osservazioni sul giusnaturalismo

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osservazioni sul giusnaturalismo
OSSERVAZIONI SUL GIUSNATURALISMO
Di TOMMASO GAVA
Il Giusnaturalismo ha lo scopo di formare un corpo giuridico
adeguato con i fini e gli scopi della natura umana1.
Una costruzione giuridica adeguata alla specie umana in quanto tale deve
prefigurarsi come scopo quello di proteggere la specie e favorirne lo sviluppo che le è proprio.
Se le specie vegetali e animali sono destinate a vivere ed agire secondo leggi biologiche e istintive, la natura umana invece è tale per cui ogni
uomo per potere agire deve determinare i propri obbiettivi e i mezzi con
cui raggiungerli. L’agire umano per essere efficace deve inevitabilmente
fare ricorso a una capacità prettamente umana, la razionalità.
Sembra che il percorso obbligato della specie umana sia quello di
percepire, imparare, conoscere, compiere scelte, capire relazioni di causaeffetto ed agire di conseguenza per potersi mantenere in vita e migliorare
la propria esistenza2. Interrompere o ostacolare questi processi così necessari al naturale sviluppo dell’uomo mediante la violenza, o la codificazione
di diritto positivo, è contrario a quanto è necessario alla natura dell’uomo
per il proseguimento della sua vita.
Questa interferenza esterna, nei processi citati, possiamo definirla
«antiumana»; essendo una violazione alla legge naturale propria dei bisogni vitali e di conservazione dell’uomo in quanto specie.
Le dottrine giusnaturalistiche assumono un’importanza rilevante in Europa nei secoli XVII e XVIII, un periodo culturale influenzato
fortemente dal razionalismo, nonostante l’origine di tali dottrine sia riconducibile all’antichità classica: ne è espressione emblematica il mito di
Antigone.
Le teorie di diritto naturale si ritrovano spesso in evitabile conflitto
con le teorie giuspositive. Secondo Kelsen, infatti, solamente gli atti pro1
2
Rothbard M.N., Per una nuova libertà, Liberilibri, Macerata, 2004, pp. 45-46
Ibidem p. 46
79
dotti dal legislativo sono validi, mentre i giusnaturalisti ritengono valide
le norme di diritto positivo solamente quando non in contrasto con quelle
di diritto naturale.
Una rivendicazione emblematica della dottrina giusnaturalistica è
avvenuta durante il processo di Norimberga, dove vennero condannate
persone che avevano precedentemente obbedito ad ordini e regolarmenti
formalmente validi, secondo l’ottica del diritto positivo. Tuttavia, ampie
porzioni della codificazione della Germania nazionalsocialista si trovavano in palese contrasto con le istanze di diritto naturale. Le condanne che
derivarono dal processo di Norimberga, che punirono anche magistrati
tedeschi i quali si erano limitati ad applicare la legislazione vigente in Germania, erano dunque basate su una dottrina di diritto naturale, che individuò condotte di evidente antiumanità in tali atti legislativi, nonostante
questi atti fossero formalmente validi secondo l’ottica positiva.
In San Tommaso d’Aquino, e secondo il prisma proprio della tradizione aristotelico-tomista, la natura dell’uomo è quella di essere un animale razionale. I diritti conformi alla perfettibilità dell’uomo, ovvero i
diritti naturali, sono dunque da «scoprire» tramite il corretto uso della
ragione umana. «Per cui possiamo dire che è bene per l’uomo ciò che è
giudicato tale dalla retta ragione, perché essa lo vede conveniente alla sua
perfezione»3.
«Il giusnaturalismo non è una morale ma una teoria della morale: cioè afferma come devono essere le norme morali per essere valide»4.
L’etica giusnaturalistica deve dunque arrivare a rendere le diverse condotte
umane compatibili tra di loro e prevenire che il limite delle azioni umane
si realizzi tramite il ricorso della forza tra le persone.
