il marketing dell`etica

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il marketing dell`etica
IL MARKETING DEL’ETICA
La strategia di obsolescenza nello stile fra saturazione del mercato e rispetto
dei consumatori
di Augusto D’Amico* e Gabriella Bartolotta
Professore ordinario di “Economia e Gestione delle Imprese” presso l’Università di Messina.
e-mail [email protected]
Dottoranda di ricerca in “Discipline Economiche, Aziendali e Metodi Quantitativi” presso l’Università di Messina.
e-mail
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L’obsolescenza pianificata nello stile, definita anche di tipo psicologico o dovuta alla moda, è una
particolare strategia di prodotto utilizzata dalle imprese per evitare la saturazione del mercato.
Infatti, grazie a questa strategia, si procede alla sostituzione di un prodotto già esistente con uno
nuovo, le cui caratteristiche innovative, riguardando soltanto aspetti superficiali, lo rendono
comunque facilmente distinguibile dal precedente. Così operando, il consumatore che continua ad
utilizzare il modello precedente si sente fuori moda ed è indotto ad acquistare il nuovo anche se il
contenuto di novità è modesto o nullo.
Si può ben comprendere come il fenomeno dell’obsolescenza pianificata nello stile, a causa dei
possibili effetti distorsivi, costituisce uno degli argomenti più controversi e dibattuti nel marketing.
Tale strategia, pur essendo praticata in vari mercati di consumo, assume caratteristiche peculiari in
quello dell’abbigliamento poiché spesso risponde non soltanto ad una esigenza aziendale ma,
altresì, ad un preciso desiderio di cambiamento, sia pure soltanto estetico, da parte del
consumatore. A ciò si aggiunga che in tale settore la tendenza è verso un aumento continuo del
numero delle collezioni annue da presentare e distribuire che ha ormai determinato il
superamento del concetto di “stagione”.
Nel paper si analizzeranno le argomentazioni sociali, economiche e psicologiche a favore e contro
l’attuazione sistematica di un rinnovo “superficiale” delle collezioni stagionali, cercando di
comprendere, da un punto di vista etico, la condotta delle imprese e dei consumatori, nella
prospettiva di trovare un interesse comune tra le visioni divergenti del problema.
In particolare, si desidera verificare fino a che punto il tasso di rinnovo della collezione ed il grado
di innovazione possano essere considerati indicatori, sia pure parziali, della condotta etica delle
imprese.
Le ipotesi avanzate cercheranno verifica attraverso l’esame di alcuni esempi concreti offerti
dall’attuale panorama di marchi italiani e stranieri che consentiranno di esemplificare come la
filosofia di un brand possa abbracciare nel concreto un “no season product”, puntando
maggiormente su una innovazione che sposi l’artigianalità con la tradizione.
Adam Arvidsson
Università di Milano e Copenhagen Business School
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La marca nell'economia etica: verso un quadro teorico
L'attenzione alla dimensione etica nel consumo e nel marketing è in costante aumento, nel settore
moda,come in altri settori, come l'alimentazione e il design. Quest'attenzione alla dimensione etica
si deve a tre importanti sviluppi strutturali. Uno, il cambiamento dei valori dei consumatori stessi
(specialmente quelli appartenenti al ceto medio). Due ,l'emergere di una nuova etica mediatizzata
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dove il 'distant other' si offre com oggetto d'identificazione affettiva. Il terzo elemento è meno noto
e meno discusso nelle scienze sociali: si tratta del arrivo di una nuova logica del valore dentro
all'economia produttiva stessa. Una 'economia etica' dove la principale fonte di valore non è più il
tempo produttivo, ma la capacità di generare legami sociali affettivamente significanti, fra brand e
consumatori, fra brand e subfornittori, fra lavoratori lungo le complesse catene valoriali che
caraterizzano l'economia globalizzata. Questa presentazione vuole sviluppare l'ipotesi di una nuova
'economia etica', sostenendo l'ipotesi che la sua logica di valore 'etica' è intrinsicamente legata
all'informatizzazione e alla socializzazione della produzione (sia materiale che immateriale) e perciò
destinata ad acquisire un crescente peso economico man mano che technologia di infomazione e
communicazione si diffondono ulteriormente a livello globale , rendendo possibile sia nuovi sistemi
di produzione più socializzati e diffusi, sia nuove forme di produzione materiale a base locale. In
seguito la presentazione prenderà in considerazione come un tale scenario possa gettare nuova
luce sul consumo 'etico' e sul ruolo della marca 'etica' e del suo management. In particolare vorrà
elaborare alcuni scenari per lo sviluppo futuro della marca etica dentro alla moda. Che ruolo avrà
la marca di moda in una situazione nella quale non è più socialmente scarsa né la capacità
d'innovazione immateriale, né quella di produzione materiale, e dove la distinzione fra
'consumatore' e 'produttore' e stata quasi completamente superata ?
