Untitled - Rizzoli Libri

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Luigi Garlando
Camilla che odiava
la politica
La frase a pagina 7 è tratta da La Politica
© Editore Laterza, prima edizione 1966,
taduzione di Renato Laurenti
© 2008 RCS Libri S.p.A., Milano
ISBN 978-88-17-02426-6
Prima edizione bestBUR maggio 2015
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A Laura,
la mia gentilezza
Perché, come, quand’è perfetto, l’uomo
è la migliore delle creature, così pure,
quando si stacca dalla legge e dalla
giustizia, è la peggiore di tutte.
Aristotele, La Politica
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Il Barbone
Q
uella che vedete camminare a testa bassa verso i Giardinetti di Nessuno, cicciotta, con le
gambe da calciatore e i capelli neri a caschetto sono
io: Camilla.
Mio papà invece camminava sempre a testa alta,
perché era cresciuto in montagna dove le strade
vanno tutte all’insù. Nonno Stelio dice che gli sono
venuti gli occhi azzurri a forza di guardare il cielo.
Roby sapeva anche scalare la roccia e lo ha insegnato alla mamma, che è diventata brava come un
ragno.
A me papà ha insegnato a sciare: mettevo i miei
piccoli sci a spazzaneve tra i suoi e venivamo giù a
valle, verso le case del paese che diventavano sempre più grandi. Ricordo che l’aria mi faceva il solletico agli occhi. Mi divertivo un mondo.
Ora ho dodici anni, papà è morto quando ne
avevo sei. La mia vita è spaccata in due come una
mela: la prima metà è stata dolce e piena di succo;
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la seconda è amara, col verme dentro. Mio papà si
chiamava Roberto, però tutti lo chiamavano Roby.
Anche a me piaceva chiamarlo Roby.
Tra pochi giorni inizia la scuola, ma l’estate non
ha ancora fatto le valigie. L’aria è calda come a luglio. Le serate sono dolci. Dopo cena scendiamo a
chiacchierare sulle panchine dei Giardinetti di Nessuno. Quando inizierà la scuola, non lo faremo più.
I Giardinetti di Nessuno sono una specie di laghetto verde, ai piedi dei palazzoni rossi dove abito
io. Due rettangoli di terra spelacchiata, quattro panchine di legno e un campetto di cemento per la pallacanestro. In mezzo alle quattro panchine è piazzato
un piedestallo di marmo bianco sul quale dovrebbero posare il busto di una statua. Il problema è che
non riescono a decidere quale busto mettere.
Il Comune è spaccato in due, come la mia vita:
una metà vorrebbe intitolare i giardinetti a un certo uomo, un’altra metà a un altro. Sono anni che litigano e il piedestallo resta vuoto.
Alla fine la gente si è stufata e ha deciso per
conto suo. Ora per tutti questi sono i Giardinetti di
Nessuno.
Il mio paese invece un nome ce l’ha, anche se
non bellissimo: si chiama Paludate S.F., perché un
tempo qui c’era una palude malsana, che poi, gra10
zie a Dio, è diventata un parco bellissimo di cui siamo molto orgogliosi. La Città è a un passo, nelle
giornate limpide vediamo anche la grande chiesa
con la statuetta d’oro in cima che sembra una monetina in fondo a un pozzo, eppure il nostro fiume
ha le acque limpide e sugli alberi del parco cantano
uccelli bellissimi.
“S.F.” significa, appunto: Sul Fiume. Paludate
Sul Fiume.
Una volta hanno provato a portarci via il nostro
piccolo paradiso. Volevano seppellirlo sotto una
colata di cemento perché doveva passarci l’autostrada. Io non ero ancora nata. Mio papà si mise in
testa a tutti, come quando scalava le pareti, e guidò
la protesta. Roby aveva la testa dura come la roccia.
Anche quella volta riuscì a scalare la montagna,
vinse cioè la sua battaglia, e l’autostrada l’hanno
fatta passare da un’altra parte.
Quando la mela era dolce, mio papà era il sindaco di Paludate, abitavamo in una bella villetta e
la gente ci faceva grandi sorrisi. Ora ci guarda male, come se l’avessimo rubata noi la statua che manca al piedistallo dei Giardinetti di Nessuno.
Io cammino a testa bassa per evitare di pestare le
formiche.
*
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Ai Giardinetti di Nessuno chiacchiero con le mie
amiche della pallavolo e con Pamela, che è bravissima a giocare a tennis. Fa i tornei anche all’estero
e salta un sacco di giorni di scuola. Le maestre si arrabbiano e il papà di Pamela ogni volta spiega che
sua figlia di lavoro farà la campionessa e perciò
non ha bisogno di riempirsi la testa con le date di
storia e i numeri di matematica. Però poi, alla fine
dell’anno scolastico, quando Pamela porta a casa
una brutta pagella, va a scuola a protestare con le
maestre. E siccome il papà della Pam fa il vigile, le
maestre hanno sempre paura di ritrovarsi dei fogliettini sotto il tergicristallo.
Io non diventerò mai una campionessa, e neanche le mie compagne, probabilmente. Giochiamo
solo per divertirci, però formiamo una bella squadra perché siamo molto unite, stiamo bene insieme
e, comunque, arriviamo terze o quarte in campionato. Vincono sempre le Diavoline, che sono praticamente imbattibili.
Quando la mela era dolce, io ero molto più magra,
scattante e arrivavo prima sulla palla. Giocavo meglio, insomma. Adesso sono più lenta, ma in compenso quando mi butto, avendo più ciccia sulle ossa,
mi faccio meno male. È come avere le ginocchiere
dappertutto.
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Comunque non ho bisogno di saltare tanto, perché non devo schiacciare: io sono l’alzatrice della
squadra, passo la palla alle mie compagne che la
buttano al di là della rete; la passo soprattutto a Sonia, che è un vero martello.
Pamela è magra e lunga come uno spaghetto e
ha i capelli biondi come il grano. Sembra la Barbie.
Tutti i ragazzi di Paludate vorrebbero baciarla. La
Giusy dice che ci sono già riusciti, ma la Giusy ha
la lingua velenosa di un serpente e gli occhi stretti
dei coccodrilli.
Pamela deve continuare la storia delle sue conquiste estive. Ieri sera ci ha raccontato che al mare ha
conosciuto un ragazzo americano che faceva surf,
bello come un attore del cinema: abbronzato, biondo, col tatuaggio di un drago sulla schiena e gli occhi verdi. Un angelo dai capelli lunghi che volava
sulle onde.
«E allora?» chiede Manu, impaziente.
«Allora gli ho detto che se proprio voleva baciarmi, doveva prima portarmi tre bottigliette di
plastica piene di conchiglie» risponde Pam.
«E perché?» chiedo io.
«Perché volevo vedere quanto Brian ci teneva
davvero a me.»
«Una prova d’amore?»
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