Trionfo nel segno di Lombardi

Transcript

Trionfo nel segno di Lombardi
GAZZETTA
Venerdì
SPORT
9 aprile 2004
IX
16 maggio 1982. Le Cantine Riunite a Udine sconfiggono Pavia e per la prima volta si affacciano al grande basket
Quel mitico spareggio che ci portò in A2
Una stagione difficile, poi un capolavoro di partita firmato da Fuss
LA BIPOP
IN SERIE A
I ricordi di un viaggio
passato fra i timori
che la promozione
sfuggisse di nuovo
di Maurizio Bezzecchi
REGGIO. Pare un destino: sento parlare di un bel servizio realizzato da Telereggio con il mitico diesse Gianni Pastarini che ripercorre gli oltre venti anni di storia biancorossa. E’ già andato in onda, me lo procuro in versione
vhs, me lo guardo e mi commuovo ancora.
Mi commuovo perché una
parte importante la dedica a
quel mitico 1982, a quello spareggio di Udine che portò il
basket reggiano nella agognata A2 del tempo. Ora il giornale dove ho scritto di basket
per quasi venti anni mi chiede di ricordarlo e le parole e i
ricordi scorrono via facili.
Ero un ragazzino a quel
tempo, sognavo di fare il giornalista e avevo appena iniziato a collaborare con la Gazzetta. Anche lei in edicola da poco più di un anno, piena di sogni e di ambizioni come la Pallacanestro Reggiana che il
presidente Enrico Prandi e lo
sponsor senatore Walter Sacchetti cercavano di far decollare. Alle spalle c’erano due
anni di sfide perse all’ultimo
secondo prima con il Leone
Mare Livorno e poi con la Libertas e l’urlo che riecheggiava già in via Guasco «In A2 si
va» strozzato in gola.
Si riparte
Si riparte, l’allenatore è un
imolese cordiale e tracagnotto, ha due baffi alla Zapata e
infatti si chiama Gianni Zap-
pi. Ha sostituito Raimondo
Vecchi, il tecnico del boom
del basket a Reggio e tutti lo
aspettano col fucile puntato.
Non sto a raccontarvi la storia di quella stagione sul filo
di lana, le paure e le ansie, ci
sono tre posti per la promozione ma sino all’ultimo siamo
costretti a sperare anche nelle disgrazie altrui. E le disgrazie altrui arrivano, la nostra
rivale, la Necchi Pavia, perde
all’ultima giornata a Cremona mentre Reggio vince con
Montebelluna ed ecco un miracoloso aggancio che vale lo
spareggio.
Si va a Udine e come dimenticarlo quel giorno? L’auto
che corre veloce al PalaCarnera vede alla guida Gian Matteo Sidoli, il decano dei giornalisti reggiani di basket, l’uomo che ha iniettato alla Gazzetta quella vis polemica che
l’aveva posta al centro del dibattito cestistico cittadino (io,
giovane alle prime armi, al
momento ero addetto solo a
presentazioni e interviste, i
commenti toccavano alla penna al curaro di Sidoli). Al fianco il sottoscritto, dietro Walter Fuochi, ora firma storica
del basket su Repubblica.
L’esultanza a Udine per la vittoria nello spareggio: su tutti troneggia Tonino Fuss, accanto a lui a braccia alzate c’è Mario Ghiacci
Si arriva, assieme a centinaia di reggiani, e non si sa
che pensare. La squadra delle
Cantine Riunite, come si chiamava allora, era più forte sulla carta ma quella Necchi Pavia ci aveva già battuto in
campionato e faceva paura.
Paura? Dura solo un tempo.
Poi decide uno che per tutta
la stagione ci aveva fatto imbestialire.
Un certo Tonino
Lo ricordate Tonino Fuss,
quel gigante friulano nato
per caso in Brasile, costretto
a giocare a basket solo per-
ché era alto 2.20? Preferiva
leggere libri di elettronica, il
basket non lo faceva impazzire e allora diventava timido timido e accettava solo l’amicizia di chi, come il sottoscritto, era pronto a vederlo non
solo come un giocatore di basket ma anche come un uomo, alle prese con i suoi problemi esistenziali. Una volta
riuscii anche a incastrarlo
nella mia 126 e a portarlo a
una cena con alcuni miei amici. Si divertì, mi ringrazio, e
io implorai: «Fai qualcosa per
portarci in A2».
Per mesi faticò, qualcuno
lo considerava solo un fenomeno da baraccone, ma in
Trionfo nel segno di Lombardi
18 marzo 1984. Al traguardo la cavalcata verso la A1
quella gara Fuss alzò all’improvviso una barriera contro
la quale incocciarono i lunghi della Necchi, in primis il
loro pivot, Ernesto Cima, un
mancino che faceva paura.