Anna Cugno
Dipartimento di Scienze Sociali
C.so Unione Sovietica, 218 bis, 10134 Torino
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Il prodotto etico: un oggetto ambivalente tra società civile e mercato
L’impegno nello sviluppo di prodotti etici entra a far parte dell’agenda della società civile e del
mercato a partire dagli anni ottanta, riflettendosi nell’elaborazione e posa in essere di una panoplia
di progetti aventi differente natura ed origine. Molte iniziative si configurano, sin dalle prime
battute, come esempi di buone pratiche, in virtù del loro carattere sperimentale e del
complementare valore aggiunto in termini di capacità di difendere la dignità della persona e di
promuovere il benessere della comunità. L’“etichetta” ‘prodotto etico’ diventa così un’espressione
sempre più diffusa – e altrettanto frequentemente abusata –, che vede progressivamente
estendersi la sua portata semantica; si configura come una realtà che desta crescente interesse per
una pluralità di pubblici: lavoratori (occidentali e dei paesi in via di sviluppo), consumatori
(individuali e collettivi), imprese (profit e no profit), istituzioni pubbliche, organizzazioni pro-sociali,
associazioni di rappresentanza (sindacale e consumerista), movimenti sociali…
A fronte di un sempre più copioso dibattito e del sedimentarsi di oggetti ed esperienze, il
concetto di prodotto etico non ha ancora raggiunto in letteratura una puntuale formalizzazione, né
appare completa e largamente condivisa l’interpretazione di un fenomeno destinato, in molti casi, a
fuoriuscire dai confini della sfera economica e del mero scambio di mercato, per configurarsi come
strumento di partecipazione e di esercizio del diritto-dovere di cittadinanza della persona, così
come del mondo imprenditoriale. Carente appare, in parallelo, l’approfondimento di una serie di
dimensioni chiave connesse al riconoscimento della natura delle forme di responsabilità attivate e
dei rispettivi obiettivi, delle linee di coinvolgimento delle differenti organizzazioni attive, delle
modalità e dei percorsi attraverso i quali le finalità vengono perseguite, delle implicazioni e delle
conseguenze della scelta etica dei diversi operatori, delle potenziali ‘derive’ dei programmi
avviati…
A partire da uno studio di casi emblematici (paradigmatici) di forme di impegno etico del
settore tessile-abbigliamento, il contributo propone una mirata riflessione sui nodi critici sopra
evidenziati, diretta a riconoscere il ruolo della società civile e degli attori economici nel proporre,
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validare e diffondere nuove forme di regolazione dell’agire, capaci di far fronte alla complessità
introdotta dalla globalizzazione.
L’argomentazione proposta si dipana dal riconoscimento di due approcci alternativi alla
progettazione, costruzione e distribuzione di un ‘prodotto etico’, che trovano fondamento in
distinti orientamenti valoriali:
 l’etica della responsabilità sociale, tipica dell’investimento volontario e proattivo delle grandi
imprese (transnazionali e non) nell’autolimitare le esternalità negative delle loro produzioni e
nel finanziare programmi legati ad una giusta causa, in vista di massimizzare la soddisfazione
ed il goodwill dei diversi stakeholder;
 l’etica della responsabilità condivisa, caratteristica delle organizzazioni afferenti alla cosiddetta
‘economia solidale’, più direttamente coinvolte nel promuovere una pluralità di meccanismi
di mobilitazione ed uno specifico modello di regolazione, fondato su di una partecipazione
diffusa e multilivello.
