L`atomismo chimico da Dalton a Cannizzaro.

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L`atomismo chimico da Dalton a Cannizzaro.
R. Zingales - L’atomismo chimico
L’atomismo chimico, da Dalton a Cannizzaro
Roberto Zingales
Dipartimento di Chimica Inorganica e Analitica Stanislao Cannizzaro
[email protected]
Il passaggio dalle ipotesi filosofiche sulla costituzione della materia alla formulazione di una teoria scientifica si realizzò alla fine del XVIII secolo, solo dopo che le
semplici osservazioni qualitative dei fenomeni chimici furono integrate da accurate determinazioni quantitative di natura strumentale. D’altro canto, come confermato sia da
Pierre Joseph Macquer (1718-1784), nel Dizionario di Chimica (2a ed, 1777), che da
Antoine-Francois Fourcroy (1755-1809) nella Filosofia chimica (1806), i chimici
sentivano sempre più pressante l’esigenza di affiancare al concetto di divisibilità ideale,
geometrica o fisico - meccanica, quello di divisibilità chimica1, intesa non più come
frammentazione, ma come analisi, cioè separazione di componenti diversi, per raccogliere insieme quelli identici.
Ogni corpo materiale era considerato un insieme complesso di particelle costituenti e particelle integranti: la particella integrante è la più piccola molecola [sic]
nella quale un corpo può essere ridotto, senza essere decomposto2. Ha le stesse caratteristiche dell’intero, ma è sempre più piccola man mano che procede la divisione fisicomeccanica, fino al limite inferiore, non osservabile, detto molecola primitiva integrante. Questo limite può essere superato solo con l’analisi chimica, che separa i corpi nelle
loro diverse particelle costituenti; nel corso di questo processo, i corpi perdono la propria identità, perché le particelle costituenti ne hanno ciascuna una propria e individuale.
Rappresentano il limite della divisibilità chimica3 e possono riunirsi in modi diversi, per
formare i corpi composti: ad esempio, la particella integrante di ciascun sale è composta
da particelle costituenti dell’acido e particelle costituenti della base.
D’altro canto, pur essendo stato il protagonista della rivoluzione chimica che trasformò le antiche pratiche degli alchimisti in una scienza moderna, Antoine Laurent
Lavoisier (1743-1794), per l’enfasi che diede sempre alla sperimentazione, preferì non
partecipare al dibattito sulla struttura microscopica della materia, non accessibile sperimentalmente, e limitare le sue speculazioni al piano macroscopico, nel quale operano le
1
A. Di Meo, Atomi e molecole nella chimica del XIX secolo, in G. Villani - Molecole, CUEN, Napoli
(2001) 62
2
M. Boas Hall, The Background of Dalton’s Atomic Theory, Chem. in Brit. (1966) 341-5
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A. J. Rocke, Chemical Atomism in the Nineteenth Century, Ohio State University Press (1984) 5
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reazioni chimiche. Per lui, come per Boyle, non era possibile stabilire alcuna connessione tra due concetti distinti: da un lato, le particelle ultime (eventualmente indivisibili)
che, non potendo essere osservate, andavano considerate metafisiche (una finzione mentale); dall’altro, i corpi macroscopici potevano essere separati, per mezzo dell’analisi
chimica, in sostanze più semplici, fino a ridursi a quelle che era impossibile decomporre
ulteriormente con le usuali pratiche di laboratorio, e alle quali andava attribuito lo status
di sostanze chimiche elementari. Le due successive generazioni di chimici disputarono
sulla distinzione tra atomo ed elemento: alcuni erano del parere che fosse necessaria, altri che non fosse necessaria, ma semplicemente sbagliata4.
Adottato un metodo di indagine caratterizzato da una rigorosa fedeltà al risultato
sperimentale, espresso in termini rigidamente quantitativi, coniugata a una geniale capacità di analisi e sintesi concettuale, Lavoisier si pose l’obiettivo di rendere la Chimica rigorosa quanto Galilei, Cartesio, Newton avevano reso la Fisica, e di razionalizzare con
strumenti matematici i risultati degli esperimenti. Raccolta l’eredità di Newton, che aveva identificato nella massa il parametro che definisce e determina la quantità di materia,
considerò le masse di reagenti e prodotti non semplici cifre da registrare, ma strumenti
per regolare, dare forma e validare gli esperimenti chimici e le teorie. L’analisi chimica
e la pesata, procedendo di conserva, gli avrebbero dato la possibilità di sostituire le vecchie idee sugli elementi, con un nuovo concetto di sostanza semplice5.
Una volta consolidata e diffusa, la pratica di determinare le masse di reagenti e
prodotti di reazione ebbe effetti dirompenti sulla chimica settecentesca, fornendole, non
solo quella base numerica che le precedenti ricerche sulla reattività non avevano saputo
darle, ma anche una chiave di lettura semplice e universale dei fenomeni indagati. Lavoisier trasformò la bilancia nello strumento fondamentale, sia per le indagini sperimentali che per la formulazione delle teorie; grazie alle accurate determinazioni di massa,
nel corso di esperimenti condotti in sistemi chiusi, in modo da impedire gli scambi di
materia con l’esterno, arrivò ad enunciare il principio universale di conservazione della
massa. Esso consente di interpretare tutti i fenomeni della Chimica come aggiunte o
sottrazioni di massa alle sostanze che vi partecipano, quindi come semplici spostamenti
di materia, senza che essa sia creata o distrutta. Se non si realizza un bilancio di massa
tra reattivi e prodotti, il chimico deve chiarirne i motivi, per esempio, individuando la
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T. H. Levere, Transforming Matter, The John Hopkins University Press, Baltimore, (2001) 80 - 81;
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presenza di errori sperimentali: ... in effetti, posso considerare i materiali introdotti e i
risultati ottenuti come un’equazione algebrica: e, supponendo, successivamente, che
ciascuno degli elementi di questa equazione sia un’incognita, ne posso ricavare un valore e correggere così l’esperimento con il calcolo e il calcolo con l’esperimento. Ho
spesso profittato di questo metodo per correggere i dati primari dei miei esperimenti e
per decidere le precauzioni da prendere prima di ripeterli.5 ... Un elemento è eterno e
indistruttibile, e può cambiare di posto, ma non di peso, e la mia bilancia lo insegue e
lo ritrova sempre lo stesso.6 (Lavoisier)
Invece, in assenza di errori, il mancato ottenimento del bilancio materiale, può
essere dovuto alla presenza di qualche reattivo o prodotto sfuggito alla semplice indagine sensoriale7 e alle tecniche strumentali disponibili: per esempio, dalla calcinazione di
120 grani di calcare, Joseph Black (1728-1799) ottenne solo 68 grani di calce, dimostrando che i 52 grani mancanti, a parte una quantità trascurabile di acqua, corrispondevano al peso di un componente allontanatosi durante il processo, sotto forma di gas8.
L’approccio di Lavoisier alla definizione di elemento si ispirava ai criteri metodologici dell’Illuminismo; secondo Jean-Baptiste Le Rond d’Alembert (1717-1783), i
principi primi di una scienza potevano essere individuati soltanto adottando il metodo di
indagine analitico, che partiva dal complesso (delle proprietà macroscopiche delle sostanze) per arrivare all’elementare; per questo, e sotto l’influsso di Etienne Bonnot de
Condillac (1715-1780), Lavoisier riteneva che la Chimica non dovesse fornire strumenti per individuare la struttura intima della materia, ma limitarsi a indicare, utilizzando un
procedimento analitico, quali sostanze semplici potevano essere determinate sperimentalmente, e in quale modo si combinassero9.
Lavoisier dimostrò sperimentalmente quanto evidenziato da numerosi ricercatori, da Boyle in poi: tutti i corpi naturali risultano dalla combinazione di due o più corpi
semplici, chiamati elementi o princìpi, non ulteriormente scomponibili, ma isolabili in
laboratorio e poi ricomponibili in nuove e diverse combinazioni. Nel Trattato di Chimica elementare (1789), fornì una definizione pragmatica, basata solo sulle possibilità
sperimentali del chimico, di elemento, l’entità responsabile dei fenomeni chimici: quel5
J. B. Dumas, Leçons de Philosophie Chimique, Gauthier - Villars Editeur (1937) Paris,, pag 96
J. B. Dumas, Leçons de Philosophie Chimique, Gauthier - Villars Editeur (1937) Paris,, pag 116
7
J. B. Dumas, Leçons de Philosophie Chimique, Gauthier - Villars Editeur (1937) Paris, pag 80-81
8
J. I. Solov’ev, L’evoluzione del pensiero chimico, EST Mondadori (1976) Milano, 64
9
M. Ciardi, CnS XVII n° 3 (2007) 26;
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la porzione di materia, qualitativamente differenziata dalle altre, non suscettibile di ulteriore divisione chimica, ma solo compatibilmente con gli strumenti e le forze a disposizione del ricercatore, in un dato momento dello sviluppo della disciplina.
In questo modo, mentre i principi tradizionali avevano avuto un carattere definitivo, gli elementi di Lavoisier ne avevano uno provvisorio, ma si superavano, finalmente, le difficoltà concettuali nelle quali si era impantanata la filosofia delle particelle elementari: l’elemento è l’individuo chimico, portatore delle qualità primarie, che lo distinguono dagli altri elementi, e lo mettono in relazione con le sostanze composte che lo
contengono. La sua condizione di corpo semplice è dimostrabile su base ponderale, perché il suo peso è inferiore a quello delle sostanze dalle quali si è generato, e aumenta
sempre nel corso delle reazioni. Di conseguenza, la procedura alla quale attribuire lo
status di metodo analitico di riferimento non può essere il vigoroso riscaldamento all’aria, perché, contrariamente a quanto creduto dai flogististi, non dissocia il metallo (composto) nei suoi elementi (calce e flogisto), ma dà luogo a una reazione di sintesi, nella
quale il metallo si unisce all’ossigeno, per dare un prodotto più pesante5.
L’aver integrato la definizione di elemento con il criterio gravimetrico di analisi
consentì di far piazza pulita di elementi e principi di origine filosofica, come gli stocheia di Empedocle o i principia di Paracelso, portando a un consenso generalizzato su
una lista provvisoria, stilata da Lavoisier nel 1786, di 33 corpi semplici, molti dei quali
sono tuttora considerati tali: idrogeno, ossigeno, azoto, zolfo, fosforo, e carbonio, 17
metalli (gli undici conosciuti prima del 1600, platino, nichel, manganese, molibdeno,
tellurio e tungsteno), i radicali muriatico, fluorico e boracico, e alcuni ossidi come la
calce, la magnesia, la barite, la silice e l’allumina. In maniera piuttosto sorprendente, vista l’enfasi che aveva dato alla pesata analitica, aggiunse anche la luce e il calorico, la
materia del fuoco senza peso. In realtà, Lavoisier aveva eseguito con Laplace le prime
determinazioni calorimetriche: fissati i pesi dei reagenti, in ogni reazione si liberava o
era assorbita una quantità di calorico determinata e costante, per cui anche la materia del
fuoco sembrava obbedire alle leggi di combinazione. Sarà poi Davy a cancellare il calorico dalla lista, ritenendolo non un materiale, ma una forma di movimento.
Lavoisier aveva, tuttavia, una concezione, in qualche modo, ancora tradizionale
degli elementi, ritenendo che essi mantenessero evidenti le loro proprietà intrinseche nei
composti. I suoi stessi contemporanei non accettavano l’idea che l’acqua, che spegne il
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fuoco, potesse essere composta da idrogeno altamente infiammabile10. Proprio per questo, nelle sue ultime memorie, aggiunse alle caratteristiche degli elementi quella di essere ampiamente distribuiti in natura e di entrare nella composizione di un gran numero di
corpi11. In ogni caso, Lavoisier insisteva sull’assoluta provvisorietà della lista di elementi, che andavano considerati tali solo fino a quando non fossero stati scomposti in
corpi più semplici. Per esempio, quando Davy isolò i metalli alcalini e alcalino terrosi
dai loro ossidi, questi furono cancellati dalla lista degli elementi e sostituiti con sostanze
più semplici (i metalli).
Sebbene, dalla definizione di elemento elaborata da Lavoisier non si potesse dedurre nulla sulla composizione ultima della materia (né questo era tra i suoi interessi,
più orientati a chiarire e comprendere le reazioni chimiche), si poteva, però, stabilire
una relazione tra il sensibile e l’insensibile: a livello sensibile, l’individuo chimico era il
corpo semplice o elemento, cui corrispondeva, a livello insensibile, la particella integrante, che, nel caso di sostanze elementari, chimicamente non decomponibili, coincideva con quella costituente12. In questa affermazione è insito un equivoco di fondo che
porterà, più tardi, e per molti anni, a considerare monoatomiche le molecole degli elementi puri. Ad ogni livello, l’individuo chimico non solo è indivisibile, ma, nel corso
delle reazioni, si mantiene sempre eguale a se stesso, sia dal punto di vista qualitativo
che quantitativo. Anche la riforma della nomenclatura diventò strumento per ribadirne il
carattere fondamentale: a ciascun elemento fu assegnato un nome differente e individuale, mentre il nome dei composti doveva dar conto degli elementi che lo costituivano.