Il diritto naturale nella concezione dell’Aquinate è precedente e gerarchicamente superiore al diritto positivo essendo l’oggetto di principi
tendenzialmente immutabili della condotta e della convivenza umana.
Principî che il legislatore non può ignorare in quanto leggi di natura facenti parte della lex aeterna, stabilita da Dio, che riguarda l’ordinamento e
la convivenza umana, orientata al bene comune.
3
4
BAGNULO R. , Il Concetto di diritto naturale in San Tommaso d’Aquino, Giuffrè editore,
Milano, 1983, p. 8
Ibidem, p. 15
80
La rappresentazione gerarchica della legge espressa da Tommaso
nella summa theologiae è la seguente:
LEX AETERNA: ratio gubernationis rerum in Deo, sicut in principe universitatis existens
LEX NATURALIS: partecipatio legis aeternae in rationali creatura
LEX HUMANA: ex praeceptis legis naturalis, quasi ex quibusdam principiis
communibus et indemostrabilius, necesse est quod ratio humana procedat ad alia
magis particulariter disponenda.5
La legge naturale tutta è dunque parte della legge eterna, ma non
tutta la legge eterna è diritto naturale. La legge naturale è legata alla contingenza storica secondo un’ottica progressiva in quanto scoperta progressivamente dalle facoltà umane che nonostante possano essere corrette
sono tuttavia limitate, ma perfettibili.
Il contenuto della legge naturale deriva dalla dottrina della «inclinationes naturales», dalla conservazione al contenuto razionale della vita. La
legge di natura dunque va ricavata dalla natura dell’uomo, visto geneticamente e dinamicamente nella predisposizione verso i fini propri, riconoscibili tramite la ragione umana. La ragione, come il suo utilizzo, non
rappresenta il fine dell’uomo, ma solamente lo strumento di indagine della
natura della ragione medesima.
Il Decalogo dei comandamenti è espressione di diritto naturale, con
l’eccezione, posta da S. Tommaso, del «non nominare il nome di Dio invano». La legge positiva è dunque subordinata alla legge naturale ed ottiene
lo status di legge solamente in quanto derivante dalla legge naturale.
Se qualcosa le è contraria non è legge ma corruzione della legge.6
Nell’Europa moderna, l’apporto del giusnaturalismo diventa predominante nella filosofia giuridica grazie ad Ugo Grozio, a John Locke,
alle scuole giusnaturalistiche tedesche di Pufendorf e Leibniz, nonché alle
elaborazioni dei francesi Domat e Pothier.7
5
6
7
Ibidem, p. 111
Ibidem, p. 122
CAPANNA A., Storia del diritto moderno in Europa, Le fonti del pensiero giuridico
1, Giuffrè editore, Milano, 1982, p. 320
81
La teoria moderna postula l’esistenza di un complesso di regole
autoevidenti di giustizia e di valori etici universali che hanno il loro fondamento nella natura razionale dell’uomo. Questa formulazione, di tipo
universalistico, si oppone ai diritti positivi, i quali sono per loro natura
contingentati da fasi storiche, politiche e dalle volontà legislative. Queste potrebbero essere indipendenti dall’etica giusnaturalistica, ma rimarrebbero delegittimabili sia dall’etica derivante dal diritto naturale che da
contingenze storiche successive o intersecanti quali dissoluzioni o rivoluzioni all’interno delle istituzioni sovrane. Con Grozio, Hobbes e Locke il
giusnaturalismo entra a pieno titolo nella cultura giusfilosofica moderna.
Si viene a determinare così un passaggio dal gisnaturalismo antico e mediovale, di derivazione teologica, a quello laico-razionalistico moderno.
Con l’opera De iure belli ac pacis (1625) Ugo Grozio può considerarsi
il padre del diritto naturale moderno8. Grozio costruisce di un sistema
normativo essenzialmente privo di una regolamentazione positiva. Si possono rintracciare due pilastri fondamentali nell’opera di Grozio e, più in
generale, nel giusnaturalismo moderno.
