il movimento di auto-aiuto
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il movimento di auto-aiuto
Storia, contenuti, caratteristiche e processi Francesca Oliva L’ intrinseca necessità umana di sostegno, supporto e aiuto nelle difficoltà della vita quotidiana situa le origini dell’auto-aiuto molto lontane nel tempo: il primo «storico» dell’auto-aiuto, P. Kropotkin (1), individua già nelle società preistoriche forme di mutuo aiuto e di cooperazione all’interno di clan e tribù per difendersi e attaccare altre tribù, e attribuisce allo sviluppo di queste forme di cooperazione sociale la sopravvivenza dell’uomo e il successivo passaggio dell’organizzazione sociale in unità familiari. Inizialmente l’auto-aiuto è fortemente limitato ai membri stretti del gruppo e della comunità ed è rivolto soprattutto alla difesa dai nemici, alla raccolta di approvvigionamenti e all’offerta di assistenza per i membri bisognosi. Anche negli Stati Uniti i primi coloni diedero vita a simili forme di auto-aiuto, allo scopo da una parte di difendersi dalle avversità naturali e dagli indiani e dall’altra di produrre beni di prima necessità per la collettività. I primi veri «movimenti» di auto-aiuto nascono tuttavia in seguito alla rivoluzione industriale e alla crescente necessità di far fronte ai problemi sociali, economici e sanitari a essa collegati. Le Friendly Societies in Inghilterra, ad esempio, sorsero nella seconda metà dell’Ottocento in modo spontaneo come gruppi locali di lavoratori in cerca di un sostegno comunitario per fronteggiare problemi di vita quotidiana come l’alloggio e la salute, assicurazioni e prestiti, indennità per i lavoratori, cooperative di consumo. Il loro sviluppo fu rapido ed esponenziale e la loro influenza crescente, tanto che il fondatore del welfare state in Gran Bretagna, Lord Beveridge, le descrive nel 1948 come «strutture per l’aiuto fraterno nelle situazioni di disgrazia, mezzi per incanalare lo spirito dei servizi di volontariato, agenzie per la mutua assicurazione e la sicurezza personale» (2). (1) Kropotkin P., cit. in Katz A. H., Bender E., The strength in Us: Self-help Groups in the Modern World, Franklin Watts, New York 1976. (2) Ibidem. I concetti IL MOVIMENTO DI AUTO-AIUTO 19 I percorsi dell’auto-aiuto 20 Gli squilibri sociali ed economici causati dalla rivoluzione industriale diedero l’impulso anche negli Stati Uniti alla nascita delle «comuni utopistiche» prima, e alle Trade Unions successivamente. Quest’ultime funzionavano, per molti aspetti, anche come organizzazioni di mutuo aiuto, essendo strutture locali organizzate attorno non solo ai problemi lavorativi delle persone, ma anche a quelli personali e familiari: erano luoghi di discussione politica e sociale, ma anche ambiti di supporto e aiuto in situazioni di difficoltà come disoccupazione, scioperi, malattie. Negli anni ’30 a questo tipo di supporto si unì anche la formazione di istituzioni educative per i lavoratori, sia in Gran Bretagna che negli Stati Uniti, con programmi educativi improntati al mutuo-aiuto e al reciproco impegno dei partecipanti, finalizzati anche all’organizzazione di programmi di azione collettiva, a beneficio di gruppi, comunità o città. È in questi anni comunque che nascono formalmente i primi veri gruppi di autoaiuto che si occupano non solo di assistenza sociale ma anche di problemi sanitari, e che inoltre pongono l’accento sull’importanza della responsabilità individuale rispetto al proprio cambiamento, al proprio empowerment. Nel 1935 vengono fondati ad esempio gli Alcoholics Anonymous, con lo scopo di aiutare le persone dipendenti dall’alcol ad affrancarsi dalla loro dipendenza. Questo gruppo nacque sulla base dei principi e dell’ideologia di un movimento luterano, l’Oxford Group, che aveva come fine la rinascita spirituale dell’umanità attraverso la condivisione, il mutamento e la conversione. Storicamente quindi, l’auto-aiuto nasce in primo luogo per far fronte a necessità materiali, di sopravvivenza economica e sociale, e solo in un secondo tempo risponde a esigenze anche di cambiamento individuale, di