SPECIALE Valle di Scalve ROBY: IL CORAGGIO E IL SOGNO

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SPECIALE Valle di Scalve ROBY: IL CORAGGIO E IL SOGNO
SPECIALE Valle di Scalve
ROBY: il coraggio e il sogno infranto
di Angelo Piantoni
A
veva solo 4 anni quando Roby salutò per l’ultima volta papà Livio, in partenza con altri 4
scalatori scalvini alla conquista del Pukajrka
central, nelle Ande Peruviane.
Di suo papà, Roby aveva un pallido ricordo che
però non s’era mai sfocato, anzi, gli pareva certo che,
con quell’ultimo saluto, gli avesse voluto dare una consegna: l’amore e la passione per la montagna.
Poi, in un maledetto 14 Luglio del 1981, il paese di
Colere e tutta la Val di Scalve erano improvvisamente
precipitati nella più profonda tristezza: la “notizia” era
giunta come uno di quei tanti fulmini che quel giorno
avevano tuonato numerosi e minacciosi in tutta la Valle, rimbalzando tra le pareti della Presolana e il Gleno
e da lì alla Bagozza e poi al Pizzo Camino.
Sembravano volessero chiamare a raccolta tutta la
Valle, in un corale grido di dolore a cui nessuno poteva sottrarsi.
La notizia era giunta improvvisa: Livio Piantoni di
Colere, Nani Tagliaferri di Vilminore e Italo May di
L’
ultimo balzo per raggiungere il Broad Peak è
iniziato alle 2 del mattino con la luna piena.
Dal campo piazzato a mt. 7100 Roby Piantoni e Domenico Belingheri di Colere, Matteo Piantoni pure originario di Colere, Stefano Magri di Pianezza, Mario Morelli di Lizzola e Marco Astori, sono
partiti decisi a giungere in vetta in poche ore.
Ce ne son volute 13 e mezzo perché Roby giungesse per primo agli 8030 mt della Cima Middle, la più
alta del Broad Peak. Dopo di lui sono giunti Domenico, Mario e Marco mentre Matteo è riuscito a raggiungere senza problemi la quota di 7900 prima di rinunciare per problemi fisici. Stefano Magri ha avuto
la sfortuna di sentirsi male poco dopo la partenza dal
campo 3 ed ha quindi atteso gli altri al campo 3.
“La gioia di stare in vetta è indescrivibile. Ho chiamato con
il satellitare mia sorella Denise e la fidanzata Silvia di Ponteranica (campionessa mondiale juniores di sci alpinismo) per gridare la mia gioia. Un’ora di sosta per le foto scattate dai miei
compagni e poi ... si torna giù”.
Estratto dell’intervista a Roby Piantoni del settembre 2005
nel periodico “La Comunità della Valle di Scalve” dopo il
rientro dalla spedizione al Broad Peak sull’Imalaya.
Schilpario erano stati strappati da una gigantesca valanga di ghiaccio proprio nel tratto finale che li avrebbe portati alla vetta. La valanga travolse anche un sogno, cullato per tanti mesi: la conquista, per la prima
volta, di una montagna considerata esclusiva “preda”
bergamasca.
Solo due sopravvissero: Flavio e Rocco, malamente
giunti al Campo Base dopo due giorni di discesa dalla
parete in condizioni praticamente incredibili.
Ci furono giorni di lutto e ogni scalvino aveva vissuto collettivamente la disgrazia come avviene sempre
nelle piccole comunità di montagna, le cui storie, belle o brutte che siano, vengono condivise, come fossero cosa propria.
Poi i superstiti tornarono, accolti dall’affetto dei
tanti amici.
Ma per un po’ la montagna rimase deserta come in
una specie di dolorosa mestizia, tacitamente condivisa.
Per tanto tempo Fulvia lasciò la porta aperta nella
vana speranza di un ritorno.
Denise, la più grandina aveva aiutato la mamma,
non mancando di studiare con impegno e diligenza,
mentre Roby incominciava a caracollare sui sentieri che
portano al rifugio Albani, accompagnato quasi sempre
da Renzo e Luciana, amici di Livio e di Fulvia.
Poi quando i due diventeranno gestori del Rifugio stesso, Roby sarà il loro “piccolo aiutante”: a infiascare vino, preparare qualche caffè o la colazione. Ma
nei giorni e nelle ore di “libertà”, Renzo lo portava su
qualche sentiero più impegnativo o a fare qualche tiro
di corda sul “vascello fantasma”, la palestra di roccia,
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distante dal rifugio pochi minuti di sentiero; poi, gradualmente, altre arrampicate sempre più importanti. .
Roby l’aveva nel sangue la montagna come il suo papà.
Livio era diventato guida alpina a 21 anni, la più
giovane guida alpina Italiana di quel periodo.
Roby farà altrettanto: a 20 anni aspirante guida e a
22 guida alpina.
Lo stampo aveva riprodotto la sua identica copia!
Roby diventava grandicello e s’impegnava a scuola.
D’inverno a sciare con gli amici dello Sci Club Colere, poi d’estate la montagna con vie sempre più impegnative.
Si era commosso quando, a soli 15 anni, accompagnato da Simone Moro aveva ripetuto per la prima
volta la via tracciata sulla parete nord-occidentale della Presolana, quella via che Livio aveva voluto dedicare alla piccola Denise, sorella maggiore di Roby.