Il primo va individuato nella fiducia della costruzione di un sistema normativo tramite il metodo razional-deduttivo: la scoperta del diritto
proviene dunque da principi naturali di corretta ragione che rendono possibile lo sviluppo di un’etica razionale e perciò adeguata.
Il secondo pilastro si riassume nella teoria postulante uno stato originario antecedente alle istituzioni politiche, alle quali gli uomini arrivano
tramite un contratto sociale necessario al mantenimento degli stessi diritti
naturali, difficilmente tutelabili in un contesto privo di istituzioni politiche. Tramite la teoria del contratto sociale, l’uomo si lega istituzionalmente ai suoi simili, cedendo quote della propria sovranità naturale al potere
politico, al fine di organizzare la pacifica convivenza civile.
Grozio definisce il diritto naturale come dictatem recate rationis. I concetti di Dio e natura cominciano ad essere separati. Il diritto naturale non
è più qualcosa di sovrannaturale emanato direttamente dall’ordine divino, come indicavano la teologia tradizionale e il pensiero tomista. Grozio
enuncia in proposito un complesso di regole razionali che rispondono
alla natura dell’uomo, ed hanno la funzione di regolare la codificazione
8
Ibidem, p. 326
82
positiva. Tali regole sono rimandate a tre massime basilari, che hanno il
fine di regolare universalmente e armonicamente la condotta umana. La
prima, indica di non appropriarsi di ciò che è d’altri e restituire il maltolto
o il profitto che se ne è ricavato. La seconda prescrive di mantenere fede ai
patti. L’ ultima massima suggerisce di riparare i danni causati per propria
colpa. Muovendo da questi tre assiomi secondo Grozio è possibile ricavare
deduttivamente un completo complesso di norme positive.
Secondo le teorie contrattualistiche, utilizzate frequentemente dai
filosofi giusnaturalisti moderni, lo stato di natura presociale non ha fondamenti generali universalmente accettati, né si fonda su assiomi auto
evidenti o su prove di tipo empirico. Le diverse formulazioni teoriche
sembrano variare unicamente in base ai diversi filoni di pensiero, agli scopi prettamente politici degli autori e alla visione antropologica, a volte
spiccatamente ottimistica, come può essere nel caso di Rosseau, altre volte
catastrofistica, tale è il caso della costruzione teorica di Hobbes. In entrambi i casi appare predominate, nella diversa costruzione dello stato presociale, il diverso intento politico-istituzionale che si vuole promuovere o
tutelare. Se con Rosseau il mito del buon selvaggio può essere visto come
anticamera favorevole alla legittimizzazione di forme istituzionali basate
sulla democrazia diretta, in Hobbes la visione presociale che prende forma teorica, ovvero lo stato di guerra e conflitto perenne, appare ricavata
appositamente per giustificare l’assolutismo, visto come unico mezzo per
raggiungere la pace e la concordia tra gli uomini.
Nel caso di Grozio lo stato di natura presociale è caratterizzato da individui pacifici e liberali, l’esatto contrario dello stato di natura hobbesiano
caratterizzato invece da aggressività ed egoismo. Secondo Grozio lo stato
di natura è regolato dall’ appetitus societatis dell’uomo: comunione dei beni
e spontaneo rispetto dei patti.9
Il contratto sociale viene attuato in un momento di involuzione della società, determinato dall’aumento dei bisogni, dalla diminuzione delle
ricchezze e in conseguenza del nascere di istinti egoistici che rendono
precario, violento e impraticabile lo stato di natura originariamente pacifico e armonioso. In una fase di questo tipo, caratterizzata dall’incertezza,
gli uomini al fine di assicurarsi l’utilità comune trasferiscono mediante il
9
Ibidem p. 328
83
contratto sociale il potere di far rispettare gli interessi della collettività in
maniera coercitiva ed istituzionale, attraverso un potere sovrano.
