Gaiser e Lehmann - Le Montagne Divertenti
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Gaiser e Lehmann - Le Montagne Divertenti
Trimestrale di Valtellina e T rimestrale di A lpinismo e C ultura A lpina e v r i D tenti Poste Italiane SpA - Spedizione in Abbonamento Postale 70% DCB-Sondrio N°37 - ESTATE 2016 - EURO 5 Racconti di Antonio Boscacci Sull’avventura capitata ai tre omarini, quando l’Olifante risuonò sulle alture del Qualido Volontariato Montagne per tutti Alpinismo Pizzo Cengalo: via Gaiser-Lehmann Valmasino Pizzo Cengalo, via normale Alpi Orobie In cresta dalla Pescöla al pizzo del Drùet Valmalenco Alta Via: 7a tappa, dal rifugio Bignami al rifugio Cristina Valchiavenna Monte Gruf, la vedetta della val Codéra Bassa Valtellina In MTB alla Rosetta Alta Valtellina Passeggiata tra val Tréla e val Alpisella Viaggi Islanda: il trekking delle sorgenti calde Natura Gambero di fiume: corazzato d’acqua dolce Inoltre Ricette della nonna, foto dei lettori, giochi... Gaiser e Lehmann acrobati d’alta quota VALCHIAVENNA - BASSA VALTELLINA - VAL MÀSINO - ALPI RETICHE E OROBIE - VALMALENCO - ALTA VALTELLINA 1 LE MONTAGNE DIVERTENTI Editoriale Beno La vetta della montagna offriva un punto di vista privilegiato da cui studiare le nostre prossime avventure. Trovato un sasso comodo e sgombro dalla neve, contemplammo l’orizzonte per molto tempo, incuranti che quell’indugiare ci avrebbe consegnati alla notte. Era ovvio che, nonostante l’imbrunire, non avremmo resistito alla tentazione di scendere per una via che non conoscevamo e per una valle che nemmeno era sulla nostra cartina. Mai avremmo rinunciato a una scorpacciata di emozioni per rendere la giornata ancora più speciale. Le incognite non ci preoccupavano: se uno di noi avesse avuto paura o fosse rimasto indietro, l’altro l’avrebbe aiutato, o spronato prendendolo in giro fino a fargliela passare. Ironizzare sulle proprie debolezze funziona sempre. Funzionò anche quel giorno. D’inverno. Sulla Cassa del Ferro. Ora che il mio amico Caspoc’ se n’è andato, non posso che pensarlo felice, mentre è alla scoperta di posti nuovi e mi prende in giro vedendomi spaventato. 2 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2016 Editoriale - Valle del Gallo. Al tramonto nei pressi del Grasso di Pra Grata, tornando dalla Cassa del Ferro (22 dicembre 2015, foto Beno). In copertina - Valmalenco. Passaggi acrobatici nella traversata delle cime di Musella (25 luglio 2013, foto Beno - www.clickalps.com). Ultima di copertina -Valle del Truzzo. La turrita dorsale della Camoscera riflessa nel lago Nero (5 luglio 2015, foto Roberto Ganassa - www.clickalps.com). Editoriale 3 LE MONTAGNE DIVERTENTI Trimestrale sull’ambiente alpino di Valtellina e Valchiavenna Registrazione Tribunale di Sondrio n° 369 S A peciali O LE MONTAGNE DIVERTENTI lpinismo E R 8 10 Speciali scursionismo ubriche Editore Beno Direttore responsabile Enrico Benedetti 36 72 Fred Gaiser e Bertl Lehmann Val Bondasca Valmalenco Viaggi 4 11 Realizzazione grafica 10 Alessandra Morgillo Beno Gioia Zenoni Roberto Moiola I Redazione Dalla Foresta Nera al Cengalo Beno Revisori di bozze Pizzo Cengalo - via Gaiser-Lehmann Alta Via: 7a tappa (Bignami - Cristina) Islanda - Il trekking delle sorgenti calde Mario Pagni e Carlo Nani Responsabile della cartografia 48 82 Lo spigolo NO del Cengalo Val Màsino Approfondimenti Raccontato da Bertl Lehmann Pizzo Cengalo (m 3369) - via normale Alpeggiatori e contrabbandieri Natura Gambero di fiume 12 A 18 Alessandra Morgillo, Andrea Sem, Antonella, Andrea Toffaletti, Angelo Ronconi, Antonio Boscacci, Beno, Bruno Mazzoleni, Carlo Nani, Corrado Morelli, Dicle, Eliana e Nemo Canetta, Eulalia Picceni, Flavio Casello, Franca Prandi, Giacomo Meneghello, Gioia Zenoni, Giovanni Rovedatti, Giulia Frangi, Jacopo Merizzi, Kim Sommerschield, Luciano Bruseghini, Luisa Angelici, Mario Pagni, Mario Sertori, Marino Amonini, Matteo Di Nicola, Matteo Gianatti, Matteo Tarabini, Mattia Bruseghini, Maurizio Cittarini, Maurizio Negrini, Nicola Giana, Paolo Piani, Pietro Pellegrini, Raffaele Occhi, Renzo Benedetti, Roberto Dioli, Roberto Ganassa, Roberto Giardini, Roberto Moiola, Sergio Scuffi, Severino Penone, Walter Fumasoni. R Matteo Gianatti Hanno inoltre collaborato a questo numero Alpi Orobie Alpi Orobie Sull’avventura ... del Qualido Dalla Pesciöla (m 2168) al Drùet (m 2868) In MTB sulla Rosetta Poesie / Le foto dei lettori 0 Racconti di Antonio Boscacci 13 12 Bonazzi Grafica - via Francia, 1 - 23100 Sondrio 90 Stampa 52 [email protected] tel. 0342 380138 22 Pubblicità e distribuzione M Avis Comunale Sondrio, CAI sez. Valtellinese di Sondrio, DAV-FreiburgBreisgau, Cino Ortelli, Franco Monteforte, Pietro Crapella, Lorenzo Bertolini, Danilo Grossi, la Tipografia Bonazzi, gli edicolanti che ci aiutano nel promuovere la rivista e gli sponsor che credono in noi e in questo progetto... e tutti quelli che ho dimenticato di citare. 2 Si ringraziano inoltre Rubriche Per ricevere la nostra newsletter: registra il tuo indirizzo email su www.lemontagnedivertenti.com Contatti, informazioni e merchandising 97 Valchiavenna Approfondimenti 68 98 Percorsi di corsa Approfondimenti Alta Valtellina Intervista a Walter Fumasoni Monte Gruf (m 2936) Rifugio della Corte 6 62 - www.lemontagnedivertenti.com - oppure telefonare al 0342 380138 (basta lasciare i dati in segreteria). Montagne per tutti 35 fatto il bonifico è necessario registrare il proprio abbonamento su 30 annuale (4 numeri della rivista): costo € 22 da versarsi sul c/c 3057/50 Banca Popolare di Sondrio IT17 I056 9611 0000 0000 3057 X50 intestato a: Beno di Benedetti Enrico via Panoramica 549/A 23020 Montagna (SO) nella causale specificare: abbonamento a Le Montagne Divertenti per [nome, cognome e indirizzo del beneficiario] Giochi Soluzioni del n. 36 e concorsi del n. 37 O Abbonamenti per l’Italia M [email protected] www.lemontagnedivertenti.com Arretrati [email protected] - € 6 cad. Numeri esauriti: PDF scaricabili dal sito della rivista S 21 settembre 2016 4 LE MONTAGNE DIVERTENTI I 4 percorsi attivi Val Codéra, la vita d’una volta Estate 2016 LE MONTAGNE DIVERTENTI Val Trela - val Alpisella 8 13 Prossimo numero Le ricette della nonna Gnocchi di farinéi Sommario Sommario 5 Localizzazione luoghi Zillis Zillis Wergenstein Bergün Parsonz Sufers 3062 2115 Mulegns 3378 Cresta St. Moritz Maloja Pizzo Stella Pizzo Quadro 3013 3183 Mera Pizzo Galleggione 3107 CHIAVENNA Prata Camportaccio Somaggia Monte Disgrazia 3032 Lago di Como Caiolo Albosaggia Tartano Tremenico Premana Geròla Bellàno Taceno Pescegallo Pizzo dei Tre Signori 2554 Bellagio Introbio Lierna Ornica LE MONTAGNE DIVERTENTI Barzio Monte Cadelle 2483 Passo San Marco 1985 Foppolo Carona Mezzoldo Cùsio Piazzatorre Valtorta Pasturo 6 Colorina Cassiglio Olmo al Brembo Adda T. V enin a Dervio Albaredo Ponte in Valt. Pizzo Campaggio 2503 Roncorbello Tresenda Carona Aprica Còrteno Schilpario Vilminore Colere Gromo Estate 2016 Villa Pizzo Camino 2492 (Beno) Traversata in cresta dalla Pescöla (m 2168) al pizzo del Drùet (m 2868) 62 Valchiavenna Monte Gruf (2936) (Beno / Segio Scuffi) 72Valmalenco Alta Via: 7a tappa (Eliana e Nemo Canetta / Luciano 90 Alpi Orobie Adamello 3554 Monte Fumo 3418 Garda Monte Carè Alto 3462 Berzo Paisco Concarena 2549 Passo del Tonale 1883 (Beno) Bruseghini) Sonico Palone del Torsolazzo 2670 Ponte di Legno Edolo Malonno 52 Pizzo di Coca Monte Torena 2911 3050 Monte Sellero 2743 Pizzo di Redorta Loveno 3039 Monte Gleno Pizzo del Diavolo 2883 Valbondione di Tenda Passo del Vivione 2914 1828 Gandellino Monno Cortenedolo 100 Pezzo Pezzo Vione (Pietro Pellegrini / Beno) Pizzo Cengalo (m 3369) via normale Incudine Passo dell'Aprica 2829 Branzi Vezza d'Oglio Pizzo Cengalo (m 3369) via Gaiser-Lehmann 48 Val Màsino Punta San Matteo 3678 Passo di Gavia 2618 Corno corno dei Tre Signori 3359 Punta di Pietra Rossa Monte Tonale 3212 2694 Monte Serottini 2967 Mazzo Tovo Lovero Sernio TIRANO Bianzone Teglio Arigna Pizzo di Rodes Fumero Sondalo Adda Chiuro Sirta Talamona Bema Boirolo SONDRIO T. Livrio 90 Monte Legnone 2610 Postalesio Berbenno Castione 3136 Tresivio MORBEGNO Delébio Rògolo Còsio Regolédo Torre di S. Maria Brusio (Antonio Boscacci) 52 Alpi Orobie Forni Santa Caterina Le Prese Grosotto Monte Masuccio 2816 Fonta na Caspano Dubino Mantello Mello Traona Dazio Bùglio Ardenno 3323 Le Prese T. Va l Dongo Cevo Pizzo Scalino Monte Cevedale 3769 Monte Confinale 3370 Cepina Grosio Vetta di Ron T. Mallero Còlico 2845 Verceia 3114 Malghera Poschiavo 72 Lanzada Caspoggio Chiesa in Valmalenco T. Caldenno Lago di Mezzola Primolo Bagni 3678 di Màsino 22 Pizzo Ligoncio San Martino Corni Bruciati o T. Màsin Montemezzo Livo Gera Lario Sasso Nero 2917 3378 48 Cima del Desénigo Dosso d. Liro Cima di Castello ra T. Code Novate Mezzola Chiareggio Gran Zebrù 3851 frana di val Pola Eita San Carlo Ortles 3905 San Antonio BORMIO Valdisotto Cima di Saoseo 3264 i od Lag chiavo Pos 2459 36 3308 62 San Cassiano San Pietro Samòlaco Era Pizzo Martello Bondo Villa di Chiavenna Pizzo Badile La Rösa 4049 Passo del Muretto 2562 Vicosoprano Passo del Bernina 2323 Bagni di Bormio Oga T. Roasco Gordona Soglio Castasegna Prosto Mese Piz Palù Pizzo Bernina 3906 Casaccia Giogo di Santa Maria 2503 Premadio Cima Piazzi 3439 Solda Solda Passo dello Stelvio 2757 Arnoga Forcola di Livigno 2315 Passo del Maloja 1815 Can can o Valdidentro Isolaccia Passo del Foscagno 2291 Sils T. La nte rna Fraciscio 98 Trepalle Pianazzo Campodolcino 1816 Piz Languard 3268 Silvaplana Juf hi d i Sull’avventura ... sulle alture del Qualido 36 Val Bregaglia Cima la Casina Lag 3180 Pontresina Julierpass Bivio Lago d i Lei Madesimo Livigno 3057 Mera 3209 Samedan Piz Nair 3392 Pizzo d'Emet Isola Sur Stelvio Stelvio San Maria Lago del Gallo Piz Piatta Montespluga 3279 3159 Inn 22 Val di Mello Montechiaro Montechiaro Müstair Piz d'Err Piz Grisch Innerferrera Passo dello Spluga Zuoz Albulapass 2312 Julia Curtegns 1864 Ausserferrera Piz Quattervals 3418 Reno Splügen Medels Pizzo Tambò Piz Kesch Cunter Andeer e itinerari Saviore Valle In MTB sulla Rosetta (m 2142) (Roberto Ganassa) 98 Alta Valtellina Val Tréla - val Alpisella (Luciano Bruseghini) Capo di Ponte Làveno LE MONTAGNE DIVERTENTI Monte Re di Castello 2889 Niardo Niardo © Beno © Beno 2010/2016 2011 - riproduzione - riproduzione vietata vietata Localizzazione di luoghi e itinerari 7 L e g e n d a Schede sintetiche, tempistiche e mappe Ogni itinerario è corredato da una scheda sintetica in cui vengono riassunte le caratteristiche principali del percorso, tra cui dislivello positivo, tempo di percorrenza e difficoltà. Nella pagina a fianco trovate una breve e divertente spiegazione dei 7 gradi della “scala Beno” con cui viene valutato l'impegno complessivo richiesto dalla gita. Non sono contemplate le difficoltà estreme, che esulano dalle finalità di questa rivista e dalle nostre stesse capacità. Nelle schede sintetiche alla voce “dettagli” viene indicata la difficoltà tecnica secondo la scala alpinistica convenzionale, corredata da una breve spiegazione. Le tempistiche fornite nel testo descrittivo sono progressive, cioè indicano il tempo necessario1 per raggiungere la località partendo dall'ultimo riferimento crono-geografico2. Con dislivello s’intende il dislivello positivo. Le schede sintetiche sono affiancate da un box grafico che, esprimendo una valutazione su bellezza, pericolosità e fatica, permetterà a colpo d’occhio di scegliere l’itinerario più consono alle proprie capacità. Nelle mappe, perlopiù realizzate con scala 1:50000, sono rappresentati: dorsali delle montagne, passi, vette, torrenti, laghi, ghiacciai, zone abitate, chiese, rifugi e strade carrozzabili. Per chiarezza non sono disegnati i sentieri, ma, in rosso, il solo itinerario descritto nell'articolo. Altri colori indicano eventuali varianti. se la linea dell'itinerario è continua significa che questo si svolge su sentiero non difficile; il tratteggio invece indica che si è al di fuori dei sentieri o su rotte riservate ad alpinisti o escursionisti esperti. Ottimo anche per anziani non più autosufficienti o addirittura sprovveduti turisti di città. Ideale per la camporella, anche per le coppiette meno esperte. Si comincia a dover stare attenti alle storte, alle cavallette carnivore e nello zaino è meglio mettere qualche provvista e qualche vestito. 1 - Se non vi sono difficoltà tecniche, la velocità ipotizzata è di 350 metri di dislivello all'ora, oppure 3,5 km/h su itinerario pianeggiante. 2 - " [...] raggiungo la punta della Sfinge (m 2805, ore 0:30)" indica che per raggiungere la Sfinge occorrono 30 minuti partendo dal precedente riferimento crono-geografico, che in questo caso era, qualche riga prima, la sella Ligoncino "[...] fino alla sella Ligoncino (m 2770, ore 2:15)." Per facilitare l'individuazione dei riferimenti crono-geografici, questi sono tutti formattati in grassetto. BELLEZZA PERICOLOSITÀ Quasi meglio il centro commerciale Carino Assolutamente sicuro Bello Basta stare un po’ attenti Imperdibile FATICA Richiesta discreta tecnica alpinistica Pericoloso (si consiglia una guida) ORE DI PERCORRENZA Anche per uomini larva Nulla di preoccupante Impegnativo Un massacro Itinerario abbastanza lungo, ma senza particolari difficoltà alpinistiche. DISLIVELLO IN SALITA meno di 4 ore meno di 800 metri dalle 4 alle 9 ore dagli 800 ai 1500 metri dalle 9 alle 13 ore dai 1500 ai 2500 metri oltre le 13 ore oltre i 2500 metri Le scarpe da ginnastica cominciano ad essere sconsigliate (sono d’obbligo abito da sera e mocassini). È meglio stare attenti a dove si mettono i piedi. Vertigini vietate! Montagna divertente, itinerario molto lungo e ricco di insidie di varia specie. Sconsigliato a tutti gli appassionati di montagna non temerari e dopati. È richiesta una buona conoscenza dell’ambiente alpino, discreta capacità di arrampicare e muoversi su ghiacciaio o terreni friabili come la pasta sfoglia. È consigliabile una guida. Valida alternativa al suicidio. Solo per persone con un’ottima preparazione fisicoatletica ed esperienza alpinistica. Servono sprezzo del pericolo e, soprattutto, barbe lunghe e incolte. Più di 30 anni di esperienza al servizio dei clienti Speciali Protezione Rischi Persone e Famiglie Gaiser e Lehmann dalla Foresta Nera al Cengalo Raffaele Occhi Imprese ed Attività Professionali Mezzi di Trasporto Lavoro - Attività Trasporti Cauzioni Sicurezza Previdenza Tutela Giudiziaria Mezzi di Trasporto Abitazione Salute Tempo Libero Previdenza Investimento Tutela Giudiziaria CASSONI ASSICURAZIONI 10 Via C. Alessi, 11/13 - Sondrio Tel. 0342 514646 - Fax 0342 219731 [email protected] LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2016 LE MONTAGNE DIVERTENTI Fred Gaiser (1905-1938) e Bertl Lehmann (1909-1952) 11 Personaggi Speciali AC-P-0134 AC-P-0142 AC-P-0143 Il versante occidentale delle Sciore nell’alta val Bondasca. Da dx: Sciora di Dentro, Ago di Sciora, Pioda di Sciora e Sciora di Fuori. La foto è stata scattata nei pressi della capanna Sciora, eretta nel 1905. Lo spigolo nord ovest della Sciora di Fuori fu la prima ascensione che Gaiser e Lehmann compirono in val Bondasca. Era il 1936 (1907, foto Alfredo Corti - www.archiviocorti.it - © CAI sez. Valtellinese di Sondrio). Alla pagina precedente: Fred Gaiser, Bertl