autosviluppo, di superamento di condizioni di powerlessness, ovvero di mancanza di potere sia individuale che collettiva. Di cosa si occupa l’auto-aiuto Potremmo dire che l’auto-aiuto si occupa fondamentalmente di empowerment, considerando questo termine nella sua accezione psicoterapeutica e di psicologia di comunità più che organizzativa (3). La classica definizione di auto-aiuto recita come segue. I gruppi di auto-aiuto sono piccole strutture gruppali volontarie, per il mutuo-aiuto e il raggiungimento di obiettivi particolari. Sono di solito formati da pari, che si sono uniti per assistersi reciprocamente e soddisfare un bisogno comune, superando comuni handicap o problemi inabilitanti, e puntando ad un cambiamento personale e/o sociale desiderato. Gli iniziatori e i membri di tali gruppi percepiscono che i loro bisogni non possono essere riconosciuti e risolti attraverso le istituzioni sociali esistenti. Accentuano le relazioni faccia a faccia e promuovono l’assunzione di responsabilità da parte dei membri. Spesso offrono sia assistenza materiale sia supporto emotivo; sono frequentemente orientati sulla «causa» e promulgano una ideologia e dei valori, attraverso cui i membri possano conseguire un aumentato senso di identità personale. (4) (3) Piccardo C., Empowerment. Strategie di sviluppo organizzativo centrate sulla persona, Cortina, Milano 1995. (4) Katz A. H., Bender E., op. cit. Empowerment è un processo di aumento dell’autoefficacia tra i membri di una organizzazione attraverso l’identificazione delle cause alla base della condizione di powerlessness e attraverso la loro eliminazione, attraverso modifiche sia organizzative sia informali (5). Empowerment è il processo di ampliamento (attraverso il miglior uso delle proprie risorse attuali e potenziali acquisibili) delle possibilità che il soggetto può praticare e rendere operative e tra le quali può quindi scegliere (6). L’azione dei gruppi (cfr. Fig. 1) di auto-aiuto si sviluppa all’interno di due livelli principali di empowerment: empowerment individuale da un lato ed empowerment sociale e di comunità dall’altro, con tutta una serie di gradazioni e sovrapposizioni non solo tra le focalizzazioni dei diversi gruppi, ma anche all’interno dello stesso gruppo in momenti o fasi diverse. Le fasi sono così delineate: Empowerment individuale • Crescita personale • Autorealizzazione • Convivenza con malattie croniche • Superamento/adattamento a condizioni di vita stressanti/crisi esistenziali • Riorganizzazione della condotta • Controllo comportamentale • Aumento della stima di sé • Miglioramento del «destino sociale» Empowerment sociale di comunità Legenda: l’asse può essere considerato in termini qualitativi e temporali al tempo stesso: non solo infatti gruppi diversi si caratterizzano per diverse focalizzazioni, ma lo stesso gruppo può occuparsi nel corso della sua storia di livelli di empowerment diversi, oppure intraprendere attività articolate che coinvolgono ora aspetti individuali, ora aspetti sociali. Fig. 1 - Due principali livelli di empowerment • focalizzazione sull’autorealizzazione e sulla crescita personale, l’aumento dell’efficienza nella gestione della vita quotidiana e dei rapporti interpersonali (ad esempio, gruppi di ex pazienti psichiatrici); • focalizzazione sulla convivenza con malattie croniche (ad esempio gruppi di pazienti oncologici, diabetici) o condizioni/crisi esistenziali che implicano un certo livello di disagio e di stress (gruppi di vedove, di famiglie monoparentali). Il problema affrontato è come continuare a vivere in maniera più soddisfacente, nonostante la cronicità della condizione; • focalizzazione sulla riorganizzazione della condotta o sul controllo compor(5) (6) Cronger S. A., Canungo R. N., cit. in Piccardo C., op. cit. Bruscaglioni M., La società liberata, FrancoAngeli, Milano 1994. 