I rapporti di combinazione
Lo studio delle reazioni di saturazione aveva messo in evidenza, non solo che
neutralizzado un acido con un alcali si ottiene un sale, ma anche l’esistenza di una condizione, chiamata da Hermann Boerhaave (1668-1738) punto di saturazione, che si
realizza quando la quantità di acido aggiunta è tale da annullare completamente le proprietà basiche di una data quantità di alcali. Nel tentativo di misurare le forze di affinità,
Carl Friedrich Wenzel (1740-1793) determinò, in maniera sistematica, i pesi di combi-
10
P. Ball, The Ingredients, Oxford University Press, Oxford (2002) 40;
D. R. Oldroyd, J. Chem. Educ., 50 (1973) 450-4;
12
A. F. Fourcroy, A general system of chemical knowledge, tradotto da W. Nicholson, Cadell e Davies,
London (1804) vol I, 92;
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nazione di acidi e basi, per formare circa 200 tipi di sali differenti 13, concludendo che
essi hanno una composizione definita e invariabile, senza però trarne alcuna conclusione
generale. I suoi accurati risultati, pubblicati nel Lehre von der Verwandshaft (1777), furono completamente ignorati, specie quando non coincidevano con quelli del più autorevole Bergman, ma furono ripresi da Jeremias Benjamin Richter (1762-1807), allievo
di Kant a Könisberg14.
Richter partì dall’osservazione che, mescolando due soluzioni neutre, una di solfato di sodio e una di nitrato di bario, si ottiene una miscela perfettamente neutra (al tornasole), dalla quale si separa un abbondante precipitato (solfato di bario). Ne dedusse
che, in questa reazione, gli acidi si sono semplicemente scambiati le basi tra di loro, secondo precise relazioni ponderali: la quantità di soda che neutralizzava perfettamente la
quantità di acido solforico che si è legato alla barite per dare il solido, satura perfettamente anche la quantità di acido nitrico che si è separato da questa base. In altre parole,
le quantità di soda e di barite che neutralizzano la stessa quantità di acido nitrico sono
neutralizzate pure dalla stessa quantità di acido solforico.
Successivamente, Richter determinò sistematicamente le quantità in peso, riportate in tabella, di differenti basi che neutralizzano esattamente 1000 grammi di ciascun
acido; nel trattato Rudimenti di Stechiometria, pubblicato negli anni tra il ‘92 e il ’94,
generalizzò questi risultati come legge di neutralità, osservando che era costante pure il
rapporto tra i pesi di due basi che si combinano con la stessa quantità di qualunque acido (riportati nelle righe intermedie della tabella) e che tra la quantità di ossigeno contenuta nella base e il peso dell’acido esiste un rapporto costante per tutti gli acidi del medesimo genere e dello stesso gradi di saturazione15. Il termine stechiometria, da lui coniato, indica l’arte di misurare i rapporti di combinazione in peso tra gli elementi chimici (stocheia)16. Questa costanza dei rapporti di combinazione tra acidi e basi, non solo risultava utilissima per le applicazioni pratiche, ma avrebbe potuto suggerire l’ipotesi che
le diverse sostanze fossero costituite da unità fondamentali ripetitive, che si mantengono inalterate nel corso delle diverse reazioni. Invece, Richter non le associò ad alcuna
teoria corpuscolare della materia, perchè, nella tradizione newtoniana, il suo intento era
13
J. I. Solov’ev, L’evoluzione del pensiero chimico, EST Mondadori (1976) Milano, 119;
F. Szabadváry, A. Robinson, The History of Analytical Chemistry, in Wilson and Wilson, Treatise of
Analytical Chemistry, 120;
15
J. B. Dumas, Leçons de Philosophie Chimique, Gauthier - Villars Editeur (1937) Paris, 128 ;
16
J. R. Partington, A short History of Chemistry, Dover Publications Inc., New York (1969) 162;
14
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quello di quantificare le forze a corto raggio tra le particelle, tanto è vero che i suoi risultati furono interpretati da Berthollet come misura della affinità relative17.
Potassa
Soda
Alcali volatile
Barite
Calce
Magnesia
Allumina
Acido solforico
1606
1,32
1218
1,91
638
0,29
2224
2,79
796
1,29
616
1,17
526
Acido muriatico
2239
1,32
1699
1,91
889
0,29
3099
2,80
1107
1,29
858
1,17
734
Acido nitrico
1143
1,32
867
1,91
453
0,29
1581
2,80
565
1,29
438
1,17
374
Richter aveva usato un linguaggio involuto e matematicamente astruso, che
avrebbe reso i risultati incomprensibili agli altri chimici, se, nella sua traduzione tedesca
delle Recherches sur les lois de l’affinité, di Berthollet (1802), Ernst Gottfried Fischer
(1754-1831) non li avesse rielaborati e generalizzati: anziché confrontare separatamente
le basi con ogni singolo acido, attribuì arbitrariamente un peso convenzionale all’acido
solforico (1000 g) e riferì ad esso i pesi di combinazione delle basi, e a questi i pesi di
combinazioni degli altri acidi.
Negli anni tra il 1797 e il 1809, Joseph Louis Proust (1754-1826) diede un ulteriore contributo alla comprensione delle leggi che governano le reazioni chimiche; analizzati differenti ossidi metallici, stabilì che la composizione di ogni sostanza (sia naturale, che preparata in laboratorio) è la stessa e non dipende da fattori esterni, come la
quantità dei prodotti di partenza, la temperatura, la pressione. Riconsiderata la legge
della proporzionalità di Richter alla luce di queste scoperte, concluse che le quantità dei
diversi metalli combinati con la stessa quantità di zolfo si combinano anche con la stessa quantità di ossigeno. Questi risultati lo portarono a concludere che Natura è soggetta
a una precisa legge ponderale: i rapporti tra le masse secondo cui due o più elementi si
combinano sono fissi e non sono suscettibili di variare con continuità. Poco interessato a formulare ipotesi18, non fornì alcuna spiegazione di questa discontinuità, né si rese
17
18
A. J. Rocke, Chemical Atomism in the Nineteenth Century, Ohio State University Press (1984) 9;
J. I. Solov’ev, L’evoluzione del pensiero chimico, EST Mondadori (1976) Milano, 122-3;
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conto del fatto che alcuni metalli, come ferro, stagno, mercurio e piombo, mostrano diversi rapporti di combinazione con l’ossigeno. Sarebbe bastato, per esempio, piuttosto
che riportare il contenuto percentuale in stagno dei suoi ossidi (87% nell’ossido e 78%
nel deuterossido), accorgersi che, con 100 parti di stagno se ne combinano 14 di ossigeno nel primo caso e 28 nel secondo19.
Tutti questi risultati stavano rendendo sempre più evidente e urgente la necessità, non solo epistemologica, ma anche didattica, di una teoria che disciplinasse e razionalizzasse le nuove conoscenze, agevolasse l’apprendimento, e consentisse di classificare i nuovi materiali, che la Chimica sperimentale accumulava rapidamente.
La teoria atomica
Fu un insegnante di Manchester, JOHN DALTON (1766-1844) a realizzare quel salto concettuale che avrebbe consentito di accedere alla realtà invisibile che si cela dietro i
fenomeni visibili. Piuttosto che di Chimica, Dalton si occupava di Meteorologia, coltivando questa passione per tutta la vita: in circa 46 anni, registrò quotidianamente temperatura, pressione, piovosità e ventosità, accumulando, alla fine, più di duecentomila
dati. Questa attività stimolò il suo interesse per le miscele gassose (e l’atmosfera in particolare), e per la solubilità dei gas in acqua, che studiò con metodi e criteri propri della
Fisica, ma, senza le scoperte dei chimici delle arie, non avrebbe potuto chiarire il comportamento fisico dei gas e delle loro miscele20.
Che i gas costituissero uno stato fisico a se stante era stato stabilito da Lavoisier,
a conclusione di un percorso sperimentale e concettuale, durato più di un secolo. La
possibilità di isolarli e manipolarli aveva consentito di caratterizzarne individualmente
la reattività chimica e le proprietà fisiche; queste ultime risultavano, in qualche modo,
contraddittorie, perchè, alcune, come la dilatazione termica (Amontons) o la risposta
alla compressione o alla rarefazione (Boyle), erano quantitativamente eguali per tutti,
altre, come la densità o la solubilità in acqua, variavano da un gas all’altro. Inoltre, il
fatto che i gas fossero perfettamente miscibili tra loro in tutte le proporzioni, dando miscele a composizione uniforme, contrastava con il comportamento dei liquidi non miscibili, che si stratificano in funzione della loro densità.
19
20
J. B. Dumas, Leçons de Philosophie Chimique, Gauthier - Villars Editeur (1937) Paris, 135 ;
M. Boas Hall, The Background of Dalton’s Atomic Theory, Chem. in Brit. (1966) 341-5;
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Le prime analisi dell’aria ne avevano rivelato l’uniformità di composizione, sia
qualitativa (essenzialmente, azoto, ossigeno, anidride carbonica e vapor d’acqua) che
quantitativa, in tutti i luoghi e a tutte le altitudini, come confermato da Gay-Lussac, che
con un pallone aerostatico aveva raggiunto un’altitudine di circa 7000 metri. Per Berthollet questo implicava che si trattasse di un vero e proprio composto chimico, come
l’acqua, mentre Dalton riteneva si trattasse di una miscela meccanica.
Per verificare questa ipotesi, Dalton mescolò quattro volumi di azoto e uno di
ossigeno, che poi trasferì in un recipiente della capacità di cinque volumi, cioè eguale
alla somma dei volumi dei costituenti; la miscela risultante occupava tutto il recipiente,
esercitava la stessa pressione dei due gas, presi separatamente, era omogenea in tutte le
sue parti e aveva la stessa composizione dell’aria. Questo comportamento era consistente con l’ipotesi che il mescolamento di gas differenti portasse alla formazione di miscele
meccaniche (e non di composti chimici), nelle quali ciascun gas restava indifferente alla
presenza degli altri o, come disse William Henry (1744-1836), ogni gas è vuoto per gli
altri gas. Con altri ingegnosi esperimenti, stabilì che l’espansione termica dell’aria è
esattamente eguale a quella dei due gas che la compongono, singolarmente presi.
Per spiegare questi risultati, Dalton riprese un modello proposto da Lavoisier,
nel quale le particelle dei vari fluidi aeriformi, erano costituite da una parte centrale, dotata di una massa caratteristica e circondata da un’atmosferica di calorico (la cui estensione variava a seconda del tipo di particella), responsabile della repulsione tra atomi
dello stesso elemento, che si origina quando si comprime il gas, e della pressione esercitata dal gas sulle pareti del recipiente che lo contiene (direttamente proporzionale alla
quantità del gas in un dato volume): le particelle ultime di ciascun corpo omogeneo
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sono perfettamente simili, in peso, forma, ecc.21. Nel 1801 rielaborò questa ipotesi per
spiegare l’omogeneità dell’atmosfera, assumendo che tra gli atomi dello stesso gas (vapor d’acqua, azoto, ossigeno), si esercitassero non forze attrattive, ma repulsive22, in
modi che essi occupassero tutto lo spazio disponibile, ma senza interagire con gli atomi
di tipo diverso, alla cui presenza erano indifferenti. Questa prima teoria delle miscele
gassose23, presentata in un rapporto alla Philosophical Society di Manchester nel 1802,
dal titolo Experimental Enquiry into the Proportions of the Several Gases or Elastic
Fluids constituting the Atmosphere, e poi pubblicata nel 180524, spiegava perchè un
gas poteva diffondere attraverso qualunque altro gas, a prescindere dalla densità reciproca, e fornì la base della legge delle pressioni parziali. Nonostante le critiche di Thomson, Henry e Berthollet, la spiegazione parve convincente e fu accettata ampiamente;
solo con la definitiva formalizzazione della teoria cinetica, il rapido movimento delle
particelle avrebbe fornito una spiegazione più corretta del fenomeno25.
Per acquisire nuovi dati a sostegno delle proprie ipotesi, tra il 1801 e il 1802,
Dalton determinò la solubilità dei gas in acqua, trovando che il peso di ogni gas sciolto
in acqua è proporzionale alla sua pressione sovrastante o, nel caso di miscele, alla sua
pressione parziale, ma non a quella totale, confermando l’ipotesi che particelle di gas
differenti non si respingano reciprocamente. Questi risultati, presentati alla Philosophical Society di Manchester il 21 ottobre 1803, in una nota dal titolo On the Absorption
of Gases by Water, pubblicata anch’essa nel 180512, confermavano che la solubilizzazione dei gas è un fenomeno meccanico e non chimico, come si era sempre creduto. Le
differenti solubilità dei diversi gas non potevano essere spiegate da un semplice modello
che postulasse un loro comportamento uniforme; invece, Dalton le attribuì alle differenze tra le particelle ultime associate a ciascun corpo semplice, che, costituendo il limite
estremo della loro divisibilità meccanica, chiamò atomi. In particolare erano la loro forma e, soprattutto, il peso a determinare le proprietà macroscopiche di un gas: più piccole e isolate esse sono, meno facilmente le assorbe il solvente, per cui la solubilità cresce
all’aumentare delle loro dimensioni e complessità26.
