
montagna a scarcagnàrte el çerción fino al còlo, a
spantegàrte tüte le piüme dapartüto. Ga1inàsso!"
E i pastori se metéveno in camìno per andà a la
capàna e ghe portàveno tüta la roba de magnàre el
redentore. E chi ghe porta dèl formàjio, chi che ghe
porta un cavrèto, dèi conìli, un altro de le galìne, e chi
ghe porta dèl vino, de l'óli, chi che ghe porta le póme
còte e le torte coi maróni. E po' ghe ne sónt de quèi
che arìvan co' la pulénta apòsta de la bergamàsca. Cu'
la pulénta fumànta de lontan! Roba che dàrghe de la
pulénta a un bambìn apéna nascìdo, ghe vòl una bèla
testa de cojóni!
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Ma i dise: "Bisogna far el presépio!"
Sant'Ana, ne la capàna, metéva a pòsto tüti i dóni che
ghe 'rivàva. Che tüta la stala l'éra piéna de roba de
magnàre, l'àsino l'éra tüto covèrto de pachi e fagòti
che ghe spontàva fœra solamente la crapa a mèso
sofegà.
La vaca l'éra covèrta che no' se vedeva più. Galìne,
formàj, salami, botisèle dapartüto che paréva d'èsere
al merca'!
Arìva i Re Magi, i se ingenögia. Gh'è el vègio che el
porta el sò regalo, poe el giovinèto e poe arìva dentro
el negro...
"Ohi che bèl, che bèl, che bèl!
Ól Bambìn nèl cavagnèl!"
"Fœra negro, via, cito! Spavénta no el fiulìn. Canta de
fœra!" el vousa el re vègio.
In quèl moménto se sénten i suldài ch'arìven: i suldài
che van in tüte le capàne a védar se l'è nato ól
Redentore, per 'masàrlo. E alóra, l'angiolón se para
d'inànzi a la capàna in dove gh'éra la Madòna e ól
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Gesù Bambìn con un treméndo sciabolón! Arìva i
suldài, e quèl che sta davanti el sé blòca: "Férma,
vardé d'inànz a quèla capàna che sacraménto de
angelo che gh'è lì, via che el ne spaca in dòi! Via, via
scapare!"
E in quèl moménto nèla cità, (mima di battere sul
tamburo) patatum patatum patatum un banditore: "Ehi
ascoltè mame, ascoltè dòne! Chi è che de voiàltre ha
fàit nàser in 'sti tre ziórni un fiulìn pòle èser conténta,
parchè ól re Erode ól ha desidìo de darghe un prémio
al pü bèl bambìn che e nasciüdo. Portélo a la réggia e
ól re, al bambìn pü bèlo, donarà 'na curoncìna co' sü
scrito: "Oh come l'è bèl 'sto bambìn! L'è un putèlo
quasi plü bèlo d'ól fiòl de déo!" E anca la dòna che
l'ha purturìto o gh'avarà 'na curóna con sóvra stampà:
"Quèsta l'è la mama che l'ha nascìo 'sto bambìn, bèl
mé Dio!" "Sant'Ana che l'ha 'scoltà 'stò bordèléri, l'è
andàit sübeto de la Madòna: "A gh'è un prémio,
'ndém, porta sübeto ól t'ho fiolìn al concorso." - "No
che no' lo vòjo el premio. Mi no' gh'ho besógno
d'avérghe consolaziùn altri che quèla che gh'ho già
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avüdo!" "No, no, gh'ha importànsa! Besógna che ól
sàpia tüto el mondo. Ól premio donà dall'Erode non
po' catàrselo 'n'altro fiòl! Andémo, andémo! Ubbedìse
a la tua mama!"
E fan per sortìre ma po' ghe repénsa e i dise: "Aspèta
che andémo a tór dèi nastri per farlo plù bèlo ól nostro
bambìn e ti Giusèpe, daghe un ögio al fiulìn e sta
aténto che no' ghe capita quaicòs."
Vano fœra e, sübeto San Giusèpe ól pianta lì de
ségare e dise: "Chì ghe deve èser 'na trápula, mi sénto
che gh'è 'na trápula. Gesù Bambìn, cosa te dìset ti? "
E Gesù Bambìn che l'éra già inteligénte ól fà: " Sì,
sì..." e schìscia l'ögio.
Alóra San Giusèpe ól tira fœra un biciér dove gh'éra
dentro de la ròba negra per pitüràr i cadenàsc. Cunt
un penèlo tac, tac, tac, fa dèi puntini in tüta la fàcia al
fiulìn c'ól faséva i grimàsi p'el galìtico.
"Fermo li!" poe ól se remète a ségar.
Torna Sant'Ana e come la vede ól fiòlin : "Ohaiooh!
La rosolìa!... La rosolìa negra! Quel negro che l'è
vegnü dénter l'ha spaventà ól Bambìn!"
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Pœ ciàpa un strascio fru, fru, fri, nèta, nèta, e ól
bambìn devénta tüto netàto, pulito. "Qualchedùn
gh'ha pitürà dèi balìt sül so' facìn dèl Bambìn! Chissà
chi l'è stado?" San Giusèpe che el segàva: "Su nò mi,
su nò mi." "Ténto ti, cun quèla séga, che mi te ségo
via quaicòss d'altro, óltre che ai corna!" Catìva che
l'éra Sant'Ana!
Pœ lée e la Madòna van foéra de nòvo a tór dèi
inguénti per darghe un bòn parfümo al fiolìn: "Sta
'ténto che 'ndémo fœra, varda che se capita quaicòsa
al fiolìn la cólpa l'è tùa!"
San Giusèpe apéna che i dò dòni son sortìde fœra, no'
sa cosa fare... Scòrge sü un muro un bestiolìn... tüto
rigàdo giàldo e negro, una avìs, un ape granda, che
l'éra pussè come un vespón. Cata un biciér... Toc...
Cól biciér l'imprigiona contro ól muro... presón! Un
asèta. Soomm! Ghe tòpa sóra l'òrlo! (E l'imprigiona
nel bicchiere)
(Al bambìn gesù)"Scüsa ma dévo farte dar 'na
cagnàda propi sü la ganàsa. Tum! Ploff! (Indica un
immediato rigonfio sulla guancia del bambino)
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Adèss, dal'altro parte: Toc! Ploff! Tum! (Indica un
rigonfio che spunta sull'altra guancia) Tum! In sü la
fronte! (Come sopra) La trinità dei bugnoni!"
Pœ, come non fosse, ritorna a far mostra de ségare.
‘Riva deréntro Sant'Ana: "Aaahhh Dio! Varda lì.
Come l'è cunsciàto... Ooeehh cos'è capità? Che
mostro! Varda lì!"
"Ma no' 'stà a piàgner, l'è ròba che va via quasi sübit,
dò mesi al màsimo!" el dise Giusèpe.
"(Indicando i bernoccoli) Cos'è?" "L'è el dénte dèl
giudìssio!"
"De tüte e do parte?"
"Sì."
"Anca in
fronte?" "Se no' gh'ha in testa lü el giudìssio!"
Piange la Madòna, piange Sant'Ana.
"Che desgràsia proprio adèso, che gh'éra un bèl
premio de guadagnà, doveva capitàrghe 'sti trè dénti
dèl giudìssio ! No' podarémo più portarlo da l’Erode,
tanto che l'è mostruoso."
De lì a un poco, fœra per le strade, se sént a piànzere.
Se sénte criàre desperàde de le dòne, tüte matri, coi
so' fiulìt insanguinàti, tajàti a tòchi.
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"Aahhaa! A l'éra 'na trápula! L'Erode, apéna sémo
stàe ne la córte, l'ha fàit seràr tüti i porti. E i soldài
sunt vegnü deréntro a masàrghe tüti i fiulìt... 'Na
tràpula l'éra! Tüti masàdi!"
Alóra Sant'Ana l'ha capito: l'è andàda par tèra in i
ginöegio. Anca la Madòna. E tüte e dòi criàva:
"Grazie Déo, iluminàto con grande mente de
inteligénzia! Ti t'è vorsùo salvàrghe, con quèsta
desgràzia finta d'i bognùni, 'sto fiolìn che no' 'rivàse in
le sgrinfie de l'Erode. Oho! Che ménte! Che trovàde
che te gh'hai Déo!"
E San Giüsèpe cól segàva de ràbia, cól segàva anca ól
cavalèto, biastemàva: "Cussì, sémpre, sémpre cussì! el diséva - Quando un òmo ól gh'ha 'na pensàda de
zervèlo, poe tüti, ringràsien Déo, che no' gh'ha fàit
gnénte!"
In quèl mentre vién dentro un anzolo, gridando:
"Fœra, fœra - dise - baterìa!" - "Come bateria!?"
"Traslòco! Via, scapàre!" "Dove?" "Fuga in Egìto!"
"De già?!" "Sì, gh'è tüti i soldài de fœra che ve çerca."
"Aspèta, 'ndemo a tór un carèto - dise Sant'Ana - per
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caregàre tüti i regali che gh'han portà."
"Gnénte
regali, no' se porta via niénte!"
Dise la Madòna: "Eh no, i mè regali li vòjo cara, i mè
regali per ól fiolìn, che quando devénta grande... " "
(a San Giüsèppe) Tira fœra l'áseno!" - "Ma no, no dise San Giusèpe - no' se pòl caregàrlo 'st'áseno, a l'è
quatro ziórni e quatro nòti che el bófa, l'è sfiatà
compàgn d'una lugànegha insechìda!"
'Gnìva avante infàti 'sto ásen, inciochì che no'l restava
in pìe, ghe se slargàva i giàmbi apéna che ól
caregàven. Caregàven tüti i fiaschi, i ótri, caregàven i
formàj, pachi e fagòti. E 'sto ásen: wwumm!
Wuwmm!, el 'ndava sóto, slargàva i giambi, la
pànscia per tèra. A gh'è la Madòna che monta in còpa
al àsen, insentàda cól fiolìn in bráscio.
"Madòna - ghe diséva San Giusépe - ven gió, nòl sé
po' mòvere… el mòre!" "Ma no' pòdo caro, chè tüta
la zénte l'è abituà, durante la fuga in Egito a vedérme
che mi son sentàda in sü
parténsa!"
l'áseno in fin da la
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E alóra San Giusèpe ól se mète sóta a l'áseno, caréga
l'áseno in gròpa e van via tüti insémbia. Dòpo do
ziórni, trè ziórni, tüta la sacra famégia 'riva davànte a
Jaffa. Jaffa bianca co' tüte le tóri altìsime,
maravegióse. E sübito l'ànzelo ól vóla in ziélo, ól fà
un gran cerchio vdo. E l'àseno ól tira sü la testa...
Iiiaaaahhhhhhhhh! (Imita il ragliare dell'asino)
Pprrrooofffff! Slarga le giàmbe, POM, la pànscia par
tèra. Una slòfa dèl cül: pluff! L'ànema de l'àseno la va
in ziélo.
La Madòna de in còpa a la bèstia spiràda, la varda:
"Pòvara bèstia a l’è morta!... Segno de Dio, voer di'
che sémo 'rivàti!"
Van drénto a la cità, tròveno 'na stambèrga, tüto un
büso, che, dèl confronto, la capàna de Betlèm a l'éra
'na réggia. Giusèpe ól tòpa i büsi. La famégia se mète
a dormire.
La matìna sübeto, la Madòna la ciàpa 'na cavàgna, 'na
cesta e la va intórna a cercar pagni de lavare, perchè
besógna che jüta anche lée' la faméja. San Giusèpe
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andava intórna cól martèl, la séga e ciòdi per truà de
fare mestè.
El fiolìn in mèso a la strada.
La séra la Madòna l'arìva, morta roversàda, con tüta la
stcéna spacàda, róta.
La se sèta ancmò bagnàda, straca. E San Giusèpe vién
de fœra imbestià chè no' gh'ha truvà lavór d'un sóldo.
Se punta 1ì cól martèl sul tàvul: Ptum! Ptum! Ptum!
Ptum! El pica sóra i didi, che quèla l'è l'üniga manéra
de sfogàrse che gh'han i legnamèe. 'Riva dentro ól
Gesù Bambìn cól mücc giò dèl naso, fin sü la bóca,
tüto strapenàdo, con le mani vónce, le braghe de
travèrso, sénsa gnanca 'na scarpa ai pìe.
"Mama! A gh'ho fame!"
"Bèla manéra che té ghé de vegnìr a casa! Invece de
domandàrghe sübet dèl to' papà, de la tòa mama se i
son cunténti, o fategà... Perchè te déve far cossì, eh?"
"Eh, mama, ma mi gh'ho fame!"
E la Madòna: "Ma non ti gh'ha vergogna? Proprio ti
che te sèt vegnü apòsta dèl ziélo, che te sèt nasciüo al
mondo apòsta per insegnàrghe ai altri a èser bòni…
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avérghe amore e avérghe bòne paròle per tüti... e
proprio ai primi dòi cristiani che té ghé déve dar
respècto, ti te arìvi a gnanca saludàrghe!"
E Gesù Bambìn: "Oheu, la madòna!"
Sbianca la Madòna e Giusèpe anco! Se mète a tavóla.
"Fiulìn va' a lavàrte i man, nétate i mòcoli dèl naso,
mètese un po' i cavèli a polìto. Va' i bócol... cussì!
Fate el segno de la cróse! No, aspèta, l'è un po' tròpo
presto!"
Oh, Giüsèpe, dighe qualcósa al to’ fiòl… l’é al to’ fiòl
anca lü!! O no?
Chi l’é al mé fiòl?
Pœ el Bambìn ól dorme. Dorme la Madòna, dorme
Giusèp.
La matìna Gesù se desvégia, el resta da per lü, sólo,
no' gh'è nisciüno. Alóra se mète sü le braghe, mangia
un tòco de pane, va intorno dove che gh'è la strada e
vede tüti i bambini che ziòga: cavalìna, sgiàfa a
nascundùn, tòpa falsa...
"Ehi, bambìn! Féme ziogàr anca mi ai vostri ziòghi!"
"Nò!" "Vo' sóta mi! Fémo la cavalìna. Anca a la
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sgiàfa" "No! Va' via, Palestina!" "A córere? Viàltri
me corè drio. Fémo el ladro. Mi fò ladro?"
"No!"
"Ma perchè?" "Via, Palestina! Terün!"
El fiolìn piange. Piange ól Bambìn coi ögi grandi che
cóla' gotón de làgrime. E pur de avérghe la posibilità
de ziogàr, de far festa, de far ziògo e fantasia coi altri
fiolìt, el fa un miracólo. Che la sòa mama
gh'avéasémpre dito: "No' far miràculi intorno, che i té
scopre, che se i capisse che ti té sèt ól fiolìn de Dèo
arìva i sbiri de l'Erode e ghe tóca scapàre de nòvo!"
Lì, in de la piàsa, gh'éra 'na fontana. E tüta intorna la
tèra... de la tèra créta, de quèla che se 'dòpera per fare
i matóni. Jesus Bambìn ól ciàpa sü un pagnòco de tèra
e ól ‘comincia con 'sti didìni a lavuràrla: el fa fœra un
crapìn d'osèlo poe tüto el corpascìn con le aletìne, la
côa, poe le piüme, fine, fine. El cata sü on bastonsìn
per farghe le sciampìne... "Bambìn, varda che bèl
osèlo de mòta che gh'ho fàito! De tèra l'è!"
"Oh che bravo el Palestina, végne apòsta de lontano
per farghe vedere l'uselìn de mòta... oh bravo!" - "Sì,
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ma mi sunt capàze de farlo vólare!" "Come?" "Ghe
fo' 'na bufàda..." "Fà vedé?"
"Èco! (Soffia con forza) Pfffuuuuu!"
e l'uselìn ól
dervìse tüte le piüme e le ali se desténde, sbate, sbate:
ciup, ciup, ciup, ciup, viricip, ciup, viriiii, cip! (Con le
sole mani mima l'uccello che svolazza intorno fino a
scomparire nel cielo)
"Bòja, che drago el Palestina! Che stregonàsso! Ohi,
l'ha fàit volàr l'usèl de mòta co' 'na bufàda. De tèra
l'éra!" "No' l'è miga véra!" "Com no? L'ho vidùo
mi!"
"Ma l'è un trüco vègio 'me la Madòna: lü l'ha
catà un uselìn de quèi inturpicà che l’é burlà giò da
'n'albero... l'ha catà sü... poe l'ha sguatascià ne l'àqua...
dòpo l'ha sfrugugnà un pochetìn ne la tèra.. poe l'ha
metü sóra la man, gh'ha bufà in tèl cül: brivido... vce,
vce, vce... l'è vulà via!"
"Ma no, l'ho visto mi, l'éra
pròpio de tèra! Dai… Faghe védar, dài Palestina...
'n'altro tòc de créta, avanti via, mœvess... (mima come
fosse Gesù bambino di creare un uccellino) dai che l'è
fato... via co' le alète... Dai, bufa!" - "Spèta!"
"Chi?"
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'Riva un fiulòt, un bambìn, co' 'na gran testa tüta
risulìt négher: "Fermo, verificare!"
"Chi sèt?"
"Tomaso!"
"Tomaso? (Alza le mani, arreso di fronte alla
consuetudine e al personaggio) Come no' dito!"
Tomaso ciàpa un ciòdo... sum sum sum... sbüsa
l'oselìn de tèra: "Regolamentare, vai!"
"Aténti che bóffi!" (Soffia) Ppfffuuuuuuuu... (Mima
nuovamente il volo dell'uccellino)
cip, cip, cip,
cipcipcipcip!
"Vóla! L'osèlo vóla! Bravo Palestina! Caro, come te
vœri bén! Toh, un basìn! Ma perchè te se stàit luntàn
cossì tanto témpo? Che giògo che fémo! Adèso
ognuno ól fà un osèlo... e ti, poe, Palestina: pffuuuu!,
bófa e fa vólar i nostri osèli!"
"Dai Palestina! Che bèl Palestina che te sèt!" vusa tüti
i fliolìt
E tüti gh'han ‘cominciàt a far dèi oselón. V'un gh'ha
fàit un panotún tüto tondo co' ‘na côa drissa, con dèe
alète quadri, con un gran crapón che burlàva giò, poe
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l'ha fàit dò giambìne, tum... el burla giò... ghe n'ha
metü quatro, poe cinque zampe.
"Ma no' se pòl un osèl de çinque zampe!" ól dise
Jesus
"Se no' stà in pìe... Importante che vóla, no?"
Pœ 'n'altro, 'na lugànega, una bissa, 'na bissa salàma,
con dodése ali in fila, sénsa la côa, dódese zampe.
"Lè un cagnòtto..."
Pœ 'n'altro l'ha fàit un bugugnùn... paréva 'na torta, co'
la testa drissa in mèzo, sénsa còlo, el bèco su sü... e
tüte le ali, tüte scompagnàde, tüte intorno. E sénsa
giàmbe.
"No' so se el vóla, vedarèm..."
Pœ, 'n'altro, gh'avéa fàit dèi oselìn che pareva de le
cagadìne.
Pœ 'n'altro un strunsùn.
E l'ultimo, un gato!
"No' se pòl far vólare un gato!"
"Se vóla quèl strunsùn là, vólerà ancha el me gato!"
"No, ma i gati no' se pòl far vólare. Un po' de régóla!"
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"Mama! El Palestina no' vól far vólar el mè gato!
(Mima la madre che si affaccia al balcone e
grida:) Fa' volàr sübeto el gato d'el mè fiòl, Palestina!
Se no, vegni giò e te inciòdo!" (Mima il bambino
Gesù che si osserva preoccupato le palme delle mani)
"Tüti i oselón, tüti in fila!"
"Via, che el bófa!" (Esegue una soffiata panoramica e
mima via via il volare strampalato dei vari uccelli)
Pffuuuuu... El pagnutùn: quac, quic, quoc, qua, te, pu,
qua, te.
Pfffeeee... La lugànega: pici, pete, qua, te, ce, che , se,
te, pe.
Pfffeeee... La torta: psu, pse, psu. Pfuuuu... El
strunsùn: pce, pque, pte, pci, pce. El gato! Pfuuu
gniaaaaoooo gna gnum gnam! Magna tüti i osèli dèl
ziélo!
"Ohi! Che bèl, che rìdare a stciepapànza!"
"'N'altra uselàda, avanti tüti inséma!" Tüti che fan i
osèli.
Végnen anche dai altri quartiéri, tüti i fiolìt. Tüta la
piàssa piéna de fiolìt che i ziòga, i ride, i canta!... fan
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pastròchi con la tèra, tüte le statuète... osèl de tüte le
forme e culóri che i vola.
Ma in quèl moménto: trac! Se spalanca el portón de la
gran piàssa. E se vede 'parìre un cavalìn negro, tüto
bardà, bèlo, con sóvra, a montàl, un fiolìn tüto
rubisón, con dei öci sbricón, con i cavèli bén petenà...
le piüme sül capèlo, vestìt de velùto e de séta, con un
coletón de pisso. E gh'éra dòi sóldati d'aprèso: el
sovrastòmego de fèro, piüme anca loro sul capèl,
montà sü dòi cavàli bianchi.
Quèl bambìn l'éra ól fiòl dèl parón de tüta la cità.
(Mima il bambino che, dal cavallo, si rivolge con
arroganza ai ragazzini del quartiere)
"Ehi fiolìn, che cosa ziogàte?"
"No' far mostra de gnénte, Palestina! Quèlo l'è un
rompicojón. L'è ól fiòl d'ól parón. No' darghe trà. No'
darghe corda, fa' finta de gnénte."
"Mé dit a còssa state a jocàndo? Pòso jocàre co'
voiàltri?"
"No!"
"E perchè, de gràssia?"
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"Cussì! Perchè tüte le vólte che noialtri domandémo
de ziogàr con ti, fiòl dèl patrón, coi to' cavàli per far
un zirèto, ti té dise no! Perchè tüte le vólte che
vegnémo a casa tua, che té gh'è de gran ziòghi, té ne
fàit descassàre da i to' sbiri! Noiàltri adèso gh'avémo
un bèl ziògo, el più bèl ziògo dèl mondo, ma el
Palestina, che quèl l'è al cap dèl ziògo, l'è nostro. Ti te
se sióro ma no' te gh'e ól Palestina. Palestina l'è par
noàltri. Vero Palestina? (Mima di baciare Gesù)
Pciu, pciu! No' té n’andar co' quèlo ah? No' fa el
Giuda, ah?!"
"Ma se pòl savére che ziògo l'è?"
"Sì, che té lo digo... Noiàltri fasémo i uselón. Pœ ól
Palestina, bófa e i fa vólare. Ti vól ziogàre anca ti?"
"Oh sì!"
"Bòn, tira fòra el to' oselìn, bófaghe sóvra, e védom se
ti è bòn de farlo vólare!" (Gran sghignazzo corale)
Rosso, inrabìto, co l'éra ól fiolìn dèl padrón, co' i i ögi
fœra de la testa. Gh'ha catà 'na lanza dèl soldàt, gh'ha
dàit de spròn al so' cavàl, l'è 'rivàt in mèso ai fiòl
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criàndo 'me un mato: "Se no' ziògo mi, no' ziogàte
gnànca voàltri!"
Zan, zan, a spacàre coi zòcoli dèl cavàl tüte le stàtue,
tüte le figürine de créta. Tüta la tèra spacàda. Coi
fiulìt che piagneva... tiràva bale de mòta; i soldàt
coréndo a cavàl, criava: "Via! Fœra, andìt fœra, via!
Che el pòl fare quel che el vòl quèl, parchè l'è ól fiòl
dèl padrón!"
Le mame che faciàda a le finestre: "Catìvo! Un ziògo
si bèlo co l'éra. No' costava gnénte... i nostri fiòl i l'éra
conténti, e ti..."
E i soldài: "Via matre! Via, che ve 'riva ‘na lanzàda!"
Pfium, pfium, ptum, ptum! Tüte le finestre seràde. La
piàsa vòda.
Gh’éra restà sóltanto ól fiolìn dèl parón sul so' cavàlo
negro, coi sóldati che i rideva. E nisciün gh'avéa
scorgiùo che gh'éra restàt ól Bambìn Jesù visìn a la
fontàna.. coi ögi grandi, impegnìdi de làgrime... che
ól vardàva verso ól ziélo che el s'éra impiegnìdo de
nìvole.
(A tutta voce) "Paadreee, paaadreeeee!"
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Le nìvole se son dervìde: broomm, proomm,
brooommm! (Mima il padreterno che si affaccia fra
le nuvole)
"Se gh'è!"
(A fatica trattiene il pianto)
"Padree, son miii,
Jesus..."
(Amorevole
e
preoccupato)
"Cosa
t'è
capitàt,
Bambìn?"
"Eehh... quèl fiulìn lì l'è catìvo, chè gh'ha s’cepàt tüti i
figurìn de tèra che noialtri gh'avémo fato per ziogàre.
G'ha scarcagnà tüto cól so' cavàl e (piange
farfugliando) guduhntuchetugudutu..."
"Ma caro, per 'na stupidàda cusì, te gh'ha de far
ciapàre un spavénto cusì grando a to' pare che so'
'rivàto de volàta, de l'altra parte de l'univèrso che éro?
Gh'ho sbüsà quasi dódes nìvoli, gh'ho tirà sóta dódese
cherubini, e me son stùrta tüto ól triangolo, che ghe
vœr una eternità a rimpiasàl a 1'órden!"
"E, ma lü l'è stàit catìvo! Lü l'è ól fiòl dèl parón, gh'ha
tüto! Gh'ha tüti i ziòghi, ma l'istèso, quando gh'ha
visto che noialtri éremo conténti, gh'ha... (singhiozza)
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ghidi tüte tuduuhu s’cepàdo tüto... ehheeehhhe... e mi
gh'avéo tanto fadigà..."
"Parla ciàro."
"E mi che gh'avevo fàto tanta fatìga de far ól miracólo
de far vólar gli oselìni... per avérghe dèi amìsi, per
ziogàre insémbia... che dòpo i mè ciamàva Palestina
caro toh un basìn!... E adeso són de nòvo sólo, come
prima. Che tüti i amisi mìi son scapadi... ehhhee...
(Piange) Gh'ho gran dólore mi, gh'ho gran dólore
patre eeehhheeee..."
"Oh te gh'hàit rasón. A dévo bén dir che ól spacàre, ól
s’cepàre sogni e ziòghi de plagér de fantasia, o l'è
pròpi ól pejiór de tüte i viòl! Ma quèlo l'è un fiolìt,
caro... cosa devo fare eh?"(Gesù, prima si lascia
sfuggire un sospiro di pianto, poi, con tono, il più
candido e normale possibile) "Màsalo! (Sorride
guardando accativante verso l'alto per ottenere il
consenso del padre) Eh!"
"Ma caro, t'ho mandàt giò apòsta dal çiélo in tèra per
imparàrghe la pace fra i òmeni... parlàrghe d'amore.
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La prima vólta che quaicün te fa quaicòsa, te voi
masàrlo! Te cominci bén la professiòn, eh?"
"È tròpo? Bòn, alora stórpialo... sguèrcialo... eh?
Sguèrcialo e stórpialo!"
"No, no' se pòl far 'ste robe, caro. No' se pòl comensàr
co' la violénza cussì, eh?"
"No' se pòl? No' te pòl ti? Lo maso mi?"
"E bon, fàit quèl che te pare, che tanto co' ti, no' se pòl
descùtere. Ma non andar intorno a racontàr che so'
stado mi!"
Prrooomm, bbrrraaaamm! I nìvuli sfragùglia da
partüto e el Dèo scompare. No' l'è pasàto ól témpo.
De nòvo a gh'è ól fiolìn dèl padron cól ride, coi soldàt
che i se sganàsa a rigolà, e ól Bambìn Jesù visìn a la
fontàna, c'ól ciàma: "Patron... fiòl dèl parón!"
"Eh?"
(Ride col compiacimento di chi sta preparando uno
scherzo atroce) “Te ridi, ti, eh? T'è fàit tüto 'sto
sacrapànte d'intorno... t'è spatascià tüti i statuèti, té
ruinàt el nostro ziògo. E ti sèt conténto, tranquìlo... ti
pénsi che nisciün te faga gnénte, eh? Ti è convènso
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che no'l pòle èserghe nisciün che te castiga al mondo.
Gnànca to' pare, ah? E se adèso invece mi te
fùlmino?... Te ridi, eh? No' te ghe credi, eh?"
Ffvvuuuooommmmm! Un fulmine treméndo è sortì
dai ögi dèl Jesù Bambìn. (Descrive la terribile
fiammata) Una léngua de fògo! 'Me 'na bisa-serpénte
infiamàda, l'intorcìga tüto 'sto fiolìn, ól scaravénta, ól
revòlta, ól sbate per tèra, divénta tèra còta come in un
forno. Pœm! Fumante!!
Tüte le done dai balcón se büta a criàre: "Stregonàso!
Còssa ti gh'ha combenà de treméndo!?"
I soldàt sbianchìdi de spavénto che scapa sui cavàli.
La Madòna, che gh'ha sentìt criàr de lontàn la 'riva de
corsa: "Cos'è succès? Fiulin cos'hàit fa' ti?"
"Gnénte... ho fa' un miracólo! Mio primo miràculo!
Varda, l'è ancora caldo."
"Ma come... l'è un bambìn?! L'è un fiolìn che t'è
trasformà in tèra còta!!! Ma cos t'è fàit còs? Ma
parchè?"
"Eh! Ma lü l'éra catìvo, cara!"
"No' vòj 'scoltàr scüse! Resüsitalo!"
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"Noo!"
"Jesus, obidìse! Pénse a la povéra mama de 'sto
bambìn... lo strapacòre che gh'averà! Resüsitalo!"
"Ma non son capàze mama, mi gh'ho imparà sóltanto
a fulminare; no' gh'ho ancora imparàt el resùrgit!"
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"No' dir bosìe! Resüsitalo e inprèscia! No' ti capìse
che se 'riva i sbiri ghe tóca de scapàre de nòvo... mi e
to' patre che gh'avémo apéna trovà un lavór!"
(Lamentandosi) "Eh, ma però... Èco... no' se pòl fare
un miracólo che bisogna disfarlo sübeto...! Bòn, lo
resüsito, però co' 'n'a pesciàda..." (Mima di sferrare
una terribile pedata al bambino disteso a terra)
Tum! 'N'a pesciàda in tèl cül de tèra. Prum! El bambìn
de carne e òsa torna in pìe. Se tégne i ciàpi cont i
man... ól varda intorno spaventàt: "Cuss'è capitàt,
cuss'è sucès cos'è?"
El fiolìn Jesus ghe dise: "Mi sont stàito! Ól
miracólo... fulminà... resüsità!
Pœ l'è 'rivà la mia mama... Ringràsia la Madòna!
Faghe sübit un fiurèt!
Ma ti... tésénte brüsar ól cül per la pesciàda che t’ ho
dàit?
Aténto che gh'é un'alegorìa, eh! Bòn servìsi per quei
che son stremìdi... che derénto le finestre son
nascondüdi per gran pagüra. (Indica in alto
tutt'intorno alla piazza) Se quèli comìnzeno a
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penzàre, razonàre, bada bén, che ti, te deventerà
grande a forza di pesciàdi che ti ciàpi! El cülo te
monta, te monta, te monta, te monta: puuummm! E
s’ciòpa!
In eterno senza cülo!
Amen!"
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Il primo miracolo di Gesù Bambino
Traduzione
Quando nel cielo grande e scuro, pieno di stelle, di
colpo come un fulmine è arrivata la stella cometa con
'sta grande coda splendente di fuoco... Sbandando a
zigzag come un serpente ammattito con il ballo di San
Vito... ed è piombata dentro a 'sti lumini di stelle
come un pipistrello a scompigliare una frotta di
lucciole spaventate... 'ste povere stelle si sono messe a
gridare: "Ma chi è 'sto sacramento!" E questa grande
stella andava come ubriaca, tornava indietro e
scompariva lontano, e tracciava una gran scia che era
proprio il cammino per i Re Magi. Infatti c'erano i tre
Re Magi che venivano da lontano, fin dall'Oriente.
Il più vecchio dei tre Magi era un re con tanto di
corona d'oro in testa, i capelli bianchi e una barba
grigia. La faccia ingrugnita, un naso a becco da
cattivo e bestemmiava, tirava a "sacramenti" perché
aveva dei bubboni sul culo che ad ogni a "sellata":
toc! si spiaccicavano da farlo gridare.
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Ce n'era un altro, un re, giovane, montato su un
cavallo bianco, in testa la corona sotto la quale gli
spuntavano riccioli tutti d'oro e, più sotto, occhi
celesti. E, sempre, sulla bocca aveva un sorriso. E ce
n'era un terzo montato su di un cammello: ed era un
magio negro, un negro ma cossì negro, che, a suo
confronto, il cammello grigio che montava pareva più
bianco del cavallo bianco del Magio biondo. Bello di
faccia e tutto ridente, sempre sul Cammello andava
cantando. E cantava di continuo, di continuo questa
tiritera:
"Oh che bello, che bello che è andare sul cammello
Che bel, che bello!
Un saltello, due saltelli sulla gobba del cammello
Oohh che bello, che bello il cammello che va a
Betlèmme
Sotto il lume di mille stelle.
La cometa che accompagna
giusto fino alla capanna
e la Madonna che ninna
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il bambino che frigna e piange
e San Giuseppe che sega, sega
Gli angiolini che volano e pregano
L'asinello e il bue che soffiano
e il cammello che sgamba e sgroppa
balzelloni, guarda come trotta.
Oh che bello, che bello, che bello
che è andare sul cammello.
Di gran lunga è più bello
che andare sul cavallo sul cavallo
ti si scuotono i testicoli
questo non ti capita sul cammello.
Che bello, che bello, che bello!"
"Basta, basta! — il vecchio bestemmiava — Ma non
si può! Sono quattro giorni e quattro notti che canta
che è bello su 'sto cammello!"
(Il Re Magio nero riprende la tiritera)
"E per forza che mi tocca cantare
sul cammello per farlo andare
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perché se io non gli canto
il cammello s'addormenta,
si addormenta, cade per terra
si inciampa e io ruzzolo a basso
col cammello che mi frana addosso
cossì rimango tutto schiacciato.
Certo che canto sul cammello!
Oh che bello, oh che bello!
Così arrivo alla capanna con la madonna che ninna
San Giuseppe che sega, sega
il bambino che ragiona e piange
gli angioletti che volano e pregano.
Il cammello che sgroppa e trotta
oh che bello, che bello, che bello!
Sopra al cammello bisogna che canti
anche per dargli un po' di ritmo
perché andare sul cammello non è come andare in
groppa al cavallo
che il cavallo va al galoppo
e il cammello sgamba al trotto
zampe ambate una davanti l'altra dietro,
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che se non si da il tempo giusto
incespica una gamba nell'altra
inciampa e va là ruzzolando
a rotoli se ne va e si schianta
e io sotto ribaltato
tutto schiacciato dal cammello
oh che bello, che bello, che bello!
Dargli il ritmo e farlo ballare
che a Betlèmme io voglio arrivare col cammello.
Oohhee che bello!
Oohhee che bello! "
"Basta! - grida disperato il vecchio Re Magio - Ti
mangio vivo! Ti pelo via tutto il nero e mi mangio il
bianco di dentro! Te lo mangio intero!
Già, L'idea di far venire anche un Re Magio negro,
perché doveva esserci tutta l'umanità! Non potavamo
portarci appresso un giallo, rosso, a pallini... No,
negro! E poi con questi occhi bianchi che ha, con la
pupilla nera in mezzo, che quando c'è scuro gli viene
rossa che pare una belva feroce.
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Che l'altro giorno sono andato in campagna, che
avevo dei miei bisogni un po' di corpo da fare... e mi
sono tirato giù le brighe, perdonatemi se ve la
racconto, ero a metà, accovacciato sulle ginocchia,
proprio in questa posizione, quando ti vedo davanti a
me due occhi da bestia feroce! Mi sono cacato sopra
alle brighe! E poi era lui che cacava davanti a me!
Cacava ma non cantava! L'unica volta che non
cantava. Non poteva forse gracchiare: Oh, che bello,
che bello è cacare senza il Cammello?"
In quel momento la stella cometa fa una svolta come
un fulmine e di colpo si ferma in mezzo al cielo,
bloccata.
" Cosa è successo?"
E il negro gli dà una risposta con una bella cantata:
"Si è fermata per riprendere un po' di fiato!
Vuol dire che siamo arrivati!
Arrivati quasi a Betlèmme, che bel, che bello!"
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Disperato, il Re Magio vecchio sprona il suo cavallo e
se ne va via come un matto e dietro subito lo segue il
Re Magio negro e tutti e due vanno in fondo nello
scuro, nel buio e scompaiono... Scompaiono ma si
sente più di lontano: "Oh che bel, che bello!"
"Basta!"
"Oh che bello... "
"Basta!"
(Mima l'ascolto di voci sempre più flebili e lontane)
"Oh che bello!"
"Basta!"
E poi un gran silenzio.
In quel momento, di colpo, nel cielo, appare un
angiolone. Con i capelli tutti scompigliati e i boccoli
che col vento sbandieravano. Con un cerchione d'oro
inchiodato sulla testa. Con grandi lembi del vestito di
seta che per il vento svolazzavano come vele
slacciate. E di traverso, qui sul petto, un gran nastro di
seta con scritto sopra: "Angelo!" Apposta per quelli
che sono tardi a capire. E questo angelo, con le sue
grandi ali tutte colorate, andava volando come una
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tremenda poiana nel cielo. Veniva giù a capo morto
quasi a graffiare la terra e gridava:
"Uomini di buona volontàaaauuuuaaaauuuvvvvvv...
venite che è nato il redentoreeeeaaauuuaavvv!"
(Mima la picchiata con volo radente dell'angelo) Con
tutti i pastori che si buttavano per terra spaventati!
"Oheee... ma sei matto! Vuoi schiacciarci? Hai
spaventato tutte le pecore... che gli è andato via anche
il latte! (Mima un'altra picchiata dell'angelo che per
poco non lo travolge)
Se almeno ti capitasse di
andare a sbattere contro la montagna cossì che il
cerchione ti si incastra fino al collo e ti sparpagliano
tutte le piume da ogni parte. Gallinaccio!"
E i pastori si mettono in cammino verso la capanna e
portano tüta la roba da mangiare. E chi porta del
formaggio, chi un capretto, dei conigli, un altro delle
galline, e chi gli porta del vino, dell'olio, chi porta le
mele cotte e le torte con le castagne. E poi ci sono
quelli che arrivano con la polenta apposta dalla
Bergamasca. Roba che dare della polenta a un
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bambino appena nato, ci vuole una bella testa da
coglioni. Ma dicono: "Bisogna fare il presepe!"
Sant'Anna, nella capanna, metteva a posto tutti i doni
che arrivavano.
Che tutta la stalla era piena di cose da mangiare,
l'asino era tutto coperto di pacchi e fagotti tanto che
gli spuntava fuori solo la testa, mezzo soffocato. La
vacca era coperta che non si vedeva più. Galline,
formaggi, salami, botticelle dappertutto che sembrava
d'essere al mercato! Arrivano i Re Magi, si
inginocchiano. C'è il vecchio che porta il suo regalo,
poi il giovane e arriva dentro il negro...
"Ohe che bello, che bello, che bello!
Il Bambino nella cesta"
"Fuori negro, via, zitto! Non spaventare il Bambino.
Canta di fuori!"
In quel momento si sentono i soldati che arrivano. I
soldati che vanno in tutte le capanne a vedere se è
nato il Redentore per ammazzarlo. E allora, davanti
alla capanna dove c'era la Madonna e Gesù Bambino,
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l'angiolone si para davanti con una tremenda sciabola.
Arrivano i soldati e quello che stava in testa si blocca:
"Fermi, guardate, davanti a quella capanna che
sacramento di angelo c'è lì, via che ci spacca in due!
Via, via, scappa!"
E in quel momento nella città, patatum patatum
patatum un banditore: "Ehi ascoltate mamme,
ascoltate donne! Chi di voialtri ha fatto nascere in
questi tre giorni un bambino può essere contenta,
perché il re ha deciso di dare un premio al più bel
bambino che è nato. Portatelo alla reggia. Portatelo
dentro alla casa grande di Erode e al bambino più
bello donerà una coroncina con su scritto: "Oh come è
bello questo bambino! É un bambino quasi più bello
del figlio di Dio!" E anche la donna che l'ha partorito
avrà una corona con sopra stampato: "Questa è la
Mamma che ha fatto nascere 'sto bambino! Bello
come Dio!"
Sant'Anna che ha ascoltato 'sto discorso è andata
subito dalla Madonna: "C'è un premio, andiamo, porta
subito il tuo bambino al concorso." - "No che non lo
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voglio. Io non ho bisogno di avere consolazioni oltre
di quella che ho già avuto!" - "No, non ha importanza,
bisogna che lo sappia tutto il mondo. Il premio donato
da Erode non può prenderselo un altro bambino!
Andiamo, andiamo! Ubbidisci alla tua mamma!" E
fanno per uscire ma poi ci ripensa e dice: "Aspetta
che andiamo a prendere dei nastri per far più bello il
nostro bambino e tu Giuseppe dai un occhio al
bambino e stai attento che non gli capiti qualche cosa.
"
Vanno fuori e subito San Giuseppe pianta lì di segare
e dice: "Qui ci deve essere una trappola, io sento che
c'è una trappola. Gesù Bambino cosa ne dici tu?"
E Gesù, Bambino che era già intelligente, dice: "Sì,
sì..." e schiaccia l'occhio. Allora San Giuseppe tira
fuori un bicchiere dove c'era dentro della roba nera
per (dipingere) i catenacci. Con un pennello tac, tac,
tac, fa dei puntini tutti in faccia al bambino che faceva
tutte le smorfie per il solletico.
"Fermo là!" poi riprende a segare.
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Arriva dentro Sant'Anna: "Ohaiooh! La rosolia!... La
rosolia nera! Quel negro che è venuto dentro ha
spaventato il bambino!"
Poi prende uno straccio fu, fu, fra, pulisce, pulisce,
diventa tutto pulito, pulito.
"Qualcuno ha dipinto delle palline sul faccino del
bambino! Chissà chi è stato?" San Giuseppe che
segava: "Io non so, io non so." - "Attento tu con
quella sega, che io ti sego via qualche cosa, oltre alle
corna!" Cattiva che era Sant'Anna!
Poi lei e la Madonna vanno fuori di nuovo a prendere
degli unguenti per dare un bel profumo al bambino:
"Stai attento che andiamo fuori, guarda che se capita
qualche cosa al bambino la colpa è tua!"
Allora San Giuseppe appena che le due donne sono
uscite, non sa cosa fare... Scorge su un muro un
bestiolino... tutto rigato giallo e nero, un'ape, un'ape
grande, che sembrava più un vespone. Prende un
bicchiere... toc... Col bicchiere l'imprigiona contro il
muro... presa! Una tavoletta. Soomm! e la chiude
sopra l'orlo (l'imprigiona nel bicchiere).
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"Scusa ma ti devo far dare un morso proprio sulla
guancia. Tum! Ploff! (Indica un immediato rigonfio
sulla guancia del bambino)
Dall'altra parte: toc!
Ploff! Tum! (Indica un rigonfio che spunta sull'altra
guancia) Tum! In fronte! (C.s.) La trinità dei bozzi!"
Poi, come se niente fosse, ritorna a far finta di segare.
Arriva dentro Sant'Anna: "Aaahhh Dio! Guarda 1ì.
Com'è conciato... Oohhee cos'è capitato? Che mostro!
Guarda lì!" - "Ma non stare a piangere, è cosa che va
via quasi subito, due mesi al massimo." Dice
Giuseppe. "Cos'è?" (Indicando i bugnoni) "E il dente
del giudizio!" - "Da tutte e due le parti?" - "Sì!" "Anche in fronte?" - "Se non ce l'ha in testa lui il
giudizio!"
Piange la Madonna,
piange Sant'Anna. "Che
disgrazia! Proprio adesso dovevano capitargli 'sti tre
denti del giudizio, che c'era un bel premio da
guadagnare! Non potremo più portarlo, tanto che è
mostruoso!"
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Di lì ad un poco, fuori per la strada, si sente piangere.
Si sentono le grida disperate delle donne, delle madri,
con i loro bambini insanguinati, tagliati a pezzi.
"Aahhhaaa! Era una trappola! Erode, appena siamo
state nella corte, ha fatto chiudere tutte le porte. E i
soldati sono venuti dentro ad ammazzarci tutti i
bambini... una trappola era! Tutti ammazzati!"
Allora Sant'Anna ha capito, è andata per terra in
ginocchio. Anche la Madonna. E tutte e due
gridavano: "Grazie Dio, illuminato con grande mente
di intelligenza. Tu hai voluto salvare, con questa
disgrazia finta di bugnoni, 'sto bambino perché non
arrivasse nelle grinfie di Erode. Oho! Che mente! Che
trovata che hai avuto Dio!"
E San Giuseppe che segava con rabbia, che segava
anche il cavalletto, bestemmiava: "Cossì, sempre,
sempre cossì - diceva - quando un uomo ha una
pensata di cervello, poi tutti ringraziano Dio, che non
ha fatto niente!" In quel mentre viene dentro un
angelo, gridando: "Fuori, fuori - dice - le masserizie!"
- "Come le masserizie!" - "Trasloco! Via, scappare!" -
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"Dove?" - "Fuga in Egitto!" - "Di già?" - "Sì, ci sono
tutti i soldati di fuori che vi cercano." - "Aspetta,
andiamo a prendere un carretto - dice Sant'Anna - per
caricare tutti i regali che ci hanno portato." - "Niente
regali, non si porta via niente!"
Dice la Madonna: "Eh no, i miei regali li voglio cara,
i miei regali per il bambino, che quando diventa
grande..." - "Tira fuori l'asino!" - "Ma no, no - dice
San Giuseppe - non si può caricarlo 'st'asino, sono
quattro giorni e quattro notti che soffia, è sfiatato
come una luganega rinsecchita!"
Veniva infatti avanti, 'sto asino, ubriaco che non si
reggeva in piedi, gli si allargavano le gambe appena
lo caricavano. Caricavano tutti i fiaschi, gli otri,
caricavano i formaggi, pacchi e fagotti. E 'sto asino:
vvuumm! Vvuuummm! Andava sotto, allargava le
gambe, la pancia per terra. C'era la Madonna che
montava sopra al mucchio, seduta col bambino in
braccio.
"Madonna - le diceva San Giuseppe - vieni giù,
muore, non può muoversi." - "Ma non posso caro, che
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tutta la gente è abituata, durante la fuga in Egitto, a
vedermi seduta sopra l'asino fin dalla partenza."
E allora San Giuseppe si mette sotto all'asino, se lo
carica sulla groppa e vanno via tutti insieme. Dopo
due giorni, tre giorni, tutta la sacra famiglia arriva
davanti a Jaffa. Jaffa bianca con tutte le torri
altissime, meravigliose. E subito l'angelo vola in
cielo, fa un gran volo. E l'asino tira su la grande testa.
Iiiaaaahhhhhhh!
Pfrrrooofff!
(Imita
il
ragliare
dell'asino) Una scoreggia dal culo: PLUFF! L'anima
dell'asino va in cielo. Allarga le gambe, pom, la
pancia per terra. La Madonna sopra alla bestia spirata,
guarda: "Povera bestia, segno di Dio, vuol dire che
siamo arrivati." Vanno dentro alla città, trovano una
stamberga, tutto un buco, che, al confronto, la
capanna di Betlèmme era una reggia. Giuseppe tappa
i buchi. La famiglia si mette a dormire. Alla mattina
subito la Madonna prende una cesta e va intorno a
cercare panni da lavare, perché bisogna che aiuti
anche lei la famiglia. E San Giuseppe andava intorno
col martello, la sega e chiodi per trovare da fare dei
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lavori. Il bambino in mezzo alla strada. La sera la
Madonna arriva, morta rovesciata, con tutta la schiena
spaccata, rotta. Si siede sudata, stanca. E San
Giuseppe viene da fuori imbestialito che non ha
trovato lavoro da un soldo. Si mette lì col martello sul
tavolone ptum! Ptum! Ptum! Ptum! e picchia sopra le
dita, che quella è l'unica maniera di sfogarsi che
hanno i falegnami. Arriva dentro Gesù Bambino con i
mocci giù dal naso, fin sulla bocca, tutto strapenato,
con le mani sporche, le braghe di traverso, senza
neanche una scarpa ai piedi.
"Mamma! Ho fame!" - "Bella maniera che hai di
venire a casa, invece di chiedere subito del tuo papà,
della tua mamma... se sono contenti, o stanchi. Perché
devi fare cossì, eh?" - "Eh, mamma, ma io ho fame!"
E la Madonna: "Ma non hai vergogna? Proprio tu che
sei venuto apposta dal cielo, che sei nato al mondo
apposta per insegnare agli altri a essere buoni, avere
amore e avere buone parole per tutti... E proprio ai
primi due cristiani ai quali devi portare rispetto, tu
arrivi a neanche salutarli!" E Gesù Bambino: "Eh, la
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madonna!" Impallidisce la Madonna e Giuseppe
anche. Si mettono a tavola. "Bambino, vai a lavarti le
mani, pulisciti i mocci dal naso, mettiti un po' i capelli
in ordine. Guarda i boccoli... cossì. Fatti il segno della
croce! No, aspetta, è un po' troppo presto!" Poi il
bambino
dorme.
Dorme
la
Madonna,
dorme
Giuseppe. La mattina Gesù si sveglia e resta da solo.
Solo, non c'è nessuno. Allora si mette su le braghe,
mangia un pezzo di pane, va in giro dove c'è la strada,
e vede tutti i bambini che giocano: a cavallina, a
nascondersi, al gioco dello schiaffo...
"Ehi, bambini! Fate giocare anche me ai vostri
giochi!" - "No!"
"Vado sotto io! Facciamo la cavallina. Anche il gioco
dello schiaffo." - "No! Vai via, Palestina!" - "A
correre? Voialtri mi correte dietro. Facciamo il ladro.
Io faccio il latro?" - "No!" - "Ma perché?" - "Via,
Palestina! Terrone!"
Il bambino piange. Piange il bambino con gli occhi
grandi che colano goccioloni di lacrime. E pur di aver
la possibilità di giocare, di far festa, di far gioco e
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fantasia con gli altri bambini, ha fatto un miracolo.
Che la sua mamma gli aveva sempre detto: "Non far
miracoli intorno, che ti scoprono, che se capiscono
che tu sei il figlio di Dio... arrivano gli sbirri
dell'Erode e ci tocca scappare di nuovo!"
Nella piazza c'era una fontana. E tutto intorno della
terra. Della terra creta, di quella che si adopera per
fare i mattoni. Gesù Bambino prende su un pugno di
terra e incomincia con 'sti ditini a lavorarla: ne esce
un crapino di uccello, poi tutto il corpicino con le
alettine, poi le piume, fini, fini. Raccoglie un
bastoncino per fargli le zampine...
"Bambino, guarda che bell'uccello di terra! Di terra
è!" - "Oh che bravo il Palestina, viene apposta da
lontano per far vedere l'uccellino di terra... oh bravo!"
- "Sì, ma io sono capace di farlo volare." - "Come?" "Gli soffio sopra." - "Fai vedere!"
"Ecco! Pfffuuuuuuuuuu!" (Soffia con forza) E
l'uccellino apre tutte le piume e le ali, si distende, le
sbatte, le sbatte: ciup, ciup, ciup, ciu, viricip, ciup,
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viriiii, cip! (Mima, con le sole mani, l'uccello che
svolazza intorno fino a scomparire nel cielo)
"Boia, che drago il Palestina! Che stregone! Oh, ha
fatto volare un uccellino!" - "Non è vero." - "Come
no? L'ho visto io!" - "Ma è un trucco vecchio come la
madonna: lui ha preso un uccellino stordito che è
caduto giù da un albero. L'ha preso su. Poi lo
sbatacchia un po' nell'acqua. Poi l'ha sfregato un
pochettino nella terra. Poi l'ha messo sulla mano, gli
ha soffiato nel culo: brivido vce, vce, vce... è volato
via!" - "Ma no, l'ho visto io, era proprio di terra! Fagli
vedere, dai Palestina... Un altro pezzo di creta, avanti,
muoversi, dai che è fatto... via con le alette... dai,
soffia!" - "Aspetta!" - "Chi è?"
Arriva un ragazzotto, un bambino, con una gran testa,
tutta riccioli neri: "Fermo, verificare!" - "Chi sei?" "Tommaso!" - "Tommaso? Come non detto!" (Alza le
mani, arreso di fronte alla consuetudine e al
personaggio)
Tommaso prende un chiodo... sum sum sum... buca
l'uccellino di terra: "Regolamentare, vai!" - "Attenti
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che soffio!" (Soffia) Ppfffuuuuuuuu... cip, cip, cip,
cipcipcipci! (Mima nuovamente il volo dell'uccellino)
"Vola! L'uccello vola! Bravo Palestina! Caro, come ti
voglio bene! Toh un bacino! Ma perché sei stato
lontano cossì tanto tempo? Che gioco che facciamo!
Adesso ognuno fa un uccello. E lui, poi, il Palestina:
pffuuu! Soffia e fa volare i nostri uccelli!" - "Dai
Palestina! Che bel Palestina che sei!"
E tutti hanno cominciato a fare degli uccelloni.
Uno ha fatto una pagnotta tutta tonda con una coda
dritta, con delle ali quadrate, con un gran testone che
cadeva, poi ha fatto due gambine, tum... cade giù...
gliene ha messe quattro, poi cinque zampe.
"Ma non si può un uccello con quattro zampe..." - "Se
non sta in piedi... Importante è che voli, no?"
Poi un altro fa una salsiccia, una biscia, una bisciasalame, con dodici ali in fila, senza la coda, dodici
zampe.
"É un cagnotto..."
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Poi un altro ha fatto un pastone, pareva una torta, con
la testa dritta in mezzo, senza collo, il becco in su... e
tutte le ali, tutte spaiate, tutte intorno. E senza gambe.
"Non so se vola, vedremo..."
Poi, un altro, aveva fatto degli uccellini, che parevano
delle cacatine. Poi un altro uno stronzone. E l'ultimo,
un gatto!
"Non si può far volare un gatto!" - "Se vola quello
stronzone là, volerà anche il mio gatto!" - "No, i gatti
non si possono far volare. Un po' di regola!" "Mamma! Il Palestina non vuol far volare il mio
gatto!" (Mima la madre che si affaccia al balcone e
grida:)
"Fa volare subito il gatto di mio figlio,
Palestina! Se no, vengo giù e ti inchiodo!" (Fa il
gesto del bambino Gesù che si osserva preoccupato i
palmi delle mani)
"Tutti gli uccelloni, tutti in fila."
"Via, che soffia!" (Mima il volare strampalato di vari
uccelli)
Pffuuuuu... La pagnotta: quac, quic, quoc, qua, te, pu,
qua, te.
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Pfffeeee... la salsiccia: pici, pete, qua, te, ce, che, se,
te, pe.
Pffeeeee... la torta: psu, psu, psu. Ppfuuuu... lo
stronzone: pce, pque, pte, pci, pce. Il gatto! Pffuuuu
pne gna gnum gnam! Mangia tutti gli uccelli nel
cielo! "Ohi! Che bello, che ridere a crepapancia!" "Un'altra uccellata, avanti tutti insieme!"
Tutti che fanno uccelli. Vengono anche dagli altri
quartieri, tutti i bambini. Tutta la piazza piena di
bambini che fanno tutti pasticci con la terra, tutte le
statuette. Uccelli di tutte le forme e colori. Giocano,
ridono e cantano!
Ma in quel momento: TRAC! Si spalanca il portone
della grande piazza. E si vede apparire un cavallo
nero, tutto bardato, bello, con sopra un bambino, tutto
rubizzo, con degli occhi la briccone, con i capelli ben
pettinati... le piume sul cappello, vestito di velluto e di
seta, con un collettone di pizzo. E c'erano dei soldati
appresso a lui con la corazza di ferro, anche loro con
le piume sul cappello, sopra dei cavalli bianchi. Quel
bambino era il figlio del padrone di tutta la città.
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(Mima il bambino che, dal cavallo, si rivolge ai
ragazzini del quartiere)
"Ehi ragazzini, a che cosa giocate?" - "Fai finta di
niente. Quello è un rompicoglioni. E il figlio del
padrone. Palestina non dargli retta. Non dargli retta,
fa finta di niente." - "Mi dite a cosa state giocando?
Posso giocare con voialtri?" - "No!" - "E perché, di
grazia?" - "Cossì! Perché tutte le volte che noialtri
domandiamo di giocare con te, figlio del padrone, con
i tuoi cavalli per fare un giretto, tu dici no! Perché
tutte le volte che veniamo a casa tua che tu hai dei
gran giochi, tu ci fai scacciare dai tuoi sbirri. Noialtri
adesso abbiamo un bel gioco, il più bel gioco del
mondo, ma il Palestina, che è il capo del gioco, è
nostro. Tu sei ricco ma non hai il Palestina. Il
Palestina è per noialtri. Vero Palestina pica, pciu!
(Mima di baciare Gesù) Non te ne andare con quello,
eh! Non fare il Giuda, ah!" - "Ma si può sapere che
gioco è?" - "Certo che te lo dico... Noialtri facciamo
gli uccelloni. Poi il Palestina, soffia e li fa volare.
Vuoi giocare anche tu?" - "Oh sì!" - "Bene, tira fuori
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il tuo uccellino, soffiaci sopra, e vediamo se tu sei
buono di farlo volare!" (Mima un gran sghignazzo
corale)
Rosso, arrabbiato, era il figlio del padrone! Con gli
occhi fuori dalla testa. Nero dalla rabbia, il bambino
ha preso una lancia del soldato, ha dato di sperone al
suo cavallo, il cavallo è arrivato in mezzo e gridando
come un matto: "Se non gioco io, non giocate
neanche voialtri!" - zan,zan, a spaccare con gli
zoccoli del cavallo tutte le statue, tutte le figurine di
creta. Tutta per terra la terra spaccata, sbriciolata. I
bambini che piangevano... tiravano palle di creta, i
soldati arrivano a cavallo e gridano: "Via! Fuori,
andate fuori, via! Che lui può fare quello che vuole,
perché lui è il figlio del padrone!"
Le mamme si affacciavano alle finestre: "Cattivo! Un
gioco così bello che era! Non costava niente... i nostri
figli erano contenti, e tu..."
E i soldati: "Via madri! Via, che vi arrivano le lance!"
Pfium, pfium, ptum, ptum! Tutte le finestre, le porte
chiuse. La piazza vuota. Era rimasto soltanto il
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bambino, figlio del padrone, sul suo cavallo nero, con
i soldati che ridevano. E nessuno si era accorto che
era rimasto il Bambino Gesù vicino alla fontana. Con
gli occhi grandi, pieni di lacrime... che guardava
verso il cielo che si era riempito di nuvole. (Indica il
bambino che urla rivolto al cielo)
"Paaadreee,
paaadreee!"
Le nuvole si sono aperte: broomm, proomm,
brooommm! (Mima il padreterno che si affaccia tra
le nuvole) "Cosa c'è?!"
"(Rifacendo il tono del bambino, che a fatica trattiene
il pianto)
Padre, son io, Jesus... " - "Cosa ti è
capitato, bambino?" - "Ehheehh... quel bambino li è
cattivo, ci ha rotto tutte le figurine di terra che noi
avevamo fatto per giocare. Ci ha schiacciato tutto col
suo cavalco… (Piange farfugliando)
guduhnchettu." - "Ma caro, per una stupidata cossì,
devi far prendere uno spavento cossì grande a tuo
padre? Che sono arrivato di corsa, di volata, che ero
dall'altra parte dell'universo... ho bucato quasi dodici
nuvole, ho tirato (messo) sotto dodici cherubini, e mi
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si è stortato tutto il triangolo! Che ci vuole un'eternità
per rimetterlo a posto!" - "Eh, ma lui è stato cattivo,
lui è il figlio del padrone, ha tutto! Ha tutti i giochi,
ma quando ha visto che noialtri eravamo contenti, ci
ha... gauderetutetuduuhu... (singhiozza) rotto tutto...
ehha... (piange) e io avevo tanto faticato..." - "Parla
chiaro." - "E io che avevo fatta tanta fatica a fare il
miracolo di far volare gli uccellini... per avere degli
amici, per giocare insieme... che dopo mi chiamano
Palestina caro, toh un bacino... Adesso sono di nuovo
solo, come prima. Tutti i miei amici sono scappati...
ehhee... (Piange) Ho un gran dolore io, ho un gran
dolore padre eeehhheee... " - "Hai ragione. Devo ben
dire che lo spaccare, il distruggere sogni e giochi di
fantasia dei bambini, è proprio la peggiore delle
violenze... Ma quello è un bambino, caro... cosa devo
fare eh? "
"(Gesù, prima si lascia sfuggire un sospiro di pianto
poi, con tono il più candido e normale possibile:)
Ammazzalo! (Sorride guardando accattivante verso
l'alto)
Eh? (Mima sorrisi e ammiccamenti per
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ottenere il consenso del padre)" - "Ma caro, ti ho
mandato apposta giù dal cielo in terra per insegnare la
pace fra gli uomini, parlar loro d'amore. La prima
volta che qualcuno ti fa qualche cosa, vuoi
ammazzarlo? Cominci bene la professione, eh?" - "É
troppo? Bene, allora storpialo... sguercialo, eh?
Sguercialo e storpialo... " - "No, non si possono fare
queste cose, caro. Non si può cominciare con la
violenza cossì eh?" - "Non si può? Non puoi tu, eh?
Lo ammazzo lo?" - "Ebbene, fai quello che ti pare,
che tanto con te non si può discutere. Ma non andare
intorno a raccontare che sono stato io." Prroomm,
bbrrraaamm, le nuvole scompaiono... si sbriciolano e
il cielo torna limpido. E non è passato il tempo. Di
nuovo c'è il bambino del padrone che ride, con i
soldati che sghignazzano, e il Bambino Gesù vicino
che chiama: "Figlio del padrone!" - "Eh?" "Eeehhheeehhhh" (Ride compiaciuto col fare di chi
sta preparando uno scherzo atroce) Ridi eh? Hai fatto
tutto questo trambusto qua intorno, hai spiaccicato
tutte le statuette, il nostro gioco. E tu sei lì, tutto
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contento, tranquillo, e pensi che nessuno ti faccia
niente eh? Tu pensi che non ci sia nessuno che ti
castighi al mondo. Neanche tuo padre, eh? E se
adesso invece io ti fulmino? Ridi eh? Non ci credi, eh
?"