21 I concetti Per la definizione di empowerment prendiamo invece a prestito due definizioni. I percorsi dell’auto-aiuto 22 tamentale. I partecipanti condividono il desiderio di eliminare o controllare alcuni comportamenti problematici (alcolisti, genitori che maltrattano i bambini); • focalizzazione sul miglioramento del destino sociale di gruppi particolari attraverso attività di propaganda, sensibilizzazione e legittimazione di stili di vita, e contemporaneamente mantenimento/aumento della stima di sé attraverso le attività di mutuo-supporto e di autocoscienza (gruppi composti da persone etichettate come devianti o discriminate a causa dei loro stili di vita, valori, razza, classe socio-economica come gruppi di gay, minoranze etniche, gruppi di donne); • focalizzazione sulla difesa sociale intesa come forma di azione sociale in generale, a vantaggio sia della creazione di nuove leggi, di nuovi servizi e nuove politiche sociali, sia a favore direttamente di individui, famiglie o gruppi (raggruppamenti di gruppi di auto-aiuto a livello regionale/nazionale, comitati). Caratteristiche dei gruppi di auto-aiuto I gruppi di auto-aiuto si distinguono da altre tipologie di gruppo utilizzate in ambito psicologico, medico o sociale, perché condividono in tutto o in parte le seguenti peculiari e distintive caratteristiche. Condividono le proprietà dei piccoli gruppi. Il gruppo è un organismo in cui l’esistenza del tutto, dell’insieme di relazioni che intercorrono tra i membri, è necessaria perché vengano soddisfatti certi bisogni individuali dei membri. Si appartiene quindi al gruppo perché solo la sua esistenza e organizzazione rende possibile la soddisfazione di determinate esigenze, che non sarebbero altrimenti ottenibili con altri mezzi. Sono centrati sul problema e organizzati in relazione a specifici problemi. L’aiuto allude infatti alle attività intraprese dai membri a vantaggio delle problematiche e dei bisogni comuni. È l’esistenza di queste problematiche specifiche e condivise che differenzia sostanzialmente un gruppo di auto-aiuto da un gruppo psicoterapeutico. I membri del gruppo tendono a essere dei pari. Questa caratteristica si ricollega alla precedente. È il fatto di condividere determinati disagi e difficoltà che definisce lo status di appartenenza al gruppo, malgrado le diverse età, sesso, estrazione sociale, posizione socio-economica. La mutualità tra i membri è determinata dalla problematica esistente attorno a cui si aggregano i partecipanti, siano essi direttamente o indirettamente coinvolti nel problema (come succede in alcuni gruppi a familiari, amici, colleghi di lavoro dei diretti portatori del problema). Condivisione di obiettivi comuni. I membri sono auto-coscientemente orientati verso il raggiungimento di alcune mete, consone rispetto a ciò che è percepito come problema centrale comune. Esse emergono dal gruppo piuttosto che essere determinate dall’esterno, e comunque è la loro condivisione da parte di tutti i membri e l’identificazione del gruppo con esse a rendere un gruppo effettivamente di auto-aiuto. L’azione è azione di gruppo. In coerenza con le proprietà dei piccoli gruppi, il gruppo è un tutto dinamico, maggiore della somma delle sue parti, e qualunque cosa incida sul sistema, incide su ogni parte. L’azione dei membri individuali è vista quindi come parte del tutto, che ha relazione ed effetto su di esso. Aiutare gli altri è una norma espressa dal gruppo. Questo è uno degli aspetti chiave dell’auto-aiuto: l’enfasi è sull’utilità della nostra partecipazione e attività I processi attivati dai gruppi di auto-aiuto L’azione dei gruppi di auto-aiuto coinvolge contemporaneamente il livello cognitivo, conoscitivo, comportamentale della persona insieme a quello emotivo, affettivo, relazionale. Il gruppo promuove una sensibilizzazione nei confronti di ciò che accade sia a se stessi sia nelle relazioni con gli altri. Le particolari caratteristiche dei gruppi di auto-aiuto permettono l’instaurarsi di dinamiche e processi molto particolari. Sono solo accenni. Identificazione con i pari e con i gruppi primari di riferimento. La condivisione dei problemi determina contemporaneamente lo status di appartenenza al gruppo e facilita lo scambio delle storie personali, delle informazioni e dei vissuti. È un processo che si può difficilmente