Lehmann e il pizzo Cengalo in un acquerello di Kim Sommerschield (www.sommerschield.it). N L on erano certo degli sprovveduti, Bertl ehmann e Fred Gaiser, i due alpinisti tedeschi che il 15 luglio 1937 salirono per primi l’inviolato spigolo nord ovest del Cengalo. Erano arrivati in Bregaglia pensando 12 LE MONTAGNE DIVERTENTI in primo luogo alla nord est del Badile, ma prima di loro vi avevano già pensato Cassin e compagni che li avevano preceduti alla capanna Sciora. «Se appena allentiamo la guardia – scrisse lo stesso Cassin – qualcuno ci porta via la “prima”»; a quel punto, visto che di granito ce n’era per tutti e che di mettersi in competizione con gli italiani non avevano voglia, i due tedeschi rivolgono l’attenzione ad altri ambiziosi obiettivi. Il 13 luglio, mentre Cassin, Esposito e Ratti si spingono per 600 metri Estate 2016 sullo spigolo nord del Badile per meglio osservare la parete, Lehmann e Gaiser si cimentano col grandioso spigolo nord-ovest dei Gemelli (quello che nella prima parte prende il nome di “ferro da stiro”). Dopo un giorno di riposo – durante il LE MONTAGNE DIVERTENTI quale i tre lecchesi, preceduti di poco dai comaschi Molteni e Valsecchi, attaccano la parete – i due tedeschi riescono a guadagnarsi in giornata quel magnifico gioiello d’arrampicata ch’è lo spigolo nord ovest del Cengalo. Sfuggono appena in tempo alla tempesta che di lì a poco si scatena sulla montagna: pioggia, neve, vento, tuoni, fulmini. E gli italiani? Solo a valle sapranno che, dopo aver superato tutti e cinque con due bivacchi la parete, Molteni e Valsecchi sono morti di sfinimento durante la discesa. Lehmann e Gaiser erano allora tra i migliori scalatori dell’epoca, e lo spigolo nord ovest del Cengalo fu in un certo senso l’apice della loro carriera alpinistica. Stranamente, tuttavia, i loro nomi non figurano quasi mai nei testi di storia dell’alpinismo. Ma da dove venivano, e come erano arrivati nella semisconosciuta Bregaglia? Alfred Gaiser (detto Fred) era nato il 23 aprile 1905 a Strasburgo, allora appartenente alla Germania, dove suo padre era militare di stanza. Ultimo di 15 figli – come scrisse di se stesso – era il più spericolato fra i ragazzini del quartiere; qualche volta, all’insaputa dei genitori, saliva di soppiatto all’ultimo piano della casa, usciva dall’abbaino e poi si inerpicava su per la ripida falda del tetto fino a raggiungerne il colmo, da dove spaziava con lo sguardo sui Vosgi e la Foresta Nera sognando grandi montagne. Dopo il 1918, con l’occupazione francese, la famiglia si trasferì a Freundenstadt, non lontano da Friburgo, dov’era invece nato, il 7 dicembre 1909, Albert Wilhelm Lehmann (detto Bertl). Respiravano dunque entrambi l’aria del Reno e della Foresta Nera, fra le cui rocce – sulle pareti di Gfäll, Feldsee, Scheibenfelsen, Höllental, Scharfenstein e Battert – aprirono itinerari di elevata difficoltà, preparandosi così alle grandi imprese nelle Alpi, con lo spirito dei leggendari “Bergvagabunden”1, che andavano per le montagne ricchi solo di una bicicletta, una tenda e un cielo di stelle, ma soprattutto di tanta voglia di avventura. Certo, respirarono pure il clima dell’epoca tra le due guerre, con la crisi della Germania di Weimar, l’avvento e il consolidarsi del nazismo, che attraverso la sua propaganda cercò di pervadere ogni settore della società, alpinismo compreso, 1 - Vagabondi delle montagne. Fred Gaiser (1905-1938) e Bertl Lehmann (1909-1952) 13 Personaggi Speciali inneggiando alla forza, alla superiorità tedesca e al mito della razza. Ma dai loro scritti, dalle testimonianze di chi li conobbe, sembra che Gaiser e Lehmann siano rimasti lontani dal fanatismo e dalla retorica di quell’ideologia, ormai dominante in tutte le associazioni sportive, e che abbiano respinto i pochi tentativi di coinvolgimento. Delle loro imprese, schive da esibizionismo e mai sbandierate in un’ottica nazionalista con le parole roboanti delle ideologie totalitarie di allora, poco o nulla si giovò il regime per la sua propaganda. Nessun “desiderio germanico della lotta” in loro, al massimo, giunti in vetta: «È stata una bella via, una bella battaglia, una bella vittoria.» ertl Lehmann, figlio unico, era cresciuto in una famiglia molto sensibile al culto della natura. Sulle orme dei genitori, entrò anche lui a far parte dei Naturfreunde (Amici della natura) – associazione popolare di ispirazione socialista le cui radici affondano nei movimenti operai di fine ‘800, che aveva per obiettivo protezione dell’ambiente, eco-turismo, sport e cultura (verrà poi messa fuorilegge dal nazismo) – con cui cominciò a frequentare le montagne più prossime a casa e a prender confidenza con le rocce del Gfäll. Terminati gli studi, intraprese la professione B Fred Gaiser ritratto da Kim Sommerschield (www.sommerschield.it). In copertina a questo articolo: il pizzo Cengalo, versante NO, acquerello di Kim Sommerchield. Monte Pelmo (m 3168), parete N (16 giugno 2012, foto Roberto Moiola). 14 LE MONTAGNE DIVERTENTI Bertl Lehmann ritratto da Kim Sommerschield (www.sommerschield.it). di falegname come il padre. Felice di vivere, dotato di un straordinaria prestanza fisica, la montagna per lui era tutto; negli anni ’30 fu uno dei più attivi e intraprendenti scalatori della Germania meridionale, una vera e propria autorità che riscuoteva l’ammirazione dei più giovani. Quando conobbe Gaiser – molto probabilmente fra le rocce del Battert vicino a Baden-Baden, che raggiungeva da Friburgo in bicicletta con una pedalata di 4 ore – Lehmann aveva già all’attivo una serie di imprese alpinistiche di primo rango nelle Alpi. Tra il 1928 e il 1934 aveva avuto modo di dimostrare tutta la sua bravura, sia fra i colossi ghiacciati dell’Oberland Bernese e del Vallese – dal Wetterhorn allo Strahlhorn, dal Cervino al Rosa, dal Weißhorn al Dom, dal Finsteraarhorn al Blümlisalphorn con una puntata al Bianco – sia nelle Dolomiti, dove fece un vero salto di qualità con imprese da maestro tra cui la est del Catinaccio e la sud della Marmolada, la nord ovest della Civetta e lo Spigolo del Velo alla Cima della Madonna, la Piccola di Lavaredo per la fessura Preuss la nord della Cima Grande (quarta salita), la via Dimai sulla sud della Punta Fiames e la via Stösser sulla sud della Tofana (quinta salita), la via Piaz-Steger sulla nord est della Il versante N delle Tre Cime di Lavaredo (da sx m 2857, m 2999, m 2973) (7giugno 2015, foto Roberto Moiola). Estate 2016 LE MONTAGNE DIVERTENTI Fred Gaiser (1905-1938) e Bertl Lehmann (1909-1952) 15 Personaggi Speciali Torre Winkler (prima ripetizione) e la nord del Pelmo (dodicesima salita). red Gaiser invece, dopo un approccio soft con le montagne delle prealpi tedesche, aveva cominciato ad arrampicare nella palestra del Battert dove, a partire dal 1931, aprì una serie di vie estremamente difficili. Ma non gli era sconosciuto lo sci. Con Hans Moldenhauer (19061987) passò i primi dieci giorni del 1932 fra le nevi del Bregenzer Wald e dell’Arlberg, dopo aver festeggiato il capodanno col vecchio e celebre alpinista austriaco Karl Blodig2, deliziati dai racconti pieni di spirito delle sue ascensioni a tutti i quattromila delle Alpi. «Un giubilo, un’esultanza! L’ultimo dell’anno con Blodig! Chi avrebbe potuto resistere al gentile invito del vecchio maestro?» Giunta l’estate, Gaiser e Moldenhauer – che oltre alla passione per la montagna condividevano quella per la musica, suonando l’uno il violino l’altro il pianoforte – fecero una serie di ascensioni nell’Oberland Bernese (dove ritorneranno la primavera successiva a salire Mönch e Jungfrau) e raggiunsero poi la vetta del Bianco dopo una tempesta fra la neve profonda, guadagnandosi al ritorno gli elogi del parroco di Chamonix. Gaiser nel frattempo si era innamorato di Hedwig (detta Hede), e nell’estate del 1933 passò con lei due magnifiche settimane ad arrampicare nelle Dolomiti; in quell’occasione fece la prima salita dell’impegnativo spigolo sud est della Pala di Socorda nel gruppo del Catinaccio. Era abituato a caricarsi di zaini voluminosi fin da quando, apprendista impiegato alla ferrovia del Murgtalbahn, al tempo della grande inflazione lo mandavano in banca con un grande zaino che riportava carico di banconote per pagare gli operai. Poi si impiegò nella ditta Christofstal (tessuti e abbigliamento), dove da semplice contabile divenne direttore della pubblicità. Fu così che, anche grazie a quest’esperienza, si mise in luce come conferenziere, “vendendo” F 2 - L’oculista austriaco Karl Blodig (1859-1956) è considerato il primo vero collezionista di 4000 delle Alpi. Nell’arco di 50 anni di carriera alpinistica ne conquistò ben 60, ai tempi i soli 4000 conosciuti. 