Ffvvuuuooommmmm! Un fulmine tremendo è
uscito dagli occhi di Gesù Bambino (Descrive la
terribile fiammata) Una lingua di fuoco, come una
biscia-serpente infiammata, attorciglia tutto 'sto
bambino, lo scaraventa, lo rivolta, lo sbatte per terra,
diventa terra cotta come in un forno. Poem!
Fumante!!
Tutte le donne dai balconi si mettono a gridare: "Cosa
hai combinato di tremendo?"
I soldati impalliditi dallo spavento scappano sui
cavalli.
La Madonna, che ha sentito gridare da lontano, Arriva
di corsa: "Cosa è successo? Bambino cosa hai fatto?"
- "Niente... (ho) fatto un miracolo. Il mio primo
miracolo. Guarda (è) ancora caldo." - "Ma come... è
un bambino? É un bambino che hai trasformato in
terra cotta!! Ma cosa hai fatto, cosa? Ma perché?" -
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"Eh! Ma lui era cattivo, cara!" - "Non voglio ascoltare
scuse! Resuscitalo!" - "No!" (Con voce piagnucolosa)
"Gesù, obbedisci! Pensa alla povera mamma di questo
bambino... il crepacuore che avrà...! Resuscitalo!" "Ma non sono capace madre, io ho imparato soltanto
a fulminare... non ho ancora imparato il resurgit!" "Non dire bugie, resuscitalo e in fretta! Non capisci
che se arrivano i soldati ci tocca scappare di nuovo...
io e tuo padre abbiamo appena trovato un lavoro!" "Eh, ma però, ecco... non si può fare un miracolo e
poi disfarlo subito! Bene, lo resuscito, però con una
pedata..." Tum! Una pedata nel culo di terra... Prum...
il bambino di carne e ossa torna in piedi (resuscita).
Si tiene le chiappe nelle mani, si guarda intorno
spaventato: "Cosa è capitato, cosa è successo cos'è?"
E il bambino Gesù gli dice: "Sono stato io... il
miracolo... fulminato... resuscitato! Poi è arrivata la
mia mamma... Ringrazia la Madonna! Falle subito un
fioretto! Ma tu, ti senti bruciare il culo per la pedata
che ti ho dato? Attento che c'è un'allegoria, eh! Di
grande insegnamento per quelli che sono spaventati,
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che dietro alle finestre si sono nascosti per la gran
paura. (Indica in alto tutt'intorno alla piazza)
Se quelli cominciano a pensare, ragionare, bada bene,
che tu diventerai grande a forza delle pedate che ti
prendi! Il culo ti cresce, ti cresce, ti cresce, ti cresce:
Puuummm! E ti scoppia! In eterno senza culo!
Amen!"
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LA MADONNA INCONTRA LE MARIE
Prologo
Il brano che segue è relativo ad un'altra situazione
tragica: una passione laica che proviene dalle laudi
antiche
dell'Italia
centro-
meridionale,
in
particolare dall'Umbria.
Si tratta della Madonna che incontra per la strada
le Marie che si stanno recando al mercato. Con
loro discute della spesa e dei prezzi.
Sul fondo passano le croci, si odono grida e insulti.
Questo ricorda un quadro famoso di Brügel dove
vediamo Maria con le altre donne in primo piano;
c'è il mercato, ci sono i saltimbanchi, c'è baccano,
festa, e in fondo, minuto, s'intravede il passaggio
delle croci, la crocifissione, e tutto avviene lì, come
dimenticato, come un fatto secondario. L'insieme é
un'invenzione drammatica sconvolgente.
Franca lo recita in un linguaggio composito del
sud.
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La Madonna andéva pe' la via, e quànno giònse
d'apprèsso allo mercato vecchio, encòntra Amelia
e Jovanna amiche sòe: "Salùte Joanna, e bona
jornata anche a te, Amelia. Avìte già fatte le
spese?" Quìnci se fanno li sòliti commentàri su li
prezzi che mónteno sanza raggióne. De botto se
séntono crida e vociàre con trambùsto: "Che d'è? dimànna la Maria - Dove se ne ‘sta annàndo tutta
'‘sta ggiénte? Che accàde laggiù in lo fònno?" "Ce sarà de segùro 'nu sponsàle (matrimonio)." fa
Jovanna.
"Sì, ci hai endovenàto, è 'nu sponsàle - s'affrétta
Amelia - vègno de ìllo lòco impròprio mò." "Jàmmoce (andiamo) a véde (a vedere)!" dice la
Madonna, e s'avvìa.
Jovanna
l'arresta:
"No,
affrettàmoce
allu
mercato." - "Ma 'no mumènto sùlo, fàmmece
véde, che me piàcceno assàje li sponsàli! Cómme
all'è la sposa... gh'è gióvina? E lo sposo, tu lo
conósse?" - "Créo che débbia èsse uno forèsto
(forestiero). Jammocénne (andiamocene) Maria...
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tornàmmoce alla casa che ce avìmmo ancò da
métterce l'acqua àllu foco." - "Attiénde... ascùlta...
se stanno a biastemàre, chilli!" - "Biastamaranno
pe' 'legrìa (allegria) e contintézza." - "No, me
rassoméglia che lo dìcheno co' rabbia. Strigóne,
stròlego... hanno criàto... Sì, l'intendìo ziùsto...
Ascórta che i vanno a repètere... Contro chi ce
l'avranno Amelia?" - "Mo' che me arrecòrdo, no'
all'è per 'nu sponsàle che crìeno... ma di contra a
uno che l'hanno descovèrto ésta notte che steva a
ballà co' 'no cavróne (caprone) che po' ell'era lu
diàbbolo (diavolo)." - "Ah pe' '‘sta raggióne jé
dìcheno stregonàzzo!" - "Sì, ello serà pe' chisto...
ma jammocénne alla casa... che no' so' spectàculi
da véde a chilli... che te po' pijà lu maluòcchio."
La Madonna Maria se vòlze a vardà allo fónno de
la via e ce remàne sanza respìro: "Vìde, ci stà 'na
crócie che spónna sóvra le teste de la ggiènte... e
là... altre doi crócie che spónteno mo'."
Joanna jé dà de spónna (le fa da spalla): "Sì,
cotest'altre so' de doi laddróni..." - "Meschìna
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ggiènte... li vanno a encrocefìggere a tutt'e tre.
Chissà la màtre a lloro! E magàre, poradònna
mànco sàpe che li stanno a occìdere lo so' fijòlo."
En quello... zonze currènno la Maddalena. Ella co'
lo fiatóne jé crìda: "Maria... oh Maria lo fìjo
vuóstro... Jesus..."
Jovanna l'ammùtola (l'azzittisce) allo istànte e la
spentóna: "Ma sì, ma sì... essa lo sàpe già pe' conto
sojo. E statte azzìtta desgrazziàta!"
E Maria: "Che d'è che saccìo de già? Che jè
capetàto allo fìjo mèo?" - "Nünca... cossa vulìte
che jé càpeta allo fìjo vuósto... santa fémmena! Jè
sojamènte... (Cambia tono) Ah, ancora nu' te l'avéa
ditto? Oh sànza càpa che songh'ìo! Lo fìjo tójo me
avéa fatto prèscia de dàtte l'avvisàta che ìllo no'
sarrìa retornàto a mezzo juórno... che s'è accattàto
l'empégno d'annà sovra lu monte a contà
paràbbule."
E Maria alla zóvine: "Quìnce Maddalena, è '‘sta
cotésta ambbassciàta che me volìvi dàmme pure
tu?" - "Sì, cotésta ellèra, Madonna." - "El Segnore
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séa
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benedécto
all'intrasàtte
fijòla.
corrènno
Tu
eri
anseósa...
zonta
cossì
che
m'ero
accattàto 'nu spaviénto da sbattecòre. Me c'ero
affiguràta nun sàccio quàre desgràzia... Quanto
sìmmo allùcche (allocche) noàltre màtri àlle vvòte
(a volte)! Pe gniénte ce se pone allo tràggeco
(tragico)."
E Joanna ce pone 'no càreco de òndece (aggiunge
un carico di undici): "Ma anco '‘sta ammattìta che
zonze corrènno alla desesperàta pe' venì a dàtte
l'annònzio de '‘sta cojonarìa!" - "Bona, Joanna,
no' stàtte a vosciàre de contra '‘sta fijòla. Non
dementegà che 'll'è venuta a farme lo piazére de
'n'ambbassciàta! Cómme te chiàmmi te pitòsto...
che me pare de acconóserte..." - "(Con imbarazzo)
Io mi sono la Maddalena." - "Maddalena? La
quale? Chella..." E Joanna: "Sì, è a chella... la
cortezzàna...
Jammocénne
Maria,
Jàmme
(andiamo) alla casa ch'è mejór assàje che nu' ce
facìmmo véde co' certa ggiènte... che no' istà
bbene." - "Ma io... nu' fazzo cchiù
(più) lu
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mestiére!" - "Ello sarrà pecchè no' te retruóvi
cchiù
(più)
zozzóni
da
pijàre.
Vatténne,
svergognàta!" - "No, nun l'alluccà (sgridarla)
accussì, pòvara criatùra. Si lo Jesù mèo la tène en
tanta attenzione d'enveàrla (d'inviarla) a me per
darme avvisàta, éllo segno che mo' ha mìso jodìzio
(giudizio)... l'è vero?" - "Sì, jò fazzo jodìzio mo'."
E Jovanna, tosta: "Sì, vàcce a créde... Lo fatto gli è
che lo fìjo tójo è troppo bono assàje. Se lasse pijàre
de la cumpassiòne... e lo fòtteno tutt'e quanti! Tène
sèmpe attuòrno 'nu sacco de poltròni... sfatecàti,
sanza nì lavoro, nì arte... muórte e fàmme...
desgrazziàti e pottàne... pari a chella." - "Tu
allùcchi (urli) da cattìva Jovanna! Illo, lo fìjo méo
dìsce sèmpe che è per issi, sovra ogne cosa, per
issi... sbarandàti (sbandati) e perdùti, ch'illi, è
vegnùto a 'sto mònno: pe' dàcce la esperànza." "Va buono... ma nun te capàcita che, in ésta
mannèra, ìllo nu' ce fa bona fegùra, se fa parlà
d'arrèta (si fa parlare dietro)! Co' tutta la ggiènte
de bona levàta che ce stà ìnta lu paese: li segnòri
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co' le dame lori, li dottori, li mercànti... che ìllo co'
lo so' fare zantìle arudìto (erudito) e saviénte se
arritrovarébbe sùbbeto nelle màneche lori e
n'averébbe onnòre e l'aiùti, se n'avesse lo besògno.
E envéce, no! Sacrepànte, se va a emmeschiàre co'
li petocchiòsi-villani e contra a chilli là!"
"(Accorata) Sintìte cómme a crìdeno e rìdeno... ma
no' se scòrgheno (scorgono) cchiù le crósci!" "(Proseguendo nel suo discorso)
A parte che
poderébbe pure facce a meno de sbeceràre de
contìnuo contra li prèveti e li monsegnòri... chìlli
no' la perdòneno a nisciùno." - "(c.s.) Ah, vìde a
nuovo le tre crósci!" - "(c.s.) Chìlli, 'nu jórno jé la
fagarà pagare! Jé fagarànnu (faranno) déllu
male!" - "Fàje déllu male a lu fìjo méo? E pecché...
ch'è accussì bono? No' ddona che beni a tutti...
anco a chille che no' jé lo demànna... (c.s.) Siénte...
stanno a réta a sghegnazzà (sghignazzare) de novo!
Uno de li tre ha da esse cascato pe' terra. (Riprende
il dialogo) Ogne uno ce vo' bbene allo fìjo meo...
no' è 'o vero? Dìmme Maddalena!" - "Sì, anco io
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jé
vòjo
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bbene!"
-
"Oh,
lo
canuscìmmo
(conosciamo) tutti che ispiràto bene i vòi tu allo
fìjo sojo de la Maria." - "Io no' tengo che
'n'ammóre iguàle che pe' 'nu fratello pe' ìllo...
mo'." - "Mo'? Pecché, ànte allora?" - "Joanna,
furnìsci 'nu mumènto de dàcce turmiénto a '‘sta
criatùra... Che t'ha fatto? Nu' vìde che già stà
murtificàta! (Cambia tono) Comm'è che crìeno
tanto? (Torna a dialogare) E se ànco fusse che ella,
'‘sta jóvine, tegnésse un'ammóre pe' ìsso, de chello
chi le fémmene dellu normale tèneno pe' l'òmmi
che ce piàceno... e bene, allora? Nun è 'n'òmmo lo
fìjo meo forse, en oltre che deo? De òmmo tène
l'uócchi, le màne, li piédi e tutte d'òmmo téne...
finànco li dulòri e l'allerìa. Dònca, ce toccarà a ìsso
mésmo, allo fìjo méo, descìdere... che savrà bene
illo cosa è da fàcere quanno vegnerà lo mumènto
sojo. S'ìllo vurrà piàrsela 'na sposa, pe' me, a
chella che scernirà, io jé vojerò bene come fusse la
fijòla mea... o almànco me ce sforzarò. E ci ho
esperanza assàje che zonga en prèscia 'sto jòrno.
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300
Che oremài ha compeùto triénta e tre anni... ed è
lu tiémpo che se fazza 'na famìja. (Cambia tono)
Oh che sgarberàto criàre che fanno là nello
fonno... E comm'è nìra '‘sta crósce! (Torna a
dialogare) Oh, me piacerébbe assàje avécce pe'
casa delli piccirìlli (bambini) soi... d'ìsso, da fàlli
jogàre ch'io ne canósco assàje nénne de culla
(ninna nanne) e firastòcche... e c'averèi gusto de
dàcce vizi... e contàcce fàvule ma de chélle che
fornìsse sèmpe bbène e in jocundetà (giocondità)!"
- "Sì, va buóno, ma mo' sòrti da li suógni, Maria,
jammucénne che de 'sto passo nu' magnàmmo
cchiù manco a sera." - "Nun ci ho fame io... nun
ne sàccio la raggióne... ma m'è egnùta dìnta, 'na
strézza 'e stòmmeco... Besògna pròpio che ce vada
a véde chéllo che va a capetàre là enfóndo." - "No'
arrèstate, nun ci annàre. So' spittàculi chilli che
t'appuóngono
en
trestìzzia.
T'acchiàppa
'nu
strappacòre pe' tutto lo juórno... e lo fìjo tòjo no'
sarà cuntènto. Pol'essere che, ìnta 'stu mumènto,
ìllo se truóva già en la casa che ce stà aspettànno e,
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magàre, ce ha pure fame." - "Ma se m'ha mannàto
a dire: che no' vène!?" - "Beh, lo po' avécce avùto
'nu repensamènto... che tu ben lo sàbe (lo sai)
cómme so' li fìji. Quanno tu l'attèndi alla casa no'
tòrneno e i torna quànno tu no' l'attèndi pe'
gniénte. E besògna stàcce sèmpe appreparàte, cu'
la zuppa allu foco." - "Sì, tu ci hai raggióne,
jammocénne. Ce vòi vegnìre pure a te, Maddalena,
a pijàrte 'na brocca?" - "Co' piacére... se no' vé
dóngo se non vi do empìccio!"
In chill'estànte, sullo fónno, passa la Veronica. E la
Madonna addimànna: "Còssa pol'èsser capetàto a
chélla fémmena, che tène ìntra le mani 'nu panno
tutt'ensanguenàto? Oh, bòna donna, ve sìte ferùta
(ferita)?" - "No, mica io... ma uno de chìlli
cundannàti che hanno mìso de sotto a la crosce." "Lo quale?" - "Chìllo che 'cce crìdeno stròlego...
ma che nun è pe' gniénte stròlego, ma santo! Che
de secùro l'è... e lo se lèzze da chìlli uócchi dóci che
tène... ci ho asciugàto la fàzza ensanguenàta..."
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"Oh, fémmena de pitàde!" - "Vìde, l'hàggio
asciuttàto co' '‘sta tovàglia, e n'è sortùto 'nu
miràculo! Illo m'ha lassàto l'emprònta de la figùra
sója che pare 'nu retràtto." - "Fàmmece dà
'n'uócchio." - "Sì, te lo fàzzo véde." - "No, Maria,
làssa pèrde!"
"Te lo làsso véde ma, ànte, oh donna, ségnate cu lu
segno de la crosce!" - "Ch'hai fatto! 'Nu vìdi che
mo' è desvegnùta!" - "Oh Gesù! Ch'hàggio
combenàto! E pacché (perché), è parènte a
chìllo?" - "La màtr è. La matre de lo Segnóre!"
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PRIMA PRESENTAZIONE
MILANO 2O.O1.91
MARIA sotto ALLA CROCE
Entriamo nel cuore di "Mistero Buffo", o meglio
in un mistero classico sacro.
Mi sono incappato in questo testo di “Maria sotto
la croce” prima ancora di decidermi a realizzare
uno spettacolo sulla religiosità popolare. Mi sono
trovato fra le mani una rivista che trattava di
cultura medievale nella quale erano pubblicati
frammenti di un testo venuti alla luce durante la
ristrutturazione della biblioteca di Montecassino.
Lo scritto appariva sul retro di una pergamena di
un codice e riportava un breve monologo della
Madonna con termini che si rifacevano al dialetto
centromeridionale. I ritrovatori datavano lo scritto
intorno al XIII secolo e facevano notare che
evidentemente si trattava di un testo ripreso da
una rappresentazione sacra. Questa Madonna ci
appare
molto
diversa
rispetto
a
quella
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304
tradizionale: in lei non c'è nessuna accettazione
del sacrificio che il figlio va realizzando, anzi, si
oppone
disperatamente
a
tutti
coloro
che
partecipano alla sua messa in croce. Più di un
commentatore, analizzando questa passione della
Vergine, ha espresso sospetto che si tratti un testo
proveniente da rappresentazioni di comunità
catare o patare, riportato da un monaco in vena di
provocazioni.
Più tardi ho mostrato i frammenti in questione a
un amico prete di Asti che sapevo interessato alla
tradizione del teatro religioso popolare. L’amico
prete mi ha procurato un altro testo completo e
analogo, in volgare lombardo del ‘300, ma che si
rifaceva sicuramente a una rappresentazione di
origine più antica. Il nostro prete mi informava in
particolare che in merito alla tragica protesta della
Madonna in quei testi, nel XII secolo nell’ambito
monacale
era
sorto
un
feroce
contenzioso
impostato su questa domanda: la Madonna era a
conoscenza di doversi sacrificare per il peccato
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mortale oppure è venuta a scoprirlo brutalmente
soltanto nel momento in cui il figlio si trovava già
sulla croce?
Esiste più di un passo del vangelo in cui Gesù
preannuncia agli Apostoli la sua fine sacrificale.
Lo ripete anche ai seguaci minori in qualche
Vangelo apocrifo anche alla Maddalena, ma di un
suo dialogo su questo tema alla madre non c’è
cenno alcuno.
Lo svolgimento tragico, degno dei Misteri greci
che troviamo in questo dramma sale a livelli
straordinari quando la Madonna si rivolge
all’angelo Gabriele per accusarlo di averla tradita,
non
avendola
avvertita
al
momento
dell’annunciazione del sacrificio inumano che le
sarebbe toccato di sopportare.
Un altro passaggio di grande teatralità è di certo
quello in cui la Madonna sale su una scala per
convincere il figlio a scendere dalla croce. A questo
proposito si conosce un “contrasto” proveniente
dalle laudi di Cortona in cui analogamente la
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Madonna insiste perché il figlio si decida a usare le
sue
facoltà
divine
per
liberarsi
da
quella
tribolazione mortale. Maria tenta con tutti gli
argomenti, ma, vistasi rifiutare dal figlio ogni
ragione logica, spinge davanti a se, sotto la croce la
Maddalena e le strappa letteralmente le vesti,
lasciandole nudo il petto. Quindi urla a suo figlio:
“ Guardale, mira le sue zinne tonde e chiare... le
amavi tanto quando eri coi piedi in terra! Scendi,
non perdere questo dono stupendo che ti offre!”
E' veramente una provocazione oltre le righe, al
limite della bestemmia e, non a caso, la ritroviamo
anche in altre laudi umbre. Questo brano vede la
massima tensione drammatica nel momento in cui
le donne seguaci di Gesù scorgono la Madre che si
avvicina disperata al calvario: una delle donne
propone di lanciarle una pietra. Meglio abbatterla
d’un botto piuttosto che vederla “deslanguire”
straziata dal dolore per il figlio in croce; un figlio
che nel suo struggente lamento, nei gesti e nelle
suppliche pronunciate con fatica, ansimando, ci
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appare non come un Dio “inchiovato”, ma come il
più normale degli uomini che soffre e trema
nient’affatto rassegnato davanti alla morte. È qui
che con le stesse parole del Vangelo di Matteo il
Cristo uomo si lamenta con il Padre: “Signore,
perché mi hai abbandonato?!”
La chiusura è affidata al contrasto tra l’arcangelo
e la Madonna che, come abbiamo già accennato, lo
insulta accusandolo d’aver giocato una truffa nei
suoi riguardi e nel
rispetto allegorico evidente,
sentiamo che quell’insulto è rivolto soprattutto al
potere, tanto divino che terreno, di cui lui è il
messo. Entrambi sono autori del rito che vede
indispensabile e inderogabile il sacrifici del figlio.
E’ ovvio che la messa in scena di questo dramma
popolare non si ferma alla sola rappresentazione
dell’assassinio del Dio uomo, ma in tutto il mistero
è proiettata la perpetua condizione degli umili che,
da
sempre
angherie
e
e
continuamente,
della
soffrono
sottomissione.
delle
Umiliati
e
sottomessi, urlano con la voce della Madonna la
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loro rivolta contro ogni supina accettazione, quasi
evocando le parole dell’Apocalisse che promettono
l’avvento di un mondo migliore, giusto e felice da
non godersi possibilmente solo nell’aldilà.
Il Mistero di “Maria sotto la croce” viene recitato
da Franca in una forma dialettale che raccoglie
idiomi diversi del Medioevo padano; forse qualche
passaggio vi potrà sfuggire, ma è certo che la
musicalità dell’affabulazione oltre che i gesti, vi
permetteranno
di
intendere
chiaramente
lo
straordinario clima e la provocazione che il
dramma si propone di raggiungere.
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SECONDA PRESENTAZIONE
MARIA ALLA CROCE
Pubblichiamo un’altra presentazione molto più
rapida e stringata che spesso abbiamo proposto
durante il primo anno di rappresentazione.
Il prossimo brano ha per titolo “Maria alla croce”
ed è un dialogo fra la Madonna e il figlio morente.
Cristo si trova di spalle a voi in croce.
Le donne cercano di fermare Maria, di impedirle
di vedere il figlio martoriato sulla croce, qualcuna
di loro pensa addirittura di colpirla con un sasso
per bloccarla. Ma la Madonna arriva, chiede una
scala, vi monta in cima per parlare col figlio e
convincerlo a scendere. Un soldato vede Maria e
vorrebbe addirittura scaraventarla giù dalla scala.
La Madonna cerca di corrompere questo soldato.
Importante è l’arrivo dell’arcangelo Gabriele che
cerca di lenire il dolore immenso della Madonna
ma
lei
lo
aggredisce,
rifiuta
la
logica
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dell’accettazione, il sacrificio senza che nessuno
l’abbia avvertita.
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BRANO IN DIALETTO
Il dialetto è arcaico.
DONNA Andì a fermàla... l'è rént a 'gni la sòa
mama de lü, la beata Maria, no' féghel vardà
incrusàt 'me l'è che ól pare un cavrètto inscortegà
che cola sàngui a fontanèla partütt cumpàgn 'na
muntagna de nev' in primavéra per via di 'sti gran
ciòdi che gh'han picàt in de la carne dulurùsa dei
man e di pie, intramèsa ai òsi sfurà...
CORO No' féghel vardà!
PRIMA DONNA No' la se vòl fermà... a la végne
coréndo desesperàda in sul sentié che in quatro no'
la podémo tegnìr...
SECONDA DONNA
Se in quatro non la tegnì,
prové in sìnque... in sie... èi no' la pòl vegnì, no' la
pòl vardà 'sto fiolì intorsegà cumpàgn 'na radìs
d'oliva magnàda dai furmìghi.
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TERZA DONNA Quercéghe, covrìghe almànco la
fàcia al fiöl de Deo, la soa mama no' l' posa
'recugnósarlo... agh dirém che l'incrusàt l'è un óltar,
un forèsto... che no' l'è ól so' fiöl de lé!
PRIMA DONNA
Mi a creo che purànco al
querciàssimo tütto con un linzòl bianco, al fiöl de
Deo, la sòa mama ól recognuserà istèsso... abàsta che
ghe spónta de föra un dit d'un pìe… un rìzzul dei
cavèj, imperchè la gh'l'ha fàit lée, la sòa mama, quèi.
QUARTA DONNA
(entra in scena correndo) La
végn... la végn… l'è chì lòga la beata Maria... agh
farìa mén dulúr masàla de cultèl… pitòst che lasàgh
vèd ól fiöl! Dème un sass de trasmurtìla d'un bòtt,
che la sé ruèrsa per tèra, che no' la pòsa vardà!
Entra Maria: il gruppo delle donne si sposta, Maria
la si immagina a sinistra
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PRIMA DONNA Ste quàcc, fèv in là... Oh povra
dòna che la ciamìt beata... e cum la pòl ès beata con
'‘sta decurasiún de quatro ciòdi che gh'han picàt in
de la carna dolorosa a rabatúni, cumpàgn che a no' l
s'farìa a 'na lusèrta venenúsa o un scurbàtt!
SECONDA DONNA Sti' quàcc... mantegní ól fiàt
che adèss ‘sta dòna la 'scoltarì criàre de toeta vüs,
compàgn s'l'avès squartàda ól dulúr… sgrasiàda…
dulúr de sètte cultelàde a spacàgh ól cör.
TERZA DONNA La està lí ferma… la dis nagòta.
Fèit che la piàngia almànco un pòch! Fela criàre,
ch'el s'àbia de s’ciopàr 'sto gran magóne che ghe
suféga ól gòz.
SECONDA DONNA 'Ntendíu, 'stu silénsi che gran
frecàss ól mena… e nól vale cuerciàse i urègi.
(Rivolgendosi al luogo deputato dove potrebbe trovarsi
Maria) Parla, parla... digh quai còss, Maria... Plangi,
Maria... ohi te pregi... Parla, Maria! (Quasi urlano)
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MARIA (con un fil di voce) Dèime 'na scala... a vòj
montàrghe a rénta al mé nann... (si avvicina alla
croce e parla al figlio straziata, ma cercando di
sorridere) Nan, oh 'l me bèlo smòrto fiöl de mi… stàit
següro, méo bén, che 'des la 'riva la tòa mama.
Come i t'han combinàt 'sti assasìt, purscèl, becàri.
Còssa ól 'véa fàito, 'sto mé tarlòch, de véghel inscí a
scann de fav tanto canàja con lü... Ma am burlerí in
ti mani: a vün a vun! Oh m'la pagarì… anch'
duarìssi 'gniv a cercàv in capp al mund, (urlando)
'nimàl, besti, sgrasió!
CRISTO (volta le spalle al pubblico, allarga le braccia
ed interpreta Cristo. Con voce sommessa e, respirando
a fatica, dice) Mama… no' stat a criàr… mama.
MARIA (Ritorna Maria) Pardúname, ól mé nan, 'sto
burdeléri c'ho tràit in pie… ‘ti paròl de inrabit che
hu dit… ma l'è stàit 'stu strènc dulúr de truvàrte
impatacàt de sangu…s’ciuncàt chì lòga sü 'ste trave,
sbiutàt... de bott pestà... sbusà in de' i me bej man si
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delicàt… e i pie... oh i pie!… che gòta sangu, gòta a
gòta... ohi, che dua ès un gran mal!
CRISTO (come sopra) No mama… no stàrte a
casciàt… 'des, t'el giüri… no' senti pì mal... no' senti
pü nagòta... Va' a ca' mama, té pregi... va a casa...
MARIA Sì, sì… anderèm a ca' insèma… 'égni sü, a
tiràt giò de 'ste trave... (mima si salire sulla scala)
cavàrte föra i ciòdi piano pian... (si rivolge alle
persone che stanno intorno alla croce) Dèm una
tenàj... (è disperata) Ajdéme quaicun!
Entra un soldato.
SOLDATO Ehi dòna, cosa té fàit lì lòga de soravìa a
'‘sta scala? Chi v'l'ha dàito ól permèso?
MARIA A l'è ól mé fiöl de mi ch'avìt incrusàd... al
vòj s’ciodàl, purtàl a ca' cun mi...
SOLDATO A ca'? Ohj che premüra! No' l'è ancmò
fròll asè, santa dòna… no' l'è ancmò bén stagionàt!
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Bòj… 'pena che ól tira i ültem, av fò fistcèto e venì a
tòl bèlo che impachetà, ól vòs car zóvin... Cuntenta?
'Gni giò 'dès.
MARIA No che no' deséndo! No' lasarò pasà chi
lòga la nòce al mé fiöl suléngo a murìrme! E vui no'
podì miga fam ‘sta preputénsa… che mi a sòn a sua
mama de lü… a sòn la sua mama, mi!
SOLDATO Bòn! Cara la mia mama de lü… e adès
mé t'l'hàit sgionfàde a sufficìt i bali! Agh farèm com
quando se scròda i pómi… vòj védar? Agh darò ‘na
bèla scrulàda a ‘sta scala… e ‘vegnirì giò da la scala,
de stónfate ‘me un bèl peròt marügo!
CRISTO
No, oh té prégi, soldàt, che ti è bòn e caro! Fame
a mi quèl che ti vòl: scòrla la cròse de mé scarpàrme i
carni e le man e i òsi, ma a la mia mama... té prégi, no’
farghe mal!
SOLDATO
Hàit sentìt, la mia patróna, quant inn i uri? As
gh’ho de fà? Per mi l’è ól stèss laüri: o s’iabatì vui, e
de prèscia, de ‘sta scala, o mi scòrli la cruse...
02/10/2012
317
MARIA (Mima
di scendere velocemente) No, no... per
carità... pecì che son già giò... vardì son chì abàs la
scala.
SOLDATO
Oh, l’intendìu al tèrmin ‘sta balàda, o dòna
benedètta! E no’ vardì a mi, cun sti ögi a brüsatàm, che
mi no’ ghe n’ho colpa niùna se ól zóvin ól s’è catàt ‘sta
posisión iscòmuda de stagh coi brasc slargàdi... ohj che
no’ gh’ho péna de vui? Che no’ cognósi mi,
l’isbarluscià di làgreme sanguagnénti ch’av süda giò di
ögi? Sa l’ha èstu on dulùr de madri! Ma agh pòdi fagh
nagòt... che mi sónt comandàt che vaga fina a l’órden
‘sta cundàna… sónt condanàt a fav murì ól fiòll, o bén,
de cuntra, lì lòga, me picheràn sü mi co’ i stèss só’
ciòdi.
MARIA Oh bòn suldàt curtés e caro… tegnì… av fò
un presénti de ‘st'anèl d’ori e de 'sti uregìti
d'argénto... tegnì…in cambio de un plegìr ch’am
podìt cuncèd…
SOLDATO Ól sarìa 'stu plagér?
02/10/2012
318
MARIA De lasàm netàgh via ól sangu, al mé fiòl…
cont un pòch d’aqua e un stràsc… de dàghen un
pòch de ‘nbiassegàrse i lavri s’cepàd de la sét.
SOLDATO Nagòt de plü de ‘sti cialàdi?
MARIA Vurarìa ancmò che catì 'stu sciàle, andìt de
suravìa a la scala a mètighel intùrna a i spale de sóta
a i brasc, de aidàl un pòch… a ‘sta' tacàt a la cruse...
SOLDATO O dòna, agh vursìt mal de cuntra al vòst
car zóvin dònca, s'ól vursìt guarnàl pi' a lònga in
vita a fal sgranì di 'sti treméndi dulùri. Al post vui,
farìa col Cristo ól mœra e sübet!
MARIA (quasi sussurrando) Murì…?!
Ól duvrà giüsta 'gnì morto 'sto car mé d´ólze? Morte
le man… morta la bóca... i ögi... morti i cavèj?
(Disperata, tra sè) Ohj, che m'han tradìtta. (Chiama
con voce via via più terribile) Gabrièl, Gabrièl...
Gabrièl… zóvin de dulza figüra, p'ól prim ti, ti!…
m'hàit tradìt de mmalorgnón! Con la tóa vóse de
viola inamorósa té sèt 'gnù a dime che sarìa 'gnüda
02/10/2012
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Rejna mi... e beata mi, e jucùnda mi... cap de tœti i
doni!
Vàrdum, vàrdeme 'me sont a tochi e sberlüsciàda…
l'ùltema dòna al mundo me sónt discovèrta! E ti... ti
ól savévi in del purtàrme ól nünzi deslinguént de fam
fiurì in t'el véntar ól fiolìn, col sarès 'gnüda a 'sto bèl
trono rejna!… Rejna! Rejna, col fiöl cavajér
zentìle… con dòj speróni fàit con dòj gran ciòdi
impiantàt in de la carne dei pie!
Parchè no' té l m'h'hàit dit avànte ól ségn?
Oh mi, te ‘sta' següro… mi no' gh'avarìa gimài
vorsüdo vès pregnìda… no!… gimài a '‘sta
cundisiün... teut-anch füèss 'gniüdo el Deo Patre in
t'la persona, e no' el piviùn colombo, so' spirito beàt
a maridàrme.
CRISTO Mama… o che ól dulùr ól t'hàit trat föra
mata che ti biastémi... (agli astanti) Menìla a ca'
fradèli… ve prégi… menéla a casa prima che la abia
a rabatàrse là ruèrsa e strepenàda…
02/10/2012
320
UOMO ‘ndém Maria… fèt consulàt ól fiòl de vüj…
lasél in pase.
MARIA No che no' vòj! Perdonéme... laséme istà
chì lòga arénta de lü… che no' dirò pü ‘nanca 'na
parola incóntra de so' patre, incóntra de njùno.
Laséme... oh fèite bòn!
CRISTO (parlando a fatica, quasi rantolando) Hoi
de murì… mama... e fagh fadìga... Hoi de lasàrme
andàre, mama…
sconsumàre ól fiàt che me
mantégne en vida… ma con ti… chì lòga a près…
ch'at stràzii, no' so’ capàze mama... e fo' plü grande
fadìga.
MARIA No' casàrme via Jesus! No' casàrme via! (È
al limite della disperazione) Vòj murì, Jesus… vòj
murì… (Grida straziata) Sufeghéme e sepeléme in
üna tomba sola embrassàda al mé fiòl! (Al Cristo)
Voj murì Jesus! Voj murì...
SOLDATO Sacra dòna l’è tròpo grando ‘sto dolór
de matre... Fémo inscì: nunch suldàt a farém mostra
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321
de miga stagh co’ i ögi… caté ‘sta lanza pichéghela a
tüt picà de punta in del custàt e a fund in dól gòzz…
e de lì a un mumént, vedrìt, ól Crist ól va a murìr.
(La Madonna cade a terra svenuta) Os' ve pasa? O
s'lè svegnüda che no' l'ho gnanch tucàda!?
UOMO La gh’ha i malori!
PRIMA DONNA Slonghéla lilé… fàite piàn… e ‘ndé
via d’intórna che la gh’abia a respirà.
SECONDA DONNA Povra dòna
ALTRO UOMO Fèive in là!
ALTRA DONNA F6V IN L9ó TI QU9CCó
MAS0LA REPUS9.
MARIA
(come in sogno) Chi sèt liló, bèl zóvin,
ch'am par aricugnùset?
SECONDA DONNA La gh'ha i visióni.
GABRIELE
Gabrièl, l'àngiol de Deo… són mi
quèlo, Vérzen… ól nùnzi d'ól to' soléngo e delicàt
amore.
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322
MARIA Gabrièl… Gabrièl… torna a slargàt i ali,
Gabrièl… tórna indré al to' bèl ziél zojóso che no' ti
gh'ha niénte a che far chì lòga… in ‘sta sgarósa
tèra… in 'stu turménto mundo.
Vaj… che no' té sé sburdéga i ali de plüme culuràde
'e zentìl culüri... no' ti védi fango e sangu e buàgna,
mèsta a la spüsénta d'partüto?
Vaj… che no' te ne sbréghi i orègi tant delicàt co'
'sto criàr desasperàto e plàngi e ploràr che crésse in
òmnia parte...
Vaj… che ne te se sconsüma i ögi luminósi a remeràr
piàghe e croste e bugnóni e mosche e vèrmeni!, föra
dai morti squarciàdi.
Ti no' t'è abitüàt, Gabrièl… che in d'ól paradìso no'
gh'hai ni rumór, nì plàngi, né guère, nì presón, nì
òmeni impicàdi, nì done violàde!
No' ghè nì fam, nì carestia, njùno che süda a
stracabràsci, nì fiolìn sénsa surìsi, nì madri smarìde
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323
e scuràde dal dulùr… njùn che péna per pagà ól
pecàt!
(Quasi sussurrato, ma molto intenso) Vaj Gabrièl!
(Aumenta appena il tono)Vaj Gabriel!
(Chiude con un urlo terribile) Vajjjj Gabrièèèèl!
Musica
Buio
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324
NELLA prima VERSIONE EINAUDI il
brano
finiva così
GABRIELE
Dòna induluràda... che fin ’n’d’ól vénter
t’ha scarpàda ól patimént, oh, mi ól cognósi ciàro
‘sto turmént che t’hàit catàt mirànd ól Segnor zóvin
Deo inciudàt... in ‘sto mumént ’égni a cognüsel anc
mi, de parimént.
MARIA
Ól cognóset de parimént... de parimént a mi?
Ah l’hàit ü ti, Gabriél, in dól venter grosì, al mé fiòl?
At n’è sgagniàt ti i lavri par no’ criàr di dulüri
’nd’ol parturìl? At l’hàit nutregàt ti? Dàit de tèta ól
latt, ti, Gabriél? Hàit soffregà ti, quand l’è stàit
malàd con la féver, i macc de la rosolia e i nòti in pie
a ninàl c’ol piagnéva pèi prém dénci? No Gabriél…
si no’ hàit scuntàt ‘ste bagatèle, no’ pòdet parlà
d’avegh ól me stèso dolùr in ‘sto mumént.
GABRIELE
At gh’hàit resón, Maria... perdóname ‘sta
presonzión che m’l’ha gh’ha detàt ól strapacòre che
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325
gh’ho in de dentro, che m’ figüràva vès in punta o
òmnia patimént.
Ma mi égni recurdàt che ól sarà pròpi ‘sta tua
canzon plangìda sanza vóse… ’sto lamento intonàt
sanza singülti… ‘sto sacrifìzi to’ e del caro fiòl de ti,
c’ol farà squarciàrse ól cièl… che pòda i òmeni
reversàrse par la préma volta in paradìs!
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326
TRADUZIONE
GABRIELE
Donna addolorata... che perfino nel ventre
t’ha strappato il patimento, oh, io lo conosco
chiaramente questo tormento che ti ha preso
guardando il Signore giovane Dio inchiodato... In
questo momento vengo a conoscerlo anch’io (al) pari
di te.
MARIA
Lo conosci al pari mio, pari a me? L’hai avuto
tu, Gabriele, nel ventre ingrossato - che cresceva
giorno dopo giorno - che si ingrossava giorno dopo
giorno, il mio figlio? Ti sei morso le labbra per non
gridare di dolore nel partorirlo? L’hai nutrito, tu?
Dato il latte dalla mammella tu, Gabriele? Hai
sofferto tu, quando è stato ammalato con la febbre,
le macchie della rosolia e le notti in piedi a ninnarlo
che (quando)
piangeva per i primi denti? No,
Gabriele… se non hai provato queste bagatelle, non
puoi parlare d’avere il mio stesso dolore in questo
momento.
02/10/2012
GABRIELE
327
Hai ragione, Maria... perdonami questa
presunzione che me l’ha dettata lo strappacuore che
ho dentro (tanto) che mi figuravo di essere in cima
ad ogni patimento. Ma io vengo a ricordarti che sarà
proprio questa tua canzone, pianta senza voce,
questo lamento intonato senza singhiozzi, questo
sacrificio tuo e del caro figlio tuo che farà squarciare
il cielo, affinché possano gli uomini riversarsi per la
prima volta in paradiso!
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328
Maria alla croce
Traduzione GIUSTA
DONNA Andate a fermarla... ‘sta arrivando la sua
mamma di lui, la beata Maria, non fateglielo
guardare crocefisso com’è che pare un capretto
scorticato che cola sangue a fontanella dappertutto
come una montagna di neve in primavera per via di
‘sti gran chiodi che gli hanno piantato nella carne
dolorosa delle mani e dei piedi, frammezzo le ossa
forate...
CORO Non fateglielo guardare!
PRIMA DONNA Non si vuole fermare... viene
correndo disperata sul sentiero che in quattro non
possiano tenere (trattenere)...
SECONDA DONNA
Se in quattro non la tenete
(trattenete), provate in cinque... in sei... lei non può
venire, non può guardare ‘sto figliolo attorcigliato
come una radice di olivo mangiata dalle formiche.
02/10/2012
329
TERZA DONNA Nascondetegli, copritegli almeno
la faccia al figlio di Deo, che la sua mamma non
possa riconoscerlo... diremo che il crocifisso è un
altro, un forestiero... che non è il figlio suo!
PRIMA DONNA
Io credo che puranche lo
coprissimo tutto con un lenzuolo bianco, il figlio di
Dio, la sua mamma lo riconoscerà lo stesso... basta
che gli spunti fuori un dito d’un piede... un ricciolo
dei capelli, perché glieli ha fatti lei, la sua mamma,
quelli.
QUARTA DONNA
(entra in scena correndo)
Viene... viene… è qui vicino la beata Maria... le
farebbe meno dolore ammazzarla di coltello...
piuttosto che lasciarle vedere il figlio! Datemi un
sasso da tramortirla d’un botto, cossì che si rovesci
per terra, che non possa guardare!
Entra Maria: il gruppo delle donne si sposta, Maria
la si immagina a sinistra
02/10/2012
330
PRIMA DONNA
State quieti, fatevi in là... Oh
povera donna che la chiamate beata... e come può
essere beata con ‘sta decorazione di quattro chiodi
che
hanno
picchiato
(conficcato)
nella
carne
dolorosa e ribattuti che cossì non si farebbe a una
lucertola velenosa o a un pipistrello!
SECONDA DONNA State quieti... trattenete il fiato
che adesso ‘sta donna la ascolterete gridare a tutta
voce,
come se l’avesse squartata
il dolore...
disgraziata... dolore di sette coltellate a spaccarle il
cuore.
TERZA DONNA
Sta lì ferma... non dice niente.
Fate che pianga almeno un poco! Fatela gridare, che
debba scoppiare ‘sto gran magone che le soffoca il
gozzo.
SECONDA DONNA Ascoltate ‘sto silenzio che gran
fracasso che mena... e non vale coprirsi le orecchie.
(Rivolgendosi al luogo deputato dove potrebbe trovarsi
02/10/2012
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Maria) Parla, parla... di qualcosa, Maria... Piangi,
Maria... ohi ti prego... Parla, Maria! (Quasi urlano)
MARIA (con un fil di voce) Datemi una scala...
voglio salire vicino al mio bene... (si avvicina alla
croce e parla al figlio straziata, ma cercando di
sorridere) Mio bene, oh mio bèllo smorto figlio mio...
stai sicuro, mio bene, che adesso arriva la tua
mamma.
Come ti hanno conciato ‘sti assassini, porci,
macellai. Cosa vi avéa fatto, ‘sto mio tontolone, da
averlo cossì in odio, da essere tanto canaglie con lui...
Ma mi cadrete tra le mani: a uno a uno! Oh me la
pagherete... anche se dovessi venire a cercarvi in
capo al monto, (urlando) animali, bestie, disgraziati!
CRISTO (volta le spalle al pubblico, allarga le braccia
ed interpreta Cristo. Con voce sommessa e, respirando
a fatica, dice) Mamma… non stare a gridare…
mamma.
02/10/2012
332
MARIA (Ritorna Maria) Perdonami, mio bene, ‘sto
bordello che ho tratto in piede...e queste parole da
arrabbiata che ho detto… ma è stato ‘sto stretto
dolore di trovarti imbrattato di sangue… spezzato
qui su ‘ste travi, denudato... di botte pesto... bucato
nelle mie bèlle mani cossì delicate... e i piedi... oh i
piedi!... che gocciolano sangue, goccia a goccia... ohi,
deve essere un gran male!
CRISTO (come sopra) No mamma... non stare a
preoccuparti…adesso, ti giuro... non sento più
male... non sento più niente... Vai a casa, mamma, ti
prego... vai a casa...
MARIA Sì, si... andremo a casa insieme... vengo su,
a tirarti giù da ‘ste travi... (mima di salire sulla scala)
a tirarti fuori i chiodi piano piano... (si rivolge alle
persone che stanno intorno alla croce) Datemi una
tenaglia... (è disperata) Che qualcuno mi aiuti!
Entra un soldato.
02/10/2012
333
SOLDATO Ehi donna, cosa fai lì sopra a ‘sta scala?
Chi ve la dato il permesso?
MARIA È il figlio mio che avete crocifisso... voglio
schiodarlo, portarlo a casa con me...
SOLDATO A casa? Ohi che premura! Non è ancora
frollo abbastanza santa donna... non è ancora ben
stagionato! Bene... appena tira gli ultimi vi faccio un
fischietto e venite a prenderlo bèllo e impacchettato,
il vostro caro giovane... Contenta? Venite giù adesso.
MARIA No che non discendo! Non lascerò passare
qui la notte al mio figliolo solo a morire! E voi non
potete farmi ‘sta prepotenza... che io sono la sua
mamma di lui... sono la sua mamma, io!
SOLDATO
Bene! Cara la mia mamma du lui,
adesso me le avete gonfiate a sufficienza le
balle!Faremo
come
quando
si
scrollano
le
mele…vuoi vedere? Darò una bèlla scrollata a
02/10/2012
334
questa scala…e verrete giù a tonfo come una bèlla
pera matura
CRISTO No, ti prego, soldato, che sei buono e caro!
Fai a me quello che vuoi: scrolla la croce fino a
lacerarmi le carni delle mani e le ossa, ma alla mia
mamma… ti prego, non farle male!
SOLDATO Avete sentito, cara mia padrona, quante
sono le ore? Cosadevo fare? Per me è lo stesso
lavoro: o scendete voi, e in fretta da questa scala,
oppure io scrollo la croce.
MARIA (Mima di scendere velocemente) No, no... per
carità... aspettate che sono già giù... guardate sono
qui sotto la scala.
SOLDATO oh, l’avete capita alla fine questa ballata,
o donna benedetta! E non guardatemi con questi
occhi da brusciarmi, che io non ho colpa alcuna se il
giovane si è presa questa posizione scomoda da stare
con le braccia allargate… oh che non ho pena di voi?
Che non conosco io il luccicchio di lacrime
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sanguinanti che vi sudano giù dagli occhi? É ben
questo il dolore di madre! Ma non ci posso far
niente…che io sono comandato che vada fino
all’ordine questa condanna… sono conndannato a
farvi morire il figlio, o bene altrimenti, lassù, me
attaccheranno con gli stessi chiodi.
MARIA O buon soldato cortese e caro… tenete… vi
faccio un presente di questo anello d’oro e questi
orecchini d’argento… tenete… in cambio di un
piacere che mi potete concedere…
SOLDATO Sarebbe ‘sto piacere?
MARIA
Di lasciarmi pulir via il sangue, a mio
figlio… con un po' d’acqua e uno straccio… di
dargliene un po' per inumidirgli le labbra spaccate
dalla sete.
SOLDATO Niente di più di queste sciocchezze?
DONNA Vorrei anche che prendeste ‘sto scialle e
andiate sopra alla scala a metterglielo intorno alle
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336
spalle sotto le braccia, da aiutarlo un poco... a stare
attaccato alla croce...
SOLDATO Oh donna, gli volete male al vostro caro
giovine dunque, se lo volete mantenere più a lungo in
vita a fargli patire ‘sti tremendi dolori. Al posto
vostro, farei che il Cristo muoia e subito!
MARIA (quasi sussurrando) Morire...?!
Dovrà veramente morire ‘sto caro mio dolce? Morte
le mani... morta la bocca... gli occhi... morti i capelli?
(Disperata, tra sè) Ohi, mi hanno tradita. (Chiama
con voce via via più terribile) Gabriele, Gabriele...
Gabriele... giovane di dolce figura, per primo te,
te!... mi hai tradita! Con la tua voce da viola
d’amore sei venuto a dirmi che sarei divenuta
Regina io... e beata io, e gioconda... capo di tutte le
donne!
Guardami,
guardami
come
sono
a
pezzi
e
sbertucciata... l’ultima donna al mondo mi sono
scoperta! E tu... tu lo sapevi nel portarmi l’annunzio
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che fa sciogliere di commozione, di farmi fiorire nel
ventre il figliolo, che sarei arrivata a ‘sto bèl trono
regina!... Regina! Regina, con figliolo cavagliere
gentile... con due speroni fatti con due gran chiodi
piantati nella carne dei piedi!
Perché no mi lo hai detto prima del segno?
Oh io, stai sicuro... io non avrei mai voluto essere
ingravidata... no!... mai a ‘sta condizione... anche se
fosse venuto il Dio patre nella sua persona, e non il
piccione colombo,’sto spirito beato, a maritarmi.
CRISTO Mamma... oh che il dolore ti ha portato
fuori (ti ha fatto diventare) matta che tu bestemmi...
(Agli astanti)
Accompagnatela a casa fratelli... vi
prego... portatela a casa prima che abbia a
rovesciarsi là, riversa e stravolta…
UOMO Andiamo Maria, fate consolato (contento) il
figliolo di voi… lasciatelo in pace.
MARIA
No che non voglio! Perdonatemi...
lasciatemi stare qui vicino a lui... che non dirò più
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nemmeno una parola contro suo padre, contro
nessuno. Lasciatemi... oh siate buoni!
CRISTO (parlando a fatica, quasi rantolando) Devo
morire... mamma... e faccio fatica... Devo lasciarmi
andare, mamma... consumare il fiato che mi
mantiene in vita... ma con te... qui vicino... che ti
strazii, non son capace mamma... e faccio grandemaggiore fatica.
MARIA Non cacciarmi via Gesù! Non cacciarmi
via! (È al limite della disperazione) Voglio morire,
Gesù... voglio morire... (Grida disperata) Soffocatemi
e seppellitemi in una tomba sola abbracciata a mio
figlio! (Al Cristo) Voglio morire Gesù! Voglio
morire...
SOLDATO
Sacra donna è troppo grande ‘sto
dolore di madre... Facciamo cossì: noi soldati faremo
finta di non guardare… prendete ‘sta lancia
picchiategliela a tutta forza nel costato e a fondo nel
gozzo... e di lì a un momento, vedrete, il Cristo va a
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morire. (La Madonna cade a terra svenuta) Cosa vi
succede? È svenuta che non l’ho neanche toccata!
UOMO Ha i malori!
PRIMA DONNA
Allungatela là… fate piano… e
andate via d’attorno, che abbia a prendere fiato!
SECONDA DONNA Povera donna!
MARIA (come in sogno) Chi sei lì, bèl giovane, che
mi pare di riconoscerti?
SECONDA DONNA Ha le visioni!
GABRIELE
Gabriele, l’angelo di Dio... sono io
quello, Vergine... il nunzio del tuo unico e delicato
amore.
MARIA Gabriele... Gabriele... torna ad allargare le
ali, Gabriele... torna indietro al tuo bèl cielo gioioso
che non hai niente a che fare, qui… in ‘sta schifosa
terra... in ‘sto tormentato mondo.
Vattene... che non ti si sporchino le ali colorate di
gentili colori... non veda fango e sangue e letame
misto a giuso dappertutto...
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340
Vattene... che non ti si spacchino le orecchie tanto
delicate con ‘sto gridare disperato e pianti e
implorare che cresce a ogni parte...
Vattene... che non ti si consumino gli occhi luminosi
a rimirare piaghe e croste e bugnoni e mosche e
vermini!, fuori dai morti squarciati.
Non sei abituato, Gabriele... che nel Paradiso non
hai né rumori, né pianti, né guerre, né prigioni, né
uomini impiccati, né donne violentate!
Non c’è né fame, né carestia, nessuno che sudi fino a
stancarsi le braccia, né bambini senza sorrisi, né
madri scurite dal dolore... nessuno che pene per
pagare il peccato! (Quasi sussurrato, ma molto
intenso) Vattene Gabriele! (Aumenta appena il
tono)Vattene Gabriele! (Chiude con un urlo terribile)
Vatteneee Gabrieeele!
Musica
Buio
02/10/2012
341
02/10/2012
342
LA MADONNA INCONTRA LE MARIE
Prologo
Il brano che segue è relativo ad un'altra situazione
tragica: una passione laica che proviene dalle laudi
antiche dell'Italia centro meridionale, in particolare
dall'Umbria.
Si tratta della Madonna che incontra per la strada le
Marie appena tornate dal mercato. Con loro discute
della spesa e dei prezzi. Sul fondo passano le croci, si
sentono grida e insulti. Questo ricorda un quadro
famoso di Bruegel dove vediamo Maria con le altre
donne in primo piano; c'è il mercato, ci sono i
saltimbanchi, c'è baccano, festa, e in fondo, minuto,
s'intravede il passaggio delle croci, la crocefissione, e
tütto avviene lì come dimenticato, come un fatto
secondario. L'insieme é un'invenzione drammatica
sconvolgente.
02/10/2012
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Franca lo recita in una lingua inventata dai giullari
del sud.
02/10/2012
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La Madonna andéva pe' la via, e quànno giònse
d'apprèsso allo mercato vecchio, encòntra Amelia e
Jovanna amiche sòe: "Salùte Joanna e bòna jornàta
anche a te Amelia. avìte già fatte le spese?" Quìnci se
fanno li sòliti commentàri su li prezzi che mónteno
sanza raggióne. De botto se séntono crida e vociàre
con trambùsto: "Che d'è? - dimànna la Maria Dove se ne ‘sta annàndo tutta ‘sta ggiénte? Che
accàde laggiù in lo fònno?" - "Ce sarà de segùro 'nu
sponsàle." fa Jovanna. "Sì, ci hai endovenàto, è 'nu
sponsàle… - s'affrétta Amelia - vègno de ìllo lòco
impròprio mò." "Jàmmoce a véde!" dice la
Madonna, e s'avvìa.
Jovanna l'arresta: "No, affrettàmoce allu mercato."
"Ma 'no mumènto sulo… fàmmece véde, che me
piàcceno assàje li sponsàli! Cómme all'è la sposa...
gliè giòvina? E lo sposo, tu lo conósse?" "Créo che
02/10/2012
345
débbia esse ‘no forèsto. Jammocénne Maria...
tornàmmoce alla casa che ce avìmmo ancò da
métterce l'acqua allu foco." "Attiénde... ascùlta... se
stanno a biastemàre, chilli!" "Biastamaranno pe'
'legrìa e contintézza…" "No, me rassoméglia che lo
dìcheno co' rabbia. Strigóne, stròlego... hanno
criàto... Sì, l'intendìo ziùsto... Ascórtate che i vanno a
repètere... Contro chi ce l'avranno Amelia?" "Mo'
che me arrecòrdo, no' all'è pe’ 'nu sponsàle che
crìeno... ma di contra a uno che l'hanno descovèrto
esta notte che steva a ballà co' 'no cavróne che po'
ell'era lü diàbbolo." "Ah pe' '‘sta raggióne jé
dìcheno stregonàzzo!" "Sì, ello serà pe' chisto... ma
jammocénne alla casa... che no' so' spectàculi da
véde a chilli... che te po' pijà lü maluòcchio."
La Madonna Maria se vòlze a vardà allo fónno de la
via e ce remàne sanza respìro: "Vìde, ci stà 'na
crócie che spónna sóvra le teste de la ggiènte... e là...
altre doi crócie che spónteno mo'." Joanna jé dà de
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spónna: "Sì, cotest'altre so' de doi laddróni..."
"Meschìna ggiènte... li vanno a encrocefìggere a
tutt'e tre… Chissà la màtre a lloro! E magàre,
poradònna mànco sàpe che li stanno a occìdere lo so'
fijòlo."
En quèllo zonze currènno la Maddalena. Ella co' lo
fiatóne jé crìda: "Maria! Oh Maria lo fìjo vuóstro...
Jesus..."
Jovanna l'ammùtola allo istànte e la spentóna: "Ma
sì, ma sì... essa lo sàpe già pe' conto sòjo…(A parte) E
statte azzìtta desgrazziàta!"
E Maria: "Che d'è che saccìo de già? Che jè
capetàto allo fìjo mèo?" "Nunca... cossa vulìte che jé
càpeta allo fìjo vuósto... santa fémmena! Jè
sojamènte... (cambia tono) Ah, ancora nu' te l'avéa
ditto? Oh sànza càpa che songh'ìo! Lo fìjo tójo me
avéa fatto prèscia de dàtte l'avvisàta che ìllo no'
sarrìa retornàto a mezzo juórno... che s'è accattàto
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l'empégno
d'annà
sovra
lü
monte
a
contà
paràbbule."
E Maria alla zóvine: "Quìnce Maddalena, è '‘sta
cotésta ambbassciàta che me volìvi dàmme pure
tu?" "Sì, cotésta ellèra, Madonna." - "El Segnore
séa benedécto fijòla! Tu eri zonta cossì all'intrasàtte
corrènno
anseósa...
che
m'ero
accattàto
'nu
spaviénto da sbattecòre. Me c'ero affiguràta nun
sàccio quàre desgràzia... Quanto sìmmo allùcche
(allocche) noàltre màtri àlle vvòte! Pe’ gniénte ce se
pone allo tràggeco."
E Joanna ce pone 'no càreco de òndece: "Ma anco
'‘sta ammattìta che zonze corrènno alla desesperàta
pe' venì a dàtte l'annònzio de '‘sta cojonarìa!"
"Bòna, Joanna… no' stàtte a vosciàre de contra '‘sta
fijòla… Non dementegà che 'll'è venuta a farme lo
piazére
de
'n'ambbassciàta!
(Alla
Maddalena)
Cómme te chiàmmi te pitòsto... che me pare de
acconóserte..." "(Con imbarazzo)
Io mi son la
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Maddalena…" "Maddalena? La quale?… Chèlla?"
E
Joanna:
"Sì,
è
a
chèlla...
la
cortezzàna.
Jammocénne Maria, jàmme alla casa ch'è mejór
assàje che nu' ce facìmmo véde co' certa ggiènte...
che no' istà bbene." "Ma io... nu' fazzo cchiù lü
mestiere!" "Ello sarrà pecchè no' te retruóvi cchiù
zozzóni da pijàre. Vatténne, svergognàta!" "No, nun
l'alluccà accussì, pòvara criatùra. Si lo Jesù mèo la
tène en tanta attenzione d'enveàrla a me per darme
avvisàta, éllo segno che mo' ha mìso jodìzio... (alla
Maddalena) L'è vero?" "Sì, jò fazzo jodìzio mo'." E
Jovanna, tosta: "Sì, vàcce a créde... Lo fatto gli è che
lo fìjo tójo è troppo bono assàje… Se lasse pijàre de
la cumpassiòne... e lo fòtteno tutt'e quanti! Tène
sèmpe attuòrno 'nu sacco de poltròni... sfatecàti,
sanza nì lavoro, nì arte... muórte e fàmme...
desgrazziàti e pottàne... pari a chèlla." - "Tu allùcchi
da cattìva Jovanna! Illo, lo fìjo méo dìsce sempe che
è per issi, sovra ogne cosa, per issi... sbarandàti e
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perdùti, chilli… che allè vegnùto a 'sto mònno: pe'
dàcce la esperànza!" - "Va buono... ma nun te
capàcita che, in ésta mannèra, ìllo nu' ce fa bòna
fegùra… se fa parlà d'arrèta! Co' tutta la ggiènte de
bòna levàta che ce stà ìnta lü paese: li segnòri co' le
dame lori, li dottori, li mercànti... che ìllo co' lo so'
fare zantìle, arudìto e saviénte se arritrovarébbe
sùbbeto nelle màneche lori e n'averébbe onnòre e
l'aiùti, se n'avesse lo besògno. E envéce, no!
Sacrepànte, se va a emmeschiàre co' li petocchiòsivillani e contra a chilli là!"
Maria accorata: “Sintìte cómme a crìdeno e rìdeno...
ma no' se scòrgheno cchiù le crósci!"
proseguendo nel suo discorso)
"(Joanna
A parte che
poderébbe pure facce a meno de sbeceràre de
contìnuo contra li prèveti e li monsegnòri... chìlli no'
la perdòneno a nisciùno." La Madonna accorata:
“Ah, vìde a nuovo le tre crósci!" “Giovanna
proseguendo nel suo discorso) Chìlli, 'nu jórno jé la
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fagarà pagare! Jé fagarànnu déllu male!" - "Fàje
déllu male a lü fìjo méo? E pecché... ch'è accussì
bono? No' ddona che beni a tutti... anco a chille che
no' jé lo demànna... (Attenta a quello che ‘sta
succedendo in fondo alla strada) Siénte... stanno a
réta a sghegnazzà de novo! Uno de li tre ha da esse
cascato pe' terra… (Riprende il dialogo con le donne)
Ogne uno ce vo' bbene allo fìjo meo... no' è 'o vero?
Dìmme Maddalena…" - "Sì, anco io jé vòjo bbene!"
- "Oh, lo canuscìmmo tutti che ispiràto bene i vòi tu
allo fìjo sojo de la Maria." - "Io no' tengo che
'n'ammóre iguàle che pe' 'nu fratello pe' ìllo... mo'!"