21
J. Dalton, Meteorological Observations and Essays, 1793;
S. Cannizzaro, Gazz. Chim. It., 1 (1871) 181-3;
23
A. J. Rocke, Chemical Atomism in the Nineteenth Century, Ohio State University Press (1984) 22-23;
24
J. R. Partington, A short History of Chemistry, Dover Publications Inc., New York (1989) 170;
25
D. Knight, General Introduction, in Classical Science Papers Chemistry, Elsevier (1968), XVIII;
26
A. J. Rocke, Chemical Atomism in the Nineteenth Century, Ohio State University Press (1984) 25;
22
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L’enfasi che Dalton diede al peso delle particelle, ritenuto invece poco rilevante
dai filosofi di tutti i tempi, erano una conseguenza della crescente attenzione che era stata rivolta agli aspetti quantitativi delle reazioni. Riprendendo l’ipotesi di Eulero, postulò
che ciascun corpo semplice fosse caratterizzato da particelle microscopiche differenti,
tutte eguali tra di loro e dello stesso peso, e differenti da quelle degli altri elementi, ma,
a differenza di Eulero, l’elemento di novità che Dalton introdusse nella vecchia teoria
atomica fu, l’essersi posto il problema di determinare sperimentalmente i pesi relativi
di queste particelle invisibili e inarrivabili.
Per risolvere il problema occorreva individuare una unità di riferimento, per
esempio la massa dell’atomo più piccolo, e paragonare ad essa le masse di tutti gli altri
atomi. Essendo inaccessibile la dimensione atomica, occorre riportare la procedura su
scala macroscopica, paragonando quantità misurabili dei diversi elementi che contengono lo stesso numero di atomi. La Fisica non forniva ancora uno strumento teorico che
consentisse di individuare queste quantità, ma le relazioni costanti tra le quantità delle
diverse sostanze che si combinano, messe in evidenza dai chimici, ben si accordavano
con l’ipotesi che le particelle integranti si formassero dall’unione di atomi indivisibili
dei diversi elementi. Pertanto, i rapporti ponderali di composizione tra gli elementi potevano essere fatti coincidere con i rapporti tra i loro pesi atomici relativi.
Nella nota del 1803, Dalton si rammaricava che questo lavoro non fosse già stato
fatto dai chimici che avevano determinato i rapporti di combinazione dei corpi semplici
e decise di impegnarsi a mostrare l’importanza e l’utilità di apprezzare i pesi relativi
delle particelle ultime, sia dei corpi semplici che composti, e il numero delle particelle
semplici che costituiscono ciascuna particella composta, e il numero di particelle
meno composte che entrano nella formazione di una particella più composta… 27. E’
evidente la difficoltà di Dalton nel precisare i passaggi che portano dal semplice al complesso, difficoltà che si riflette nel linguaggio utilizzati 28. L’impresa di determinare i
pesi relativi delle particelle ultime si rivelò, però, più complicata del previsto e costituì
il tallone d’Achille della teoria atomica, rischiando di comprometterne l’accettazione
presso la comunità scientifica. Infatti, il problema presentava due incognite, la composizione atomica delle sostanze e il peso relativo degli atomi di ciascun elemento, e quindi
27
J. Dalton, A New System of Chemical Philosophy, [excerpts], (Manchester, 1808) [from facsimile
edition (London: Dawson)] http://webserver.lemoyne.edu/faculty/giunta/paper.html
28
L. Paoloni, CnS XXIX n° 3 (2007) 43;
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R. Zingales - L’atomismo chimico
richiedeva la conoscenza di due relazioni indipendenti tra di esse; all’inizio dell’800, ne
era nota, e con accuratezza accettabile, soltanto una, la composizione percentuale in
peso delle sostanze, mentre non si sapeva come determinare i rapporti atomici di combinazione, cioè quanti atomi di ciascun elemento sono presenti in un composto.
Essendo, però, questi rapporti sconosciuti, né sapendo come determinarli, Dalton
fu costretto a postularli a priori, in base a due criteri: il primo era quello di semplicità
che, fin dai tempi di Occam, aveva costituito una guida sicura per il filosofo naturale, il
secondo, per lui non meno importante, derivava dal presupposto che atomi dello stesso
tipo dovessero respingersi e portava necessariamente a negare - o, almeno, a limitare - la
possibilità che due o più atomi dello stesso elemento si unissero in un composto.
Stabilì, perciò, che le particelle integranti dei
composti binari fossero costituite dalla giustapposizione di una particella costituente di ciascun elemento. Solo nel caso in cui era noto che due stessi elementi potessero formare due o più sostanze a differente composizione, occorreva ammettere che le loro
particelle integranti si differenziassero per il differente contenuto di atomi di uno stesso elemento. Mentre
la più semplice era costituita da un atomo di ciascuno, le più complesse potevano contenere due o più
atomi dello stesso elemento, posizionati da parti opposte rispetto al primo, per essere separate il più possibile. In questo modo, il criterio della massima semplicità di combinazione univa al suo valore intrinseco una giustificazione basata su una particolare concezione della struttura della materia.
Come termine di riferimento cui assegnare un valore unitario, Dalton scelse l’idrogeno, l’elemento che dava sempre il contributo minore alla massa dei composti; stabilito che, conoscendosi un solo composto di idrogeno e ossigeno, un atomo comporto
di acqua era formato da un solo atomo di idrogeno e uno di ossigeno, dalla sua composizione percentuale in peso, determinata da Lavoisier (85% ossigeno, 15% idrogeno), assegnato il valore 1 al peso atomico dell’idrogeno, per quello dell’ossigeno ricavò 5,66.
Allo stesso modo, ammettendo che l’ammoniaca fosse formata da un atomo di azoto e
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R. Zingales - L’atomismo chimico
uno di idrogeno, per l’azoto ricavò un peso atomico di 4, e calcolò il peso atomico relativo di circa quattordici sostanze semplici (mostrate in tabella) riportate sul suo giornale
di laboratorio il 6 settembre 1803 e nella nota del 1805, valori poi corretti nel 1808. Tenuto conto dell’imprecisione dei dati disponibili, essi erano accettabili, ma la discrepanza con quelli ottenuti successivamente da altri ricercatori mise ben presto in evidenza
l’urgenza di risolvere il problema del rapporto di combinazione tra gli atomi; questo
passaggio si rivelò laborioso e controverso quanto quello che portò alla definizione e
alla accettazione della costanza dei rapporti di combinazione ponderale.
Tabella dei pesi relative delle particelle
elementari dei corpi gassosi e non (1805).
1805 1808
Idrogeno
1
1
Azoto
4.2
5
Carbonio
4.3
5
Ossigeno
5.5
7
Fosforo
7.2
9
Zolfo
14.4
13
Ammoniaca
5.2
6
Acqua
6.5
8
Idrogeno fosforato (fosfina)
8.2
10
Gas nitroso (ossido di azoto)
9.3
12
Etere
9.6
Ossido di carbonio
9.8
12
Ossido Nitroso (N2O)
13.7
17
Acido nitrico (NO2)
15.2
19
Idrogeno solforato
15.4
14
Acido carbonico (CO2)
15.3
16
Alcol
15.1
Acido solforoso (SO2)
19.9
27
Acido solforico (SO3)
25.4
34
Tabella di pesi atomici (1808).
Idrogeno
Azoto
Carbonio
Ossigeno
Fosforo
Zolfo
Magnesia
Calce
Soda
Potassa
Stronzite
Barite
Ferro
Zinco
Rame
Piombo
Argento
Platino
Oro
Mercurio
1
5
5
7
9
13
20
23
28
42
46
68
38
56
56
95
100
100
140
167
Il concetto macroscopico di elemento formulato da Lavoisier (sostanza chimicamente non scomponibile e qualitativamente differente dagli altri elementi) si arricchì di
una connotazione microscopica, risultando costituito da atomi identici per natura e proprietà, e differenti da quelli di tutti gli altri elementi. Il peso atomico relativo costituiva
così un parametro numerico (l’unico, al momento, determinabile sperimentalmente) che
consentiva di riconoscere come simili gli atomi dello stesso elemento e differenziare
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R. Zingales - L’atomismo chimico
quelli di elementi diversi; mantenendosi costante nel corso delle reazioni, esso garantiva
l’identità chimica dell’elemento. Tuttavia, per il modo in cui ne erano stati determinati i
pesi, gli atomi di Dalton differivano da quelli dei precedenti modelli speculativi perché,
piuttosto che l’unità minima di costituzione dei corpi, rappresentavano l’unità di misura
della combinazione degli elementi nei composti.
Poiché considerava le reazioni chimiche come separazione e riaggregazione di
atomi,ciascuno con un peso costante, che originavano un atomo composto il cui peso
era esattamente la somma di quelli dei suoi componenti elementari, la teoria atomica
spiegava il principio di conservazione di massa e la costanza dei rapporti di combinazione determinati da Proust, attraverso l’indivisibilità dei singoli atomi. Essa, inoltre, dava
un senso alle recenti osservazioni di Davy sui rapporti di combinazione tra i gas: nell’ossido nitroso (N2O), nel gas nitroso (NO) e nell’acido nitrico (NO2), le quantità di
ossigeno (sia in peso, che in volume) combinate con una data quantità di azoto stavano
nel rapporto 1 : 2 : 4. Dalton trovò una relazione simile nei rapporti carbonio/idrogeno
nel gas di palude (metano, CH2) e nel gas olefacente (etilene, CH) e la generalizzò nell’enunciato della legge delle proporzioni multiple: quando due elementi si combinano
in due o più composti diversi, fissata la quantità in peso del primo, l’altro è presente in
ciascuno dei composti con quantità diverse, tutte multipli interi e piccoli di quella più
piccola. Questa legge, che confermava quel combinarsi per salti che poteva essere originato solo da una struttura particellare della materia, costituì una prova a favore della
teoria atomica, la cui correttezza non poteva essere dimostrata dalla sola legge della
composizione costante.
Il 26 Agosto 1804, Dalton espose la teoria che andava elaborando a Thomas
Thomson, che ne fu tanto entusiasta da chiedergli il permesso di divulgarla, nella terza
edizione (1807) del suo System of Chemistry. Fu lui a fornire, meglio di quanto non seppe fare lo stesso Dalton, le prove sperimentali che le dessero forza: non solo i rapporti
costanti individuati da Richter non avrebbero potuto sussistere, a meno che acidi e basi
non reagissero secondo un rapporto ben stabilito di parti indivisibili, ma la teoria atomica spiegava anche la formazione dei sali acidi o basici con la combinazione di un atomo
di base con due di acido o di due atomi di base con uno di acido29. Nel 1808, Wollaston
29
S. Cannizzaro, Gazz. Chim. It., 1 (1871) 14;
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R. Zingales - L’atomismo chimico
mostrò che gli ossalati di stronzio e potassio contengono una quantità di base esattamente doppia di quella contenuta nei rispettivi sali acidi30.
Questa grande quantità di prove sperimentali convinse i colleghi della Royal Society della validità delle idee di Dalton, ma Thomson vedeva nell’atomismo non tanto la
chiave per interpretare le reazioni come combinazione di atomi a peso differente, quanto
un metodo per determinare le formule dei composti, aspetto cruciale nello sviluppo del
linguaggio chimico e nella comprensione delle differenze tra le sostanze, specialmente
organiche. Per quanto riguarda la possibilità che le particelle ultime dei corpi puri (per
esempio ossigeno) consistessero di due o più atomi legati tra di loro, non la rigettò, ma
la considerò poco probabile, alla luce del modello di Dalton; in ogni caso, era indifferente attribuire il peso ottenuto a un singolo atomo o a un atomo composto, che non poteva essere risolto con le normali operazioni chimiche.
La teoria atomica fu introdotta in Francia nel 1809, con la traduzione del System
of Chemistry, nella cui prefazione, tuttavia, Berthollet dichiarava arbitrario il principio
di semplicità e metteva in guardia il lettore contro le sue seduzioni. In generale, però,
sul continente essa fu accettata, almeno limitatamente al suo aspetto chimico: sorvolando sulla sua reale esistenza, l’atomo fu accettato come modello ipotetico, in sostituzione
della molecola costituente, corrispondente microscopica dell’elemento di Lavoisier.
Dunque, mentre i fisici, eredi della tradizione di Newton, Eulero e Boscovich,
erano interessati a caratterizzare, non solo le particelle ultime, ma anche le forze che le
tengono assieme in una struttura gerarchica sempre più complessa, i chimici, non riuscendo a individuare le forze che governano la reattività, si contentavano di utilizzare
relazioni numeriche riproducibili tra i reagenti, per prevedere le quantità che occorreva
mescolare per ottenere una data quantità dei prodotti finali, senza sprechi e senza sottoprodotti indesiderati. Erano anche disposti ad accettare l’esistenza di atomi di peso differente, per utilizzarli, con grande vantaggio concettuale, per esprimere la composizione
delle sostanze attraverso il linguaggio delle formule, sintetico e facile da ricordare, ma
ritenevano non indispensabili le spiegazioni teoriche, pronti ad accantonarle se non si
accordavano con i risultati sperimentali. Questa differenza di atteggiamento deve essere
ben chiara se si vogliono comprendere gli avvenimenti che seguirono, in particolare certe freddezze o rifiuti nei confronti della teoria atomica, ai nostri occhi ingiustificabili.
30
J. R. Partington, A short History of Chemistry, Dover Publications Inc., New York (1989) 130;
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15
R. Zingales - L’atomismo chimico
La legge dei volumi.
Alle indagini fisiche di Dalton, sulla composizione dell’atmosfera e il comportamento dei gas, si aggiunsero quelle chimiche di un allievo di Berthollet, Louis Joseph
Gay-Lussac (1778-1850), cui si era rivolto il naturalista e geologo tedesco Alexander
von Humboldt (1769-1859), perché, nel tentativo di determinare la composizione elementare dell’acqua, aveva ottenuto risultati contraddittori. Usando un eudiometro di
Volta, dimostrarono (1805) che due volumi di idrogeno si combinano sempre con uno
di ossigeno per formare due volumi di vapor d’acqua; proseguendo le indagini da solo,
nel 1808, Gay-Lussac determinò i rapporti di combinazione idrogeno/cloro per dare acido cloridrico e idrogeno/azoto, per dare ammoniaca.