E aveva portato a casa, alla pur restia mamma, due
chiodi e un cuneo piantati tanti anni prima dal papà .
A quei trofei aveva aggiunto un mazzo di fiori,
quelli dedicati a lei, alla mamma!
Ed era finita che anche lei si era commossa per quel
figlio così simile al suo papà.
Così dopo un impegnativo “apprendistato” sulle
vie più difficili dell’arco alpino aveva, ancora una volta, voluto ripercorrere le medesime strade (o meglio
ancora, gli stessi sentieri) di Papà Livio.
E continuò ad arrampicare, ottenendo nel contempo il titolo di Guida Alpina.
Nello stesso anno scala il suo primo 8000, il Gasherbrun 2°, poi sarà una sequenza dopo l’altra, di trecking
e di scalate.
Nel 2006 l’Everest, senza ossigeno (impresa che
solo pochi riescono a fare), non prima di aver “assaggiato” altre grandi vette dell’Himalaya con Domenico,
Matteo, Stefano e altri.
Ma anche nelle Ande peruviane, ritornando sul Pukajrka: la montagna che era stata fatale a suo Papà, per
ripercorrerne i passi e le cadenze, le sensazioni e le
emozioni, il brivido e forse anche le paure.
Qualcuno lo chiama destino.
Credo invece, anche se questa può essere una mia
libera interpretazione, che fossero questi i sogni infantili di cui accenna nei suoi scritti.
Erano sogni che stava gradualmente realizzando!
Per questo, nelle situazioni estreme sapeva rinunciare, “perché è più importante tornare e poter raccontare ciò che hai vissuto” come scriveva a proposito
della rinuncia al “Manaslu”. Voleva tornare per poter
raccontare e continuare a realizzare i suoi sogni.
Questa volta non ce l’ha fatta. Non sappiamo perché, non sappiamo come, ma siamo certi che solo
l’imponderabile può avergli fatto mancare la presa, interrompendo così il corso dei suoi sogni.
La sua è una grande lezione di vita: rincorrere i sogni è dote di pochi. Il mondo è cresciuto grazie a chi
ha fatto scelte coraggiose, rincorrendo i propri sogni.
Non sono i pavidi a fare la storia, ma i coraggiosi; i
coraggiosi e i sognatori!
In tutti i campi intendo dire: sulla montagna come
nella vita di tutti i giorni; nell’impegno quotidiano verso chi ci sta intorno, come nelle passioni genuine e
spontanee che richiedono sacrificio e volontà.
Saper coltivare una passione e saperne piantare i
semi perché da essa nascano nuovi germogli!
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Questa è la vita che ognuno di noi dovrebbe saper
vivere. E Roby lo ha fatto!
Nel giorno del suo ultimo viaggio, ad accompagnarlo c’era tutto il mondo alpinistico bergamasco, oltre a tantissimi Coleresi e Scalvini che si sono stretti
per dargli l’ultimo saluto.
Non so se lo avrebbe voluto. Conoscendolo posso
dire che no, lui non avrebbe voluto!
Da uomo di montagna, da Colerese, da Scalvino,
da Bergamasco, non avrebbe voluto questa accoglienza e nemmeno sentire le tante parole dette e scritte
sulla sua tragica storia.
Avrebbe preferito rimanere là, dov’era caduto. Riposare ai piedi della montagna che lo ha voluto con sé.
Ma ai sognatori, come ai coraggiosi bisogna dare
onore! Lo dobbiamo a lui che ne aveva i titoli e i meriti, lo dobbiamo a sua mamma, alle sorelle Denise e
Sara e alla sua Silvia che amava tanto e con la quale,
immagino, avrà coltivato i sogni di una vita insieme,
unita dalla comune passione per la montagna.
Lo dobbiamo ai suoi amici e compagni: a Marco
Astori, Yuri Parimbelli e Adriano Greco che hanno
assistito impotenti al “volo” sulla parete del Shisha
Pangma e che, nonostante l’intenso dolore per il compagno perso, si sono prodigati con fatica e pericolo
per lunghi interminabili giorni al fine di recuperarne
il corpo e riportarlo a casa, a sua mamma innanzitutto! Lo dobbiamo ai tanti amici della montagna che lo
hanno conosciuto e che ne hanno apprezzato e condiviso le sue doti, la sua allegria e il suo sorriso.
Qualcuno ha scritto su uno dei tanti blog, nati per
ricordarlo, che sulle “Orobie, sopra la Presolana, ora
c’è una nuova stella che si chiama Roby”.
Sappiamo che non è così ma lasciateci credere che
ciò sia! E allora lasciateci sognare che Roby, il nostro
amico, nostro fratello, su nel paradiso possa andare,
insieme a papà Livio che, orgoglioso, lo avrà già accolto e convinto ad arrampicarne le cime più alte e più
belle, non più dentro lo zaino come quando da piccolo se lo portava in cima alla Presolana, ma uniti, in una
cordata unica, alternandosi nei tiri di corda come si fa
tra alpinisti dello stesso valore.
E ci saranno tutti: Placido con la sua esuberanza,
Nani col suo piglio allegro e Italo con la sua riservatezza. Ma poi anche i tanti altri amici e compagni che
lo hanno preceduto. Si, vogliamo pensare, sperare e
sognare che sia così!
Ciao Roby,
sarai sempre nella nostra mente, sarai sempre nei nostri cuori!!!
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