- "Mo'? Pecché, ànte allora?" - "Joanna, furnìsci
'nu mumènto de dàcce turmiénto a '‘sta criatùra...
Che t'ha fatto? Nu' vìde che già stà murtificàta!
(Cambia tono: molto angosciata) Comm'è che crìeno
tanto? (Torna a dialogare) E se ànco fusse che ella,
'‘sta jóvine, tegnésse un'ammóre pe' ìsso, de chello
chi le fémmene dellu normale tèneno pe' l'òmmi che
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ce piàceno... e bene, allora? Nun è 'n'òmmo lo fìjo
meo forse… en oltre che deo? De òmmo tène
l'uócchi, le màne, li piédi… tutte d'òmmo téne...
finànco li dulòri e l'allerìa. Dònca, ce toccarà a ìsso
mésmo, allo fìjo méo, descìdere... che savrà bene illo
cosa è da fàcere quanno vegnerà lo mumènto sòjo.
S'ìllo vurrà piàrsela 'na sposa, pe' me, a chella che
scernirà, io jé vojerò bene come fusse la fijòla mea...
o almànco me ce sforzarò. E ci ho esperanza assàje
che zónga en prèscia 'sto jòrno… che oremài ha
compeùto triénta e tre anni... ed è lü tiémpo che se
fazza 'na famìja. (Cambia tono: accorata) Oh che
sgarberàto criàre che fanno là nello fonno... E
comm'è nìra '‘sta crósce! (Torna a dialogare) Oh, me
piacerébbe assàje avécce pe' casa delli piccirìlli soi...
d'ìsso… da fàlli jogàre… addormìre…
ch'io ne
canósco assàje nénne de culla e firastòcche... e
c'averèi gusto de dàcce vizi... e contàcce fàvule ma de
chélle che fornìsse sèmpe bbène e in jocundetà!" -
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"Sì, va buóno, ma mo' sòrti da li suógni, Maria…
jammucénne che de 'sto passo nu' magnàmmo cchiù
manco a sera." - "Nun ci ho fame io... nun ne sàccio
la raggióne... ma m'è egnùta dìnta 'na strézza 'e
stòmmeco... Besògna pròpio che ce vada a véde
chéllo che va a capetàre là enfóndo." - "No'
arrèstate! Nun ci annàre. So' spittàculi chilli che
t'appuóngono
en
trestìzzia.
T'acchiàppa
'nu
strappacòre pe' tütto lo juórno... e lo fìjo tòjo no'
sarà cuntènto. Pol'essere che ìnta 'stu mumènto, ìllo
se truóva già en la casa che ce stà aspettànno… e
magàre ce ha pure fame." - "Ma se m'ha mannàto a
dire: che no' vène!?" - "Beh, lo po' avécce avùto 'nu
repensamènto... che tu ben lo sàbe cómme so' li fìji.
Quanno tu l'attèndi alla casa no' tòrneno e i torna
quànno tu no' l'attèndi pe' gniénte e besògna stàcce
sempe appreparàte, cu' la zuppa allu foco." - "Sì, tu
ci hai raggióne, jammocénne. (Alla Maddalena) Ce
vòi vegnìre pure a te, Maddalena, a pijàrte 'na
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brocca?" - "Co' piacére... se no' vé dóngo… se non
vi do empìccio."
In chill'estànte sullo fónno passa la Veronica e la
Madonna addimànna: "Còssa pol'èsser capetàto a
chélla fémmena, che tène ìntra le mani 'nu panno
tutt'ensanguenàto? (A Vronica) Oh, bòna donna, ve
sìte ferùta?" - "No, mica io... ma uno de chìlli
cundannàti che hanno mìso de sotto a la crosce." "(Col fiato che le manca, come se presagisse la
risposta) Lo quale?" - "Chìllo che 'cce crìdeno
stròlego... ma che stròlego nun è, ma santo! E lo se
lèzze da chìlli uócchi dósci che tène... ci ho asciugàto
la fàzza ensanguenàta..." - "Oh, fémmena de
pitàde!" - "Vìde, l'hàggio asciuttàto co' '‘sta tovàglia
e n'è sortùto 'nu miràculo! Illo m'ha lassàto
l'emprònta de la figùra sója che pare 'nu retràtto." " (Quasi senza voce) Fàmmece dà 'n'uócchio…" "Sì, te lo fàzzo véde." - "No Maria, làssa pèrde!" "Te lo làsso véde ma ànte o donna, ségnate cu lü
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segno de la crosce!" (Veronica mostra il tovagliolo a
Maria) - "Ch'hai fatto! 'Nu vìdi che mo' è
desvegnùta!" - "Oh Gesù! Ch'hàggio combenàto! E
pacché è desvegnùta, è parènte a chìllo?" - "La
màtre è. La matre de lo Segnóre!"
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TRADUZIONE napoletano da rivedere
La Madonna andava per la via, e quando giunse vicino
almercato vecchio, incontra Amelia e Giovanna amiche
sue: “Salute Giovanna e buona giornata anche a te
Amelia… avete già fatte le spese?” Quindi si fanno i
soliti commeni su i prezzi che montano (aumentano)
senza ragione. Di colpo si sentono grida e vociare con
trambusto: “Che è? - domanda Maria - dove se ne ‘sta
andando tutta ‘‘sta gente? Cosa ‘sta succedendo là in
fondo?”
“Ci sarà sicuramente uno sposalizio.” fa
Giovanna. “Sì, hai indovinato, è uno sposalizio... s’affretta Amelia - vengo da quel luogo proprio adesso.”
“Andiamo a vedere!” dice la Madonna, e s'avvìa.
Giovanna l'arresta: "No, affrettiamoci al mercato." "Ma
un momento solo… fammi vedere, che mi piacciono
tanto i matrimoni! Com’è la sposa… è giovane? E lo
sposo, tu lo conosci?” “Credo che debba essere (che sia)
uno di fuori un forestiero
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Andiamocene Maria… torniamo a casa, che dobbiamo
ancora mettere l’acqua sul (al) fuoco.” “Aspettate…
ascoltate…
stanno
bestemmiando,
quelli!”
“Bestemmieranno per allegria e contentezza...” “No, mi
sembra che lo dicano (facciano) con rabbia. Stregone…
hanno gridato... sì, ho inteso giusto... ascoltate che
vanno a ripetere… Con chi ce l’avranno Amelia?”
“Adesso che mi ricordo, non è per uno sposalizio che
gridano, ma contro uno che hanno scoperto questa notte
che ballava con un caprone, che poi era il diavolo.”
“Ah, per questa ragione gli dicono stregone!” “Sì, sarà
per questo... ma andiamo a casa che non sono spettacoli
da vedere quelli… che ti può pigliare il malocchio.”
La Madonna Maria se vòlge a guardare al fondo della
via e rimane senza respiro: “ Guardate, c’è una croce
che spunta sopra le teste della gente… e là… altre due
croci che spuntano adesso!”
Giovanna le tiene bordone de spónna: “Sì, queste
altre sono di due ladroni...”
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“Povera meschina gente... vanno a crocifiggerli tutti e
tre... Chissà la loro madre! E magari lei, povera donna
neanche sa che stanno ammazzando suo figlio.”
In quel momento giunge correndo la Maddalena. Ella
col fiatone le grida: “Maria! Oh
Maria... il figlio
vostro… Jesus...” Giovanna l’ammutolisce (l’azzittisce)
all’istante e la spintona: “Ma sì, ma sì… ella lo sa di già
per conto suo... (A parte) Stai zitta disgraziata!” E
Maria: “Cosa è che so già io? Cosa è capitato al figlio
mio?”
“Niente... cosa dovrebbe essergli capitato al figlio
vostro… santa donna? C’è solo che... (cambia tono).
Ah, ancora non te lo avevo detto? Oh, senza testa che
sono io! Tuo figlio mi avéa fatto premura prèscia di
avvisarti che lui non sarebbe rotornato a mezzogiorno…
perché si è accattato (preso) l’impegno di andare sulla
montagna a raccontare parabole.” E Maria alla giovane:
“ Quindi Maddalena, è questa ambasciata che mi volevi
dare pure tu?” “Sì, questa era, Madonna.” “Il Signore
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sia benedetto figliola! Tu eri arrivata all'intrasàtte
correndo ansiosa, che io mi ero presa uno spavento da
“sbatticuore”. Mi ero già figurata non so quale
disgrazia... Come siamo allocche noialtre mamme a
volte! Per niente ce se pone allo tràggeco!” E Giovanna
ci pone un carico da undici: “Sì, ma anche ‘sta matta
che arriva correndo alla disperata per venire a darti
l’annuncio di questa coglionata!” “Buona, Giovanna...
non stare a vociare gridare contro ‘sta figliola... Non
dimenticarti che è venuta per farmi il piacere di una
ambasciata! (Alla Maddalena)
Come ti chiami tu
piuttosto… che mi sembra di conoscerti?” “(Con
imbarazzo) Io sono la Maddalena...” “Maddalena?
Quale?… Quella?” E Giovanna: “Sì, è quella... la
cortigiana. Andiamocene Maria, andiamo a casa che è
meglio assai che non ci facciamo vedere con certa
gente… che non ‘sta bene.” “Ma io non faccio più il
mestiere.” “Sarà perché non trovi più sporcaccioni da
pigliare. Vattene, svergognata!”
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“No, l'alluccà non cacciarla cossì, povera creatura. Se
Gesù mio la tiene in tanta considerazione fiducia da
mandarla a me per darmi un avviso è segno che adesso
ha messo giudizio… (alla Maddalena)
È vero?” “Sì,
faccio giudizio adesso.” E Giovanna tosta: “Sì, vai a
crederle... Il fatto è che tuo figlio è troppo buono… si
lascia prender dalla compassione… e lo fottono tutti
quanti! Si tiene sempre attorno un mucchio di poltroni,
sfaticati, senza lavoro né arte… morti di fame…
disgraziati e puttane... uguali a quella!” “Tu parli da
cattiva Giovanna! Lui, il figlio mio, dice sempre che è
per loro, sopra ogni cosa, per loro… sbandati e perduti,
quelli… che è venuto a questo mondo: per dargli la
speranza!” “Va bene… ma non ti capaciti (capisci) che
in questa maniera, non ci una buona figura… si fa parlar
dietro! Con tutta la gente bene allevata de bòna levàta
che c’è in paese: i signori con le dame loro, i dottori, i
mercanti... che lui con il suo fare gentile, erudito e
sapiente si troverebbe subito nelle maniche loro e ne
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avrebbe onori e aiuti, se ne avesse bisogno. E invece,
no! Sacripante, si va a mischiare con i pidocchiosivillani e contro a quelli là! Maria accorata: “Sentite
come gridano e ridono... ma non si scorgono più le
croci.” “ (Joanna proseguendo nel suo discorso) A
parte che potrebbe fare pure a meno di sbeceràre sparlar
di continuo contro i preti e i monsignori... quelli non la
perdonano a nessuno!” La Madonna accorata: “Ah,
vedete di nuovo le tre croci!”“(Giovanna proseguendo
nel suo discorso)
Quelli, un giorno gliela faranno
pagare! Gli faranno del male!” “Far del male al figlio
mio? E perché… che è cossì buono? Non dona che bene
a tutti… anche a quelli che non glielo domandano!
(Attenta a quello che ‘sta succedendo in fondo alla
strada) Sentite... stanno sghignazzando di nuovo! Uno
dei tre deve essere caduto per terra... (Riprende il
dialogo con le donne) Ogniuno vuole bene al figlio
mio... non è vero? Dimme Maddalena…” “Sì, anch’io
gli voglio bene!” “Oh lo conosciamo tutti, che ispirato
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bene gli vuoi tu, al figlio suo della Maria!” “Io non ho
un amore uguale che per un fratello, per lui… adesso!”
“Adesso? Perché, prima allora?” “Giovanna, smettila un
attimo di dare tormento a ‘‘sta creatura... Cosa ti ha
fatto? Non vedi che già ‘sta mortificata? (Cambia tono:
molto angosciata) Com’è che gridano tanto? (Torna a
dialogare) E anche se fosse che lei, ‘‘sta giovane,
tenesse un amore per lui, di quello che le donne
normalmente tengono per gli uomini che gli piacciono...
bene, allora? Non è uomo il figlio mio forse…oltre che
Dio? Da uomo tiene (ha) gli occhi, le mani, i piedi...
tutto da uomo tiene… finanche i dolori e l’allegria!
Dunque, toccherà a lui stesso, a mio figlio, decidere...
che saprà bene lui cosa si deve fare quando verrà il
momento suo. Se lui vorrà prendersela in sposa, per me,
quella che sceglierà, io le vorrò bene come se fosse una
figliola mia… o almeno mi ci sforzerò. E speranza assai
che giunga presto (in fretta) ‘sto giorno... che ormai ha
compiuto trentatre anni… ed è tempo (è ora) che metta
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si faccia una famiglia. (Cambia tono: accorata) Oh che
sgangherato gridare che fanno là in fondo... E come è
nera, ‘‘sta croce! (Torna a dialogare) Oh, mi piacerebbe
assai avere per casa dei bambini suoi… di lui... da far
giocare, addormentarli... che io ne conosco tante
ninnananne da culla e filastrocche… ... e avrei gusto
(piacere) dar loro vizi... e raccontar favole ma di quelle
che finiscono sempre bene, e in giocondità!” “Sì, va
bene, ma adesso sorti (esci) dai sogni, Maria... andiamo
che di ‘sto passo non mangiamo più nemmeno a
sera.”“Non ho fame, io... non ne so la ragione... ma mi è
venuta dentro una stretta allo
stomaco... Bisogna
proprio che vada a vedere cos’è che succede, là in
fondo.” “No,arrestati! Non ci andare! Sono spettacoli
quelli, che t'appuóngono pongono fanno tristezza. Ti
acchiappa uno strappacuore per tütto il giorno… e il
figlio tuo non sarà contento. Può essere che in ‘sto
momento, lui si trovi già in casa
che ci ‘sta
aspettando... e magari ha pure fame.” “Ma se mi ha
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mandato a dire che non viene!” “Beh, può avere avuto
un ripensamento… che ben lo sai come sono i figli.
Quando li attendi (aspetti) a casa non tornano e tornano
quando tu non li attendi per niente e bisogna stare
sempre pronte, col la zuppa sul fuoco.” “Sì, hai
ragione... andiamocene. (Alla Maddalena) Vuoi venire
anche tu, Maddalena, a prenderti una , a pijàrte 'na
brocca?" scodella?” “Con piacere, se non vi do impiccio
(fastidio-disturbo).” In quell’istante sul fondo passa la
Veronica e la Madonna domanda: “Cosa può essere
capitato a quella donna, che tiene tra le mani un panno
tutto insanguinato? (A Vronica) Oh buona donna, vi
siete ferita?” “No, mica io... ma uno di quei condannati
che hanno messo sotto la croce.” "(Col fiato che le
manca, come se presagisse la risposta)
Quale?”
“Quello al quale gridano stregone... ma che stregone
non è, ma santo! E lo si legge (lo si capisce) da quegli
occhi dolci che tiene... gli ho asciugato la faccia
insanguinata...” “Oh donna di pietà (pietosa)...”
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“Vedete, l’ho asciugato con ‘‘sta tovaglia e ne è sortito
un miracolo! Egli mi ha lasciato l’impronta della figura
sua
che sembra un ritratto.” “(Quasi senza voce)
Fammici dare un’occhiata…” “Sì, te lo faccio vedere.”
“No Maria, lascia perdere!” “Te lo lascio vedere ma
prima o donna,
segnati col segno della croce!
(Veronica mostra il tovagliolo a Maria) “Cosa hai fatto!
Non vedi che ora è svenuta!” “ Oh Gesù! Che ho
combinato! E perché è svenuta?
È parente sua a
chillo?” “La madre è. La madre del Signore!”
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MARIA VIENE A CONOSCERE
DELLA CONDANNA IMPOSTA AL FIGLIO
Il testo più antico, è senz’altro quello che ora vi
proponiamo
in
volgare
composito
padano.
Ritroverete espressioni provenienti dal dialetto
lombardo usato da Bescapè e Bonvesin de la Riva,
cossì come del
giullare anonimo autore
“Lamento della sposa padrona”.
del
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Le MARIE
LOMBARDO
Maria in compagnia di Zoàna: per strada incontra
‘Melia.
‘Melia Bòn dì Maria.. bòn dì Zoàna.
MARIA Bòn dì ‘‘Melia, sit ’dré andar a far spesa?
‘MELIA No, agh l’ho de già fàita ‘sta matìna... av
gh’ho de dive ‘na roba, Zoàna.
ZOANA Disìme. Cunt parmès, Maria...
Si appartano e parlano concitate.
MARIA In dóe la va tüta ‘sta zénte? Cosa l’è ’dré a
sücéd là in funda?
ZOANA Ól sarà quài sponsalìzi de següro...
‘Melia Sì, a l’è on sponsalìzi... végni de là impròprio
adés.
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MARIA Oh ’ndèm a védar, Zoàna, che a me piàsen
tanto i sponsalìzi, a mi. A l’è zóvina la sposa? E ól
sposo chi a l’è?
ZOANA No’ sagh mi... a credi col débia vès un de
foera...
‘Melia ’Dèm, Maria, no’ stit a pèrd ól tempo co’ i
matrimoni... ’ndémo a ca’ che gh’avèm anc’mò de
mèterghe l’acqua al fògo per la menèstra.
MARIA Specìt… ’scultì… a i è ’dré a biastemà!
ZOANA O i biastemerà par ’legrìa e contentèsa!
MARIA No, che me soméja... col fàgan con ràbia:
“stregonàso”, gh’han criàd... sì gh’ho intendìo ben...
’scultì co’ i va a repèt… Contra a chi e gh’l’han?
ZOANA Oh, ’dès che me ’égn in mente... no’ l’è per
un sponsalìzio, che i vüsa, ma contra a ün che l’han
descovèrto ‘sta note che ól balàva con un cavrón…
che pö a l’éra on diàvulo.
MARIA Ah, par quèl agh dìsen: stregonàso?
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ZOANA Sì, par quèl... ma no’ fémo tardi, Maria...
’ndèm a casa che no’ le son robe da védar quèle, che
agh pòd sücédegh de catàrse ól malògio.
MARIA A gh’è una cróse che la sponta de sora e
teste de la zénte! E altre dòe cróse che spunta adeso!
ZOANA Sì, ‘st’altre a son de dòe ladroni...
MARIA Povra zénte... i vano a ’ncrosàre tüti e trie...
Chi ól sa la mama de lori! E magàra le, pòra dona,
no’ lo sa gnanca che i è ‘dre a masàrghe ól so fiòl de
le.
Sopraggiunge correndo la Maddalena.
Maddalena Maria! Oh Maria... ól vostro fiòl Jesus...
ZOANA Ma sì, ma sì, ól gh’sa de già le... (A parte)
State cito... ’sgrasiàda.
MARIA Cos’ l’è che so de già mi?... ’s l’è capitàt al
me fiòl?
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ZOANA Nagòta... cos’agh dovarìa èserghe capitàt, o
santa dona? A gh’è dumà che... Ah, no’ t’avevi dit?
Ohj che ’smentegàda che sont... m’era ‘gnid via d’ la
testa de ’visàrte che lü, ól to’ fiòl, m’avéa dit che no’
el vegnarà a casa a magnàr a mezdì, che ól gh’ha de
’ndare sü la montagna a cuntàr paràbule.
MARIA A l’è quèst che set ‘gnüda a dirme anc’ti?
Maddalena Sì, quèst, Madona.
MARIA Oh, ól sia rengraziàd ól Segnóre... ti eri
rivada tanto de corsa... cara fiòla... che mi n’évi
catàt un stremìzi de quei... me s’évi già figüràt no’ so
miga quale desgràzia... Come sémo stüpide de volte
noàltre mame! Agh fémo preoccupàde par nagòta!
ZOANA Sì, ma anco le, ‘sta balénga, che la ’riva
correndo ’scalmanàda par ’gnì a darte ól nunzi de
ste bagatèle...
MARIA Bòna, Zoàna... no’ stàrghe a criàr adèso... a
l’infìne l’è ‘gniüda par farme un plazér d’una
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comissión... At rengràzi, fiòla... Come ad ciamàt ti,
che mi am pare de cognósarte?
M…addalena Mi sont la Madalena...
MARIA Madalena? La qual?… Quèla...
ZOANA Sì, a l’è lée... la cortizàna. ’Ndèm via,
Maria, ’ndèm a casa... co l’è mejór, che no’ ghe fémo
védar con zénte compagn... no’ l ‘sta ben.
Maddalena Ma mi no’ fago plü ól mestér.
ZOANA Ól sarà parché no’ ti trovi plü smorbiósi de
catàr... Va’, desvergognàda.
MARIA No, no’ descasàrla... pòvra fiòla... se ól me
car Jesus s’la tégne in tanta fiducia de mandàm’la a
mi a fam di cumisiün, l’è sègn che adès la fa giüdizi...
vera?
Maddalena Sì, a fagh giüdizi adès.
ZOANA Vagh a créderghe... La questión l’è che ól
to’ fiòl de ti, a l’è tropo bono, as lasa catàre d’ la
compasión e ól fréghen toeti! Ól gh’ha sempre
d’intórna un mügio de poltrò’... zénte senza laóro ni
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arte, morti de fam; desgrasiò e putàne… compàgn a
quèla!
MARIA At pàrlet de catìva ti, Zoàna... lü, ól me fiòl,
ól dise sempre co l’è par lori, sovra ’gni cossa par
lori, sbandati e sperdüi, che o l’è ‘gnüdo a ‘sto
mundo a darghe la speranza.
ZOANA D’acòrdi, ma at cumpréndi che a ‘sta
manéra no’ ól fa un bel vardà... ól se fa parlar a
dre’... Con tüta la zénte de bòn levàda co gh’è in
cità; i cavajéri e sòi dame, i dotori e i siòri... che lü
cont’ol so fare zentile savente e ’rudito a s’truarìa de
sübet in t’la mànega e avérghe onori… farse aidàre
se ól gh’avèse besógn. No, cripante! Ól va a mèterse
co’ i piogiàt vilàn! E de contra a quèi!
MARIA Scoltì come i vosa, e i ride... ma no’ se vede
e cróse!
ZOANA
(continua
il
suo
discorso
cercando
didistrarre la Madonna dal guardare le croci) A parte
che ól podrìa farghe a mén de sparlàrghe sempre a
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dre’ ai prévet e a i prelàt... che quèi no’ gh’la
perdonano a niùno.
MARIA Èco de nòvo e tre cróse...
ZOANA Quéi, un dì a gh’la faràn pagare! Agh faràn
d’ol male!
MARIA Fagh d’ol male al me fiòl? E parché, co l’è
sì bòn... no’ ól fa che d’ol ben a tüti, anco a quèi che
no’ ghe domanda! E tüti i ghe vòl ben! (Cambia tono)
Sentìt... i son dre’ a sghignasàr de nòvo... un de quèi
ól dua es borlàd per tera... (Torna a parlare alle
donne)Tüti ghe vòl ben al me fiòl... no’ a l’è vera?
Maddalena Sì, anco mi agh voi tanto ben!
ZOANA O, ól sconoscemo tüti che spirato ben at voi
ti al so fiòl de la Maria!
MADDALENA Mi ne gh’ho un amore compagn che
par on fradel par lü! Adeso...
ZOANA Adeso... parché prima donca...?
MARIA
Zoàna,
daghe
un
tàjo
infìna,
de
intormentàrla ‘sta fiòla... cos’l’ha t’ha fàit... No’ ti
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vedi co l’è smortificàda... (Ascolta le grida che
arrivano sino a lei) Com l’è che cria tanto... (Torna
alle amiche) E anco ól füdèse che lée, ‘sta zóina, la
aga a tegnér un amor par lü de quèi che e done de
normale a gh’han par i òmeni che ghe piàse... bòn?
No’ a l’è òmo sforse ól m’è fiòl, oltra che vès Deo?
De òmo ól gh’ha i ògi, le man, i pie... e tüto de omo...
finànco i dulóri e l’alegrèsa!
Donca agh tocherà a lü, al me fiòl, a decìd... co ól
savrà ben lü se fa quando ‘gnirà ól so’ mumént, se ól
vorerà tórsela ‘na sposa. Par mi, quèla che lü ól
scernerà, mi agh vurarò ben ’me füdes la mia fiòla...
E agh speri tanto ca végna prest quèl dì... che ormai
ól gh’ha compìt trentatrì ani... e l’è ora che ól mèta
sü famégia... (Cambia tono)Oh che brüt crià che fan
là in funda... e com l’è nera ‘sta cróze.
Tanto me plazerìa avérghe per casa di bambìn so’ de
lü, de far ziogàre, ninàr... che mi ne so tante canzoni
de cuna... e darghe i vizi... e contàrghe fàbole, de
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quèle bèle fàbole che i finìse sempre ben... e in
zocondìa!
ZOANA Sì, ma adeso basta de starte a insognare,
Maria... andémo che da ‘sta banda, no’ magnémo
plü nemànco a sira...
MARIA No’ gh’ho fame a mi... no’ ghe descòvro la
resón... ma m’è ‘gnit a dòso un stréncio de stòmego...
Bisogna improprio che vaghi a védar cos’ l’è ca va a
capitàr là in funda.
ZOANA No, che no’ te vaghi!... che a sont robe quèle
co e fano intrestìzia e at menaràn un s’ciopamagón
par tüto ól ziórno. Ól to fiòl no’ ól sarà contento...
Pòle es che in stu momento ól sébia già in la casa e
che a te spècia... che ól gh’ha fame.
MARIA Ma se ól m’ha mandà a dire che no’ l
vegnarà!
ZOANA Ól pò avérghe üt on respensamént. At sèt
com’è i fiòli. Quando te i spèci a casa no’ i torna... e i
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retórna quando no’ i spèci miga! E bisogna vès
sempre a pronta cont ól magnàr al fògo.
MARIA Sì, ti gh’ha resón... andémo... At vóret ’gnì
anco ti Madalena a magnàrne una scudèla?
MADDALENA Bòn voluntéra… se no’ v’ dagh
infesciamént...
Sul fondo passa la Veronica.
MARIA Cos’ l’è capitàt a quèla dona... co la gh’ha
un mantìn tüto insenguinàt? (Alzando la voce) Ohj
bòna dona... av sèt fada male?
VERONICA No, miga mi... ma un de quèi cundanàt
che gh’han metüo de sóto a la cróse, lo quèlo co a
ghe crìeno stregonàso... e che no’ l’è stregón, ma
santo!... Santo de següro, che ól se capìsse da i ögi
dólzi
ch’ol
téne.
A
insanguagnénta...
MARIA Oh dona pitosa...
gh’ho
sugàd
la
fàcia
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VERONICA ... con ‘sto mantìn e gli’ n’è sortìt on
miracolo... ól m’ha lasàd l’emprùnta d’la sòa figüra,
che ól pare un ritràt.
MARIA Fam’lo védar.
ZOANA (angosciata, cerca di bloccarla) No’ ves
curiosa, Maria, che n’ol ‘sta ben.
MARIA No’ sont curiosa... a senti ch’ol devi vedèl.
VERONICA D’acòrdi, at lo fago védar… ma in
prima ségnat con t’ol sègn de la cróse... èco, remìra:
a l’è ól fiòl de Deo!
MARIA (con un filo di voce) Ól me fiòl... ah... a l’è
me fiòl de mi! (Cade a terrasvenuta).
ZOANA Co t’è fàit... benedèta dona!
VERONICA Ma mi no’ credevi ch’a füs la sua
mama... de quèl!
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TRADUZIONE
Maria ‘sta in compagnia di Giovanna e per strada
incontra Amelia.
AMELIA
Buon
giorno
Maria...
buon
giorno
Giovanna...
MARIA Buondì AMELIA, state andando a fare la
spesa?
AMELIA No, l’ho già fatta questa mattina... devo
dirvi una cosa, Giovanna.
giovanna Ditemi; con permesso, MARIA...
Si appartano e parlano concitate.
MARIA Dove va tutta questa gente? Cosa ‘sta
succedendo là in fondo?
giovanna Sarà qualche sposalizio di sicuro...
AMELIA Sì, è uno sposalizio... vengo di là proprio
adesso.
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MARIA Oh, andiamo a vedere, Giovanna, che a me
piacciono tanto i matrimoni. È giovane la sposa? E
lo sposo chi è?
giovanna Io non lo so... credo che debba essere uno
di fuori.
AMELIA Andiamo MARIA, non state a perdere
tempo con i matrimoni... andiamo a casa, che
dobbiamo ancora mettere l’acqua sul fuoco per la
minestra.
MARIA Aspettate, ascoltate. Stanno bestemmiando!
giovanna Oh, bestemmieranno per allegria e
contentezza...
MARIA No, che mi sembra che lo facciano con
rabbia: “stregone!”, hanno gridato... sì, ho inteso
bene... ascoltate che vanno a ripetere. Con chi ce
l’hanno?
giovanna Oh, adesso che mi viene in mente, non è
per uno sposalizio che gridano, ma contro uno che
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hanno scoperto questa notte che ballava con un
caprone, che poi era il diavolo.
MARIA Ah, per quello gli dicono stregone?
giovanna Sì, sarà per quello... ma non facciamo
tardi, MARIA, andiamo a casa che non sono cose da
vedere quelle, che può succedere di prendersi il
malocchio.
MARIA C’è una croce che spunta sopra le teste della
gente! E altre due croci che spuntano adesso!
giovanna Sì, queste altre sono di due ladroni...
MARIA Povera gente... vanno a crocifiggerli tutti e
tre... chissà la loro mamma! E magari lei, povera
donna non sa neanche che stanno ammazzando suo
figlio.
Sopraggiunge correndo la Maddalena.
MADDALENA MARIA! Oh, MARIA... vostro figlio
Jesus...
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giovanna Ma sì, ma sì, lo sa di già lei... (A parte) Stai
zitta disgraziata.
MARIA Cosa è che so già io? Cosa è capitato a mio
figlio?
giovanna Niente... cosa dovrebbe essergli capitato, o
santa donna? C’è solo che... ah, non te lo avevo
detto? Oh, che smemorata che sono... mi era uscito
dalla testa di avvisarti che lui, tuo figlio, mi avéa
detto che non verrà a casa a mangiare a
mezzogiorno perché deve andare sulla montagna a
raccontare parabole.
MARIA È questo che sei venuta a dirmi pure tu?
MADDALENA Sì, questo, Madonna.
MARIA Che sia ringraziato il Signore... eri arrivata
tanto di corsa, cara figlia, che io mi ero presa una
paura di quelle... mi ero già figurata non so mica
quale disgrazia... Come siamo stupide alle volte, noi
altre mamme! Ci preoccupiamo per niente!
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giovanna Sì, ma anche lei, questa matta, che arriva
correndo accaldata per venire a darti l’annuncio di
queste stupidaggini.
MARIA Buona, Giovanna... non stare a sgridarla
adesso... infine è venuta per farmi il piacere di una
commissione. Ti ringrazio, figliola... come ti chiami
tu, che mi sembra di conoscerti?
MADDALENA Io sono la Maddalena...
MARIA Maddalena? Quale? Quella...
giovanna Sì, è lei... la cortigiana. Andiamo via,
MARIA andiamo a casa, che è meglio che non ci
facciamo vedere con gente simile, che non ‘sta bene.
MADDALENA Ma io non faccio più il mestiere.
giovanna Sarà perché non trovi più sporcaccioni da
prendere... ma va’ via, svergognata.
MARIA No, non cacciarla, povera figliola... se il mio
caro Gesù se la tiene in tanta fiducia da mandarla a
me per farmi delle commissioni è segno che adesso
ha messo giudizio, vero?
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MADDALENA Sì, faccio giudizio adesso.
giovanna vai a crederle... la questione è che tuo figlio
è troppo buono, si lascia prender dalla compassione
e lo fregano tutti! Ha sempre attorno un mucchio di
poltroni, gente senza lavoro né arte, morti di fame,
disgraziati e puttane... uguali a quella!
MARIA Parli da cattiva tu, Giovanna! Lui, il mio
figlio, dice sempre che è per loro, sopra ogni cosa per
loro, sbandati e sperduti, che è venuto a questo
mondo, per dargli la speranza.
giovanna D’accordo, ma non capisci che in questa
maniera non fa un bèl vedere? Si fa parlar dietro...
con tutta la gente bene allevata che c’è in città: i
cavalieri e le loro dame, i dottori, i signori... che lui
con il suo fare gentile, sapiente ed erudito, si
troverebbe subito nella loro manica e avrebbe onori,
farsi aiutare se ne avesse bisogno. No, sacripante: va
a mettersi con i pidocchiosi villani! E contro a quelli!
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MARIA Ascoltate come gridano, e ridono... ma non
si vedono le croci.
giovanna A parte che potrebbe fare a meno di
sparlar sempre dei preti e dei prelati... quelli non la
perdonano a nessuno!
MARIA Ecco di nuovo le tre croci...
giovanna Quelli, un giorno gliela faranno pagare...
gli faranno del male!
MARIA Far del male a mio figlio? E perché, che è
cossì buono... non fa che del bene a tutti, anche a
quelli che non glielo domandano! E tutti gli vogliono
bene! Sentite... stanno sghignazzando di nuovo... uno
di quelli deve essere caduto per terra... Tutti
vogliono bene a mio figlio... non è vero?
MADDALENA Sì, anch’io gli voglio tanto bene!
giovanna Oh lo conosciamo tutti, che ispirato bene
gli vuoi tu, al suo figlio della MARIA!
MADDALENA Io non ho un amore uguale che per
un fratello, per lui! Adesso...
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giovanna Adesso... perché prima, dunque...?
MARIA Giovanna, smettila infine di tormentarla,
questa figliola... Cosa ti ha fatto?... Non vedi com’è
mortificata? Com’è che gridano tanto? E anche se
fosse che lei, questa giovane, abbia a tenere un
amore per lui, di quello che le donne normali hanno
per gli uomini che gli piacciono... Bene? non è forse
un uomo mio figlio, oltre che essere Dio? Da uomo
ha gli occhi, le mani, i piedi... e tütto da uomo,
finanche i dolori e l’allegria! Dunque toccherà a lui,
a mio figlio, decidere... che saprà bene lui cosa fare,
quando verrà il suo momento, se lui vorrà
prendersela una sposa. Per me, quella che lui
sceglierà, io le vorrò bene come se fosse una mia
figliola. E ci spero tanto che venga presto, quèl
giorno... che ormai ha compiuto trentatre anni, ed è
ora che metta su famiglia... Oh che brutto gridare
che fanno là in fondo... E come è nera, questa croce!
Tanto mi piacerebbe averci per casa dei bambini
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suoi di lui... da far giocare, cullarli... che io ne
conosco tante di canzoni da culla... e dar loro i vizi...
e raccontar loro favole, di quelle bèlle favole che
finiscono sempre bene, e in giocondità!
giovanna Sì, ma adesso basta di stare a sognare,
MARIA... Andiamo, che di questo passo non
mangiamo più nemmeno a sera.
MARIA Non ho fame, io... non ne scopro la
ragione... Ma mi è venuta addosso una stretta di
stomaco... Bisogna proprio che vada a vedere cos’è
che succede, là in fondo.
giovanna No, non vai!... che sono cose, quelle, che
fanno tristezza. Ti porteranno uno strappacuore per
tütto il giorno. Tuo figlio non sarà contento. Può
essere che, in questo momento, lui sia già in casa e
che ci aspetti... che lui ha fame.
MARIA Ma se mi ha mandato a dire che lui non
verrà!
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giovanna Lui può avere avuto un ripensamento. Lo
sai come sono i figli. Quando li aspetti a casa non
tornano... e ritornano quando non li aspetti mica! E
bisogna essere sempre pronte, col mangiare sul
fuoco.
MARIA Sì, hai ragione... andiamo. Vuoi venire
anche tu, Maddalena, a mangiare una scodella?
MADDALENA Ben volentieri, se non vi do fastidio...
Sul fondo passa la Veronica.
MARIA Cos’è capitato a quella donna, che ha un
tovagliolo tütto insanguinato? Oh buona donna, vi
siete fatta male?
veronica No, mica io... ma uno di quei condannati
che hanno messo sotto la croce, quello al quale
gridano stregone... e che non è stregone, ma santo!...
Santo di sicuro, che lo si capisce dagli occhi dolci che
tiene... gli ho asciugato la faccia insanguinata...
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MARIA Oh donna pietosa...
veronica ... con questo tovagliolo, e ne è sortito un
miracolo... lui mi ha lasciato l’impronta della sua
figura, che sembra un ritratto.
MARIA Fammelo vedere.
giovanna Non essere curiosa, MARIA, che non ‘sta
bene.
MARIA Non sono curiosa... sento che devo vederlo.
veronica D’accordo, te lo faccio vedere, ma prima
segnati col segno della croce... ecco, è il figlio di Dio!
MARIA Il mio figlio! Oh, è il mio figlio, di me!
(Corre disperata verso l’esterno).
giovanna Cosa hai fatto... benedetta donna!
veronica Ma io non credevo che fosse la sua
mamma...
di
quello!
RICORDARSI
DI
CORREGGERE “LE MARIE” COME L’ho fatto a
Lugano
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PROLOGHI GRAMMELOT
PROPOSTA
PER
DARIO
NUOVA
PRESENTAZIONE
Il GRAMMELOT
LA FAME DELLO ZANNI
Ora, prima di iniziare col Mistero Buffo vero e
proprio, mi permettete di eseguire un salto in avanti
nel tempo, sorpassare il Medioevo vero e proprio e
raggiungere il nostro glorioso Rinascimento. Questo
allo scopo di presentarvi il grammelot.
All’origine e fino a quasi tutto il ‘400, le compagnie
di teatro erano composte da attori dilettanti. Ma
nella fine del XV secolo, cominciàrono a riunirsi in
gruppi consociati con tanto di statuto e contratto.
Ebbero subito una certa fortuna, specie quelle
compagnie che godevano della protezione di nobili e
banchieri. Ma ecco che, nella seconda metà del ‘500,
quando esplose la controriforma, l’attacco condotto
dalla Chiesa verso gli intellettuali liberi, colpì
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390
duramente anche le compagnie di attori associati,
cioè i teatranti della Commedia dell’Arte. Costoro
furono costretti a una vera e propria diaspora.
Furono centinaia le compagnie che dovettero
emigrare in tutti i paesi d’Europa: Spagna,
Germania, Inghilterra. La maggior quantità di quei
teatranti si stabilì nella Francia. Altri raggiunsero la
Russia e perfino i Paesi Baltici.
È ovvio che la maggior difficoltà era quella di farsi
intendere dagli abitanti di quei paesi che non
conoscevano la nostra lingua. È vero che i comici
dell’arte possedevano doti insuperabili di gestualità
ed erano veri maestri della pantomima ma dovettero
creare qualche cosa che permettesse di comunicare
più profondamente il discorso del gioco satirico e
tragico. Cossì utilizzarono (o inventarono?) il
grammelot.
Cominciàrono col impiegare un linguaggio che
potremmo
chiamare
proto-maccheronico,
cioè
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composto da sproloqui, apparentemente senza senso
compiuto, infarciti di termini della lingua locale
pronunciati con sonorità e timbri italianeschi. Via
via, si perfezionarono fino a impiegare, oltre una
straordinaria gestualità, suoni onomatopeici carichi
di sfondoni lessicali di varie lingue. Questo gioco
imponeva agli spettatori l’impiego di una certa dose
di
fantasia
e
immaginazione
che
produceva
l’insostituibile piacere dello scoprirsi intelligenti.
In Francia le compagnie dei “Gelosi” e dei
“Raccolti” furono tra le prime a sviluppare questo
genere di rappresentazione. Esibivano maschere dei
vari Zanni fra i quali l’Arlecchino che possiamo ben
chiamare
il
comico,
massimo
campione
del
grammelot.
Cominciàrono col impiegare un linguaggio che
potremmo
chiamare
proto-maccheronico,
cioè
composto da sproloqui, apparentemente senza senso
compiuto, infarciti di termini della lingua locale
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pronunciati con sonorità e timbri italianeschi. Via
via, si perfezionarono fino a impiegare, oltre una
straordinaria gestualità, suoni onomatopeici carichi
di sfondoni lessicali di varie lingue. Questo gioco
imponeva agli spettatori l’impiego di una certa dose
di
fantasia
e
immaginazione
che
produceva
l’insostituibile piacere dello scoprirsi intelligenti.
In Francia le compagnie dei “Gelosi” e dei
“Raccolti” furono tra le prime a sviluppare questo
genere di rappresentazione. Esibivano maschere dei
vari Zanni fra i quali l’Arlecchino che possiamo ben
chiamare
il
comico,
massimo
campione
del
grammelot.
Il grammelot è una forma onomatopeica di discorso
che è nata con la Commedia dell'Arte e che realizza
una tecnica di espressione che è impostata tutta sul
suono,
sul
gesto,
sull'onomatopeica
cioè
sull'andamento che fa assomigliare a parole il
linguaggio ma in verità non si tratta di termini esatti
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ma soltanto fonicamente simili. (Fa un esempio di
grammelot in francese, E un altro di grammelot in
napoletano rappresentando Pulcinella)
Cossì potrei andare avanti ad indicarvi grammelot
in tutte le lingue e darvi l'impressione che davvero le
parli.
Ma andiamo per ordine e iniziamo dal grammelot
più antico, quello dello Zanni. Lo Zanni è il
prototipo di tutte le maschere della Commedia
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Per questa nuova edizione di "MISTERO BUFFO"
2000 abbiamo creduto opportuno inserire nel
prologo dello spettacolo molti degli avvenimenti che
si sono avvicendati nel nostro Paese in oltre 30 anni
di reppliche.
Presentazioni che si sono susseguite dal 1969 al 9O
MISTERO BUFFO
trascrizione dello spettacolo del 24 marzo 1991 Torino
La guerra del Golfo
Mistero Buffo è nato la bèllezza di trent’anni fa. In
tutto questo tempo si sono ripetute migliaia di
rappresentazioni. Come mia abitudine nel prologo
sempre accenno agli avvenimenti e ai fatti di
cronaca. Quando, nel 69 scoppiò la bomba a Milano
alla Banca dell’Agricoltura, in Piazza Fontana, ho
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improvvisato un intervento in chiave grottesca sul
modo tutt'altro che scentifico su come si stavano
svolgendo le inchieste di polizia. Indagini nella quali
si indovinava chiaramente che all’attimo stesso in
cui saltava per aria la bonca, gli inquirenti avéano
già stabilito che i terroristi non potevano essere che
gli anarchici. Ne arrestarono alcuni. Poi il suicidio si fa per dire - di Giüsèppe Pinelli, i processi
trasferiti come pacchi per tutto il sud. Si può dire
che ogni settimana ero costretto ad aggiornare la
cronaca. Da quel prologo, è poi nato "Morte
accidentale di un anarchico".
Cosa che m’è accaduta anche abbastanza di recente
durante la guerra del Golfo, sto parlando della
prima, quella del ‘91. Per darvi un’idea chiara dello
stile e del genere di improvvisazione, tra tanti,
abbiamo scelto proprio l’intervento di quèl conflitto
con
massacro
finale
annunciato
Eccovelo. Cossì iniziava lo spettacolo:
e
realizzato.
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È più di un mese che siamo in guerra... come ai
tempi degli scontri fra cristiani e mussulmani. Io
speravo veramente che si realizzasse in breve tempo
una pace definitiva, invece in IRAQ stanno
combattendo ancora, si spara, c'è gente che crepa; i
Curdi stanno scendendo dal nord, stanno occupano
una città dietro l'altra, ci sono gli sciiti che salgono
invece dal sud, c'è Saddam Hussein, che ha buttato
del napal e un po’ di gas nervino che gli era avanzato
dall’ultimo conflitto, addosso ad intiere comunità di
mussulmani non allineati.
D'altra parte certi prodotti bèllici cossì preziosi non
si possono gettare via... bisogna pure adoperarli!
C'è qualche morto in più... ma che ci vuoi fare!
Sorvdo sulla tragedia di questa guerra che, secondo
gli esperti avrebbe dovuto risolversi senza neanche
un morto... doveva essere una guerra tranquilla - ci
avéano assicurato - uno scontro quasi dimostrativo e
invece gli è scappata di mano... si parla già di oltre
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centomila caduti solo fra i militari iracheni, più
altrettanti civili morti a Bagdad. E siamo solo al
prologo. In compenso, fra le truppe dei “nostri”,
neanche un ferito lieve. Tutti bene, grazie!
La cosa veramente grottesca è il crescere ogni giorno
di notizie che ci fanno scoprire quante frottole ci
abbiano ammannito a proposito di questa guerra, a
cominciare dalla presentazione del personaggio
principale, il cattivo per antonomasia: Saddam
Husseim.
Sia chiaro, questo mostro scannaporci l'abbiamo
inventato, costruito noi, diciamo noi occidentali;
senza il nostro aiuto sarebbe rimasto un piccolo
delinquente di provincia, un criminale da strapazzo.
Invece, prima di tutto, grazie agli aiuti militari che gli
sono stati
forniti dalla coalizione dei Paesi civili,
ecco che è cresciuto come il servo gigante della
lampada di Aladino. Voi sapete che tutti hanno
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concorso a vendergli armi, Pentagono in testa, russi,
polacchi, perfino la Repubblica di San Marino.
Fra l'altro siamo venuti a scoprire che, secondo
osservatori
militari
europei,
Saddam
Husseim
dispone oggi del quarto esercito, in scala di valori,
del mondo... che
è proprio una notizia da
scompisciarsi dal ridere, soprattutto quando si viene
a conoscere il particolare che i carri armati che gli
sono stati venduti dai russi non erano di produzione
sovietica ma erano cinesi di scarto. È risaputo che
quando in Russia un carro armato viene male si dice
“c'è uscito un carro armato cinese!”
Ma ad ogni modo la cosa incredibile, è che lui
Saddam Husseim a sua volta si è convinto di
possedere davvero il quarto esercito del mondo, che
lo credessero gli altri era la classica bufala, detto da
lui è da megalomane con camicia di forza
obbligatoria... ed è per questo che lo hanno
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sollecitato
a
buttarsi,
con
slancio
in
questa
avventura.
D’altra parte, non è la prima volta che i popoli civili
scatenano massacri a scopo redditiziosentolando la
bandiera della liberà, recitando spudoratamente
“l’arrivano i nostri!”, ma facendo molta attenzione
ai dividendi e agli interessi maturati.
Vi
ricordate
la
guerra
contro
Komeini?
(RICHIAMO FONDO PAGINA - 1-: SI ALLUDE
ALLA
GUERRA
ESPLOSA
,ALLA
FINE
DELL’8O (?) TRA IRAN (KOMEINI) E IRAK
(Hussein) conflitto apparentemente causato da
motivi religiosi e territoriali, ma in verità la ragione
è da ricercare nella lotta per l’egemonia dei pozzi
petroliferi.) Un milione di morti soltanto. E questa
azione a cui concorsero in primo piano l'America,
l'Inghilterra, noi, ecc... ha fatto si che il grande rais
Hussein, poi venisse logicamente a richiedere il
pagamento dell'obolo per il servizio eseguito. Ma
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appresso, ‘sto deficiente, si è permesso anche di
occupare il Kuwait come risarcimento dei danni di
guerra subiti dalla sua gente. Giustamente lo
abbiamo mazzolato... pardon, l'hanno mazzolato!
E dire che sono stati proprio i bianchi civili ad
allenarlo
e
a
incitarlo
nell’acquisto
e
nella
costruzione degli ordigni bèllici, a cominciare
dall’uso dei gas fulminanti - “oh, chi si rivedete!” sono arrivati, come maestri di produzione i tecnici
tedeschi dell’est e dell’ovest, che si sono incontrati
fuori sede per la prima volta a riprendere la loro
tradizione di gasisti... pardon, gasatori. E tutto,
guarda caso, pochi mesi prima dell’unificazione in
una sola grande Germania. Almeno questa guerra è
servita a qualche cosa!
Possiamo immaginare di assistere alla lezione su
come si impiegano i gas: “Stai attento, Hussein...
dunque: c'è un catalizzatore, poi abbiamo un gas
inerte, un'altro gas inerte, solo se uniti col
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catalizzatore funzionano. Vuoi provarlo?... Va bene,
dimmi su chi li buttiamo. I Curdi? Sì! I Curdi vanno
sempre bene, tanto li ammazzi e nessuno dice
niente...
al
massimo
l'ONU
fa
un
rutto
di
indignazione, non più di cossì. Attenzione Saddam…
il Curdo è là, lo vedi? Buttiamo la prima bomba...
ecco il gas che esce, non fa niente perché è inerte. Ne
buttiamo una seconda, non fa niente perché è inerte.
STAI ATTENTO SADDAM!" "Ah chi???" "Là!
Adesso ci buttiamo il catalizzatore... PUM!...
Guarda, guarda come fa il Curdo, lo vedi? Non è un
ballo regionale, è che è un pò ubriaco. Adesso attento
alla testina... la inclina... TON! E' morto! Hai visto?
IMPARA!!!" E cossì ha imparato.
Ma sempre a proposito di frottole straordinarie... la
più criminale si è rivelata quella che ci ha
ammannito addirittura Bush in persona, e io l'ho
bevuta, perché non pensavo che quel Presidente
fosse un politico tanto spudorato da venire a
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raccontarci una balla di questo genere, balla che
certamente anche voi come me, l’avrete bevuta. Si
tratta, e
Busch ci ha assicurato che era
assolutamente necessario entrare immediatamente in
conflitto, perché se si fosse atteso un anno a
bloccarlo, Saddam Hussein certamente in questo
tempo sarebbe riuscito a realizzare una potentissima
bomba atomica… fatta in casa.
Ebbene, qualche giorno fa, il quotidiano più
importante di New York, il "N.Y. Times", ha
realizzato un servizio-inchiestae ha interrogato
Scianagh, l'ultimo padre della bomba atomica:
“Senta professore - gli hanno chiesto - cosa ne dice
del pericolo che Saddam Hussein possa costruirsi la
bomba atomica?” Lo scienziato ha strabuzzato gli
occhi, è scoppiato in una risata con singhiozzo
inarrestabile. Hanno dovuto portarlo d’urgenza al
pronto soccorso!
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E quei coglioncioni degli americani invece l'hanno
bevuta!
A proposito degli americani e del loro candore, ho
da segnalarvi un fenomeno davvero surreale: prima
di questo discorso sull’atomica mussulmana, Bush
poteva raccogliere un’adesione popolare alla guerra
pari al 51% scarso, ma appena ha tirato fuori, in
diretta tv la favola suddetta, l’adesione alla guerra è
salita al 90%. Questo vi dice l'importanza delle
frottole, quando sono giocate bene.
Ma la più criminale di tutte, devo ammettere, si è
dimostrata senz'altro la bufala del cormorano; tutti
quanti ci siamo veramente rattristati e indignati di
fronte a quella immagine. Ve lo ricordate? Quel
povero fenicottero "strapenato", inzozzato, lì sulla
spiaggia, con il petrolio sparato fuori dai pozzi ad
insozzare il mare, da questi bastardi di iracheni. Lui,
ficcato nel bagnoasciuga, che zampettava. Arrivava
quest'onda aarburante che lo travolgeva. Il bipede:
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BLOOB, BLOOB, rispuntava con un occhio tappato,
faceva appena in tempo a respirare che BLOOOB,
un'altra onda nera e oleosa lo incatramava! A 'sto
punto sono sbottato, indignato: "Ma che criminali
bastardi!", e tutti quanti ci siamo sentiti rivoltare lo
stomaco. Ebbene, adesso vi posso svelare che era
tutta una balla, una frottola gigantesca! L’intiera
categoria degli scienziati legati all'ornitologia di
tutto il mondo, si sono indignati. I francesi in
particolare su "Le Monde" hanno pubblicato un
articolo dove nel titolo si leggeva: "Questa fandonia
del cormorano non l'accettiamo!"
Perché? Perché di cormorani… di baby cormorano
come quello che ci avéa tanto commosso e indignato,
sulle coste del Kuwait, in gennaio, quando è stata
effettuata la ripresa, non ne esisteva nemmeno uno.
Quei trampolieri se ne erano andati via tutti, già in
settembre… e normalmente ritoranno su quelle coste
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a maggio. Ma col casino ecologico che c'è stato lì,
figurati se fanno ritorno: non li rivedranno mai più!
E allora ‘sto pellegrino di cormorano da dove è
saltato fuori? Vuoi vedere che è un cormorano in
ritardo con l'orario di migrazione? "Scusate, avete
visto qualche volatile della mia specie? Io devo
partire, temo di aver perso l’ultimo stormo
migratore.”
No, raccontata cossì la balla non ‘sta in piedi. La
verità è che tutta la sceneggiata truculenta è stata
organizzata in grande stile dai fotografi e operatori
televisivi.
Ma
andiamo
per
ordine:
qualche
settimana prima, vi ricordate, c’è stata la insozzata
di petrolio in mare: un milione e mezzo di barili
buttati cossì, da affogarci miliardi di pesci. In verità,
l’abbiamo saputo appresso, sempre dal New York
Times, l’insozzata di petrolio s’è rivelata molto
inferiore, un numero di barili che non raggiungeva i
centomila ma sempre di una schifezza da criminali si
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tratta! A ‘sto punto i fotografi e gli operatori si sono
detti: “Qui c’è da fare un bèl servizio! Magari con
una bèlla famiglia di fenicotteri che zampetta
incatramata sulla spiaggia fetente!”. Ma ahimè, il
petrolio è stato buttato a mare solo lassù, nel nord
del Kuwait, a trecentocinquanta miglia da Riad,
dove appunto stavano i nostri operatori. E che fanno
i nostri cacciatori di scoop guerreschi? Salgono su
un gommone e a pagaiate risalgono il mare per tre
giorni per poi farsi impallinare come oche di transito
dagli iracheni incazzati? No, neanche ‘‘sta balla ‘sta
in piedi. In verità la trouppe dei cameramen non si è
mossa dalla spiaggia di Riad, sono andati allo zoo e lì
hanno scoperto che i cormorani, che normalmente
sguazzavano nel laghetto artificiale, avéano tagliato
la corda già dai primi botti. L’unico fenicottero che
hanno trovato era un Mabibu, che non è della classe
dei cormorani, no, è un uccello trampoliere che vive
esclusivamente nell'Asia Minore e in particolare
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negli acquitrini paludosi di acqua dolce. Come
l’hanno individuato, i cameramen: "Scusi, signor
volatile-trampoliere, le spiace venire in spiaggia al
posto del cormorano?" "Ma no! Ma io che c'entro!
Io odio il mare!" "Venga per favore..." Ma questo
animale ha degli strani pennacchi qui in testa… glieli
hanno tagliati all'umberta, cioè alti un dito. Quindi
l'hanno
portato
sulla
spiaggia
dove
avéano
rovesciato un paio di barili di petrolio, hanno
abbrancato il Mabibu e PLOC PLOC, l’hanno
intinto a sguazzo nel bagnasciuga. “Scusi... chiuda la
bocca PIU'PIU'PIU', sorrida... UNO DUE TRE ... ci
basta, grazie, vada pure BLOBLOBLOBLO". E noi
tutti, come tanti boccaloni, ci siamo commossi fino
alle lacrime a questa malandrinata di messa in
scena.
Ma la "scommozione", come a dire lo sgonfiamento
emotivo, l’abbiamo provata in seguito a quella
dichiarazione, vi ricordate, di Scwarz
Scoop, il
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generale abbondante, uno dei più grandi generali del
mondo, nel senso di dimensione e peso, due metri e
dieci di altezza senza tacchi, un quintale e dieci chili
senza l'osso, ve lo ricordate? Quello che arrivava
immancabilmente
ad
ogni
conferenza
stampa,
simpatico… con quella faccia rubizza, che a me tutte
le volte veniva voglia di chiedergli "mi dia quattro
etti di filetto, un ossobuco e un pò di carne per il
gatto". Simpatico dicevo… ebbene, alla quarta
conferenza
stampa,
è
apparso
stranamente
abbacchiato e perplesso. Cos’era successo? Ce l’ha
confidato lui di persona: le rampe dei missimi dai
quali gli iracheni sparavano su Riad, dopo essere
state centrate dalle bombe lanciate dai super caccia
americani, riapparivano, come nulla fosse, il giorno
dopo. Ma da dove erano spuntate?!
Lo stesso succedeva con i carri armati. Carri armati
che uscivano non si sa da dove, i bombardieri li
puntavano ne buttavano all’aria una decina, ma ecco
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che TRACCHETE!, altri dieci ne apparivano dal
nulla. A un certo punto, i generali della coalizione
hanno avuto il sospetto, lui l'ha detto, che si trattasse
di falsi carri armati. Ed era proprio cossì: erano
tutte sagome di carri armati in vetro resina. E chi li
ha fabbricati questi sè moventi corazzati? NOI! Noi
Italiani! Guardate che siamo dei geni, dei cervelloni
leonardeschi!
L’inventore
di
queste
macchine
beffarde è un artigiano di Torino che ha forgiato
qualche migliaio di sagome similcarrarmato, sagome
che si spalancano a scatola e che visti dall’alto, non
c’è dubbio, appaiono autentici Tang d’assalto e
sfondamento. Scoperta l’esistenza di tanto genio, il
Comume di Torino ha deciso di inalzare un
monumento all’inventore, nella piazza principale
della città. In quell'occassione c’erano tutte le
televisioni del mondo a intervistarlo! L’hanno
letteralmente aggredito con le telecamere e i
microfoni: “Per favore, ci dica come ha potuto
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fabbricare carri armati cossì leggeri, agili e facili da
trasportare in gran numero?”
“Ecco qua, è
semplice! - ha risposto lui e li ha condotti
nell’officina - Ecco, vedete, questi fogli di pressato
sono sagomati per stampa e quindi affiancati l’un
l’altro a mo’ di libro. In ogni carico di camion ci
stanno quaranta carri armati, ed è semplicissimo
rimontarli, basta seguire il libretto di istruzioni
allegato: A con A, B con B, questo va a incastro,
quest’altro pezzo si inserisce a chiave, non c’è un
bullone né una vite. Tempo di montaggio 5 minuti. È
cossì facile e divertente assemblarli che gli irachieni
lo fanno fare ai bambini delle elementari, come
premio.
Un cronista di Rai 3 ha chiesto: “I piloti, sia inglesi
che americani, giurano che quei carri si muovevano
nel deserto. Come ottenete questo portento?” E il
genio risponde: "Basta una corda molto lunga.
Guardi, si lega qua, uno si mette in una buca e poi
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tira il carro armato che, leggerissimo, viene avanti
come una slitta."
"Sì, ma il calore emanato dal
motore, come lo realizzate?”
Voi sapete che gli attrezzi di rilevamento di cui sono
dotati gli aerei americani, se non registrano
l'esistenza del calore non danno l’ok perché si spari,
anzi,
emettono
una
serie
di
pernacchi
con
contrappunto di sghignazzi e l'aereo se ne va!
"È semplice - risponde il maestro dei carri bidone noi ci mettiamo una stufetta a serpentina, loro
rilevano il calore e dicono: ah c'è il motore! E
sparano razzi e cannonate come al carnevale di
Rio!" "D’accordo, ma come ve la cavate col
frastuono che produce un carro del genere?”
“Sempre più facile! Ci piazziamo dentro una
cassetta con tanto di registrazione di cingoli e
motore Leopard BLUUBLUBLU!" “Incredibile! esclama l’inviato del New York Times - Nessuno dei
nostri lettori crederà mai che i piloti della Nato si
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siano lasciate imbrogliare da mezzi cossì semplici,
quasi infantili!”
Non v’è mai capitato di dare un’occhiata dentro la
cabina guida di uno di questi mostri bèllici? Nel
cruscotto centrale di questi super jet, c'è una specie
di schermo, appaiono tutti i disegnini che si
muovono come in un videogame e il pilota non ‘sta
neanche a guardare attraverso il parabrezza ma
segue direttamente l’azione attraverso il cruscotto.
C'è una voce che gli comunica tutti gli elementi, gli
dice: "Vai,vai, stai tranquillo, ecco, ecco, prendi
quota, fino a trentacinque abbassa dodici, ecco
rileva, rileva, rileva, la velocità è OK… va, vai che è
una meraviglia, sei splendido, la tua mamma ho
saputo che ‘sta tanto bene, vai vai - e appare la
faccia della mamma che gli manda bacetti - Ti
andrebbe
una
grattatina
sulla
nuca?
Sì?
Procuriamo!" PLOP: una manina spunta dal
cruscotto, viene su leggiadra, gli ammolla degli
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schiaffeti e gli torce appena l'orecchio “Oh come mi
piace!”
All’istante scatta il segnale d’attenzione e incursione:
TIEIHIE! Ecco, appare l'immagine assonometrica di
un carro armato, anzi due, tre, quattro, e la voce si
fa epica: “Ecco qui il bersaglio è un 113 di 10
tonnellate, cannone 9-81, c'è, c'è, c'è, eccolo l'ho
inquadrato,
guarda
che
c'è!
Dai
adesso
SCHIACCIA il pulsante rosso! Ci sei! Sei puntato!
SCHIACCIA TI DICO!” Se il pilota è preso da un
crac emotivo, la manina gli afferra il polso e lo
costringe a schiacciare. Parte un razzo tremendo che
ha anche una video camera in testa: tutto
intelligente!
L’ordigno
avanza
inesorabile.
Dall'ogiva la radio emette a livelli frastornanti un
canto sul motivo delle Valchirie: “IRACHENO
SCELLERATO, SEI FOTTUTO, SEI FREGATO!"
Obiettivo centrato! PUMPUMPAK! Frammenti di
carro vo per aria, l'aereo risale a quota 2000 con
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grande impennata… mentre esplode una risata
registrata "AAAHAHAAAA AHA AHA IIIH!", che
si trasforma nell'inno americano.
Il pilota e i suoi generali sono raggianti e non sanno
d’essere stati fregati. Hanno sparato razzi del valore
di miliardi per trappole che costano come un
giocattolo per poveri trovatelli! È inutile, noi italici
come bidonisti, siamo il massimo!