Integrando i propri dati con quelli di altri, Gay-Lussac giunse a una conclusione
del tutto generale, enunciando la legge dei volumi (1808), secondo la quale le sostanze
gassose si combinano sempre nei rapporti più semplici, espressi da numeri interi31.
Per esempio, 100 volumi di acido cloridrico si combinano con 100 di ammoniaca, per
dare cloruro di ammonio, 100 di azoto con 50 di ossigeno per dare ossido di azoto e, decomponendo 200 volumi di ammoniaca, se ne ottengono 100 di azoto e 300 di idrogeno.
Molto attento ai risultati analitici, Berzelius vide una stretta analogia tra la legge
di Proust e quella di Gay-Lussac, perché la costanza dei volumi implicava quella dei
pesi di combinazione, visto il valore univoco della densità di ogni singolo gas, con la
sola differenza che la prima si riferiva ai corpi solidi, la seconda a quelli gassosi: ciò che
la prima chiamava atomo, la seconda chiamava volume. La teoria dei volumi era fondata su fatti sperimentali ben costituiti, quella degli atomi solo su supposizioni; la prima,
addirittura, presentava il vantaggio di poter prendere in considerazione un mezzo volume (un mezzo atomo sarebbe inconcepibile), con la grossa limitazione di non potersi
applicare alle numerose sostanze che non si possono ottenere allo stato gassoso32.
Inoltre, la legge dei volumi suggeriva una relazione semplice tra i pesi specifici
dei gas elementari e i loro pesi atomici; eppure, non fu accettata né da Berthollet (perchè
sembrava indicare una nuova regolarità nei rapporti di combinazione, che lui riteneva
soltanto un caso tra molti) né da Dalton, sia perché era convinto che le particelle dei diversi fluidi elastici avessero dimensioni differenti, sia perché i valori sperimentali dei
31
32
M. Ciardi, Introduzione a A. Avogadro, Saggi e memorie sulla Teoria Atomica, Giunti, Fi (1995) 28;
J. J. Berzelius, On the Cause of Chemical Proportions, Annals of Philosophy, 3 (1814) 51-58;
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R. Zingales - L’atomismo chimico
volumi di combinazione sembravano indicare che, nel corso delle reazioni, alcune particelle costituenti si dividono, ipotesi inconciliabile con la teoria atomica.
Partendo da presupposti diversi, l’uno dall’analisi chimica, l’altro dalla determinazione di grandezze fisiche, Dalton e Gay-Lussac non tennero in grande considerazione l’uno il lavoro dell’altro, forse condizionati dal clima di bellicosità permanente che,
in quegli anni, divideva la Francia dall’Inghilterra, e persero l’occasione per accorgersi
che i due metodi potevano essere integrati. Alla base delle loro divergenze, stava il mancato riconoscimento della differenza tra atomi e molecole e la loro relazione parte/tutto:
le leggi dei rapporti di combinazione erano giustificabili in termini di atomi, quella dei
volumi era corretta solo in termini molecolari.
Thomson notò che la legge dei volumi era in pieno accordo con la teoria atomica, ma rigettò l’ipotesi che volumi eguali contenessero lo stesso numero di particelle.
Accettando che un volume di gas rappresentasse un atomo, si conclude che un atomo di
un gas si combina con uno, due o tre di un altro gas: dal fatto che 100 volumi di ossigeno reagiscono sempre con 200 volumi di idrogeno per dare acqua, e nell’ipotesi che reagiscano nel rapporto atomico 1:1, Thomson concluse che in un dato volume di ossigeno
ci fosse un numero di atomi doppio di quelli contenuti nello stesso volume di idrogeno,
e stabilì la composizione chimica delle sostanze confrontando i valori di densità. Dividendo per due quella dell’ossigeno e il risultato per quella dell’idrogeno, ottenne il peso
atomico dell’ossigeno e calcolò la composizione dell’acqua, paragonando i risultati con
quelli ottenuti dall’analisi ponderale, per migliorarne l’accuratezza33.
Il principio di Avogadro.
Il fisico piemontese Carlo Amedeo Romano Avogadro di Quaregna e Cerreto (1776-1856) e il francese André Marie Ampère (1775-1836) tentarono per primi di
integrare l’approccio chimico e quello fisico alla determinazione dei pesi atomici.
Avogadro accettava il modello fisico di atomo concepito da Lavoisier, ma, a differenza di Dalton, riteneva che l’involucro di calorico che circonda le particelle dei gas,
tenendole separate l’una dall’altra, dovesse avere le stesse dimensioni per tutti i tipi di
particelle. Partendo dalla eguaglianza dei coefficienti di dilatazione termica dei gas cercò di conciliare l’evidenza macroscopica sperimentale (legge di Gay-Lussac) con la vi33
A. J. Rocke, Chemical Atomism in the Nineteenth Century, Ohio State University Press (1984) 52;
14.06.08
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R. Zingales - L’atomismo chimico
sione microscopica del fenomeno (teoria atomica), e uniformare la spiegazione delle regolarità nelle proporzioni ponderali e in quelle volumetriche. Nel 1811, nel Saggi e memorie sulla teoria atomica, commentando i risultati di Gay-Lussac, affermava: Bisogna
dunque ammettere che vi siano pure dei rapporti molto semplici tra i volumi delle sostanze gassose e il numero delle molecole semplici o composte che le formano. La prima ipotesi che s affaccia a questo riguardo e che pare sia la sola ammissibile è di supporre che il numero delle molecola integranti in qualunque gas è sempre eguale, a volume eguale, o sempre proporzionale ai volumi34. Una conseguenza di questa ipotesi è
che i gas reagiscono secondo rapporti in volume espressi da numeri interi e piccoli perchè le particelle si combinano secondo rapporti espressi da numeri interi e piccoli35.
Nel 1814 Ampère arrivò indipendentemente alle stesse conclusioni: in fase gassosa, a distanze maggiori di quelle a cui agiscono le loro affinità, il calorico esercita sulle particelle una forza repulsiva, che le allontana fino a distanze che dipendono soltanto
dalla temperatura e dalla pressione del gas. Se i centri delle molecole integranti di un
gas si trovano alla stessa distanza, un dato volume ne può contenere soltanto un numero
definito, che è lo stesso per qualunque gas. Il fatto che le distanze tra le particelle dipendessero solo da temperatura e pressione spiegava il fatto che tutti i gas mostravano la
stessa dilatazione termica36.
Se accettato, il principio di Avogadro-Ampere avrebbe fornito un nuovo criterio
per la determinazione dei pesi atomici e molecolari: poiché il rapporto tra le densità di
due gas è eguale a quello tra le masse di due volumi eguali, se si ammette che essi contengano lo stesso numero di particelle, il rapporto tra le densità risulta eguale a quello
delle masse di un egual numero di particelle e quindi al rapporto tra le masse delle due
singole particelle elementari. In tabella37 sono riportati alcuni esempi. Applicando questo criterio, Avogadro poté attribuire a etilene e metano le corrette formule molecolari
(C2H4) e (CH4), al posto di quelle proposte da Dalton (CH e CH2). Ovviamente, il metodo si poteva applicare solo a un limitato numero di sostanze, quelle gassose, mentre per
le altre occorrevano strumenti teorici e sperimentali differenti.
34
L. Rolla, in Amedeo Avogadro commemorato nel primo centenario della sua morte, Tip. Unione
Bilellese, Biella (1957) 61;
35
T. H. Levere, Transforming Matter, The John Hopkins University Press, Baltimore (2001) 110;
36
A. Wurtz, La Teoria Atomica, Fratelli Dumolard, Milano (1879) 36;
37
A. Wurtz, Dizionario di Chimica Pura e Applicata, Leo Vallardi Editore, Milano (1892) 999;
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R. Zingales - L’atomismo chimico
Gas
Idrogeno
Ossigeno
Azoto
Zolfo a 1000°C
Cloro
Bromo
Iodio
Densità dei gas o dei
vapori riferita all’aria
0,0693
1,1056
0,9714
2,22
2,44
5,393
8,716
Densità riferita
all’idrogeno
Pesi atomici
1
15,9
14,0
32,0
35,2
77,8
125,8
1
16
14
32
35,5
80
127
Invece, Dalton rifiutò sempre di determinare i pesi atomici dalle misure di densità gassosa, ritenendole inattendibili, e preferendo i metodi chimici di analisi e il criterio
di semplicità38. Poiché la densità dell’ossigeno - per lui formato da un atomo singolo - è
maggiore di quella del vapor d’acqua (formata da due atomi), aggiunse, al suo modello
atomico, l’ipotesi che gli atomi dei diversi elementi differissero non solo nel peso, ma
anche nelle dimensioni, in modo che volumi eguali di gas differenti ne contenessero un
numero diverso. Invece, Avogadro era in grado di spiegare queste incongruenze, perché
riteneva che il livello materiale di riferimento per le combinazioni chimiche fosse quello
delle molecole integranti, e non quello degli atomi, per cui non aveva difficoltà ad ammettere che, non coincidendo con il livello ultimo della materia, le molecole integranti
potessero dividersi in molecole elementari della stessa specie39. Avogadro, perciò, distingueva tra molecole elementari (corrispondenti agli atomi) e molecole integranti, costituite da più atomi, eguali o diversi40. Egli non pensò mai di attribuire un valore fisico
e ontologico alle particelle elementari, che si ottenevano dalla scomposizione di quelle
integranti, e che perciò costituivano soltanto rappresentazioni modellistiche di carattere
matematico, senza possedere realtà fisica30. Se queste idee fossero state accettate, il progresso della Chimica, sia teorica che industriale, si sarebbe potuto anticipare di almeno
30 anni, ma forse neanche lui si rese conto dell’enorme portata delle sue intuizioni, tanto è vero che, negli anni successivi, cercò di correlare le densità di solidi e liquidi con il
numero di molecole in essi contenute, senza ottenere risultati di alcun rilievo41.
L’ipotesi di una proporzionalità diretta tra il volume di un gas e il numero di atomi in esso contenuti era cruciale per lo sviluppo della teoria atomica, perchè consentiva
38
A. J. Rocke, Chemical Atomism in the Nineteenth Century, Ohio State University Press (1984) 33;
M. Ciardi, Amedeo Avogadro. Saggi e memorie sulla teoria atomica, Giunti, Firenze (1995) 29;
40
A. Wurtz, La Teoria Atomica, Fratelli Dumolard, Milano (1879) 35;
41
L. Pauling, in Amedeo Avogadro commemorato nel primo centenario della sua morte, Tip. Unione Bilellese, Biella (1957) 28;
39
14.06.08
19
R. Zingales - L’atomismo chimico
di risolvere un problema che rischiava di mettere in crisi la teoria atomica o, alternativamente, la legge di Gay-Lussac. Era noto che i gas idrogeno e cloro (da poco identificato
da Davy) reagiscono nel rapporto volumetrico di 1 : 1, per dare due volumi di acido cloridrico gassoso, anziché uno, come previsto dall’ipotesi di Dalton sulla monoatomicità
degli elementi puri.
Per tener conto di questi e altri risultati, occorreva assumere che la quantità di
materia contenuta in un volume di ossigeno, azoto, cloro, idrogeno, deve essere divisa
in due per fornire la quantità di vapor d’acqua, ammoniaca e acido cloridrico contenuta
in un volume. Avogadro risolse la questione supponendo che le molecole integranti che
entrano in egual numero nello stesso volume dei gas o vapori dei corpi semplici, risultano, a loro volta composte dall’unione di due (o altro numero pari) molecole elementari
(o costituenti), proprio come lo sono le molecole integranti dei corpi composti: distingueva, perciò, tra molecole elementari (corrispondenti agli atomi) e molecole integranti, costituite da più atomi, eguali o diversi42. Prima di reagire con un altro elemento per
dare un composto, le molecole elementari devono separarsi l’una dall’altra, causando
così un aumento di volume. Perciò, se da una molecola di idrogeno e una di cloro se ne
ottengono due di acido cloridrico, le loro molecole devono essere biatomiche. Per lo
stesso motivo, la formula dell’acqua risulta H2O e non HO. Finalmente si chiarisce la
differenza tra l’atomo, che è il protagonista delle combinazioni, cioè il costituente dei
corpi composti, e la molecola, che è l’oggetto delle reazioni.
La possibilità che la teoria atomica e la legge dei volumi non fossero inconciliabili, ma si integrassero a vicenda, fu rifiutata dalla maggior parte dei chimici, fino a
quando non fu recuperata da Cannizzaro. Tra quelli che l’accettarono subito, i francesi
Marc-Antoine Gaudin e Alexandre-Edmond Baudrimont riconobbero la differenza tra
atomi e molecole43. Per altri, l’ipotesi di molecole formate da due atomi eguali era vietata dalle teorie correnti sull’affinità, che si esercitava solo su atomi differenti, mentre, su
42
A. Wurtz, La Teoria Atomica, Fratelli Dumolard, Milano (1879) 35
14.06.08
20
R. Zingales - L’atomismo chimico
quelli simili, si poteva esercitare, al più, una forma di attrazione che portava alla loro
aggregazione. L’elettrochimica sembrava costituire uno strumento concettuale utile a
scoprire le cause della reattività e rivelare le modalità con le quali gli elementi si combinano. Rielaborando alcune idee di Avogadro, Jöns Jakob Berzelius (1779-1848) formulò la teoria del dualismo elettrochimico: le combinazioni chimiche si originano dall’attrazione tra particelle di carica opposta, per cui quelle identiche non possono unirsi
in un composto.