verificare nei confronti di un professionista o di un operatore, solitamente percepito come esperto o comunque «altro» rispetto ai partecipanti. Apprendimento come relazione esplicita e diretta con l’esperienza. L’apprendimento nasce dall’esperienza e dalla sperimentazione attiva di nuove modalità di comportamento, sia all’interno sia all’esterno del gruppo. L’interazione all’interno del gruppo permette di acquisire nuovi strumenti conoscitivi che abilitano a leggere e interpretare i problemi in modo nuovo, mentre incrementano 23 I concetti personale a vantaggio dell’altro e/o del gruppo intero, ovvero sulla cooperazione e sulla mutualità tra i membri. Chi maggiormente beneficia del sostegno può essere proprio colui che aiuta gli altri membri. Potere e leadership su base pari. Sono dimensioni che variano a seconda dello stadio di sviluppo del gruppo, tendono però a ruotare sulla base di meriti e capacità che si acquisiscono anche in relazione ai cambiamenti e al livello di empowerment raggiunto da ciascun membro. La comunicazione orizzontale. La comunicazione si presenta come uno scambio reciproco di informazioni, racconti, emozioni, a cui tutti possono e devono prendere parte, seppure in maniera differenziata a seconda del proprio bagaglio e delle proprie caratteristiche personali. Coinvolgimento personale. È un requisito fondamentale per tutte le attività dei gruppi di auto-aiuto. L’appartenenza al gruppo (membership) esclude la presenza di «utenti» come destinatari passivi di determinate prestazioni. Anche se la motivazione primaria che spinge le persone ad aggregarsi a un gruppo può essere quella di migliorare il proprio stato di salute e soddisfazione, risulta evidente nel lavoro del gruppo che tale obiettivo dipende dall’impegno per il benessere del gruppo come totalità. Responsabilità personale per le proprie azioni e decisioni. Ci si aspetta che ogni membro agisca al meglio delle sue capacità, in accordo con ciò che il gruppo ha stabilito come accettabile o non accettabile. Orientamento all’azione. La filosofia che anima i gruppi è «imparare facendo» e «cambiare facendo» (learning and changing by doing). Lo scopo esplicito di questi gruppi è la sperimentazione di nuove modalità di azione e di comportamento, di nuovi modi di sentire e trasmettere i propri vissuti. L’esperienza diventa forma di conoscenza, strumento di elaborazione cognitiva e affettiva. I percorsi dell’auto-aiuto 24 la creatività e l’autonoma soluzione dei problemi da parte dei membri. Il gruppo favorisce inoltre una maggiore sensibilità nei confronti di ciò che accade in se stessi e nelle relazioni con gli altri, facilitando la revisione dei propri schemi comportamentali e di pensiero di fronte alla percezione di modalità diverse di atteggiamento assunte dagli altri membri. Occasione e offerta di un livello/status ai membri. Il gruppo di auto-aiuto può essere un luogo di riduzione della stigmatizzazione e dell’etichettamento a cui ciascun membro è soggetto nella realtà. In questo senso l’appartenenza al gruppo in quanto affermazione di una identità, anche di malattia («sono un alcolista, un tossicodipendente, un diabetico»), aiuta a ridurre lo stigma sociale e aumenta l’accettazione del soggetto, riabilitando contemporaneamente la sua collocazione sociale. Principio dell’helper (7). Aiutare gli altri ha una maggiore valenza d’aiuto per se stessi e per il gruppo come totalità. Poiché tutti si attivano contemporaneamente sulla base di questo principio, tutti possono beneficiare, anche se in tempi differenti, di questo processo. Chi è coinvolto, dando un aiuto vissuto come efficace, aumenta il senso di autocontrollo e di autovalutazione delle proprie capacità e potenzialità positive e in particolare (8): • percepisce un aumentato livello di competenza interpersonale; • percepisce un senso di uguaglianza nel dare e nel ricevere; • sviluppa un apprendimento attraverso il lavoro offerto dagli altri; • riceve spesso approvazione e riconoscimento da parte di coloro che ha aiutato. Le persone che danno aiuto ad altri ottengono particolari benefici dalla