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Eppure, ci sono stati dei fabbricatori di trucchi
inglesi, che ci hanno superato, hanno sorpassato in
ingegno anche i torinesi. Costoro hanno realizzato
addirittura un carro armato di gomma.
Il carro armato gommoso, alla maniera di un
preservativo gigante viene pressato dentro una
valigetta di queste dimensioni... poco più di una
ventiquattr’ore.
Viene
consegnato
all’iracheno
addestrato all’uso, l’iracheno ammaestrato pone la
valigetta a terra, estrae dal coperchio una pompa del
tipo “gonfia-gommoni”, col piede preme su e giù
POT POT POT: spunta il carro armato. Dal
principio informe ma che va prendendo il suo assetto
sorprendente in pochi minuti: coi cingoli, la torretta,
i cannoni, ch'è il punto più delicato, che se non si
pompa con forza sufficiente il cannone rimane
moscio cossì... e al pilota di lassù potrebbe nascere
qualche sospetto. Ma quando appare il super caccia
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bombardiere, l’iracheno pedala come un disperato
sulla pompa PEMPEMPEM TUNTUNTUN ed ecco
la canna ritta come un fallo orgiastico in fase
d’orgasmo multiplo! L’iracheno ha giusto il tempo
di gettarsi dentro la fossa di protezione che parte il
razzo e colpisce il bersaglio. C’è il commento di un
pilota americano che è veramente divertente, dice:
"È strano come si comportino questi nuovi carri
armati
iracheni,
perché
non
esplodono,
non
deflagrano come gli altri russi, cinesi. Non so di che
marca siano, che nazione glieli abbia procurati:
come li becchi saltellano qua e là nel deserto TUM
PIM TUM PIM, emettono uno strano sibilo
PIHIIIIIIIIII e scompaiono nel nulla.
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Versione introduttiva di “Mistero Buffo” eseguita il 24
marzo ‘91.
Qualche giorno dopo, spinto dai nuovi eventi, ho
portato qualche variante al prologo. Eccovela.
Come dicono i francesi, e hanno proprio ragione,
questa è proprio una "drolle de guerre", una guerra
da crepar dal ridere. Il coronamento di questo
conflitto da clown è la scoperta delle galline da
combattimento. No, non è un lazzo buttato lì tanto
per
stupire
a
scompiscio
gli
alleati
elettro-
supercomputerizzati, hanno davvero adoperato le
galline in guerra. È la prima volta nella storia
dell’umanità che assistiamo alla scesa in campo di
pollame guerriero evento del quale noi tutyti
dobbiamo essere molto orgogliosi perché esse sono
razza scelta dei nostri pollai, quindi esultiamo:
(intona l’inno nazionale) Oh polli d’Italia, l’Italia s’è
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desta!” Forse le superstiti di questo conflitto
riceveranno
una
croce
particolare
di
Gladio
(richiamo fondo pagina2: organizzazione clandestina
creata, per un probabile colpo di Stato, con
l’apporto dell’ex Capo dello governo, Presidente
Cossiga); quelle che rimarranno vive le vedremo
sfilare a Taranto (NOTA FONDO PAGINA: BASE
DELLA
MARINA
MILITARE
ITALIANA
E
LUOGO DI PARTENZA PER IL MEDIORIENTE
DEL NOSTRO CONTINGENTE MILITARE) con
le pime al vento e una croce di ferro penzolante sul
petto. Noi staremo lì a salutarle orgogliosi e ritti
sull’attenti ci saranno anche i presidenti vari che le
baceranno.
Ma cos’è ‘‘sta storia del pollame guerresco? È presto
detto: l'avrete visto in uno speciale TV e l’avrete
pure letto su “Il Corriere della Sera” e la “La
Repubblica”… non vi racconto storie: nelle foto si
scorgono alcuni marines con una gallina bianca in
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mano, razza emiliane e padovane. Ecco perché
dicevo che le croci di guerra verranno tutte
dall'Italia: hanno svuotato interamente le nostre
aziende gallinifere, batterie intiere anche centomila
per volta.
Ma veniamo all’utilizzo di questi eroici pennuti.
Nella ripresa televisiva alla quale accennavo, si nota
questa gallina in braccio al marines americano. Il
marines calza il suo elmo regolamentare ben
mimetizzato con la rete, tiene sulla fronte due
occhiali uno per vedere con il sole e il vento, l'altro
per
vedere
di
notte
con
gli
infrarossi.
Sul
frontespizio dell’elmo spunta una vistosa lampadina
che parabola automaticamente e scruta l'orizzonte.
Qui sul petto è appeso un tubo che contiene una
maschera antigas, maschera che fuoriesce e si
spalanca andando a coprire la faccia del marines, il
tutto con un solo scatto. Dai glutei del guerriero
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partono due briglie che trascinano una cassetta
munita
di
ruote
che
agisce
autonomamente
spostandosi da una parte all’altra per meglio spiare
al di là delle dune. A completare l’assetto, abbiamo
una bombola di ossigeno qui sotto l’ascella, la
riserva d'acqua appoggiata tra le cosce - serve anche
da raffreddamento agli organi delicati - il metano di
dietro, una riserva di petrolio all’altezza del
ginocchio... e anche una sigaretta già accesa infilata
nel bocchettone della maschera antigas, nel caso uno
avesse l’impellenza irresistibile di fumare. Ma ci
siamo dimenticati delle galline? No, per carità! Essa,
bipide, ‘sta appollaiata su un pistolone tremendo che
il nostro marines esibisce facendolo scorrere in
avanti da sotto l’ascella destra. Con quello spara dei
proiettili grossi come uova,
che esplodono e
producono raggi. Il frastuono è tremendo, ma la
nostra
gallina
da
combattimento
rimane
costantemente abbrancata alla cassa del caricatore.
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Ora mi chiederete, perché il marines si tiene la
gallina sul mitragliatore? Cossì, per scaramanzia?
Niente affatto! La gallina assolve a un grosso
impegno. Essa possiede un istinto straordinario, cioè
ha la facoltà di captare da lontano, lontanissimo
anche una bava di gas nervino... se un bastardo
d’iracheno tira una bombola di gas anche a
centinaia di metri di distanza, la gallina WAW
WAW WAW, fa un baccano d'inferno, starnazza,
spara uova a grappoli e scagazza, scusate il termine,
ma è un gergo tecnologico militare. Ora la cosa fa
scattare subito l'intelligenza e la percezione del
marines, il quale fra un passo e l'altro... dice AH! IL
GAS! PIUM, schiaccia un bottone, gli parte subito
la maschera già aperta che gli si incolla sul viso.
Naturalmente la gallina entro dieci secondi muore
secca. Andiamo, non possiamo mica dare la
maschera anche alle galline! (Fingendo di rivolgersi a
qualcuno del pubblico) Sì, signora… alludevo
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proprio
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al
fatto
che
durante
l’ultimo
bombardamento a Tel Aviv all’arrivo dei razzi
iracheni che si temeva spargessero gas letali, si sono
distribuite maschere per tutti i cittadini israeliani
ma non se ne sono trovate da destinare ai palestinesi
presenti in città. E anche se lei signora ha sussurrato
appena, l’ho sentita lo stesso. Io ho un orecchio
tremendo, lei ha esclamato risentita: “Ah no! Cosa
c'entrano i palestinesi con le galline!” Ha ragione, le
galline sono molto più utili nel conflitto, infatti non
servono soltanto a dare l’allarme per l’arrivo di gas
nervino, ma soprattutto servono per disinnescare le
bombe a trappola ficcate nel terreno. Voi sapete che
a Sadam Hussein sono state vendute mine da quasi
tutti i popoli della terra. E quante ne ha acquistate
lui? Diciotto milioni di unità... c'è questo deserto del
Kuwait che è tempestato di mine, è incredibile, non
si può andare in giro. Se uno, mentre va sullsulla
superstrada, che è l’unico percorso ripulito, gli vola
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via un pacchetto… guai se si permette d’andare a
recuperarlo. Come mette piede sulla sabbia: PAM!,
salta in aria! Per disinnescarle l'appalto è stato dato
ai francesi; avrete visto qualche immagine televisiva:
loro hanno una specie di cannone che spara nel
deserto un aggeggio che srotola una catena
lunghissima con un rostro finale… poi c'è un braccio
meccanico che afferra dall'altro lato la catena e
comincia a scuoterla dando ribattoni terribili, un
fracasso d’inferno. Col fracasso tutte le mine di
fabbricazione
inglese,
francese,
russa
polacca,
svizzera ecc... PIM PAM PIM PAM saltano per aria
che sembra proprio Piedigrotta, una cosa veramente
festosa! Tutte, vi dico tutte le mine eslpodono... salvo
le nostre, le italiane: le Vasella. Nove milioni gliene
abbiamo vendute, nove milioni di mine VALSELLA:
50%
di partecipazione Fiat. Perché sono tanto
richieste e preferite? Perché noi abbiamo bombe
INTELLIGENTI, e non trappole per topi. Le nostre
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Valsella quando si fa baccano sbattendo catene non
fanno una piega, anzi, dalla cupola della bomba
escono due manine che sbattendo una conto l’altra
(mima due braccettine con mani annesse che
sbattendo una contro l’altra, altezza gomito, eseguo il
classico gesto scurrile napoletano). Infatti le nostre
mine saltano per aria soltanto a pressione del piede
umano, sono proprio a misura d'uomo, non per
niente noi abbiamo creato l'umanesimo. Tutti i
nostri alleati devono cominciare a rispettarci come
meritiamo perché, d’accordo che in questa guerra
non abbiamo dato un apporto determinante,
soprattutto in materiale umano, ma abbiamo
concorso con materiale meccanico e gallinaceo in
partecipazione straordinaria come nessun popolo al
mondo. Devono piantarla di sfottere e di prendere in
giro soprattutto i nostri ministri quando ci si
riunisce al banco, meglio dire al tavolo, per dividere
le situazioni di vantaggio di questa guerra. Devono
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piantarla! C'è
(HAMO
quèl nostro ministro De Michelis
FONDO
SOCIALISTA
AL
PAGINA:
TEMPO
DEL
MINISTRO
GOVERNO
CRAXI) che tutte le volte che arriva: PAAM!, una
porta in faccia, che ormani ha un faccione cossì e ha
dovuto dipingersi gli occhiali sul muso per quanti
gliene hanno spiaccicati. Dobbiamo ammettere che
non fa un bèl vedere con quella testa, con quei
capelli impataccati di catrame schifoso, CHE E' LUI
... IL CORMORANO! E' LUI! Un cormorano
ripieno! Non vi dico di che cosa. (Esegue una
pantomima dove imita la camminata del fenicottero
ctarso di catrame) A proposito, quasi mi stavo
dimenticando di raccontarvi di come i nostri polli
vengano impiegati nel far brillare i micidiali ordigni
Valsella seminati nel desero. I nostri polli artificeri
con il loro zampettare e col ticchettio del becco
producono lo stesso effetto della pressione di un
piede.
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Ma andiamo per ordine: per cominciare ‘sti tecnici
spazzamine mettono in funzione elicotteri appositi
che spandono becchime e lì gli iracheni che stanno
nelle buche… cominciano ad andare in crisi: “Ma
come! Ci buttano il becchime per polli?! Va bene
sfotterci ma questo è un pò pesante... abbiamo fame,
ma non esageriamo!". Poi, una volta steso il
becchime ecco che arriva la gallineria, cioè centinaia
e centinaia di polli ammassati dentro altri elicotteri
speciali… i famosi "apache Vallespluga". Arrivano:
WWAAAOOO!, si spalanca la pancia di questi
elicotteri, e scaricano piovendo dal cielo galline a
stormi che inondano il deserto, sono affamate, da
cinque o sei giorni non toccano cibo.
Proprio a livello iracheno! E cominciano TI TO TI
TO TO PIIM PAAM PIIM PAAM PEEM PEEM!,
con il loro zampettare e col ticchettio del becco
producono lo stesso effetto. Vo dappertutto arrosti,
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galline fritte, alla diavolo fragrante! Gli iracheni
possono
godere finalmente del loro primo pasto caldo. Buon
appetito!
brano tagliato da rosa fresca che forse si può usare
altrove.
Ed altre ce n’erano di queste leggi bastarde. Quindi
il giullare era qualcuno che, nel Medioevo, era parte
del popolo; come dice il Muratori, il giullare nasceva
dal popolo e al popolo, attraverso l’ironia procurava
la coscenza della propria condizione.
Ed è per questo che nel Medioevo ne ammazzavano
con tanta abbandanza di giullari e si emulgavano
leggi persecutorie proprio per loro. Ma torniamo al
“Mistero Buffo” vero e proprio.
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questi brani stavano in fondo non so se doppi o no.
controllare GRAMMELOT DI SCAPINO
All’origine e fino a quasi tutto il ‘400, le compagnie
di teatro erano composte da attori dilettanti. Ma
nella fine del XV secolo, cominciàrono a riunirsi in
gruppi consociati con tanto di statuto e contratto.
Ebbero subito una certa fortuna, specie quelle
compagnie che godevano della protezione di nobili e
banchieri. Ma ecco che, nella seconda metà del ‘500,
quando esplose la controriforma, l’attacco condotto
dalla Chiesa verso gli intellettuali liberi colpì
duramente anche le compagnie di attori associati,
cioè i teatranti della Commedia dell’Arte. Costoro
furono costretti a una vera e propria diaspora.
Furono centinaia le compagnie che dovettero
emigrare in tutti i paesi d’Europa: Spagna,
Germania, Inghilterra... la maggior quantità di quei
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teatranti si stabilì nella Francia. Altri raggiunsero la
Russia e perfino i Paesi Baltici.
È ovvio che la maggior difficoltà era quella di farsi
intendere dagli abitanti di quei paesi che non
conoscevano la nostra lingua. È vero che i comici
dell’arte possedevano doti insuperabili di gestualità
ed erano veri maestri della pantomima ma dovettero
creare qualche cosa che permettesse di comunicare
più profondamente il discorso del gioco satirico e
tragico. Cossì utilizzarono il grammelot.
Cominciàrono col impiegare un linguaggio che
potremmo
chiamare
proto-maccheronico,
cioè
composto da sproloqui, apparenterete senza senso
compiuto, infarciti di termini della lingua locale
pronunciati con sonorità e timbri italianeschi. Via
via, si perfezionarono fino a impiegare, oltre una
straordinaria gestualità, suoni onomatopeici carichi
di sfondoni lessicali di varie lingue. Questo gioco
imponeva agli spettatori l’impiego di una certa dose
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di
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fantasia
e
immaginazione
che
produceva
l’insostituibile piacere dello scoprirsi intelligenti.
In Francia le compagnie dei “Gelosi” e dei
“Raccolti” furono tra le prime a sviluppare questo
genere di rappresentazione. Esibivano maschere dei
vari Zanni fra i quali l’Arlecchino che possiamo ben
chiamare
il
comico,
massimo
campione
del
grammelot.
L’Arlecchino primordiale fu creato da Tristano
Martinelli che recitava in una specie di francesebergamasco misto a veri e propri papocchi lessicali
delle due lingue. Il suo tormentone clownesco era
impostato sull’osceno, sia sessuale che scatologico. In
poche parole, esibiva allusioni fallotrope e sterco in
tutte le forme e varianti cromatiche. L’intera Corte
di Francia, il re e la regina in testa, stravedevano per
quei comici, al punto che offrirono loro teatri con
l’insegna reale.
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Il pezzo che ora vado a recitare é un classico
grammelot francese ed é detto di Molière o di
Scapino.
Molière, formatosi sul modello dei comici dell’arte,
voi sapete, è sicuramente il più grande autore della
Francia, uno dei più geniali commedianti di tutti i
tempi, e godeva dell’appoggio straordinario di Luigi
XIV, cioè a dire del re Sole in persona. Il quale lo
sosteneva soprattutto quando si trovava a Parigi, ma
appena il re si spostava ed era costretto in certi casi
ad uscire dai confini del suo paese per risolvere
questioni politiche e spesso militari, ecco che
Molière si trovava spiazzato e alla mercè di tutti quei
nobili e potenti, il clero in primo piano, che
bloccavano le sue rappresentazioni e minacciavano
lui e la sua compagnia di mandarli sotto processo o
addirittura di eliminarli fisicamente. Nel brano che
ora vado a presentarvi Molière mette insieme due
prototipi che sono all’origine di due famosi fatti
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teatrali. Sto parlando del “Tartufo” e del “Don
Giovanni”.
Sinteticamente, questa è la storia di un giovane
ricco,
figlio
di
banchieri,
rimasto
orfano
all’improvviso del padre, uomo potente, grande
finanziere e politico scaltro e spregiudicato.
La chiave scenica prende spunto dal fatto che il
giovane è rimasto orfano all’improvviso; sulle sue
spalle cade tutta la responsabilità di gestire
l’immenso potere che ha ereditato. Ma ahimè, si è
finora completamente disinteressato del mondo degli
affari e della politica. Non ne conosce né il gioco, né
le regole. A questo punto, entra in scena Scapino,
vecchio servo, il classico primo Zanni della
Commedia dell’Arte, sapiente e scaltro. Sarà lui il
maestro del giovane signore.
Inizia cossì la lezione: Scapino detta le prime regole
fondamentali riguardo il modo in cui un vero
signore debba addobbarsi, gestire, camminare, usare
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toni vocali ed espressioni corporee. Scapino si rivolge
al suo nobile allievo esprimendosi in grammelot.
Descrive le normali parrucche che i nobili sono soliti
calzare in quel tempo (siamo nel ‘600): erano veri e
propri ammassi rotoluti di capelli con ghirigori,
annodamenti riccioluti. Esiste
un ritratto di un
nobile del tempo esposto al Louvre: possiamo
ammirare la parrucca del signore che fuoriesce
addirittura dalla cornice, infatti ai due lati sono posti
due quadri che raccolgono il resto dei riccioli
strabordanti.
Scapino, dopo aver descritto l’enorme parrucca che
soffoca il signore che la indossa e lo costringe a farsi
strada fra la cascata di riccioli, impugnando un
tagliente
coltello,
prosegue
nel
descrivere
l’abbigliamento vero e proprio: camicie con trine e
merletti che fuoriescono dalla giacca e dai pantaloni
e che bloccano il signore nella possibilità di liberarsi
al momento in cui è pressato dal bisogno di fare pipì.
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Ecco il signore che va disperatamente a ricercare un
pertugio nelle ricche brache, da dove estrarre il
mezzo di transito evaquatorio. Nella pantomima lo
Scapino riesce a cavare, come in un gioco di
prestigio, solo trine, dantelle e pizzi vari finchè,
sconfitto, si arrende facendosela addosso con
inimitabile
dignità...
quasi
godendo
estatico
dell’intima sgocciolata.
Quindi, ecco che si muove esibendo un’elegante
camminata con fremito finale, ad ogni passo, delle
caviglie e dei piedi, a spandere il tiepido liquido
sgocciolante. Scapino esegue la camminata del nobile
pisciacchiante attraversando tutto il proscenio.
Ancora il servo sapiente stigmatizza l’uso ridondante
degli addobbi vestuari e in particolare si sofferma
sulle dimensioni
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VERSIONE CORRETTA il 10/2/99
GRAMMELOT DI SCAPINO
All’origine e fino a quasi tutto il ‘400, le compagnie
di teatro erano composte da attori dilettanti. Ma
nella fine del XV secolo, cominciàrono a riunirsi in
gruppi consociati con tanto di statuto e contratto.
Ebbero subito una certa fortuna, specie quelle
compagnie che godevano della protezione di nobili e
banchieri. Ma ecco che, nella seconda metà del ‘500,
quando esplose la controriforma, l’attacco condotto
dalla Chiesa verso gli intellettuali liberi colpì
duramente anche le compagnie di attori associati,
cioè i teatranti della Commedia dell’Arte. Costoro
furono costretti a una vera e propria diaspora.
Furono centinaia le compagnie che dovettero
emigrare in tutti i paesi d’Europa: Spagna,
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Germania, Inghilterra... la maggior quantità di quei
teatranti si stabilì nella Francia. Altri raggiunsero la
Russia e perfino i Paesi Baltici.
È ovvio che la maggior difficoltà era quella di farsi
intendere dagli abitanti di quei paesi che non
conoscevano la nostra lingua. È vero che i comici
dell’arte possedevano doti insuperabili di gestualità
ed erano veri maestri della pantomima ma dovettero
creare qualche cosa che permettesse di comunicare
più profondamente il discorso del gioco satirico e
tragico. Cossì utilizzarono il grammelot.
Cominciàrono col impiegare un linguaggio che
potremmo
chiamare
proto-maccheronico,
cioè
composto da sproloqui, apparentemente senza senso
compiuto, infarciti di termini della lingua locale
pronunciati con sonorità e timbri italianeschi. Via
via, si perfezionarono fino a impiegare, oltre una
straordinaria gestualità, suoni onomatopeici carichi
di sfondoni lessicali di varie lingue. Questo gioco
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imponeva agli spettatori l’impiego di una certa dose
di
fantasia
e
immaginazione
che
produceva
l’insostituibile piacere dello scoprirsi intelligenti.
In Francia le compagnie dei “Gelosi” e dei
“Raccolti” furono tra le prime a sviluppare questo
genere di rappresentazione. Esibivano maschere dei
vari Zanni fra i quali l’Arlecchino che possiamo ben
chiamare
il
comico,
massimo
campione
del
grammelot.
L’Arlecchino primordiale fu creato da Tristano
Martinelli che recitava in una specie di francesebergamasco misto a veri e propri papocchi lessicali
delle due lingue. Il suo tormentone clownesco era
impostato sull’osceno, sia sessuale che scatologico. In
poche parole, esibiva allusioni fallotrope e sterco in
tutte le forme e varianti cromatiche. L’intera Corte
di Francia, il re e la regina in testa, stravedevano per
quei comici, al punto che offrirono loro teatri con
l’insegna reale.
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Il pezzo che ora vado a recitare é un classico
grammelot francese ed é detto di Molière o di
Scapino.
Molière, formatosi sul modello dei comici dell’arte,
voi sapete, è sicuramente il più grande autore della
Francia, uno dei più geniali commedianti di tutti i
tempi, e godeva dell’appoggio straordinario di Luigi
XIV, cioè a dire del re Sole in persona. Il quale lo
sosteneva soprattutto quando si trovava a Parigi, ma
appena il re si spostava ed era costretto in certi casi
ad uscire dai confini del suo paese per risolvere
questioni politiche e spesso militari, ecco che
Molière si trovava spiazzato e alla mercè di tutti quei
nobili e potenti, il clero in primo piano, che
bloccavano le sue rappresentazioni e minacciavano
lui e la sua compagnia di mandarli sotto processo o
addirittura di eliminarli fisicamente. Nel brano che
ora vado a presentarvi Molière mette insieme due
prototipi che sono all’origine di due famosi fatti
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teatrali. Sto parlando del “Tartufo” e del “Don
Giovanni”.
Sinteticamente, questa è la storia di un giovane
ricco,
figlio
di
banchieri,
rimasto
orfano
all’improvviso del padre, uomo potente, grande
finanziere e politico scaltro e spregiudicato.
La chiave scenica prende spunto dal fatto che il
giovane è rimasto orfano all’improvviso; sulle sue
spalle cade tutta la responsabilità di gestire
l’immenso potere che ha ereditato. Ma ahimè, si è
finora completamente disinteressato del mondo degli
affari e della politica. Non ne conosce né il gioco, né
le regole. A questo punto, entra in scena Scapino,
vecchio servo, il classico primo Zanni della
Commedia dell’Arte, sapiente e scaltro. Sarà lui il
maestro del giovane signore.
Inizia cossì la lezione: Scapino detta le prime regole
fondamentali riguardo il modo in cui un vero
signore debba addobbarsi, gestire, camminare, usare
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toni vocali ed espressioni corporee. Scapino si rivolge
al suo nobile allievo esprimendosi in grammelot.
Descrive le normali parrucche che i nobili sono soliti
calzare in quel tempo (siamo nel ‘600): erano veri e
propri ammassi rotoluti di capelli con ghirigori,
annodamenti riccioluti. Esiste
un ritratto di un
nobile del tempo esposto al Louvre: possiamo
ammirare la parrucca del signore che fuoriesce
addirittura dalla cornice, infatti ai due lati sono posti
due quadri che raccolgono il resto dei riccioli
strabordanti.
Scapino, dopo aver descritto l’enorme parrucca che
soffoca il signore che la indossa e lo costringe a farsi
strada fra la cascata di riccioli, impugnando un
tagliente
coltello,
prosegue
nel
descrivere
l’abbigliamento vero e proprio: camicie con trine e
merletti che fuoriescono dalla giacca e dai pantaloni
e che bloccano il signore nella possibilità di liberarsi
al momento in cui è pressato dal bisogno di fare pipì.
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Ecco il signore che va disperatamente a ricercare un
pertugio nelle ricche brache, da dove estrarre il
mezzo di transito evaquatorio. Nella pantomima lo
Scapino riesce a cavare, come in un gioco di
prestigio, solo trine, dantelle e pizzi vari finché,
sconfitto, si arrende facendosela addosso con
inimitabile
dignità...
quasi
godendo
estatico
dell’intima sgocciolata.
Quindi, ecco che si muove esibendo un’elegante
camminata con fremito finale, ad ogni passo, delle
caviglie e dei piedi, a spandere il tiepido liquido
sgocciolante. Scapino esegue la camminata del nobile
pisciacchiante attraversando tutto il proscenio.
Ancora il servo sapiente stigmatizza l’uso ridondante
degli addobbi vestuari e in particolare si sofferma
sulle dimensioni a dir poco strabordanti del normale
mantello indossato dai nobili. Descrive cosa accade
al ricco signore quando il vento cresce impetuoso,
spazzando le vie di Parigi... ecco che il mantello si
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trasforma in una vela gonfia che trascina con sé per
il cielo il signore vte come un enorme pipistrello.
Scapino , nelle vesti del signore, urla chiedendo
soccorso; lo si immagina rimpicciolire sempre più
alla vista dei curiosi schierati, muso in su; a seguire
le evoluzioni dello sventurato sbattimantello. (A
questo
punto
l’attore
esegue
una
pantomima
contrappuntata dal grammelot francese.)
Avete notato: non si riesce ad individuare una sola
parola di francese autentico in questa mia breve
introduzione e la chiave del grammelot sta proprio
qui, guai se si inseriscono più di due o tre termini
della lingua reale in un discorso. Bisogna far
immaginare, intuire, alludere... questa è la regola
assoluta del gioco.
Ho avuto occasione di recitare i vari grammelot
davanti a pubblici inglesi, tedeschi, spagnoli, ma
l’emozione più grande l’ho provata quando 25 anni
fa mi sono trovato ad esibirmi in grammelot
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francese davanti al pubblico di Parigi. Il debutto
avveniva sul palcoscenico del Teatre Gomier, cioè a
dire la sede del “National” , di certo il più prestigioso
teatro di Francia. In platea c’erano i più importanti
intellettuali dell’epoca: sarte, Mouré, Jaques Devare,
attori e registi della Commedie Francaise eccetera
eccetera. Io con autentica incoscienza entro in scena
deciso a recitare d’acchito questo grammelot dei
comici dell’arte, presentandolo come un rifacimento
paradossale dell’antica lingua
fiorita di Francia
(esegue uno sporliloquio con ampie gestualità,
improvvisi falsetti e farfugliamenti stringati e rapidi da
gorgheggio ). Intanto sbirciavo le facce del pubblico:
occhi spalancati, sguardi attoniti, quasi sconvolti. Un
silenzio di ghiaccio... poi, all’istante, un illustre
spettatore esclama: “ Che bèllo il francese del
Seicento!”... basta... era fatta: una esplosione di
applausi e una gragnola di risate!
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(L’attore riprende l’esibizione
: descrive l’incedere
burbanzoso del nobile in questione, quindi disegna la
parrucca, quasi la modella articolando le dita e le
mani come in una danza . La parrucca monta come
un frappé, cresce deborda, si serra intorno al viso del
signore, soffocandolo. Il nobile è costretto a strapparsi
di dosso quella massa di capelli come fosse un enorme
insetto a 100 zampe che lo ha aggredito; lo getta a
terra e lo calpesta ferocemente per ucciderlo) Scapino,
nelle vesti del signore riacquista il suo aplomb,
descrive i panneggi e la cascata di
pizzi, trine e
dantelli che gli fuoriescono da ogni dove. Quindi
mima l’impellente bisogno di “evacuare”, prima con
elegante distacco, poi sempre più scatenato, estrae
orpelli dalle brache senza riuscire a raggiungere
l’orpello fondamentale allo sfogo acqueo. Assistiamo
allo sbragolamento fluido del nobiluomo con
camminata a sguazzo e stillate in sequenza di
fralloppi di fianchi, cosce, ginocchia e piedi. Descrive
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quindi l’atteggiamento del nobile pacchiano quando
si rivolge ad altri sia nell’atto di dare ordine che in
quello di esibire spavalderie e samaccate adulazioni.
Scapino fa notare lo sbragazzo triviale di quei modi
e propone un nuovo stile dove il gentiluomo appare
modesto, scevro di gestualità tronfie, preoccupato
anzi si sciorinare discorsi quasi senza muovere le
labbra, biascicando da ventriloquo le parole, schiena
curva, quasi implorante, ma pronta a scattare ritta
come un serpente al primo conflitto determinante.
nel finale, riprende il tema già accennato del
mantello, sottolineando nella pantomima e nei suoni
onomatopeici la grevità del mantello, l’enorme
dimensione e la fatica nello strascicarlo per le strade.
Il crescere del vento é annunciato con un ondulare
del corpo, le braccia allargate come fossero sostegno
ad una vela rigonfia. Arriviamo qui alla maggior
difficoltà dell’intera esibizione: Scapino deve riuscir
a far immaginare le folate di vento che lo sollevano
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nell’aria... come un Icaro travolto dal terrore oltre
che dal vento. Quindi offrire il gran vociare di un
pubblico che segue, gesticolando, l’ascensione del
nobile che sale rimpicciolendosi fino a trasformarsi
in
un
moscerino
sbattuto
che
precipita,
ingrandendosi poi man mano che si riavvicina alla
terra... un silenzio e poi... un gran TONFO:
“Fotüt!”.
Il grammelot finisce qui... certo, la moda di questi
straordinari
mantelli
bisognerebbe
riprenderla,
specie nell’ambito di certi grandi imprenditori e noti
politici... sarebbe proprio un ritorno salutare!
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PRESENTAZIONE
DEL GRAMMELOT 1 9 7 6
E’ STAMPATO. La prima pagina é stata usata de
Dario per la nuova stesura de “La fame dello Zanni”
di maggio 1998.
Mistero Buffo che recitiamo questa sera è una
edizione completamente nuova per Roma. Noi
abbiamo recitato a Roma cinque o sei edizioni
diverse, questa, soprattutto nella prima parte è una
novità: è in grammelot. grammelot è l'invenzione di
suoni, di termini, di gesti messi insieme, che nel
ritmo, nell'andamento, negli stop di chiusura,
apertura ecc..., nella tessitura musicale indica o
allude a situazioni, a fatti, a cose, a oggetti.
ALIULE
CHE
TAMUSE
CHE
TA
URI
A
LUNSINGHET TE LI LE BLEM BLUM TU LI LE
BLEM BLAM... ecco! Questo è il classico grammelot
dei bambini. Ora il grammelot è tutto inventato e di
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volta in volta ogni sera io mi ritrovo a reinventare
suoni e moduli a soggetto per ricostruire questo
fatto. Qualcuno dice che il grammelot che è nato
prima della commedia dell'arte, molti secoli prima...
è qualche cosa che è stato inventato dagli attori per
cercare di sfuggire alla censura. Gli sbirri, non so se
sapete, ma quando vengono a vedere il
teatro e
segnano... notano certe battute, hanno una specie di
codice e riferiscono. Se si parla il grammelot, cioè se
si parla...(fa un esempio)... quello non riesce più a
segnare, non si ritrova più, straccia e dà le
dimissioni... va via dalla polizia. EFFICACISSIMO!
Ma non credo che sia questa la vera ragione. Credo
che la vera ragione del recitare in grammelot sia il
rifiuto dell'accettazione della lingua del potere. Il
potere, sapete benissimo ha sempre inventate delle
lingue per imporre la propria forza, il proprio
prestigio sopra le classi inferiori. Marty, che era un
poeta provenzale del 1200, diceva come consiglia ad
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altri poeti: " Bisogna annodare i termini, il lessico
che noi prendiamo dal volgare, cioè dal popolo,
annodare, riprendere termini e radici latine, greche,
comporre una nuova forma, una nuova grammatica,
mettere regole cossì il popolo non riconoscerà più la
propria lingua, si sentirà umiliato, mortificato, ecco
lo sapete benissimo... l'italiano. L'italiano è una
lingua nata, costruita, fatta apposta da una classe
sociale contro e sopra tutti i dialetti, le altre lingue,
in modo da comporre una lingua che il popolo non è
più capace di intendere e GLIELO IMPONIAMO
QUASI COME COSA SACRA! Infatti da bambino
io credevo che quando sbagliavo nella sintassi...
commettevo un peccato! Sono andato una volta a
confessarmi e ho detto un congiuntivo sbagliato
PERCHE'' QUESTA CONVINZIONE TE LA
METTONO PROPRIO NEL CRANIO! E' UN
PECCATO! E' LA RELIGIONE DEL LESSICO!
Pensate che piacere buttare all'aria tutta questa
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religione, tutti questi dogmi... ogni volta...aiutando in
un gioco che il potere non può rifare... Il più antico
come indicazione di grammelot è quello di Molière.
Molière però descrive, da la trama di questo
grammelot, la favola del perché è dovuta al discorso
della censura ... in uno dei momenti in cui venne
censurato duramente a proposito di una sua
commedia in quanto il re Sole, il suo protettore, se
ne stava fuori base... ecco che i vescovi, cardinali,
nobili, gli saltarono addosso e gli impedirono di
recitare la parte finale di una sua commedia che
avéa messo in piedi. Esiste veramente la commedia
indicata dalla favola ed è una specie di incastro tra
il tartufo e il don Giovanni. Senza la possibilità di
dire determinate frasi, di portarle sul palcoscenico
Molière era fregato e allora ricorse ad un comico
dell'arte italiano. Si chiamava Scapino, molto più
anziano di Molière... Molière ne parla in due o tre
occasioni con molto affetto. Dice che il suo vero
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padre, il suo vero maestro è stato Scapino! Lo prega
di usare la tecnica che i comici dell'arte avéano
portato in Francia alla loro fuga nel 15OO,
esattamente al tempo della inquisizione in Italia.
Ecco questo Scapino, si ricordava bene la tecnica del
grammelot... allora ha cominciato a parlare... Dicevo
che Scapino ha introdotto, forse per primo o forse
era il più bravo.
Questo tipo di recitazione si chiama grammelot, si
scrive gramelotte perché sui giornali ogni tanto
scrivono delle cose che... i critici che... ignoranti...
non avete idea!!! Ricordandosi del grammelot di
Scapino, Molière lo chiama e gli dice " Senti,
salvami, cossì freghiamo i censori! Tu fai tutti i tuoi
sproloqui e le tue onomatopeiche. Lo sbirro non
riesce a ricopiare... e noi siamo salvi". Scapino che
era già vecchio "dimmi che cosa devo recitare?
Quale personaggio? Che chiave?" "Allora, tu sei un
servo. Ti chiamerai Scapino...servo... il più grande,
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più vecchio, più importante servo di una grande
famiglia dove è morto il padre, il figlio giovane che si
è dato alla pazza gioia e non ha avuto il tempo di
imparare tutte le tecniche per entrare a prendere il
potere, deve sostituire il padre, rimpiazzarlo, e non
sa niente e allora ... il grande insegnamento: come si
gioca il gioco del potere." e Scapino dice "Va beh!
Volentieri! Grazie!". Allora Scapino insegna al
giovane il modo di muoversi, di parlare, di gestire.
Prima di tutto gli dice "basta le parrucche non si
portano!" sapete che quello era il tempo delle grandi
parrucche. Re Sole avéa una parrucca enorme, non
poteva neanche far cossì... immensa con riccioli,
bigodini, contro-bigodini ecc... Ebbene dice "no, non
devi portare parrucche, niente parrucca!". Poi c'era
il problema dei dantel, dei pizzi, pizzi dappertutto
che uscivano dalla giacca, dal collo, che arrivavano
su fin qua, poi riscendevano, poi uscivano dalla
camicia... anzi era molto distinto avere... insomma
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uno che viveva pieno di pizzi... non so... pensate
voi,era un supplizio!! "Niente pizzi neanche!" Poi i
mantelli, si calcolava che la grandezza dei mantelli
era nel giusto rapporto della posizione e della forza
economica e soprattutto nobiliare di chi li possedeva.
Mantelli che per portarli bisognava avere una forza
enorme, trascicare come... quasi sempre c'erano dei
nani. L'origine del nano di corte è proprio per
portare dal di sotto senza essere visti. La condizione
del nano è tremenda perché deve sempre... ce n'è
uno
della...
qui..
che...
la
cariatide...
COMPLIMENTI! Siete velocissimi! Proprio ieri
sera facevo caso che i teatranti hanno delle specie di
sonde... sapete come quando si assaggia la carne che
si adopera una forchetta particolare e ci sono dei
punti dove... e la nostra forchettata sono tre o
quattro battute. Le proviamo per vedere a che punto
è il pubblico... a che punto di cottura è insomma... di
intelligenza!
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Allora dicevi, insomma c'erano anche allora...
c'erano già i presidenti che tenevano su... che è un
grosso compito... Pare che sia andato anche questa
notte ad incollare i manifesti sapete. Fa un lavoro
incredibile. Fa tutto! Tutto! E' una cosa...E' qui a
Roma che gira per le sezioni, con la bicicletta...con la
canna del... perché i manifesti con cossì e allora con
la canna li tira su... poi va in giro con le trombe...
poco fa è passato di qua con la tromba...
ELETTORI! ELETTORI!... ma non ha niente, lo fa
con la mano cossì ELETTORI! ELETTORI!...Ma
che bravo che è... velocissimo scende dalla macchina,
da sotto, c'ha un buco cossì, non ha la portiera
perché... Poi entra c'ha il suo cossì... ELETTORI!
ELETTORI!... E' formidabile!
Allora dicevo che c'erano questi mantelli enormi e
ogni tanto... non vi dico quando c'era il vento perché
era una cosa incredibile tenerli cossì tutti i nanetti
attaccati cossì... Allora...eravamo???... Non cossì in
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modo tronfio, non parrucche, non pizzi... devi...
modesto, grigio nero scuro e poi pallido, mi
raccomando, pallido, sempre su te stesso devi stare...
non so se vi fa venire in mente qualcuno! Poi
importante ... la camminata. IMPORTANTE! Stati
attenti... non piega le ginocchia... non so se avete
visto nei films, non ci sono c'ha delle cose dritte... per
potersi inchinare e c'ha questa sofferenza... non gli
vedete mai i denti... gli vedete soltanto un dentino
qua. E' una tecnica incredibile... delle ore davanti
allo specchio ... li vedrete tutti questi personaggi...
quelli coi doppi menti qua... beh, quell'altro lo
conoscete... poi...
Tutti i personaggi in fila... c'è anche la brava
persona anche... è veramente una brava persona io
dico... Zaccagnini... che è una brava persona
davvero... perché ogni tanto dice basta! Lo tengon
giù, lo tirano... "tu stai qua per Dio!"... "E no! Ma
qui siete degli sozzoni" "Ah! Me ne frega niente! Tu
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stai qua! Stai qua!...Ci abbiamo bisogno della brava
persona!" E" brava persona soltanto perché non
ruba!! Abbiamo una brava persona... perché che ha
fatto??? Forse durante il Vietnam ha detto basta?!
"Questo è uno schifo, io non accetto l'atteggiamento
di Moro verso... e poi il bombardamento... no, no,
non c'era ... era là. Il fatto del colpo di stato è forse
corso a Roma? Infami! Voglio la democrazia!" NOO
assolutamente, non si è mai visto! Brava persona
soltanto perché quando ha visto rubare... "Cosa
fate? Rubate?... Ah rubate!"
Va beh! Cominciamo Scapino. Scapino che fa il
maestro a questo giovane che deve entrare nel
mondo della politica. Il grammelot è francese, ovvio,
quindi quelli che conoscono il francese saranno
handicappati perché cercheranno di seguire le
parole francesi... che non esistono. Cercheranno di
capire " perché ho studiato! Porco cane, non riesco a
capire una parola!" Non capiranno e chiederanno
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che cosa ho detto a quello vicino che capisce tutto!
Infatti non conosce una parola di francese. Il
grammelot.
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PRESENTAZIONE DEL GRAMMELOT
LA CADUTA DEL POTERE
NON
C' E'
L A
D A T A
E’ STAMPATO.
E arriviamo a Mistero Buffo vero e proprio. Mistero
Buffo... io ho sempre la voglia di farvi un pezzo al di
fuori di quello che è il programma. Pandolfi, vostro
concittadino, grosso partigiano morto qualche anno
fa, ha raccolto centinaia di canovacci. C'è un
canovaccio che mi ha sempre molto sollecitato l'idea
di riprenderlo in grammelot. Il grammelot prima di
tutto
è
una
forma
di
teatro
onomatopeica
(s'nterrompe)... c'è qualcuno che bussa... la tenda... è
rimasto fuori...forse nella gabbia delle scimmie...o
delle antilopi. Nel
grammelot ogni tanto ci sono
parole indicative, ma il capire, individuare il tema è
dovuto ad intelligenza e il rapporto che c'è tra il
giullare, l'attore, e il pubblico, la fantasia. Ora,
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459
fantasia ne avete! Devo dire che la velocità
d'antenna che ha il pubblico romano, non sto a
blandirvi per carità... è veramente eccezionale! Siete
superati dai fiorentini e anche dai napoletani che
addirittura ti precedono... si mettono a raccontare
loro... e tu SEI FREGATO! Noi lombardi siamo un
pò più gniucchi... abbiamo la testa schiacciata... sono
stati i Savona che ci hanno... non so se avete mai
visto il berretto che avéano nella... era cossì
(esegue)... schiacciato! Allora, questo pezzo che cos'è
"la morte del potere", un grande personaggio che ha
dentro l'allegoria di un potere che sta andandosene a
rotoli. Molto probabilmente era stato scritto apposta
per ricordare lo sfranamento dei grandi nobili che
ormai erano schiacciati dalla borghesia progressista
del tempo; è un pezzo legato al 500. I vescovi,
cardinali ecc... sono preoccupati di tenere ancora
vivo
questo
potere ma
sentono
che gli sta
sfuggendo... che sta sradicando. C'è una porta, della
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gente entra, esce, ci sono preti, c'è gente con
siringhe, acqua calda, fredda, passa gente che non ha
capito bene, che entra a sproposito, lamenti, la
vedova che piange... l'altra che ride, quell'altro che
viene fuori urlando, le liti tra di loro, lo
scannamento...
CHI
SI
PRENDERA'
IL
POTERE?... come sgraffignarlo, come sostituirsi, il
funerale, discussione sui soldi, gli ultimi denari,
insomma...
LA
DEMOCRAZIA
CRISTIANA!
L'avete capito, no? M'è venuto in mente perché è
proprio
preciso
identico
il
canovaccio
nell'indicazione, uguale preciso a quello che sta
succedendo oggi. E' difficile perché il termine è la
velocità di queste entrate, uscite... 'sta bolgia! Ad
ogni modo a soggetto si fa sempre, spero di fare... di
cadere in piedi come è successo ieri.
MISTERO BUFFO ROMA 11-12-89
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BONIFACIO VIII-E’ STAMPATO.
NO
Mi ricordo una delle sue prime apparizioni che avéa
stordito tutti, ché avéa voluto far la messa a tremila
e tanti metri... C'era una tormenta spaventosa, poi
lo hanno pregato di andar fuori, e ha salvato due o
tre cani san Bernardo che si sono perduti, con la
fiaschetta qua, è andato a raspare, era l'unico che
riusciva a muoversi... Ebbene con questa papalina,
che per me gliela avvitano... ha una vite qua TRAC...
che se l'avvita da solo, oppure gliela dipingono fresca
tutte le mattine... si mette cossì... e gliela dipingono; e
quel pirulino che gli spunta qua è suo personale,
anche da
bambino,
lui è nato
cossì ...EHI
PIRULINO! Ché Wojtyla infatti in polacco vuol dire
pirulino. WOJTYLA! Beh,
lasciamolo lì questo
uomo straordinario dicevo, che niente ha a che
vedere invece con Bonifacio VIII.Bonifacio VIII si
prepara alla funzione, i chierici tutti in torno
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462
ripassano i pezzi per la vestizione...Lui molto duro,
arrogante, severo... ed ecco che va in processione. Io
canto, come naturalmente nella chiave del canto
religioso di Bonifacio VIII, un canto antico
gregoriano del X sec., ed è autentico. E' un canto che
è metà latino e metà, cossì di colpo... di Barcellona,
ecco ...Catalano,cossì di colpo non mi ricordavo più
il termine "catalano", catalano che proviene da
Alghero,voi sapete che ad Alghero parlano il
catalano ancora oggi. Ecco questo canto è autentico,
dicevo, e voglio sottolineare la straordinaria abilità
con cui io riesco ad emettere suoni, ma non è
casuale, non è determinata soltanto da una mia dote,
no, è dovuta allo studio e esercitata da bambino... io
da bambino, è una cosa che vi svelo adesso per la
prima volta, non l'ho mai detto, cantavo in chiesa,
ero proprio il ragazzino del coro. Poi mi hanno
dispensato,non perché non avessi più la voce adatta,
ma perché andavo a soggetto inventandomi delle
02/10/2012
463
parole che mi piacevano di più...e al prete non
piaceva. Va bene, comincio senz'altro.
Bonifacio VIII si prepara per la funzione religiosa:
Canto gregoriano interrotto da: "el capelo", "el
capelun, quelo grande","BOIA DESGRASIAAA!!!
l'è de fero!! deo andare in guera a gueregiare!!
Dame quelo leggero che devo andare (cantato) a
passeggiare"
"speciu...speciu,speciu"
"guanto"
"GUANTO!" "l'oltro,no gò una mano sola no, vo
m'là taje???
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MARIA
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VIENE
A
CONOSCERE
DELLA
CONDANNA IMPOSTA AL FIGLIO
Presentazione corretta l’11/2/99
Il brano che segue è relativo ad un’altra situazione
tragica: una passione laica che proviene dalle laudi
antiche dell’Italia centromeridionale, in particolare
dall’Umbria.
Si tratta del dramma che rappresenta la Madonna
nel momento in cui s’incontra con le Marie che
tornano dal mercato. Con loro discute della spesa e
dei prezzi. Sul fondo passano già le croci, si sentano
grida e insulti. Questo ricorda un quadro famoso di
Brügel dove vediamo Maria con le altre donne in
primo piano; c’è il mercato, ci sono i saltimbanchi,
c’è baccano, festa e in fondo, minuto, s’intravede il
passaggio delle croci e ,più lontano su una collina,
un gruppo di soldati r “crociatori” che stanno
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apprestando le macchine, scale e pali, per il
supplizio. Tutto avviene lì come dimenticato, come
un fatto secondario.
Nel nostro breve Mistero, le amiche fanno di tutto
per distogliere l’attenzione di Maria verso il
transitare
delle
croci.
La
Madonna
si
dice
preoccupata per il futuro del figlio... ma no per
l’avvenire tragico e imminente. Vorrebbe che si
decidesse a scegliersi una donna, metter su famiglia,
avere dei figli... decidersi per una vita normale.
L’insieme
è
un’invenzione
drammatica
e
sconvolgente.
Franca lo recita nel classico volgare antico inventato
dai giullari del sud.
02/10/2012
466
BRANI IN PIU’
ed è stata la prima volta che gli iracheni hanno avuto
il loro pasto caldo, un pò bruciacchiato ma... Tutte le
volte che io mi ritrovo ad avere davanti una tragedia
come è stata quella della guerra, di istinto vado a
vedere cosa hanno scritto di situazioni analoghe gli
antichi, e mi è capitato quest'anno di trovare oltre
che forse il più geniale è Aristofane. Aristofane avéa
scritto la bèllezza di quattro opere sulla guerra in
particolare "La Pace", magnifica, e cosa ho
ritrovato?... le cose di cui non m'ero accorto quando
lo avevo letto prima.I discorsi che fanno questi
uomini politici che cercano di coinvolgere Atene
nella guerra che è già iniziata ad opera di Sparta,
sono gli stessi, identici discorsi che abbiamo sentito
fare dai nostri politici "la pace è una cosa sacra e
non bisognerebbe mai violarla, ma in questo
momento noi dobbiamo rompere ogni indugio e
02/10/2012
467
unirci ai nostri alleati perché altrimenti facciamo la
figura dei soliti vigliacchi , femminucce, non
abbiamo
dignità, bisogna diventare virili ecc.".
Tutti i discorsi, anche i luoghi comuni, soltanto che
nella "La pace" di Aristofane c'è una personaggio
che
a
un
certo
punto
urla
"MI
AVETE
COMMOSSO! SIETE ARRUOLATI TUTTI! e loro,
questi politici, uno muore sul colpo, l'altro ha un
coccolone e rimane con la paralisi eterna, l'altro se la
fa addosso due scappano e tre svengono sul
momento. Pensate come sarebbe stato bèllo poter
fare lo stesso coi nostri uomini politici cioè alzarsi e
poter dire "Vi arruoliamo", per esempio Spadolini
arruolato nei mezzi da sbarco anfibi, lui proprio un
mezzo da sbarco, sdraiato, i marines sopra con la
pagaia che vanno nel golfo... oppure Giuliano
Ferrara
mezzo
BOLUBLUBLU,
cingolato
con
le
con
bretelle
sta'
da
pancia
lancio
TOCCHETA per lanciare bombe, oppure Forlani,
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già mimetizzato colore neutro paglierino color
sabbia e sempre giallino tale che nudo nel deserto
non lo vedi più. FORLANI??? Non c'è! Poi Craxi
non c'è bisogno neanche di mettergli un elmetto
basta fargli una riga qua e lui è già corazzato. Poi,
mezzo terroristico di persuasione occulta, Giulio
Andreotti, basta sollevarlo da una duna IIIHAAAA,
tutti si arrendono. Fra l'altro avete saputo che
Andreotti
stava
bombardamento?
per
Il
partire
giorno
la
in
sera
cui
del
hanno
bombardato Bagdad lui alle cinque, prima non si
sapeva
ancora
che
ci
sarebbe
stato
questo
bombardamento, lui era stato incaricato da tutti i
ministri degli esteri europei e naturalmente anche
dai presidenti di tentare l'ultima chance, cioè di
recarsi da Saddam Husseim e di convincerlo a nome
dell'Europa ecc... e l'ha dichiarato lui stesso. Alle sei
era a Ciampino con un aereo speciale che doveva
partire soltanto che gli hanno detto "fermi un attimo
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469
c'è un piccolo guasto, un' inezia , è un bullone con
vite particolare che si ammollato e non troviamo
come sostituirlo immediatamente ma adesso lo
mandiamo a prendere, tempo due o tre ore ci
siamo." All'una è pronto per partire, lo vengono ad
avvertire "no, onorevole, non si può partire perché
Bagdad
è
sotto
il
bombardamento
ventimila
tonnellate di bombe che stanno buttando gli
americani".Per un bullone, che se non ci fosse stato
quel bullone lui era LA', a BAGDAD, con queste
bombe che arrivavano, non ce lo avrebbero
restituito più; pensate a che cosa è legata la storia di
un
popolo,
a
un
bullone,
siamo
scarognati
sapete...una scarogna tremenda!! Ma la cosa che mi
preoccupa davvero, scusate se ve lo dico,e qui vi
prego di credere che il mio è un patema terribile, è la
condizione particolare in cui si trova il nostro
presidente, sono preoccupato, ormai parla solo a
ruota libera non lo fermi più. Dice delle cose...io
02/10/2012
470
volevo oggi portare il giornale dove dice delle cose
sconclusionate senza capo nè coda, torna indietro, va
avanti, perde i pezzi, ogni tanto fa dei tic terribili...
Bisogna aiutarlo, non si può lasciarlo cossì da solo.
Sono preoccupato davvero, già dà le medaglie ai
fascisti, e fra poco chiede scusa all'MSI, prima
ancora che il giudice abbia dato la sentenza dice che
la P2 sono dei patrioti, anzi dovremmo iscriverci
tutti alla P2 se no siamo fregati. Ma la cosa che mi
preoccupa veramente è quello come ha cominciato
con quel povero giornalista della Roiter che avéa
detto che l'Italia non avéa grande importanza nel
conflitto
in
quanto
avéa
partecipato
solo
collateralmente, e lui s'è risentito e gli ha dato del
figlio di p.... poi ci ha ripensato dice "non dico
neanche che è un figlio di p....perché per essere un
figlio di p. bisognerebbe essere superiore, io andrei
ad offendere la professione più antica del mondo,
che è appunto il figlio di p.", roba dell'altro mondo...
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471
Un presidente che fa tutto un gioco sulle p. le loro
origini, la loro storia, ha fatto un saggio sull'origine
dei figli di ... e delle p.... nella storia dell'umanità.
Ma porca di una miseria. E poi quando ha
incominciato ad insultare i giudici, già i giudici è un
anno e mezzo che li insulta, ma questi qua attraverso
la costituzione hanno stabilito che era illegale
entrare in guerra, si è imbestialito, li ha chiamati
vigliacchi, infami, terroristi... gente che ha rischiato
di saltare in aria trenta volte, gli hanno fatto anche
degli attentati... gli ha dato dei terroristi. Poi dice
"troppo comodo sbandierare la costituzione da
dietro una scrivania non esposta",... perché ci sono
le scrivanie "esposte" e ci sono quelle "non esposte",
ci sono quelle che vanno per la strada, avete visto
quante scrivanie vanno per la strada, uno pedala con
la scrivania...ci sono anche quelle che vanno sulla
neve... E poi dice "un conto è parlare dietro una
scrivania e un conto è da su una tolda di una nave di
02/10/2012
472
battaglia", infatti lui, il presidente parla solo da su la
tolda delle navi. Lui ha una tolda costruita al
quirinale, tutta con delle molle e ci sono dietro dei
corazzieri che gli danno il colpetto, lui è cossì... poi
ha un ventilatore da cinema, quelli col risucchio
BOOAAAAAA in modo che lui sia sempre in
disequilibrio come la niche di Sabotracia e ogni
tanto c'è un corazziere con un secchio d'acqua che
passa e GNACCHETTA... CHE MARE OGGI!!! E
lui parla solo da lì.
 MILANO 20.O1.91
LA GUERRA NEL GOLFO-E’ STAMPATO
Io sono felicissimo che questo teatro sia cossì saturo,
esaurito di persone, in quanto sentivo proprio oggi in
televisione un'inchiesta sui teatri in Italia durante la
quale si diceva che i teatri in questo periodo hanno
avuto un crollo sul piano della presenza di pubblico
perché qualcuno si sente a disagio,qualcuno teme
02/10/2012
473
incidenti... ma il fatto che voi siate qua mi riempie di
soddisfazione anche se nello stesso tempo sono
angosciato come voi per la paura che questa guerra
si stia allargando.Ci sono state persone che si sono
risentite per il prologo che io in questo periodo
faccio, legato all'attualità, anche perché l'attualità è
il fondamento principale del nostro teatro; da
sempre il nostro obiettivo è di inserire quello che è la
cronaca nel teatro e meno male che oggi possiamo
parlarne liberamente. C'è stato un tempo che il
parlare a soggetto ci era impedito, addirittura
abbiamo avuto denunce... c'era il questore o il
commissario che stava in quinta per verificare che
quello che dicevamo corrispondesse al testo che avéa
l'imprimato di Andreotti allora, che era ministro
dello spettacolo... e che verificava se eravamo
apposto, se avéamo proprio il timbro. Noi abbiamo
avuto una cosa come 40 denunce per gli svicolamenti
e quando uno era risentito per quello che si diceva
02/10/2012
474
non stava neanche a rimbeccarti direttamente,
telefonava alla questura , arrivava immediatamente
il commissario di turno, o se era in sala, saliva sul
palcoscenico a verificare col copione.
Ora siamo arrivati ad un clima straordinario però, a
proposito della guerra e se era proprio necessario
entrarci a piedi giunti, il presidente della repubblica
Cossiga è intervenuto l'altro giorno dicendo che è
ora che noi si diventi adulti... in poche parole nel
nostro paese si può polemizzare, dibattere però una
volta che il governo ha deciso di intervenire
SILENZIO,
NESSUNO
ROMPA
PIU'
LE
SCATOLE, LASCIATECI LAVORARE! Credo che
sia proprio il contrario di quello
che è la
democrazia, il parlare sempre e il ribadire le proprie
opinioni credo sia il minimo.D'altra parte, e anche
Andreotti
l'ha
detto
questa
mattina,
"E'
ARRIVATO IL MOMENTO DI ... TACERE E
BASTA NON ROMPETECI LE SCATOLE!".E' da
02/10/2012
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un pò di tempo devo dire che succedono delle cose...
per quanto riguarda il nostro presidente della
repubblica, lo sottolineano tutti i giornali devo dire,
anche Montanelli, che addirittura è arrivato a dire
che ha bisogno di uno psichiatra... io non sono
d'accordo, dico che è dovuto al nervosismo come
quando ha incominciato ad insultare i giornalisti i
giudici dicendo che erano dei venduti, dei bottegai,
dei giornalisti ha detto delle cose ignobili, che sono
degli infami... Ad ogni modo il fatto particolare è
incominciato quando gli è sfuggito " PER L'ITALIA
SI PUO' ANCHE MORIRE"... che a me è venuto
subito un brivido lungo la schiena, mi è venuto
subito
in
mente
quando
da
ragazzino
mi
insegnavano " CHI PER LA PATRIA MUOR
VISSUTO E' ASSAI" tarappappappete... D'altra
parte è la stessa frase lanciata da Frankestain, voi
sapete chi è Frankestain ...
Saddam Hussein è
veramente il classico Frankestain, che non è nato
02/10/2012
476
cossì da solo ma è stato inventato da noi NOI LO
ABBIAMO CREATO! Io mi ricordo gli applausi
quando è partito contro Komeini... FANATICI!!
Invece lui avéa i piedi in terra... quando ha detto tre
giorni e Komeini è fottuto ARMI! Gli abbiamo dato
le armi noi! Lo abbiamo allenato noi, gli abbiamo
insegnato come si fa la guerra... NOVE anni è durato
e adesso dimostra che ci sa fare. Lo diceva oggi quel
generale di cui i storpio sempre il nome, diceva "ma
scherziamo, non abbiamo mica a che fare con un
cretino... nove anni che... l'abbiamo allenato noi,
AVRA' IMPARATO QUALCOSA!! Per forza non
ha tirato fuori ancora le armi , perché diceva ma
perché non intervenite, perché non lanciate nel
deserto i vostri marines e la facciamo finita. La
borsa avéa avuto una euforia incredibile, eravamo
arrivati a guadagnare quattro punti, cinque punti...
e adesso cosa aspettate, dice, NON SONO MICA IL
GENERALE KUSTER IO, io fin quando non li ho
02/10/2012
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spianati, ammorbiditi"... non si dice massacrati, si
dice ammorbiditi ... guardate che il lessico di guerra
è straordinario. A parte che non si dice "andare il
guerra" ma "compiere un'operazione di polizia", ce
l'ha insegnato Andreotti. La mia preoccupazione è
questo atteggiamento che hanno quasi tutti i giornali
"chi non è per la guerra è una femminuccia, un
disfattista,
in
fondo
un
mammone
uno
che
fondamentalmente è VILE! Insomma un uomo vero,
coi muscoli , col coraggio è subito per la guerra...
interviene per l'onore, per l'orgoglio di una nazione
che non può sempre rimanere assente davanti ai
fatti". Quello che è successo esattamente a Kabul
quando ad un certo punto i russi sono entrati con le
truppe e l'ONU avéa detto alla stessa maniera
BISOGNA
INTERVENIRE!
NOI
ITALIANI
SIAMO INTERVENUTI! E subito Andreotti dice
"BISOGNA PARTIRE" manco una piega!! Cossì ad
esempio per il fatto della Palestina... gli interventi
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478
dell'ONU per far rispettare le leggi internazionali e
la libertà e la dignità di un popolo riguardo la
Palestina sono la bèllezza di diciotto! Ma neanche
han fatto UH UH
neanche! E quando questo
frankestain ha ammazzato cinquemila persone in
venticinque minuti, cioè le ha asfissiate col nirvino,
donne, bambini, BRACCHETA! C'è stato l'ONU
che ha detto... EH NO! EH NO! E tutti noi abbiamo
detto bisogna partire bisogna bloccarlo... NIENTE!
Questa è una guerra per il petrolio, lo abbiamo visto
nel gioco del salire delle azioni riguardo a quella
situazione... stiamo combattendo per il problema del
prezzo, dell'interesse, del vantaggio e via dicendo e a
dimostrazione c'è un fatto di cronaca: la televisione
ha fatto un inchiesta sul fatto che la gente non gira
più con tanto entusiasmo per le balere, per i night,
per i luoghi di divertimento e veniva mostrata una
balera moderna completamente vuota e il padrone
diceva " la gente non ha voglia, non viene a ballare e
02/10/2012
479
a divertirsi... ce n'erano quattro li ho fatti entrare
gratis ma non avéano voglia" e lei cosa dice "E'
UNA GUERRA SCHIFOSA".
C'è un'altra cosa che mi ha angosciato a proposito
del valore di certe frasi, io a malapene ne parlo
perché ci sono di mezzo due piloti che fra l'altro sono
di una compagnia di cui ho visto alcune esibizioni e
sono tra i più preparati tecnicamente a livello
mondiale, tant'è vero che hanno battuto in sfide
sull'abilità di colpire un bersaglio, volo in quota
ecc... anche gli americani e perfino gli isdraeliani. Il
presidente della repubblica ha detto "buon viaggio,
buon lavoro, fatevi onore"
GGGNNNACCC, la
sfiga fino in fondo. Scusate, forse qualcuno di voi
dirà che sono cattivo, ma io temo che QUELLO LI",
non bisogna neanche nominarlo... MENAGRAMO!!!