Ma, a parte le resistenze teoriche, la differenza tra atomi e molecole era poco utile ai chimici impegnati nella sintesi e caratterizzazione di nuove sostanze, anzi introduceva qualche complicazione concettuale. In conclusione, la teoria atomica di Dalton era
messa in crisi dal fatto che, senza una chiara comprensione della valenza, differenti metodi analitici portavano a pesi atomici diversi, mentre le recenti esperienze di Davy sulla
decomposizione elettrochimica di soda e potassa rendevano incerto persino individuare
gli elementi, e i pesi atomici caddero in disuso finché non si risolse il problema delle
formule molecolari.
Berzelius.
I più solleciti ad accettare la teoria atomica furono quei chimici che da anni si
dedicavano alla determinazione della composizione quantitativa delle sostanze, sia inorganiche che organiche, perché premetteva loro di individuare correlazioni prima non
evidenziate, conferendo significato e sistematicità ai loro risultati. Tra di essi, spicca
Berzelius, che analizzò molti composti inorganici, spesso dopo averli accuratamente purificati, per potere ottenere dati significativi. Nel 1808, la lettura dell’articolo di Wollaston sui sali acidi, nel quale si faceva riferimento all’ipotesi di Dalton sulle proporzioni
multiple, fu per Berzelius come una vivida luce che veniva all’improvviso ad illuminare
le sue ricerche, perché, permettendogli di individuare correlazioni prima non evidenziate, conferì significato e sistematicità ai risultati. Sicuro che, se dimostrata, la teoria atomica avrebbe fornito una convincente giustificazione della combinazione degli elementi
in proporzioni multiple, riesaminò la composizione percentuale di duemila differenti
composti organici ed inorganici da lui già analizzati. Dimostrò che la legge delle proporzioni costanti e multiple era sempre rispettata, e forniva un valido supporto speri43
F. Abbri, L’atomismo chimico, in Storia della Scienza moderna e contemporanea, ed. Paolo Rossi,
TEA, Milano, (2000), vol. II, 269-300;
14.06.08
21
R. Zingales - L’atomismo chimico
mentale alla teoria, ponendo fine alla disputa tra Proust e Berthollet. Attribuita a tutti gli
ossidi metallici una composizione costante MO (un atomo metallico e uno di ossigeno),
Berzelius dimostrò che nei sali la quantità di ossigeno proveniente dagli acidi era un
multiplo intero di quella proveniente dalle basi, mentre il non metallo e il metallo erano
presenti con un solo atomo. Per esempio, il solfato di bario era costituito da un atomo di
zolfo e uno di bario, mentre la quantità di ossigeno contenuta nell’acido solforico anidro
era il triplo di quella contenuta nella barite che lo neutralizzava 44. Con questo criterio,
determinò i valori dei pesi atomici di molti elementi e le formule atomiche di parecchi
sali.
Resosi conto dell’imprecisione dei pesi atomici determinati da Dalton, cercò di
migliorare l’accuratezza delle analisi centesimali; questo, però, ancora non bastava e
Berzelius ne attribuì la causa a un’inesattezza della teoria atomica, della quale peraltro
riconosceva la validità concettuale. La difficoltà stava nello stabilire esattamente quanti
atomi semplici costituivano ciascun tipo di atomo composto (molecola). Così, nel 1813
propose che nel calcolo dei pesi atomici venisse introdotta anche la legge dei volumi di
Gay - Lussac, che aveva accettato solo dopo un’accurata verifica sperimentale e che cercò di integrare con la legge di Proust, proponendo di ricavare i rapporti di combinazione
dei due elementi del paragone dei loro volumi di combinazione. L’unico ostacolo a questo nuovo approccio stava nella difficoltà di determinare le densità gassose e nel fatto
che molte sostanze non erano gassose a temperatura ambiente. I pesi atomici da lui ricavati nel 1813 sono confrontati in tabella con quelli di Dalton:
Peso atomico di Dalton (1808)
Peso atomico di Berzelius (1813)
Idrogeno
1
1
Ossigeno
8
16,08
Azoto
4,65
14,45
Cloro
36,11
Nell’Essai sur la théorie des proportions (1819) Berzelius pubblicò la sua prima
tabella di pesi atomici, che calcolò scegliendo come unità di riferimento il peso dell’atomo di ossigeno, posto eguale a 100, perchè è il centro intorno al quale ruota la Chimica, l’elemento con il quale si combinano tutti gli altri, dando composti binari, cosa che
non succede con l’idrogeno. Sebbene, sulla base della legge dei volumi, avesse preferito
per l’acqua la formula H2O ad HO, in altri casi l’ipotesi arbitraria che in un composto
44
Cannizzaro, Gazz. Chim. It., 1 (1871) 23;
14.06.08
22
R. Zingales - L’atomismo chimico
uno dei due elementi dovesse essere presente con un singolo atomo lo portò a sovrastimare del doppio alcuni pesi atomici, come quelli di argento e di potassio.
Le alternative al peso atomico.
William Hyde Wollaston (1766-1828) aveva, tra i primi, accolto con entusiasmo la teoria atomica, ma ben presto si accorse che la composizione atomica delle diverse sostanze era stata attribuita in maniera puramente teorica, e spesso arbitraria, rendendo il concetto di atomo e di peso atomico di scarsa utilità per i chimici impegnati
nell’analisi e nello studio delle reazioni, e perciò poco interessati agli aspetti teorici.
Nel tentativo di risolvere le difficoltà concettuali nelle quali si stava impantanando la teoria atomica, propose un approccio che privilegiava i dati sperimentali rispetto
alle ipotesi. In una nota, dal titolo On a Synoptic Scale of Chemical Equivalents, letta
nell’autunno 1813 davanti alla Royal Society e pubblicata nel 1814 sulle Philosophical
Transactions, propose di adottare pesi atomici relativi, che chiamò equivalenti, derivati
senza ricorrere a ipotesi metafisiche. Assumendo che tutti gli elementi si combinino nel
rapporto atomico 1:1, calcolava direttamente i rapporti di combinazione in peso, che
non riteneva assoluti, evitando, almeno in un primo momento, di farli corrispondere ai
pesi atomici45. Proprio perché non derivavano da ipotesi teoriche non sufficientemente
provate, i pesi equivalenti si diffusero ampiamente in tutta Europa, specie in Inghilterra.
Malgrado Wollaston pretendesse di non aver fatto ricorso ad alcuna ipotesi teorica, i
pesi di combinazione, implicitamente basati su un rapporto di equivalenza 1:1, coincidevano quasi sempre con quelli di Dalton, ad eccezione di azoto, ferro, rame e fosforo.
Nel maggio 1816, per correlare le densità di vapore con i pesi atomici e molecolari, senza accettare il principio di Avogadro, Thomson suggerì di attribuire, per convenzione, all’ossigeno peso atomico e densità eguali a 1, classificando ogni altro elemento o composto in uno di tre gruppi:
1. quelli i cui pesi atomici sono eguali alla loro densità (ossigeno e etilene);
2. quelli i cui pesi atomici sono il doppio della loro densità (idrogeno, azoto, cloro, carbonio, acqua, acido carbonico, acido solforico, cianogeno);
3. quelli il cui peso atomico è il quadruplo della loro densità (ammoniaca e acido cloridrico, iodidrico, cianidrico).
45
Alan J. Rocke, Chemical Atomism in the Nineteenth Century, Ohio State University Press (1984) 66;
14.06.08
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R. Zingales - L’atomismo chimico
Questa classificazione, elaborata allo scopo di correlare le densità di vapore con
i pesi atomici e molecolari, originava una confusa nomenclatura di pesi atomici e formule due volumi o quattro volumi. Per esempio, in accordo con l’ipotesi che idrogeno e
ossigeno si combinino nel rapporto 1:1 per formare acqua, e per rispettare il rapporto di
combinazione tra i volumi, Thomson dovette assumere che le particelle di idrogeno e
quelle d’acqua avessero una densità metà di quella delle particelle di ossigeno; perciò,
per renderli equivalenti al peso dell’ossigeno, occorreva considerarne due volumi. Assegnato all’idrogeno un peso atomico due volumi, l’acido cloridrico era rappresentato da
una formula e un peso molecolare quattro volumi46.
atomi
parti in peso
parti in volume
H + O = HO
1 + 8 = 9
2 + 1 = 2
H + Cl = HCl
1 + 36 = 37
2 + 2 = 4
Altri metodi sperimentali.
E’ chiaro che il problema della corretta determinazione dei pesi atomici e delle
formule molecolari poteva essere risolto soltanto aumentando il numero e l’accuratezza
delle determinazioni sperimentali e dei metodi indipendenti per eseguirle.
Un nuovo metodo indiretto venne dalla nascente calorimetria. Intorno al 1818,
nonostante l’opposizione di Berthollet, suo insegnante al Politecnico di Parigi, Pierre
Louis Dulong (1785-1838), insieme al fisico Alexis Thérèse Petit (1791-1820), determinò il calore specifico di tredici corpi semplici, usando quello dell’acqua come unità
di riferimento. Notarono che la stessa quantità in peso dei diversi elementi assorbe tanto
meno calore quanto maggiore è il suo peso atomico: siccome una stessa quantità in peso
di elementi diversi contiene tanto meno atomi quanto maggiore è il peso atomico, se ne
deduce una proporzionalità diretta tra calore specifico e numero di atomi coinvolti, e
quindi che gli atomi dei diversi elementi abbiano la stessa capacità termica. Di conseguenza, il prodotto del calore specifico di un elemento per il suo peso atomico deve risultare costante, come mostrato, con buona approssimazione in tabella47.
Il 12 aprile 1819, Dulong e Petit presentarono all’Accademia delle Scienze questa generalizzazione empirica, che chiamarono legge e che oggi porta il loro nome. La
legge, in realtà, non è affatto rigorosa e risultò inutile per una determinazione diretta dei
pesi atomici, in mancanza dei metodi tradizionali. Invece, contribuì a chiarire alcune
46
47
A. J. Rocke, Chemical Atomism in the Nineteenth Century, Ohio State University Press (1984) 54-5;
A. Wurtz, La Teoria Atomica, Fratelli Dumolard, Milano (1879) 50;
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R. Zingales - L’atomismo chimico
ambiguità: in molti casi, era rispettata solo raddoppiando i pesi atomici ottenuti con il
criterio di semplicità imposto da Dalton, evidenziando quando esso non era applicabile.
Pochi chimici prestarono attenzione a questa possibilità di migliorare i propri risultati,
ritenendo la legge di Dulong e Petit fisica, piuttosto che chimica.
Metallo
Bismuto
Piombo
Oro
Platino
Stagno
Argento
Zinco
Tellurio
Nickel
Ferro
Cobalto
Solfo
Calore specifico
0,0288
0,0293
0,0298
0,0314
0,0514
0,0557
0,0927
0,0912
0,1035
0.1100
0,1198
0,1880
Pesi atomici riferiti
all’ossigeno
13,30
12,95
12,43
11,16
7,35
6,75
4,03
4,03
3,69
3,392
2,46
2,011
Prodotto dei pesi atomici
per i calori specifici
0,3830
0,3794
0,3704
0,3740
0,3879
0,3759
0,3736
0,3675
0,3819
0,3731
0,3685
0,3780
Un’altra tecnica indipendente venne dalla cristallografia; alla fine del 1819, il
tedesco Eilhard Mitscherlich (1794-1863), allievo di Berzelius, si accorse che fosfati e
arseniati della stessa base, non solo avevano simile composizione atomica, ma, combinati con la stessa quantità di acqua di cristallizzazione, risultano isomorfi (in greco =
forma eguale), cioè avevano la stessa forma cristallina48. Questa osservazione contrastava con il principio cardine della mineralogia di inizio ottocento: a ogni sostanza chimica
deve corrispondere una forma cristallina diversa da quella di tutte le altre49. Tra il 1819
e il 1823 Mitscherlich studiò sostanze molto diverse, come il solfuro di piombo naturale
e il sale da cucina, i cui cristalli avevano forme identiche, o comunque molto simili. Si
accorse che essi potevano sostituirsi l’uno all’altro nel reticolo cristallino, senza che
esso subisse significative variazioni di forma, a parte qualche piccolo cambiamento degli angoli, e che per questo cristallizzavano insieme dalle loro soluzioni, qualunque fosse il loro rapporto. Elaborò in chiave atomica la legge dell’isomorfismo: solo il numero
di atomi in un cristallo ne determina la forma, mentre la loro natura ne influenza leggermente solo gli angoli. Concluse che le sostanze che danno cristalli isomorfi devono es48
49
A. Wurtz, La Teoria Atomica, Fratelli Dumolard, Milano (1879) 53;
F. Abbri, L’atomismo chimico, in Storia della Scienza moderna e contemporanea, ed. P. Rossi, TEA,
Milano, (2000), vol. II, 290;
14.06.08
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R. Zingales - L’atomismo chimico
sere formate dallo stesso numero di atomi, disposti in maniera simile. E’ quindi possibile stabilire, per analogia, la composizione atomica di un nuovo composto e ricavare i
pesi atomici degli elementi che lo costituiscono: per esempio, dall’isomorfismo di solfati e seleniati, poté determinare il peso atomico del selenio, noto quello dello zolfo.