Il paper documenta il valore aggiunto ed i rischi associati a tali forme di impegno nella
conciliazione dei principi dell’economicità e della socialità, che raggiungono nell’industria tessile
alcuni tra gli esempi più raffinati, anche in relazione alla rilevanza delle questioni etiche sottese alle
dinamiche produttive ed agli orientamenti di consumo. Grazie a puntuali rilievi empirici viene infine
delineato il complesso sistema di interscambi che vige tra gli accennati approcci e che, se
opportunamente sostenuto dagli attori in gioco, può contribuire all’auspicabile diffusione ed al
radicamento dell’etica come nuovo standard di prodotto e strumento per la creazione di valore
per i diversi portatori di interesse, anziché come nuova leva del marketing.
Simona Ironico
Dottore di ricerca in Marketing e comunicazione d’impresa
Docente a contratto di sociologia dei consumi
Università Iulm, Milano
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La moda critica nel mercato infantile:
uno studio sulla sezione “EcoEthic” di Pitti Immagine Bimbo 68
Nata nel 2007, EcoEthic è l’area speciale di Pitti Immagine Bimbo dedicata alle aziende che hanno
scelto un atteggiamento etico ed eco-sostenibile nei confronti della moda. L’obiettivo dell’iniziativa
è quello di sensibilizzare buyer e consumatori all’impiego di materiali organici e biologici prodotti
nel rispetto della natura, alla tutela della salute, a prodotti realizzati a mano secondo antiche
tradizioni, alla valorizzazione del territorio e delle peculiarità artigianali di piccole comunità, e, più
in generale, all’uso di una filiera etica nel pieno rispetto dell’individuo e del pianeta.
Per la 68a edizione di Pitti Bimbo (22-24 gennaio 2009), EcoEthic ha scelto un allestimento in legno
naturale riciclato con le collezioni esposte su tavoli da lavoro. Le aziende che hanno partecipato
sono 13 e provengono da Italia, Francia, Germania, Gran Bretagna, Portogallo, Danimarca, Perù e
Madagascar.
Le interviste al personale degli stand e l’analisi del materiale raccolto hanno messo in evidenza per
la maggioranza dei casi un impegno concreto nei confronti dell’ambiente e della salute di lavoratori
e consumatori attraverso la predilezione per materiali biologici certificati e per fibre nobili naturali
come il cotone pima peruviano biologico, il cotone organico, il filato di lana di alpaca e la lana
merino biologica. Oltre a provenire da coltivazioni dove non sono impiegati fertilizzanti e
antiparassitari chimici, queste fibre non subiscono trattamenti durante la filatura e, come nel caso
di Enfant du Soleil, NaturaPura e Sassolinobianco, sono prive di coloranti e sfruttano le nuance di
bianco, beige e marrone offerte dalla natura stessa. In altri casi, come quello di MeDea e sempre di
Sassolinobianco, i filati vengono colorati per infusione con sostanze naturali quali estratti di
castagno, clorofilla, equiseto, betulla, cocciniglia, liquirizia, robbia, melograno, cipolla e albicocca.
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Nel caso di Aravore Babies, MeDea e Dimani Domani il rispetto per l’ambiente è reso manifesto
anche dall’utilizzo di materiali riciclati per i packaging, le etichette, i cataloghi e le cartelle stampa.
Un altro aspetto emerso in maniera consistente dallo studio è la valorizzazione del fatto a mano e
la riscoperta di antichi saperi locali: MeDea ha recuperato dalla tradizione boliviana le tecniche di
tintura per infusione con estratti naturali; Indigo Artwear produce capi dipinti a mano con colori
ad acqua; i prodotti Aravore e Dimani Domani sono fatti a mano e, al pari delle opere d’arte,
vengono firmati dalle persone che li hanno realizzati.
Diverse aziende sono infine impegnate in progetti di promozione sociale per persone svantaggiate:
Altheane sostiene da anni una comunità di rifugiati indiani e tibetani; Aravore, Dimani Domani ed
Enfant du Soleil impiegano persone in difficoltà quali donne portatrici di handicap o ragazzi delle
favelas; Bodo Voahangy supporta attivamente la scolarizzazione nel Madagascar; i capi realizzati da
Serendipity sono certificati Fairtrade.
Dr. Carlos Chocarro Bujanda. Profesor de Teoría e Historia.