Ha detto siamo adulti ... POMPETA! Che quello
parte ... "il carrello!!! Porco cane!"... e in volo subito
turbolenza atmosferica... ci sono mille e cinquecento
02/10/2012
480
aerei fra inglesi e americani che vo tranquilli NO! c'è
una nube schifosa
con scritto PRESIDENT! Le
"vacche" si chiamano, questi aerei che contengono
benzina in quantità e che tranquillamente con una
pompa che va a finire nel serbatoio dell'aereo...
l'aereo va, ritorna indietro, gli danno ancora un pò
di benzina... OH! la prima volta nella storia che si
spacca tutto TUM BOOORLOCHE, uno solo che
prende e poi non torna OHHH! Io non dico più
niente, ma non lo nomino più! E imparate a farlo
anche voi!
02/10/2012
481
Stagione Teatrale 1990/91
Dario Fo in MISTERO BUFFO
Questa sera il Mistero Buffo viene recitato anche a
Londra in lingua arcaica del Galles, a Barcellona da
da
un
attore
dei
Comediants
in
catalano,
naturalmente, nella prigione di Norfolk, in lingua
scozzese, da un condannato a 20 anni, a Bolzano da
un attore svizzero di Berna, in Jugoslavia, a
Zagabria in croato, negli Stati Uniti da un famoso
fabulatore nero, in Argentina da Carlos Jampos, in
Bolivia da un attore indio, in Israele sia da un attore
palestinese
che
da
un
israelita...e
potremmo
continuare per qualche pagina con l'elenco, ma non
vogliamo strafare...e non c'è neanche bisogno di
commento.
02/10/2012
482
"Mistero" è il termine usato già nel II° e III° secolo
dopo Cristo per indicare uno spettacolo, una
rappresentazione sacra. Ancora oggi, durante la
Messa, sentiamo il sacerdote che declama: "Nel
primo mistero glorioso...nel secondo mistero..." e via
dicendo.
Mistero vuol dire, dunque: rappresentazione sacra.
Mistero buffo vuol dire: spettacolo grottesco.
Chi ha inventato il mistero buffo è stato il popolo.
Fin dai primi secoli dopo Cristo il popolo si
divertiva, e non era solo un divertimento, a muovere,
a giocare, come si diceva, spettacoli in forma ironicogrottesca, proprio perchè il teatro , specie il teatro
grottesco,
è
sempre
stato
il
mezzo
primo
d'espressione popolare, di comunicazione, ma anche
di provocazione e di agitazione delle idee.
I giullari recitavano nei mercati, nei protiri delle
chiese, nei cortili e, qualche volta, addirittura dentro
le chiese.
02/10/2012
483
I giullari, e più tardi i comici dell'arte, sono gli
inventori e i perfezionatori del grammelot, termine
di origine francese, coniato dai buffoni-clowngiullari.
I comici dell'arte lo usavano a piene mani, perchè
costretti sia dalla situazione di viaggiatori in mezzo a
lingue
diverse,
sia
dalle
leggi
censorie
che
imponevano loro di non recitare in lingua: al
massimo mimare e articolare suoni senza senso
compiuto.
Grammelot
sta
a
significare,
appunto,
gioco
onomatopeico che è in grado di trasmettere, con
l'apporto di gesti, ritmi e sonorità particolari, un
intero discorso compiuto.
Dalla tradizione dei comici dell'arte sono giunte a
noi storie di esibizioni di grandi interpreti del
grammelot.
I brani più famosi sono: "La fame dello Zanni,
"Arlecchino che beve la pozione magica" (entrambi
02/10/2012
484
in grammelot bergamasco), "La lezione di Scapino"
(detta
anche
di
Moliere),
evidentemente
in
grammelot francese.
Esiste anche un "Grammelot dell'Avvocato inglese",
caricatura con sproloquio di tipo anglosassonemagniloquente, eseguita dai comici del XVII° secolo.
02/10/2012
485
MILANO 20.01.91
DISCORSO DEL GRANDE TECNOCRATE IN
GRAMELO' AMERICANO- E’ STAMPATO.
Io e Franca avéamo pensato di realizzare il solito
schema di "mistero buffo" riguardo il gramelò: "la
fame dello Zanni", poi quello francese legato a
scapino e a Molière e poi quello dell'avvocato inglese
che difende lo stupratore. Sono tre forme diverse ma
legate allo stesso spirito, cioè d'ironia e di satira e
soprattutto legate al potere, la spocchia di ogni
potere quando esprime violenza. Ecco si trattava di
realizzare questi due brani di cui il primo, quello
francese, vede Scapino che insegna la tecnica di
gestire il potere al giovane signore che è rimasto
orfano ed è un banchiere. Scapino comincia con la
descrizione della parrucca , delle vesti, del mantello e
dell'incedere, del camminare, con un passaggio
riguardo trine e i merletti che portavano i signori,
cossì ampi e cossì sparsi per tutto il corpo, per cui
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avéano trine che uscivano ecc... per cui quando
andavano a fare pipì non riuscivano poi ad usare
l'estrazione... del mezzo adatto, uscivano soltanto
merletti, se la facevano addosso ma con grande
dignità...
per
cui
esisteva
questa
stupenda
camminata, nata proprio allora, dell'aristocratico. Il
linguaggio era il gramelò francese, di cui esistevano
soltanto tre termini: parucche,manteau, e, dentelle,
tutti gli altri erano termini inventati ed era molto
bèllo vedere che in Francia pensavano che fosse un
particolare linguaggio del cinquecento che era
sfuggito alla loro memoria e alla loro conoscenza.
Poi c'era quello in inglese. Ma Franca mi ha
suggerito di riprendere un tema legato a vent'anni
fa, cioè alla guerra del Vietnam e ci fu un importante
personaggio di origine tedesca che avéa studiato i
primi razzi a lunga gittata, i quali poi saranno
inseriti in macchinamenti incredibili, che in un suo
discorso all'università avéa dichiarato che lì stata
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l'avvenire anche spirituale degli uomini, che gli
uomini avrebbero cambiato il modo di essere, di
esistere, la loro morale si sarebbe trasformata in
conseguenza
dell'alta
tecnologia,
cioè
l'uomo
diventava soggetto alla propria macchina, alla
propria invenzione, alla robotica ecc... Questo stava
ad indicare che il Vietnam sarebbe stato schiacciato
inesorabilmente da questi armamenti, che avrebbero
determinato una velocizzazione dei conflitti, cioè la
guerra come partiva era già finita grazie a questa
straordinaria importanza, cosa che non è stata cossì.
Io ho pensato di riprendere lo stesso tema che è di
un'attualità incredibile. C'è questo grande tecnico, e
voi dovete sforzarvi di immaginare di essere a vostra
volta della gente a conoscenza delle terminologie,
immaginate di essere la platea di quella volta che
ascolta questo discorso forbito ricco di questi termini
particolari. Questo simpatico tecnico descrive la
tecnologia
della
robotica,
dei
computer,
lo
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svolgimento del cervello meccanico ecc... poi va a
semplificare la nascita dei grandi macchinamenti di
guerra, partendo addirittura dai primordi, da
quando l'uomo ha cominciato a capire che doveva
fare qualche cosa per volare, gli incidenti, poi arriva
il motore a scoppio degli aerei, lì veramente è il colpo
di fulmine, lo scatto, fino agli aerei con razzi e
macchinamenti
straordinari,
completamente
robotizzati e diretti al di fuori del pilota, il pilota è
soltanto un supporto allo svolgimento di un'azione
con tutto quello che consegue. Io uso il gramelò, cioè
fingo di parlare inglese, meglio un americano colto
da tecnocrate, tecnologico e voi capirete tutto di
questo discorso, a meno che non ci sia qualcuno che
conosce molto bene l'inglese, l'americano e la
tecnologia. Questo è pericoloso perché cercherà di
intendere e di seguire parola per parola quello che
vado dicendo e si perderà nel nulla, invece coloro che
non conoscono assolutamente l'inglese, se seguiranno
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la propria fantasia, immaginazione e intuito,
capiranno tutto e spiegheranno quello che io dico a
quelli che conoscono l'inglese. Questa sera è il
trionfo dell'ignoranza.
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PRESENTAZIONE DEL TECNOCRATE 1976-E’
STAMPATO.
Come si usa... è stato usato l'antico, si può usare il
grammelot nel teatro legato alla qualità. Anzi
parlare delle cose più vicine a noi anche in senso
drammatico...
parlare
di
guerre,
parlare
di
macchine, parlare di rumori che ci sono addosso, che
ormai abbiamo nella testa, nella memoria e che sono
linguaggio,
sono
parola
anche
quello...
sono
grammelot. Io mi ricordo... sono stato una volta ad
una lezione di fisica superiore e ho sentito per tutto il
pezzo parlare in grammelot... Ecco il personaggio
che mi porta al grammelot attuale: è un fisico
matematico, uno scienziato, un grande tecnico
veramente di classe internazionale di origine tedesca
però vive da molti anni in America e qualcuno lo
chiama Braum. E' un soprannome, non ciarli, è un
altro questo grandissimo tecnico scienziato... tiene
una lezione, un corso per altri scienziati e dimostra
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come le macchine, l'evoluzione dal primordiale che
ha intuito, capito, sviluppato, sono arrivati armai al
punto tale da essere il centro della terra, sono il
cervello, la macchina, la vera potenza, la mano che
tiene il mondo. C'era un certo Kissinger, un
imitazione di Sordi lo sapete benissimo... Questo
Kissinger ha detto una frase abbastanza robuante "
i nostri mezzi, la nostra tecnica... il livello che
abbiamo raggiunto... voi vedrete... domineremo il
mondo". La moglie dice basta... ma lui era
convinto... e l'altro, il pensionato Nixson e il
prossimo pensionato Ford, anche quelli, tutti e due,
erano lì vicini e Nixon ha detto "APPLAUDI!2 e
Ford... (batte le mani). E non so se avete visto
l'espressione vera di Ford, quello che scende dagli
aerei... che arriva l'aereo... subito
FERMA
FERMA... ché non è quella la scala e lo tengono
indietro e poi quando c'è la scala...c'è la scala... si
può andare TUM TUM TUM
BUTUM BUTUM
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BUTUM AH AH AH. E qui a Roma quando arrivò,
l'interprete
dice
il
presidente...
era
lì
...
il
presidente... e lui ha dato la mano all'interprete...
"piacere!" "no! E' quello!" e si è nascosto dietro la
signora Leone... mi perdo sempre... faremo un pezzo
in meno questa sera...no, no, sul biglietto ci sono
tutti... uno cancella ogni pezzo che faccio dice
"quello l'ha fatto??" "va beh! Adesso vediamo,
vediamo un pò se li fa tutti! Perché tutti li voglio
stassera, sono qua... contratto"...è che io non mi
ricordo più dove eravamo... Ma si! Eravamo
all'arrivo di Ford, no Kissinger c'era un'altro, un
tale... un maoista di quelli tremendi, proprio fissati,
un certo Tel Tunc, il quale invece diceva " è vero noi
abbiamo meno tecniche, abbiamo meno mezzi, siamo
indietro di anni
di ricerche, abbiamo commesso
diversi errori, siamo degli arretrati, siamo al periodo
della pietra rispetto a voi in quanto a scienza tecnica
ecc... ma noi abbiamo un grosso vantaggio che in
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ogni nostro lavoro mettiamo sempre L'UOMO AL
PRIMO POSTO!" Ecco ... Oh Dio! Basterebbe
l'esempio del Vietnam, una frase di questo genere
Ocimin poteva averla detta lui tranquillamente ... e
l'ha dimostrata soprattutto... e si sa tutto quello che
è successo nel Vietnam con tutta la grande tecnica, le
invenzioni, le infamità, l'aver bruciato terre che
ancora oggi non danno raccolto e non lo daranno
per
anni,
addirittura
qualcuno
svuotate
dice
del
per
secoli!!
loro
Acque
elemento
fondamentale... sono acque morte!! Anche qui per
secoli hanno defogliato, hanno bruciato, hanno
inventato macchine incredibili... suoni che facevano
impazzire il gas TUTTO HANNO ADOPERATO!
Poi alla fine la valigia! Non so se avete notato, ma
questo gesto la fanno già anche qua EH EH! Avete
visto con Umberto che dice " Ma dove andate, ma
no!Rimanete... state qua, la Iuventus vince... neanche
la Iuventus non vince più, gli va tutto male...
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Allora il grammelot del tecnico americano che spiega
come si arriverà a guadagnare tutto... e alla fine il
risvolto... lo capirete benissimo! Noterete la grande
differenza tra l'inglese del 500 e questo americano.Io
so che voi che siete sottili avrete molto piacere. Ah
come capisco!
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PRATO 25. 5 91 SITUAZIONE DI GOVERNO-E’
STAMPATO
Lo spettacolo è Mistero Buffo un genere di
rappresentazione che viene dal medioevo, "mistero"
significa rappresentazione, sacra in particolare e
"buffo" significa grottesco, è chiaro da sé solo.
Prima di entrare in merito al Mistero Buffo vero e
proprio io, come facevano del resto i giullari che lo
rappresentavano, prendo il pretesto per parlare
della situazione che viviamo, anche per introdurlo su
un livello non distaccato nel tempo ma che sia
attuale, legato ai nostri tempi. Una delle osservazioni
che devo fare subito è una delle più bèlle battute che
ho sentito nei tempi, credo che è da eleggere la più
importante in questo secolo quasi... a proposito della
situazione del governo. Avete visto che questo
governo è stato una delle più grosse beffe mai viste, e
l'unica situazione di ricambio, invece delle riforme,
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hanno
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cambiato
l'assetto
strutturale,
cioè
i
repubblicani sono stati messi da parte e da chiunque
partito è diventato quadrupede come ha detto
qualcuno. Ora questo governo nato con questo
scarto
ha
determinato
una
frase
veramente
straordinaria da parte del responsabile del partito
repubblicano La Malfa, il quale ha già un padre La
Malfa... UGO! Questo La Malfa ha dimostrato di
essere l'uomo più candido che esista in Europa
perchè ad un certo punto ha dichiarato "CREDEVO
CHE ANDREOTTI FOSSE UN UOMO ONESTO!"
Uno che vive da quando è nato vicino a questo
governo e che non si rende conto... insomma è
veramente DA FUCILARE!! QUA AL MURO! "Lei
ricorda suo padre che era già con Andreotti... anche
il nonno era già con Andreotti... ancora con il
governo di Giolitti c'era Andreotti che portava la
cartellina... già un pò curvo, cominciava già allora ,
con le palette di direzione.
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B O N I F A C I O VIII
MANCA
LA
D A T A- E’ STAMPATO.
NO
Andiamo a Bonifacio VIII. Bonifacio VIII era un
figlio di buona donna che non finiva più, ne avéa
fatte di tutti i colori, avéa rubato, massacrato,
bruciato, raso al suolo città, organizzato spedizioni
punitive, torture, tutto avéa fatto! Avéa perfino
rapito il seggio pontificio, l'avéa fregato ad un
altro... sapete Celestino, anima dolce era sceso dal
convento "Vieni a fare il papa" "No, grazie" "Ma si,
vieni"... e poi l'avéa terrorizzato, più o meno gli avéa
fatto "Cretino quando... ehm... CLOC" più o meno,
un pò in sintesi ma è cossì. Fece stragi, massacri,
distrusse città tipo Tortona e soprattutto organizzò
anche all'estero, era conosciuto anche all'estero. Il
movimento primo che conosciamo dei tessitori, dei
muratori insieme dei contadini, quelli delle Fiandre,
organizzato per combattere contro lo strapotere dei
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padroni del tempo. La nascita di una borghesia
mercantile
che
avéa
attraverso
le
proprie
corporazioni strozzato ogni possibilità di azione di
tutti quelli che facevano mestieri cossì detti minuti ,
un pò come la storia che precede quella dei ciombi,
quella dei senza braghe e quella del bruco, cioè tutte
le lotte italiane dei tessitori, e come vedremo poi, di
fra Dolcino. Questi tessitori si organizzarono con
tanta forza e soprattutto ragione, coscienza, che
riuscirono a stangare il più grosso esercito che fosse
stato messo in campo di quel periodo. Si trattava
addirittura dell'esercito de Speron d'Oro. Gli
Speron d'Oro erano tutti cavaglieri nobili, gente
nata per far la guerra, professionisti della guerra,
talmente ricci e importanti che ognuno si era messo
speroni d'oro massiccio... qualcuno va beh, era
d'argento dorato ma non stiamo a sottolineare.
Gente di guerra, nata per la guerra... presero una
legnata, un esercito completamente distrutto... da
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chi?? Dai tessitori operai d'accordo con contadini ,
gente che non era abituata a far la guerra. Ma le
trappole , l'ingegno, le invenzioni, la scaltrezza, le
trovate che ebbero, sono degne di un film comico.
Circa diecimila morti durante questa battaglia,
quasi tutti di parte padronale. Bonifacio VIII venne
a sapere la notizia nella notti di natale del 1200, avéa
sovvenzionato questo esercito... c'erano i borbunghi
dentro,
c'erano
i
re
di
Francia,
e
anche,
naturalmente, i nobili fiamminghi, c'erano gli
inglesi, i bretoni ecc.. ecc... Un esercito colossale!
Soldi ce n'erano dentro! Quando lo venne a sapere
ebbe un coccolone. La notte di natale arrivò
velocissimo qualcuno a cavallo. Era un nobile che si
era salvato dalla strage, arrivava dalle Fiandre, avéa
sfiancato tre o quattro cavalli, non dormiva da
giorni e giorni, arrivò a Roma, suonarono le trombe,
entrò impolverato, inriconoscibile, grondante di
sudore ed anche di sangue si buttò ai piedi di
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502
Bonifacio VIII che si era appena alzato... avéa un
camicione con un ventre pieno di cibo e di vino... era
a letto con sua moglie... era sposato civilmente, tutti
lo sanno... non si poteva sposare in chiesa. Questo
cavagliere si buttò ai piedi di Bonifacio e Bonifacio
appena ebbe la notizia, digrignò i denti, cercò di
bestemiare TOC... rimase bloccato, gli prese un
coccolone, come dite voi a Roma, e non si mosse più.
Una leggera bava gli scese dalla bocca, strabuzzò gli
occhi, lo presero, lo portarono via ingessato. Tutte le
domeniche da quel tempo a cinque anni prima del
giorno della sua morte, lo portavano alla mattina
della domenica e delle feste comandate al balcone
perché desse la benedizione ai fedeli... gli tiravano su
il braccio, c'era un tecnico venuto dall'estero e via...
vita piena di interesse per cinque anni. Però prima di
arrivare a quella condizione avéa raso al suolo
Cortona, cose che non studiamo a scuola. E la cosa
che mi ha meravigliato quando sono andato a
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leggere questa storia dell'assedio di Cortona messo
in
piedi
dal
papa...
progressista,
non
dico
rivoluzionario, di questa popolazione che voleva
dignità, voleva diritti, voleva gestirsi in proprio...
sugli
spalti
chi
trovo?
Jacopone
da
Todi..................................................................................
..
Un'altro grosso ribèlle, addirittura rivoluzionario,
anche se grottesco del nord, era Ségarello da Parma.
Ségalello o Ségarello, come volete, il suo vero nome
di famiglia era Ségalello da Parma, ma siccome
all'inizio della sua carriera di predicatore avéa una
verve incredibile, avéa un chiodo fisso... era molto
giovane, poi cambiò e capì come stavano veramente
le cose, ma un chiodo fisso... nei suoi discorsi ogni
tanto incominciava a dire "Guai a voi cristiani che
pensate al sesso e alla fornicazione e nei vostri
pensieri e nei vostri sogni ci sono sempre gli
amplessi, uomini e donne che siete uno contro l'altro
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abbracciati, carne nella carne... CHE E' PECCATO!
Voi nell'inferno soffrirete..." Oh la miseria! Al che il
popolo l'ha chiamato SÉGARELLO da Parma. Da
Ségalello... Ségarello. Lui accettò il gioco, era
diventato
uno
straordinario
giullare,
un
provocatore, per far prendere coscienza alla gente
andava, per esempio, in mezzo ai contadini e
incominciava "Ehi contadino, è bèlla la vita , il sole,
miracolo, tu sei la mano di Dio, per Dio, senza di te
saremmo tutti morti, affamati, a strascicare, a
mangiare radici, e tu ci dai da mangiare, il sole. A
proposito del sole, stai attento che sta venendo giù in
verticale che ti spacca la testa, vai sotto la pianta e
riposati un pò che già hai lavorato, è dall'alba che
lavori, per Dio, guarda che bèllezza, hai arato,
seminato, concimato, hai potato, c'è da mangiare per
te, per la tua famiglia... e anche per me, quando ti
vengo a trovare, grazie.... Eh?? Non m'invita, non
m'invita? Come? Devi lavorare ancora??? Perché,
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per chi?? Altra terra devi arare... ma... per il
padrone??? Questa è bèlla! Padrone di chi... della
terra... ah! c'è un padrone della terra! La terra è di
un padrone, bèlla questa! Non l'avevo mai sentita. Io
avevo letto la bibbia e non ho mai trovato che una
volta il padreterno abbia consegnato un pezzo di
terra a Tizio piuttosto che a Caio... COGLIONE,
T'HAN FREGATO!! Il padrone è un furbastro di
sette cotte, è arrivato prima di te lì, ha messo un
paletto qua, un paletto là... da qui a là è mio, anche
da qui a là è mio, anche lassù fino al fiume ed anche
dopo il fiume è mio. DIO ME L'HA DATO E GUAI
A CHI ME LO TOCCA! Dio si! Guarda qua il
contratto, me lo ha firmato lui... come no... sai
leggere tu? NO??? Allora cosa parli! COGLIONE
LA TERRA E' DI CHI LA LAVORA!!!". Pensate,
nel medioevo andare in giro a dire ai contadini "la
terra è di chi la lavora", è da deficienti... da pazzi
andare a dirlo ancora oggi ai contadini, pensate nel
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506
medioevo. E l'hanno beccato e l'hanno bruciato vivo
e con lui tutta la sua banda di predicatori detti
insaccati. Si vestivano soltanto con un sacco, gli
tagliavano gli angoli... qui per la testa OPLA!
Camiciola e via. Uno solo si salvò della banda... frà
Dolcino. Frà Dolcino non era per niente dolce e
gentile, se non altro nell'aspetto, era un gigante, una
montagna, un "armadio con la testa", diceva un
cronista di quel tempo, e fu la ragione, dice un'altro
cronista, che si salvò frà Dolcino, perché nessun
sbirro ebbe il coraggio di andare ad arrestarlo,
potete vederlo da voi: "FRA' DOLCINO SEI IN
ARRESTO!!" "EH???" "EHM, LA STRADA PER
MODENA SCUSI???". Frà Dolcino si salvò, andò
nel trentino, conobbe Margherita da Trento che
divenne la sua donna, una donna straordinaria,
intelligente, i cronisti di parte avversa dicono
addirittura che fosse la più bèlla donna che si fosse
vista in Italia in quel tempo, e con coraggio, con una
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testardaggine, soprattutto una perspicacia nelle
situazioni. Incredibile! Insieme andarono e con altri
cossì... sobillatori oggi diremo...provocatori, gente un
pò sbandata... andarono fino in Croazia. In Croazia
mossero la presa di coscienza di molta gente poi
vennero ancora in Lombardia esattamente a
Romagnano Sesia, vicino a Novara, vicino a Vercelli
anche che era la patria di frà Dolcino. In quella zona
c'era stato già qualche fermento. Quando arrivò frà
Dolcino ci fu addirittura una ribèllione, potremo
dire una rivoluzione senza sbagliare in eccesso. Tutti
i tessitori, rieccoli i tessitori, gli operai organizzati
insieme ai muratori, agli artigiani, ai contadini della
zona cacciàrono via i grassi borghesi che attraverso
le corporazioni cercavano di soffocare, sfruttare fino
in fondo questa gente che lavorava con le braccia,
fatto stà che organizzarono la prima comunità che si
conosce nella storia. Si chiamavano tutti fra di loro
Comunitari. E' la prima volta che troviamo la
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credenza per intiero. La credenza è quell'armadio
che abbiamo in cucina tutti quanti, in tutti i paesi
d'Italia, perfino all'estero, in Francia per esempio, in
Spagna si chiama credenza o con altri termini, ma
hanno sempre le stesse radici. La credenza, che viene
da credere, credere in... credenza nella comunità di
S. Ambrogio, ecco una delle prime organizzazioni
comunitarie. Questi comunitari tenevano come fisso
per tutti quanti questo enorme, ideale armadio nel
quale si metteva tutto il mangiare, tutto il raccolto,
tutto quello che si era prodotto e tutto veniva
distribuito,
attenti,
questo
è
il
particolare
importante, non secondo di quello che uno avéa dato
ma a secondo di quello che uno avéa bisogno. Se uno
avéa dato per dieci persone e avéa bisogno per se
solo, riceveva per se solo. Ancora una cos a
importante è il rapporto fra l'uomo e la donna nella
comunità di frà Dolcino. Le donne e gli uomini si
trovavano per la prima volta alla pari. La donna ha
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gli stessi diritti e doveri degli uomini. Badate bene in
un tempo in cui come si pensa ancora adesso, non è
ancora stata cancellata questa forma... sapete bene
che i dotti della chiesa, i santi padri della chiesa
avéano decretato che l'anima nelle femmine entra
quasi tre mesi dopo l'entrata dell'anima nel maschio.
Sto dicendo quando è feto nel ventre della madre,
arriva l'anima... è maschio, è maschio PLUF... arriva
l'anima... dice è femmina, io non ci vado ah no... e
determina che dobbiamo amare le nostre donne con
dignità. Amiamole come uomini! Amiamole come
esseri umani, non come femmine.Ora un simile
modo di vivere avéa fatto interessare moltissimi
contadini, servi della gleba, operai e via dicendo, che
arrivarono proprio a fronte di quella zona e i
padroni incominciavano a preoccuparsi, vedevano i
contadini e gli operai sgusciar loro di mano, non
potevano più sfruttarli, li rincorrevano, andavano a
prenderli e organizzavano delle spedizioni punitive.
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510
La più grossa fu quella organizzata dal conte del
Monferrato il quale riuscì a beccare un centinaio di
comunitardi vicino a Prato Sesia, li portò a Novara
dove c'era la Roccaforte
reggente
di
questa
appunto del conte e il
roccaforte
appunto
l'arcivescovo di Novara, suo cugino, che
era
diede
ordine di prendere tutti questi comunitardi e far
tagliare loro mani e piedi, mozzarli e poi sconciarci a
quella maniera, ridotti a tronconi furono messi sul
dorso di muli, cavalli e asini e mandati, legati come
salami alla volta di Romagnano Sesia. Quando i
fratelli di questi sconciati videro questo orrore, non
bestemiarono, non insultarono, partirono in silenzio
ma con una rabbia tremenda, dice una canzone di
quel tempo che le montagne, i fiumi, le pietre e gli
alberi si mossero insieme, con tal slancio arrivarono
a Novara, entrarono al primo slancio, beccarono
tutti gli sbirri, li ammazzarono e un cronista del
tempo racconta che al tramonto si vide il vescovo di
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Novara con il suo grande mantello, la cappa, il
cappello, il pastorale, il grande libro d'oro, salire
pian piano verso il cielo, controluce, lentamente e
qualcuno notò che c'era una corda che lo aiutava...
la repressione fu tremenda, ci fu un massacro, ma il
massacro fu all'inizio proprio per gli imperiali, per
gli uomini del papa ecc... perché le trappole che
organizzarono un'altra volta i dolciniani furono
qualche cosa di sorprendente. Per due anni ne
presero di santa ragione, poi incominciàrono a
capire la lezione, a organizzare e a girare, fatto stà
che dopo tre anni furono beccati proprio sul monte
Rubèllo, monte dei ribèlli, si chiama ancora oggi
cossì, e messi in piazza e squartati vivi, tanto
Margherita da Trento che frà Dolcino e tutti gli
altri. Ora ci riempie il cuore, ci sentiamo fremere e
devo dire che da un pò di tempo siamo bravissimi ad
applaudire e commuoverci davanti alle storie che
appartengono al passato, "i nostri padri si sono
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sacrificati ma per Dio NE VALEVA LA PENA!!"
Bravi! Bravi! E applaudiamo. Poi per quanto
riguarda noi ci sono dei livelli per cui bisogna stare
attenti. Va mediato. La posizione storica non è
un'attualità concorde con quello che sono i risultati
internazionali. Quello che io vi ho raccontato
naturalmente sui libri di testo di scuola non c'è
niente, e io ho raccontato molto veloce ma è logico,
mica son fessi i professori, i ministri ecc..., andare a
raccontare nei libri di testo... Frà Dolcino era già un
uomo straordinario, il primo rivoluzionario che lega
le lotte di classe alla religione cristiana primitiva... la
prima forma di comunismo ecc... VIVA FRA'
DOLCINO, gridano subito i ragazzini eccitati
ABBASSO IL PAPA! Ed è pericoloso perché è
offensivo per un papa come quello che abbiamo
oggi... scherziamo... no, no, non sto scherzando
perché dico, oh, quello era uno zozzone ma il nostro
è delicato e soprattutto devo dire spiritoso... Eh?
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No??... Il fatto della bicicletta voi non l'avete
seguito? Merk, il corridore fiammingo, dopo tante
vittorie è arrivato... la cosa più cara che avéa...è
arrivato su coi calzoncini... e davanti al papa ha
detto "Padre accetti la cosa più bèlla che ho" e lui
non ha detto "no, grazie non pedalo"... un altro
papa... "no, l'accetti" "Non pedalo!"... "GRAZIE,
BÈLLA!", spiritosissimo, però per me lui è stato
ingenuo perché è un candido, perché Merk è
fiammingo... vuoi vedere che c'è sotto tutta una cosa
atavica di odio verso i pontefici per via che suo
nonno, bisnonno era tessitore anche lui ... e allora se
io gliela... infatti guardate bene la bicicletta, adesso
non è una malignità a vuoto, la bicicletta ... è forse
una bicicletta di strada quella che gli ha regalato?
NO! E' una bicicletta da pista... sono senza freni... la
malignità... quello va a Castel Gandolfo, poi viene
su... troppo! Ma capite ancora prima che ve l'ho
scritto! Lasciatemi almeno la soddisfazione di dire
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qualchecosa!... E vede tutto il nastro della strada che
va giù "oh che bèllo... io quasi quasi ci vado... ", di
nascosto perché non vogliono che lui vada fuori in
bicicletta... i preti... "guai se ti vedo eh?" e lui fuori
OPPLA!... La mitria con la visiera... con sotto scritto
FIAT... adesso sappiamo che corre per la Fiat, c'ha
un bèl ingaggio anche... per tutte le lezioni...
insomma... e via. Insomma fate voi a vostra fantasia,
io non metto piede, però la cosa veramente ... e qui
non scherziamo... l'altra commovente è stato il gesto
generoso, veramente di grande calore, quando è
sceso tre anni fa dentro la galleria , il tunnel che
avéano fatto per l'autostrada del Sasso, sasso d'Italia
, no... Gran Sasso d'Italia, che hanno bucato...
voraggine dentro... che non si sa dove siano finiti... il
ministro dice "adesso vengono, vengono fuori... son
qua TUM TUM... dove siete? Dove siete?" Chissà
dove sono andati a finire... ebbene lui è sceso... notte
di Natale, a dire la messa per i suoi operai, lì in
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questo antro... una cosa incredibile! Perché se uno
non crede al diavolo ci va... col suo lanternino... oh,
ma quello si è messo il caschetto da minatore bianco
e giallo, due chiavi qua... perché lui al diavolo ci
crede! E pensa il coraggio che ha avuto ad andare in
casa del diavolo, col diavolo là in fondo con la coda,
coda lunghissima... Ha avuto il coraggio di andare a
dire la messa per i suoi operai... per i suoi operai...
perché l'impresa che ha fatto il tunnel, la galleria, è
del vaticano... non tutta!... L'85% delle azioni!
L'85% delle azioni sono loro... le cosiddette buone
azioni da chiesa! La voglia che ho, non ne avete idea,
di vedere, essere spettatore a mia volta, perché poi
quando immancabilmente, ma tutte le sere, non si
sballa, quando comincio a parlare del papa, io vede...
c'è sempre qualcuno che... proprio lì si vede perché
mentre... non è proprio il caso! La trovo anche una
questione di buon gusto... c'è vicino la moglie che
sbaga AH AH... almeno tu... almeno tu. Ecco allora
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dicevo che non c'è niente da fare, non si può
pretendere che i padroni scrivano la storia cossì
come dovrebbero, con un minimo di civiltà
insomma... un minimo... il 30% di verità toh! Ma
neanche per idea... mica son fessi AH AH! D'altra
parte non c'è niente da fare, lo diceva anche quel Tse
Tung di prima, diceva... "il popolo è lui che fa la
storia... da secoli, con la sua invenzione, le
sofferenze, la rabbia, il problema di sopravvivere",
inventa la storia... ma poi sono i padroni che ce la
raccontano! E io lo immagino sempre un ... un
pazzo... un giovane... lo sogno un giovane, un
ragazzo che si mette di notte con un bèl secchione di
vernice a suo piacimento, si metta a scrivere sulla
facciata dell'università DA SEMPRE IL POPOLO
FA LA STORIA MA POI SONO I PADRONI CHE
CE LA RACCONTANO! Grande AH AH! E arriva
una mattina il ministro dell'educazione... Malfatti...
nome onomatopeico, notate bene... uno non può
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sbagliare... ministro dell'educazione MALFATTI...
AH AH... arriva... la borsa col portafoglio... e mica la
lascia in macchina... con l'ambiente di ladri in cui
vivono! E brutto fare il ministro della DC... non si
può più dire NO! NON SONO UN LADRO! Quando
gli dicono LADRO... embè AH AH AH... e facciamo i
compromessi con quelli lì! Malfatti arriva, quando
vede lì... TUM, e lo portano via... no anzi non va via
da solo, arrivano dei giovani di comunioneliberazione ALE' OP OP OP... Dovete permettermi
una malignità... UNA... non ne ho dette... no! sono
tutte cose vere quelle che ho detto, sacrosante!...
Questa invece è una malignità... proprio una
cattiveria cossì, ma fra compagni... tanto per
raccontarla... no prego... siccome prima ho salutato
dei compagni del PCI, non se la prendano, è una...
cossì anche per far buon sangue eh! Non te la prendi,
no? E' quello che ha detto basta? E' il più spiritoso
di tutti. E' proprio quello che noi chiamiamo
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l'aperto... va beh, dicevo... no... simpatico... poi te la
racconto! Vedrai che ti faranno!... Allora, dicevo che
arrivano
TUM TUM
i
giovani
comunione
e
liberazione e di dietro c'è uno, un altro giovane che
non ha ben inteso le nuove direttive dei superiori...
un giovane della FGC, anch'io!... uno solo eh? In
questo gioco la preoccupazione del tenere in piedi,
salvare, andare a lezione ma non troppo, sbragare
ma per carità che la DC non frani dappertutto
perché se no porco cane è un disastro qui come
mettiamo il problema della... una preoccupazione
enorme soprattutto dei dirigenti.
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presentazione non usata.
BONIFACIO VIII
Bonifacio era papa al tempo di Dante, che lo
conosceva bene.
Lo odiava al punto che lo mise all'inferno prima
ancora che fosse morto.
Un altro che lo odiava, ma in maniera un po'
diversa, era il frate francescano Jacopone da Todi,
pauperista evangelico, un estremista, diremmo oggi.
Era legato al movimento dei contadini poveri,
soprattutto nella sua zona, al punto che, in spregio
alle leggi imposte da Bonifacio VIII, che era una
bèlla razza di rapinatore, avéa gridato in un suo
canto: "Ahi, Bonifax, che come putta ai traito la
Ecclesia!" (Ahi Bonifacio, che hai ridotto la Chiesa
come una puttana!)
Bonifacio se la legò al dito e quando finalmente
riuscì a mettere le mani su Jacopone, che era tra
l'altro uno straordinario uomo di teatro, lo sbatté in
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galera, seduto, costretto a rimanere in quella
posizione, mani larghe e piedi legati, incatenato sulle
proprie feci. Si racconta che dopo cinque anni,
quando uscì grazie alla sopravvenuta morte del
papa, questo povero frate, ancora giovanissimo, non
riusciva più a camminare: era costretto a trascinarsi
in giro, piegato in due. Qunado un anno e mezzo
dopo morì, cercarono di stenderlo nella cassa da
morto, a ogni volta che lo stendevano...gniii! tornava
nella
posizione
originale.
Alla
fine,
stufi,
lo
seppellirono seduto.
Questa giullarata di Bonifacio VIII vede la chiave
del grottesco impostata sull'idea della vestizione del
Pontefice, che si fa aiutare dai chierici ad effettuare
l'addobbo a base di mantelli, mitrie, drappi ed anelli.
Alla fine ci sarà l'incontro con Gesù.
Classico anacronismo medievale, teso a sottolineare
l'immensa differenza tra i due.
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 MILANO 20.01.91- usato da Dario per nuova
stesura di maggio 1998.
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PRESENTAZIONE 1 9 7 6
MARIA ALLA CROCE- E’STAMPATO.
E passiamo al Mistero Buffo vero e proprio. Mistero
è il termine che si sente ancora oggi ripetere durante
la messa: nel primo mistero glorioso si contempla
ecc... nel secondo... E' una cosa seria! Non ridete di
queste cose... il destino! L'attore comico sempre!
Allora... si sente dire... nel primo mistero glorioso si
contempla ecc... e si ricontempla anche nel secondo
mistero
glorioso
ecc..
ecc...
Mistero
significa
rappresentazione sacra. La messa è un mistero...no,
no, no... è una rappresentazione... non volevo fare...
non riesco a dire delle cose serie! Ho provato una
volta ad Urbino quando sono stato incaricato di
tenere una lezione. Sono arrivato, ho cominciato a
parlare seriamente... AH AH AH CHE FACCIA! E
io serio... MA NO! GUARDATE CHE SONO COSE
SERIE!... AH AH AH E CI GIOCA ANCHE AH
AH AH... BASTA! Ho detto basta! La messa è un
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mistero, cioè la messa è uno spettacolo, una
rappresentazione tant'è vero che all'inizio del
cristianesimo non esisteva una forma di messa come
concepiamo
oggi,
come
siamo
abituati,
cioè
stereotipato, ormai fissato da dogmi, da regole. No,
si scrivevano come si scrivono gli spettacoli. C'è il
vescovo, quello di Costantinopoli, e non è quello dei
giochi di parole dei ragazzini, che ha scritto sette o
otto
cose
importantissime
della
messa
per
rappresentazioni sacre, cioè i misteri. Erano della
gente che amava l'ironia ma non per essere blasfemi,
per essere felici, per essere intelligenti, perché un
gioco di umorismo è fatto di intelligenza. Qualcuno
notava che normalmente la grande differenza che c'è
tra gli uomini e gli animali è che gli animali... ridono
poco. Ed è giusto! Ecco, ad esempio se vi raccontassi
la chiave di una di queste messe potete ritrovarli. Il
testo, edito da Bompiani e curato da Contini, è
l'incontro della madonna con l'angelo Gabriele, non
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certo dentro le colonnine come siamo abituati. Lei
ferma che aspetta... no... al pozzo. Al pozzo com'è
nella tradizione popolare, tutte le donne vanno al
pozzo. I ragazzi vanno a corteggiare le ragazze al
pozzo... arriva il ragazzo giovane, bèllo, coi capelli...
l'arcangelo Gabriele... in borghese... voglio dire che
non ha le ali! Non ha le ali perché, capite uno che va
al pozzo con le ali dice che... non può... ad ogni modo
arriva senza ali, per non dare nell'occhio appunto.
Però c'è stato un gioco prima: il diavolo, il demonio
ha cercato di buttare all'aria questo momento, cioè
intralciare l'incontro. Ha messo davanti un'altro
diavolo, ne ha trovato uno un pò cossì... un cialtrone.
Lo fanno travestire da donna e questo diavolo danna
con dei seni che tiene su con fatica, con la coda
lunghissima avvolta intorno al ventre... ma appena si
emoziona la coda si muove, lo agita tutto... va dalla
madonna per raccontare che lei, una donna anziana
è madre di un giovane... di un certo Gabriele che ieri
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all'osteria ha scommesso con altri giovani che
porterà a letto la madonna... ha scommesso... e
allora "guardi io vengo a dirglielo perché questo
figlio sta facendo una cosa che mi... INFAME!"
Quando arriva l'angelo che comincia a parlare del
più e del meno... perché non è che arriva subito e
TUM si mette in ginocchio... cerca di introdurre il
discorso...La madonna, Maria è preavvertita, ha
capito, intuito qualche cosa, fatto stà che ad un certo
punto tira fuori uno zoccolo e lo lancia in piena testa
al diavolo. Da questo momento l'angelo capisce che
quello è il diavolo... anche perché gli si è tolta tutta la
coda. Tira fuori la spada... va in giro armato, notate
bene... l'angelo ZAC crudelmente taglia la coda al
povero diavolo. La coda se ne va via da sola come
quella di una lucertola. Il diavolo corre dietro alla
sua coda piangendo disperato. Ebbene, a parte il
fatto della crudeltà, della cattiveria dell'angelo,
perché gli angeli, gli arcangeli, soprattutto son delle
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carogne... Oh, basta ricordarsi la cacciata dal
paradiso... dico perché col coso di fuoco... "Via via
andate!"... mentre la povera Eva davanti, sospinta
dall'Adamo "Te e le tue mele, poco cane!"... e ad un
certo punto loro si soffermano per litigare e, lo
sapete, lui con la spada di fuoco ZUM ZUM, due
tagli, QUA, che prima noi avéamo tutto tondo e
adesso
ci
abbiamo...
la
vergogna
qui,
LA
VERGOGNA! Si chiamava, lo sapete, il gluteo... il
gluteo, che uno avéa anche orgoglio... guardi che bèl
gluteo... beh, il tondo è puro, è purezza il tondo...
no!... quello spacca in mezzo... Ad ogni modo, a
parte il gioco, questo è per dirvi la chiave,
l'umorismo, la satira, il grottesco, la felicità nella
rappresentazione sacra, ed anche se era dramma,
non era mai lagnoso, non era mai piagnisteo, non era
mai disperazione... era soprattutto denuncia, era
attacco, aggressione, soprattutto potere.
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Questo pezzo che adesso reciterà Franca è la storia
della passione. Una passione del 1170 circa. E' stata
trovata a Montecassino nel 1928, un prete gesuita
spagnolo
l'ha
ritrovata.
Era
in
latino
completamente, con qualche frase in dialetto di
Benevento.
Noi
l'abbiamo
presa,
tradotta
e
approffittando del ritrovamento di un'altro analogo
con dei grossi buchi, abbiamo ricomposto tutto. La
prima cosa che noterete è che sulla scena non ci sono
uomini, sono tutte donne, tutte donne che si
preoccupano, urlando di fermare la madonna che
sta arrivando. La madonna sta arrivando sul
sentiero, ha saputo che hanno messo in croce il figlio,
arriva su correndo ed ecco che subito le donne
dicono di fermarla "Andate a fermarla, non si può
fermare, ha una forza che" "datemi un sasso che
glielo tiro in testa" dice ad un certo punto " per
tramortirla, non può vedere il figlio cossì inchiodata
che sembra una radice di ulivo in primavera,
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inchiodata, con le ossa inchiodate, il sangue che gli
cola dappertutto". Una descrizione di una violenza
incredibile, ma la madonna arriva lo stesso... e c'è un
gran silenzio, ed ecco che subito tutte le donne
intorno gridano "sentite, il silenzio è un fracasso
immenso, ti spacca le orecchie". Poi finalmente ecco
che c'è la madonna che parla con un filo di voce,
chiede una scala per salire in cima e staccare il figlio,
lo vuole portar via, lo vuole salvare, non vuole
lasciarlo morire sulla croce. Arriva un soldato e la fa
scendere con violenza, la madonna comincia ad
urlare contro tutti quelli che glielo hanno messo in
croce "che cosa avéa fatto questo mio figlio!". Ci
accorgiamo subito che quel figlio non è il figlio di
Dio, ma il figlio di un uomo, che è un contadino, un
operaio in croce, che lei è una donna che parla un
linguaggio che non è certo di una regina. Ad un certo
punto, quando parla della morte del figlio, e descrive
già la morte "morte dei capelli, della bocca, degli
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occhi", incomincia ad urlare contro Gabriele che è
venuto a fare il nunzio, a farle gonfiare il ventre e
farle nascere dentro quello che avrebbe dovuto
essere la sua gioia, la gloria, farla sentire la donna
capo di tutte le donne, beata e felice... e questa è la
grande beffa "ecco qua come sono ridotta, l'ultima
delle
donne,
spennacchiata,
offesa,
umiliata,
bastonata nel proprio dolore", e ancora tocca a lei,
donna, urlare nel dolore... è la sua condizione. Ad un
certo punto le danno una lancia perché buchi subito
il petto di questo suo figlio, farlo morire subito, non
tenerlo, come lei vorrebbe, con uno scialle, appeso
alla croce per respirare, tenerlo in vita più
lungamente "no!Ammazzalo subito!". Sviene e
sogna Gabriele e subito lo insulta, dice "vattene,
vattene via da questa terra, non è fatta per te. Nel
tuo paradiso", fra parentesi, è il suo mondo perché è
il cavagliere chiaro Gabriele, il cavagliere, il
principe, il nobile, "nel tuo mondo, nel tuo paradiso
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non ci sono lamenti né disperazioni, né fame, né
carestia. Ci si sporca tutte le ali dorate, gli occhi
luminosi diventano grigi, si sporcano anche loro, le
orecchie, i suoni non sei abituato a tutto quello che
c'è sulla terra. Il marcio, l'odore di corpi squarciati,
gl'impiccati, le donne violate, le madri scurite".
Madri scurite lo sentiamo dopo da Jacopone da
Todi. Ebbene tutta questa violenza e la cacciata
finale di questo angelo nel suo mondo... fuori da
questo che è quello degli uomini che bestemiano che
imprecano che sono soggiogati, sono perseguitati e
che devono soffrire per un peccato... e c'è perfino
l'ironia di questo peccato. Il discorso è di parte. E' la
prima volta che sentiamo e vediamo ribaltata la
madonna non come quella che è indicata a soffrire
con
contenizione,
quasi
con
rassegnazione,
l'accettazione di questo dolore che la glorifica e che
tutte le donne vorrebbero evitare NO! Il rifiuto
perché è il rifiuto di classe è la passione vista
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dall'altra classe e soprattutto dalla classe delle
donne.
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BOLOGNA 12.O4.91
IL PRIMO MIRACOLO DI GESU' BAMBINO-E’
STAMPATO.
Vi presenterò un brano che non recito da quattro
anni, e l'ultima volta che l'ho recitato è scoppiato
uno scandalo. Esattamente è successo in televisione,
vi ricordate ci sono stati i vescovi che si erano
risentiti e volevano cacciare il "molleggiato" dalla
televisione perché avéa esagerato a chiamarmi in
trasmissione. Si tratta del "primo miracolo di Gesù
bambino"... vedo che quasi nessuno lo conosce.
Credo che sia uno dei pezzi più effervescenti,
straordinari che si siano trovati, ed è un brano che è
legato ai vangeli apocrifi. I vangeli apocrifi, come
sapete, non sono vangeli proibiti, come qualcuno
erroneamente crede, bensì vangeli esclusi da quelli
definitivi.
All'inizio
c'era
una
cosa
come
duecentocinquanta vangeli, ogni zona, ogni gruppo
culturale a partire dall'Asia, Medio Oriente e via
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dicendo si formavano, legati alle proprie religioni dei
vangeli diversi, delle cose incredibili... Gesù Cristo
che andava in piedi sui cammelli, che sbranava i
leoni, che si metteva a nuotare sott'acqua, bruciava,
ritornava serpente... delle storie incredibili legate
appunto alle varie religioni. Poi si cercò di mettere
un pò d'ordine, di tirar via quelle oltre le righe che
non c'entravano niente e si contraddicevano... ci fu
un famoso concilio, quello di Nicea, in cui arrivarono
a BASTONARSI! Perché ogni gruppo non voleva
mollare il proprio vangelo... i vescovi si sono dati...
sapete quel torciglione, quel pastorale... PRIMA
ERA DRITTO COSI' a furia di darselo... si è tutto...
e quel cappello che hanno i vescovi... prima era
completo e in ricordo delle legnate si è spaccato in
due, si è aperto a metà... cossì pare, adesso non ve lo
posso dire di sicuro. Fatto stà che si è riusciti a
tirarne fuori una quarantina di vangeli, tant'è vero
che ci sono tutte le chiese del mille, millecento con
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sculture e bassorilievi legati ai vangeli apocrifi; se
andate a Palermo a Monreale ci sono immagini di
grandissima forza d'arte legati ai vangeli apocrifi.
Uno dei più bei vangeli apocrifi detto di Filippo, c'è
anche uno detto di Tommaso, che riprende la stessa
cosa. Io mi ricordo che quando ci fu questo scandalo
furono pubblicati degli stralci dei vari vangeli su
riviste, anche religiose, cossì che anch'io scoprii degli
altri vangeli apocrifi che non conoscevo. Questa è la
storia di Gesù bambino, che dopo la fuga... vanno
verso il nord, arrivano a transitare lungo il mare,
fino a Jaffa... la città dei pompelmi... io so già che voi
pensate alla J di Jaffa, pensate a Jesus, al miracolo
dei pompelmi, non è questo. Il primo miracolo di
Gesù bambino non è stato quello di mettere la J sui
pompelmi. Dunque arriva questa famiglia, in fuga
per il fatto di Erode, vi ricordate che voleva tagliare
un pò più di teste del necessario... arrivano in questa
città, sono degli sconosciuti, sono delle specie di
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Albanesi di transito...non trovano da dormire, sono
a disagio, lui soprattutto, San Giüsèppe, non trova
da lavorare, questo ragazzino sempre in mezzo alla
strada, sopratutto parlava palestinese stretto e in
quella zona parlavano un'altra lingua araba... non lo
capivano, lo sfottevano, non volevano giocare con
lui, lo cacciavano via, gli gridavano "Palestina" con
disprezzo. Questo bambino soffre umiliazioni... e per
farsi coraggio e soprattutto per farsi amare da questi
ragazzini, guardate cosa significa il senso del gioco,
decide di fare un miracolo, un piccolo miracolo che
gli riusciva sempre abbastanza bene... quello di
costruire con la terra creta degli uccellini e poi farli
volare... il successo è incredibile! Trasforma da
terracotta in veri degli uccellini stupendi, uccellini di
tutte le forme... che poi i bambini si mettono anche
loro a farne... fanno delle schifezze tremende e a lui
tocca farli volare perché se no non lo applaudono.
Ad ogni modo lui ha un
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successo INCREDIBILE, lo eleggono capo dei giochi
ma ahimè... in quel momento entra in scena il figlio
del padrone, un prepotente, e siccome non lo
lasciano giocare... insomma lui spacca tutti i giochi
allora ... a Gesù bambino girano i santissimi, le
madonne, fa delle cose... fa una cosa ORRENDA che
è ripetuta e riportata in tutti i vangeli ipocrifi e poi
c'è una catarsi e capirete come stanno andando le
cose. Questo momento veramente lirico degli uccelli
che vo, della gioia dei bambini è, credo, uno dei pezzi
più bèlli di tutti i Misteri Buffi che mi sia mai
riuscito di mettere in piedi. Però attenti! Questa
storia viene raccontata con un ritmo, con un
andamento che molte volte stravolge. Se voi provate
a leggerli, sono editi da Einaudi, poi c'è stato anche
Marsiglio
editori,
il
Mulino,
sembrano
la
sceneggiatura di un film. C'è ad esempio la scena
iniziale, la prima inquadratura di questo film: un
cielo tempestato di stelle, ad un certo punto si vede
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una stella sgangherata con una coda infiammata che
dà degli spintoni a tutti quanti, si fa strada,
naturalmente è la stella cometa, e subito dietro
vengono i re Magi. A parte che questa stella fa
spavento... i re Magi la seguono, e naturalmente ci
sono tutti e tre, prima il vecchio che va su un cavallo
nero, l'allegoria è importante, poi c'è il giovane che
sorridente va sul cavallo bianco, altra allegoria
importante, poi c'è il nero che invece è... su un
cammello grigio, e questa è un'allegoria chiarissima,
il nero sul grigio. Questo nero sorridente, splendente
nel buio della notte... sono fari i suoi denti, i suoi
occhi luminosi... canta! Cosa deve fare un nero su un
cammello grigio, CANTA! Soltanto che c'è questo
vecchio che non ama il canto, non ama la gioia, che
grugnisce, lo insulta... Ad un certo punto vanno a
Betlèmme
e
naturalmente
c'è
il
momento
dell'incontro con Gesù ma prima c'è il momento
della descrizione nel cielo dell'angelo: c'era un
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angelo barocco pieno di piume, di panneggi che
scende in picchiata ad avvertire i pastori che è nato
Gesù, coi pastori che si spaventano, le pecore che
perdono il pelo ed ad un certo punto sono costretti
ad acconsentire e ad andare a portare i doni per
Gesù... questa caciara di questo presepe terribile
intorno... arrivano dentro, c'è anche sant'Anna che
raccoglie tutti i doni e li infastella, copre tutto che
non ci stà più dentro né l'asino né nessuno per tutti i
doni, poi arriva il solito angelo che avverte
dell'arrivo dei soldati "bisogna subito sgombrare...
la fuga in Egitto... altrimenti sono guai e Gesù
bambino viene tagliato a pezzi anche lui". C'è questa
fuga con l'innesto di cui vi ho detto, sapete benissimo
dell'asino, la preoccupazione ecc... Il ritmo, il tempo
e l'andamento lo raccoglierete... questo brano spero
mi ritorni alla memoria pezzo per pezzo perchè è
terribile, tre anni sono tanti e non ho fatto neanche il
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ripasso... sono stato un pò ammalato negli ultimi
giorni.
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PRESENTAZIONE TORINO
22 NOVEMBRE 1981-E’ STAMPATO.
....quindi
diciamo di potere, dell' Italia del '500.
Erano oltretutto dei banchieri oltre naturalmente
che essere duchi e via dicendo.
Ora nascono le Maone, le Maone sono le carte di
credito, cioè in quel tempo cominciano a essere
elargite al pubblico queste carte di credito,
permettono
che
di trovare gioco in certi affari
straordinari, come quello di partecipare alle guerre
di conquista .
Le guerre di conquista sono sempre state le forme le
prime, prima che entrasse naturalmente.....
.........guerre di conquista condotte da Venezia,
Venezia si ritrova in 10 anni soltanto a decuplicare il
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proprio territorio.
Conquistano degli spazi nel
Libano, poi c'é l'isola di Rodi che viene conquistata,
spazi in Turchia, spazi in Jugoslavia, fatto stà che ci
sono spazi enormi terreni che vengono messi a
profitto, arriva un sacco, una quantità di derrate
alimentari enorme che invade il mercato e gli Zanni
che sono i contadini della valle del Pò si trovano a
non poter offrire la propria merce. Falliscono.
Distrutti devono per forza ricorrere al cambiamento
totale del proprio lavoro e si offrono nelle grandi
città come servi, facchini.... i mestieri più umili, più
bassi e le loro donne li seguono e anche loro
accettano di fare le serve e anche le prostitute.
Nasce, anzi esplode, un fenomeno di prostituzione in
quel tempo in tutte le grandi città che preoccupa
fortemente
le
Repubbliche,
in
particolare
la
Repubblica di Venezia. La Repubblica di Venezia,
scopre che in quel periodo l'11% della popolazione é
dedita alla prostituzione. Ora é una cifra spaventosa.
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Se calcoliamo cossì 11% non fa neanche impressione,
ma bisogna saper fare i conti e leggere le percentuali.
Allora prendiamo la popolazione di Venezia in quel
tempo era di 120.000 abitanti. 120.000 li tagliamo in
due, prendiamo 60.000 uomini li mettiamo da una
parte, 60.000 donne dall'altra (gli uomini si
prostituivano anche loro, ma in un altro modo
completamente diverso), poi dobbiamo di queste
60.000 donne, togliere le vecchie, proprio quelle
decrepite, proprio decrepite da crollare, perché
appena stavano un po' sù andavano bene anche loro.
Poi ci sono le bambine proprio quelle piccole, infanti,
ma quelle proprio piccole piccole, perché già cossì...
andavano bene. Poi ci sono le donne...le suore...non
facciamo dell'ironia e mettiamole da parte. Poi
soprattutto abbiamo le ricche, le nobili che si
prostituivano anche loro, ma a prezzi inacessibili. A
questo punto abbiamo una certa quantità di donne,
le donne rimanenti sono proprio l'11% dell'intera
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popolazione. Tant'é che c'era un'espressione tipica a
Venezia fra la gente, fra gli amici cordiali che
diceva: "Eeeh! Puta de tà mare!" Non fatemela
tradurre. E l'altro rispondeva:"Sì e la tua?".
Ecco in questo periodo, in questo tempo ci sono delle
situazioni veramente tragiche, nasce una forma che
per fortuna non é più nella nostra civiltà che sono le
crisi economiche. C'era della gente che crepava
addirittura di fame, che crollava per terra, c'erano
delle squadre adibite proprio a raccogliere la gente
che moriva per la strada e chi ci rimetteva
maggiormente erano proprio gli Zanni. Gli Zanni
questi servi, che avéano mestieri avventizzi, che si
trovavano facilmente buttati in mezzo alla strada.
Ora il pezzo che io vado a raccontare é la
chiaccherata disperata e tragica di uno Zanni
affamato, uno Zanni che é arrivato ad una tale
disperazione per cui pensa addirittura di mangiarsi
un orecchio, di strapparsi un occhio ingoiarselo, ad
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un certo punto pensa di strapparsi un testicolo e
altri orpelli decorativi per la riproduzione e
mangiarseli per intero, di strapparsi un gluteo l'altro
gluteo di formare una specie di panino e di
mangiarsi con la mano in mezzo, tutto. E poi di
infirlarsi
nel
ventre
attraverso
la
bocca,
naturalmente, una mano e strapparsi le budella e
dopo averle nettate con proprietà e di mangiarsele
tutte. E poi il massimo della sua follia arriva quando
ha un incubo e nell'incubo si immagina di vedere un
enorme pentolone proprio pieno di acqua già pronta
oppure la riempie lui appresso, non ha importanza,
poi prende un sacco di farina...insomma si prepare
una mangiata spaventosa, un pranzo luculliano
si
mangia dei pezzi di pollo, si cucina del pesce, si
cucina della carne, e poi dopo avere ingoiato tutto in
un grande minestrone si rende conto che ha sognato.
E lì c'é una trasposizione, un cambiamento di chiave
che é drammatico e grottesco insieme. Ecco la cosa
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importante é questa, io fingo di parlare il dialetto di
quel tempo, perché tanto se io parlassi quello vero,
non capireste uguale preciso a quando io fingo di
parlarlo, poi soprattutto per i veneziani di quel
tempo questo dialetto era inesistente, era come
l'arabo, quindi gli attori che venivano sulla scena,
facevano il grammelot, cioé fingevano di parlare una
lingua che onomatopeicamente dava l'impressione di
essere veramente compiuta, si faceva comprendere
molto di più che se non avesse parlato la lingua vera
e coi gesti e gl andamenti raccoglieva tutto il
discorso.
Ora questo é una specie di esame per un pubblico da
lì si vede l'intelligenza, la velocità, la sapienza,
l'intuito l'elasticità oppure il piattume, la negatività,
l'assoluta mancanza di fantasia, il vuoto e il diritto di
essere
ucciso
sul
posto.....vedo
della
preoccupata... io non indicherò con le mani.
gente
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Fabulazzo osceno
ROMA 24.O3.91 LA PARPAIA TOPOLA
Il pezzo che io vado a raccontare è un pezzo osceno,
ma cossì come intendevano l'osceno nel medioevo,
legato alla sessualità ma altamente poetico. Il titolo è
"La parpaia topola, passera". L'origine di questo
fablieu, si chiamano cossì queste rappresentazioni
grottesche legate alla sessualità che vengono dalla
Francia del nord, che poi si sono sviluppate anche in
Provenza e lì hanno avuto una grande esplosione,
poi sono arrivate anche in Italia. Questo pezzo, un
fablieu, che sarebbe una giullarata, tratta di un
argomento scabroso: "parpaia" per i provenzali è la
farfalla con un doppio senso perché è anche il sesso
femminile,
"parpaia",
è
anche
onomatopeico,
"topola", per chi ha difficoltà a capire, e poi proprio
per i deficienti "passera", cossì capiscono. Il
personaggio principale è il sesso femminile. E' la
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storia di un capraio che sta' sull'Alpe, intorno ai
mille metri sempre con capre, con armenti, e siccome
non scende mai di lì, è da quando è in vita che sta
lassù è diventato un pò rozzo, primitivo, e ha
difficoltà
anche
di
esprimersi,
in
quanto
l'allenamento che può fare con le capre e le pecore
nel lessico è un pò limitato, per il fatto che le pecore
sono animali di poche parole e soprattutto di suoni
elementari e basta. Si ritrova anche in inverno a
vivere lassù; per sua fortuna viene a trovarlo ogni
tanto un vecchio molto colto e fuori di testa. E' un
misantropo
e legato a un risentimento verso le
donne che non si può pesare. Naturalmente da
ragazzo
ha
avuto
delle
insoddisfazioni,
delle
buggerature.... odia le donne e va a scaricare il
proprio odio addosso a questo Giavan Pietro che è
un candido assoluto. Giavan non vuol dire Giovanni
ma "coglioncione", insomma il suo nome vero è
Coglioncione Pietro. Questo ragazzo si vede investito
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da questo vecchio misantropo ossessionato che gli
dice "le donne sono straordinarie ma tu devi stare
attento... hanno un richiamo, nei loro occhi c'è tutto
il paradiso, il suono rotondo delle loro voci,
argentine le loro risate, e le movenze sono
accattivanti è pieno di fascino il loro movimento ma
...attento NON ANDARGLI VICINO PERCHE'
HANNO
DELLE
LAMINE!