loro attività: mettersi nel ruolo di helper, infatti, permette di sperimentare nuove modalità di comportamento e di acquisire abilità e atteggiamenti più efficaci nei confronti del problema. Avendo assunto questi nuovi comportamenti allo scopo di aiutare e rinforzare positivamente un altro membro, l’helper ha la reale possibilità di vedersi sotto nuovi aspetti, di sperimentare modelli relazionali diversi. Chi dà aiuto inoltre: • è meno dipendente; • nell’affrontare il problema di un’altra persona che si trova a gestire una situazione di vita simile, ha l’opportunità di osservare le proprie problematiche con una certa distanza e sotto angolature diverse; • ottiene un senso di utilità sociale e di capacità, che incrementano l’immagine positiva della propria identità. Consumatore come produttore. Nell’auto-aiuto non c’è più differenza tra colui che usufruisce di un servizio, un aiuto, una cura (l’«utente»), e coloro che sono invece preposti alla creazione/erogazione di questo aiuto (i «professionisti»). Il ruolo del singolo diventa quindi centrale, e aumenta il potere che ciascuno può esercitare circa la scelta di stili di vita più o meno salutari. L’empowerment, in questo caso, riguarda la comprensione della propria situazione di salute/malattia (7) (8) Riessman F., The Helper Therapy Principle, in «Social Work», 10, 1965. Gartner A., Riessman F., Self-help in the Human Services, Jossey Bass, San Francisco 1977. L’ingresso di nuove questioni sociali Nel 1996 la prima rilevazione italiana sui gruppi di auto-mutuo-aiuto evidenziava la presenza di circa 1600 gruppi: l’analoga rilevazione svolta nel 2006 ha mappato 3200 gruppi, con un incremento pari al 203%. La rilevazione ha per(9) Robinson D., Self-help Health Groups, in Smith P. B. (a cura di), Small Group and Personal Change, Methuen, London 1980. 25 I concetti e l’attivazione di capacità e abilità rilevanti per raggiungere situazioni di benessere psicofisico. In base a questo processo, la maggior parte dei gruppi di aiutoaiuto tendono all’empowerment dei componenti e del gruppo, cercano di informare e formare gli utenti per facilitarne la piena partecipazione e superarne le resistenze, vogliono rendere consapevoli i propri membri delle proprie potenzialità, mettendo l’accento più sugli aspetti di salute che su quelli di malattia. Condivisione dell’esperienza. Il racconto della propria storia al resto del gruppo permette di trasformare la percezione confusa delle proprie esperienze in un racconto chiaro per sé e per gli altri e condivisibile. La condivisione dell’esperienza attiva un duplice processo di destrutturazione e di ricostruzione (9). La destrutturazione del problema avviene in tre fasi successive: • il riconoscimento del problema, attraverso la definizione del problema reale («sono un alcolista», «sono un genitore che maltratta i figli»); • la condivisione di informazioni e di strategie di soluzione del problema e delle difficoltà a esso connesse; • la destigmatizzazione, cioè il tentativo di eliminare l’etichettamento sociale percepito dai membri nei loro confronti e nei confronti del loro problema. Ciò avviene cercando di modificare sia la percezione negativa di isolamento che i partecipanti hanno di se stessi, sia il comportamento e gli stereotipi che hanno gli estranei nei confronti di tali problematiche. La ristrutturazione riguarda, invece, tutti i processi e le attività finalizzati al raggiungimento di una nuova definizione di sé e di nuovi stili di vita soddisfacenti, ed è l’insieme dei progetti e delle attività cooperative ideati e condivisi dai membri del gruppo. Il gruppo formula un programma di attività che richiede di stabilire obiettivi personali ma anche un coinvolgimento diretto. L’impegno è quello di svolgere alcuni compiti stabiliti, che possono riguardare sia le attività organizzative del gruppo (lavori di segreteria, contabilità, preparazione degli incontri, pubblicazione dei notiziari, ecc.), sia le attività di aiuto vere e proprie che coinvolgono reciprocamente i membri e sono indirizzate al perseguimento di un obiettivo specifico. L’esistenza