Dra. Celia Martín Larumbe. Archivo Histórico.
Escuela Técnica Superior de Arquitectura. Universidad de Navarra.
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Loewe: handicraft, industrial production, and corporate image.
Few fashion houses can boast a history spanning more than 160 years. Such a long period allows
for transformations that betray tensions between the consummate artisanship at the heart of
Loewe’s identity, the new production systems entailed by an expanding business and, last but not
least, the coinage of an international, avant-garde corporate image. Both design and production
have been affected at various points by successive, far-reaching reshufflings, culminating with
Loewe’s 1996 absorption by LVMH. New challenges arise such as maintaining the firm’s identity
against the wide gamut of luxury brands seeking to coexist within the global economy’s largest
luxury conglomerate.
Ever since Loewe opened its first store in 1846 on Echegaray Street in Madrid the brand’s rapid
success was tied to the founder’s commitment to first-rate materials, highly skilled workmanship,
and responsible administration. A century later the successful “Leather House” became a “Fashion
House”: a momentous turnabout marked by a new corporate image, the publication of the
magazine “Forma”, advertising campaigns, and Loewe’s brand-new stores. In the grim post-war
Spain of the 1940s and 1950s Loewe’s window-shop on the Gran Vía became a beacon of luxury
and imagination. In the 1960s Loewe launched a daring corporate image aimed at the international
market. Scandinavian design, modern architecture, and avant-garde art were displayed in state-ofthe-art stores. In the meantime the production system underwent broad-based structural changes.
One of the world’s largest factories in leather and travel-ware came into existence, striving to
reconcile the scale and demands of modern industry with Loewe’s trademark handicraft. On the
basis of this compromise the London store opened in 1969, soon to be followed by Hong Kong,
Singapore, Dubai, Sydney, and Tokyo in 1973.
This presentation will trace Loewe’s historical highpoints in view of the firm’s present status as a
household name for material excellence, painstaking attention to details, and commitment to
updated and functional design: a strong identity that has nurtured the creative freedom of many
artists and designers from various backgrounds. Loewe has endeavoured to remain true to an
approach to luxury goods that rests on reliability and honesty, encompassing the product itself,
the household name it stands for, and the select images used in advertising campaigns over the
years.
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Fabrizio Mosca
Professore Associato di Economia e Direzione delle Imprese – Università di Torino - Facoltà di
Economia.
Marketing responsabilita’ sociale nei settori del lusso e della moda: analisi di
alcuni casi di specie.
Gli schemi e le figure nell’articolo sono state sviluppate in collaborazione con Umberto Martinetti ,
nell’ambito del proprio lavoro di laurea sul tema.
Oggetto dell’articolo è l’analisi dell’importanza e rilevanza della responsabilità sociale d’ impresa
nelle attività di marketing intraprese da un campione di global players dell’industria del lusso.
Secondo la dottrina prevalente, la condizione affinché il legame tra responsabilità sociale e
marketing produca risultati adeguati per l’impresa è che le iniziative sociali poste in essere siano
coerenti e coordinate con gli obiettivi di business dell’impresa in oggetto.
La caratteristica che più contraddistingue la maggior parte delle iniziative sociali intraprese dal
campione di imprese analizzate nell’ambito dei settori della moda e del lusso, è la completa
integrazione con le attività di marketing: marketing legato a una causa e marketing sociale sono
due tra le più importanti forme di iniziativa sociale nel sistema moda.
Le iniziative di marketing legate a una causa sociale mettono in evidenza una relazione di
proporzionalità diretta tra i fondi raccolti per la causa e l’andamento delle vendite dei prodotti
quando il contributo dell’azienda dipende anche dai consumatori.
Le iniziative di marketing sociale si presentano invece come attività volte a sostenere un
determinato comportamento o una determinata azione, non vi è alcun legame tra l’andamento
delle vendite dell’impresa che pone in essere l’iniziativa di marketing sociale e l’efficacia
dell’impegno nel sociale.
Oggetto di analisi sono alcuni casi significativi di iniziative sociali intraprese dal campione di
imprese globali dei settori moda-lusso. Tale indagine preliminare che si pone a livello di lavoro
preparatorio per più ampi approfondimenti sul tema, è stato condotto al fine di estrapolare gli
elementi comuni alle varie iniziative ed individuare le motivazioni che spingono le imprese in esame
verso un impegno nel sociale.