Rimbalzando da quel muro,
partirono i contropiede che
sbloccarono la Riunite. E allora via, con Codeluppi, Grasselli, Rustichelli, l’emergente
Montecchi, già una spanna sopra gli altri. Partì la Riunite e
non la prese più nessuno, gli
ultimi minuti a danzare di
gioia in tribuna stampa e poi
tutti sul parquet ad abbracciare i biancorossi. Fuss troneggiava in mezzo al campo, i tifosi abbracciati alla sua cinto-
22 maggio 1997. L’ultima promozione nella massima serie
Così Basile demolì Gorizia
«Avevo fame di successo»
di Andrea Mastrangelo
di Tiziano Soresina
REGGIO. Difficile che qualcuno ricordi cosa accadde il
18 marzo 1984. In effetti, nulla di eccezionale, sportivamente parlando. La squadra di Reggio, le Cantine Riunite, vinsero contro un’avversaria, la Lebole Mestre, che oggi non figura nemmeno più nella geografia del basket.
REGGIO. E’ il ricordo più
recente — datato 22 maggio
1997 — ma quella promozione in A1 per l’allora Cfm
che cercava da due anni il
rientro nel «grande giro»
sarà anche il trampolino di
lancio per un giovane talento come Gianluca Basile,
che giocò le quattro gare decisive con la Dinamica Gorizia (3-1 per Reggio alla fine)
da autentico «americano».
Una guardia sbarcata
un bel giorno a Reggio da
Ruvo di Puglia...
«Sembra davvero passato
un secolo — commenta
Gianluca Basile, ora in maglia Skipper Bologna e stabilmente in azzurro dal ’98
— ma ricordo la folla in
campo, gli abbracci, la mia
prima grande gioia sportiva
a 22 anni, quando ero il più
giovane in squadra e tutti
erano prodighi di consigli
con me».
Nei play off si fece trovare super pronto. Basta
chiederlo ad un grande difensore come Mian, stordito, come tanti altri goriziani, dalla sua esplosività...
«Quando ci troviamo in
Nazionale, scherzando, glielo ricordo sempre... Ho ben
fissate nella mente quelle
gare, tutte molto tirate: stavo bene fisicamente e a 22
anni non sentivo certo la
pressione. Giocavo d’istinto
e via con folate in contropiede, entrate, palle recuperate, tiri su tiri. Allora tiravo
raramente dalla linea dei
tre punti, ma con le conclusioni da due punti demolii
Gorizia».
Quella Cfm cos’aveva
dentro per vincere così a
mani basse la finale?
«Era formata da grandi individualità, in un dosato
mix fra esperienza e freschezza atletica di noi giova-
E allora? E allora quel pomeriggio accadde che i giocatori in biancorosso dopo aver
rifilato più di 100 punti ai veneti si ritrovarono a braccia
alzate in mezzo al campo a ricevere l’applauso di via Guasco; a cinque giornate dalla fine del campionato, avevano
ottenuto la matematica promozione in A1.
Ma perché quella data è stata quasi dimenticata, a differenza ad esempio del giorno
del mitico spareggio di Udine,
in cui (due anni prima) le Riunite salirono in A2? Perché in
realtà quella promozione era
stata conquistata ben prima
del 18 marzo, era stata già
chiusa nel cassetto nella tarda primavera precedente
quando il presidente Prandi
portò a casa il contratto firmato con Dado Lombardi.
La premessa
Un breve passo indietro. Ci
sono alcuni nomi fondamentali nella storia del basket reggiano. Il primo è quello di
Giuseppe Ferretti, l’allenatore schivo e taciturno al quale
va riconosciuta la costruzione delle fondamenta di una
squadra partita dal nulla, dalla Promozione giocata alla Rosta. Con lui da zero si è arrivati alla serie B. Venne poi il
tempo di Raimondo Vecchi, il
giovanissimo e vulcanico coach al quale si deve il miracolo: aver riempito il palasport.
Messi da parte (per fortuna) i
sogni di un immediato passaggio dalla C (perché nel frattempo eravamo retrocessi) alla A1 grazie alla scomparsa
della terza società bolognese,
ci ritrovammo di nuovo in B
Passerella trionfale
Avversari stritolati
da una squadra
di caratura superiore
Decisivo l’innesto
di un giocatore
che sembrava vecchio:
un certo Brumatti
con una squadretta di bravi
ragazzi nostrani e due vecchi
marpioni, Di Nallo e un certo
Ghiacci, a fare da valore aggiunto. Contro di noi squadre
dal grande blasone e dal poco
temperamento. Morale: dovevamo salvarci, perdemmo la
promozione per un punto all’ultima giornata. Lo stesso
accadde l’anno dopo, stagione 80/81. Ma intanto il lavoro
grosso era già fatto. Il palasport sempre pieno, basket come sport di massa.