In questo tipo di contratto vengono delineati sia i diritti dei singoli
individui che il sovrano dovrà fare rispettare, sia i poteri e i diritti e i doveri
del sovrano. In tal modo Grozio giustifica l’origine dello Stato e la risalente
distinzione tra diritto privato e diritto pubblico.
Anche tramite il giusnaturalismo groziano si consoliderà l’idea, già
presente in Tommaso d’Aquino, che i diritti individuali non sono conferiti
all’uomo tramite una concessione della codificazione positiva. Al contrario,
sono le norme positive a doversi fondare su diritti naturali e soggettivi
dell’uomo.
Thomas Hobbes invece si distingue per la teorizzazione laica e di
pretesa razionale dell’assolutismo politico.
Anche Hobbes configura uno stato di natura presociale, ma caratterizzato da individui dominati da passioni basse e malvagie, uno stato
perenne di lotta, bellum omnium contra omnes, e di violenza, homo homini lupus,
dove la forza individuale è l’unico e insufficiente mezzo per garantirsi i
diritti naturali di conservazione della propria vita e dei propri averi.
Tramite il contratto sociale gli uomini traslano dall’insicurezza e la
guerra perenne ad un sicuro e pacifico “stato civile”, dove la sicurezza è
garantita ad ogni cittadino in cambio della cessione totale delle libertà di
ognuno. Le libertà di ogni individuo vengono così cedute ad una sovranità
assoluta.
La paura porta dunque gli uomini a creare un contratto attraverso il
quale gli individui cedono al sovrano i propri diritti naturali. A tale sovrano, sia esso un monarca o un collegio, viene conferito il potere mediante la
completa sottomissione al fine di far regnare l’ordine, la pace e la sicurezza.
Il contratto hobbesiano si caratterizza per essere stipulato unicamente tra sudditi e non tra il sovrano e i sudditi. Il sovrano è dunque al di fuori
del contratto e i sudditi sono vincolati alla cieca sottomissione. Il potere
politico detiene tutti i diritti ma nessun dovere.10
I diritti naturali sono definiti da Hobbes come «la libertà che ciascuno ha di usare il proprio potere a suo arbitrio per la conservazione della
10
Ibidem p. 331
84
sua natura…»11. La Lex Naturalis secondo Hobbes è un’insieme di regole
generali scoperte dalla ragione che proibiscono ad un uomo di distruggere
la propria vita o di disfarsi dei mezzi per conservarla.
Hobbes riconosce definitivamente una legge di natura fondamentale più altre diciotto e, infine, una regola universale per ricavarle tutte.
Quest’ultima è definita in un una certezza, alla luce della quale «ciascuno
deve cercare la pace per quanto ha speranza di ottenerla, e che, se non
è in grado di ottenerla, gli sia lecito cercare e utilizzare tutti gli aiuti e i
vantaggi della guerra»12. Questa regola diviene legge naturale, discende
dal momento presociale prefigurato da Hobbes e chiamato bellum omnium
contra omnes.
La seconda legge di natura che Hobbes individua è la seguente: «che
si sia disposti, quando anche altri lo siano, a rinunciare, nella misura in cui
lo si ritenga necessario alla pace e alla propria difesa, al diritto su tutto e
ci si accontenti di avere tanta libertà nei confronti degli altri quanta se ne
concede agli altri nei confronti di se stessi.»
Altre leggi di natura, corollari dei due precedenti enunciati, sono:
rispettare i patti; la gratitudine nei confronti di un donatore; la compiacenza; ovvero sforzarsi di adattarsi agli altri; perdonare il pentito che richiede
di essere perdonato. La settima legge prevede che nelle vendette bisogna
guardare non alla grandezza del male passato, ma alla grandezza del bene
che ne deve nascere, altre regole riguardano condotte contro la superbia e
l’arroganza, contro gli oltraggi, altre indicano l’equità, e la sottomissione
all’arbitrato etc..13
Sembra che in Hobbes i diritti naturali, tra i quali spicca quello
relativo alla sottomissione ai patti, servono unicamente a giustificare l’assolutismo, in quanto basato su un patto: il contratto sociale.