Alcune best practise prese in considerazione sono: Gucci a sostegno di Unicef, i progetti di Prada
e Trussardi nell’arte contemporanea, Louis Vuitton Moët Hennessy e l’organizzazione di mostre e
concorsi musicali, Moschino in favore di organizzazioni no profit.
Le iniziative sociali sviluppate dalle imprese considerate seguono due approcci operativi
distinti. Il primo è rivolto alla promozione e alla realizzazione di manifestazioni culturali,
molte delle quali legate all’arte contemporanea. Il secondo riguarda invece le iniziative
sociali finalizzate a supportare l’impegno di organizzazioni no profit in cause sociali che
riguardano i paesi del terzo mondo e la ricerca contro malattie particolarmente gravi e
diffuse.
Nella selezione delle cause sociali da sviluppare risulta una maggiore frequenza verso
comportamenti univoci delle imprese analizzate: iniziative sociali che esercitino un significativo
impatto di comunicazione sul target di riferimento; rilievo internazionale delle cause scelte,
attenzione verso problematiche in cui il target di riferimento si identifica.
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Augusto D’Amico*, Anna Recupero** e Giuseppe Cappello***
Non è una questione di etic-hetta!
In questi ultimi anni è cresciuta l’attenzione del pubblico nei confronti della condotta etica delle
imprese. Spesso si è puntato il dito nei loro confronti e l’etica aziendale è diventata oggetto di
dibattito in termini iperrealistici, come se fosse esclusivamente il mondo delle imprese a farsi
carico di questa problematica.
Si pretende che l’impresa assuma una condotta eticamente corretta e socialmente responsabile ma
occorre chiedersi se i suoi interlocutori, primi fra tutti i clienti, lo siano altrettanto.
Questo interrogativo appare ancor più legittimo se si osservano i dati sulla contraffazione in Italia:
secondo una recente indagine realizzata dall’Istituto Piepoli e da Confcommercio, il mercato dei
prodotti contraffatti muove un giro di affari di sette miliardi tra abbigliamento, accessori e prodotti
informatici. Un italiano su dieci ha dichiarato di aver acquistato un capo contraffatto nell’ultimo
anno, ma è presumibile che si tratti di un dato sottostimato.
Sulla base di tale osservazione, nel presente paper si intende analizzare il fenomeno della moda
critica in una prospettiva consumer-based. In tale ottica numerose indagini hanno evidenziato come
il consumatore sia sempre più attento alle problematiche etiche ma, altrettanto chiaramente, è
emerso come questo fenomeno sia ancora piuttosto circoscritto o forse che esistano due livelli
distinti di analisi: uno mentale e l’altro comportamentale.
Questa divergenza tra dichiarazione d’intenti e condotta successiva riguarda anche le imprese
troppo spesso impegnate in iniziative di corporate giving (c.d. Cause Related Marketing) o che
dichiarano sulla etichetta che sono stati rispettati dei principi etici sulla base di generiche
attestazioni non supportate da adeguate verifiche. In sintesi, tali attività sembrano più strumentali
per la conquista di segmenti di mercato “sensibile” piuttosto che il risultato di un reale
orientamento sociale.
Obiettivo del presente contributo è analizzare le cause di frequente contraddizione fra
comportamento ed azione dei consumatori e le giustificazioni avanzate a questa condotta
irrazionale (ad esempio, autocompensazione, victimless crimes, ecc.).
Sotto il profilo delle implicazioni manageriali, le considerazioni svolte evidenzieranno l’esigenza di
intraprendere delle iniziative che presentano rilevanti risvolti di natura sociale ma che siano
strettamente e direttamente collegate al prodotto venduto (c.d. componente “socialware” del
prodotto). Solo attraverso questo connubio sarà possibile avere la certezza che entrambe le parti
(consumatori ed imprese), adottino una condotta coerente con gli ideali professati.
dr. Carlo Alberto Rinolfi, d.ssa Paola Maria Rinolfi
PHYSIS, Istituto di Ricerca, Consulenza Direzionale e Marketing Operativo.