16 LE MONTAGNE DIVERTENTI Foresta Nera. Da sx Liesel Lehmann, Hede e Fred Gaiser, Bertl Lehmann (1936/37, archivio DAVFreiburg-Breisgau). L’impressionante Aiguille Noire de Peuterey (m 3773) (17 agosto 2014, foto Giovanni Rovedatti). I pizzi Gemelli (m 3262 - m 3225) dalla Vadrec da la Bondasca (8 marzo 2014, foto Giovanni Rovedatti). La Zinalrothorn (m 4221), versante S Cabane du Mountet (24 luglio 1989, foto Giovanni Rovedatti). bene le sue serate che preparava con lo scrupolo e la precisione di un ragioniere; il pubblico di Stoccarda, Karlsruhe, Freudenstadt, Pforzheim e Mannheim poté ascoltare i racconti delle sue ascensioni, seguendone lo sviluppo sullo schermo attraverso le diapositive scattate con la sua Leica. lle figure di Lehmann e Gaiser, così come a quella di Moldenhauer, è stata recentemente dedicata una pubblicazione della Sezione di Friburgo del DAV (a cui Lehmann apparteneva dal 1933), Ein Dreigestirn der “Klettergilde Battert” (Una triade del “Gruppo scalatori Battert”), frutto di un’appassionata ricerca di Friedrich Kluge e Manfred Baßler, a cui siamo ampiamente debitori per le notizie qui riportate. Quel gruppo, una sorta di “accademico” locale fondato da Walter A Stösser, raccoglieva allora l’élite degli scalatori della Germania meridionale, che si cimentavano fra le rocce del Battert scoperte già nel 1885 da Wilhelm Paulcke, e che in tempi più recenti vedranno alpinisti del calibro di Martin Schliessler ricalcare le vie di quei predecessori. Fu in quell’ambiente che si conobbero Lehmann e Gaiser, dando vita fin da subito a una formidabile cordata fondata sulla reciproca totale fiducia. Dalle rocce del Battert ai grandi problemi delle Alpi il passo fu breve. state 1935. A metà luglio i due sono a Chamonix. Partendo dal rifugio Charlet, con una formidabile cavalcata compiono il primo percorso completo dal Petit Dru all’Aiguille Verte, passando per il Grand Dru, il Pic Sans Nom, la Punta Petigax e la Punta Croux, con discesa finale E Estate 2016 dalla Verte per il canalone Whymper. Poi un altro exploit, la prima ripetizione di quella che, nella guida del Monte Bianco di Chabod e Grivel, è addirittura considerata “la più lunga e complessa impresa delle Alpi”: da Courmayeur al tetto d’Europa attraverso l’Aiguille Noire, l’Aiguille Blanche, il colle e la cresta di Peutérey. Pochi giorni prima avevano salito la fredda parete nord del Dente del Gigante per la via Pfannl. E fu proprio al ritorno da quell’ascensione, lungo la Mer de Glace, che cominciò a germogliare il seme del Cengalo. Due austriaci, anch’essi reduci dal Dente (dove avevano aperto una nuova via sulla parete sud), cominciarono infatti a decantar loro le bellezze della Bregaglia e le sue magnifiche salite su granito; erano i viennesi Herbert Burggasser e Rudolf Leiss, che LE MONTAGNE DIVERTENTI l’anno prima vi avevano compiuto la prima salita della Sciora di Dentro per la parete Nord-Ovest. Dunque nel 1936 Lehmann e Gaiser, con le rispettive compagne Liesel e Hede, filano anche loro verso la Bregaglia con le moto stracariche di zaini, tende e attrezzature varie; si accampano sotto il rifugio Sciora. Mentre le ragazze rimangono a prendere il sole e a bagnarsi nei ruscelli, Bertl e Fred salgono lo spigolo nord ovest della Sciora di Fuori. Ritornati alle tende, provarono un tale senso di appagamento che Gaiser, illustrando poi la salita in un conferenza, la considerò “un dono degli dei”. Pochi giorni dopo salgono lo spigolo nord del Badile, ne sono entusiasti. Rivolgendoglisi come ad un amico, Gaiser afferma con enfasi: «Mille gioie si risvegliano. Mille lodi ti si dovrebbero into- nare. Chi ti ha percorso, non può non capire che ti meriti pienamente l’appellativo di “Scala verso il cielo della Bregaglia”». E arriviamo così allo spigolo nord ovest del Cengalo. Lehmann era fresco di nozze, Gaiser padre da pochi mesi di Hannes. Sulla rivista Bergsteiger del 1938 Lehmann pubblicherà il racconto di quell’ascensione, preceduto da un articolo di Gaiser sulla loro precedente salita allo spigolo della Sciora di Fuori. Articolo postumo, quest’ultimo; Gaiser infatti aveva perso la vita in un incidente stradale il 17 marzo 1938, lasciando tutti nello sconcerto. Aveva 32 anni. Lehmann, cui nello stesso anno nasce la figlia Erika Klara, farà ancora in tempo a compiere alcune impegnative salite nel Kaisergebirge in Austria (parete ovest del Totenkirchl e parete est della Fleischbank), e a visitare il gruppo del Bernina, prima dello scoppio della guerra. Poi viene richiamato soldato e spedito in Russia; lì, ferito a un braccio, sarà fatto prigioniero e non farà ritorno a casa che il 2 novembre 1949! Nel 1951 lo ritroviamo a Zermatt, dove compie la traversata del Breithorn e sale in giornata lo Zinalrothorn. Nonostante non sia più l’audace scalatore degli anni ’30, nonostante la ferita in guerra gli abbia leso il nervo mediano togliendogli completamente la sensibilità e la capacità di presa di tre dita, non abbandona l’arrampicata fra le rocce della Foresta Nera. Da secondo, però, come quando il giorno di Pentecoste del 1952, con Albrecht Schwab, stava salendo la fessura strapiombante del “Großen Axmann” nella palestra di Gfäll. Ad un certo punto, non riuscendo a tenersi ad un appiglio con la mano compromessa, scivolò rimanendo appeso a pendolo; pur trattenuta dall’alto, la corda, una vecchia corda di canapa, strisciò contro uno spigolo, si lacerò e cedette. Lehmann precipitò per circa 30 metri, battendo la testa e la schiena sui massi sottostanti; trasportato alla clinica universitaria di Friburgo, morì il giorno seguente. Era il 13 giugno 1952, aveva 42 anni. Fred Gaiser (1905-1938) e Bertl Lehmann (1909-1952) 17 Storia dell’alpinismo Speciali Bertl Lehmann Lo spigolo nord ovest del Cengalo Traduzione a cura di Raffaele Occhi «Q uando Fred Gaiser ed io, al termine della nostra prima uscita in Bregaglia, prendemmo congedo dalle montagne avvolte nelle nebbie, sapevamo che saremmo ritornati. Ora, dopo nemmeno un anno, eravamo di nuovo qui, lasciammo le moto in custodia e salimmo per il percorso a noi ben noto alla capanna Sciora. Vi erano già cinque italiani, che aspiravano alla parete nord est del Badile. Due di loro, giovani di Como, sapevamo che l’anno precedente avevano tentato di salire questa parete liscia come un muro. Dovettero allora tornare a casa con le pive nel sacco e ora volevano tentare nuovamente la fortuna. Oggi non erano i soli, un’eccellente cordata italiana di tre, fra cui gli scalatori Ratti e Cassin, bruciava dall’impazienza di risolvere il corteggiato problema della nord est del Badile. E ora veniamo al