Hobbes viene definito da Bobbio «un giusnaturalista in partenza e
un giuspositivista all’arrivo»14, Cattaneo invece si riferisce a Hobbes come
al teorico dell’assolutismo illuminato piuttosto che dell’assolutismo dispotico. Secondo Hobbes, infatti, un’azione è criminosa quando vi è una
11
12
13
14
Hobbes T., Il Leviatano, Laterza, Bari 1998, p. 105
Ibidem, p. 106
Ibidem, passim
CAPANNA A., op. cit. p. 333
85
norma che la riconosce come tale. Si scorge quindi una limpida affermazione del moderno principio di legalità con una conseguenza tipicamente
liberale: al cittadino è consentito fare tutto ciò che non è vietato dalla
legge. La libertà è definita come il silenzio della legge, un classico della
tradizione liberale.
John Locke, padre del liberalismo moderno, con i «Due trattati sul
governo» (1690) sviluppa la teoria giusnaturalistica improntandola verso il
liberalismo, il costituzionalismo e il governo limitato.
Se la teoria giusnaturalistica hobbessiana produce un rafforzamento
del potere politico, con Locke al contrario i diritti naturali rafforzano i
diritti degli individui nei confronti del potere politico, in linea dunque con
il filone tradizionale del pensero giusnaturalista. Lo stato di natura, a State
of perfect Freedom, è delineato da Locke nel modo seguente:
La condizione in cui gli uomini si trovano per natura, ovvero, uno
stato di perfetta libertà (a State of perfect Freedom) di ordinare le loro
azioni e disporre dei loro possessi e delle loro persone come meglio
credono, nei limiti della legge di natura, senza chiedere licenza o dipendere dalla volontà di un altro uomo.15
Nello stato di natura ogni uomo consegue un potere su un altro uomo
solamente nel momento della trasgressione della legge di natura. Chiunque
ha il diritto di punire il trasgressore di quella legge. Il potere che viene
assunto non è però assoluto, ma limitato a una punizione ragionevole e
proporzionata alla sua trasgressione, ovvero quanto è necessario in misura
di riparazione e repressione (Reparetion and Restraint)16 Un uso sproporzionato della forza nel punire il trasgressore comporterebbe una nuova violazione della legge di natura, e quindi chi ha punito in maniera sproporzionata
potrà legittimamente essere punito a sua volta. Secondo la dottrina giusnaturalistica di Locke la punizione per la trasgressione della legge di natura è
l’unico utilizzo eticamente accettabile della violenza nei confronti di terzi.
Anche in Locke, come negli altri filosofi giusnaturalisti, è riscontrabile la predominanza del diritto naturale sul diritto positivo:
15
16
LOCKE J., Due trattati sul governo, Edizioni PLUS, Pisa, 2007, p.190
Ibidem, p. 192
86
Il diritto naturale è chiaro ed evidente ad ogni creatura razionale e a
uno studioso di legge quanto e più delle leggi positive degli stati, anzi,
più chiara, in quanto la ragione è più semplice da comprendere delle
fantasie e dalle ingarbugliate trovate degli uomini, che derivano da
interessi contraddittori ed oscuri messi in parole.17
Lo scopo della legge naturale è dunque nuovamente quello di indirizzare e rendere così legittime le leggi positive. Solo le leggi ispirate
al diritto naturale possono essere considerate legittime. Il diritto positivo diventa dunque il diritto naturale istituzionalmente e politicamente
tutelato.
Nel pensiero di Locke, la proprietà è il diritto naturale per eccellenza. Per diritto di proprietà si intende non solo il diritto sui propri averi ma
anche il diritto sulla proprietà di se stessi, ovvero il diritto sulla proprietà
del proprio corpo e delle proprie azioni.
