I posti delle lavandaie di Limena sul canale Brentella – Copia

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I posti delle lavandaie di Limena sul canale Brentella – Copia
Sesta edizione Bando di Concorso
“TUTELA, VALORIZZAZIONE E PROMOZIONE DEL PATRIMONIO
LINGUISTICO E CULTURALE DEL VENETO” anno scolastico 2016/17
Scuola secondaria primo grado ‘Beato Arnaldo da Limena’, classe 2 A
I posti delle lavandaie di
Limena sul canale Brentella
(attività di ricerca a scuola e sul
territorio)
I posti delle lavandaie di Limena sul
canale Brentella
Parte prima: attività in classe e sul territorio
Presentazione dell’attività fatta in classe dal docente
Sul lavoro delle lavandaie si possono trovare a Limena testimonianze ancora ben visibili lungo il
tratto del canale Brentella nella zona centrale di piazza Diaz, sia sulla riva destra che su quella
sinistra. In internet, usando la Lim, si possono reperire informazioni su questo lavoro che a Limena
come altrove si faceva tutto a mano prima che nelle nostre case entrasse la lavatrice.
Uscita sul territorio
La classe è stata accompagnata dal docente sui luoghi delle lavandaie (durata dell’uscita 2 ore).
Sono stata scattate delle foto per documentare la presenza sul territorio limenese delle postazioni
in cui scendevano le lavandaie. Le foto sottostanti con le relative didascalie vogliono documentare
l’uscita e l’attività di osservazione e di ricerca sul territorio.
(la foto documenta la presenza di due invasi a forma rettangolare, a destra e a sinistra, all’altezza
del primo colmellone, sulle vie Marconi e Bocche, vicino alla stazione dei Carabinieri)
(foto ravvicinata scattata sull’invaso di sinistra)
(scalinata in trachite da cui scendevano le lavandaie)
(foto scattata da via Matteotti: mostra l’invaso delle lavandaie sul lato destro del Brentella, davanti
alla scuola Manzoni. La scaletta in acciaio è stata messa di recente per scendere in acqua con le
canoe)
(foto dello stesso posto, scattata da via Garolla)
(foto di gruppo della classe scattata sullo stesso invaso, da via Garolla)
(altro posto delle lavandaie sulla sponda destra, foto scattata da via Garolla)
(scalinata in trachite su Piazza Diaz lungo la quale scendevano le lavandaie)
(altra scalinata in trachite situata più a valle)
(altro posto situato sulla sponda sinistra più a valle)
Parte seconda: attività in classe
Le lavandaie in un’antica foto di Limena di fine ‘800
Ritornati in aula, i ragazzi hanno approfondito il lavoro con l’osservazione attenta di una antica foto
di Limena in cui si vedono due lavandaie nella parte sinistra in basso. La foto è molto rovinata, ma
ci mostra con precisione il loro lavoro.
(antica foto di fine ‘800 scattata da Piazza Diaz in cui si vedono due lavandaie chine sull’acqua del
Brentella con alle spalle la fabbrica Garolla e un signore intento a guardarle. La foto è stata data
all’insegnante da Renato Martinello, storico di Limena)
(particolare della stessa foto in cui si notano meglio le due lavandaie)
Altre foto di lavandaie di altri paesi
In internet si possono trovare numerose foto d’epoca che testimoniano il lavoro delle lavandaie.
Alcune sono molto belle e stanno a documentare che era un lavoro diffuso ovunque, non solo nelle
zone di campagna come Limena.
(lavandaie a Padova città)
(Padova, lavandaie a Ponte San Giovanni, cartolina)
(Padova, lavandaie sul Piovego, dietro la chiesa del Carmine, cartolina)
Le lavandaie che non andavano al fiume e i loro strumenti di lavoro
“Donne piegate sull’acqua a lavare e battere panni per ore e ore. Nei loro volti rivedo le mie nonne,
rivedo mia madre, che non andavano alla gora perché nelle vicinanze non avevano un corso
d’acqua, ma all’abbeveratoio vicino al pozzo sull’aia o al mastello con l’asse di legno. Mia nonna
paterna a cinquant’anni, a causa di questo lavoro massacrante, si ritrovò con la schiena piegata sul
lato destro e così rimase per il resto della vita” (testimonianza del docente).