perché, nei nostri programmi, volevamo tentare la parete del Badile prima di attaccare lo spigolo del Cengalo. Non sapevamo se le difficoltà della parete fossero maggiori di quelle dello spigolo. Ci mancava la possibilità di confronto, ma in ogni caso il Badile presenta un sistema di fessure e discontinuità delle placche, che non si riscontra invece sul Cengalo. Il nostro progetto di salire il giorno successivo lo spigolo nord-ovest dei Gemelli (Ferro da Stiro) non lo lasciammo comunque perdere, e lo portammo così a compimento. Prima che calasse l’oscurità eravamo di nuovo alla capanna Sciora. Gli italiani oggi erano rimasti alla capanna e ci avevano osservato nella parte inferiore dello spigolo. Il mattino seguente alla buonora cominciò un gran movimento nella piccola capanna. I due giovani scalatori di Como furono i primi ad alzarsi, un’ora più tardi li seguirono gli altri tre e si incamminarono sul percorso verso la loro parete. Noi dapprima ci riposammo per bene, non avevamo fretta di alzarci. Avevamo proprio bisogno di un giorno di riposo, poiché una scalata di sesto grado 18 LE MONTAGNE DIVERTENTI La capanna Sciora e sullo sfondo i versanti NE del pizzo Cengalo e del pizzo Badile in una cartolina d’inizio ‘900 (archivio Maurizio Cittarini). non passa certo senza lasciar traccia. Nel primo pomeriggio ci dirigemmo al piede della parete nord del Cengalo ed esplorammo il nostro percorso per il giorno seguente. Il progetto di metter mano alla parete del Badile, l’avevamo definitivamente abbandonato. Sopra la val Bregaglia era ancora notte profonda, quando lasciammo la capanna e ci dirigemmo al ghiacciaio che scende tra il Cengalo e il Badile. Dopo un incespicare sui detriti è una vera benedizione poter camminare sulla neve. Non abbiamo preso né piccozza né ramponi per risparmiare sul bagaglio. L’attrezzatura è comunque già abbastanza ragguardevole, poiché non possiamo essere certi di cavarcela senza un bivacco. Sul ghiacciaio giacciono alcuni camosci morti, colpiti da una scarica di sassi o da una slavina caduta dalla parete nord del Cengalo. Aggiriamo dei crepacci e poco a poco giungiamo vicinissimi al Badile. Ansiosi tendiamo l’orecchio per capire se gli italiani sono già all’opera sulla parete. Ma sembra che stiano ancora aspettando Estate 2016 il levar del sole dentro i sacchi a pelo. Giù in basso riconosciamo due alpinisti, che vanno verso l’attacco dello spigolo del Badile. Sono amici di Stoccarda, che hanno piantato la loro tenda vicinissimo al rifugio. Poco più tardi segue le loro tracce un trio di svizzeri, una coppia di sposi con un compagno, che pure vogliono attaccare lo spigolo del Badile. Rapidamente ci innalziamo sulla neve. Sulla roccia si andrà altrettanto veloci? Lo si vedrà presto, poiché abbiamo già raggiunto l’attacco, al piede nord occidentale dello spigolo, e siamo ora felici di poter togliere dallo zaino la corda e gli attrezzi. Questa riduzione di peso è però quasi subito compensata dalle scarpe chiodate, che dobbiamo riporre nello zaino. Le cambiamo infatti già qui con le scarpe da arrampicata, che si adattano meglio fin dal primo tratto di rocce rotte, difficili e sgretolate. Così friabili non ce le aspettavamo, ma per fortuna sono solo alcune lunghezze di corda. Dopo un breve tratto di cresta, la pendenza diminuisce e possiamo procedere per un po’ in conserva. Qui costruiamo il primo ometto, e ne approfittiamo per osservare ancora una volta gli italiani. Eravamo proprio di fronte a loro e potevamo riconoscerli bene. Evidentemente il lavoro di là era difficile, poiché in continuazione risuonavano i colpi di martello, con cui conficcavano nella roccia un chiodo via l’altro. Si prosegue, ora siamo su rocce solide, magnifiche, e procediamo rapidamente per lo più lungo fessure e spaccature. In prossimità di un’enorme placca facciamo una breve sosta. Siamo felici e di buon umore, solo il tempo ci preoccupa. Il cielo azzurro è scomparso, molte nuvole grigie si sono addensate. Un brusco abbassamento di temperatura su questo spigolo… non osiamo pensare al peggio. Non ci fermiamo a lungo qui. Quattrocento metri di rocce difficili ci separano ancora dalla cima, un grosso punto interrogativo è ancora davanti a noi. Siamo arrivati al punto dove lo spigolo si impenna bruscamente. Fin dove possiamo vedere, roccia liscia, inarticolata. Al primo sguardo appare impossibile, tuttavia troviamo un punto debole. Una fessura superficiale conduce a un pulpito. Bisogna traversare una placca fino alla fessura successiva. Lentamente, ma con continuità, ci innalziamo, arrampicando per lo più lungo LE MONTAGNE DIVERTENTI La vecchia capanna Badile e, a dx, la capanna Gianetti, inaugurata nel 1912. Sullo sfondo il pizzo Cengalo (archivio Maurizio Cittarini). piccole fessure, spesso anche in aperta parete. Un passaggio lo ricordo ancora benissimo. Fred ha preso il comando; il corpo molto spinto in fuori, le mani aggrappate al bordo della placca, i piedi puntati contro la parete, si destreggia verso l’alto, e la corda da 40 metri è quasi finita, finché posso seguirlo. Dopo un po’ sono presso di lui, e si prosegue lungo una sottile costola, poiché a destra e a sinistra è tutto liscio come un’anguilla. Poi seguiamo ancora una fessura finché si perde nella parete e alla fine, dopo circa 30 metri, raggiungiamo un punto di sosta, anche se è solo una cengia larga una spanna. Una traversata, parte strisciando parte appesi, ci porta verso destra ad un’altra fessura. Con l’aiuto di un chiodo è possibile risalirla. Poi si prosegue quasi facilmente, per lo meno così ci sembra dopo quello che abbiamo superato. Dopo alcune lunghezze di corda traversiamo ritornando allo spigolo che qui è di nuovo molto marcato. Seguendolo giungiamo presto all’inizio della cresta nevosa, e dopo un’ora di salita per neve e blocchi, alle 17 ci stringiamo la mano in vetta. In 11 ore di arrampicata ci è riuscito ciò che l’anno scorso avevamo visto dal Badile. Lo spigolo, con l’eccezione dell’attacco, è del tutto sicuro da cadute di sassi, ciò che tuttavia di primo mattino è poco probabile. La discesa per la cresta ovest è facile, una volta che si trova il canale giusto che scende fino al piccolo ghiacciaio. Da qui si prosegue per morene fino alla capanna Badile, che raggiungiamo in due ore. Subito dopo arrivano anche i nostri amici di Stoccarda, e con loro siamo gli unici ospiti del rifugio. Nella notte piove a dirotto. Siamo preoccupati per la sorte degli italiani e dei tre svizzeri. Il mattino successivo ritorniamo insieme ai due di Stoccarda alla capanna Sciora. La traversata del Passo di Bondo, soprattutto con scarsa visibilità, non è facile da trovare. Verso mezzogiorno raggiungiamo la capanna. Il tempo ha volto del tutto al peggio, la pioggia lascia il posto alla neve. Quando il mattino successivo ci alziamo, il tempo è un po’ migliorato, tuttavia fino al limite del bosco è tutto coperto di neve. Ancora una volta risaliamo alla parete del Badile, chiamiamo e gridiamo ma non riceviamo alcuna risposta. Ce l’avranno fatta? La neve fresca non permette nei giorni successivi alcuna scalata di rilievo, pertanto decidiamo di scendere a valle. Là ci attende la triste notizia che i due giovani italiani sono morti. Avevano superato la parete, con la quale si battevano da anni, ma durante la discesa per la parete sud sono morti di freddo e di sfinimento. Gli altri tre avevano invece raggiunto, dopo un ulteriore bivacco sebbene con gravi congelamenti, la capanna Badile. Verso sera risaliamo a Soglio. Magnifica è la vista sui gruppi della Sciora e del Badile. Superbo ci guarda dall’alto lo spigolo del Cengalo. Facciamo nuovi progetti. Ma tuttavia