Il confronto tra le capacità termiche e quello tra i cristalli isomorfi non costituivano metodi assoluti per determinare i pesi atomici, perchè entrambi richiedevano un
termine di paragone di valore noto: rappresentarono però un insieme di leggi che, a una
decade dalla pubblicazione della teoria atomica, consentivano di disporre di un gruppo
di metodi complementari per la determinazione dei pesi atomici. Il miglioramento delle
tecniche sperimentali sarebbe, però, risultato inutile, se non si fosse usciti da un circolo
vizioso: formule molecolari non corrette portavano a pesi atomici scorretti, e pesi atomici scorretti portavano a formule molecolari scorrette per i nuovi composti50.
Il dibattito sull’atomismo.
La teoria atomica non solo si accordava con i risultati sperimentali, ma contribuiva a interpretarli e chiarirli; anche se non spiegava né le proprietà, né la reattività
delle sostanze, consentiva di esprimerne la composizione non più con sterili percentuali
in peso, difficili da ricordare, ma con una formula numerica contenente il numero di
atomi di ciascun elemento presenti in un composto. Questo, non solo consentiva di dare
un fondamento matematico alla Chimica, ma anche di fornirle un linguaggio chiaro che
evidenziasse le differenze tra le sostanze semplici e la costituzione di quelle composte.
Nonostante ciò, essa incontrò numerose resistenze concettuali e difficoltà sperimentali, che accesero un dibattito sull’esistenza, reale o fittizia, degli atomi e sulle loro
proprietà, che animò tutto l’ottocento scientifico. I fisici ritenevano la teoria troppo primitiva, perché, a differenza di quella newtoniana, si basava su un’entità poco caratterizzata, della quale, a parte il peso (e in maniera contraddittoria), non era nota né la struttura interna, né la natura del loro legame, né le cause delle reazioni. Persino negli anni tra
il 1840 e il 1860, mentre illustri fisici come Herepath, Joule, Clausius, Waterston e
Maxwell determinavano le dimensioni e la velocità delle particelle di gas, ancora non si
accettava la realtà degli atomi e si riteneva che l’atomo concepito dai chimici (unità di
composizione) fosse differente da quello dei fisici (unità di costituzione).
50
T. H. Levere, Transforming Matter, The John Hopkins University Press, Baltimore (2001) 109;
14.06.08
26
R. Zingales - L’atomismo chimico
Anche molti chimici prestigiosi, quali Kekulé, Frankland, Gerhardt e Kolbe, non
credevano nell’esistenza materiale dell’atomo chimico. Ancora nel 1890 l’illustre chimico organico August Hoffmann e Wilhelm Ostwald, padre della chimica - fisica, lo ritenevano niente di più che un’utile fantasia; ma, che piacesse o no, questo concetto era
indispensabile allo sperimentatore.
Dal punto di vista sperimentale, i tentativi di determinare i pesi atomici portavano spesso a risultati discordanti, perché i diversi ricercatori partivano da ipotesi differenti sui rapporti atomici di combinazione, anche in molecole semplici, come acqua,
metano, ammoniaca, acido nitrico e carbonico. Questo determinò un fiorire di tabelle, in
competizione tra loro, spesso con valori notevolmente differenti dei pesi atomici, dai
quali si ricavavano formule differenti per lo stesso composto, specie quelli più complessi che la chimica organica isolava o sintetizzava di continuo. Non fu possibile evitare
questa frattura speculativa, perché, per ciascun elemento, dai pesi empirici di combinazione si può ricavare soltanto un gruppo di pesi correlati da multipli interi e piccoli:
l’assunzione di una formula molecolare è necessaria per fornire una base sulla quale selezionare uno dei diversi multipli per ogni elemento, come il suo unico peso atomico o
equivalente51. Per questo, si tendeva a far riferimento soltanto a leggi sperimentali e si
cercavano spiegazioni più generali, che non costringessero a fare ipotesi non verificabili
sulla struttura della materia.
Inoltre, le maggiori incongruenze nascevano da un equivoco di fondo: il voler
far coincidere l’unità indivisibile delle sostanze elementari non solo con la molecola integrante, termine ultimo della divisione meccanica dei corpi, ma anche con la molecola
costituente, termine ultimo della scomposizione chimica. In altre parole, si riteneva che
i corpi semplici, come idrogeno, ossigeno, azoto, fossero costituiti da atomi singoli, essendo inconcepibile che il processo ideale di frammentazione si arrestasse sulla soglia
della molecola biatomica, senza che fosse possibile separare gli ultimi due atomi. Chiarire la differenza tra atomo e molecola e accettare che molti elementi potessero consistere di molecole poliatomiche, richiese un lungo processo sperimentale e speculativo, durato almeno mezzo secolo.
Postulando l’esistenza di un gran numero di particelle elementari, diverse e non
intercambiabili, quanti erano gli elementi presenti in Natura, la teoria atomica non solo
51
A. J. Rocke, Nationalizing Science, Adolphe Wurtz and the Battle for French Chemistry, The MIT
Press, Cambridge, Massachusetts (2001) 301;
14.06.08
27
R. Zingales - L’atomismo chimico
negava ogni possibilità di trasmutazione, ma contrastava l’ipotesi filosofica, greca e recente, di una sostanza primaria e uniforme, che costituiva la materia, fatta di particelle
eguali, organizzate in aggregati più o meno complessi. Questo portò molti scienziati, tra
i quali Davy, a rifiutarsi di identificare gli atomi di Dalton con i costituenti ultimi della
materia52. Ad ogni modo, integrandosi perfettamente con la concezione degli elementi
chimici di Lavoisier, la teoria atomica servì come punto di partenza per ogni ulteriore
sviluppo della Chimica e della Fisica, perché contribuì a rafforzare il concetto che gli
elementi sono sostanze immutabili e indipendenti, che non possono in alcun modo essere convertite le une nelle altre.
Il merito di Dalton non fu soltanto quello di aver dato consistenza scientifica a
un’ipotesi filosofica, ma di averlo fatto cercando di conciliare i differenti approcci con i
quali chimici e fisici affrontavano il problema. Eppure, fu l’approccio chimico che riscosse maggiore successo, perché dava pienamente conto delle regolarità di composizione e di combinazione riscontrate in laboratorio e costituiva la base concettuale per
assegnare i pesi relativi agli atomi dei diversi elementi e le formule molecolari ai composti. Gli atomi non avevano la funzione di spiegare le proprietà delle sostanze, né giustificare la reattività, ma quella di sostituire le sterili percentuali in peso, difficili da ricordare, con una formula numerica che esprimesse la composizione delle sostanze mediante il numero di atomi che le costituiscono, stabilendo un legame diretto tra il risultato sperimentale e la sua interpretazione teorica. Con i dati sperimentali disponibili, si
poteva dare una veste matematica alla Chimica, solo sotto l’aspetto della composizione
e non della reattività. La teoria atomica costituì anche un passaggio cruciale per sviluppare un linguaggio e comprendere l’origine delle differenze tra le sostanze, semplici o
composte, che così era più facile indicare con un nome specifico e classificare.
Infine, molti non accettavano la teoria atomica perché ritenevano impossibile
che Dio avesse creato 50 o 60 tipi di atomi, e cercavano nelle relazioni numeriche tra i
pesi atomici, la chiave per semplificare il numero di particelle elementari. Tra questi,
nel 1815, William Prout (1785-1850), partendo dall’ipotesi che i pesi specifici dei gas
elementari fossero multipli interi di quello dell’idrogeno, formulò l’ipotesi che questo
fosse il componente universale della materia, e che ogni altro elemento risultasse dall’unione di un diverso numero di atomi di idrogeno 53. Questa ipotesi riduzionista esercitò
52
53
M. Ciardi, CnS XXVII n° 3 (2007) 28;
. Ciardi, CnS XVII n° 3 (2007) 29;
14.06.08
28
R. Zingales - L’atomismo chimico
un’enorme fascino sui chimici perché dava unità e coerenza alla varietà delle sostanze
con le quali lavoravano. Quando Darwin elaborò la teoria dell’evoluzione (1859), sembrò che anche i differenti elementi potessero essersi evoluti a partire dall’idrogeno54.
La restaurazione.
Negli anni ’30, il sistema di pesi atomici e formule molecolari di Berzelius, che
godeva enorme autorità scientifica, era largamente utilizzato in Germania, soprattutto
grazie a Liebig, Wöhler e, più tardi, Bunsen. Pur accettando il principio di Avogadro,
Berzelius riteneva che volumi eguali di elementi gassosi contenessero lo stesso numero
di atomi elementari e non di particelle composte. I suoi pesi atomici erano ricavati da
dati fisici (densità di vapore, calore specifico, forme cristalline), oltre che chimici; per
conciliarli con il sistema degli equivalenti, cercò di introdurre, per gas come idrogeno,
azoto, cloro, bromo, iodio, i cui pesi atomici erano la metà di quelli accettati da altri chimici, la nozione di atomo doppio. Aveva notato che l’idrogeno tende a combinarsi con
gli altri elementi per atomi doppi, e quindi, per rappresentare la quantità di un acido che
si combina con un ossido di formula MO, fu costretto a fare un passo indietro, raddoppiando alcune formule: H2Cl2, H2Br2 o H2N2O655:
MO + H2Cl2 = MCl2 + H2O
Gli atomi doppi entravano in combinazione due alla volta, e ciascuna coppia rappresentava quello che gli altri chiamavano equivalente. Il suo maggiore oppositore in
Germania era Leopold Gmelin (1788-1853), che nel suo Handbuch der theoretischen
Chemie (1817-19) ripropose con forza il concetto di equivalente, che riteneva un’entità
puramente empirica, basata esclusivamente sul rapporto ponderale di combinazione,
escludendo qualunque proporzione volumetrica. Così, mentre Berzelius aveva adottato
per l’acqua la formula H2O, Gmelin stabilì che, nel dubbio, era meglio scegliere HO,
più semplice e elegante.
In Inghilterra, si continuò a preferire il sistema degli equivalenti, mentre in Francia Jean Baptiste André Dumas (1800-1884) si mostrò entusiasta della possibilità di
determinare i pesi molecolari dalle densità gassose tanto che, nel 1826, mise a punto un
metodo per vaporizzare le sostanze solide o liquide e determinarne il peso molecolare,
mediante la misura delle densità dei vapori. Ottenne, però, dei risultati inattesi: partendo
dall’ipotesi che tutte le sostanze elementari fossero costituite da molecole biatomiche,
54
55
G. Villani, La chiave del mondo, CUEN, Napoli (2001)
A. Wurtz, La Teoria Atomica, Fratelli Dumolard, Milano (1879) 61;
14.06.08
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R. Zingales - L’atomismo chimico
l’elaborazione dei dati sperimentali gli fornì, per fosforo, zolfo e mercurio pesi atomici
che erano, rispettivamente, il doppio, il triplo, e la metà di quelli comunemente accettati. Dumas era a un bivio: o accettare il principio di Avogadro e quindi che, in alcuni
composti, questi elementi fossero presenti con frazioni di atomi, o accettare i pesi atomici ricavati con gli altri metodi (per esempio, dai calori specifici) e quindi che i vapori
di mercurio contenessero la metà degli atomi contenuti nello stesso volume di idrogeno,
quelli di fosforo il doppio, quelli di zolfo il triplo. Decise che la proporzionalità tra peso
atomico e densità dei gas venisse meno nel caso dei corpi semplici, di considerare valide le leggi empiriche, che sembravano più attendibili, e di rigettare il principio di Avogadro, che così finì nel dimenticatoio, trascinando con sé anche la legge dei volumi e la
teoria atomica. In una delle sua Leçons de philosophie chimique al Collegio di Francia
(1842), poté cantare il De profundis della teoria atomica: se tanto io potessi, cancellerei
dalla scienza questa parola (atomo), persuaso che nelle sue attribuzioni vada oltre i limite dell’esperienza, la quale noi ci dobbiamo studiare di non mai oltrepassare.
Negli anni dal 1830 al 1845, in ciascuna delle tre principali scuole chimiche europee si utilizzavano, dunque, differenti sistemi di pesi atomici e quindi tre gruppi di
formule chimiche diverse, per un numero sempre crescente di composti56. Intorno al
1845, l’orientamento di un gran numero di chimici di diverse nazioni cominciò a convergere verso il sistema degli equivalenti, nella convinzione che, in questo modo, non
solo si sarebbero rigettate le vuote speculazioni teoriche, ma si sarebbe creato un sistema unitario, che non avrebbe più subito modifiche57. Questo ritorno al passato fu spesso
causato da un senso di sfiducia nei metodi fisici e dalla rinuncia a indagare la realtà nascosta dietro i fenomeni chimici, continuando, in umiltà, a limitarsi a descrizioni fenomenologiche. Questa scelta evidenziava il contrasto sempre più stridente tra quei ricercatori che, sulla scia di Berzelius, cercavano di stabilire i pesi atomici sulla base di parametri fisici, come densità dei vapori, calori specifici, forme cristalline, e quelli che,
come Gmelin, facevano riferimento soltanto ai dati chimici58.