(esempio di asse da lavandaia, presente in ogni nostra casa fino a cinquanta anni fa, recuperata dal
docente a un mercatino dell'usato)
Parte terza: intervista ai famigliari
Testimonianze orali raccolte e trascritte dai ragazzi, interrogando genitori o nonni. Dicono di un
lavoro che si faceva così fino a cinquant’anni fa, anche da ragazze di 10-12 anni
Mia nonna Pasqualina Mason dagli 8-9 anni andava insieme a sua sorella al Brentella a
lavare i panni; quando chiudevano le chiuse l'acqua era alta solo 15 cm. e loro giocavano nell'acqua
schizzando e correndo o per cercare fazzolettini o tovagliette. Andavano a lavare i panni con tavole
di legno e con grandi cesti di bucato. In casa si preparava un secchio con un vecchio lenzuolo, i
panni venivano messi sotto il lenzuolo e la cenere sopra per non macchiarli; li preparavano così per
poi andare a lavarli al canale. Gli oggetti più grandi si lavavano in casa, gli oggetti più piccoli al
fiume; la corrente spesso portava via sapone o fazzolettini e lei a casa se le prendeva dagli anziani
o dai genitori proprio per averli persi (Jonathan Bortoli).
Mia nonna è abbastanza giovane, ma quando era piccola (più o meno sui 13 anni) abitava a Villa
del Conte. Nella via di casa sua c’era una fontana e quando la sua famiglia doveva lavare i vestiti, lei
andava là. Riempiva una botte con dell’acqua e ci spargeva sopra della cenere che veniva come
sapone ed era prodotta dalla legna bruciata, infine prendeva una spazzola e sfregava i vestiti. Già
quando si è sposata con mio nonno (intorno agli anni ‘70), era uscita la prima lavatrice elettrica
(Alberto Bazzolo).
I miei nonni hanno testimoniato che nelle loro famiglie il bucato si faceva ogni 15 giorni. Per fare
questo ci si serviva di un mastello, ossia una grande bacinella piena di acqua e lissia. Quest’ultima è
un miscuglio di sapone (marsiglia), acqua e cenere che serviva per lo sbiancamento dei vestiti.
Hanno inoltre detto che, come anche oggi, loro dividevano il bucato per colore. I capi bianchi
insieme e quelli colorati separati dai primi. Quando si pulivano i vestiti, servendosi di un mastello,
una donna si toglieva le calze e pestava la bacinella come per ammorbidire i panni. Le setole della
spazzola per lavare il bucato non erano morbide altrimenti scivolava ma resistenti. Per asciugarli si
stendeva in cortile un filo di canapa e si appendeva il bucato. In città c’erano anche delle aree
predisposte al lavaggio dei panni sporchi (Angelica Schiavo).
Mia nonna mi ha riferito che nella sua famiglia residente a Castelfranco, quando si faceva il bucato
si prendeva una grande bacinella chiamata MASTELLO carica di acqua e sapone, quello che per i
miei nonni era il SOLE, non sempre però. Infatti, in alcuni casi, per esempio per sbiancare le
lenzuola, si usava la LISSIA ovvero la cenere prodotta dalla stufa. Il bucato, a differenza di oggi, non
si faceva ogni giorno, anche perché non c’era la possibilità, ma ogni 10-15 giorni e una volta
compiuta la prima fase i panni venivano stesi su alcune corde attaccate ai tronchi degli alberi.
Ovviamente se c’era il sole i vestiti si sarebbero asciugati più velocemente, ma se era una giornata
brutta e nuvolosa il bucato si sarebbe asciugato molto più lentamente. Per lavare ci si serviva di
una tavola rettangolare e ci si sbattevano i panni, aiutandosi con una spazzola dalle setole rigide
(Carlotta Marinello).
Mia nonna Anna Maria Feltracco per andare a lavare i panni attraversava l'argine con in mano un
secchio e la sua tavola di legno con il sapone fatto in casa e stava molte ore per lavarli. Dopo aver
finito tornava a casa e li stendeva su uno stendino esterno e li lascia ad asciugare al sole (Erika
Bizzotto)
Mia nonna Angelina Agostini e sua mamma abitavano a Limena. I panni li lavano sulla Porra, un
fiumiciattolo vicino alla loro casa. Venivano messi dentro il mastello (in dialetto veneto masteo), un
recipiente molto grande di legno dove dentro si metteva l’acqua e le ceneri (in dialetto veneto
issia), che serviva come detersivo. I panni venivano inseriti nel mastello e poi venivano “mescolati”
con il forcon, un grande bastone di legno. Oltre alla cenere si poteva usare un sapone composto da
grasso di maiale e soda caustica (chiamata anche idrossido di sodio, una sostanza che assorbe
molto facilmente l’acqua). Il composto veniva fatto bollire e poi raffreddato in stampi così da
ottenere il sapone di allora. Con il sapone veniva ripassato il bucato. Finito tutto ciò il bucato
veniva fatto asciugare sui fili dopo esser stato strizzato (Giovanni Masiero).