[email protected];[email protected]
Moda Critica – Etica e Globalizzazione – Verso consumi consapevoli
e produzioni responsabili.
Se col termine “moda etica” si intendono quei processi del consumo consapevole e della
produzione responsabile di beni e servizi fashion che conquistano rapidamente il mercato per poi
rinnovarsi in continuazione, allora si tratta di una dimensione dell’agire umano che appare ancora
ad uno stadio iniziale, quasi un prodromo di un nuovo fenomeno in attesa di una adeguata
strutturazione anche istituzionale.
*
Professore ordinario di Economia e Gestione delle Imprese presso l’Università di Messina.
Indirizzo e-mail: [email protected]
**
Dottoranda di ricerca in “Discipline Economiche, Aziendali e Metodi Quantitativi” presso l’Università di Messina.
***
Dottorando di ricerca in “Discipline Economiche, Aziendali e Metodi Quantitativi” presso l’Università di Messina.
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Ancora oggi per la maggior parte delle imprese, gli aspetti etici rappresentano più le componenti di
una cosmesi dell’immagine aziendale che non una scelta strategica, così come, per la maggior parte
dei consumatori, il prezzo dei beni fa ancora aggio rispetto alla richiesta di qualità su base
produttiva o solidaristica. Sul territorio nazionale, i negozi biologici, equosolidali e etnici, sono
ancora così poco numerosi da rappresentare una eccezione spesso sconosciuta al mondo dello
shopping di massa. Le stesse istanze dei movimenti consumeristici non trovano ancora adeguata
udienza nelle attenzioni di un legislatore sopranazionale che stenta ad emergere.
Se si sposta invece lo sguardo dai tratti consumeristici del fenomeno e si allarga l’orizzonte fino a
comprendere i nuovi comportamenti di consumo postmoderno che si sviluppano nel mercato
globale dei beni veicolato da internet, il fenomeno assume un aspetto più rilevante sul piano
quantitativo e più significativo per i suoi possibili sviluppi. La coniugazione tra fashion - moda e
consumo consapevole, acquista così un senso che supera i confini delle istanze salutistiche o
solidaristiche e ingloba quelle del piacere e della creatività individuale.
Siamo di fronte a un target che può sussumere in sé gli orientamenti valoriali ecologici –
solidaristici e pauperistici, ma che non si può capire se lo si limita ai valori legati ancora ad una
visione di un mondo industriale che separava il consumo dalla produzione rendendolo passivo e
eterodiretto. Un target sopranazionale di “intenditori” che rielabora i concetti citati in chiave
proattiva alla ricerca del piacere e benessere individuale consapevole, riuscendo così molto più
facilmente a conciliare istanze estetiche, culturali ed esperienziali con la ricerca di prodotti
verificati anche nei loro processi creativi e produttivi.
Verso una nuova etica economica del settore?
Si tratta di una tendenza al consumo postmoderno, interattivo e di qualità che si contrappone,
ancora in forma non “solidificata da opportune istituzionalizzazioni”, al dilagare su scala planetaria
del bisogno di identità omologate, sul quale si basa il successo della moda attuale. Tale processo è
favorito dall’anomia che deriva dalla fagocitazione delle culture locali, creata dall’urbanizzazione
metropolitana. È proprio la differenziazione e la fragilità delle molteplici identità che si generano, a
favorire le nuove tendenze di integrazione postmoderna.
Anche se il business della moda di massa si regge tutt’ora proprio sull’utilizzo delle opportunità
insite nei processi di frammentazione delle identità, lo sviluppo di internet, della cultura segnica
“veloce”, dei mass media e gli effetti sociali della stessa delocalizzazione produttiva, rappresentano
nuove opportunità di aggregazione. Gli individui possono così liberamente unirsi in una sorta di
“nuovo mondo”, senza barriere e confini nazionali, cambiando il codice etico sul quale si fonda il
sistema della moda.
Nascosto sotto le tendenze di un consumo equosolidale e sotto le braci dei valori solidaristici o
pauperistici vive e si sviluppa un nuovo tipo di consumo neosignorile di massa e figlio dell’attuale
globalizzazione.
