Bellezza e idea dell`essere nel filosofo Antonio Rosmini

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Bellezza e idea dell`essere nel filosofo Antonio Rosmini
12 maggio 2007
Bellezza e idea dell’essere nel filosofo
Antonio Rosmini
S. P.
Rosmini e la bellezza come manifestazione della bontà del Creatore è stato l’argomento attorno a cui si è
sviluppata la lunga, profonda e coltissima riflessione di padre Muratore, tra citazioni classiche e spunti moderni.
Dalla risposta che ognuno darebbe alla domanda «Cos’è per te la bellezza?» si capisce in che cultura è
cresciuto e a quale grado di bellezza è arrivato nel suo cammino di sviluppo spirituale ed intellettuale. Oggi
la bellezza è perlopiù un bel corpo, un’auto, una crociera ai tropici, esaltazioni dei sensi, figlie decadenti del
Romanticismo.
Da più di due secoli i filosofi parlano della bellezza come di “estetica” che in greco indica il trionfo della
sensazione, del sentimento; dunque un concetto di bellezza ridotto all’aspetto sensuale. Di questa cultura
siamo figli anche noi.
Rosmini sviluppa invece un concetto più ampio della bellezza, parlando di callologia, ovvero scienza del
bello in tutte le sue forme, anche quelle immateriali.
La bellezza romanticamente intesa era perciò una bellezza parziale, legata all’emozione del momento e
perciò destinata all’oblio immediato dopo il godimento. Quell’oblio generato dalla sazietà dei sensi, e dalla
fame dell’anima, che il Novecento moraviano riassume acutamente nel concetto di noia.
Ma il male non sta tanto nelle forme sensuali del bello, quanto nell’assolutizzazione di quelle bellezze che
impedisce allo spirito dell’uomo l’accesso ad una forma superiore, non transitoria e non corruttibile della
bellezza.
La seduzione che porta a deviare dal Bene non si genera dunque dalle bellezze che ci circondano, ma dalla nostra incapacità di ricondurle alla loro giusta importanza, che è sempre inferiore alla salvezza dell’anima
e al Bene divino. Nella strada verso la perfezione, le bellezze particolari possono essere compagne nel cammino, o momenti di perdizioni: tutto dipende da come noi siamo in grado di considerarle. Sensismo, nichilismo e penuria di Verità mettono a tacere i valori, estradando lo spirito sulla via delle emozioni e rendendo il
tessuto sociale fluido e contraddittorio.
La vera bellezza è un’idea intellettuale impressa nell’uomo dal Creatore fin dal concepimento, della quale
gli animali non sono partecipi. La bellezza nasce dall’armonia di unità e molteplicità, riflesso in piccolo
dell’ordine cosmico voluto da Dio e l’esclamazione «Bello!» davanti ad un tramonto, ad un’azione nobile, ad
una strategia bellica, ad una forma fisica è sempre accompagnata da una gioia disinteressata, non di possesso,
e scatta quando l’intelligenza umana, riconoscendo nelle realtà particolari il soffio dell’idea universale che
sente innata in sé e che cercava senza saperlo, le approva nel suo intimo.
La bellezza è vedere che cose, idee, azioni diverse concorrono insieme a realizzare il grande progetto unitario divino.
La bellezza è dunque sempre teleologica, ovvero finalizzata, mai affidata al caos delle emozioni sensuali
disordinate e fini a se stesse.
Perché infatti dico che una cosa è bella? «È l’istinto che mi induce a farlo» saremmo tentati di rispondere.
Invece percepire la bellezza in ciò che è esterno a noi è un evento altamente razionale, non istintuale, ed è
non un “subire”, ma un “riconoscere” ove la mente e l’intelletto non sono passivi, ma sommamente attivi,
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come in nessun altro atto umano. Da questo riconoscimento si genera l’entusiasmo, che l’istinto non è sufficiente a spiegare nella sua origine.
L’idea della bellezza è radicata nell’idea dell’essere, anch’essa innata, e porta a vedere nelle bellezze create, gli agostiniani “beni minori”, la bellezza dell’opera di Dio, in cui c’è il modello perfetto di ogni creatura.
Agostino, Platone, la Scolastica: tutte filosofie presenti nella grande cattedrale metafisica rosminiana, di cui a
proposito del bello fisico, dice don Muratore: «Madre Teresa, Padre Pio non avevano la bellezza fisica, ma
nei loro volti brillava una bellezza superiore: quella della santità. Erano finestre sul divino, e per contemplare un bel panorama non serve un serramento d’oro».
In questa visione teleologica del mondo, anche il dolore e le sofferenze hanno un senso, pur se noi non
siamo in grado di vederlo, come un merletto in più nel gran ricamo di un Dio potente, intelligente e santo.
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