Mio nonno mi ha raccontato che sua moglie, quindi mia nonna, bolliva l’acqua in un grande
pentolone. Poi metteva la cenere dentro il mastello, ricoperta da un lenzuolo di canapa fatto dalle
donne per evitare di sporcare i vestiti appena lavati, prendeva una tavoletta di legno e una
spazzola fatta di saggina e puliva i vestiti (Giulia Maria Giorato).
Mia nonna paterna mi ha detto che non era una lavandaia, perché è andata a lavorare subito in
fabbrica, mentre la mamma di mia nonna di nome Linda, sì. Ha iniziato a fare la lavandaia a 13-14
anni e andava per le case a prendere la biancheria sporca e poi andava a casa sua per lavarla. La
mia bisnonna per lavare i panni bolliva l’acqua in secchi di rame, poi quando bolliva metteva i
vestiti in un mastello, una bacinella molto grande, lo copriva con un telo e sopra esso metteva la
cenere raffreddata e infine buttava altra acqua bollente. Si buttava la cenere perché sbiancava. Poi
raccoglieva la cenere e strizzava il telo per toglier l’acqua e poi lavava i panni. La mia bisnonna
andava anche sul canale Brentella (dalla parte della scuola Manzoni) a lavare i panni. Lungo il
canale ci sono delle scalinate e quando si scendeva si potevano trovare delle pietre dove si
sbattevano con forza i panni da lavare. Oltre le pietre si potevano usare, portandosela da casa,
delle tavole in legno. Per fare il sapone bolliva le ossa, il grasso del maiale, la cenere e poi
raffreddava il tutto (Giulia Gobbin).
Molti anni fa, quando non esisteva ancora la lavatrice, mia nonna non andava al fiume perche’
nella sua zona non c’era, quindi l’acqua la prendeva dal pozzo e poi la metteva in una grande
bacinella (non si chiamava proprio cosi). Questa cosiddetta bacinella era molto grande e ce
l’abbiamo ancora. L’acqua veniva fatta riscaldare in una specie di forno poi si prendevano i panni e
il masteo e si pulivano. A quel tempo non c’era il sapone ma si utilizzava la cenere e una tavoletta
per strofinare i panni, e poi i panni si mettevano ad asciugare. Mia nonna adesso ha le mani molto
ruvide perchè con questo lavoro molto duro a cinquant’anni si avevano le mani rovinate (Luca
Meggiolaro).
Mio padre mi ha raccontato che vicino alla casa della sua zia c’era una grande fontana fatta
apposta per lavare i panni. Per le lavandaie del paese era un posto dove si poteva parlare e avere
notizie della comunità. Siccome l’acqua era presa direttamente da un ruscello, era molto fredda,
perciò indossavano guanti di plastica in modo da proteggersi (Samuele Bassan).
Mia nonna non ha mai fatto il mestiere della lavandaia, lavava solamente i vestiti sporchi della sua
famiglia. Per pulire i vestiti utilizzava il mastello (masteo in dialetto), un grande secchio di legno o
di plastica. Usava una tavola che veniva appoggiata inclinata sopra il mastello. Molti mastelli per
tenere la tavola inclinata avevano dei rialzamenti rispetto al bordo, dove poteva essere appoggiati.
Poi si battevano i panni e si lavavano con acqua dei pozzi o dei fiumi vicini (non c’era ancora acqua
in casa), con bruschino e sapone per bucato, che poteva essere di Marsiglia, oppure poteva essere
fatto in casa utilizzando la cenere (Sofia Calzavara).
I panni venivano lavati nel mastello o al fiume e venivano strofinati su una tavola di legno. Per
renderli puliti si usavano detersivi naturali. In montagna dove vado a sciare, nel paese di Forno di
Zoldo, c’è un luogo dove le lavandaie lavavano i panni: una specie di fontana sempre piena d’acqua,
tutta di legno (Thomas Bonsembiante).