rimarranno tali. Sei mesi più tardi mi raggiunse l’inimmaginabile triste notizia che il mio bravo compagno di cordata era morto in un incidente d’auto. Non lo dimenticherò mai.»1 1 - “Cengalo-Nordwestkante”, Der Bergsteiger, 8. Jahrgang 1938, pp. 653-659 (consultato alla biblioteca del CAI Milano). Bertl Lehmann racconta la salita alla NO del Cengalo 19 Storia dell’alpinismo Speciali L’impresa di Gaiser e Lehmann al Cengalo inquadramento storico e alpinistico Pizzo Badile (3305) Raffaele Occhi I l grosso della carriera alpinistica di Lehmann e Gaiser si colloca negli anni ’30 del secolo scorso, quando erano ormai lontane le memorabili imprese del primo anteguerra di Preuss (parete est del Campanil Basso di Brenta, 1911) e di Dülfer (parete est della Fleischbank, 1912), sulla cui scia l’arte d’arrampicare, coinvolgendo sempre più ampi strati sociali, raggiunse fra le due guerre nuovi orizzonti. Forte era invece ancora l’eco delle scalate di Solleder e Lettenbauer alla Civetta e di Rossi e Simon al Pelmo degli anni ‘20, con cui si aprì l’epoca del 6° grado, all’insegna della superiorità degli arrampicatori tedeschi e austriaci; ancor più prossima era la risonanza delle imprese che, nell’emularli, furono successivamente realizzate su pareti fino ad allora considerate impossibili, da scalatori la cui fama varcò tutti i confini: basti ricordare Comici, Dibona e i fratelli Dimai, Zanutti e Mary Varale, Steger e Paula Wiesinger, Videsott e Rudatis, Vinatzer, Castiglioni e Micheluzzi, Stösser e Auckenthaler, Andrich e Tissi, Ratti e Vitali, Carlesso, Soldà, Cassin... A un certo punto non ci si accontentò più delle muraglie verticali o strapiombanti delle Dolomiti, dove si erano andate affinando tanto l’arte dell’arrampicata libera, che di quella in artificiale; anche sulla spinta dei nazionalismi europei si allargò a tutte le Alpi la corsa agli “ultimi problemi”: cresta sud dell’Aiguille Noire de Peutérey (Brendl e Schaller, 1930), nord del Gran Zebrù (Ertl e Brehm, 1930) e nord dell’Ortles (Ertl e Schmid, 1931), nord del Cervino (fratelli Schmid, 1931), nord dell’Aiguille Blanche de Peutérey (Chabod e Grivel, 1933). Restavano ancora, oltre alla nord delle Grandes Jorasses e dell’Eiger, certe pareti in qualche valle semisconosciuta... È a questo punto che entrano in scena Lehmann e Gaiser. Dopo essersi fatti le ossa nelle palestre di roccia della Foresta Nera, corrono dunque anche loro nelle Dolomiti, a ripercorrere le vie più famose ed impegnative; ma non disdegnano anche 20 LE MONTAGNE DIVERTENTI l’alta montagna, con le grandi vette dell’Oberland Bernese, il Cervino e il gruppo del Bianco. C’era allora chi diceva che i “dolomitisti”, pur abituati alle grandi difficoltà sul verticale, difficilmente se la sarebbero cavata altrettanto bene sul granito con le sue grandi placche prive di appigli; nulla di più errato! Così come il grande Cassin, lo confermarono anche Lehmann e Gaiser sulle pareti della Bregaglia, affrontando in scioltezza lo spigolo nord ovest della Sciora di Fuori (oggi valutata dal IV al V+ con tratti A1 e A2) piuttosto che la cresta nord nord ovest dei Gemelli (IV e V), prima di portare a compimento il loro capolavoro, lo spigolo nord ovest del Cengalo (difficoltà V, V+ e VI-), proprio mentre Cassin stava salendo l’attigua nord est del Badile (IV, V, V+ con tratti di A1 e A2). La Gaiser-Lehmann al Cengalo e la Bramani-Castiglioni aperta dodici giorni dopo sulla nord ovest del Badile, Gian Piero Motti nella sua Storia dell’alpinismo le considera giustamente “due imprese di analogo livello tecnico” alla più famosa impresa di Cassin e compagni. “All’epoca queste due superbe realizzazioni non ebbero l’eco e la risonanza internazionale della via Cassin sulla Nord Est del Badile, a vantaggio della quale, come sempre purtroppo accade in queste situazioni, la tragedia giocò un ruolo determinante. Ma certamente le altre due vie aperte non erano da meno sul piano della difficoltà, anzi probabilmente, data la prevalenza dell’arrampicata libera su quella artificiale, hanno conservato più a lungo la loro primitiva difficoltà”. Chapeau, in ogni caso, a tutti quanti, anche pensando alle attrezzature “primitive” di allora. Chi di noi affronterebbe oggi quelle vie con una pesante corda di canapa, pantaloni alla zuava, lo zaino appesantito dagli scarponi chiodati smessi dopo il ghiacciaio fra i crepacci per infilare le pedule all’attacco delle rocce (salvo Bramani e Castiglioni che ebbero a sperimentare allora le famose ViBram)? Pizzo Cengalo (3369) Punta Sant'Anna (3171) Punta Sertori (3195) Colle del Cengalo (3046) via Bramani-Castiglioni via Cassin via Gaiser-Lehmann Va d r e c Va d r d a l a Tr ubinasca ec dal Cengal I versanti N di Cengalo e Badile. Indicate le 3 più importanti vie aperte nel 1937 in val Bondasca (2 settembre 2014, foto e tracciati Mario Sertori). Estate 2016 LE MONTAGNE DIVERTENTI L'impresa di Gaiser e Lehmann al Cengalo: inquadramento 21 Speciali Racconti di Antonio Boscacci Racconti - val Màsino Introduzione T utti i riferimenti a persone e fatti presenti in questo racconto di Antonio sono reali e realmente accaduti. I tre “omarini” di cui si narra la grande impresa sono: Antonio Boscacci, Paolo Masa (Pilly) e Jacopo Merizzi. Il luogo, teatro dell’impresa, è il paretone del monte Qualido in val di Mello e l’anno è il 1982. Pochi ingredienti per cucinare un piatto davvero molto gustoso. È la prima volta che in val di Mello viene aperta una via in più giorni (big wall): 940 metri di granito spettacolare con tetti, lamoni e placche. Insomma un susseguirsi di difficoltà che richiedono tecnica e determinazione, ma anche intuito e sangue freddo, doti che non mancano di certo ai tre protagonisti. “Il Paradiso può attendere” è il nome che Antonio, Pilly1 e Jacopo hanno 1 - Su Mario Sertori, Solo Granito. Vol. 1 - Valli del dato alla via che, come ha scritto Mario Sertori nella sua guida2, è “un grandioso itinerario aperto da una cordata mitica di professori del Sassismo. Un’opera d’arte dal tracciato superbo”. Cosa aggiungere? In un articolo apparso su Società Valtellinese nell’ottobre del 1982 Antonio scrive: “Il Paradiso può attendere è una via aperta in sette giorni e in due tentativi. Il primo risale al settembre del 1981 e che durò 4 giorni durante i quali fu percorsa la parte bassa della parete fino al primo bivacco (tre temporali incredibili ci hanno costretto a scendere su una parete trasformata in una gigantesca cascata). Il secondo tentativo Màsino e del Disgrazia, Edizioni Versante Sud, 2014, pgg.190-195 si può leggere la storia della via Il Paradiso può attendere scritta da Paolo Masa. 2 - Mario Sertori, Val di Mello, Edizioni Versante Sud, 2014 Luisa Angelici (12/14 luglio 1982) si è concluso felicemente in cima al cubo del Qualido. Un solo temporale, ma di quelli che ti fanno sentire un pesce, poi l’arrivo in vetta con un sole splendido. A stare sette giorni appiccicati ad una montagna, accade che si finisca per considerarla come una zia: così è successo anche a noi dopo la prima ascensione della parete del Qualido. Una tra le più belle e difficili vie delle Alpi è lì che aspetta di condividere i suoi incantevoli bivacchi e lo splendido granito delle sue fessure.” Sono sicura che il racconto di Antonio vi divertirà; la scrittura è fresca ironica, effervescente come la coppa di champagne con cui gli “omarini” festeggiarono la riuscita dell’impresa e che di certo Antonio non assaggiò, essendo lui un astemio convinto e irriducibile! Sull’avventura capitata ai tre omarini, quando l’Olifante risuonò sulle alture del Qualido Antonio Boscacci I PREPARATIVI La parete orientale del monte Qualido (1984, foto Antonio Boscacci). La via il “Il Paradiso può Il sasso di Remenno si trova nella piana Filorera attendere” si sviluppa nel centro della tra parete per 940 emetri, San Martino Sulladiparete del la divisa di in Valmasino. 