La promozione in A2 venne
con il primo allenatore non
reggiano, Gianni Zappi, un
professionista che non si fece
sfuggire l’opportunità offerta
da un campionato che proponeva tre promozioni e che
l’anno dopo governò la prima
stagione con giocatori di passaporto statunitense.
Chiuso anche il ciclo di Zappi, il presidente Prandi andò
alla ricerca di quel personaggio che potesse tenere la squadra al passo con le ambizioni
della società e della piazza.
Azzeccò in pieno la scelta,
Tutti al centro del campo per festeggiare la prima promozione in A1
bloccando quel Lombardi di
cui si sapeva che aveva un
brutto carattere e che era stato uno dei più grandi giocatori di sempre.
La passerella
Era fatta. Fu lì che si conquistò la A1. Perché il campionato fu in realtà una passerella trionfale, con gli avversari
stritolati. Lombardi si trovò a
ereditare due stranieri di livello assoluto: Bouie, un bambinone buono come il pane
che giganteggiava sotto canestro, e Rudy Hackett, un
esterno che parlava poco ma
in compenso non rideva mai
e che aveva dei fondamentali
come a Reggio non si sono
più visti. In sostanza Lombardi unì una sola pedina fondamentale, un giocatore che
sembrava sul viale del tramonto: quel Pino Brumatti
del quale già da qualche anno
ci si stupiva per la sua longevità sportiva. Brumatti non
solo fu fondamentale ma anzi
continuò ancora per anni con
la maglia delle Riunite.
A questi si aggiungevano
giocatori di talento come Rustichelli e Giumbini e un ragazzone del quale già da un
po’ si diceva un gran bene e
che con Lombardi ebbe un
rapporto di amore e odio:
quel Piero Montecchi che di
lì a poco sarebbe arrivato anche alla Nazionale e che diede il meglio di sè a Milano.
Quell’anno le Riunite mostrarono troppo talento perché si potesse ragionevolmente pensare di non essere promossi. La stagione visse piuttosto su duelli che già facevano assaporare il gusto di altri
livelli: come la sfida con Milano in Coppa Italia, con il gigantesco Lombardi a mettere
argine al piccoletto Dan Peterson. La partita (persa) in casa
fu stellare, con una forza della natura come Antoine Carr
che giocando più di muscoli
che di testa sbricolò non una
ma due plance. Eravamo in
A2, ma con la testa vivevamo
già le emozioni della A1.
la, un lieve sorriso ad allietare il suo volto sempre triste,
quasi a dire: «Avete visto, uomini di poca fede?».
Diventammo tutti uomini
di fede allora, di una fede
biancorossa che negli anni
avrebbe sempre ricordato
Udine come il luogo dello spareggio, che ci ha fatto sentire
per la prima volta grandi,
con la Riunite. Sentivamo
che era nato qualcosa di serio, che ci avrebbe esaltato e
fatto piangere ma che non ci
avrebbe più abbandonato. Sarebbero venute altre sfide decisive, ma la prima resta quella di Udine, incisa sui muri
della storia del nostro basket.
Gianluca Basile
ni (con Basile, Davolio e
Usberti, ndr). Basta pensare
al grande Mitchell, a un
esperto in promozioni come
Pastori, a Mannion che per
me è stato come un fratello,
a giocatori di lunga militanza come Montecchi e Aldi».
In panchina c’era un
certo Giordano Consolini...
«Un grande. Non lo ringrazierò mai abbastanza. Se
nel ’97 ero diventato un protagonista di quella squadra
lo devo a lui. Fece scelte coraggiose, in verità fin dai
tempi degli juniores, per inserirmi, credendo in me,
precocemente anche in prima squadra. Ancor oggi mi
chiedo: se Giordano non
avesse fatto quelle scelte,
ora dove sarei?».
Curiosamente l’attuale
tecnico della Pallacanestro Reggiana, Fabrizio
Frates, in quelle finali sedeva sulla panchina di Gorizia e dopo la gara decisiva parlò di lei come giovane dal grandissimo futuro, di un autentico dono
per la pallacanestro italiana. Un veggente?
«Aveva visto bene — ride
di gusto Gianluca Basile —
Frates sì che se ne intende
di basket!».