Sembra così essere messa in gioco l’attuale etica economica del Sistema Moda con i suoi
fondamenti competitivi, quali:
la proprietà esclusiva dell’innovazione fashion.
la modalità top – down dello sviluppo prodotti controllato dalla Marca.
L’importanza del pdv nel framework urbano di valore.
I valori culturali etnocentrici di riferimento per il fashion internazionale.
La concezione materica tessile dell’abito fashion.
La pubblicità a narrazione passiva.
La sostituzione dei quali è in corso e sarà oggetto della nostra relazione.
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Giovanna Russo*
Università IULM, Milano
[email protected]
Dall’eco lusso all’eco fashion: brand Italia e pratiche di consumo
Lusso e moda nella società ipomoderna sono cambiati (Lipovetsky 2003): enfatizzano la visibilità, la
rarità, la distinzione del brand da un lato; mentre dall’altro nascondono (o difendono) il privilegio;
le grandi marche si fanno democratiche nell’aprirsi alla massa di consumatori, mentre la rarità si
traduce sempre più in un principio di soddisfazione e benessere individuale (non per questo meno
costoso) o, all’opposto in atteggiamenti economicamente responsabili compatibilmente allo
“spirito del tempo”. Il nuovo Zeitgeist presenta oggi infatti un’impetuosa domanda di lusso (Fabris
2003), mentre l’economia si contrae ed i movimenti più attuali dei consumi si volgono verso scelte
etiche e di responsabilità sociale.
È questo il punto di partenza del presente contributo: come si coniuga il concetto di lusso nella
moda con l’agire eticamente responsabile? Qual è il punto di incontro tra un concetto simbolo di
“irresponsabilità” e comportamenti di consumo critico? L’eco-lusso è un ossimoro oppure
l’espressione di una fenomenologia sociale contraddittoria eppure coerente al contesto dal quale
scaturisce?
A partire da una più ampia analisi volta a comprendere come il luxury system sia munito oggi anche
di valori eticamente corretti, ci siamo soffermati sui principali cambiamenti che stanno investendo
il mercato del lusso dove accanto a elementi fondamentali quali unicità, ricercatezza, qualità,
artigianalità si affiancano anche termini quali biologico, solidarietà, ecocompatibilità… a conferma
dell’attenzione globale verso tematiche ambientali e di sostenibilità per l’intera economia.
Nell’ottica in cui “una nazione diventa marca” (Ferraresi 2002, 2008), ovvero i cittadini si
riconoscono soprattutto nel panorama di prodotti e servizi che il paese simboleggia, ci siamo posti
l’obiettivo di studiare alcuni casi del brand Italia (il noto Made in Italy), laddove esso è espressione
di un agire responsabile.
Nello specifico, abbiamo scelto la dimensione dell’abbigliamento laddove esso è sinonimo di
biocouture, cercando di esplicitare da un lato le dimensioni valoriali del brand equity di marchi
ecologici, dall’altro come si coniugano esigenze di localismo con la dimensione di un brand
internazionale (MadeinItaly) che ha le valenze dell’”extra lusso”.
Il paper presenta i primi dati di una ricerca qualitativa condotta nella provincia di Milano attraverso
lo studio di luoghi e attori (produttori e consumatori) di abbigliamento biologico1. L’intento è
indagare il rapporto dialettico esistente fra i due poli in interazione, ossia fra produttori/creatori e
fruitori/consumatori di eco-fashion/eco -lusso, al fine di far emergere le visioni di entrambi gli
“attori” circa la dimensione responsabile della moda verificando al contempo, il “potere” delle
marche considerate, di penetrare il sociale che le circonda (Codeluppi 2001) trasformandosi così
in “agenti autonomi della cultura del nostro tempo” (ibidem, 2008).
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Dottore di Ricerca in Sociologia e Politiche Sociali, attualmente è professore a contratto presso l’Università Iulm di
Milano, dove insegna Consumi e Cambiamento sociale. Si interessa ai temi della comunicazione, della cultura, del
consumo e del marketing, ambiti nei quali ha svolto ricerca empirica e pubblicato diversi contributi.
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La ricerca è coordinata da chi scrive e realizzata insieme agli studenti del Master “Management del Made in Italy.
Consumo e comunicazione della moda, del design e del lusso” attivo presso l’Università IULM di Milano.
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