La rinascita
Proprio quando sembrava che si stesse raggiungendo un accordo generale, i chi56
A. J. Rocke, Nationalizing Science, The MIT Press, Cambridge, Mass. (2001), 303;
A. J. Rocke, Nationalizing Science, The MIT Press, Cambridge, Mass. (2001), 97;
58
F. Abbri, L’atomismo chimico, in Storia della Scienza moderna e contemporanea, ed. P. Rossi, TEA,
Milano, (2000), vol. II, 292;
57
14.06.08
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R. Zingales - L’atomismo chimico
mici più giovani, soprattutto in Francia, cominciarono a rivalutare l’ipotesi di Avogadro, la quale, purché si fossero attribuite formule corrette alle diverse molecole, consentiva di rimuovere le ambiguità sui pesi atomici e molecolari ricavati con metodi diversi.
In una nota, letta davanti all’Accademia delle Scienze di Parigi, il 5 settembre
1842, Charles Gerhardt (1816-1856) evidenziò come, rappresentando le sostanze organiche con le formule allora in uso, nelle loro reazioni di combustione non si formano
mai meno di due molecole d’acqua e due di anidride carbonica. Essendo poco probabile
che non esistano reazioni nelle quali se ne formi una sola di ciascuna, avanzò l’ipotesi
che alle molecole organiche fosse stato attribuito un contenuto atomico doppio di quello
corretto. I loro pesi molecolari erano ricavati dall’analisi chimica dei sali di argento o
dei metalli alcalini, di acidi ad essi collegati. Gerhardt avanzò l’ipotesi che l’aver assunto che i loro ossidi avessero formula MO aveva portato Berzelius a ricavare, per questi
metalli, pesi atomici doppi di quelli corretti, che si potevano ricavare dall’ipotesi più verosimile che, per analogia con l’acqua, la loro formula fosse, invece, M2O59. Trovato un
riscontro sperimentale nella legge di Dulong e Petit, e in altre analogie nelle proprietà
chimiche e fisiche, Gerhardt dimezzò i pesi atomici dei metalli alcalini e dell’argento,
ottenendo formule dimezzate per i composti organici, e valori dimezzati per i loro pesi
molecolari: In questo modo, per ogni molecola organica, una quantità corrispondente al
suo peso molecolare occupava lo stesso volume di una quantità di acido cloridrico pari
al suo peso molecolare. Purtroppo, Gerhardt estese indebitamente a tutti i metalli il dimezzamento del peso atomico.
Le sue idee, espresse in maniera piuttosto confusa, non trovarono seguito; uno
dei pochi che le prese in considerazione fu il giovane collega Auguste Laurent
(1808-1853), che le chiarì in un articolo pubblicato nel 1846. Sosteneva che i termini
equivalente, atomo e volume non sono sinonimi, ma esprimono concetti nettamente differenti: l’atomo è la più piccola unità di un elemento presente in un composto, il cui
peso corrisponde al peso atomico, la molecola è la più piccola unità di un composto capace di esistenza indipendente, il cui peso molecolare è la somma dei pesi atomici di
tutti gli elementi che lo costituiscono.
Traendo spunto dai lavori di Thomas Graham (1805-1869) sui diversi fosfati di
sodio, concluse che, se una molecola di acido bibasico può reagire con due molecole di
59
A. Wurtz, La Teoria Atomica, Fratelli Dumolard, Milano (1879) 77;
14.06.08
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R. Zingales - L’atomismo chimico
base, allora il suo peso equivalente è la metà di quello molecolare. Quindi, il peso equivalente è il peso di un composto che prende parte a particolare reazione, e perciò varia
caso per caso, ma può essere determinato con analisi chimiche, mentre il peso molecolare non può essere determinato senza l’aiuto di parametri fisici, come la densità di vapore. Dimostrò che i gas elementari, come ossigeno e azoto, sono costituiti da molecole
biatomiche: se a una di queste se ne toglie una metà, è obbligatorio sostituirla con una
mezza molecola di un altro elemento avente le stesse caratteristiche. Tuttavia, estese indebitamente queste proprietà ai vapori di tutte le sostanze elementari, metalli compresi.
Nel 1848, nel manuale Introduction à l’étude de la chimie par le système unitaire, Gerhardt ribadì la necessità di differenziare tra atomo e molecola: l’atomo è indivisibile, ma non esiste come specie isolata, la molecola è un insieme di almeno due atomi, tenuti insieme da forze attrattive, e divisibile, ma solo fino a un certo limite, con
mezzi chimici o meccanici. Le reazioni chimiche consistono in scambi di atomi tra le
molecole. Questo costituiva per lui un sistema unitario, perchè applica allo studio della
chimica un insieme di principi basati sulla scelta di una unità di molecola (l’acqua) e
una unità di reazione per il confronto delle funzioni chimiche dei corpi60.
Marc-Antoine Gaudin (1804-1880), partendo dall’assunzione che le molecole
delle sostanze gassose potessero essere monoatomiche, biatomiche, o poliatomiche rivalutò la teoria atomica e le leggi di Avogadro e Gay-Lussac, ottenendo formule più corrette per le molecole integranti in fase gassosa.
Il principio di Avogadro fu confermato teoricamente alla fine degli anni ’50,
quando Clausius lo dedusse dalla teoria cinetica dei gas: se si trovano alla stessa temperatura, essi possono esercitare la stessa pressione solo se, in un dato volume, il numero
delle loro molecole è lo stesso.
Il congresso di Karlsruhe.
All’inizio degli anni ’60, l’aver riconosciuto che alcune sostanze gassose, come
PCl5, potessero dissociarsi parzialmente in altre più semplici, aveva consentito di risolvere alcune apparenti incongruenze della legge di Gay-Lussac e rimuovere un’obiezione
all’ipotesi di Avogadro. Tuttavia, la situazione era ancora caotica: il tentativo di Gerhardt e Laurent di fare chiarezza era risultato infruttuoso e ogni chimico usava un crite60
citato da L. Cerruti in Analisi linguistica del Sunto di un corso di Filosofia Chimica, Sellerio, Palermo
(1991) 170;
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R. Zingales - L’atomismo chimico
rio personale per scrivere le formule e determinare una scala dei pesi atomici. I chimici
inorganici ritenevano che l’acqua e altri gas fossero formati da molecole singole, i chimici organici che si formassero molecole doppie, per cui, per la stessa sostanza, questi
ultimi riportavano pesi molecolari doppi. Si giunse così all’assurdo che, nel libro di testo pubblicato nel 1861, Kekulé riportava 19 formule differenti, tratte dalla letteratura
recente, per indicare l’acido acetico. In questa situazione, ogni teoria chimica risultava,
non solo astrusa e complicata, ma anche di scarsa utilità, e i concetti di peso atomico e
formula chimica, nati per facilitare al chimico sperimentale la comprensione e la previsione delle reazioni chimiche, non erano usati da nessuno.
La Chimica era a un punto di svolta: una generazione di grandi personalità, Berzelius, Liebig, Dumas, Gmelin e Mitscherlich, stava cedendo il passo a una nuova generazione, nella quale, oltre ai ribelli Laurent e Gerhardt, cominciava a mettersi in evidenza Friedrich August Kekulé von Stradonitz (1829-1886), professore universitario a
Ghent (Belgio), che diede corpo a questa esigenza di chiarezza. Con l’appoggio di
Adolf Wurtz, propose all’amico Carl Weltzien (1813-1870) di organizzare un incontro
internazionale di chimici, per discutere e razionalizzare i concetti fondamentali della disciplina, per arrivare a una loro formulazione condivisa e eliminare le differenze di termini e simboli che avevano ostacolato la comunicazione. La lettera di invito era firmata
da 45 illustri chimici, tra i quali gli italiani Raffaele Piria (1814-1865), Faustino Malaguti (1802-1878) e Stanislao Cannizzaro (1826-1910), professore all’Università di Genova, che aveva svolto il proprio tirocinio chimico a Parigi, nei primi anni ’50. In essa,
si indicava chiaramente come scopo del Congresso fosse dare spazio a una discussione
libera e approfondita, che contribuisse ad eliminare molte incomprensioni e a favorire
un accordo su qualcuno dei seguenti punti:
1)
la definizione di importanti nozioni chimiche, quali quelle espresse dai termini atomo, molecola, equivalente, atomico, basico;
2)
l’esame della questione degli equivalenti e delle formule chimiche;
3)
l’istituzione di una notazione e di una nomenclatura uniformi.
Si volevano inoltre stabilire i valori più attendibili dei pesi equivalenti delle so-
stanze, le loro formule e mettere a punto di un piano generale per una nomenclatura razionale. Il Congresso ebbe una doppia valenza: essendo la prima volta che si riunivano
scienziati di una singola disciplina e di molti differenti paesi, fu messa in evidenza l’esi-
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R. Zingales - L’atomismo chimico
stenza di una comunità chimica internazionale, definendone le regole, e la necessità di
riunire periodicamente una vasta rappresentanza delle diverse scuole chimiche nazionali, per cercare insieme la soluzione a problemi che non si potevano risolvere negli ambiti locali. In secondo luogo, il Congresso stabilì che definire concordemente concetti di
base, come atomo, equivalente, molecola, era precondizione indispensabile per arrivare
a un accordo sulle relazioni e sulle formule.
Al Congresso, che si svolse dal 3 al 5 Settembre 1860, presero parte 140 chimici,
provenienti da tutta Europa. Le sessioni, dedicate all’esame delle diverse accezioni con
le quali venivano usati i termini atomo, molecola, radicale, equivalente, evidenziarono
una netta divisione tra una ventina di ricercatori che facevano riferimento al principio di
Avogadro e alla rilettura che ne aveva dato Gerhardt, e oltre un centinaio di chimici più
conservatori, che osteggiavano le nuove teorie o le accettavano con cautela.
Nella prima giornata, si sancì, abbastanza concordemente, la necessità di differenziare tra molecole e atomi: le prime costituiscono la più piccola quantità di un corpo
che partecipa a una reazione o ne è prodotta, i secondi la più piccola quantità di un corpo che costituisce queste molecole. Kekulé ribadì la sua convinzione che le molecole
fossero la più piccola quantità di una sostanza che potesse esistere allo stato libero e, nel
corso delle reazioni, potesse essere separata in parti più piccole, gli atomi, che erano effettivamente indivisibili. Tuttavia, riteneva che occorresse assumere differenti unità molecolari e atomiche: le molecole fisiche, le molecole chimiche, gli atomi. La fiera opposizione di Cannizzaro, che riteneva questa distinzione non necessaria, né chiaramente
stabilita, spinse Wurtz a suggerire di accantonare questo problema e contentarsi di sancire l’accordo sulla differenza tra atomi e molecole.
Nella seconda sessione si chiarì la differenza tra il termine equivalente, che indicava una quantità sperimentalmente accessibile, e atomo, legato a ipotesi teoriche, ma
non si riuscì a decidere se la rappresentazione per mezzo delle formule dovesse essere
basata su atomi o equivalenti.
Nella terza sessione si affrontò il problema di stabilire unanimemente i valori dei
pesi atomici e, di conseguenza, le formule molecolari. Il problema era reso impellente
dalla recente proposta di Gerhardt (nel frattempo deceduto) di raddoppiare il peso atomico del carbonio e dimezzare quello degli elementi metallici. Sebbene molti fossero
convinti della correttezza di questa proposta, accettarla avrebbe significato sconvolgere
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R. Zingales - L’atomismo chimico
tutte le tabelle dei pesi atomici e le ipotesi su di essi costruite per esempio le formule
chimiche di migliaia di sostanze.
Dumas, che presiedeva l’assemblea, propose di adottare per il carbonio un peso
atomico eguale a 12 solo per la chimica organica, e lasciare il vecchio valore di 6 in
quella inorganica. Cannizzaro si oppose vivacemente a questa proposta, dimostrando
che ritornare ai pesi atomici di Berzelius avrebbe introdotto un grande equivoco nelle
scienze, se non si fosse contemporaneamente sancita la fine delle sue ipotesi dualistiche
e della nozione di atomi elementari, doppi per quel che riguardava il volume, i calori
specifici e l’isomorfismo, ma singoli sulla base di considerazioni chimiche61. Lui, invece, preferiva il sistema unitario di Gerhardt, lanciandosi in una energica difesa del collega defunto, che aveva avuto il merito di riportare sotto gli occhi dei chimici il principio
di Avogadro. La sola critica che andava mossa a Gerhardt era quella di aver voluto dimezzare i pesi atomici di tutti i metalli, e non solo di argento, sodio, potassio. I nuovi
valori, che molti avevano adottato, e che a Karlsruhe si voleva proporre per un’adozione
generalizzata, entravano in conflitto con la legge di Dulong e Petit sui calori atomici.
Per questo, Cannizzaro proponeva, come aveva fatto Regnault, di raddoppiarli nuovamente e di conciliare i risultati delle analisi chimiche con le misure di grandezze fisiche,
come i volumi dei gasi, i calori specifici, l’isomorfismo.
Nel corso dell’animata discussione che seguì, Strecker si rifiutò di adottare questi pesi atomici, mentre Kekulé si dichiarò d’accordo, seppure con qualche riserva.
Kopp e Erdmann sostennero che una questione scientifica non poteva essere messa ai
voti ed il Congresso si chiuse senza che si fosse raggiunto alcun consenso, anche se la
proposta di Cannizzaro aveva convinto la maggior parte dei partecipanti. Il suo intervento probabilmente non avrebbe avuto altro seguito se, alla fine dei lavori, Angelo Pavesi, professore di Chimica a Pavia, non avesse distribuito ai congressisti le copie di un
articolo di Cannizzaro, apparso nel 1858 sulla rivista Il nuovo cimento, dal titolo Sunto
di un Corso di Filosofia Chimica, scritto sotto forma di lettera indirizzata a Sebastiano
De Luca (1820-1880), professore di Chimica all’Università di Napoli.