LA
PARPAIA
TOPOLA E' UNA BESTIA INCREDIBILE CHE TI
TAGLIA VIA TUTTE LE DITA E ANCHE GLI
ORPELLI PER LA RIPRODUZIONE." Questo
povero ragazzo è terrorizzato di vedere una donna, e
quando vede arrivare una pastora scappa in mezzo
al gregge e finge di essere un cane. Ora questo
povero
uomo, cossì solo,isolato,che ha trovato
l'unica persona che lo stia a sentire in questo Giavan
Pietro, sta per morire. Attenti che non è un
personaggio qualsiasi, lui è un ricco, ricchissimo, è
padrone di tutta la valle, padrone di case, palazzi, di
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fiumi e di laghi, di TUTTO e lascia tutto quello che
possiede a questo Giavan Pietro, TUTTO!! Cossì
che questo diventa una specie di re, principe, barone
e tutte le donne che hanno ragazze da marito
vengono su correndo per l'Alpe per offrire a questo
ragazzo le proprie figlie. Tutte agghindate, bèlle, lui
si terrorizza a vedere tutte queste donne che
arrivano e scappa. In fondo alla valle c'è un prete
che ha un nome che è tutto un programma: si
chiama don Faina, voi capite, furbastro, agile, molto
simpatico e intelligente ma cinico di un cinismo
ributtante, il quale però ha avuto una fortuna
incredibile,
ha
avuto
la
possibilità
di
fare
innamorare di sè la più bèlla ragazza di tutta la
valle. Si chiama Alessia, bèlla, cossì splendente, con
occhi meravigliosi, seducenti, poppe che ... adesso
non stò a descriverla... immaginate! I ragazzi
l'adorano, tutti vorrebbero sposarla ma lei ha ceduto
il proprio spirito e il proprio corpo soltanto a questo
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prete, di nascosto fanno all'amore, di questa tresca
non si è reso conto nessuno salvo LA MADRE di lei,
che è una donna di un coraggio terribile che va
subito spietatamente decisa verso questo prete e dice
"se vuoi continuare a fare gli affari tuoi con mia
figlia da questo momento devi produrre a lei la
possibilità di coprire il disastro che succederebbe se
lo venisse a sapere la gente. Il DISONORE!! Tu gli
devi procurare un marito di paglia, non importa se
basso, grosso, tonto, idiota, laido, vecchio, giovane,
storpio , gobbo...basta che sia ricco e le dia la
possibilità di coprire ogni infamia che tu le procuri.
Soltanto allora potrai approfittare di mia figlia. Il
prete furbo subito ha nella testa l'idea geniale, di
accasare la sua amante con Giavan Pietro, lo chiama
con un trucco giù a valle...lui attraversa tutti i paesi,
arriva nel paese dove c'è la pieve, incontra questa
ragazza, preparata ad doc col faro di luce che le
viene dal rosone addosso, una cosa poetica,
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meravigliosa, il ragazzo perde la testa e decide di
sposarsi. C'è il matrimonio e vedrete tutti i trucchi,
le infamie organizzate da questo prete che si diverte
anche ad umiliare questo candore assoluto che esiste
negli occhi e nella testa di questo povero ragazzo.
Alla fine c'è un risvolto. Invece vi voglio ricordare
per chi ama le ricerche ed è colto in queste cose che
tutti gli autori italiani del medioevo hanno attinto a
questa chiave, vi ricordo Boccaccio, Macchiavelli.
Ebbene però qui c'è un salto verticale rispetto a
questi due: mentre questi due hanno percorso la
strada delle mazzolate, delle bastonate contro questo
Giavan Pietro, invece nella favola originale, questa
che vi vado a raccontare, c'è un salto mortale
liberatorio straordinario. A un certo punto il
vincitore è proprio lui col suo candore, grazie anche
all'amore straordinario che riesce a far nascere in
questa ragazza che all'inizio invece è dalla parte del
prete. E' uno dei testi nella dimensione oscena, più
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poetici che io abbia mai incontrato. Io l'ho trovato
nella prima edizione in francese antico medioevale
del mille e duecento, poi sempre più o meno dello
stesso periodo in provenzale, e vi devo dire che in
provenzale e meraviglioso, con questa armonia,
questi timbri tanto che ho deciso che questa sera ve
lo recito in provenzale, e sono sicuro che voi, grazie a
tutti gli addentellati culturali che il popolo romano e
laziale ha avuto con la Provenza, grazie al fatto che
ad Avignone il papa è rimasto per qualche tempo,
poi tornando ha portato avignonesi qua, io so
benissimo che a Roma il provenzale è di casa e voi lo
parlate quando siete un pochino in intimità anche
negli inni d'amore... esistono tre o quattro cantici in
provenzale che fanno parte della vostra cultura
come "Roma bèlla" e via dicendo...non è cossì?
Forse ho sbagliato! Ad ogni modo io dei pezzi in
provenzale ve li lascio. Per aiutarvi a comprendere, è
uno scherzo che ho fatto, la parte centrale, la più
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importante, la recito in lombardo arcaico antico,
cossì voi capite tutto più facilmente. Non vi
preoccupate,
capirete
tutto
perché,
questo
linguaggio è fortemente onomatopeico e anche dove
non comprenderete i termini esatti, nel senso
generale capirete ogni cosa, grazie anche alla vostra
particolare intelligenza... di centro meridionali.
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MILANO 2O.O1.91
MARIA
DAVANTI
ALLA
CROCE-E’
STAMPATO.Corretto il 9/2/99
Entriamo nel cuore di "Mistero Buffo", o meglio in
un mistero classico sacro. Io ho trovato, questo
ancora prima di decidermi a realizzare "Mistero
Buffo", più di vent'anni fa, per caso quando è stata
rimessa
in
ordine
la
grande
biblioteca
di
Montecassino, era stato trovato nel retro di un
papiro, una specie di pelle scritta con dei righi
musicali, un breve monologo della madonna. Questa
madonna era curiosamente strana rispetto a quella
tradizionale, non c'era nessuna accettazione del
sacrificio
che
il
figlio
andava
realizzando
e
soprattutto lei non poteva soffrire in quel mondo
senza far niente. Qualcuno pensava che fosse un
elzeviro scritto da qualche monaco in un momento di
pazzia, poi, in conseguenza di una chiaccherata che
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ho fatto con un prete di Asti, ho avuto sottomano un
testo che è del quattrocento, nel quale si ritrovava la
stessa madonna e parlando con questo prete mi
diceva che in quel periodo, nel milleduecento
soprattutto, c'erano stati degli scontri fra religiosi
piuttosto feroci ed il contenzioso era questo: la
madonna sapeva di doversi sacrificare per il peccato
mortale oppure è venuta a saperlo brutalmente
soltanto nel momento in cui il figlio si trovava sulla
croce? Esiste qualche momento del vangelo in cui si
dice che è cosciente la madre e che l'angelo Gabriele
annunciando le disse "tu dovrai soffrire" NO! E
risulta che l'elogio che fa l'angelo "Maria piena di
grazia ecc...", in questo contrasto fra i due modi è
stato una trappola, un'angheria terribile condotta
sulla madonna. Naturalmente, subito alcuni, erano
gli stessi frati che avéano inventato il testo da
riproporre, tant'è che a Cortona un altro testo del
duecento nel quale più o meno si ripete la stessa
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cosa, addirittura la madonna se ne va sotto la croce
per invogliare il figlio a scendere dalla croce, quasi a
costringerlo, non avendo più argomenti, avendogli
parlato del suo dolore, della sua disperazione,
dell'infamia, del ricatto... il figlio non ne vuol sapere
e allora strappa letteralmente gli abiti di dosso alla
Maddalena, gli mostra i seni e gli dice "scendi! Li
hai amati quando eri sulla terra coi piedi, cerca di
non
perdere
questa
gioia
straordinaria".
E'
veramente una provocazione oltre le righe, al limite
della bestemmia e fa parte delle laudi di Cortona.
Questo brano vede la sua dimensione massima
nell'arrivo delle donne; comincia con il coro delle
Marie che arriva davanti a Cristo e si preoccupa
dell'arrivo della Madonna, che l'ha saputo in ritardo
e viene a vedere cos'è successo, e pensano di colpirla
con una pietra e farla stramazzare per non
permetterle di urlare il suo dolore davanti a questo
massacro del proprio figlio. Figlio che non era
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presentato come Dio sulla croce ma un uomo, un
uomo divino, che soffre tremendamente, e quasi si
lamenta col padre perché è costretto a questo
sacrificio, ha una specie di ripensamento, lo
troviamo anche nel vangelo. Ad un certo punto c'è
un soldato che si preoccupa di far scendere la
Madonna che è salita e vuole strappare i chiodi per
portarsi via il figlio. La insulta, le dice di scendere,
cerca di mercanteggiare la Madonna, poi c'è il finale
terribile contro l'arcangelo Gabriele, nel quale dice "
tu mi hai tradito, sei venuto a raccontarmi che io
sarei stata la regina delle donne e questa invece è
stata una beffa spaventosa, io sono la regina con il
figlio cavaliere con un cavallo di legno inchiodato
alle staffe" e questo insulto cresce quasi contro il
potere, il potere di cui l'arcangelo è il messo, è
l'uomo politico nella fattispecie. Capirete questa
allusione nel discorso finale che fa la Madonna e a
me sentendolo è venuto in mente proprio ieri sera
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quelle madri che
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salutavano i figli e urlavano
mentre partivano per il Medio Oriente, i figli sulla
nave da guerra, questo urlo, la stessa disperazione.
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ROMA, 24.03.91
PRESENTAZIONE
BONIFACIO
VIII 1 versione (quella originale)
E arriviamo a Bonifacio VIII, è stato uno dei più
grandi personaggi del medioevo uno dei più
importanti papi e avéa suscitato, come tutte le più
grandi personalità, apprezzamenti e rancori feroci.
Dante Alighieri, suo contemporaneo, di certo non
avéa molta simpatia per lui tanto che lo scaraventò
all’inferno prima ancora
. Un altro ricordo della violenza di questo papa è il
fatto storico, anche se legato alla memoria popolare,
del crimine condotto a Cesena. A Cesena c'era un
gruppo di cento frati che contestavano il papa e
sopratutto coloro che lo appoggiavano. Il papa riuscì
a farli catturare tutti, ne scelse sette di loro, i
caporioni, li fece inchiodare per la lingua ai rispettivi
portoni della città. Per la lingua , con le mani legate
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dietro, la tiritera del cinquecento che cantavano i
bambini
COME
ricordava:
UN
"
PENDOLO
PENZOLA
PAZZO
PENZOLA
IL
FRATE
APPESO PER LA LINGUA" ecc... Ora io, anche
grazie alla vostra fantasia vi mostrerò questo papa
che si veste, si addobba, si mette paramenti
veramente lussuosi straordinari... va in processione.
Si incontra con un'altra processione nella quale c'è
Gesù Cristo che sotto la croce se ne sta andando sul
monte per essere inchiodato. Naturalmente questo è
un anacronismo di leggenda... io mi sono informato
presso degli storici che mi hanno assicurato che Gesù
Cristo non si è mai incontrato con dei papi. Questo
mi ha messo il cuore in pace! In questa storia un pò
folle vediamo Gesù Cristo che vede arrivare il
pontefice che si spoglia , si imbèlletta di porcherie
per sembrare veramente uno straccione, per essere a
livello della miseria in cui si trova Cristo, cerca di
farsi bèllo di fronte ai fedeli infilandosi sotto la croce
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con Cristo. A Gesù Cristo girano le madonne e
anche i santissimi e sferra una pedata al papa nel
coccige, che da quel giorno si chiamerà OSSO
SACRO in ricordo del piede di Cristo. Ora, io metto
subito le mani avanti perché so che si tende sempre a
vedere una specie di parallelo fra questo papa e il
papa attuale. Devo dire che sono vent'anni, notate
bene, che io realizzo questo testo, da allora sono
cambiati già tre papi, uno... due... questo è il quarto,
e ricordo che ogni volta
qualcuno cercava di
appioppare il parallelo. A parte che, papa Wojtyla è
squisito sul piano della dimostrazione di senso della
pietà; basti pensare come ha realizzato il suo
rapporto con il killer, questo turco infame, un
bastardo, che ha cercato di farlo fuori, quando lui si
trovava addirittura sulla pop-mobile, gli americani
chiamano pop-mobile questa macchina sulla quale
ogni tanto viaggia il papa. Ecco che si stava
affacciando dalla pop-mobile per afferrare un
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bambino e baciarlo dalle braccia della madre; voi
sapete che questo papa ha
una passione per i
bambini... se non ne bacia almeno una quindicina al
giorno sta male. E la velocità con cui esegue questo
bacio, avete visto, sembra la catena di montaggio:
solleva il bimbo, lo bacia e va via. Li butta! Che se
non ci fosse sempre vicino a lui quella squadra di
pallacanestro che come li lancia AHO PEM PEM OP
OP sarebbe un disastro. L'altra passione terribile
del pontefice è senz'altro quella di baciare la terra
come scende dall'aereo in un paese nuovo: scende le
scalette con precipitazione perché ha l'angoscia del
bacio alla terra... le volte che hanno tentato di
fermarlo sono successi dei disastri, ha portato con sè
preti, suore, frati e una volta anche una guardia
svizzera che nel cadere ha infilzato un prete che
stava dall'altra parte. Io mi sono alzato alle sei del
mattino quando ero in Spagna e ho saputo che
arrivava il papa per andarlo a vedere all'arrivo...
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non tanto per il bacio ma per il rito in generale.
All'aeroporto alle sette del mattino c'erano un
milione di fedeli ad aspettarlo... una cosa infinita....
avéano sfondato anche le transenne, erano entrati
nell'aeroporto sulla pista, c'erano addirittura i cani
poliziotto che aizzati dai poliziotti stessi... o erano i
cani che aizzavano i poliziotti, non si capiva bene...
non riuscivano a fermare questa orda di fedeli, che
molte volte erano anche fanatici. I più erano là fin
dalla mattina, guardavano il cielo... anzi c'erano le
nubi, ho visto spuntare questo aereo, anzi il muso di
quest'aereo incredibile, lungo con la papalina in
testa bianco e giallo... c'era un fanatico vicino a me
che ha esclamato " COM'E' BÈLLO IL PAPA!
COME VOLA BENE!" "No," io ho detto "guarda
che questo è l'aereo del papa, il papa è dentro." "NO
E' LUI!" "Il papa mica ha i finestrini!" "SE
VUOLE SE LI FA!". E' sceso giù sul nastro il papa,
voglio dire l'aereo dove c'era il papa, per poco non
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taglia dodici teste di gente che non si era
inginocchiata in fretta... è arrivata contro la carlinga
la
solita
scaletta,
chiamala
scaletta!
Duecentocinquanta gradini... una scalinata, per far
scendere il papa. Infatti lui si è presentato per primo
come fa sempre, avete notato, TRAC la portiera si
apre scende lui bèllissimo con la papalina in testa, gli
occhi cerulei, tutti questi capelli in testa bianchi
argentei, il naso all'insù, la bocca sorridente, un collo
taurino i pettorali disegnatissimi, un addominale
splendido, una fascia che stringeva, il mantello rosso
che scende fino ai piedi
SUPERMAN!!! Ha
cominciato ad oscillare avanti e indietro UUUNO
DUEEEE,
già
la
gente
gridava
"IL
PAPA
VOLAAA" e tutti i fedeli lo vedevano librarsi per il
cielo con un fumone bianco e giallo che scendeva,
usciva da sotto le sottane a scrivere per il cielo DIOO
E ' CON NOII! PERDIO!! TUN TUN. E invece
(c'era un vescovo cardinale che è montato sulla coda
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del mantello e lui, il papa, bloccato! Se ce ne fosse
stato un altro di pontefice al suo posto sarebbe
morto di vergogna, invece il papa senza muovere ha
dilatato il collo TAC ha spaccato la funicella ed è
precipitato giù con una velocità... io non ho mai visto
nessuno al mondo scendere
con la velocità
veramente straordinaria di questo pontefice, non so
come faccia, coi piedini TATATA, che gli si gonfia
perfino a pallone la sottana...soltanto che ... voi non
avete visto che cosa è successo? Ha avuto un
incidente perché la ripresa televisiva era in differita,
che è una tecnica che si effettua tutte le volte che si
vuole evitare che un eventuale incidente venga
rigettato attraverso le antenne, attraverso l'etere, a
tutti che lo vedono sgomenti. Quindi registrano,
aspettano cinque minuti, poi danno il via... e la cosa
è già purgata, nel caso di un incidente TAC tagliano,
infatti chi ha visto la ripresa in differita si ricorderà
che c'era una cosa strana: il papa scende la scaletta
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TARATATATA, qui prende l'inciampo, fa un cossì,
poi TACCHETA in fondo alla scaletta cossì. Cosa è
successo nel frattempo? Io, in verità ero presente e
quindi ve lo posso dire: lui scende velocissimo,
prende l'intoppo TA PAM sale cossì poi si ripiega,
cala giù verso il prato coi due incisivi raggiunge il
prato, ara il prato con un solco di due metri e mezzo,
quindi comincia a baciare con tanta voluttà il
terreno che la terra ha cominciato a fremere OH
NOOO! Splendido! Eravamo arrivati al punto in
cui il papa solleva il bambino dalle braccia della
donna, la donna avéa vicino il marito, lui cerca di
prendere il bambino, la donna dice "Santità, non vi
offendete non ve lo dò perché voi poi lo buttate!" il
papa dice "NO, io non lo butto" il marito "SI, lei lo
butta!". Lui ha afferrato il bambino, la donna
appesa al bambino, anche il marito appeso al
bambino... un grappolo familiare... RAMBO VII. In
quel momento il bastardo killer infame gli ha
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sparato! Apposta gli ha sparato di schiena per
abbrutirlo, e la cosa incredibile è che c'è stato quello
speaker della televisione del primo canale, che poi
l'hanno cacciato via dappertutto, che si è messo ad
urlare "IL PAPA E ' STATO COLPITO ALLO
SFINTERE!!!", ma si dice il un papa ha lo sfintere?!
IL PAPA HA UN CONDOTTO SACRO!!! E poi
l'incredibile è che l'hanno fotografato da tutte le
parti avete visto quante fotografie di lui che tira col
colpo di pistola; ce nè una
dove si vede che lui
tranquillamente punta, un'altra dove lui bagna il
grilletto della pistola, il fumo che esce lui che soffia
sul fumo, si mette la fondina OK! e va via. Poi c'è
quella dove ci sono i bulgari... quanti bulgari erano
presenti! Sono loro che hanno organizzato il colpo e
davano le indicazioni al killer idiota. E' uscito il New
York Times con una specie di soffietto dentro con
una fotografia immensa, quando era aperta, di tutta
piazza S. Pietro, una folla incredibile, tanti cerchietti
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rossi, in ogni cerchietto un bulgaro: il bulgaro col
dito nel naso, coi baffi, quello che lecca il gelato per
non darsi importanza, quello che ha il gelato e lecca
il gelato dell'altro... erano tutti segnali convenuti
naturalmente, poi c'è quello spudorato che dà le
indicazioni
dirette
ADGGA!
ad
ALI'
QUELLO!"
"QUELLO!
"NO
"ALI'!
"AHAAAAA???"
QUELLO
"AHAAAAA????"
ADGGA'
BIANCOOO!"
QUELLO
E'
UNA
SUORA!". Tanto è vero che ancora oggi quando i
bulgari arrivano alla nostra frontiera gli consegnano
sempre immediatamente un cerchietto rosso.
Torniamo a Bonifacio VIII che si prepara per la sua
orazione, o meglio va in processione, si incontra con
Gesù Cristo... ma c'è un tormentone ed è un frate,
meglio dire un chierico che è sbadato fa dei casini...
ehm...
scusate
fa
degli
imbrogli
tremendi
e
soprattutto è stonato e lui lo odia. Io adesso canto,
cioè nel recitare canto anche, canto in gregoriano.
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Questa volta non si tratta si un'imitazione oppure di
un gramelò gregoriano, no, è autentico gregoriano e
io posso assicurarvi giacché l'ho imparato da
bambino, voi sapete le cose che i imparano da
ragazzini non si dimenticano mai, e son sempre
precise. Io ho avuto la fortuna, quand'ero ragazzino
di essere parte di un coro famoso, quello della
cattedrale
naturalmente
del mio paese, ero prima voce,
contralto
portante,
la
voce
determinante di tutto il coro ed ero veramente
l'orgoglio della chiesa e tutta la curia mi conosceva
.Il cardinale quando veniva voleva vedermi
e
sentirmi cantare anche da solo... ero un fenomeno
ero la speranza anche mistica della chiesa, soltanto
che crescendo, verso i quattordici anni mi sono
dovuto recare a studiare a Milano e ho incontrato
cattive compagnie, specie marxiste e leniniste, mi
hanno traviato, e il guaio tremendo è che non mi
sono ancora pentito!
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BONIFACIO
PRESENTAZIONE
VIII 1 versione (quella originale)
E arriviamo a Bonifacio VIII, è stato uno dei più
grandi personaggi del medioevo uno dei più
importanti papi e avéa suscitato, come tutte le più
grandi personalità, apprezzamenti e rancori feroci.
Dante Alighieri, suo contemporaneo, di certo non
avéa molta simpatia per lui tanto che lo scaraventò
all’inferno prima ancora
. Un altro ricordo della violenza di questo papa è il
fatto storico, anche se legato alla memoria popolare,
del crimine condotto a Cesena. A Cesena c'era un
gruppo di cento frati che contestavano il papa e
sopratutto coloro che lo appoggiavano. Il papa riuscì
a farli catturare tutti, ne scelse sette di loro, i
caporioni, li fece inchiodare per la lingua ai rispettivi
portoni della città. Per la lingua , con le mani legate
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dietro, la tiritera del cinquecento che cantavano i
bambini
COME
ricordava:
UN
"
PENDOLO
PENZOLA
PAZZO
PENZOLA
IL
FRATE
APPESO PER LA LINGUA" ecc... Ora io, anche
grazie alla vostra fantasia vi mostrerò questo papa
che si veste, si addobba, si mette paramenti
veramente lussuosi straordinari... va in processione.
Si incontra con un'altra processione nella quale c'è
Gesù Cristo che sotto la croce se ne sta andando sul
monte per essere inchiodato. Naturalmente questo è
un anacronismo di leggenda... io mi sono informato
presso degli storici che mi hanno assicurato che Gesù
Cristo non si è mai incontrato con dei papi. Questo
mi ha messo il cuore in pace! In questa storia un pò
folle vediamo Gesù Cristo che vede arrivare il
pontefice che si spoglia , si imbèlletta di porcherie
per sembrare veramente uno straccione, per essere a
livello della miseria in cui si trova Cristo, cerca di
farsi bèllo di fronte ai fedeli infilandosi sotto la croce
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con Cristo. A Gesù Cristo girano le madonne e
anche i santissimi e sferra una pedata al papa nel
coccige, che da quel giorno si chiamerà OSSO
SACRO in ricordo del piede di Cristo. Ora, io metto
subito le mani avanti perché so che si tende sempre a
vedere una specie di parallelo fra questo papa e il
papa attuale. Devo dire che sono vent'anni, notate
bene, che io realizzo questo testo, da allora sono
cambiati già tre papi, uno... due... questo è il quarto,
e ricordo che ogni volta
qualcuno cercava di
appioppare il parallelo. A parte che, papa Wojtyla è
squisito sul piano della dimostrazione di senso della
pietà; basti pensare come ha realizzato il suo
rapporto con il killer, questo turco infame, un
bastardo, che ha cercato di farlo fuori, quando lui si
trovava addirittura sulla pop-mobile, gli americani
chiamano pop-mobile questa macchina sulla quale
ogni tanto viaggia il papa. Ecco che si stava
affacciando dalla pop-mobile per afferrare un
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bambino e baciarlo dalle braccia della madre; voi
sapete che questo papa ha
una passione per i
bambini... se non ne bacia almeno una quindicina al
giorno sta male. E la velocità con cui esegue questo
bacio, avete visto, sembra la catena di montaggio:
solleva il bimbo, lo bacia e va via. Li butta! Che se
non ci fosse sempre vicino a lui quella squadra di
pallacanestro che come li lancia AHO PEM PEM OP
OP sarebbe un disastro. L'altra passione terribile
del pontefice è senz'altro quella di baciare la terra
come scende dall'aereo in un paese nuovo: scende le
scalette con precipitazione perché ha l'angoscia del
bacio alla terra... le volte che hanno tentato di
fermarlo sono successi dei disastri, ha portato con sè
preti, suore, frati e una volta anche una guardia
svizzera che nel cadere ha infilzato un prete che
stava dall'altra parte. Io mi sono alzato alle sei del
mattino quando ero in Spagna e ho saputo che
arrivava il papa per andarlo a vedere all'arrivo...
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non tanto per il bacio ma per il rito in generale.
All'aeroporto alle sette del mattino c'erano un
milione di fedeli ad aspettarlo... una cosa infinita....
avéano sfondato anche le transenne, erano entrati
nell'aeroporto sulla pista, c'erano addirittura i cani
poliziotto che aizzati dai poliziotti stessi... o erano i
cani che aizzavano i poliziotti, non si capiva bene...
non riuscivano a fermare questa orda di fedeli, che
molte volte erano anche fanatici. I più erano là fin
dalla mattina, guardavano il cielo... anzi c'erano le
nubi, ho visto spuntare questo aereo, anzi il muso di
quest'aereo incredibile, lungo con la papalina in
testa bianco e giallo... c'era un fanatico vicino a me
che ha esclamato " COM'E' BÈLLO IL PAPA!
COME VOLA BENE!" "No," io ho detto "guarda
che questo è l'aereo del papa, il papa è dentro." "NO
E' LUI!" "Il papa mica ha i finestrini!" "SE
VUOLE SE LI FA!". E' sceso giù sul nastro il papa,
voglio dire l'aereo dove c'era il papa, per poco non
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taglia dodici teste di gente che non si era
inginocchiata in fretta... è arrivata contro la carlinga
la
solita
scaletta,
chiamala
scaletta!
Duecentocinquanta gradini... una scalinata, per far
scendere il papa. Infatti lui si è presentato per primo
come fa sempre, avete notato, TRAC la portiera si
apre scende lui bèllissimo con la papalina in testa, gli
occhi cerulei, tutti questi capelli in testa bianchi
argentei, il naso all'insù, la bocca sorridente, un collo
taurino i pettorali disegnatissimi, un addominale
splendido, una fascia che stringeva, il mantello rosso
che scende fino ai piedi
SUPERMAN!!! Ha
cominciato ad oscillare avanti e indietro UUUNO
DUEEEE,
già
la
gente
gridava
"IL
PAPA
VOLAAA" e tutti i fedeli lo vedevano librarsi per il
cielo con un fumone bianco e giallo che scendeva,
usciva da sotto le sottane a scrivere per il cielo DIOO
E ' CON NOII! PERDIO!! TUN TUN. E invece
(c'era un vescovo cardinale che è montato sulla coda
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del mantello e lui, il papa, bloccato! Se ce ne fosse
stato un altro di pontefice al suo posto sarebbe
morto di vergogna, invece il papa senza muovere ha
dilatato il collo TAC ha spaccato la funicella ed è
precipitato giù con una velocità... io non ho mai visto
nessuno al mondo scendere
con la velocità
veramente straordinaria di questo pontefice, non so
come faccia, coi piedini TATATA, che gli si gonfia
perfino a pallone la sottana...soltanto che ... voi non
avete visto che cosa è successo? Ha avuto un
incidente perché la ripresa televisiva era in differita,
che è una tecnica che si effettua tutte le volte che si
vuole evitare che un eventuale incidente venga
rigettato attraverso le antenne, attraverso l'etere, a
tutti che lo vedono sgomenti. Quindi registrano,
aspettano cinque minuti, poi danno il via... e la cosa
è già purgata, nel caso di un incidente TAC tagliano,
infatti chi ha visto la ripresa in differita si ricorderà
che c'era una cosa strana: il papa scende la scaletta
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TARATATATA, qui prende l'inciampo, fa un cossì,
poi TACCHETA in fondo alla scaletta cossì. Cosa è
successo nel frattempo? Io, in verità ero presente e
quindi ve lo posso dire: lui scende velocissimo,
prende l'intoppo TA PAM sale cossì poi si ripiega,
cala giù verso il prato coi due incisivi raggiunge il
prato, ara il prato con un solco di due metri e mezzo,
quindi comincia a baciare con tanta voluttà il
terreno che la terra ha cominciato a fremere OH
NOOO! Splendido! Eravamo arrivati al punto in
cui il papa solleva il bambino dalle braccia della
donna, la donna avéa vicino il marito, lui cerca di
prendere il bambino, la donna dice "Santità, non vi
offendete non ve lo dò perché voi poi lo buttate!" il
papa dice "NO, io non lo butto" il marito "SI, lei lo
butta!". Lui ha afferrato il bambino, la donna
appesa al bambino, anche il marito appeso al
bambino... un grappolo familiare... RAMBO VII. In
quel momento il bastardo killer infame gli ha
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sparato! Apposta gli ha sparato di schiena per
abbrutirlo, e la cosa incredibile è che c'è stato quello
speaker della televisione del primo canale, che poi
l'hanno cacciato via dappertutto, che si è messo ad
urlare "IL PAPA E ' STATO COLPITO ALLO
SFINTERE!!!", ma si dice il un papa ha lo sfintere?!
IL PAPA HA UN CONDOTTO SACRO!!! E poi
l'incredibile è che l'hanno fotografato da tutte le
parti avete visto quante fotografie di lui che tira col
colpo di pistola; ce nè una
dove si vede che lui
tranquillamente punta, un'altra dove lui bagna il
grilletto della pistola, il fumo che esce lui che soffia
sul fumo, si mette la fondina OK! e va via. Poi c'è
quella dove ci sono i bulgari... quanti bulgari erano
presenti! Sono loro che hanno organizzato il colpo e
davano le indicazioni al killer idiota. E' uscito il New
York Times con una specie di soffietto dentro con
una fotografia immensa, quando era aperta, di tutta
piazza S. Pietro, una folla incredibile, tanti cerchietti
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rossi, in ogni cerchietto un bulgaro: il bulgaro col
dito nel naso, coi baffi, quello che lecca il gelato per
non darsi importanza, quello che ha il gelato e lecca
il gelato dell'altro... erano tutti segnali convenuti
naturalmente, poi c'è quello spudorato che dà le
indicazioni
dirette
ADGGA!
ad
ALI'
QUELLO!"
"QUELLO!
"NO
"ALI'!
"AHAAAAA???"
QUELLO
"AHAAAAA????"
ADGGA'
BIANCOOO!"
QUELLO
E'
UNA
SUORA!". Tanto è vero che ancora oggi quando i
bulgari arrivano alla nostra frontiera gli consegnano
sempre immediatamente un cerchietto rosso.
Torniamo a Bonifacio VIII che si prepara per la sua
orazione, o meglio va in processione, si incontra con
Gesù Cristo... ma c'è un tormentone ed è un frate,
meglio dire un chierico che è sbadato fa dei casini...
ehm...
scusate
fa
degli
imbrogli
tremendi
e
soprattutto è stonato e lui lo odia. Io adesso canto,
cioè nel recitare canto anche, canto in gregoriano.
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Questa volta non si tratta si un'imitazione oppure di
un gramelò gregoriano, no, è autentico gregoriano e
io posso assicurarvi giacché l'ho imparato da
bambino, voi sapete le cose che i imparano da
ragazzini non si dimenticano mai, e son sempre
precise. Io ho avuto la fortuna, quand'ero ragazzino
di essere parte di un coro famoso, quello della
cattedrale
naturalmente
del mio paese, ero prima voce,
contralto
portante,
la
voce
determinante di tutto il coro ed ero veramente
l'orgoglio della chiesa e tutta la curia mi conosceva
.Il cardinale quando veniva voleva vedermi
e
sentirmi cantare anche da solo... ero un fenomeno
ero la speranza anche mistica della chiesa, soltanto
che crescendo, verso i quattordici anni mi sono
dovuto recare a studiare a Milano e ho incontrato
cattive compagnie, specie marxiste e leniniste, mi
hanno traviato, e il guaio tremendo è che non mi
sono ancora pentito!
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LA NASCITA DEL GIULLARE (CORRETTA)
Prologo
Questo è un testo ragusano, raccolto nel secolo
scorso da un amico e collaboratore di Pitré, il
famoso ricercatore di Palermo che ha pubblicato
una mole incredibile di documentazione sulla
tradizione popolare della Sicilia. Più tardi mi sono
capitati per le mani frammenti di una giullarata che
svolgeva lo stesso tema, provenienti dal nord
d’Italia, esattamente da Cremona. Ho innestato
questi ultimi nel testo ragusano e ne è venuta fuori la
“conta”(*1) che vi presento. Possiamo dire che si
tratta di un testo quasi autobiografico di un giullare
che narra come ha scelto di montare in banco per
divertire e provocare il pubblico dei mercati.
All’inizio arringa gli spettatori promettendo che con
i suoi lazzi e le sue trovate riuscirà a far
scompisciare a tal punto i presenti da provocare veri
e propri miracoli: per il gran ridere un gobbo si
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rizzerà all’istante, petto in fuori e schiena piallata,
una donna alla quale s’è arrestata la monta del latte
vedrà le proprie zinne rigonfiarsi fino a spruzzare
latte dai capezzoli come una fontana. Il giullare ci
appare inarrestabile nel suo sproloquio quando,
all’istante, cambia tono e decide di raccontare di sé e
delle sue origini: “Io ero contadino - comincia - Non
avevo nessuna intenzione di scegliermi questo
mestiere. Non c’ero per niente tagliato.” E qui ci
svela un accadimento davvero incredibile: ci
assicura che chi l’ha convinto a scegliere il mestiere
di buffone è stato Cristo in persona. “Fare il
contadino è davvero duro - ci assicura il giullare “specie dovendo lavorare sotto padroni in una terra
che non ti appartiene. Lavorando dall’alba a sera,
sempre la prima acqua che si beve il terreno è il mio
sudore!” Ma un giorno, salendo un monte, scopre
quasi per caso un terreno incolto e roccioso che non
appartiene a nessuno. Aiutato dalla propria donna e
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dai figli, stende sul greto nuova terra e trova l’acqua
per irrigare. A questo punto gli si presentano, uno
dopo l’altro, un prete e un notaio, forse avvocato...
entrambi reclamano il possesso di quel territorio
sulla montagna. Lui, deciso e sicuro, li scaccia tutti,
ma alla fine giunge il padrone di tutta la valle che a
sua volta pretende quella terra; il contadino resiste e
gli si oppone. Il signore allora lo aggredisce
facendolo bastonare dai suoi scherani, quindi
davanti ai suoi occhi, violenta la sua donna; gli
brucia il raccolto e la casa. Sconfitto e umiliato, il
contadino decide di impiccarsi all’ultima trave
rimasta tesa fra i muri diroccati dal fuoco, quando
appaiono davanti al lui all’improvviso due accattoni
macilenti che gli chiedono dell’acqua. Uno di loro è
Gesù che parla al contadino quasi aggredendolo. Gli
tiene una vera e propria lezione sulla condizione
umana, gli parla della giusta punizione che coglie
tutti quelli che, come lui, scelgono di muoversi da
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soli per non dover spartire le proprie fortune e i
vantaggi con i disperati della sua razza. Per finire gli
insegna l’uso dei gesti e delle parole per guadagnare
la fiducia in sé e negli altri, come lui sottomessi e
offesi.
Ma quel discorso è meglio che lo ascoltiate
direttamente e per intero nel linguaggio originale.
(*1) Favola o fabulazione popolare.
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NASCITA DEL GIULLARE
corretto
Ahh... gént... vegní chi, che gh'è ‘l giulàr! Giulàr ca
son mi quèl... che fa i salt e ca 'l tràmbula e che...
oh... oh... a ve gh’ho fàit rìder! Vegnìt che ve fago
védar i magiorént desbiòti e descovrìr come a sont
gròli e gròsi i balón che van d'intórna a far guère e a
scanàre. Ma basta stapàrli, tràrghe via ól piréo e...
pff!!, se sgiónfia, i s’ciòpa ‘me vesìghe a balón!
Vegní chi che l’è ora e lògo de fa el pajàsso per vui!
Tütt intùrna a mi! Vegnìt! V'insegni ‘na manéra
nòva de sta’ a mondo. Vegnì... vegnì... Aténti come
fago el saltìn intorno… un cantìn, e fago i falsèt a
saltabèch! Vardé la mia léngua 'me la gira! Ah...
ah... a l'è un mulinèl, un cultèll... che tàja i garèti ai
bosiàrdi impostór! Ma al’improvìso me càta de
recordàm. En vertà mi no’ a l’éra sémpar stat julàr.
L’è quèst ca voi ‘contàr, come sunt devegnüt bufón
ridanciàn. Che mi non son nasüo d’un fiàt tombàt
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dal ziélo, e, op! Son ‘rivà chi lòga: “Bondí,
bonasìra!”. No! Mi a son el fructo d'on miràcol! No’
vursì crédem? Mi son nasüt vilàn. Vilàn, cuntadìn
propri. A no’ gh’avéo tanto de sta alégro: no
gh'avévi tèra, no! U s'éri ‘rivàdo a 'ndà a lavuràr a
strasabràsci sóta a tüti, in de ‘sti vaj... da partütt.
Duvìt créderme… déme confiànsa: no’ son miga
nasciüt giulàre. No’ l’è nemànco capitàt che mia
matre vardàndome bambìn stravacào in la cüna che
ridevo a sganàsso: “Ma che bèla facìna sempàtega...
oh che cara! Alegrèsa te me fa! Spaiasolìn ridénte!
Varda, de grande te fago far el julàr!”.
No! E nemanco l’è capitàt che me son ‘speciàtrimiràt deréntro ól cül de una padèla lüstra che la
me faséva de spècio, cossì che a vardàrme: “Ohi che
ögi sbarluscénti de ‘legrèssa che spantéga luz felìz
d’ògni lógo! Vago a far el giulàre! Son pròpri
sempàtego, spendìdo!”. E nemànco l’è capitàt che ól
Deo Padre Eterno, ch’ol végne sémper a spia’ föra
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de le nìvule... ch’el gh’ha niénte de fare… ‘mira ól
so’ creato, la tèra… e beato ól vùsa: “Oh! Che bèla
tèra ch’ho fao! Oh! Che bei àlbari ch’ho fàit! Oh!
Che bèle montagne ch’ho fàit! (Cambia tono) E chi è
quèlo?
L’è
un
cuntadìn!
Cun
quèla
fàcia!
Sempàtiga! Zèta la vanga, mòla ‘sta tèra e va a fa’ el
giulàr e no’ rompe’ i cojóni!”.
No, no, no’ l’è stàit lü! L’è sta’ ól so’ fiòl Jesus.
Un meràcolo!
No vàgo ciarlàndo, v’el ziùro! Un miracolo
impròprio de lü: Jesus Cristo en la persona. L’è lü
co’ m’ha fàito devegnìr giulàr!
No’ me credét? Ól sàvie ben! Alóra el vo’ a
mostràrve! D’acòrde?
Dónca, ‘na matìna co a l’éra ancmò scüro, co el ziélo
a l’éra ancmò negro... ól sol no’ éra ‘mò incresùo e
mi andava scurvà co’ sàpa, picón a sapàre, e ól méo
sudór a l’éra la prema acqua co’ la tèra la bivéa.
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U s’éri tristo, no’ gh’avéa tèra méa per mi. A la sira
stornào a la casa imbriagà... stràco morto, co’ i ögi
sbiancàt de luz e neànco la vója de ziogàr coi mé
fiolìt, far ziòghi co’ la mia puta de mi, mojèr de mi a
far l’amore… me slungàvo strafugnà stordìt in sü el
lèto... un paiùn... e m’endormìo. No che no’ me
indormentìvo! Desvegnìvo!
gh’éra
soméi
E dentro la note no’
d’insognaménto.
Chicchirichì!
Maledìcto! De nòvo a fatigàre!
Ma un ziórno tornào del campo travèrso la rivéra
del rio en zérca de quarche granco de fiüm, me so’
sperdùo camìno e, de bòta, me son truvà devànti a
üna montagna negra che no’ cognosévo.
Tremenda, alta.
E gh’hoi domandato a ün fradèlo contadìn:
“Compagnón, de chi l’è èsta montagna negra,
imperviàda?”
“De nisciün!”
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“Ma ól po' vès che la sébia de nisciün ‘na montagna
‘sì granda?!”
“La val negóta! L’è sojaménte piéra negra, üna
mügia de sasi de vulcàgna. La ciàmen: la cagàda del
diàvulo!”
“Ól deve aver avüt un gran mal al cül nel cagà ‘sta
cagàda ól diàvul!”
E mi sunt andài fin su... rampegàndome gatóni su un
dòss raspà cuj ungi e ho descovèrto che gh’éra un
fregüj de tèra, lo usmàt: dulza, grasa. Sont ‘ndài
sübit da la mea fumna, la fémena de mi a casa.
Ziónto, la gh’ho ciamàda in quartiér, criàndo de
‘legrèssa… l’ha catà su la sapa, la sègia e la m’è
vegnüda après coi fiulìn.
Zónti sül dosso sénsa nemànco catàr fiàt, l’ha
comenzà’ a sapàr da partüto tèra e po’ desénder giò
sü la riviéra del fiüm a catàr sidèli de terén. Sémo
andàit anco al simitéro, sémo andàiti a robàr tèra ai
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morti! Bèlla la terra de le tombe vègie! Grassa! E se
montàva càrighi de sidèli e se spantegàva ‘sto terénledamóso… ziórno pe’ ziórno, se improntàveno
gradoni… ‘na scalenàda de gradóni! E portà tèra
dentro el grembiàl!… Tüti a lavorar, con anco i fiülì.
Contenti!
E la mujèr de mi, bèla, bianca cu l’è dólze… mujètta
méa, ‘na portàda de rejna! La andava co’ ‘sti
paniér contenta, ögi luzénti, le zinne tunde, dürre…
co’ quando la se movéa coréndo i balàva come
campane che sonàveno a festa: DIN DON DIN! Oh...
se l’è bèla! E cussì svelta, che con un vaso empegnìdo
d’acqua in sul capo l’andava che pareva ‘na madòna
col cerción d’urà e manco una lacrima se sversàva
dal sidèlo!
Dólze amor de mi!
E la cantava! La cantava ben che la so’ vóse drita in
tèl zervél t’arivàva!
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Oh dólzo plasér!
Ziórno per ziórno, de lune, de lune, sèm ‘rivàti a
montàr tanti gradón ch’ol paréa la Tore de Babèle!
Ma no’ gh’éra l’acqua… se faséva bögi de sonda ma
no’ sortìva üna spüdàda. Ghe tocàva desénder fino
al fiüm avànte e indrìo, avànte e indrìo, tüti, mojèr e
fiulìt, con sègi e sègi, ma sémper sèca la divegnìva
la tèra.
Un ziórno sunt ‘ndàit cul picùn in spala insìma a ‘sta
montagna biastemàndo: “Deo! Maledìcto!” e pién de
ràbia ho picàt ‘na bòta a zancàda in de la piéra:
PUM! STCIUM! El sortìo una gran sbrofàda
d’acqua che m’ha inundà. “Oh Segnór, gràssia!
Besógna
proprio
biastemàrte
parchè
te
faga
miràculi, Deo santo!”
Fotón d’acqua che sbotàva dapartüto... e sgorgoiàva
giò per la scarpàda d’ògni terén!
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La mujèr de mi a l’è s’ciopàda en lacrime... co’ un
pianto de ziòia e i fiülìn empaltat i sguasàva ‘me
pèssi in frégula…
“Gràsia! Gràsia Deo!”
Un parfüm dólze se spantegàva da par tüto… e
l’erba che de sübito sortiva! Gh’ho piantà una
semente de ségale, n’ho gh’ho fàito a tempo a
vultàrme che TAC!,: un bütón de föietìne spuntava!
O l’éra tèra d’oro!
Una sera me son desmentegàdo la sapa impiatàda en
tèl terén; il ziórno aprèso son tornào: l’éra fiurìda!
La sapa fiurida!
Arbore che sortìa fruti, üsei, parfüm, el grano, el
froménto… 0h! Che plasìr! Son ‘ndàit de contra al
ziél rosàdo, col sol che l’éra rénta a calàre drio i
monti e ho dit: “Deo! Ól cognóssi ben che te sèt
dentro ól sol in ‘sto momento e te rengràsio del dono
grando che ti mé ha fàito co’ ‘sto meràcolo! Te ghe
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sarò reconosénte e zercarò col sangu de mèterlo a
bòn profìcto. Te la fagarò vegnìre un paradìs
terèstre ‘sta tèra, sta següro. Amen!”
I pasàva i contadìn e i diséva: “Che cü che te ghe
aüt! Da ‘na muntàgna sèca, l’ha tirà föra el giardìn
de ün pascià!” E invidia i gh’avéa.
Sunt lì in tèl campo, svòlto la testa e lì te scòrzo, sul
so’ cavàlo el padrùn de tüta la vale che ól me
vardàva. Ól ziràva i ögi intorno e ól me vardàva… e
pöe ól sbòta a dirme: “Ohi, ‘sta maravégia de
montagna florìta! Chi che l’ha tràita in pìe? Chi è
che l’ha fàita?”.
“Mè, segnór! Mè, a l’ho fàita, zòla sü zòla a portarla
a far gradón… Mè! Anco l’acqua che no’ gh’éra...
me la gh’ho descovèrta… fàita spüdàr föra! Mèa è
‘sta tèra che l’éra de nisciün!”
“Roba de nisciün l’è üna manéra de dire che no’
exìste miga. Chi lòga, se no’ ti sa, par tüta la vale,
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anco fiüme, tèra, pière, tüto ól gh’ha ün padrón… e
mi son quèl! Padrón anca de l’aria che ti respiri.”
“Ma gh’ho domandào intorno... ‘sto monte el
ciàmeno la cagàda del diavolo improprio per dir che
nisciün l’ha gimài vorsüda. Nemànco vui patrón.”
“Pòle darse... ün témpo… ma adèso gh’hàit
repensàt. L’è mèa!”
L’ha fàit ‘na rigulàda e via che ól é andàit col
cavalón!
Qualche ziórno aprèso, ‘l vedo in fonda el prévete,
ch’ol vegn abijàt tüto in nério, sudào col fasülèt che
se sgrusàva fazza e còlo… e fin de luntàn me vosàva:
(in grammelot imitando il latino) “Cuntadìn, vilàn
caro, in pax tòa végno a dessólvere tòa spudénzia et
presonzión de penzàr che ti pòda poxedére
pruoprietà de un terén. Nullo ex libero de poxexiòn
en ògne palmo de tèra abe una soja pruoprietàt
che lu Papa e l’Emperadór han consedùo a ‘sto
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mazzorénte uneco e ti fiòl meo debbi zedér en
santa pax domine!”
Come l’è stàit aprèso, gh’ho dàit ‘na sapàda che per
poc no’ lo gh’ho inciudà, lü, insémbia al so’ àseno
che ól montava! Das po’ molàndo zachignàde coi
talón su le bale del ciùcio, l’andava saltelón
blasfemàndo d’una manéra che me son fàito el segno
de la cróse!
Do’ ziórni che végne a près ariva sü ól notaio co’ ‘na
bèla mula grosa, con un gran cül… lü, ól notàro con
un cülón anca lü che quando l’è desendùo dal
cavàlo no’ se capiva se l’éra desendùo… ól cül de lü
o quel dela müla!
O l’ha srotolào ‘na pergamena longa e scura piéna
de ségn e segnìn, sbirolìzzighi svirgulamént e crose, e
l’ha dit spüdàndo paròli ‘me ‘na letanìa sanza fiàt:
“Mèo caro amìgo, sàvio bén e té dago fiéra rasón del
facto che per ól volgo l’éra sconosciüda alcuna
possessión de ‘sto monte, ma dàndoghe ün’ogiàda a
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‘ste carte de pergamena antìga, se descòvre ciàro che
‘sto lògo terén o l’éra posesión dal rèi che a
governava ‘sto regn, Boésio prim, che gh’avéa üt ün
fiöl carnàl a lo qual ghe avéa donàt tüta la tèra de
qua de ‘sto fiüm; la parte de là dal fiüm la gh’avéa
donàda a la badèsa del convénto che po’ l’éra la
madre del so’ fiöl carnàl. Ma gh’è capitàt in ano
Domine dosénto che per un gran temporàl ól fiüm l’è
stravacà de föra e ól s’è dividüt mèso de un canto,
mèso in tèl altro in doe corsi, lasàndo in mèso
ün’isola con sovra ün monte negro. El monte de ‘sta
manéra no’ l’éra de nisciün. Ma adèso che ól fiüm l’è
tornàt in del so’ lèto natüràl, eco che ól monte
retórna anca lü al so’ padrón natüràl… che o l’è ól
nostro prénze che te la domanda. Dónca dàghelo
indré!”
Gh’ho dàit ‘na bòta, ‘na cagnàda sül cü de ‘sto
nodàro che l’è partìo lü e la sòa müla! “De ‘ste brase
es ‘sta tèra! No che no’ la dae a nisciùo!”
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Solo che ün dì l’è ‘rivàto ól signor padròn coi sòi
soldat. I sbiri.
Nünc èrum nei campi a trabajàr co’ i fiulìt, la mia
mujéra e i soldàt de lü m‘han catà, slargà le brase e
m’han tegnüo de fermo. Ól padron ól s’è calàit i
braghi, u l’ha ciapà la mia mujèr de mi e l’ha
sbatùda par tèra ‘me ‘na manza: ól gh’ha strasciàt i
sochi… slargàe le giàmbe, ól gh’è saltàt de sura, u
l’ha fàita come fudèss ‘na vaca. E tüti i suldat a
rideva.
I fiolìt me vardàva coi ögi sbaràt… sbiadìt. I
vardàva la madre… i vardàva mi. E mi a me
muéva, me sunt liberàt, ho catàit 'na sapa, hu vusà:
“Disgrassià! Ciàpa!".
“Férmo fiöl! Fermo! - m’ha criàt la mujèr de mi No’ darghe ul pritèsto de copàrte. No’ i spécia óltro.
Ti ziùsto ti pénsi de crepàr pitòsto de spatasciàr el
to’ onór... ma ti no’ ti gh’ha onór. Onor ghe l’hano
sojaménte chi ròba tegne, denàr, tere! Noiàltri
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sansa ròba no’ gh’avémo onór! Nostro onór è la
tèra! Salva la tèra, tégna la tèra e spüdaghe sü ‘sto
onor!”
E mi ho sbandàt, ho molàt la sapa par tèra.
I soldàt sghignàva de frecàso: “Bèch, cojón, sénsa
dignitàd... Gh’han muntàt la fémena e lü ól sta lì
inciulinàt ‘me un lifròch!”.
Ól segnór l’è montàito a cavàl e drio a lü se
encaminàva i so’ sbìri. “Adèso te la pòl pur tegnìre
la tòa tère. Té mé la gh’hai bén pagàda!” e rigulàva.
I fiöl no’ me vuardàva. Sémo tornào come i manzi a
la casa.
La mujér l’andava avanti, no’ vardava.
Mi no’ vardavi.
Nisciün se vardàva.
Quando po’ la mia mujer le desendüda in paés per
fa’ scorta de maserizie, la gént as so’ pasàg se
scansàva. Nusciün che ghe diséa bòn dì, cumpàgn
che no’ la vedèse nusciün.
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Neméno in gésa l’ha respectàveno. Ól prevéte po’, ól
gh’ha tegnüd
‘na omelia su Cristo che
maledìse le fornigadóre.
‘Na note aprèso la mia mojér criàndo l’è partìa
curéndo in sü par la muntàgna… la montava
fecéndo ridàde… sbatéva i man, cantava a perdifiàt
co’ paròli de svergognàda.
Mata era.
“Ferma! Férmate amor! Torna indrìo col zervèlo…
a mi no’ me empòrta… sémper ól méo amor te sét
par mé!”
No mé dava tra. L’è desparüda. No’ la gh’ho plü
gimài vedüa.
I fiöl no’ diséan parole, no’ ziogàva, no’ i ridéa, no’
piagnévano. Ziórno per ziórno smagrìveno: morti!
V’ün par v’ün, morti son!
Soléngo sont restàit… unégo cristiàn sü ‘sta tèra
brusàda… che i sodàt gh’avéano dàito fògo anco a la
casa.
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Imbesuìt no’ savéa còssa che fare. ‘Na sera ho catàt
un tòco de corda, l’ho lanzàda su ‘na trave, l’ünega
restàda sana tra i müri fumigàt… hu fàito un grópo,
mel son sistemàt intorno al còlo e ho dit: “Deo che
anco in de l’oscüro de la note te varde i omeni
‘traverso i mila svarlüsci de le stèle, par qual ziògo
malerbèto, Segnor tü ti mé déàito ‘sto dón
carigàndome
de
sperànsa… per póe, aprèso,
stravacàrme in la merda de desperasiün?! Ti te
dovéa me dir che o l’éra per segnàrme col fèro
ruventàd e darle testamén ciàro che chi coménsa da
vilàn poarèto sémper uguàl dovéa restàr… la misma
condisión, no’ farse sperànse né ‘sognménti de
presonsión! Segnor
té de digo che a l’è stàito gran
sbefezzaménto cruèl èsto de farme provare chi-lo, in
tèra ól paradiso, per despò rebutàrme cont ün
spernac zó, a l’enfèrno, sinza pità! E alora te vòjo
dir che ‘sta vita de merda co a te me dàio, mi te la
retórno in drio! Tegne ‘sta vita!”
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Ól fago per slanzàrme empicàdo, u mé senti pugià
‘na manàda chi in sü’ la spala, me volto e gh’è un
ziòvin coi cavèli lónghi… strepenà…
la fàcia
smorta… i ögi grandi, dólzi e tristi che ól me dise:
“A podrìa avérghe un poco de bèvar che gh’ho
sete?”
“Ma te par el momènto de vegnìr a domandàr da
bervàr a ün che a l’è drio a impicàrse? Ma dove a
l’è la creànsa?” Ghe do ¨n’ugiàda… ul gh’avéa ‘na
fàcia de pòver crist anca lü. Daprèso a quèlo ghe n’è
alter doi desperà: vüno co’ i cavéli e la gran barba
bianca e l’òltro sànsa barba… maghér e smòrti che i
paréa lavàt in de la calcina… co’ la fàcia patìda.
“A gh’èt altro besógn che de bèvar voiàltri! De
magnàre ghe vòl! (Fa il gesto di togliersi il cappio dal
collo) Bòn, ve do un po’ de magnàre e poe me
impìco!”
Vago… zérco sòta un’arcón restàit in pie: fave
sojaménte gh’ho trovàit e dòe sigóie. Le gh’ho còte
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bolìte. Gh’ho impiegnìt tre baslòtti e ghi ho dàit. I
magnàva co’ ‘na golosìa de afamàt. Das poe che han
magnào, quèlo zióvin de figüra svèlta e co’ i ögi
grandi, soriéndo me dise: “Gràsie de’ vostro
magnàre! A ti, te végne in mente chi pòsa èser mi?”
Al vardo ben: “Me parèse che ti… squàsi… té sièt el
Jesus Cristo!”
“Bon! Ti gh’hai indovinào! Èsto l’è Paolo e l’óltro l’è
Petro.”
“(China il capo in segno di saluto) Piazére! E cossa
che pòdo far anco’ per vui?”
“L’è basta de quèl che te ghe dàito col magnàre. Mi
te cognósso a ti contadìn, mi sàe còssa te gh’ha
capitàt, còssa te fàit te… la fadìga pe’ far fiorìr ‘sta
muntàgna sbrofàda föra da le ciàpe dol diàvul. I
balzelùn tirà sü de sanguinàrte le man e i didi, tòi e
de la tòa mujèr e dei tòi fiòl… E la violénsia del
segnór sü la tòa dona ‘me fudèsse ‘na manza da
incarcà... Tüto par l’orgòio de no’ molàr ‘sta tèra!
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Bòn de fòrsa, coràjo… bravo òm ti gh’ha demostràt
de vès! Ma l’è ziùsto che te séa fornìt cossì… a ‘sta
manéra.”
“(Tono risentito del contadino) Par che rasón,
Cristo?!
“Parchè te l’è tegnüda tüta sojaménte par ti la tèra e
no’ l’hai spartìda co’ i altri vilàn, strepenàt ‘me ti!”
“Ma te dìset cus’è?! Spartìr co’i altri un fasolèto de
tèra che nu’ l’éra nemànco a basta par mi e per la
méa zént?!”
“Piàn furbàsso, de tüta la muntàgna ti no’ te adovràt
che ün fasolèto… parò un fasolèto grando! E tüta la
scarpàda de là e ól fiancón de ponente? No’ podévi
dir: “Vegnìt zénte… se vorsìt lavuràrlo come ho fàit
mi, l’è vostro! Tristo resta l’òmo che se tégne seràdo.
Vàrdate intórna: l’è vegnüt quaicün a oferìrte ‘na
man… a darte conforto? Si no’ te sparànghi le tòe
brasa ai óltri come ti pòl speràr che i ólter slarga i
loro brasi par embrasàrte?
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Dime vilàn… ti te sèt andàito intorno per casali… le
case de’ paión a ‘contare ai óltri desperàt la tòa
storia? No? Bòn, mò di a i altri de quèlo che te
pasà… dighe de ól padròn… cossa l’ha fàito, dighe
del prévete col sò’ latìn… del nodàro! E po’ ‘scolta
còssa té conta loro.
arriva troppo di colpo!!!
Empàra a rigolàr! A trasbotà anca lo spavento in
ridàda, empàra a roversàre i paroli sacràt de ogni
léze. Rebaltàr col cül per aria quei che fa imbrigàde
per ciolà vui, cojón! Sberlèfa i patroni… e fa che tüti
sbròfa in gran ridàde… che rigolàndo ogni pagüra
se desléngua.”
“Ma mi no’ sàbie, no’ sàbie dir parole roversàde…
No’ son capàze de fa che se descòvra la bosarderìa
de i magióri e no’ sò farghe el controcanto de
bufón… e nemànco filastròche a torción sbefàrdo
che la léngua me se intròpica deréntro i dénci, col
servèlo che tégno, inciuchìdo dal sol e da la fatìga !”
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“Te gh’hait rasòn. Ghe vòl el meràcolo!”
El màit catàt par la crapa, ul m’ha tiràt visìn a la sòa
fàcia e ól m’ha dit: “Mi Jesus Cristo de ‘sto
moménto té do un baso su la bóca lóngo de tòrte ól
fiàt e ti senterét la tòa léngua frolàr a tirabusción e
poe devegnìre como un coltèlo che pónta e tàja…
smuovendo parole e sfrasegàr, conciaménti ciàri
como un evanzélo. E poe va in la piàsa ! Ziulàre ól
sarài! Ziulàre e ól faràit a i óltri sotometüi gran
rigolàr! Rigolàr col sbüsà de coltèla in ‘sto visigón
de potestà. Ól padrón sbragarà, i préveti tremberà e
soldait e nodari…”
E cossì ól m’ha catàit la testa, m’ha portàit i labri sòi
dólzi ai mèi et m’ha basàdo. Mé arivàt un tremor
caldo süi lavri… la léngua l’ha mé gh’ha coménzàt a
trilurà a torcejón come ‘na bisa. Parole nòve
slisigàveno rotolando nel mè servèlo. Ogni penzér mé
se revoltolàva… ogni idea mé sortéva capovolzüda.
“Zente! Vegnìt chi lòga!”
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Son corüt a perdefiàt ziò in borgo, son saltà süi
gradón del batistério e ho gridàt: “EHH! Zénte! El
giulàr son mi co’ la léngua stapazervèli! Léngua de
fògo par sbusàre pensér endorménti! Venìt! Venìt!
Par sbusàre! Féve s’ciopàr da le ridàde ogni regola
gnùca che gh’avìt in ‘sta crapa!”
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Traduzione
NASCITA DEL GIULLARE
Ahh... gente... venite qui, che
c’è
i1 giullare!
Giullare che sono io, quello... che fa i salti e che
tràmbula e che... oh... oh... vi ho fatto ridere! Venite
che vi faccio vedere i maggiorenti nudi-denudati e
scoprire come sono gròli e grossi i palloni che vanno
d'intorno a far guerre e a scannare. Ma basta
stapparli, tirargli-toglierli via il piréo e... pff!!, si
sgonfiano,
scoppiano come vesciche dei palloni!
Venite qui che è ora e luogo di fare il pagliaccio per
voi! Tutti intorno a me! Venite! V'insegno una
maniera modo nuovo di stare al mondo. Venite...
venite... Attenti come faccio il saltino intorno…
una cantatina, e faccio i falsetti a saltabecco!
Guardate la mia lingua come gira! Ah... ah... è un
mulinello, un coltello... che tagliai i garretti ai
bugiardi impostori! Ma all’improvìso mi prende il
ricordo- di ricordarmi. In verità io non ero sempre
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stato giullare. È questo che voglio raccontare, di
come sono divenuto buffone ridanciano. Che io non
sono nato d’un fiato caduto-precipitato dal cielo,
e, op! Sono arrivato qui: “Buondì, buonassera!”. No!
Io sono il frutto d’un miracolo! Non volete
credermi? Io sono nato villano. Proprio villano,
contadino. Non avevo tanto da stare allegro: non
avevo terra, no! Ero arrivato (perfino) ad andare a
lavorare a stracciabraccia sotto tutti, in queste
valli... dappertutto.
Dovete
credermi…
datemi
confidenza
retta
(ascolto) abbiate fiducia in me: non sono nato
giullare. Non è nemmeno capitato che mia madre
guardandomi
bambino
stravaccato
-disteso-
coricato) nella culla che ridevo a ganascia: “Ma che
bèlla faccina simpatica... oh che cara. Allegria mi
fai! Pagliacciolino ridente! Guarda, da grande ti
faccio fare il giullare!”.