di un progetto di lavoro permette a ciascuno di indirizzare le proprie energie verso una serie di realizzazioni e attività che contribuiscono ad aumentare, se correttamente gestite, il rispetto di sé e il senso di autonomia. È nel processo di ristrutturazione che le persone «imparano facendo». I progetti stabiliti dal gruppo sono impegni che ogni membro si assume nei confronti degli altri, e che gli permettono di dimostrare a se stesso di poter efficacemente affrontare i suoi problemi, di essere empowered e contemporaneamente essere una persona che ha qualcosa da offrire, avere l’opportunità di essere anche empowering. I percorsi dell’auto-aiuto 26 messo di elaborare una mappa delle realtà di auto-aiuto in Italia, ed ha evidenziato quanto le esperienze di auto-aiuto siano differenziate per distribuzione geografica, organizzazione, struttura, attività svolte, obiettivi e specificità del problema trattato. I gruppi «storici» si collocano in gran parte nell’area delle dipendenze, alcolismo in particolare, del disagio mentale, dei disturbi alimentari. I gruppi di più recente costituzione inoltre mostrano di occuparsi di questioni sociali attuali, come la disgregazione dei nuclei familiari (gruppi per famiglie in crisi), la gestione dell’educazione dei figli, le difficoltà nel rapportarsi con la morte (gruppi per l’elaborazione del lutto), le cosiddette nuove dipendenze (gioco d’azzardo, dipendenza da internet, la pornografia e lo shopping compulsivo), le neoplasie e le malattie croniche e degenerative. Le esperienze di auto-aiuto sono quindi un modo per affrontare i nuovi bisogni, modificando obiettivi, struttura e composizione del gruppo a seconda del problema affrontato. In forte crescita risultano essere anche i gruppi di familiari che affrontano separatamente dal portatore del problema i disagi e le difficoltà, come dipendenze, disabilità e disagio mentale. Particolarmente diffusi in Italia sono inoltre gli storici Club di alcolisti in trattamento, che non si definiscono più gruppi di auto-aiuto ma comunità multifamiliari, e risultano essere presenti su tutto il territorio nazionale con circa 2500 gruppi. La ricerca ha evidenziato che le realtà di auto-aiuto si sviluppano lungo un continuum di esperienze formali e informali: i gruppi più recenti tendono a essere piccole realtà locali, con una limitata visibilità sul territorio, difficilmente organizzati in strutture di coordinamento; generalmente sono caratterizzati da un’impostazione autocentrata, focalizzata sui bisogni dei partecipanti. I gruppi più storici spesso sono raggruppati in coordinamenti, vantano una maggiore visibilità sul territorio e talvolta risultano essere maggiormente eterocentrati, interessandosi, oltre che dell’immediato benessere dei partecipanti, anche di questioni sociali o sanitarie. Le modalità di sostegno offerte dai gruppi risultano piuttosto differenziate in base alla specificità del problema trattato. Alcuni gruppi si basano prevalentemente sulla socializzazione e lo scambio di esperienze tra i partecipanti, offrendo soprattutto sostegno affettivo e l’opportunità di acquisire competenze relazionali più efficaci; altri invece svolgono anche un importante ruolo di pressione sociale e di tutela dei diritti; infine esistono realtà più organizzate che, oltre ad avere attivato gruppi di auto-aiuto, offrono forme di sostegno più articolare quali, ad esempio, servizi di ascolto telefonico, assistenza alla persone e percorsi specifici di socializzazione e riabilitazione. Riferimenti bibliografici Bertoldi S., Vanzetta M., I gruppi di auto-mutuo-aiuto e l’esperienza Ama di Trento, Associazione Ama, Trento 2002. Focardi F., Gori F., Raspini R. (a cura di), I gruppi di auto-aiuto in Italia. Indagine conoscitiva, Cesvot, Firenze 2006. Noventa A., Nava R., Oliva F., Self-help. Promozione della salute e gruppi di auto-aiuto, Ega, Torino 1990. Piccardo C., Empowerment. Strategie di sviluppo organizzativo centrate sulla persona, Cortina, Milano 1995. Tognetti Bordogna M. (a cura di), Promuovere i gruppi di self-help, FrancoAngeli, Milano 2002.