61
S. Cannizzaro, Gazz. Chim. It., 1 (1871) 682;
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R. Zingales - L’atomismo chimico
Il Sunto.
Nel Sunto, Cannizzaro esponeva gli argomenti che utilizzava per presentare ai
propri allievi dell’Università di Genova i fenomeni chimici e fisici in modo sistematico
e organizzato, collegando i fatti e le spiegazioni senza cadere in contraddizioni. Uno dei
nodi cruciali, come per le attività di ricerca, anche per la didattica, era costituito dalla
corretta interpretazione della teoria atomica e dalla necessità di integrare i risultati sperimentali di carattere chimico (pesi di combinazione) con quelli di carattere fisico (densità, calore specifico). Partiva da una chiara e netta distinzione tra i concetti di atomo e di
molecola, i quali, pur implicandosi a vicenda, non coincidono, ma sono legati da una relazione di tipo parte/tutto; pur essendo i veri enti indivisibili, i costituenti elementari
delle sostanze, gli atomi, al contrario delle molecole, non possono esistere come entità
isolate. Chiarito questo punto, era, di conseguenza, evidente che il confronto diretto tra
le densità relative dei gas portava ai pesi molecolari relativi, non a quelli atomici62.
Per dare enfasi alla differenza e alla interdipendenza dei due concetti e coerenza
al quadro teorico e sperimentale della Chimica, Cannizzaro parlava di teoria atomico molecolare e non semplicemente atomica. Per lui, la teoria era una semplice ipotesi descrittiva sulla struttura ultima della materia, da usare per armonizzare e rendere comprensibili le leggi stechiometriche delle combinazioni chimiche. La corrispondenza di
volumi eguali a un eguale numero di particelle espressa dal principio di Avogadro consentiva di tradurre a livello microscopico la legge dei volumi e ricavare i rapporti tra le
masse delle particelle dal rapporto tra le densità dei gas.
Fermamente convinto che non potessero esistere atomi singoli, per determinare
questo rapporto, propose la mezza molecola di idrogeno come unità di riferimento dei
pesi atomici e molecolari. Il suo criterio operativo per la determinazione dei pesi atomici consisteva nell’esaminare, per ciascun elemento, un gran numero dei suoi composti
gassosi, determinare la densità relativa e la composizione chimica percentuale di ciascuno, e combinare queste coppie di dati per arrivare a determinare il peso di quell’elemento, contenuto in una molecola di ciascun composto.
Espresse come legge degli atomi la regolarità che aveva evidenziato: le varie
quantità dello stesso elemento contenute in volumi eguali sia del corpo libero, sia dei
suoi composti, sono tutte multiple intere di una medesima quantità. Questo dato macro62
F. Abbri, L’atomismo chimico, in Storia della Scienza moderna e contemporanea, ed. P. Rossi, TEA,
Milano, (2000), vol. II, 269-300;
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R. Zingales - L’atomismo chimico
scopico corrispondeva, a livello microscopico, alla presenza, in una molecola, di un solo
atomo dell’elemento, e quindi poteva essere preso come il suo peso atomico.
NOME DEL CORPO
Idrogeno
Ossigeno ordinario
Ossigeno elettrizzato
Solfo sotto 1000°C
Solfo sopra 1000°C (?)
Fosforo
Cloro
Bromo
Jodo
Azoto
Arsenico
Mercurio
Acido cloridrico
Acido bromidrico
Acido iodidrico
Acqua
Ammoniaca
Idrogeno arsenicato
Idrogeno fosforato
Calomelano
Sublimato
Cloruro di arsenico
Protocloruro di fosforo
Percloruro di ferro
Protossido di azoto
Biossido di azoto
Ossido di carbonio
Acido carbonico
Eterene
Propilene
Acido acetico idrato
Acido acetico anidro
Alcool
Etere
Una molecola
“
“
“
“
“
“
“
“
“
“
“
“
“
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PESO
PESI
di un volume, ossia peso della componenti di un volume, ossia pesi commolecola, riferito al peso della ponenti la molecola, tutti riferiti al peso
mezza molecole di idrogeno = 1
della mezza molecole di idrogeno = 1
2
2 di idrogeno
32
32 di ossigeno
128
128 di ossigeno
192
192 di solfo
64
64 di solfo
124
124 di fosforo
71
71 di cloro
160
160 di bromo
254
254 di iodo
28
28 di azoto
300
300 di arsenico
200
200 di mercurio
36,5
35,5 di cloro
1 di idrogeno
81
80 di bromo
1 di idrogeno
128
127 di iodo
1 di idrogeno
18
16 di ossigeno 2 di idrogeno
17
14 di azoto
3 di idrogeno
78
75 di arsenico 3 di idrogeno
35
32 di fosforo
3 di idrogeno
235,5
35,5 di cloro
200 di mercurio
271
71 di cloro
200 di mercurio
181,5
106,5 di cloro 75 di arsenico
138,5
106,5 di cloro 32 di fosforo
325
213 di cloro
112 di ferro
44
16 di ossigeno 28 di azoto
46
32 di ossigeno 14 di azoto
28
16 di ossigeno 12 di carbonio
44
32 di ossigeno 12 di carbonio
28
4 di idrogeno
24 di carbonio
42
6 di idrogeno
36 di carbonio
60
4 di idrogeno 24 di carbonio 32 di ossigeno
102
6 di idrogeno 48 di carbonio 48 di ossigeno
46
6 di idrogeno 24 di carbonio 16 di ossigeno
74
10 di idrogeno 24 di carbonio - di ossigeno
di idrogeno libero
contiene 2 di idrogeno
= 2x1
di acido cloridrico
di acido bromidrico
di acido iodidrico
di acido cianidrico
di acido acqua
di idrogeno solforato
di acido formico
di ammoniaca
di gas idrogeno fosforato
di acido acetico
di eterene
di alcool
di etere
“
“
“
“
“
“
“
“
“
“
“
“
“
1
1
1
1
2
2
2
3
3
4
4
6
10
“
“
“
“
“
“
“
“
“
“
“
“
“
=
=
=
=
=
=
=
=
=
=
=
=
=
1x1
1x1
1x1
1x1
2x1
2x1
2x1
3x1
3x1
4x1
4x1
6x1
10 x 1
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R. Zingales - L’atomismo chimico
Se, invece, il peso di un elemento presente in una molecola era multiplo intero di
questo minimo, il valore del multiplo indicava il numero di atomi presenti. Per molti
elementi, come idrogeno, ossigeno e cloro, il più piccolo valore del peso non si riscontra
nell’elemento libero, ma nei composti; questi tre elementi, allo stato gassoso non combinato, hanno un peso doppio rispetto a quello minimo, attribuito da Cannizzaro a un
atomo. Era così confermato che molti elementi puri esistono come molecole biatomiche,
e che la molecola d’acqua contiene due atomi di idrogeno. Questo concetto di atomo era
così svincolato da quello di molecola, da consentire di determinare il peso atomico anche di elementi che, come il carbonio, non possono essere portati allo stato gassoso.
NOME DEI COMPESI
POSTI DI CARBO- delle molecole, riferiNIO
ti al peso dell’atomo
di idrogeno
Ossido di carbonio
28
Acido carbonico
44
Solfuro di carbonio
76
Gas delle paludi
16
Eterene
28
Propilene
42
Etere
74
PESI
dei componenti le molecole, riferiti al
peso dell’atomo di idrogeno preso
per unità
12 di carbonio 16 di ossigeno
12 di carbonio 32 di ossigeno
12 di carbonio 64 di solfo
12 di carbonio 4 di idrogeno
24 di carbonio 4 di idrogeno
36 di carbonio 6 di idrogeno
48 di carbonio 10 di idrogeno 16 di
ossigeno
FORMULE
facendo
H = 1 C = 12
O = 16 S = 32
CO
CO2
CS2
CH4
C2H4
C3H6
C4H10O
La legge degli atomi costituisce la conferma macroscopica della teoria atomica,
perché consente di individuare e quantificare con certezza l’indivisibile della Chimica,
attribuendogli la realtà e la concretezza di materia dotata di peso. Cannizzaro concepiva
atomi e molecole come entità macroscopiche, caratterizzate da pesi esprimibili nelle
unità di misura correnti (per esempio grammi), che, proprio per il loro carattere relativo,
mantenevano gli stessi valori anche in scala microscopica.
Cannizzaro liberò i chimici dal bisogno di risolvere il problema dell’esistenza, a
livello microscopico, di enti materiali, definibili come atomi e molecole, per i quali, tuttavia, la teoria cinetica dei gas, ancora in pieno sviluppo forniva indizi favorevoli assai
probanti. I pesi atomici che Dalton aveva ricavato da un’ipotesi non dimostrata, per
Cannizzaro erano il risultato del trattamento di dati sperimentali. Se il numero di composti esaminati è sufficientemente ampio, la procedura mette al riparo dal pericolo di ottenere valori contrastanti, multipli o sottomultipli di quello corretto. Dalton non era in
grado di risolvere il problema perchè il numero delle relazioni che aveva a disposizione
(i rapporti tra i pesi di combinazione) era inferiore a quello delle incognite (la composizione atomica e i pesi atomici). Cannizzaro aumentò il numero delle equazioni indipen-
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R. Zingales - L’atomismo chimico
denti nelle stesse incognite, perché, grazie al principio di Avogadro, poteva correttamente paragonare i pesi di uno stesso numero di molecole in fase gassosa.
La concezione che Dalton aveva degli atomi, come espressione dei rapporti dei
pesi di combinazione degli elementi, viene confermata e arricchita dalla concezione che
essi esprimano anche la composizione di volumi eguali di gas. La definizione concettuale di Dalton è integrata da una definizione operazionale, più utile ai chimici e quindi più
facilmente accettabile: svincolato da ogni immagine di forma, grandezza, distanza, continuità o discontinuità, l’atomo non è altro che un peso costante che costituisce per multipli interi (e mai sottomultipli) i composti chimici e prende parte, quantitativamente
inalterato, alle reazioni chimiche.
Il metodo di Cannizzaro consentiva, finalmente, di introdurre una netta distinzione tra peso atomico e peso equivalente e, rifiutando ogni idea preconcetta sulla composizione molecolare, di risolvere i problemi relativi alla composizione atomica delle molecole di zolfo, fosforo, arsenico e mercurio, che avevano messo in crisi Dumas. Infine,
acquisiti valori certi dei pesi molecolari, era più facile distinguere tra formule empiriche
e molecolari e ogni differenza nelle caratteristiche chimiche e fisiche era ricondotta al
numero di atomi presenti in una molecola, informazione rappresentata in maniera compatta nella formula. Nota questa, si poteva riottenere la composizione percentuale e,
considerando le reazioni dal punto di vista degli atomi coinvolti, prevedere i rapporti di
combinazione e le formule chimiche dei prodotti. I pesi atomici da lui calcolati si riferivano soltanto a 21 elementi ed erano stati rifiniti utilizzando la legge di Dulong e Petit e
il criterio dell’isomorfismo, ma certamente non contenevano errori grossolani.
I fisici non riuscirono a chiarire la struttura delle particelle elementari fino al XX
secolo, ma, a metà ottocento con Cannizzaro si era completato il lungo cammino intrapreso per individuare l’indivisibile della Chimica, l’unità di composizione e combinazione, l’ente invariante (qualitativamente e quantitativamente) nelle reazioni chimiche.
Questa chiara definizione di atomo mise finalmente ordine nel mondo complesso della
chimica organica, aprendo la strada alla formulazione dei concetti di valenza, struttura e
geometria molecolare, e fornendo un criterio oggettivo di classificazione degli elementi.
E’ verosimile che qualche congressista abbia cestinato la sua copia del Sunto, ma
quelli che lo lessero ne rimasero profondamente colpiti: per Julius Lothar Meyer
(1830-1895) fu come squarciare i veli che gli offuscavano la vista, tanto che utilizzò
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R. Zingales - L’atomismo chimico
questi concetti come base del libro di testo che pubblicò nel 1864. Anche Dmitrij Ivanovič Mendeléev (1834-1907) dichiarò di aver avuto la prima intuizione della periodicità da questa lettura. Negli anni successivi, comunque, i chimici cominciarono ad usare
la notazione di Gerhardt rivista da Cannizzaro, così che, nel suo Dictionnaire de chimie, Wurtz definiva l’atomo la più piccola massa di un elemento capace di esistere in
combinazione e la molecola la più piccola massa capace di esistere allo stato libero.
Si può, dunque, affermare che il Congresso fu l’evento più importante nello sviluppo della Chimica a metà del XIX secolo, perchè costituì il punto di partenza del processo di chiarificazione definitiva dei concetti di atomo e molecola, alla quale Cannizzaro diede un contributo sostanziale, fornendo un metodo per la determinazione dei pesi
atomici, e mettendo a disposizione dei chimici i dati indispensabili per formulare la teoria della valenza e individuare la periodicità delle proprietà degli elementi.
In definitiva il sogno di individuare una materia prima unica, che nell’Ottocento
era sembrato naufragare, continuò a galleggiare fino a Planck (1910), che vide nel sistema periodico la conferma dell’esistenza di una sola specie di materia, che poteva essere
salvata, non con l’ipotesi di Prout, perché i pesi atomici non erano tutti multipli interi di
quello dell’idrogeno, ma con la possibilità di individuare un atomo primario, la più piccola pietra fondamentale, comune a tutti gli elementi chimici63.
63
M. Ciardi, CnS XXVII 3 (2007) 32.
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