20 lunghezze corda.ovest Secondo sasso si possono vedere i gradiniha scavati nellafino roccia relazione di Antonio Boscacci, difficoltà al VII dai pastori per andare in cima fino a sfalciare grado e passaggi in artificiale all’A3.un po’ 22 d’erba perLEleMONTAGNE loro bestie. DIVERTENTI Tutto cominciò con la divisione del vino. - Mica dovremo portarci dietro tutto quel vino? Chiesi con un certo nervosismo, misto a un po’ di impazienza e di feroce rimprovero. - È stato tutto previsto. Ribatté uno dei due indaffarati miei compagni. - 10 litri sono il minimo possibile, essendo noi in tre. - Come in tre? Osai obbiettare, trattenendo a stento un moto d’ira. - Siamo o non siamo in tre? Disse il più giovane dei due. - E 10 diviso tre non fa 3,333 con il Estate 2016 LE MONTAGNE DIVERTENTI tre periodico? Aggiunse con una punta di fastidiosissima spocchia. A quei tempi aveva intenzione ancora di iscriversi all’università, e questo, secondo lui, era un tentativo di darmi una lezione. Visto che ero laureato in matematica e la faccenda del tre periodico non era certo cosa nuova per me. Voleva farsi bello con quell’affermazione, ma io sapevo che era chiaramente il suo solito modo di ingarbugliare il discorso per dimostrarmi che, come al solito, non aveva ragione. Quando ricorreva a quei trucchi, era come sbattermi in faccia che aveva torto. Almeno io così allora vedevo le cose. - È vera la storia del 3,333 con il tre periodico per ciascuno di noi. Dissi io. - Ma vorrei farvi notare (passai dal tu al voi perché mi volevo rivolgere a tutti e due e poi volevo dare più solennità al mio dire), che io non bevo vino, sono astemio, quindi la vostra divisione, non dà 3,333 con il tre periodico, ma un rotondo, scintillante e autonomo 5. - Per farla breve, ribattei, con un certo astio, io il vostro vino non voglio portarlo e non ve lo porto. - Ma guarda che nessuno di noi due ha mai assolutamente coltivato l’idea di farti portare alcunché di liquido e afrodisiaco. Questo è compito nostro e, nemmeno come pensiero di ripiego, abbiamo avuto in mente di farti Il paradiso può attendere 23 Racconti - val Màsino Speciali contribuire al trasporto dell’ambrosia. - Meno male. Risposi caustico e al contempo, devo dire, soddisfatto. Sul piazzale del Gatto Rosso, comparvero allora, prelevate dal bagagliaio della Due Cavalli, quattro piccole taniche di plastica, ciascuna contenente due litri e mezzo di vino. Poi, ma solo dopo, apparve il resto. Scatole di paté de fois gras, di ostriche, due tubetti di tonno, uno alle olive e uno in salsa rossa, con pomodoro e peperoncino, due tubetti di maionese e infine due scatolette di legno avvolte con cura in una carta trasparente. - Ma ci dobbiamo portare anche il legno? Cercai di protestare, ma con tale timidezza, che la mia domanda-rimprovero non venne neppure presa in considerazione. Con l’aria infastidita del bramino che invita il paria a lucidargli meglio le scarpe, mi fu risposto che, mantenuto nella sua confezione originale, il caviale non avrebbe perso neppure una briciola del suo aroma e del suo gusto. Solo quando tutto il cibo fu prelevato dalla Due Cavalli e steso accanto all’auto, mi resi conto che la richiesta tassativa che i miei due amici avevano avanzato fin dall’inizio dell’impresa, di essere loro ad occuparsi delle scorte alimentari, era frutto di un piano segreto. Un ben congeniato dispositivo che aveva come unico scopo quello di nascondere la deliberata e inconfessabile volontà di tenermi all’oscuro dei preparativi e fare in modo che io non potessi neppure indirettamente interferire nelle loro scelte. Tutta la storia dell’alpinismo della val Màsino, dell’alpinismo valtellinese e, in particolare quella di tutti gli alpinisti che avevo conosciuto, sui libri o di persona, fu in un attimo spazzata via. Dove erano le salsicce, i salami, la pancetta, il pane secco e tutti gli ammennicoli mangiarecci dei quali sono piene le storie di montagna e di conquista? Dov’era la guida alpina che divideva con il cliente l’ultimo tozzo di pane sbriciolato, conservato nella capiente 24 LE MONTAGNE DIVERTENTI tasca dei calzoni alla zuava? Dov’era il microscopico pezzetto di salsiccia che, dopo essere stato diviso in tre parti, pelle compresa aveva portato alla vittoria sulla famosa via del versante sud del paretone della cima di Zocca. E la via dei Ragni di Lecco percorsa l’ultimo giorno con un quadretto di cioccolato che si era sciolto in tasca, raschiato e diviso come una leccornia? E la via degli Svizzeri sulla quale era finita l’acqua già il secondo giorno e per tutto il terzo non avevano bevuto nulla, a parte leccare la roccia umida accanto a un nido di gracchi? [In verità, la leggenda, ormai disarticolata da mille e mille racconti, diceva che erano state proprio due uova di gracco alpino, trovate nel nido, a permettere agli svizzeri Hans Pursheller e Gratz Messmer di portare a termine la loro intrepida prova sulle piodesse della punta Rasica]. Noi non avevamo neppure una salsiccia, non un salame, nemmeno un pezzo di pancetta! Quando feci notare questo piccolo particolare, mi fu risposto che se avessi guardato meglio, mi sarei accorto che accanto ai vasetti dei sottaceti, tra le ostriche e la bottiglia di champagne, che non poteva mancare in caso di riuscita dell’impresa, c’era un pezzetto di lardo. - Ah, meno male, dissi, qualcosa che mi ricorda il buon vecchio modo di andare in montagna. Almeno di questo mio padre sarebbe stato fiero. Il lardo del suo maiale, che allevava personalmente e al quale ogni anno attribuiva un nome diverso, come agli uragani del golfo del Messico, era uno dei componenti della sua dieta. E in montagna non mancava mai. Dove c’era mio padre, c’era il suo lardo. Anzi, una volta riconobbi che in un rifugio c’era mio padre dal fatto che sul tavolo si trovava un pezzo del suo lardo. Non sapevo che fosse lì. Il lardo di mio padre non tradiva mai. - Abbiamo voluto conservare il lardo, perché il lardo è come la donna. E giù a spiegarmi l’analogia tra il lardo e le donne, con particolari così piccanti e un tantino volgari che non mi pare il caso di raccontarli. Né, al tempo stesso, avrei voglia di esaminare le non insignificanti turbe psicologiche dei miei due amici riguardo a questo argomento, per loro comunque di grandissimo valore escatologico. In ogni caso, con quel pezzetto di lardo di Colonnata, la storia dell’alpinismo era salva. Per farla breve, preparammo tutto l’occorrente mangereccio e il beveraggio e, solo successivamente, passammo in rassegna il materiale alpinistico. Indaffarati e prontissimi nell’esaminare ogni sorta di leccornia da loro preparata, mi parvero del tutto indifferenti al materiale alpinistico, del quale ero io il responsabile. - Di certo avrai fatto un’ottima scelta. Con questa lapidaria frase, per la quale fu impiegato il tempo di un battito d’ali, l’esame del materiale terminò. Iniziammo a infilare il tutto negli zaini. E qui, ad ogni vasetto che entrava nel sacco dell’uno o dell’altro, c’era un moto di sorpresa. Una specie di gratitudine che ognuno aveva per l’altro. - Bella scelta queste acciughe arrotolate con i capperi, Pilly. - Ottima questa crema di camembert, Jacopo. Alla fine di questo incredibile balletto, ricco di mezze frasi, autentiche sorprese e sguardi pieni di ammirazione per quelle scelte, per altro fatte insieme, i miei due amici si alzarono e, dopo essersi inchinati, si strinsero la mano. - Buon