Il diritto di autoproprietà è un’assioma auto evidente. Sulla propria
persona nessuno ha diritto all’infuori di se stesso, every Man has a Property
in his own Person. «La fatica del suo corpo e il lavoro delle sue mani, sono
propriamente suoi»18. Il diritto alla proprietà privata è dunque un’estensione logico-deduttiva del diritto di autoproprietà. Emerge così che ogni
cosa che l’uomo rimuove dallo stato in cui la natura l’ha lasciata, aggiungendovi qualcosa di suo (il lavoro, la fatica, l’ingegno, etc..), diventa una
proprietà privata, viene esclusa dalla proprietà potenzialmente detenibile
da chiunque e dallo stato in cui è priva di proprietà.
Il lavoro infatti è di proprietà del lavoratore, dunque nessuno può
avere diritto su ciò che si è unito al suo lavoro, con l’eccezione logica del
caso in cui il proprio lavoro venga venduto a chi ha bisogno di acquistare
un tale servizio.
Locke elabora la dimostrazione della nascita della proprietà tramite
l’esempio sulla proprietà dei frutti colti dall’albero. L’albero si trova nello
stato di natura, e quindi privo di proprietari. Chi coglie le mele dall’albero
se ne appropria lecitamente:
17
18
Ibidem, p. 195
Ibidem, p. 205
87
Nessuno può negare che quel cibo sia suo. Mi chiedo, dunque: quando
quei frutti hanno cominciato ad essere suoi? Quando li ha digeriti? O
quando li ha mangiati? O quando li ha bolliti? O quando li ha portati a
casa? O quando li ha raccolti? È chiaro che, se il fatto di averli raccolti
per primo non li ha resi suoi, nient’altro poteva renderli suoi. Il lavoro
ha creato una distinzione tra quei frutti e le cose comuni; ha aggiunto
qualcosa a essi che è più di quello che la natura, madre comune di
ogni cosa, ha fatto, e per questo essi divengono sua proprietà privata.
Si dirà, forse, che non ha diritto alle ghiande o alle mele di cui si è appropriato perché non ha il consenso di tutta l’umanità a farle proprie?
È stato un furto dunque fare proprio ciò che apparteneva a tutti in
comune? Se un tale consenso fosse stato necessario, l’uomo sarebbe
morto di fame, nonostante l’abbondanza che Dio gli ha dato.19
I limiti dello stato di natura sono individuati da Locke nel momento
di tutela della proprietà, resa incerta dal fatto che ogni uomo gode della
sovranità naturale. Ogni uomo è sovrano, e la società preistituzionale è
soggetta in tal modo a capriccio e corruzione continue, rendendo così
incerta la convivenza.
L’altra grande difficoltà propria dello stato di natura si evidenzia nel
momento di giudicare e punire i trasgressori delle leggi naturali. Essendo
questi punibili direttamente dalla parte lesa, che per motivi di parzialità
verso se stessa e per effetto della passione per la vendetta tenderà a punire
in maniera sproporzionata l’aggressore, potranno sorgere problemi anche
relativamente alla possibile incapacità da parte dell’aggredito di punire
l’aggressore.
Il governo civile diventa così il rimedio agli inconvenienti dello stato di natura. Le libertà che attraverso il contratto sociale dovranno essere
cedute all’istituzione statale sono dunque il potere di disporre liberamente
dei metodi e delle risorse idonee alla protezione della proprietà, intesa nel
senso estensivo lockeano. Questo potere dovrà venire così affidato alla
legge, identificando così l’origine dei poteri legislativo ed esecutivo. Dovrà
essere ceduto inoltre il diritto di giudicare e punire i torti subiti, potere che
sarà delegato ai giudici che la neonata istituzione dovrà scegliere.
19
Ibidem, p. 205
88
Gli uomini hanno stabilito di dare vita al governo istituzionale al
fine di garantirsi la certezza del diritto di proprietà, e quindi la salvaguardia di se stessi e dei propri beni, i compiti del governo sono dunque
quelli di tutelare tali diritti, tramite la legge, l’esecutivo, e giudici terzi e
imparziali.