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No! E nemmeno è capitato che mi sono sia
specchiato-rimirato dentro il culo di una padella
lustra che mi faceva da specchio, cossì che a
guardarmi: “Ohi che occhi luccicanti di allegrezza
che spargono-spandono luce felice da-in ogni
luogo! Vado a fare il giullare! Sono proprio
simpatico, spendido-splendente!”. E nemmeno è
capitato che il Dio Padre Eterno, che viene sempre a
spiare fuori dalla nuvole... che non ha niente da
fare… rimira il suo creato, la terra… e beato grida:
“Oh! Che bèlla terra che ho fatto! Oh! Che bei
alberi che ho fatto! Oh! Che bèlle montagne che ho
fatto! (Cambia tono) E chi è quello? È un contadino!
Con quella faccia! Simpatica! Getta la vanga, mollalascia ‘sta terra e vai a fare il giullare e non rompere
i coglioni!”.
No, no, non è stato lui! È stato suo figlio Jesus.
Un miracolo!
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Non vado ciarlando raccontando ciarle-balle, ve
lo giuro! Un miracolo proprio di lui: Jesus Cristo in
persona. È lui che mi ha fatto divenire giullare!
Non mi credete? Lo so bene! Allora ve lo vado a
mostrare! D’accordo?
Dunque, una mattina che era ancora scuro, che il
cielo era ancora nero... il sole non era ancora
cresciuto-salito-montato e io andavo curvo con la
zappa, piccone a zappare, e il mio sudore era la
prima acqua che la terra beveva.
Ero triste, non avevo terra mia, per me. A sera
tornavo a casa ubriaco... stanco morto, con gli occhi
sbiancati dalla luce e neanche la voglia di giocare
con i miei bambini, fare giochi con la ragazza mia,
moglie mia a fare l’amore, mi allungavo coricavo
stravolto stordito sul letto... un paglione... e mi
addormentavo. No che non mi addormentavo!
Svenivo! E nella notte nel mio sonno non c’erano
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sogni. Chicchirichì! Maledetto,maledizione! Di
nuovo a faticare!
Ma un giorno tornando dal campo attraverso la
riva del fiume in cerca di qualche granchio di fiume,
ho perso il cammino e, di botto (all’improvvisodi colpo ), mi sono trovato davanti a una montagna
nera che non conoscevo. Tremenda, alta.
E
ho
domandato
a
un
fratello
contadino:
“Compagno, di chi è questa montagna nera,
impervia?”
“Di nessuno!”
“Ma può essere che non sia di nessuno, una
montagna cossì grande?!”
“Non vale niente! È solamente pietra nera, un
mucchio di sassi vulcanici. La chiamano: la cagata
del diavolo!”
“Deve aver avuto un gran mal al culo nel cagare ‘sta
cagata il diavolo!”
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E io sono andato fin su... arrampicandomi gattoni
su un dosso raspando con le unghie e ho scoperto che
c’era una briciola di terra, l’ho odorata: dolce,
grassa. Sono andato subito dalla mia femmina, la
femmina mia a casa. Giunto, l’ho chiamata in
quartiere- cortile, gridando di allegrezza... ha preso
su la zappa, il secchio e mi è venuta appresso con i
bambini.
Giunti sul dosso senza nemmanco prendere fiato, ha
cominciato a zappare dappertutto la terra e poi
discendere alla riva del fiume a prendere
secchi di terreno. Siamo andati anche al cimitere,
siamo andati a rubare terra ai morti! Bèlla la terra
delle tombe vecchie! Grassa! E si montava carichi di
secchi e si spargeva ‘sto terreno-letamoso… giorno
dopo giorno, si approntavano gradoni… una
scalinata di gradoni! E portare terra dentro il
grembiule!... Tutti a lavorare, anche i bambini.
Contenti!
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E mia moglie, bèlla, bianca che è dolce…
mogliettina mia, un portamento da regina! Andava
con ‘ti panieri contenta, occhi lucenti, le zinne
tonde, dure… che quando si muoveva correndo
ballavano come campate che suonavano a festa: DIN
DON DIN! Oh... se è bèlla! E cossì svelta, che con un
vaso riempito d’acqua sul capo andava che pareva
una madonna col cerchione (l’aureola) d’oro e
nemmenco una lacrima si versava dal secchio!
Dolce amore mio!
E cantava! Cantava tanto bene che la sua voce
diritta nel cervello arrivava!
Oh dolce piacere!
Giorno dopo giorno, luna dopo luna, siamo arrivati
a montare (creare) tanti gradoni che pareva la
Torre di Babèle! Ma non c’era l’acqua... si facevano
buchi per sondare ma non sortiva uno sputo. Ci
toccava discendere fino al fiume avanti e indietro,
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avanti e indietro, tutti, moglie e figli, con secchi e
secchi, ma sempre secca diventava la terra.
Un giorno sono andato col piccone in spalla in cima
a ‘sta montagna bestemiando: “Dio! Maledetto!” e
pieno di rabbia ho picchiato una botta a zappata
nella pietra: PIUM! STCIUM! È sortita una gran
sbroffata (un gran getto) d’acqua che mi ha
innondato. “Oh Signore, grazie! Bisogna proprio
bestemiarti perché tu faccia miracoli, Dio santo!”
Zampilli d’acqua che sbottavano dappertutto... e
gorgogliavano giù per la scarpata da ogni
terreno!
Mia moglie è scoppiata in lacrime... con un pianto di
gioia e i bambini impaltati (infangati) sguazzavano
come pesci in fregola...
“Grazie! Grazie Dio!”
Un
profumo
dolce
si
spargeva-diffondeva
dappertutto... e l’erba che subito sortiva spuntava
(nasceva)! Ho piantato un seme di ségale, non ho
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fatto a tempo da voltarmi che TAC!,: un button di
fogliettine spuntavano sono spuntate! Era terra
d’oro!
Una sera mi sono dimenticato la zappa piantata nel
terreno; il giorno appresso sono tornato: era fiorita!
La zappa fiorita!
Alberi che sortivano frutti, uccelli, profumi, il
grano, il frumento... Oh! Che piacere! Sono andato
incontro al cielo rosato, col solo che stava calando
dietro ai monti e ho detto: “Dio! Lo conosco (so)
bene che sei dentro il sole in questo momento e ti
ringrazio del dono grande che mi hai fatto con ‘sto
miracolo. Ti sarò riconoscente e cercherò col sangue
di metterlo a buon profitto. Te la farò divenirediventare
un paradiso terrestre ‘sta terra, stai
sicuro. Amen!”
Passavano i contadini e dicevano: “Che culo che hai
avuto! Da una montagna secca, hai tirato fuori il
giardino di un pascià!” E invidia avéano.
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Sono lì nel campo, volto la testa e lì ti scorgo, sul suo
cavallo il padrone di tutta la valle che mi guardava.
Girava gli occhi intorno e mi guardava… e poi
sbotta a dirmi: “Ohi, ‘sta meraviglia di montagna
fiorita! Chi è che la tratta in piedi? Chi è che l’ha
fatta?”.
“Io, signore! Io, l’ho fatta, zolla su zolla l’ho portata
e fatta a gradoni... Io! Anche l’acqua che non
c’era... me la sono - l’ho scoperta… fatta
sputare fuori! Mia è ‘sta terra che non era di
nessuno!”
“Roba di nessuno è una maniera di dire che non
esista. Qui, se non lo sai, per tutta la valla, anche il
fiume, terra, pietre, tutto ha un padrone… e io, sono
quello! Padrone anche dell’aria che tu respiri.”
“Ma ho domandato intorno... ‘sto monte lo
chiamano la cagata del diavolo proprio per dire che
nessuno l’ha mai voluto. Nemmanco voi padrone.”
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“Può darsi... un tempo… ma adesso ci ho ripensato.
È mia!”
S’è fatto una risata e via che è andato col cavallone!
Qualche giorno aprèso, vedo in fondo il prete, che
arrivava abbigliato tutto in nero, sudato col
fazzoletto che si sgrusàva asciugava-tergeva
faccia e collo… e fin da lontano mi gridava urlava:
(in grammelot imitando il latino) “Contadino, villano
caro, in pax tua vengo per dissolvere la tua
imprudenza e presunzione di pensare che tu possa
possedere la proprietà di un terreno. Nessuno è
libero di possedere in ogni palmo di terra che ha
una sola proprietà che il Papa e l’Imperatore
hanno affidato a ‘sto maggiorente unico e tu
figliolo mio devi cedere in santa pax domine!”
Come è stato vicino, gli ho dato una zappata che per
poco non l’ho inchiodato, lui, insieme al suo asino
che montava! Poi mollando-dando pedate coi
tallon sulle palle del ciuccio, andava saltelloni
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bestemiando in una maniera che mi sono fatto il
segno della croce!Due giorni appresso arriva su il
notaio con una bèlla mula grossa, con un gran culo...
lui, il notaio con un culone anche lui che quando è
disceso dal cavallo non si capiva se era fosse
sceso... il culo di lui o quello della mula!
Ha srotolato una pergamena lunga e scura piena di
segni
e
segnini,
sbirolìzzighi,
sghiribizzi-
scarabocchi svirgolamenti e croci, e ha detto
sputando parole come una litania senza fiato: “Mio
caro amico, lo so bene e di do fiera ragione del fatto
che per il volgo era sconosciuta alcuna possessione di
‘sto monte, ma dando un’occhiata a ‘ste carte di
pergamena antica, si scopre chiaramente che ‘sto
luogo
terreno
era
possessione
del
re
che
governava ‘sto regno, Boesio I, che avéa avuto un
figlio carnale al quale avéa donato tutta la terra di
qua di ‘sto fiume; la parte di là dal fiume l’avéa
donata alla badessa del convento che poi era la
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madre di suo figlio carnale. Ma è capitato nell’anno
Domine duecento che per un gran temporale il fiume
è strabordato dagli argini e si è diviso metà da un
canto (lato), metà dall’altro in due corsi, lasciando
in mezzo un’isola con sopra un monte nero. Il monte
in questa maniera non era di nessuno. Ma
adesso che il fiume è tornato nel suo letto naturale,
ecco che il monte ritorna anche lui al suo padrone
naturale che è il nostro principe che te la domanda
chiede. Dunque daglielo indietro!”
Gli ho dato una botta, una morsicata sul culo di ‘sto
notaio che è partito lui e la sua mula! “Di queste
braccia è la terra! No che non la do a nessuno!”
Solo che un giorno è arrivato il signore padrone con
i suoi soldati. Gli sbirri.
Noi eravamo nei campi a lavorare, con i bambini,
mia moglie e i suoi soldati mi hanno preso, allargato
le braccia e mi hanno tenuto fermo. Il padrone si è
calato le brache, ha preso mia moglie e la sbattuta
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per terra come una manza: le ha stracciato le
sottane... allargato le gambe, gli è saltato sopra, l’ha
montata come fosse una vacca. E tutti i soldati
ridevano.
I bambini mi guardavano con occhi sbarrati...
sbiaditi. Guardavano la madre... guardavano me. E
io mi muovevo, mi sono liberato, ho preso una
zappa, ho gridato: “Disgraziato! Prendi!”.
“Fermo figlio! Fermo! - mi ha gridato mia moglie Non dargli il pretesto di accopparti. Non aspettano
altro. Tu giustamente pensi di crepare piuttosto che
spiaccicare il tuo onore... ma tu non hai onore.
Onore l’hanno solamente chi ruba, possiede,
denaro, terre! Noialtri senza roba non abbiamo
onore! Nostro onore è la terra! Salva la terra, tieni la
terra e sputagli su ‘sto onore!”
E io ho sbandato, ho mollato-lasciato cadere la
zappa a terra.
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I soldati sghignazzavano con fracasso: “Becco,
coglione, senza dignità... Gli hanno montato la
femmina e lui sta lì inciulinàt imbambolato come
un lifròch!”.
Il signore è montato a cavallo e dietro a lui si
incamminavano i suoi sbirri. “Adesso te la puoi pure
tenere la tua terra. Me l’hai ben pagata!” e rideva.
I figli non mi guardavano. Siamo tornati come manzi
alla casa.
La moglie andava avanti, non guardava.
Io non guardavo. n
Nessuno si guardava.
Quando poi mia moglie è discesa in paese per fare
scorta di masserizie, la gente al suo passaggio si
scansava. Nessuno che le dicesse buongiorno, come
se non la vedesse nessuno.
Nemmeno in chiesa la rispettavano. Il prete poi, ha
tenuto una omelia su Cristo che maledisse le
fornicatrici.
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Una notte la notte appresso mia moglie gridando è
partita correndo su per la montagna... saliva
ridendo... sbatteva le mani, cantava a perdifiato con
parole da svergognata.
Matta era.
“Ferma!
Fermati
amore!
Torna
indietro
col
cervello... a me non importa... sempre il mio amore
sei per me!”
Non mi dava retta. È sparita. Non l’ho mai più vista.
I bambini non dicevano parole, (stavano zittti- non
parlavano) non giocavano, non ridevano, no’
piangevano. Giorno dopo giorno smagrivano:
morti! Uno dopo l’altro, morti sono!
Solo sono restato... unico cristiano su ‘sta terra
bruciata... che i soldati avéano dato fuoco anche alla
casa.
Imbesuito non sapevo cosa fare. Una sera ho preso
un pezzo di corda, l’ho lanciata su una trave, l’unica
restata sana tra i muri affumicati... ho fatto un
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groppo (nodo), me lo sono sistemato intorno al collo
e ho detto: “Dio che anche nello scuro della notte
guardi gli uomini attraverso i mille luccichii delle
stelle, per quale gioco maledetto, Signore, tu mi hai
dato ‘sto dono caricandomi di speranza... per poi,
appresso, rovesciarmi stravacarme nella merda
della disperazione?! Tu dovevi dirmelo che era per
segnarmi col ferro rovente e dare testamento chiaro
che chi comincia (nasce) da villano-contadino
poveretto sempre uguale deve restare... la medesima
condizione,
non
farsi
speranze
né
sogni
di
presunzione! Signore ti dico che è stato gran
sbeffeggiamento crudele questo di farmi provare
qui, in terra il paradiso, per poi ributtarmi con uno
spernacchio giù, all’inferno, senza pietà! E allora ti
voglio dire che ‘sta vita di merda che mi hai dato, io
te la ritorno indietro. Tieni ‘sta vita!”
Faccio per lanciarmi impiccato, mi sento appoggiare
una mano qui sulla spalla, mi volto e c’è un giovine
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con i capelli lunghi... spettinato... la faccia pallida...
gli occhi grandi, dolci e tristi che mi dice: “Potrei
avere un poco da bere che ho sete?”
“Ma ti pare il momento di venire a domandarmi da
bere a uno che sta per impiccarsi? Ma dov’è è la
creanza (l’educazione)?” Gli do un’occhiata... avéa
una faccia da povero cristo anche lui. Appresso a quello
ci sono altri due disperati: uno con i capelli e la gran
barba bianca e l’altro senza barba… magri e smorti
(pallidi) che parevano lavati nella calcina... con la faccia
patita.
“Avete altro che bisogno di bere voialtri! Da mangiare
ci vuole! (Fa il gesto di togliersi il cappio dal collo)
Bene, vi do un po’ da mangiare e poi mi impicco!”
Vado... cerco sotto un’arcone restato in piedi: fave
solamente ho trovato e due cipolle. Le ho cotte bollite.
Ho riempito tre ciotole - bacinelle e gliele ho date.
Mangiavano con una golosia da affamati. Da poi che
hanno mangiato, quello giovane di figura svelta e con
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gli occhi grandi, sorridendo mi dice: “Grazie del vostro
cibo! A te, viene in menti chi possa essere io?”
Lo guardo bene: “Mi pare che tu... quasi... sei Jesus
Cristo!”
“Bene! Hai indovinato! Questo è Paolo e l’altro è
Pietro.”
“(China il capo in segno di saluto) Piacere! E cosa
posso fare ancora per voi?”
“È abbastanza (sufficiente) quello che ci hai dato col
mangiare. Io ti conosco contadino, io so cosa ti è
capitato, cosa hai fatto tu... la fatica per far fiorire ‘sta
montagna sbroffata-soffiata fuori dalle chiappe del
diavolo. I balzelùn-gradoni tirati su da sanguinarti le
mani e le dita, tue e di tua moglie e dei tuoi figli... E la
violenza del signore sulla tua donna come fosse una
manza da incarcare... Tutto per l’orgoglio di non
lasciare ‘sta terra! Buona forza, coraggio... bravo
uomo hai dimostrato di essere! Ma è giusto che tu sia
finito cossì... a ‘sto modo.”
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“(Tono risentito del contadino) Per quale ragione,
Cristo?!”
“Perché l’hai tenuta tutta solamente per te la terra e non
l’hai spartita con gli altri contadini, strepenati miseripoveri come te!”
“Ma cosa dici?! Spartire con gli altri un fazzoletto di
terra che non era nemmeno abbastanza per me e per la
mia gente?!”
“Piano furbacchione, di tutta la montagna tu non
adoperavi che un fazzoletto... però un fazzoletto
grande! E tutta la scarpata di là e il fiancone di ponente?
Non potevi dire: “Venite gente... se volete lavorarlo
come ho fatto io, è vostro! Triste resta l’uomo che si
tiene chiuso-serrato. Guardati intorno: è venuto
qualcuno a offrirti una mano... a darti conforto? Se non
spalanchi le tue braccia agli altri come puoi sperare che
gli altri allarghino le loro per abbracciare te?
Dimmi villano-contadino... sei andato intorno per
casali... le case dei paion i fienili a raccontare agli altri
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disperati la tua storia? No? Bene, ora di agli altri
quello che hai passato... digli del padrone... cosa ti ha
fatto, digli del prete col suo latino... del notaio! E poi
ascolta cosa ti raccontano loro.
arriva troppo di colpo!!!
Impara a ridere! A tramutare anche lo spavento in risata,
impara a rovesciare le parole sacre di ogni legge.
Ribaltare col culo per aria quelli che fanno imbrogli per
ciulare-fregare
voi,
coglioni!
Fa
sberleffo
dei
padroni... e fa che tutti sbrofa-scoppino in gran
risate… che ridendo ogni paura si discioglie.”
“Ma io non so, non so dire parole rovesciate... Non
sono capace di far scoprire la bugiarderia dei
maggiori e non so fare il controcanto da buffone... e
nemanco filastrocche a torciglione beffardo che la
lingua mi si inceppa dentro i denti, col cervello che
tengo, ubriaco dal sole e dalla fatica!”
“Hai ragione. Ci vuole il miracolo!”
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Mi ha preso per la crapa-testa, mi ha tirato vicino alla
sua faccia e mi ha detto: “Io Jesus Cristo da ‘sto
momento ti do un bacio sulla bocca lungo da toglierti i
fiato e tu sentirai la tua lingua frullare a cavatappi e poi
diventare come un coltello che punta e taglia...
smuovendo parole e frasi, concetti chiari come il
vangelo. E poi vai nella piazza! Giullare sarai!
Giullare e farai agli altri sottomessi gran ridere!
Ridere che buca di coltello in ‘sto visigón de potestà.
Il padrone sbragherà, i preti tremeranno e soldati e
notai...”
E cossì mi ha preso la testa, ha portato le labbra sue
dolci alle mie e mi ha baciato. Mi è arrivato un
tremore-brivido caldo sulle labbra... la lingua ha
cominciato a trillare-ballare-girare a torciglione come
una biscia. Parole nuove scivolavano rotolando nel mio
cervello. Ogni pensiero mi si rivoltava... ogni idea mi
sortiva capovolta.
“Gente! Venite qui!”
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Sono corso a perdifiato giù nel borgo, sono saltato sui
gradoni del battistero e ho gridato: “EHH! Gente! Il
giullare sono io con la lingua stappacervelli! Lingua di
fuoco per bucare pensieri addormentati! Venite! Venite!
Per bucare! Fatevi scoppiare dalle risate ogni regola
ottusa che avete in ‘sta crapa-testa!”897
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DA presentazione matto sotto la croce
Cambia la situazione: vediamo il matto sotto la
croce; Cristo è già inchiodato sui legni, gli uomini
che l’hanno issato sul traversone stanno giocandosi
la tunica del Gesù. Naturalmente il matto è della
partita, è seduto con loro e sta dando le carte :
punta, rilancia e, come sempre, perde, ci rimette
quasi le braghe. All’istante si alza, va sotto la croce (
indica e descrive) immaginate la croce piantata qui...
il Cristo issato lassù, rivolto da questa parte, dove
stanno i giocatori. Il matto chiama Gesù, gli fa cenni
e riesce a guadagnare la sua attenzione, gli parla: “
Scusa se ti vengo a rompere le scatole...hai già
abbastanza rogne per conto tuo, ma dovresti farmi
un favore, un piccolo miracolo: farmi vincere! Io
non ci sono mai riuscito. Fammi provare ‘sta
soddisfazione , almeno una volta!”. E’ ovvia
l’allegoria del popolo minuto, sempre perdente. “
Aiutami... dammi la furbizia, la scaltrezza e una
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fortuna da far schifo! Fammi un segno se ci stai.”
All’istante intuisce che Cristo gli ha fatto segno di si.
Il matto fuori di se dalla gioia torna ad accovacciarsi
fra i giocatori e gioca , vince, guadagna in modo
spudorato
ogni
partita.
Non
s’accontenta
di
acchiapparsi la tunica, si porta via fino all’ultima
moneta tutti i soldi dei crociatori . Gli aguzzini di
Cristo sono allocchiti, il matto si leva in piedi,
afferra una sacca e ne rovescia tutto il contenuto
...una pioggia di monete d’argento. “Tenete, dice,
sono vostre!”
“Da dove spuntano ‘sti quattrini ?”
“ Sono i trenta denari di Giuda, li avéa buttati in un
rovo, lì sotto, prima di impiccarsi a quell’albero. Io
per raccoglierli mi sono scorticato le mani e le
braccia... guardate! Ad ogni modo, sono vostri,
compreso tutto il malloppo che vi ho soffiato al gioco
a un patto, però: che voi mi lasciate tirar giù Gesù
Cristo dalla croce.”
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E quelli rispondono: “Va bene, aspetta che
‘st’inchiodato tiri gli ultimi e te lo potrai portar via.”
“ No, io lo voglio da vivo!”
“Da vivo?
E cosa te ne fai, scatoriciato com’è
ormai?!”
“Sono affari miei”
“Ma tu sei proprio sbirolo di cervello! Appena
arriva il centurione e vede la croce spoglia del suo
appeso, ci attacca noi tutti sui bracci... due di qua e
due di la!”
“Ma chi vi dice di lasciarla vuota la croce, intanto
che io cavo il Cristo di lassù voi scendete dove sta
Giuda impiccato all’albero, lo tirate giù e sulla corda
ci inchiodate lui... tanto su ‘sti legni tutti gli uomini
si assomigliano, s’assomigliano uguali, tutti poveri
cristi sono!”
I crociatori accettano il cambio, si dividono i denari
e, mentre se ne scendono verso l’albero di Giuda, il
matto si procura una scala, l’appoggia alla croce e ci
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monta, ha in mano una tenaglia e, salendo i primi
gradini, dice: “ Sta tranquillo che in quattro e
quattr’otto ti stacco di lì”. ma Gesù cristo rifiuta
d’essere liberato perché dice “ ... il sacrificio
dev’essere consumato. Se io non muoio sulla croce,
gli uomini non saranno mai liberati dal peccato
originale ”. Il matto, se pur sorpreso, non demorde e
pur di convincerlo a scendere di lì polemizza e
smaccatamente lo provoca.
“Cosa sei venuto a fare quaggiù? Ad insegnare a noi
che sempre siamo in croce a morie sulla croce? Di
altre
lezioni
avéamo
bisogno...
ben
altri
insegnamenti!”
E l’insegnamento a cui il matto allude lo sentiremo
recitato fra poco. la lingua giullaresca usata dal
matto
è piuttosto dura, non facile ad essere
compresa... una specie di Grammelot, ma ritmi,
gestualità e cadenze vi aiuteranno a comprendere il
senso logico di tutto il discorso.
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Comincio dal gioco delle carte sotto la croce
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 DA IL MATTO SOTTO LA CROCE
PRIMO CROCIATORE Adèso ghé inciudém i pie.
SECONDO CROCIATORE Són già chi mi che ól
fago. Montéghem ün sü l’óltro che se respàrmea ün
ciòdo! (Botti e grida)
Chi a terra, i giocatori mimano la partita con
dadi e tarocchi.
Il matto gioca ai dadi e ai tarocchi e vince la
tunica di Cristo, le paghe e tutto quello che
posseggono... anelli... ori... dei "crociatori".
MATTO Oh, se vorsìt tüti indré i vòst palànchi, mi
a ve i lasi de voluntéra… cumprés la culàna, i uregìt,
l'anèlo... e varda… agh tachi ancmò quèst.
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PRIMO CROCIATORE E par tüta ‘sta ròba cus te
vorarèset in scàmbi?
MATTO Quèl là... (indica il Cristo).
SECONDO CROCIATORE Ól Cristo?!
MATTO Sì, veuri che m'ól lasì stacàl via de la cròse.
CAPO DEI CROCIATORI Bòn: pècia c'ól meura e
a l'è tò...
MATTO No, mi ól veuri adès che l'è ancmò vivo.
PRIMO CROCIATORE Oh mat de tüti i mati... at
vorèste che de contra a gh'àbiüm de sfurnì inciodàt
tüti nünch e quatàr al so' rempiàz?
MATTO
No, no' avérghe pagüra, che no' av
capitarà nagòta a vui: abastarà che agh pìcum su
un'ólter al so' pòst… vün de la sua tàja, e at vedarèt
che no' s'incorgerà niùn d'ól scambi... che intanto su
la cròse a se insomègen tüti.
PRIMO CROCIATORE
Quèst l'è anco vera...
inscurtegàt in '‘sta manéra peu, che ól par un pèss in
gratiróla...
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CAPO DEI CROCIATORI Ól sarà vera, ma mi no'
ghe stago. E peu, chi ti gh'avarìat in mént de tacàghe
d'ól rempiàz?
MATTO Ól Giuda !
CAPO DEI CROCIATORI Ól Giuda? Quèl...
MATTO
Sì, quèl so' apòstul traditùr che ól s'è
impicàt pendùt per disperaziün al figo de drio a la
sces, sinquànta pas de chi.
CAPO DEI CROCIATORI
Meuves, de corsa,
andém a sbiutàl che ól gh'avarà ancmò in sacòcia i
trenta denari d'ól servìsi...
MATTO No, no' stit a disturbàv... che intànt quèi i
ha bütàd via de sübet in mèz a un rosc de spin.
CAPO DEI CROCIATORI Me fàit a savèl ti?
MATTO Ól sago, imparchè i gh'ho catàt mi quei
dinari, vün par vün. Vardì chì che brasi sgurbiàt che
am sunt cunsciàt...
CAPO DEI CROCIATORI No' m' interèsa i brazi...
faghe vedè 'sti dinàri. (Matazzone mostra i denari)
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Ohi, ohi, e tüti d'arzénti... va' bèli... me i pésa, e i
sòna...
MATTO Bòn, tegnìvei, i è i vòster anca quèli, se
'gnit d'acòrdi d'ól scambi. Par mi... mi agh sont
d'acòrdi.
CAPO DEI CROCIATORI Anca nujàrtri...
MATTO
Bòn, alóra andìt de prèscia a tòrve ól
Giuda impicàt pendüt, che mi agh pénsi a tirà de
baso ól Crist...
PRIMO CROCIATORE E se arìva ól zenturión e at
cata in d'ól scrusaménto?
MATTO Agh dirò che a l'è stat una penzàda de
mi... che peu sont un mato… e che vui non gh'avét
colpa niùna. Ma no' stit chì a pèrd ól tempo, andìt...
CAPO DEI CROCIATORI
Sì, sì... andèm… e a
sperém che no' ghe pòrten rogna, 'sti trenta dinàri.
(I soldati escono di scena).
MATTO Bòn, a l'è fada. Ohi, me par gnanca vera:
sunt inscì cunténto... Gesú, tégn dur, che a l'è 'rivàd
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ól salvamént... töi e tenàie... ècoe. Ti no’ l'avarèset
gimài dit, ah Gesú, che ól sarèse 'gnüd a salvàrte
impròpri un mato... ah ah... 'pècia che imprima at
ligarò con '‘sta coréza, agh fagarò in un mumènt...
no' èghe pagüra che no’ te fagarò mal… at fagarò
'gnir giò dolze 'me ‘na sposa e peu at cargarò in le
spale, che a mi a sont fort 'me un beu... e via de
vulàda! At porterò giò al fiüm, che lì a gh'ho un
barchèt, e cont quàter palàdi ól travèrsum ól fium...
E prima che végna ciàro as truerèm bèli 'mé ól sol, a
ca’ d'un mè amiso stregón c'ól te medegarà e at
fagarà guarì in trì dìe. (Pausa) No' ti veuret? No' ti
veuret ól stregón...? Bòn, andarèm da ól médego
onguentàri, co a l'è un mè amigo fidàt anca quèlo, de
mi. Ne manco quèlo? Se te veuret alóra? (Pausa)
Nagót... no' at veuret miga che at stciòdi? Ho capìt...
at gh'hàit la convinziùn che con 'sti beuci in di mani
e in di pìe, tut instcincà 'n di ligadür 'me t'han
cunsciàt, no' ti serà pì capàz de andà intórna, ni de
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imbucàt de par sòl. No' ti vol star al mùndo a dipènd
da i olter 'mé un disgraziàd? Gh'ho indovinàt?…
No' l'è nemànco par quèlo? O sacrabiòt... e par qual
razón dònca! (Pausa) P'ól sacrifizi? Se te dìset cos'è?
Ól salvamento? La redenziün... cos te strapàrlet
cosa? O poveràz!... Asfìdo mi... at gh'hàit la féver...
sent 'me te büjet... Bòn, ma adès at tiri giò, at quarci
bén con la tònega... chì, perdónam se am permèti,
ma at sèt un bèl testón... a vores miga es sarvàt? At
veuret propri murìr su 'ste trave? (Pausa) Sì...? Par
ól salvamént di òmeni... Oh, quèsta a l'è de no'
crédarghe!... E peu a i dìsen che ól mato a son mi...
ma ti am bati de mila pértighe a vantàgio, caro ól mè
fiòl Gesú! E mi che a sont stàit a scanàm a ziogàr a e
carte tüta la nòte par peu avérghe '‘sta gran bèla
satisfazión! Ma sacragnón, ti at sèt ól fiòl de Deo,
no? Mi al cognósci bén, fam la corezión se a sgaro:
bén, dònca, d'ól mumènt che ti è Deo, t'ól savarèt
bén ól resultàt che ól gavarà daspò 'sto to’ sacrifìzi
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de crepare incrusàt... Mi no' son deo e nemànco
profeta: ma m'l'han cuntàd la smortìna '‘sta nòte, in
fra i làgreme, 'mé ól 'gnirà a furnì. In prima at
fagaràno 'gnir tüto induràt, tüto d'oro, dal có fino ai
pìe… daspò 'sti ciòdi de fèro i t'ei fagaràno tüti
d'arzénto, i làgrem egnaràno tochèti sluzénti de
diamante… ól sangu che at góta de partüto ól
stciambieràno cont una sfilza de rubini sbarluscénti,
e tüto quèst a ti, che t'hàit sgulàt a parlàg d'la
povertà. De giunta '‘sta tua croze dulurüsa e la
picheràn in dapartüto: sóra ai scudi, su e bandére de
guèra... su e spade a copàr zénte, 'me i fudès vidèli...
a copàre parfìn in d'ól nome de ti... ti, che t'hàit criàt
che a sémo tüti fradèli, che a no' se deve masare. Ti
gh'hàit üt un Giuda giamò… Bòn, ti n'agarà tanti
'me furmìghe de Giuda a traìrte e a duvràrte par
impagnutà i cojóni! Dam a tra'... no’ val la pena...
(Pausa) Eh? No' saràn tüti traiùri? Bòn, fam
inquàlche nom: Franzèsco ól beàt... e peu ól Nicola...
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san Michel tàja mantèl... Domenich... Catarina e
Clara... e peu... d'acordo… metémeg anca quèsti: ma
i saran sémper quàter gatt in cunfrùnta al nùmer di
malnàt... e anco quei quàter gatt i se trovaràn
‘n'altra veulta compagni che i t'han fàit a ti, dòpo
che i gh'avaràn schischiàdi de vivi. (Pausa) Ripèt,
scusa, che quèsta no' la gh'ho capìda... Anca se an
fudèse vün zol... si anca un òmo dumà in tüta la tèra
dégn d'ès salvàd imparchè ól è un giusto, ól to’
sacrifìzi n'ól sarà stàito fàit par nagòt... Oh no: no,
alóra no’ gh'è pü speranza… at sèt impròpi ól cap di
mat... at sèt un manicòmi intrégo! La zola veulta che
ti mè gh'ha piazüdo, Jesus, l'è stàit la veulta che sèt
‘rivàt in gésa che i fasévan mercàt e t'è scomenzà a
sfruntà tüti col bastùn. Ohi che bèl véd... quèl l'éra
ól to’ mestè... Miga ól crepà in cróse par ól
salvaménto! Oh Segnor Segnor... am vegn de piàng...
a no’ créderghe, a piàngi d'inrabìt...
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Rientrano i soldati
CAPO
DEI
CROCIATORI
Ohi
Matazón,
disgraziàt! No’ tl'hàit ancmò tirà a baso a quèl?
S't'hàit fàit cos'è infìna adèso, a t'hàit dormìt?
MATTO No che no' gh'ho dormìt... gh'ho üt dumà
un ripenzamént... A no' vojo stciodàrlo plü 'sto
Cristo... a l'è mejór ch'ól resta in cróse.
CAPO DEI CROCIATORI Oh bravo… e magàra
adèso at vorarèste indrìo tüta la cavàgna di ori e di
dinàri... ohi che furbaso! Ti gh'ha mandàdi a fare i
fachìni a torte 'sto Giuda impicàt sojaménte par
farte 'na ridàda? No, caro Matazón! Se ti voi indrìo
la tóa ròba, at la duarèt vénzer de nòvo a i taròchi!
Justa... a '‘sta zola condizión.
MATTO No, mi no’ gh'ho vója de ziogàr. Tegnéve
'mpùre tüto... dinàri, ori, oregìni, che mi no' ziogarò
gimài plü in '‘sta vita... Ho vinzùt par la préma
veulta '‘sta nòte, e me gh'ha bastàt... (Parla tra se)
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Anco par un òmo zol col sébia degno ól val la pena
de morir in cróze! O se l'è mato... l'è mato ól fiòl de
Deo! (Al Cristo) Picà, picà tüti, l'éra ól to’ mestè, tüti
quèi che fan mercàt in gésa: làder, balòs, impustùr e
furbacióni:
fe24 febbr aio 1999
Gioco del matto sotto la croce
PRIMA VERSIONE
In scena il matto, alcuni soldati e quattro crociatori.
Sul fondo della scena viene steso un lenzuolo. In
controluce vediamo Gesú, che costretto dai soldati, si
spoglia.
MATTO Dòne! Ehj dòne inamorate d'ól Crist, 'gnit
a lustràrve i ögi! 'Gnit a vidèl bèlo snùdo ch'ól se
sbiòta, ól vostro moróso... dòi palanchi par
sguardàda, egnìt dòne... Oh che l'è bèlo de catà! A
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disìu che a l'éra ól fiòl de Deo: mi am parès col sébia
iguàl a un altro òmo, par tüto cumpàgn!... Doi
palànchi, dòne, par sguardàl! Agh n'è niùna ch'as
vòja tor 'sto sfizi par dòi palànchi? Bòn, l'è dì de
festa incoeu... am vòi ruinàrme... Végn chi te, ch'at
ól fagarò vidè a gratis... Ohi che smòrbia... vègn scià!
No' perd 'st'ocasión... No' ti è ti quèla, la Madaléna
tanto inamorùsa de lü che, no' truànd mantìn ni
salvièta par sugàrghe i pìe, ti gh'li ha sugàd con i to'
cavèi? Bòn, pég par vui: che adès, par lége, a
duarèm cuarciàl covèrto in s'ul pecàt... con t'un
scusarìn c'ól somegiarà a 'na balerìna!
L'è a l'órdin ól cap di còmichi?
Tira su ól telün che andarèm a incomenzàre ól
spectàcol: scena prima: ól fiòl de Deo, gran cavajér
cont la corona, ól monta a cavàlo... un bèl cavalòt de
légn par andà a torneo in giòstra. E par fà che n'ól
bòrla in tèra... a l'inciodarèm sóra la sèla... man e pìe
!
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CAPO DEI CROCIATORI Móchela de fà ól paiàso
e 'ègn chì a dagh 'na man... Tàcheghe 'na corda ai
pols, vün par part, c'ól se slónga de polìto... ma
làseme sgumbràt e palme, ch'as pòda filzàrghe i
ciòdi. Mi agh picarò in quèsta de drita, e...
PRIMO CROCIATORE E mi in 'st' óltra. Butème
un ciòdo, che ól martèl a gh'l'ho del mè.
SECONDO CROCIATORE
Ohi che ciodàsc! A
scumèti che in sète martelàde ól pichi déntar tüto?
PRIMO CROCIATORE E mi al farò in sése, at vòj
scumèt?
SECONDO
CROCIATORE
D'acòrdi.
Forza,
slarghìve vui dòi che agh mètum le ale a
'st'angiulòto, ch'al gh'àbia a volàr 'me l'Icaro in d'ól
ziél.
TERZO CROCIATORE Trajèm inséma... Inséma
ho dit!... A m'lo stravachì! Pian c'ól dév restà in d'ól
mèz d'la sèla ól cavajér... Un poc pusé a mi... bòn,
agh son al ségn... propi in d'ól beugio.
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SECONDO CROCIATORE Mi no' agh son miga,
hàit fàit i beugi tròp destànti... rusa ti... forza! T'è
magnà la furmagèla a 'sto mesdì? Sfòrza!
PRIMO CROCIATORE Sì, sfòrza, va a fornì che
agh sciuncarèm i ligadùri de e spale e d'li gùmbet.
TERZO CROCIATORE Ti no' te casciàre, che no' è
miga toe le ligadüre! Rusa! Eh eh, sforza!
Lamento di Gesú sottolineato dal contrappunto
lamentoso delle donne.
PRIMO CROCIATORE Ohj, hàit sentìt ól stcèpp?
SECONDO CROCIATORE Sì, no' l'è stàit bèl... a
l'è un stciòcch col me fa sgrignì i òsi... de contra, ól
s'è giusta slongàd de misüra: adès agh sont ancmì
sóra al beugio.
PRIMO CROCIATORE Bòn, tegnìt in tir la
corda… e ti valza ól martèl che a partìsum insèmbia.
SECONDO CROCIATORE Stagh aténto a mica
picàrte i didi!
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Sghignazzata generale.
TERZO CROCIATORE Slarga 'sto sciampìn che
no' te fagh galìtigo, at següri!… Oh ti varda '‘sta
man, come la gh'ha impruntàt ól rigo de la vita!... A
l'è un ségn tant lóngo che ól parèse che a gh'ha ól
destìn de campàr ancmò sinquant'ani almànco, 'sto
cavajér! Vagh a créderghe a le bàgole de 'e stròlighe,
a ti!
SECONDO CROCIATORE
Stopa '‘sta léngua e
valza ól martèl!
PRIMO CROCIATORE Son prunt a mi!
TERZO CROCIATORE Dàighe alóra... Dààighee
dol prém bòt...
(Tonfo) Ohioa ahh!
Ghe ha sbusà i palmi!
CAPO DEI CROCIATORI (contrappunto dell'urlo
di Cristo) Ohoo, ól trémba da par tüto. Stì calmi!
Daaghee d'ól segùnd bòt!
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Ohaoioaohh!
Ha slargà i osi! Ohoh agh spuda ól sangu a gnòchi.
Dàighe ól terzo bòto!
Ohahiohoh!
'Sto ciòd t'ha sverzenàt.
Ohoh che e dòne no' ti gh'ha gìmai sforzàt.
El quarto t'ól regala i soldàt!
Ohahiohoh!
Che ti gh'hàit dit de no' masàre!
Ohahiohoh!
E i nemìsi 'me fradèli i dovarìa amare.
Ól quinto t'ól manda i vescovi d'la senagòga!
Ohahiohoh!
Che ti gh'hàit dit che i sònt falzi e malarbèti!
Ohahiohoh!
Che i tòi vescovi i sarà tüti umili e povaréti. Ól sesto
l'è ól regalo de i segnòri!
Ohahiohoh!
Che ti gh'hàit dit che i no' anderàn in ziélo!
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Ohahiohoh!
E ti gh'hàit fàit l'exémplo del camèlo.
Ól sètemo t'ól pica i'mpostóri!
Ohahiohoh!, che ti gh'hàit dit, che n'ól cunta nagót
se i préga!
Oohahiohoh!, che i è bòni a fregàr mincióni in tèra
ma ól Segnór, quèl no'l se frega.
PRIMO CROCIATORE
Hàit venciüd mè! At
duarét pagàm de bévar, recórdes.
SECONDO CROCIATORE
Agh bevarémo a la
santità do 'sto cavajér e a la sòa sfortuna! (Al Cristo)
Come av trouvìt, majstà? Av sentìt ben saldo in d'i
mani, sto destrer? Bòn, alóra adeso andarémo in
giòstra, sanza lanza e sanza scudo!
CAPO DEI CROCIATORI Gh'hàit slazàde le corde
dai pólzi? Bravi i me baroni... strenzéghe ben saràda
'‘sta corèza intórna a e spale, che nol débia borlàghe
a dòso in d'ól tirarlo in pìe, 'sto campión! Daspò, 'na
volta inciodàd i pìe a gh'la toiarémo...
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SECONDO CROCIATORE 'Gnì chi tüti... spuéve
in ti mani che a gh'em de 'ndrisàr l'àrbor de la
cucàgna! Viàltri 'gnì inànze co' e corde e féle pasàr
de soravìa a la travèrsa de tranzét... Vegn scià anca
ti, Matazón: monta in co' a la scala, pront a tegnìl.
MATTO Me dispiàse ma mi no' pòdi aidàrve: che
n'ól me gh'ha fàit nagòt a mi, quèlo...
SECONDO CROCIATORE
O baléngo! Ma
nemànco a nojàltri ól ne gh'ha fàit nagót... A l'em
giüsta incrusàt par pasatèm! (Ride sgangherato) Ah
ah, e gh'han dàit de giùnta diése palànche a testa par
ól destùrbo!
Dài, daghe una man che après at fèm l'onür de
giugarghe 'na partìda a dadi cun ti...
MATTO Ah bòn… se a l'è par 'na partìda no' me
tiri minga indré! Sont già su la scala, varda... a podì
scomenzà!
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PRIMO CROCIATORE Brao! Sèm a l'orden tüti?
'Ndém alóra, ruzèm inséma, me aricomàndi... un
strèp lóngo a la volta.
Av dag ól témp:
Ohj izaremo
'sto
Ehiee
penón
de
nave
ohoho
par
fagh
de
ohoho
gh'em tacàd un mato.
Ohj izarémo
Ehiee
'sto palón de festa
cucàgna grosa
Gesú Cristo in cofa.
Ohi che cucàgna!
che la sbüsa ól ziélo
agh piove sangue.
patre nostro ól plange.
Legrìve, legrìve!
Ahaa
drapo
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ch'em trovàt chélo bravo
c'ól s'è fat stciàvo
par vestìrghe da novo.
Loeu… a l'è asè! Me par che ól stévia ben franco.
Bòn... (Al matto) Alóra, tra' feura i dadi che fèm '‘sta
ziogada.
Il matto gioca ai dadi e ai tarocchi e vince la tunica
di Cristo e le paghe dei "crociatori".
MATTO Oh se vorsìt tüti indré i vòst palànchi, mi a
ve i lasi de voluntéra… cumprés la culàna, i uregìt,
l'anelo... e varda… agh tachi ancmò quèst.
PRIMO CROCIATORE E par tüta '‘sta ròba cus te
vorarèset in scàmbi?
MATTO Quèl là...
SECONDO CROCIATORE Ól Cristo?
MATTO Sì, veuri che m'ól lasì stacàl via de la cròse.
CAPO DEI CROCIATORI Bòn: pècia c'ól meura e
a l'è tò...
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MATTO No, mi ól veuri adès che l'è ancmò vivo.
PRIMO CROCIATORE Oh mat de tüti i mati... at
vorèste che de contra a gh'àbiüm de sfurnì inciodàt
tüti nünch e quatàr al so' rempiàz?
MATTO
No, no' avérghe pagüra, che no' av
capitarà nagòta a vui: abastarà che agh pìcum su
un'ólter al so' pòst… vün de la sua tàja, e at vedarèt
che no' s'incorgerà niùn d'ól scambi... che intanto su
la cròse a se insomègen tüti.
PRIMO CROCIATORE
Quèst l'è anco vera...
inscurtegàt in '‘sta manéra peu, che ól par un pèss in
gratireula...
CAPO DEI CROCIATORI Ól sarà vera, ma mi no'
ghe stago. E peu, chi ti gh'avarìat in mént de tacàghe
d'ól rempiàz?
MATTO Ól Giuda !
CAPO DEI CROCIATORI Ól Giuda? Quèl...
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MATTO
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Sì, quèl so' apòstul traditór che ól s'è
impicàt pendùt per disperaziün al figo de drio a la
sces, sinquànta pas de chi.
CAPO DEI CROCIATORI
Meuves, de corsa,
andém a sbiutàl che ól gh'avarà ancmò in sacòcia i
trenta denari d'ól servìsi...
MATTO No, no' stit a disturbàv... che intànt quèi i
ha bütàd via de sübet in mèz a un rosc de spin.
CAPO DEI CROCIATORI Me fàit a savèl ti?
MATTO Ól sago, imparchè i gh'ho catàt mi quei
dinari, vün par vün. Vardì chì che brasi sgurbiàt che
am sunt cunsciàt...
CAPO DEI CROCIATORI No' m' interèsa i brazi...
faghe vedè 'sti dinàri. (Matazzone mostra i denari)
Ohi, ohi, e tüti d'arzénti... va' bèli... me i pésa, e i
sòna...
MATTO Bòn, tegnìvei, i è i voster anca quèli, se
'gnit d'acordi d'ól scambi. Par mi... mi agh sont
d'acordi.
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CAPO DEI CROCIATORI Anca nujartri...
MATTO
Bòn, alóra andìt de prescia a torve ól
Giuda impicàt pendüt, che mi agh pénsi a tirà de
baso ól Crist...
PRIMO CROCIATORE E se ariva ól zenturión e at
cata in d'ól scrusamento?
MATTO Agh dirò che a l'è stat una penzada de
mi... che peu sont un mato. E che vui non gh'avet
colpa niuna. Ma no' stit chì a perd ól tempo, andìt...
CAPO DEI CROCIATORI
Sì, sì... andèm, e a
sperém che no' ghe pòrten rògna, 'sti trenta dinari.
MATTO Bòn, a l'è fada. Ohi, me par gnanca vera:
sunt inscì cunténto... Gesú, tégn dur, che a l'è 'rivad
ól salvament... töi e tenaie... ècoe. Ti no l'avarèset
gimài dit, ah Gesú, che ól sarèse 'gnüd a salvarte
impropri un mato... ah ah... 'pècia che imprima at
ligarò con '‘sta coreza, agh fagarò in un mumènt...
no' eghe pagüra che no te fagarò mal, at fagarò 'gnir
giò dolze 'me na sposa e peu at cargarò in le spale,
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che a mi a sont fort 'me un beu... e via de vulàda! At
porterò giò al fiüm, che lì a gh'ho un barchèt, e cont
quàter paladi ól travèrsum ól fium... E prima che
végna ciàro as truerèm bèli 'me ól zol, a casa d'un
mè amiso stregón c'ól te medegarà e at fagarà guarì
in trì dìe. No' ti veuret? No' ti veuret ól stregón...?
Bòn, andarèm da ól médego onguentàri, co a l'è un
mè amigo fidàt anca quèlo, de mi. Ne manco quèlo?
Se te veuret alóra? Nagót... no' at veuret miga che at
stciodi? Ho capìt... at gh'hàit la convinziùn che con
'sti beuci in di mani e in di pìe, tüt ins'cincà 'n di
ligadür 'me t'han cunsciàt, no' ti serà pì capaz de
andà intorna, ni de imbucàt de par zol. No' ti vol
star al mundo a dipènd da i olter 'me un disgraziad?
Gh'ho indovinàt? No' l'è nemanco par quèlo? O
sacrabiòt... e par qual razón dònca! P'ól sacrifizi? Se
te dìset cos'è? Ól salvamento? La redenziòn... cos te
strapàrlet cosa? O poveràz!... Asfìdo mi... at gh'hàit
la fever... sent 'me te büjet... Bòn, ma adès at tiri giò,
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at quarci bén con la tònega... chì, perdonam se am
permèti, ma at set un bèl testón... a vores miga es
sarvàt? At veuret propri murir su 'ste trave? Sì...?
Par ól salvament di òmeni... Oh, quèsta a l'è de no'
credarghe!... E peu a i dìsen che ól mato a son mi...
ma ti am bati de mila pértighe a vantagio, caro ól mè
fiòl Gesú! E mi che a sont stàit a scanam a ziogàr a e
carte tüta la nòte par peu averghe '‘sta gran bèla
satisfazion! Ma sacragnón, ti at sèt ól fiòl de Deo,
no? Mi al cognosci bén, fam la corezion se a sgaro:
beén, dònca, d'ól mumènt che ti è Deo, t'ól savarèt
bén ól resultàt che ól gavarà daspò 'sto to sacrifizi de
crepare incrusàt... Mi no' son deo e nemanco
proféta: ma m'l'ha cuntad la smortina '‘sta nòte, in
fra i làgrem, 'me ól 'gnirà a furnì. In prima at
fagarano 'gnir tüto induràt, tüto d'oro, dal có fino ai
pìe, daspò 'sti ciòdi de fèro i t'ei fagarano tüti
d'arzénto, i làgrem egnarano tochèti sluzénti de
diamante, ól sangu che at góta de partüto ól
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stciambieràno cont una sfilza di rubini sbarluscénti,
e tüto quèst a ti, che t'hàit sgulàt a parlag d'la
povertà. De giunta '‘sta tua croze dulurusa e la
picheràn in dapartüto: sóra ai scudi, su e bandére de
guèra... su e spade a copar zénte, 'me i fudès vidèli...
a copare parfin in d'ól nome de ti... ti, che t'hàit criàt
che a sémo tüti fradèli, che a no' se deve masare. Ti
gh'hàit üt un Giuda giamò? Bòn, ti n'agarà tanti 'me
furmìghe, de Giuda, a traìrte e a duvràrte par
impagnutà i cojoni! Dam a tra'... no val la pena...
Eh? No' saran tüti traiuri? Bòn, fam inqualche nom:
Franzèsco ól beàt... e peu ól Nicola... san Michel tàja
mantèl... Domenic... Catarina e Clara... e peu...
d'acordo, metémeg anca quèsti: ma i saran sémper
quàter gatt in cunfrunta al numer di malnàt... e anco
quei quàter gatt i se trovaràn n'altra veulta
compagni che i t'han fàit a ti, dòpo che i g'avaran
schischiadi de vivi. Ripèt, scusa, che quèsta no' la
gh'ho capida... Anca se an fudèse vün zol... si anca
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un òmo dumà in tüta la tèra degn d'es salvad
imparchè ól è un giusto, ól to sacrifizi n'ól sarà stàit
fàit par nagòt... Oh no: no, alóra no gh'è pü
speranza, at sèt impròpi ól cap di mat... at sèt un
manicomi intrégo! La zola veulta che ti mè gh'ha
piazudo, Jesus, l'è stàit la veulta che sèt rivàt in gésa
che i fasevan mercàt e t'è scomenzà a sfruntà tüti col
bastùn. Ohi che bèl ved... quèl l'éra ól to mestè...
Miga ól crepà in cróse par ól salvamento! Oh Segnor
Segnor... am vegn de piang... a no créderghe, a
piangi d'inrabìt...
CAPO
DEI
CROCIATORI
Ohi
Matazón,
disgraziàt! No tl'hàit ancmò tirà a baso a quèl?
S't'hàit fàit cos'è infina adeso, a t'hàit dormìt?
MATTO No che no' gh'ho dormìt... gh'ho üt dumà
un ripenzamént... A no' vojo stciodarlo plü 'sto
Cristo... a l'è mejór ch'ól resta in cróse.
CAPO DEI CROCIATORI
Oh bravo, e magara
adèso at vorarèste indrio tüta la cavagna di ori e di
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dinari... ohi che furbaso! Ti gh'ha mandadi a fare i
fachini a torte 'sto Giuda impicàt sojamente par
farte 'na ridada? No, caro Matazón! Se ti voi indrio
la tua roba, at la duarèt venzer de nòvo a i tarochi!
Justa... a '‘sta zola condizion.
MATTO No, mi no gh'ho voia de ziogaàr. Tegnéve
'mpure tüto... dinari, ori, oregìni, che mi no' ziogarò
gimai plü in '‘sta vita... Ho vinzùt par la prema
veulta '‘sta nòte, e me gh'ha bastàt... Anco par un
òmo zol col sébia degno ól val la pena de morir in
cróze! O se l'è mato... l'è mato, ól fiòl de Deo! Picà,
picà tüti, l'éra ól to mestè, tüti quèi che fan mercàt in
gésa: lader, balòs, impustùr e furbacióni: feura, picà,
picà!
DA TRADUZIONE MATTO SOTTO CROCE
VECCHIA
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Il matto giocando a dadi e a tarocchi ha vinto la
tunica di Cristo e la paga dei crociatori.
MATTO Se volete indietro tutti i vostri soldi io ve li
lascio volentieri, compresa la collana, gli orecchini,
l'anello... e guarda, ci aggiungo anche questo.
PRIMO CROCIATORE
E per tutta questa roba
cosa vorresti in cambio?
MATTO Quello là... (indica il Cristo)
SECONDO CROCIATORE Il Cristo?
MATTO Sì, voglio che me lo lasciate staccare dalla
croce.
CAPO DEI CROCIATORI Bene: aspetta che muoia
ed è tuo.
MATTO No, lo voglio adesso che è ancora vivo.
PRIMO CROCIATORE Oh matto di tutti i matti...
vorresti che per giunta finissimo tutti noi quattro al
suo posto?
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MATTO No, non aver paura che non vi capiterà
niente a voi: basterà che attacchiamo un altro al suo
posto, uno della sua misura, e vedrete che non si
accorgerà nessuno dello scambio... tanto sulla croce
ci assomigliamo tutti.
PRIMO CROCIATORE
Questo è anche vero...
scorticato in questa maniera poi... che sembra un
pesce in graticola...
CAPO DEI CROCIATORI Sarà anche vero, ma io
non ci sto. E poi chi avresti in mente di attaccarci al
suo posto?
MATTO Il Giuda!
CAPO DEI CROCIATORI Il Giuda? Quello...
MATTO
Si, quèl suo apostolo traditore che si è
impiccato per disperazione al fico dietro la siepe,
cinquanta passi da qui.
CAPO DEI CROCIATORI
Muovetevi, di corsa,
andiamo a spogliarlo che avrà ancora in saccoccia i
trenta denari del servizio.
02/10/2012
MATTO
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No, non state a disturbarvi... che tanto
quelli li ha buttati via subito in mezzo a un rovo di
spini.
CAPO DEI CROCIATORI
Come hai fatto a
saperlo tu?
MATTO Lo so perché li ho presi io quei denari, uno
per uno: guardate qui che braccia graffiate che mi
sono conciato.
CAPO DEI CROCIATORI Non m'interessano le
braccia facci vedere questi denari. Ohi, ohi, e tutti
d'argento... guarda che bèlli... come pesano... come
suonano...
MATTO Bene, teneteveli, sono vostri anche quelli,
se ci si mette d'accordo per lo scambio. Per me io
sono d'accordo...
CAPO DEI CROCIATORI Anche noialtri.
MATTO Bene, allora andate a prendervi subito il
Giuda impiccato, che ci penso io a tirar giú il Cristo.
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PRIMO CROCIATORE E se arriva il centurione e
ti trova nel bèl mezzo dello scrociamento?
MATTO Gli dirai che è stata una mia pensata, che
tanto sono un matto. E che voi non avete nessuna
colpa. Ma non state qui a perdere tempo, andate...
CAPO DEI CROCIATORI
Sì, sì... andiamo, e
speriamo che non ci portino sfortuna, questi trenta
danari.
MATTO Bene, è fatta. Non mi par neanche vero!
Sono cossì contento... Gesú, tieni duro, che è arrivata
la salvezza... prendo le tenaglie, eccole. Tu non lo
avresti detto, eh Gesú, che sarebbe venuto a salvarti
proprio un matto... Ah, ah... aspetta che prima ti
legherò con questa cinghia, farò in un momento...
non aver paura che non ti farò male, ti farò venir giú
dolce come una sposa e poi ti caricherò sulle spalle,
che io sono forte come un bue... e via di volata! Ti
porterò giú al fiume: li ho una barchetta e con
quattro palate attraverso il fiume. E prima che
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faccia chiaro ci troveremo bèlli come il sole a casa di
un mio amico stregone che ti medicherà e ti farà
guarire in tre giorni. Non vuoi? Non vuoi lo
stregone?!
Bene,
andremo
dal
medico
degli
unguenti, che è un mio amico fidato anche quello.
Niente: non vuoi che ti schiodi? Ho capito... hai la
convinzione che con questi buchi nelle mani e nei
piedi, tütto schiantato nelle legature come t'hanno
conciato, tu non sarai piú capace di andare in giro né
di imboccarti da solo. Non vuoi stare al mondo a
dipendere dagli altri come un disgraziato? Ho
indovinato? Non è neanche per quello? Oh
accidenti... e per quale ragione? Per il sacrificio?
Cosa dici? Cosa? Il salvamento? La redenzione...
Che cosa straparli? Cosa? Oh poveraccio... sfido io...
hai la febbre... senti come scotti... bene, ma adesso ti
tiro giú, ti copro bene con la tunica... adesso scusami,
se permetti sei un bèl testone... non vuoi essere
salvato? Vuoi proprio morire su questa croce? Sì?
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Per la salvezza degli uomini... Oh, questa è da non
crederci... e poi dicono che il matto sono io, ma tu mi
batti di mille pertiche di lunghezza, caro il mio figlio
Gesú! Ed io che sono stato a scannarmi giocando alle
carte tutta la notte per poi avere questa gran bèlla
soddisfazione... ma sacramento, tu sei il figlio di Dio,
no? Io lo so bene, correggimi se sbaglio: bene, dal
momento che tu sei Dio, tu lo sai bene il risultato che
avrà il tuo sacrificio di crepare crocifisso... Io non
sono Dio e neppure profeta: ma me l'ha raccontato
la smortina questa notte, tra le lacrime, come andrà
a finire. Dapprima ti faranno diventare tütto dorato,
tütto d'oro, dalla testa fino ai piedi, poi questi chiodi
di ferro te li faranno tutti d'argento, le lacrime
diventeranno pezzetti lucenti di diamante, il sangue
che ti sgocciola dappertutto lo scambieranno con
una sfilza di rubini luccicanti e tütto questo a te, che
ti sei sgolato a parlar loro della povertà. Per giunta
questa
tua
croce
dolorosa
la
pianteranno
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dappertutto: sopra gli scudi, sulle bandiere da
guerra, sulle spade, per uccidere gente come fossero
vitelli, uccidere nel tuo nome, tu che hai gridato che
siamo tutti fratelli, che non si deve ammazzare. Hai
già avuto un Giuda? Bene, ne avrai tanti come
formiche di Giuda, a tradirti, ad adoperarti per
incastrare i coglioni! Dammi retta, non vale la
pena...
Eh? Non saranno tutti traditori? Bene, fammi qual
che nome: Francesco il beato... e poi il Nicola... san
Michele taglia mantello... Domenico... Caterina e
Chiara... e poi... d'accordo, mettiamoci anche questi:
ma saranno sempre quattro gatti in confronto al
numero dei malnati... e anche quei quattro gatti li
tratteranno un'altra volta nello stesso modo che
hanno fatto con te, dopo che li hanno perseguitati da
vivi. Ripeti, scusa, che questa non l'ho capita. Anche
se ce ne fosse uno solo... sì anche un uomo soltanto in
tutta la terra degno di essere salvato perché è un
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giusto, il tuo sacrificio non sarà fatto per niente... Oh
no: allora sei proprio il capo dei matti... sei un
manicomio completo! La sola volta che mi sei
piaciuto, Gesú, è stata la volta che sei arrivato in
chiesa mentre facevano mercato e hai cominciato a
menare tutti col bastone. Ohi che bèl vedere... quello
era il tuo mestiere... mica crepare in croce per la
salvezza! Oh Signore Signore... mi viene da
piangere... ma non crederci, piango d'arrabbiato.
CAPO
DEI
CROCIATORI
O
Matazone,
disgraziato... non l'hai ancora tirato giú quello?
Cosa hai fatto fin adesso, hai dormito?
MATTO No che non ho dormito, ho avuto solo un
ripensamento... non voglio schiodarlo piú questo
Cristo, è meglio che resti in croce.
CAPO DEI CROCIATORI Oh bravo! E magari
adesso vorresti indietro tutti gli ori e i denari... Ohi
che furbastro! Ci hai mandati a fare i facchini, a
prenderti questo Giuda impiccato, soltanto per farti
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una risata? No caro Matazone! Se tu vuoi indietro la
tua roba, te ia dovrai vincere di nuovo ai tarocchi!
Solo a questa condizione.
MATTO No, io non ho voglia di giocare, tenetevi
pure tütto... denari, ori, orecchini, perché io non
giocherò mai piú in questa vita. Ho vinto per la
prima volta questa notte, e mi è bastato... Anche per
un uomo solo che ne sia degno vale la pena di morire
in croce! Oh se è matto... è matto, il figlio di Dio!
Bastonare, bastonare tutti, era il tuo mestiere, tutti
quelli che fanno mercato in chiesa, ladri, truffoni,
impostori
Bastonare!
e
furbacchioni.
Fuori,
bastonare!
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Altra Versione
Il primo miracolo di Gesù bambino
Quando in tòl ziélo impiegnìdo de stèle, de bòto, come
fùlmine, l'è 'rivàdo uno stelón meravegióso con 'sto
grande cuùn sbarluscénto de fògo sbarlazàndo tüte le
stèle i se metüe a criàr: "Ohe, 'craménto! Chi l'è?".