Mia mamma mi ha detto che la mia bisnonna di nome Baldan Bertina, sposata con Rampado
Giuseppe, faceva la lavandaia. Ora ha 87 anni e già all’età di 12-13 anni andava a lavare i panni alla
fontana del paese di Pianiga. Lei lavava solo i vestiti della propria famiglia e non andava in giro a
chiedere i panni degli altri per lavarli per arrotondare le entrate a fine mese. Mi ha spiegato che li
lavava con il masteo e la lissia: il mastello era una bacinella grande dove si lavavano i panni e la
lissia o liscivia era il prodotto con cui si lavava. La lissia era il sapone di una volta formato da:
cenere, grasso di maiale sciolto, sapone di Marsiglia (Valentina Argentini).
Parte quarta: dopo le lavandaie, nuovi mezzi per lavare
In internet abbiamo trovato anche la foto di una prima lavatrice manuale Perla e quella di una
vecchia Zoppas, una delle lavatrici finalmente elettriche, che oggi tutti abbiamo nelle nostre case.
Parte quinta: le lavandaie nell’arte (pittura e scultura) e nella
letteratura
Delle lavandaie si sono occupati anche gli artisti. Da internet abbiamo scelto alcune loro
opere che ci hanno fatto capire che era un lavoro umile, faticoso, comune, esclusivamente
femminile. Eccone solo alcuni esempi.
Vincent Van Gogh, Il ponte di Langlois, 1888
Paul Gauguin, Lavandaie al Canal Roubine du Roi, 1888
Giovanni Ciusa Romagna, Lavandaie al fiume, 1941
Pierre Agust Renoir, Grande lavandaia accovacciata, 1910, scultura in bronzo
Elia Sala (1864-1920), Lavandaia, scultura in bronzo
Le lavandaie nella letteratura: la poesia Lavandare di Giovanni Pascoli
La poesia di Giovanni Pascoli del 1891 è stata letta, studiata e imparata a memoria
da tutta la classe
Lavandare
Nel campo mezzo grigio e mezzo nero
resta un aratro senza buoi che pare
dimenticato, tra il vapor leggero.
E cadenzato dalla gora viene
lo sciabordare delle lavandare
con tonfi spessi e lunghe cantilene:
Il vento soffia e nevica la frasca,
e tu non torni ancora al tuo paese!
quando partisti, come son rimasta!
come l’aratro in mezzo alla maggese
Parte sesta: piccolo vocabolario delle lavandaie in lingua veneta
Bruscheto: spazzola a setole grosse
Forcon: asta di legno terminante a forcella per tenere alti da terra i panni stesi ad
asciugare sulla corda
Lissia: acqua saponata per bucato; si otteneva mescolando cenere di legna e soda in
acqua calda. Dal lat. lixiva
Mastea, Masteo: recipiente di legno con doghe sporgenti e bucate per trasporto a
mano per mezzo di un bastone infilato nei fori
Saon: sapone
Strasse: indumenti, abiti, stracci
Toea da lavare: asse di legno da lavandaia
Proposta al Comune: un monumento alle lavandaie di Limena
A queste donne, alle lavandaie, bisognerebbe dedicare un monumento. Invieremo la proposta al
Comune perché anche a Limena si abbia una testimonianza sulla fatica di queste donne
sull’esempio di quanto hanno già fatto tanti altri comuni (di cui riportiamo alcuni esempi trovati in
internet).
Fraz. Grassina - Bagno a Ripoli (FI)
Monza
MONUMENTO ALLA LAVANDAIA - SAN LORENZO A VACCOLI (LU)
Considerazioni finali del docente
Cosa resterà ai ragazzi di questa attività?!
La memoria di un’uscita sul territorio (che non è come lavorare in classe)
La scoperta che la storia è scritta sul territorio di appartenenza
La coscienza di appartenere a una comunità con una storia
La coscienza civica che la comunità è quella di oggi e quella di ieri
La coscienza che la propria storia locale è la storia di tante altre persone
Guarderanno quegli invasi sul Brentella con l’occhio attento di chi non vede solo
dell’acqua passare
Il gusto della scoperta, che è scoperta delle proprie radici e quindi di sé.