[…] il potere della società, o del legislativo da essa costituito, non può
mai estendersi oltre quanto necessario per il bene comune ed è tenuto
a proteggere la proprietà di ognuno […].20
Quando il governo esercita la tirannia, quando è usurpatore, nel
caso in cui eserciti poteri spettanti ad altri ovvero quando esercita poteri
ulteriori rispetto a quelli conferiti tramite il contratto sociale, quando agisce nell’interesse personale e non per il bene comune per il quale è stato
creato, il popolo non è più tenuto all’obbedienza.
Ogniqualvolta il legislativo tenti di toccare o distruggere la proprietà
del popolo, o di ridurlo in schiavitù sotto un potere arbitrario, esso si
mette in uno stato di guerra con il popolo, che da quel momento in
poi è esonerato da ogni forma di obbedienza, ed è lasciato al comune
rimedio che Dio ha fornito a tutti gli uomini contro la forza e la violenza.21
La filosofia gisunaturalistica ha dunque evidenti implicazioni radicali. Nel corso della sua storia e del suo sviluppo il giusnaturalismo ha
sempre prodotto dei limiti all’autorità istituzionale, ad eccezione di Hobbes, giusnaturalista anomalo, in cui ritroviamo un diritto naturale sovvertito al fine di costruire un’inedita speculazione filosofico politica volta a
giustificare laicamente il potere sovrano assoluto.
In linea diretta con la dottrina moderna, il giusnaturalismo contemporaneo «radicalizza il suo radicalismo». Nel pensiero di M.N. Rothbard
il giusnaturalismo dei diritti di proprietà lockeano e tomista viene portato
alle sue tanto logiche quanto estreme conseguenze. È l’ordine costituito
ad essere il sistematico e perpetuo aggressore dei diritti naturali. Rothbard
20
21
Ibidem, p. 264
Ibidem, p. 320
89
considera la guerra, prodotta dagli stati e dai governi, come uno strumento di sterminio di massa, e vede nella tassazione come il più grande furto
di proprietà, eseguito sotto forma di rapina sistematica e perpetua. I governi sono dunque illegittimi per loro stessa natura, tramite la tassazione e
la guerra si pongono al di fuori della tutela dei diritti di proprietà ed auto
proprietà, violando sistematicamente entrambe e quindi il loro mandato.
Al contrario dei giusnaturalisti moderni, Rothbard rifiuta il contrattualismo, relegandolo alla metafora o all’illusione, rintracciando l’origine dello stato nell’usurpazione violenta, e non nel contratto volontario. Come
scrisse il sociologo tedesco Franz Oppenheimer, «Lo stato, per intero
nella sua genesi […] è un’istituzione sociale, imposta con la forza da un
gruppo vittorioso su un gruppo sconfitto, con il solo scopo di regolare il
dominio del gruppo vittorioso sul gruppo sconfitto, e di assicurarsi contro
la rivolta dall’interno e gli attacchi dall’esterno. Teleologicamente, questo
dominio non aveva altro scopo che lo sfruttamento economico dei vinti
da parte dei vincitori»22. Le istituzioni politiche appaiono dunque come
del tutto illegittime e viene portata una critica inflessibile nei confronti
delle istituzioni statali, in quanto coercitive nei confronti dei cittadini a
causa del furto sistematico perpetrato tramite l’imposizione fiscale, nonchè nei confronti di tutta l’umanità, tramite il ricorso alla guerra. I diritti
naturali vengono infranti così, universalmente, proprio delle istituzioni
nate, secondo la dottrina moderna, per salvaguardarli.
Nella costruzione di Rothbard, tramite «l’assioma di non aggressione», che deve valere per ogni persona, il diritto naturale lockeano diventa
il diritto fondamentale, la legge di rango più elevato, da cui discendono
tutti gli altri diritti. Si assiste così alla predominanza delle libertà «negative», nei confronti delle libertà «positive», che vengono descritte come
diritti per un determinato gruppo sociale ottenuti mediante la coercizione
su un gruppo sociale diverso.