Al'era la stella cometa che vegnìva dall'oriente per
dàrghe l'indicasiùn a i Re Magi.
Gh’éra il primo Re Magio, quello vègio, co' al'era sü un
caval negro, atènti a l'allegurìa, o' l’éra ingrignàt, un
nass a bèch de catìvo che ól trava sacraménti perchè ól
gh'avéa dei bugnùni sul cül che a ògni selàda: toc!, se
ne schisciàvan quatórdese e biastemava 'me Dio. A
gh’éra il Re Magio biondo, ciàro, sempàtego ch'ól
rideva, col mantelo d'arzento, muntà sü un cavàl bianco,
aténti a l'allegurìa. E appresso a gh’éra il Re Magio
negro che è sü un camèlo griso: un Magio negro... un
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negro, ma cussì negro, che contro a 'sto camèlo griso
che montava, pareva più bianco del cavàlo bianco del
Magio biondo. Bèlo de fàcia e tüto ridénte de quaranta
dencióni luzénti e con dòi ögi che sbalusciàva nel scüro
a luminàre. E sémpre sóvra al camèlo andava cantando.
E ól cantava de contìnua, 'sta tiritéra:
"Oh che bèl, che bèl, che l'è andare sül camèl!
Che bèl, che bèl!
Un saltèl, do' saltèl sü le goebe dèl camèl!
Oohh che bèl, che bèl el camèl che va a Betlèm,
Sóta el lüm de mila stèl.
La cométa che a cumpàgna
giüsta fin a la capàna
e la Madòna che la nina
el Bambìn che piàgne e frìgna
e Giüsèp che séga, séga.
I angiulìt che i vola e i préga.
L'asinèl e ól boe che i bòfa
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el camèl che sgamba e ól sgròpa
balzelóni, vah 'm' el tròta!
Oh che bèl, che bèl, che bèl
che l'è andare sül camèl!
De gran lónga pusé bèl
ch'andar sül cavàl
sul cavàl te scròla i bal
che no' te càpita sul camèl
che bèl, che bèl, che bèl!"
"Baastaa,baastaa! - el vègio Re Magio ól biastemàva Ma no' se pòde! O l'è quatro ziórni e quatro nòte col
canta che l'è bèl andare sü 'sto camèl!"
(Il Re Magio nero riprende la tiritera)
"E per fòrsa che me tóca cantare
in sül camèl per farlo andare
perchè se mi no' ghe canto
el camèlo s'indorménta.
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S'indorménta, bürla par tèra
s'impantéga e mi stravàco
col camèl che me sbraga adòso
e ghe rèsto tüto schiscià!
Sì che canto sul camèl!
Oh che bèl, che bèl!
Cossì arìvo a la capàna
co' la Madòna che la nina
San Giüsèp che ól séga ól séga
ól Bambìn che ól frìgna e piàgna
i angiulìt che i vola e i préga.
El camèl che sgròpa e ól tròta
oh che bèl, che bèl, che bèl!
Sóra el camèl bisogna che canto
anca per dàrghe un po' de ritmo
perchè andare sul camèl no' l'è come in gròpa dèl cavàl
che ól cavàl va col galòpo
e ól camèl ól sgamba a tròto
sciàmpe ambàde una d'avanti e l'altra de drìo,
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che se no' se dà el bòn témpo
se intupìca de 'na gamba
se scarpüscia e ól và de sciàmba
borletóni el va, se stciànta
e mi, sóta de roèrsa
tüto schisciàto dal camèlo!
Oh che bèl, che bèl, che bèlo!
Dàrghe ól ritmo e farlo balàre
che a Betlèm mi vòj arivàre, col camèl.
Oohhee che bèl!
Oohhee che bèl!"
"Basta! - ól crìa desperàto ól vègio Re Magio - Te
magno vivo! Te pélo via tüto el negro e me magno el
bianco de déntro! Te lo magno intiéro!
Già, l'idéa de far venir anco un Re Magio négro, parchè
doveva èsserghe tüta l'umanità! Poteva mìga tiràrghe
aprèso uno giàldo, rosso, coi balìt?... No, negro! E poe
co' 'sti ögi bianchi c'ól gh'ha, co' la sfèrsula negra in
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mèso... che quando gh'è scüro ghe végn rossa ch'el par
'na bèstia feróce. Che l'altro ziórno sunt andà in
campagna, che gh'avéa dèi mè bisogni, che anca se sont
un Re Magio gh'ho i miei bisogni de fare! A gh’éra
scüro, sont andàito in un pràt, me sont tirato giò le
bràghe... perdonéme se ve la cónto... éro a metà
scrusciàdo sü i ginögi, proprio in quèsta posisiòn, de
boto devànti a mi te vedo 'na bestia, dei denci de bestia,
dò ögi... un leon!
Me sónt cagà sóra le braghe!
E poe l'éra lü, devànti a mi, che ól cagàva e nol cantava!
L'ünica volta che nol cantava.
Mi son cossì inferocìt, desgrasiò, fra i bugnùni che me
stciòpa, il che bèl, che bèl, che bèl, i spaventi che me fa
catàre, son cossì nervoso che, se arìvo a Betlème in 'sta
manèra, stròso il bambìn dentro la culla."
In quèl moménto nel ziélo... woom.. ól stelòn grande de
la cométa ól s'è blocàt. "Cus'è capitàt?"
"La s'è fermàda per ciapà un po' el fià!
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El voer dì che sèm arivà!
'Rivàti quasi a Betlèm, che bèl, che bèl!"
"Bastaaa! Mi ghe vago da solo a Betlèmme!" Dise
desperà ól Rè Magio vègio, ghe da de spròn al sò cavàlo
e ól va via come un mato e a drìo, sübito, el Re Magio
negro a seguitàrlo e tüti e dòi i va in fondo nèl scüro e i
scompàre... i scompàre ma se sénte sémpre più baso:
"Oh che bèl, che bèl!" - "Basta!" - "Oh che bèl... " "Basta!" (Porta la voce quasi a spegnersi sempre più
flebile in lontananza) "Oh che bèl!" - "Basta!!"
Nel ziélo impiegnìdo de stéle, de bòto l'è spontà l'ànzelo
meravegiòso, co' dei cavèi tüti svarulénti de bòcoli che
col vénto i sbanderàva... Un gran cerchión d'oro tacà,
inciudàd, sü la crapa. Vestìdo de séda che col vénto i
sbratacàva come vele slasàde. E de travèrso, chì sül
stòmego, 'na grande svérzula de séda, ciara, granda, con
scrito sopra: "Angelo!"
Per quèi che no' capìse subito.
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E 'stu angelo, co' 'ste grande ali tüte coloràde, andava
vdo 'me 'na poiàna treménda nel ziélo. El vegnìva giò a
pigna-morta a raspà la tèra e ól criava:
"Omeni de bòna volontàaauuuaaauvvvv, venì ch'è nato
el redentoreeeeaaaauuuuuuuaaaaaavvv!"
(Mima la picchiata con volo radente dell'angelo)
Con tüti i pastori che se bütàvano per tèra spaventà!
"Oheee... ma te sè mato! Te vo' schisciàrghe? A t'è
spaventà tüti i péguri... che ghe andà via anca el
late!"(Mima un'altra picchiata dell'angelo che per poco
non lo travolge)
"Almànco te capitàsse d'andàr a sbàtere contra la
montagna a scarcagnàrte el çerción fino al còlo, a
spantegàrte tüte le piüme dapartüto. Ga1inàsso!"
E tüti i pastori ghe diséva: "L'è megliór che catémo
quarche ròba da portar al bambìn ch'è nasùo se no
questo ól va avanti e indrìo, tüta la notte, e ghe séga e
ghe ara tüto!" E tüti i ghe andava con un dono, in
processiòn. Chi ghe porta dèl formàjio, chi che ghe
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porta un cavrèto, dèi conìli, un altro de le galìne, e chi
ghe porta dèl vino, de l'oli, chi che ghe porta le póme
còte e le torte coi maróni. E po' ghe ne sónt de quèi che
arìvan co' la pulénta apòsta da la bergamàsca. Cu' la
pulénta fumànta de lontan! Roba che, dàrghe de la
pulénta a un bambìn apéna nascìdo, ghe vòl una bèla
testa de cojóni! E lì, a la capàna, tutt'intórno a gh’éra de
la gente che faséva dei baccàni, a gh’éra di quèli che
ségava: Vir, vrom, vir, vrom; e poi quèli che batéva il
fèro: pim, toc, toc pem; e gh’éra quèli co l'ànsema che
dava ól fià: "buò, fir, fuòm, fim; e poi quei che vendéva:
végne, végne, de ün, de dòi, chi valza la man par prim.
"Basta! Vergogna! Tutto 'sto baccàn! 'Sta pòvara dòna,
de la Madòna, so' tre giorni e tre notti che no' la dorme,
se pùò far fracàss in 'sta manéra? Vergogna!" - "Eh, ma
noiàltri vorsémo far el presepio!" E dentro la capàna
gh'è tüti che entra in ginögio coi regali e Sant'Ana cata
tüto: "Andì indrìo, andé a pregàr de fora, dàme qua i
regali. Signor Jesus bambìn ti dovéa nàssere almanco
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tre volte a la setimàna, chi farémo una resérva de roba!"
Arìva i Re Magi, i se ingenögia. Gh'è el vègio che el
porta el sò regalo, poe el giovinèto e poe arìva dentro el
negro...
"Ohi che bèl, che bèl, che bèl!
Ól Bambìn nèl cavagnèl!"
"Foera negro, via, cito! Spavénta no el fiulìn. Canta de
foera!" El vousa el re vègio.
In quel mentre 'riva dentro l'ànzelo, Gabriel,
gridando: "Via, sübeto fuga in Egitto che gh'è ól re
Erode che taja le teste ai bambìn come fuósse
funghi." E allora Sant'Anna dise: "Per piasér gh'ho
besògn de tre cavàli e tre carétti per caregàr tüta 'sta
roba" - "No, no' gh'è tempo de caregàr, besògna
andàr via sübeto. Via, fuga in Egitto." - "Ah,
furbàsso ànzelo, ti voi catàre tüto ti, eh!" Poi tìren
fora l'àseno che no' sta in pìe, l'è tüto embriàgo, che
son tre giorni e tre notti ch'ól bófa per darghe un po'
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de calór al bambìn, no' sta drìsso, ól gh'ha la pànsa
quasi par tèra e cominciano a caregàrghe de roba
sulla stciéna, ól va par tera, slìsséga. La Madonna ól
va en gròpa e San Giüsèppe ghe dise: "Madona
dessénde che 'sta bestia ól crepa!" - "Ma mi no'
pòdo desséndere, se la zente no' me vede su l'àseno
no' capìsse che fémo la fuga in Egitto."
In quèl mentre vién dentro un ànzolo, gridando: "Foera,
foera - dise - baterìa!" - "Come bateria!?"
"Traslòco! Via, scapàre!" - "Dove?" - "Fuga in Egìto!" "De già?!" - "Sì, gh'è tüti i soldài de foera che ve
çerca." - "Aspèta, 'ndemo a tór un carèto - dise Sant'Ana
- per caregàre tüti i regali che gh'han portà." - "Gnente
regali, no' se porta via niénte!"
Dise la Madòna: "Eh no, i mè regali li vòjo cara, i mè
regali per ól fiolìn, che quando devénta grande... " "Tira foera l'áseno!" - "Ma no, no - dise San Giusèpe no' se pòl caregàrlo 'st'áseno, a l'è quatro ziórni e quatro
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nòti che el bófa, l'è sfiatà compàgn d'una lugànegha
insechìda!"
'Gnìva avante infàti 'sto ásen, inciochì che no'l restava
in pìe, ghe se slargàva i giambi apéna che ól caregàven.
Caregàven tüti i fiaschi, i ótri, caregàven i formàj, pachi
e fagòti. E 'sto ásen: wwumm! Wuwmm! el 'ndava sóto,
slargàva i giambi, la pànscia per tèra. A gh'è la Madòna
che monta in còpa al àsen, insentàda col fiolìn in
bráscio.
"Madòna - ghe diséva San Giusépe - ven giò, nol se po'
mòvere, el mòre!" - "Ma no' pòdo caro, chè tüta la zénte
l'è abituà, durante la fuga in Egito, a vedérme che mi
son sentàda in sü l'áseno in fin da la parténsa!" ***
E alóra San Giusèpe ól se mète sóta a l'áseno, caréga
l'áseno in gròpa e van via tüti insémbia. Dòpo do ziórni,
trè ziórni, tüta la sacra famégia 'riva davànte a Jaffa.
Jaffa bianca co' tüte le tóri altìsime, maravagióse. E
sübito l'ànzelo ól vola in ziélo, ól fà un gran cerchio
vdo. E l'àseno ól tira sü la testa... Iiiaaaahhhhhhhhh!
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(Imita il ragliare dell'asino) Pprrrooofffff! Slarga le
giàmbe, pom, la pànscia par tèra. Una lofa dèl cül:
pluff! L'ànema de l'àseno la va in ziélo.
La Madòna de in còpa a la bèstia spiràda, la varda:
"Pòvara bèstia... Segno di Dio, voer di' che sémo
'rivàti!"
Van drénto a la cità, tròveno 'na stambèrga, tüto un
büso, che, dèl confronto, la capàna de Betlèm a l'éra 'na
réggia. Giusèpe ól tòpa i büsi. La famégia se mète a
dormire.
La matìna sübeto, la Madòna la ciàpa 'na cavàgna, 'na
cesta e la va intórna a cercar pagni de lavare, perchè
besógna che jüta anche le' la faméja. San Giusèpe
andava intórna col martèl, la séga e ciòdi per truà de
fare mestè.
El fiolìn in mèso a la strada.
La sera la Madòna l'arìva, morta roversàda, con tüta la
stcéna spacàda, róta.
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La se sèta ancmò bagnàda, straca. E San Giusèpe vién
de foera imbestià chè no' gh'ha truvà lavór d'un soldo.
Se punta lì col martèl sul tàvul: Ptum! Ptum! Ptum!
Ptum! El pica sóra i didi, che quèla l'è l'üniga manéra de
sfogàrse che gh'han i legnamèe. 'Riva dentro ól Gesù
Bambìn col mücc giò dèl naso, fin sü la bóca, tüto
strapenàdo, con le mani vónce, le braghe de travèrso,
sénsa gnanca 'na scarpa ai pìe.
"Mama! A gh'ho fame!"
"Bèla manéra che te gh'è de vegnìr a casa! Invece de
domandàrghe sübet dèl to' papà, de la tua mama se i son
cunténti, o fategà. Perchè te déve far ti cossì, eh?"
"Eh, mama, ma mi gh'ho fame!"
E la Madòna: "Ma non ti gh'ha vergogna? Proprio ti che
te sèt vegnü apòsta dèl ziélo, che te sèt nasciü al mondo
apòsta per insegnàrghe ai altri a èser bòni, e avérghe
amore e avérghe bòne parole per tüti... e proprio ai
primi dòi cristiani che te ghe déve dar respècto, ti te
arìvi a gnanca saludàrghe!"
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E Gesù Bambìn: "Oheu, la madòna!"
Sbianca la Madòna e Giusèpe anche! Se mète a tavola.
"Fiulìn va' a lavàrte i man, nétate i mòcoli dèl naso,
mètese un po' i cavèli a polìto. Va' i bócol... cussì! Fate
el segno de la cróse! No, aspèta, l'è un po' tròpo presto!"
Poe el Bambìn ól dorme. Dorme la Madòna, dorme
Giusèp.
La matìna Gesù se desvégia , el resta da per lü, solo, no'
gh'è nisciüno. Alóra se mète sü le braghe, mangia un
tòco de pane, va intorno dove che gh'è la strada e vede
tüti i bambini che ziòga: cavalìna, sgiàfa a nascundùn,
tòpa falsa...
"Ehi, bambìn! Féme ziogàr anca mi ai vostri ziòghi!" "Nò!" - "Vo' sóta mi! Fémo la cavalìna. Anca a la
sgiàfa" - "No! Va' via, Palestina!" - "A córere? Viàltri
me corè drio. Fémo el ladro. Mi fel ladro?" - "No!" "Ma perchè?" - "Via, Palestina! Terün!"
El fiolìn piange. Piange ól Bambìn coi ögi grandi che
cola' gotón de làgrime. E pur de avérghe la posibilità de
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ziogàr, de far festa, de far ziògo e fantasia coi altri fiolìt,
el fa un miracolo. Che la soa mama gh'avéa sémpre dito:
"No' far miràculi intorno, che i te scopre, che se i
capisse che ti te sèt ól fiolìn de Dèo arìva i sbiri de
l'Erode e ghe tóca scapàre de nòvo!"
Lì, in de la piàsa, gh'éra 'na fontana. E tüta intorna la
tèra... de la tèra créta, de quèla che se 'dòpera per fare i
matóni. Jesus Bambìn ól ciàpa sü un pagnòco de tèra e
ól comincia con 'sti didìni a lavuràrla: el fa foera un
crapìn d'osèlo poe tüto el corpascìn con le aletìne, la
cóa, poe le piüme, fine, fine. El cata sü on bastonsìn
per farghe le sciampìne... "Bambìn, varda che bèl osèlo
de mòta che gh'ho fàito! De tèra l'è!"
"Oh che bravo el Palestina, végne apòsta de lontano per
farghe vedere l'uselìn de mòta... oh bravo!" - "Sì, ma mi
sunt capàze de farlo volare." - "Come?" - "Ghe fo' 'na
bufàda." - "Fà vedé?"
"Èco! (Soffia con forza) Pfffuuuuu!"
e l'uselìn ól
dervìse tüte le piüme e le ali, se desténde, sbate, sbate:
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ciup, ciup, ciup, ciup, viricip, ciup, viriiii, cip! (Con le
sole mani mima l'uccello che svolazza intorno fino a
scomparire nel cielo)
"Bòja, che drago el Palestina! Che stregonàsso! Ohi,
l'ha fàit volàr l'usèl de mòta co' 'na bufàda. De tèra
l'éra!" - "No' l'è miga véra!" - "Com no? L'ho vidù mi!"
- "Ma l'è un trüco vègio 'me la Madòna: lü l'ha catà un
uselìn de quèi inturpicà che burlà giò da 'n'albero... l'ha
catà sü... poe l'ha sguatascià ne l'àqua... dòpo l'ha
sfrugugnà un pochetìn ne la tèra.. poe l'ha metü sóra la
man, gh'ha bufà in tèl cül: brivido... vce, vce, vce... l'è
vulà via!" - "Ma no, l'ho visto mi, l'éra pròpio de tèra!
Dai… Faghe védar, dài Palestina... 'n'altro tòc de créta,
avanti via, möevess... (mima di creare un uccellino) dai
che l'è fato... via co' le alète... Dai, bufa!" - "Spèta!"
"Chi?"
'Riva un fiulòt, un bambìn, co' 'na gran testa tüta risulìt
négher: "Fermo, verificare!"
"Chi sèt?"
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"Tomaso!"
"Tomaso? Come no' dito!"(Alza le mani, arreso di
fronte alla consuetudine e al personaggio)
Tomaso ciàpa un ciòdo... sum sum sum... sbüsa l'oselìn
de tèra: "Regolamentare, vai!"
"Aténti che bóffi!" (Soffia) Ppfffuuuuuuuu... (Mima
nuovamente il volo dell'uccellino)
cip, cip, cip,
cipcipcipcip!
"Vola! L'osèlo vola! Bravo Palestina! Caro come te
voeri bén! Toh, un basin! Ma perchè te se stàit luntàn
cossì tanto témpo? Che giògo che fémo! Adèso ognuno
ól fà un osèlo... e ti, poe, Palestina: pffuuuu!, bófa e fa
volar i nostri osèli!"
"Dai Palestina! Che bèl Palestina che te sèt!"
E tüti gh'han comincià a far dèi oselón. V'un gh'ha fàit
un panotún tüto tondo co' una côa drissa, con dèe alète
quadri, con un gran crapón che burlàva giò, poe l'ha fàit
dò giambìne, tum... el burla giò... ghe n'ha metü quatro,
poe cinque zampe.
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"Ma no' se pòl un osèl de çinque zampe!"
"Se no' stà in pìe... Importante che vola, no?"
Poe 'n'altro, 'na lugànega, una bissa, 'na bissa salàma,
con dodése ali in fila, sénsa la côa, dódese zampe.
"Lè un cagnòtto..."
Poe 'n'altro l'ha fàit un bugugnùn... paréva 'na torta, co'
la testa drissa in mèzo, sénsa còlo, el bèco su sü... e tüte
le ali, tüte scompagnàde, tüte intorno. E sénsa giàmbe.
"No' so se el vola, vedarèm..."
Poe, 'n'altro, gh'avéa fàit dèi oselìn che pareva de le
cagadìne.
Poe 'n'altro un strunsùn.
E l'ultimo, un gato!
"No' se pòl far volare un gato!"
"Se vola quèl strunsùn là, volerà ancha el me gato!"
"No, ma i gati no' se pòl far volare. Un po' de régola!"
"Mama! El Palestina no' vol far volar el mè gato! (Mima
la madre che si affaccia al balcone e grida:) Fa' volàr
sübeto el gato d'el mè fiòl, Palestina! Se no, vegni giò e
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te inciòdo!" (Mima il bambino Gesù che si osserva
preoccupato le palme delle mani)
"Tüti i oselón, tüti in fila!"
"Via, che el bófa!" (Mima il volare strampalato dei vari
uccelli)
Pffuuuuu... El pagnutùn: quac, quic, quoc, qua, te, pu,
qua, te.
Pfffeeee... La lugànega: pici, pete, qua, te, ce, che , se,
te, pe.
Pfffeeee... La torta: psu, pse, psu.
Pfuuuu... El strunsùn: pce, pque, pte, pci, pce.
El gato! Pfuuu gniaaaaoooo gna gnum gnam! Magna
tüti i osèli dèl ziélo!
"Ohi! Che bèl, che rìdare a stciepapànza!"
"'N'altra uselàda, avanti tüti inséma!" Tüti che fan i
osèli.
Végnen anche dai altri quartiéri, tüti i fiolìt. Tüta la
piàssa piéna de fiolìt che fan pastròchi con la tèra, tüte
le statuète... Osèl de tüte le forme e culóri.
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I ziòga, i ride, i canta!
Ma in quèl moménto: trac! Se spalanca el portón de la
gran piàssa. E se vede 'parìre un cavalìn negro, tüto
bardà, bèlo, con sóvra, a montàl, un fiolìn tüto rubisón,
con dei öci sbricón, con i cavèli bén petenà... le piüme
sül capèlo, vestìt de velùto e de séta, con un coletón de
pisso. E gh'éra dòi soldati d'aprèso: el sovrastòmego de
fèro, piüme anca loro sul capèl, montà sü dòi cavàli
bianchi.
Quèl bambìn l'éra ól fiòl dèl parón de tüta la cità. (Mima
il bambino che, dal cavallo, si rivolge ai ragazzini del
quartiere)
"Ehi fiolìn, che cosa ziogàte?"
"No' far mostra de gnénte, Palestina! Quèlo l'è un
rompicojón. L'è ól fiòl d'ól parón. No' darghe trà. No'
darghe corda, fa' finta de gnénte."
"Mi dite a cossa state a giocare? Pòso giocare co'
voiàltri?"
"No!"
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"E perchè, de gràssia?"
"Cussì! Perchè tüte le volte che noialtri domandémo de
ziogàr con ti, fiòl dèl patrón, coi to' cavàli per far un
zirèto, ti te dise no! Perchè tüte le volte che vegnémo a
casa tua, che te gh'è de gran ziòghi, te ne fàit descassàre
da i to' sbiri! Noiàltri adèso gh'avemo un bèl ziògo, el
più bèl ziògo dèl mondo, ma el Palestina, che quèl l'è al
cap dèl ziògo, l'è nostro. Ti te se sióro ma no' te gh'e ól
Palestina. Palestina l'è par noiàltri. Vero Palestina?
(Mima di baciare Gesù) Pciu, pciu! No' te ne andar co'
quèlo ah? No' fa el Giuda, ah?!"
"Ma se pòl savére che ziògo l'è?"
"Sì, che te lo digo... Noiàltri fasémo i uselón. Poe ól
Palestina, bófa e i fa volare. Ti vol ziogàre anca ti?"
"Oh sì!"
"Bòn, tira fòra el to' oselìn, bófaghe sóvra, e vedòm se ti
è bòn de farlo volare!" (Gran sghignazzo corale)
Rosso, inrabìto, co l'éra ól fiolìn dèl padrón, co' i i ögi
foera de la testa. Gh'ha catà 'na lanza dèl soldàt, gh'ha
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dàit de spròn al so' cavàl, l'è 'rivàt in mèso ai fiòl
criàndo 'me un mato:
"Se no' ziògo mi, no' ziogàte gnànca voiàltri!"
Zan, zan, a spacàre coi zòcoli dèl cavàl tüte le stàtue,
tüte le figurine de créta. Tüta par tèra, la tèra spacàda.
Coi fiulìt che piagneva... tiràva bale de mòta; i soldàt
coréndo a cavàl, criava:
"Via! Foera, andìt foera, via! Che el pòl fare quel che el
vòl quèl, parchè l'è ól fiòl dèl padrón!"
Le mame che vegnìveno foera de le finestre: "Catìvo!
Un ziògo si bèlo co l'éra. No' costava gnénte... i nostri
fiòl i l'éra conténti, e ti..."
E i soldai: "Via matre! Via, che ve 'riva le lanze!"
Pfium, pfium, ptum, ptum! Tüte le finestre seràde. La
piàsa vòta.
Gh’éra restà soltanto ól fiolìn dèl parón sul so' cavàlo
negro, coi soldati che i rideva. E nesün gh'avéa scorgiùo
che gh'éra restàt ól Bambìn Jesù visìn a la fontàna.. coi
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ögi grandi, impegnìdi de làgrime... che ól vardàva verso
ól ziélo che el s'era impiegnìdo de nìvole.
"Paadreee, paaadreeeee!"
Le
nìvole
se
son
dervìde:
broomm,
proomm,
brooommm! (Mima il padreterno che si affaccia fra le
nuvole)
"Se gh'è!" (Rifacendo il tono del bambino, che a fatica
trattiene il pianto)
"Padree, son miii, Jesus..."
"Cosa t'è capitàt, Bambìn?"
"Eehh... quèl fiulìn lì l'è catìvo, chè gh'ha stcepàt tüti i
figurìn de tèra che noialtri gh'avémo fato per ziogàre.
G'ha
scarcagnà
tüto
col
so'
cavàl
e
(Piange
farfugliando) guduhntuchetugudutu"
"Ma caro, per 'na stupidàda cusì, te gh'ha de far ciapàre
un spavénto cusì grando a to' pare? Che so' 'rivàto de
volàta, de l'altra parte de l'univèrso che éro... gh'ho
sbüsà quasi dódes nìvoli, gh'ho tirà sóta dódese
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cherubini, e me son stùrta tüto ól triangolo, che ghe
voer una eternità a rimpiasàl a 1'órden!"
"E, ma lü l'è stàit catìvo! Lü l'è ól fiòl dèl parón, gh'ha
tüto! Gh'ha tüti i ziòghi, ma l'istèso, quando gh'ha visto
che noialtri éremo conténti, gh'ha... (Singhiozza) ghidi
tüte tuduuhu stcepàdo tüto... ehheeehhhe... e mi
gh'avevo tanto fadigà..."
"Parla ciàro."
"E mi che gh'avevo fàto tanta fatìga de far ól miracolo
de far volar gli oselìni... per avérghe dèi amìsi, per
ziogàre insémbia... che dòpo i mè ciamàva Palestina
caro toh un basìn!... E adeso son de nòvo solo, come
prima. Che tüti i amisi mìi son scapati... ehhhee...
(Piange) Gh'ho gran dolore mi, gh'ho gran dolore patre
eeehhheeee..."
"Oh te gh'hàit rasón. A dévo bén dir che ól spacàre, ól
stcepàre sogni e ziòghi de plagér de fantasia, o l'è pròpi
ól pejiór de tüte i viòl! Ma quèlo l'è un fiolìt, caro...
cosa devo fare eh?"(Gesù, prima si lascia sfuggire un
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sospiro di pianto, poi, con tono, il più candido e
normale possibile)
"Màsalo! (Sorride guardando accativante verso l'alto
per ottenere il consenso del padre) Eh!"
"Ma caro, t'ho mandàt giò apòsta dal çiélo in tèra per
imparàrghe la pace fra i òmeni... parlàrghe d'amore. La
prima volta che quaicün te fa quaicòsa, te voi masàrlo!
Te cominci bén la professiòn, eh?"
"È tròpo? Bòn, alora stórpialo... sguèrcialo... eh?
Sguèrcialo e stórpialo..."
"No, no' se pòl far 'ste cose, caro. No' se pòl comensàr
co' la violénza cussì, eh?"
"No' se pòl? No' te pòl ti? Lo maso mi?"
"E bon, fàit quèl che te pare, che tanto co' ti, no' se pòl
descùtere. Ma non andar intorno a racontàr che so' stado
mi!"
Prrooomm, bbrrraaaamm! I nìvuli sfragùglia da partüto
e el Dèo scompare. No' l'è pasàto ól témpo.
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De nòvo a gh'è ól fiolìn dèl padron col ride, coi soldàt
che i se sganàsa a rigolà, e ól Bambìn Jesù visìn, c'ól
ciàma: "Patron... fiòl dèl parón!"
"Eh?"
"Eeehhheeeehhhh! (Ride col compiacimento di chi sta
per preparando uno scherzo atroce) Te ridi, ti, eh? T'è
fàit tüto 'sto sacrapànte d'intorno... t'è spatascià tüti i
statuèti, el nostro ziògo. E ti sèt conténto, tranquìlo... ti
pénsi che nisciün te faga gnénte, eh? Ti è convènso che
no'l può èserghe nisciün che te castiga al mondo.
Gnànca to' pare, ah?
E se adèso invece mi te fùlmino?
Te ridi, eh? No' te ghe credi, eh?"
Ffvvuuuooommmmm! Un fulmine treméndo è sortì dai
ögi dèl Jesù Bambìn. (Descrive la terribile fiammata)
Una léngua de fògo! 'Me 'na bisa-serpénte infiamàda,
l'intorcìga tüto 'sto fiolìn, ól scaravénta, ól revòlta, ól
sbate per tèra, divénta tèra còta come in un forno.
Poem! Fumante!!
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Tüte le done dai balcón se büta a criàre: "Stregonàso!
Cosa ti gh'ha combenà de treméndo!?"
I soldàt sbianchìdi de spavénto che scapa sui cavàli.
La Madòna, che gh'ha sentìt criàr de lontàn la 'riva de
corsa: "Cos'è succès? Fiulin cos'hàit fa' ti?"
"Gnénte... ho fa' un miracolo. Mio primo miràculo.
Varda, l'è ancora caldo."
"Ma come... l'è un bambìn?! L'è un fiolìn che t'è
trasformà in tèra cota!!! Ma cos t'è fàit cos? Ma
perchè?"
"Eh! Ma lü l'éra catìvo, cara!"
"No' vòj 'scoltàr scüse! Resüsitalo!"
"Noo!"
"Jesus, obidìse! Pénse a la povera mama de 'sto
bambìn... lo strapacòre che gh'averà...! Resüsitalo!"
"Ma non son capàze madre, mi gh'ho imparà soltanto a
fulminare; no' gh'ho ancora imparàt el resùrgit!"
02/10/2012
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"No' dir bosìe! Resüsitalo e inprèscia! No' ti capìse che
se 'riva i sbiri ghe tóca de scapare de nòvo... mi e to'
patre che gh'avemo apéna trovà un lavór!"
"Eh, ma però... Èco... no' se pòl fare un miracolo che
bisogna disfarlo sübeto! Bòn, lo resüsito, però co' 'n'a
pesciàda..."
Tum! 'N'a pesciàda in tèl cül de tèra. Prum! El bambìn
de carne e òsa torna in pìe. Se tégne i ciàpi in dèi mani...
ól varda intorno spaventàt: "Cuss'è capitàt, cuss'è sucès
cos'è?"
E el fiolìn Jesus ghe dise: "Mi sont stàit! Ól miracolo...
fulminà... resüsità! Poe l'è 'rivà la mia mama... Ringrasia
la Madòna! Faghe sübit un fiurèt!
Ma ti, te sénte brüsar ól cül per la pesciàda che te ho
dada?
Aténto che gh'é un'alegorìa, eh!
Bòn servìsi per quei che son stremìdi... che derénto le
finestre son nascondüdi per gran pagüra. (Indica in alto
tutt'intorno alla piazza)
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Se quèli comìnzeno a penzàre, razonàre, bada bén, che
ti, te deventerà grande a forza di pesciàdi che ti ciàpi! El
cülo te monta, te monta, te monta, te monta: puuummm!
E stciòpa!
In eterno senza cülo!
Amen!"
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doppio
MARIA VIENE A CONOSCERE DELLA
CONDANNAIMPOSTA AL FIGLIO
(da scanner alcune parole non sono state lette)
Maria sta in compagnia di Zoana e per strada incontra
‘Melia.
MELIA Bon dí Maria.. bon dí Zoana
MARIA Bon dí ‘Melia, sit 'dré andar a far spesa?
MELIA No, ag l'ho d' già fatta sta matina... av g'ho de
dive un rob, Zoana.
ZOANA Disíme. Cunt parmes, Maria...
Si appartano e parlano concitate.
MARIA In doe la va tuta sta zente? cosa l'è 'dré a suced là
in funda?
ZOANA Ol sarà quai sponsalizi de seguro...
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MELIA Sí, a l'è on sponsalizi... vegni de là improprio
ades.
MARIA Oh 'ndem a vedar, Zoana, che a me piasen tanto i
sponsalizi, a mi. A l'è zovina la sposa? E ol sposo chi a
l'è?
ZOANA No sag mi... a credi col debia es un de foera...
MELIA 'Dem, Maria, no stit a perd ol tempo co' i
matrimoni... 'ndemo a casa che g'avem anc'mo de
metarghe l'acqua al fogo per la menestra.
MARIA Specít, 'scultí. A i è 'dré a biastemà!
ZOANA O i biastemerà par 'legria e contentesa!
MARIA No, che me someia... col fagan con rabia: ~
stregonaso», g'han criad... sí gh'ho intendío ben... 'scultí
co i va a repét. Contra a chi e g'l'han?
ZOANA Oh, 'des che me 'egn in mente... no l'è per un
sponsalizio, che i vosa, ma contra a un che l'han
descoverto sta note che ol balava con un cavron che po
a l'era on diavulo.
MARIA Ah, par quel ag disen: stregonaso?
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ZOANA Sí, par quel... ma no femo tardi, Maria... 'ndem a
casa che no le son robe da vedar quele, che ag pod
sucedegh de catarse ol malogio.
MARIA A gh'è una crose che la sponta de sora e teste de
la zente! E altre doe crose che spunta adeso!
ZOANA Sí, st'altre a son de doe ladroni...
MARIA Povra zente... i vano a 'ncrosare tuti e ~rie... Chi
ol sa la mama de lori! E magara le, pora dona, no lo sa
gnanca che i è drie a masarghe ol so fiol de le.
Sopraggiunge correndo la Maddalena.
MADDALENA Maria ! Oh Maria. .. ol vostro fiol
Jesus. . .
ZOANA Ma sí, ma sí, ol gh'sa de già le... (A parte) State
cito... 'sgrasiada.
MARIA Cos' l'è che so de già mi?... 's l'è capitat al me
fiol?
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ZOANA Nagota... cos'ag dovaría eserghe capitat, o santa
dona? A gh'è dumà che... Ah, no t'avevi dit? Ohj che
'smentegada che sont... m'era gnid via d' la testa de
'visarte che lu, ol to fiol, m'aveva dit che no el vegnarà a
casa a magnar a mezdí, che ol g'ha de 'ndare su la
montagna a cuntar parabule.
MARIA A l'è quest che set gnuda a dirme anc ti?
MADDALENA Sí, quest, Madona.
MARIA Oh, ol sia rengraziad ol Segnore... ti eri rivada
tanto de corsa... cara fiola... che mi n'evi catat un
stremizi de quei... me s'evi già figurat no so miga quale
desgrazia... Come semo stupide de volte noaltre mame!
Ag femo preoccupade par nagota!
ZOANA Sí, ma anco le, sta balenga, che la 'riva correndo
scalmanada par 'gní a darte ol nunzi de ste bagatele...
MARIA Bona, Zoana... no starghe a criar adeso... a l'infine
l'è gniuda par farme un plazer d'una comission... At
rengrazi, fiola... come ad ciamat ti, che mi am pare de
cognosarte?
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MADDALENA Mi sont la Madalena...
MARIA Madalena? La qual? Quela...
ZOANA Sí, a l'è le... la cortizana. 'Ndem via, Maria, 'ndem
a casa... co l'è mejor, che no ghe femo vedar con zente
compagn... no '1 sta ben.
MADDALENA Ma mi no fago pu ol mester.
ZOANA Ol sarà perché no ti trovi plu smorbiosi de
catar... Va', desvergognada.
MARIA No, no descasarla... povra fiola... se ol me car
Jesus s'la tegne in tanta fiducia de mandam'la a mi a fam
di cumision, l'è segn che ades la fa giudizi... vera?
MADDALENA Sí, a fag giudizi ades.
ZOANA Vag a crederghe... la question l'è che ol to fiol
de ti a l'è tropo bono, as lasa catare d' la compasion e ol
freghen toeti! Ol g'ha sempre d'intorna un mugio de
poltro'... zente senza laoro ni arte, morti de fame;
desgrasiò e putane, compagn a quela! MARIA At parlet
de cativa ti, Zoana... lu, ol me fiol, ol dise sempre co l'è
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par loro, sovra 'gni cosa par lori, sbandati e sperdui, che
o l'è gnudo a sto mundo a darghe la speranza.
ZOANA D'acordi, ma at cumprendi che a sta manera no
ol fa un bel vardà... ol se fa parlar a dre'... Con tuta la
zente de bon-levada co gh'è in cità; i cavajeri e soi
dame, i dotori e i siori... che lu cont'ol so fare zentile
savente e 'rudito a s'truaría de subet in t'la manega e
averghe onori, farse aidare se ol g'avese besogn. No,
cripante: ol va a meterse co i piogiat vilan! E de contra a
quei!
MARIA Scoltí come i vosa, e i ride... ma no se vede e
crose !
ZOANA A parte che ol podría farghe a men de sparlarghe
sempre a dre' ai prevet e a i prelat... che quei no gh'la
perdonano a niuno.
MARIA Eco de novo e tre crose...
ZOANA Quei un dí a g'la faran pagare! Ag faran d'ol
male!
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MARIA Fag d'ol male al me fiol? E parché, co l'è sí bon...
no ol fa che d'ol ben a tuti, anco a quei che no ghe
domanda! E tuti i ghe vol ben! Sentit... i son dre' a
sghignasar de novo... un de quei ol dua es borlad per
tera... Tuti ghe vol ben al me fiol... no a l'è vera?
MADDALENA Sí, anco mi ag voi tanto ben!
ZOANA O, ol sconoscemo tuti che spirato ben at voi ti al
so fiol de la Maria!
MADDALENA Mi ne g'ho un amore compagn che par on
fradel par lu! Adeso...
ZOANA Adeso... parché prima donca...?
MARIA Zoana, daghe un taio infina de intormentarla sta
fiola... cos'l'ha t'ha fait... no ti vedi co l'è smortificada...
com l'è che cria tanto... E anco ol fudese che lè, sta
zoina, la aga a tegner un amor par lu de quei che e done
de normale a gh'han par i omeni, che ghe piase... bon?
No a l'è omo sforse ol m'è fiol, oltra che ves Deo? De
omo ol g'ha i ogi, le man, i pie... e tuto de omo...
financo i dulori e l'alegresa! Donca ag tocherà a lu, ol
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me fiol, a decid... co ol savrà ben lu se fa, quando gnirà
ol so mument, se ol vorerà torsela una sposa. Par mi,
quela che lu ol scernerà, mi ag vurarò ben 'me fudes la
mia fiola... E ag speri tanto ca vegna prest quel dí... che
ormai ol g'ha compit trentatrí ani... e l'è ora che ol meta
su famegia... Oh che brut crià che fan là in funda... e
com l'è nera sta croze. Tanto me plazería averghe per
casa di bambin so' de lu, de far ziogare, ninar... che mi
ne so tante canzon de cuna... e darghe i vizi... e
contarghe fabole, de quele bele fabole che i finisce
sempre bene... e in zocondia!
ZOANA Sí, ma adeso basta de starte a insognare,
Maria... andemo che da sta banda, no magnemo pu
nemanco a sira...
MARIA No g'ho fame a mi... no ghe descovro la reson...
ma m'è gnit a doso un strencio de stomego... bisogna
proprio che vaghi a vedar cos' l'è ca va, a là in funda.
ZOANA No, no te vaghi!... che a sont robe quele co e
fano intrestizia e at menaran un s'ciopamagon par tuto
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ol ziorno. Ol to fiol no ol sarà contento... pò es che in
stu momento ol sebia già in la casa e che a te specia...
che ol g'ha fame.
MARIA Ma se ol m'ha mandà a dire che no '1 vegnarà!
ZOANA Ol pO averghe ut on respensamente. At set
com'è i fioli. Quando te i speci a casa no i torna... e i
retorna quando no i speci miga! E bisogna ves sempre a
pronta cont ol magnar al fogo.
MARIA Sí, ti g'ha reson... andemo... At voret 'gní anco ti
Madalena, a magnarne una scudela?
MADDALENA
Bon
voluntera,
se
no
v'
dag
infesciament...
Sul fondo passa la Veronica.
MARIA Cos' l'è capitat a quela dona... co la g'ha un
mantin tuto insenguinat? Ohj bona dona... av set fada
male?
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VERONICA No, miga mi... ma un de quei cundanat che
g'han metuo de soto a la crose, lo quelo co a ghe críeno
stregonaso... e che no l'è stregon, ma santo!... Santo de
seguro, che ol se capisce da i ogi dolzi ch'ol tene. A g'ho
sugad la facia insanguagnenta...
MARIA Oh dona pitosa...
VERONICA ... con sto mantin e gh' n'è sortit on
miracol... ol m'ha lasad l'emprunta d'la soa figura, che ol
pare un ritrat.
MARIA Fam lo vedar.
ZOANA No ves curiosa, Maria, che n'ol sta ben.
MARIA No sont curiosa... a senti ch'ol devi vedel.
VERONICA D'acordi, at lo fago vedar, ma in prima
segnat con-t'ol segn de la crose... eco, a l'è ol fiol de
Deo!
MARIA Ol me fiol... ah... a l'è me fiol de mi! (Corre
disperata verso l'ester~o).
ZOANA Co t'è fat... benedeta dona!
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VERONICA Ma mi no credevi ch'a fus la sua mama... de
quel!
TRADUZIONE
Maria sta in compagnia di Giovanna e per strada
incontra Amelia.
AMELIA Buon giorno Maria... buon giorno Giovanna...
MARIA Buondí Amelia, state andando a fare la spesa?
AMELIA No, l'ho già fatta questa mattina... devo dirvi una
cosa, Giovanna.
(ì~IOVANNA Ditemi; con permesso, Maria...
Si appartano e parlano concitate.
MARIA Dove va tutta questa gente? Cosa sta succedendo
là in fondo?
GIOVANNA Sarà qualche sposalizio di sicuro...
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AMELIA Sí, è uno sposalizio... vengo di là proprio
adesso.
MARIA Oh, andiamo a vedere, Giovanna, che a me
piacciono tanto i matrimoni. :~ giovane la sposa? E lo
sposo chi è?
GIOVANNA Io non lo so... credo che debba essere uno di
fuori.
AMELIA Andiamo Maria, non state a perdere tempo con i
matrimoni... andiamo a casa, che dobbiamo ancora
mettere l'acqua sul fuoco per la minestra.
MARIA Aspettate, ascoltate. Stanno bestemmiando!
GIOVANNA Oh, bestemmieranno per allegria e
contentezza...
MARIA No, che mi sembra che lo facciano con rabbia: a
stregone! >~, hanno gridato... sí, ho inteso bene...
ascoltate che vanno a ripetere. Con chi ce l'hanno?
GIOVAN~'A Oh, adesso che mi viene in mente, non è per
uno sposalizio che gridano, ma contro uno che hanno
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scoperto questa notte che ballava con un caprone, che
poi era il diavolo.
MARIA Ah, per quello gli dicono stregone?
GIOVANNA Sí, sarà per quello... ma non facciamo tardi,
Maria, andiamo a casa che non sono cose da vedere
quelle, che può succedere di prendersi il malocchio.
MARIA C'è una croce che spunta sopra le teste della
gente! E altre due croci che spuntano adesso!
GIOVANNA Sí, queste altre sono di due ladroni...
MARIA Povera gente... vanno a crocifiggerli tutti e tre...
chissà la loro mamma! E magari lei, povera donna non
sa neanche che stanno ammazzando suo figlio.
Sopraggiunge correndo la Maddalena.
MADDALENA Maria! Oh, Maria... vostro figlio Jesus...
GIOVANNA Ma sí, ma sí, lo sa di già lei... (A parte) Stai
zitta disgraziata.
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MARIA Cosa è che so già io? Cosa è capitato a mio
figlio?
GIOVANNA Niente... cosa dovrebbe esser~zli capitato o
santa donna? C'è solo che... ah, non te lo avevo detto?
Oh, che smemorata che sono... mi era uscito dalla testa
di awisarti che lui, tuo figlio, mi aveva detto che non
verrà a casa a mangiare a mezzogiorno perché deve
andare sulla montagna a raccontare parabole.
MARIA ~ questo che sei venuta a dirmi pure tu?
MADDALENA Sí, questo, Madonna.
MARIA Che sia ringraziato il Signore... eri arrivata tanto
di corsa, cara figlia, che io mi ero presa una paura di
quelle... mi ero già figurata non so mica quale
disgrazia... Come siamo stupide alle volte, noi altre
mamme! Ci preoccupiamo per niente!
GIOVANI~'A Sí, ma anche lei, questa matta, che arriva
correndo accaldata per venire a darti l'annuncio di
queste stupidaggini.
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MARIA Buona, Giovanna... non stare a sgridarla adesso...
infine è venuta per farmi il piacere di una commissione.
Ti ringrazio. figliola... come ti chiami tu, che mi sembra
di conóscerti?
MADDALENA Io sono la Maddalena...
MARIA Maddalena? Quale? Quella...
GIOVA~.~A Sí, è lei... Ia cortigiana. Andiamo via, Maria,
andiamo a casa, che è meglio che non ci facciamo
vedere con gente simile, che non sta bene.
MADDALENA Ma io non faccio piú il mestiere.
GIOVANNA Sarà perché non trovi piú sporcaccioni da
prendere... ma va' via, svergognata.
MARIA No, non cacciarla, povera figliola... se il mio caro
Gesú se la tiene in tanta fiducia da mandarla a me per
farmi delle commissioni è segno che adesso ha messo
giudizio, vero?
MADDALENA Sí, faccio giudizio adesso.
GIOVANNA Vai a crederle... Ia questione è che tuo figlio
è troppo buono, si lascia prender dalla compassione e lo
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fregano tutti! Ha sempre attorno un mucchio di poltroni,
gente senza lavoro né arte morti di fame, disgraziati e
puttane... uguali a quella!
MARIA Parli da cattiva tu, Giovanna! Lui, il mio figlio,
dice sempre che è per loro, sopra ogni cosa per loro,
sbandati e sperduti, che è venuto a questo mondo, per
dargli la speranza.
GIOVANNA D'accordo, ma non capisci che in questa
maniera non fa un bel vedere? Si fa parlar dietro... con
tutta la gente bene allevata che c'è in città: i cavalieri e
le loro dame, i dottori, i signori... che lui con il suo fare
gentile, sapiente ed erudito, si troverebbe subito nella
loro manica e avrebbe onori, farsi aiutare se ne avesse
bisogno. No, sacripante: va a mettersi con i pidocchiosi
villani I E contro a quelli!
MARIA Ascoltate come gridano, e ridono... ma non si
vedono le croci.
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GIOVANNA A parte che potrebbe fare a meno di sparlar
sempre dei preti e dei prelati... quelli non la perdonano a
nessuno!
MARIA Ecco di nuovo le tre croci...
GIOVANNA Quelli, un giorno gliela faranno pagare... gli
faranno del male!
MARIA Far del male a mio figlio? E perché, che è cosí
buono... non fa che del bene a tutti, anche a quelli che
non glielo domandano! E tutti gli vogliono bene!
Sentite... stanno sghignazzando di nuovo... uno di quelli
deve essere caduto per terra... Tutti vogliono bene a mio
figlio... non è vero?
MADDALENA Sí anch io gli voglio tanto bene!
GIOVAI~'NA Oh io conosciamo tutti, che ispirato bene gli
vuoi tu, al suo figlio della Maria!
MADDALENA Io non ho un amore uguale che per un
fratello, per lui! Adesso...
GIOVANNA Adesso... perché prima, dunque...?
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MARIA Giovanna, smettila infine di tormentarla, questa
figliola... Cosa ti ha fatto?... Non vedi com'è
mortificata? Com'è che gridano tanto? E anche se fosse
che lei, questa giovane, abbia a tenere un normali hanno
per gli uomini che gli piacciono... Bene? non è forse un
uomo mio figlio, oltre che essere Dio? Da uomo ha gli
occhi, le mani, i piedi... e tutto da uomo, finanche i
dolori e l'allegria! Dunque toccherà a lui, a mio figlio,
decidere... che saprà bene lui cosa fare, quando verrà il
suo momento, se lui vorrà prendersela una sposa. Per
me, quella che lui sceglierà, io le vorrò bene come se
fosse una mia figliola. E ci spero tanto che venga presto,
quel giorno... che ormai ha compiuto trentatre anni, ed è
ora che metta su famiglia... Oh che brutto gridare che
fanno là in fondo... E come è nera, questa croce! Tanto
mi piacerebbe averci per casa dei bambini suoi di lui...
da far giocare, cullarli... che io ne conosco tante di
canzoni da culla... e dar loro i vizi... e raccontar loro
02/10/2012
722
favole, di quelle belle favole che finiscono sempre bene,
e in giocondità!
GIOVANNA Sí, ma adesso basta di stare a sognare,
Maria... Andiamo, che di questo passo non mangiamo
plU nemmeno a sera.
MARIA Non ho fame, io... non ne scopro la ragione... Ma
mi è venuta addosso una stretta di stomaco... Bisogna
proprio che vada a vedere cos'è che succede, là in
fondo.
GIOVANNA No, non vai!... che sono cose, quelle, che
fanno tristezza. Ti porteranno uno strappacuore per tutto
il giorno. Tuo figlio non sarà contento. Può essere che,
in questo momento, lui sia già in casa e che ci aspetti...
che lui ha fame.
MARIA Ma se mi ha mandato a dire che lui non verrà!
GIOVANNA Lui può avere avuto un ripensamento. Lo sai
come sono i figli. Quando li aspetti a casa non tornano...
e ritornano quando non li aspetti mica! E bisogna essere
sempre pronte, col mangiare sul fuoco.
02/10/2012
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MARIA Sí, hai ragione... andiamo. Vuoi venire anche tu,
Maddalena, a mangiare una scodella?
MADDALENA Ben volentieri, se non vi do fastidio...
Sul fondo passa la Veronica.
MARIA Cos'è capitato a quella donna, che ha un
tovagliolo tutto insanguinato? Oh buona donna, vi siete
fatta male?
VERONICA No, mica io... ma uno di quei condannati che
hanno messo sotto la croce, quello al quale gridano
stregone... e che non è stregone, ma santo!... Santo di
sicuro, che lo si capisce dagli occhi dolci che tiene... gli
ho asciugato la faccia insanguinata...
MARIA Oh donna pietosa...
VERONICA ... con questo tovagliolo, e ne è sortito un
miracolo... lui mi ha lasciato l'impronta della sua figura,
che sembra un ritratto.
MARIA Fammelo vedere.
02/10/2012
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GIOVANNA Non essere curiosa, Maria, che non sta bene.
MARIA Non sono curiosa... sento che devo vederlo.
VERONICA D'accordo, te lo faccio vedere, ma prima
segnati col segno della croce... ecco, è il figlio di
MARIA Il mio figlio! Oh, è il mio figlio, di me! (Corre
disperata verso 1'esterr~o).
GIOVANNA Cosa hai fatto... benedetta donna!
VERONICA Ma io non credevo che fosse la sua
mamma... di quello!
BOLOGNA 12.O4.91
IL PRIMO MIRACOLO DI GESU' BAMBINO-E’
STAMPATO. Corretto il 4/ 2 /99
Ora vi propongo un brano che qualche anno fa ha
suscitato un vero e proprio scandalo al momento in
cui é stato presentato per la prima volta in
televisione. Il responsabile di questa esibizione,
Celentano che avéa chiamato me e Franca a recitare
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dei
Misteri,
fu
letteralmente
aggredito
(verbalmente s’intende) da un gruppo di vescovi
attraverso i loro giornali. Eppure come avéa fatto
notare Umberto Eco in un suo articolo-saggio, quel
testo da noi recitato fa parte di scritti accettati e
condivisi dalla chiesa da secoli. Si tratta del
“Miracolo di Gesù Bambino” che fa parte di un
famoso vangelo apocrifo. I vangeli apocrifi, come
sapete, non sono testi blasfemi o proibiti, come
qualcuno erroneamente crede, bensì vangeli esclusi
da quelli definitivi.
Nei primi secoli del Cristianesimo esistevano un
centinaio di vangeli diversi. Si può dire che ogni
comunità cristiana si scegliesse e spesso riscrivesse il
proprio nuovo testamento.
A partire dal Medio Oriente, passando per l’Africa ,
risalendo per tutta l’Europa fino ai paesi baltici,
s’incontravano gruppi etnici di lingua e cultura
diversa che adattavano al proprio modello di vita la
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lezione e il verbo di Cristo: cossì troviamo Cristo
nelle vesti di Dioniso e Orfeo, Cristo che cavalca
cammelli e si trasforma in fuoco ,Cristo assunto in
cielo alla guida di un cocchio trainato da quattro
cavalli, Cristo che corre nella steppa cavalcando
destrieri scatenati come un Vandalo, che combatte
draghi e
sculaccia donne lascive brandendo
serpenti. A sto punto, giustamente, si cercò di
mettere un po’ di ordine - si dichiararono scorretti i
vangeli adattati dai Goti e dai Montanisti ritenuti
manipolati da eretici, si cassarono i passi dove Cristo
e i suoi Apostoli distruggevano chiese e città come
Unni impazziti. Fu indetto un primo grande concilio
di vescovi a Nicea. Al culmine del dibattito
sull’accettabilità teologica di alcuni dogmi esplose
una vera e propria rissa: gruppi di vescovi si
lanciàrono contro altri santi uomini, brandendo le
canne pastorali che da allora, per i contraccolpi dei
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botti su teste di sapienti, si intorcigliarono alla cima
cossì come appaiono ancor oggi.
Ma l’ordine assoluto non fu rispettato, tant’è che
molti
vangeli
apocrifi
hanno
continuato
a
rappresentare fonte di ispirazione per mosaici,
affreschi e bassorilievi di tutto il Medioevo fino al
1200 e più. Se vi capita di passare per Palermo,
scoprirete
nelle
varie
cattedrali
(ad
esempio
Monreale) immagini che raccontano ancora nel X e
XI secolo storie fantastiche tratte dai vangeli
apocrifi. Fortunatamente a noi sono giunti anche i
testi di questi racconti epico-favolistici. Fra questi, la
storia dell’infanzia di Gesù e del suo primo miracolo.
Questo passo è splendidamente raccontato nel
vangelo di Filippo e in un altro detto di Tommaso.
Ricordo ancora che quando scoppiò lo scandalo a cui
ho accennato furono pubblicati degli stralci dei vari
vangeli su riviste, anche religiose, cossì che anch'io
scoprii degli altri vangeli apocrifi che non conoscevo.
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i
vangeli
di
Filippo
e
Tommaso
propongono la storia di Gesù bambino, che dopo la
fuga da Betlèmme... vanno verso il nord, arrivano a
transitare lungo il mare, fino a Jaffa... la città dei
pompelmi...
(rivolgendosi
al
pubblico
che
immancabilmente su questo commento ride) io so già
che voi pensate alla J di Jaffa, pensate a Jesus, al
miracolo dei pompelmi, non è questo. Il primo
miracolo di Gesù bambino non è stato quello di
timbrare con una J tutti i pompelmi della costa
palestinese. No, si è trattato di un miracolo molto più
poetico. Dunque, dicevamo, la sacra famiglia arriva
a Jaffa : Madonna, Bambino e Giüsèppe, per non
parlare dell’asino, cercano di sfuggire alla strage
ordinata da Erode, vi ricordate sto fanatico
scalmanato che voleva tagliare più teste del
necessario?!! Arrivano in questa città e si ritrovano
nella stessa condizione che oggi vivono Curdi ed
Albanesi...non rimediano un posto da dormire, sono
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a disagio, lui soprattutto, San Giüsèppe, non riesce a
trovare un cane che gli offra un lavoro. Ma la
difficoltà maggiore la soffre il ragazzino che si
ritrova letteralmente sbattuto in mezzo alla strada,
con difficoltà di comunicare con gli altri, Gesù
parlava palestinese stretto, e quelli di Jaffa,
aramaico
imbastardito...
non
lo
capivano,
lo
sfottevano, non volevano giocare con lui, lo
cacciavano via e gli gridavano “Palestina” con
disprezzo. Sta povera creatura soffre umiliazioni... e
per farsi coraggio e soprattutto farsi accettare,
amare da questi ragazzini del luogo, guardate cosa
significa il senso del gioco, decide di fare un
miracolo, un piccolo miracolo che gli riusciva
sempre abbastanza bene... quello di costruire con la
terra creta degli uccellini e poi farli volare, soffiando
loro addosso... il successo é straordinario! Gesù
trasforma la terracotta in passeri, fringuelli e
pettirossi stupendi ... coinvolge quindi tutti gli altri
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ragazzini che, a loro volta, impastano creta e
scodellano incredibili volatili... in verità, si tratta di
schifezze inenarrabili e il guaio è che a lui tocca dar
fiato per farli volare, che se no, non lo applaudono.
Ad ogni modo il piccolo Gesù riscuote un vero e
proprio trionfo, lo eleggono capo dei giochi ma
ahimè... in quel momento entra in scena il figlio del
padrone, un prepotente, pretende di partecipare al
gioco dei volatili ma i ragazzini del quartiere in coro
lo rifiutano e lui, per ripicca, spacca tutte le
statuine... a Gesù bambino, girano i santissimi, le
madonne... ha una reazione proprio da Padre Eterno
incavolato... fa una cosa ORRENDA, un gesto che
viene raccontato da tutti i vangeli apocrifi; poi
naturalmente c’è un risvolto, una catarsi mistica, ma
non è il caso di anticiparvela... la verrete a scoprire
con
la
rappresentazione.
Questo
spettacolo
veramente lirico degli uccelli che vo, della gioia dei
bambini è, credo, una delle più bèlle immagini tra
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tutti i Misteri Buffi che mi sia mai riuscito di mettere
in piedi. Però attenti! Questa storia viene raccontata
con un ritmo, con un andamento che molte volte
stravolge.
L’inizio della storia si spalanca con una gran cupola
di cattedrale: appare un cielo ricoperto di mosaico
blu e d’oro... all’istante sbuca una grande stella che
avanza trascinando una lunga coda di luce...
deraglia, scarta, spintona ogni astro che incontra sul
suo cammino. Naturalmente è la stella cometa , e
subito dietro i Re Magi che da giorni la vanno
seguendo. Apre la carovana il re magio vecchio che
cavalca un cavallo nero, l’allegoria è importante,
appresso lo segue il giovane re magio, sorridente sul
cavallo bianco, sempre attenti all’allegoria, ultimo è
il re magio nero che cavalca un cammello grigio, e
qui non lasciatevi sfuggire l’allusione morale... Il
nero, anche lui sorridente, splendente nel buio della
notte... sono fari i suoi denti, i suoi occhi luminosi...
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canta! Cosa può fare un nero su un cammello grigio
nel deserto sconfinato? CANTA! Il guaio è che
appresso gli sta’ il vecchio re magio ingrugnito che
non sopporta il canto, tantomeno a
cammello...
quindi
ha
scatti
ritmo di un
da
re
magio
nevrastenico e lo insulta. Oltre la stella in cielo
appare un angelo, anzi, un ARCANGELO quasi
barocco sventolante panneggi e sbattente ali piumate
come dieci code di struzzo... un angelo che scende in
picchiata ad avvertire con vocalità di tuono i pastori
che è nato Gesù, coi pastori che si spaventano,
gettandosi a terra, le pecore che perdono il pelo
mentre lui grida “ Andate a Betlèmme a onorare il
Redentore” ed ecco i pastori costretti ad ubbidire, si
avviano portando doni per il piccolo Gesù. Nelle
vicinanze della stalla si apre il presepe: una gran
folla
di
credenti,
curiosi,
mercanti,
venditori
ambulanti che offrono di tutto, pecore e bambini
smarriti.
All’ingresso
della
stalla
c’è
anche
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Sant’Anna, nonna del neonato celeste, che raccoglie
i doni e li infastella. Arrivano i Re magi e di lì a poco
anche l’angelo che ordina “Sloggiate, presto! Stanno
arrivando i soldati di Erode che tagliano teste a più
non posso... se acchiappano anche il Santo Bambino,
bisognerà
rimandare
il
presepe
e
tutto
il
cristianesimo all’anno venturo!”
Quindi arriviamo alla fuga con l’innesto di Jaffa, che
vi ho già detto. Andiamo ad incominciare... fate bene
attenzione all’andamento della storia, soprattutto al
ritmo e alle situazioni solo accennate. Lasciatevi
pure andare smodati alla risata e alla commozione...
è risaputo che la gente ricca di immaginazione è
quella che piange e ride senza ritegno.