La libertà positiva, per Rothbard e per il filone liberale contemporaneo più radicale e coerente, appare come una riedizione moderna dei
privilegi dell’ancien régime, imposta dal mutare delle istituzioni sociali e dal
sistema demoparlamentare bastato sul suffragio universale, che ha per22
F. OPPENHEIMER, in Nicola Iannello, a cura di, La società senza stato, i fondatori del
pensiero libertario, Rubbettino - Leonardo Facco, Catanzaro, 2004, p. 214, nota.
90
messo una democraticizzazione dei privilegi e un diverso, ma non meno
invasivo, orientamento sociale della coercizione statale.
L’assioma di non aggressione indica che «nessuno può aggredire la
persona o violare la proprietà altrui»23. Solo tramite il rispetto di questo
assioma è possibile non interferire con i diritti naturali di ogni individuo,
e un’aggressione ai diritti naturali è eticamente compatibile con il diritto
naturale solo in caso di punizione dei criminali, ovvero quegli individui
che hanno violato l’assioma di non aggressione.
Rothbard, tramite l’intransigente rispetto dei diritti naturali di derivazione lockeana e tomista, e grazie al contributo del metodo prasseologico, ovvero lo studio dell’azione umana proprio della scuola austriaca
di economia di cui è esponente, ricava un codice morale adeguato a una
forma radicale di capitalismo laissez-faire, un ordine sociale basato esclusivamente sul libero mercato e sulla proprietà privata, dove tutti i servizi necessari ai cittadini, dall’ordine pubblico, ai tribunali, alla produzione della
moneta siano affidati all’iniziativa o alla cooperazione privata. Tutti questi
servizi, classicamente affidati all’esclusivo monopolio governativo, vengono reinterpretati, riformulati e ricostruiti secondo logiche di mercato e
proprietaristiche, compatibili con il diritto di proprietà e auto proprietà e
quindi con il diritto naturale.
«Se un uomo vuole “protezione” è capace di prendere i suoi accordi allo scopo, e nessuno ha il minimo motivo di rapinarlo per «proteggerlo» contro la sua volontà». 24 Questa situazione, quotidiana nell’ambito dell’organizzazione pubblica della sicurezza, è fortemente criticata,
essendo tale organizzazione fi nanziata per mezzo della coercizione tramite l’uso dell’imposizione fiscale e quindi in senso contrario al diritto
naturale.
L’ economia di mercato non è supportata per ragioni utilitaristiche,
ovvero in quanto forma più efficiente di organizzazione economica, ma
solo perché l’unica ad essere coerente con il rispetto dei diritti naturali di
proprietà e auto proprietà.
23
24
MODUGNO CROCETTA R., L’anarco capitalismo di Murray Newton Rothbard: fonti e dibattito
contemporaneo, in «Individualismo metodologico, dalla scuola austriaca all’anarco-capitalismo»,
Modugno Crocetta R.,Gordon, Luiss Edizioni, Roma (2001) p. 154
L. SPOONER, No Treason, in La società senza stato…, op. cit. p. 52
91
Si viene a creare così una teoria della giustizia del diritto di proprietà, dove tutti i diritti umani sono riconducibili ai diritti di proprietà. La
giustizia dunque, esercitata da arbitri, tribunali e polizia privati, si basa
semplicemente sulla determinazione dell’aggressore del diritto di proprietà, così come stabilito dall’assioma di non aggressione e su una punizione
dell’aggressore proporzionata all’infrazione effettuata.
Le istituzioni politiche sono dunque illegittime, secondo tali analisi.
Potrebbero acquisire una legittimità tutelata dal diritto naturale solamente
se si trasformassero in associazioni volontarie, ovvero prevedenti la secessione di regioni, città o di individui e delle loro proprietà. Solo in questo
modo le istituzioni politiche potrebbero essere legittimate da una coerente
etica di diritto naturale.
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92