lavoro, disse Pilly. - Ottime scelte, ribatté Jacopo. Il balletto durò alcuni minuti poi, finalmente, si passò a mettere nei sacchi il materiale di arrampicata. Un’ora dopo il nostro arrivo al Gatto Rosso, tutto era pronto per la partenza. Allineate accanto alla Due Cavalli c’erano le quattro tanichette di vino, tre grossi zaini e un enorme sacco. - Il vino lo portiamo noi come deciso e come è giusto, ma tu dovrai portare il saccone del materiale. In fondo, me lo ero meritato. Estate 2016 LA MICETTA Percorremmo la mulattiera accanto al torrente. Davanti c’erano Pilly e Jacopo che chiacchieravano. Di solito, quando chiacchieravano così beatamente, o stavano parlando di donne oppure di cibo. Che per loro in fondo era un po’ la stessa cosa. Ricordo che un giorno che ce ne stavamo seduti sul grande sasso piatto del Bidé della Contessa, con le gambe a penzoloni nel torrente, iniziammo una discussione sul film di Bertolucci. - Che raffinatezza. Disse Pilly. - Forse, invece del burro, si sarebbe potuto provare con una mousse di cioccolato. Una sdilinquitudine. Poi Jacopo aggiunse: - Quando la micetta è bagnata, aprire l’ombrello con prontezza e nello stesso tempo con armoniosa delicatezza. Dio, quanto mi piacque quell’aggettivo, che aggiungendosi alla già insita armoniosità della delicatezza, la rafforzava al sommo grado. Era, in fondo, come una bellissima sottoveste di organza. Ma no, forse dovrei dire una sottoveste di zucchero filato. Allora dissi una di quelle frasi che non si dovrebbero mai dire, perché poi diventano patrimonio del luogo nel quale vengono dette e, da quel momento, ogni volta che vi capiterà di passare di lì, non potrete fare a meno di pensare a quelle parole. Beh, per farla breve, dissi: - Quando il gatto si avvicina alla micetta, c’è da augurarsi che lei non morda. - Bravo, Bosca, finalmente sei dei nostri. Risposero insieme Jacopo e Pilly. Poi, scattando in piedi, mi tesero la mano e mi fecero un inchino. Era il loro modo di manifestarmi la loro assoluta, incondizionata simpatia. La solennità del momento non mi fece comunque perdere il suo lato buffo. Nudi come lombrichi, Jacopo e Pilly, si girarono verso il sentiero e, rivolgendosi a Monica e Giulia, che proprio in quel momento stavano passando, esclamarono: LE MONTAGNE DIVERTENTI Antonio, Jacopo e Pilly preparano il materiale alla baita (1982 luglio, foto Antonio Boscacci). - Orsù, damigelle, perché non vi degnate di bagnare la vostra micetta nelle calde acque di questo nostro torrentello? Ma loro, vergognosette, dopo aver emesso un lungo e prolungato squittio, se ne andarono per la loro strada. ANDAVO SU CHE PAREVO UN MULO Quando a ca di Carna prendemmo il sentiero che saliva verso la valle del Qualido, ero già tutto sudato. Mi fermai un momento, appoggiandomi a un sasso e proprio allora i due miei amici cessarono di chiacchierare, si girarono e vedendomi un po’ affaticato, mi dissero di non preoccuparmi, che mi avrebbero dato il cambio presto nel trasporto del saccone. Quando ripresi il cammino e passammo dalle parti di Nuova Dimensione, pensai che forse avremmo dovuto affittare un animale. Andavo su che parevo un mulo con quel maledetto saccone di traverso che mi faceva venire il torcicollo. Oltre tutto c’erano due friends che sbucavano di lato e mi colpivano un orecchio in una maniera davvero insopportabile. Per non parlare del chiodo che mi Il paradiso può attendere 25 Racconti - val Màsino Speciali si stava conficcando nel deltoide e di quel nut che mi comprimeva la clavicola e che non riuscivo a spostare nonostante i continui e numerosi tentativi di levarmelo di torno. Quando finalmente raggiunsi i due, fermi all’inizio della scala della Moia, la prima cosa che mi sentii dire fu: - Guarda come è sudato il Bosca. Forse avremmo dovuto prendere il mulo del melàt e farci trasportare da lui gli zaini e il saccone. - Pensa un po’ Jacopo, disse con un gran sorriso Pilly, pensa un po’ se avessimo preso un mulo invece del Bosca; avremmo potuto portarci anche un contenitore per il ghiaccio. - Due flûte à champagne, qualche cubetto di ghiaccio e questo praticello sarebbe diventato l’atrio del Paradiso. - Enchanté. Risposi e, per essere più persuasivo, emisi un lungo raglio. Un raglio di mulo affaticato, come il luogo e gli amici mi ispirarono. LA CAVERNA DI POLIFEMO Bivacco sulla parete del Qualido (luglio 1982, foto Antonio Boscacci). Con quel procedere fatto di chiacchiericci e lunghe soste, erano quasi le otto di sera quando arrivammo all’antro scelto per passare la notte. Il sole, dopo aver disperso i suoi raggi sulle rocce della costiera che separa la val Qualido dalla valle di Zocca, si era ritirato in buon ordine anche dal fondovalle. Di fronte a noi si ergeva una nuda, liscia, compatta, immensamente alta parete verticale. - È là che dovremo cercare la nostra via. Disse Jacopo, additandomi uno strano pilastro dentellato, sormontato da numerosi tetti. - Se riusciamo a destreggiarci tra quella serie di aggettanti e robuste asperità, forse troveremo il modo di salire anche quel nulla che troneggia al centro. - Là, dove c’è quel gracco, dovremmo trovare un passaggio. Altrimenti pendoliamo sulla destra e voilà, riprendiamo da quella lunga fessura verticale. Aggiunse Pilly, mostrandomi una foto. Aveva, a suo dire, studiato la parete attentamente su quella immagine 10x15. A sx Jacopo Merizzi e a dx Paolo Masa impegnati sulla parete del Qualido (luglio 1982, foto Antonio Boscacci). 26 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2016 LE MONTAGNE DIVERTENTI Mi parve inopportuno chiedergli se tutto lo studio che aveva fatto si fosse limitato a un esame di quell’immagine un po’ sbiadita e per giunta leggermente sfocata ai bordi, perché capii subito che quella era la sola immagine che avevamo a disposizione. Lasciando gli zaini fuori, ci infilammo dentro la piccola grotta. Nell’equilibrio combinato di tre grossi massi, sui quali si era assestata nel tempo una discreta quantità di terra e di erbe, era nata la nostra dimora. Una specie di dépendance della grotta di Polifemo. Era piccola e graziosa come si ritiene debba essere una dépendance e probabilmente un tempo era stata anche munita di porta, della quale però ormai non c’era più traccia. Sulla destra entrando c’erano due piccoli giacigli con del fieno e, a sinistra, sotto lo sporgere di una roccia, ce n’era un terzo. Una minuscola apertura faceva da finestra e da camino. Fu una cena indimenticabile. Affacciati a osservare il fondo della val di Mello, con la parete del Qualido che diventava sempre più alta e più nera, dopo aver cosparso un certo numero di biscotti alla cioccolata con una spruzzata di panna montata, assistemmo al lento nascere della notte. Migliaia di stelle ronzavano sopra di noi nello scampolo di cielo che le robuste pareti di quella valle permettevano. Tutto pareva fatto per elevare i nostri spiriti e trasportare le nostre menti verso i beati pascoli di Manitou. - Ti sei dimenticato la musica. Disse Pilly. - Non mi sono dimenticato di nulla, perché eri tu che avresti dovuto occupartene. Rispose Jacopo. - E non addossare agli altri le tue responsabilità e le tue dimenticanze. Questa scenetta si svolse mentre una stella cadente attraversò il cielo dalle parti della cima d’Arcanzo e non lontano dalla luminosa Aldebaran. Mettemmo in un sacchetto gli avanzi della cena e ci infilammo un golf. La rugiada stava scendendo lungo la val Qualido ed era ora di ritirarsi al coperto. Il mio piccolo Casio, adatto a resistere fino a cinquanta metri sott’acqua, segnava la mezzanotte. - Cari colleghi, dissi con tono solenne come si conviene alla vigilia di un importante avvenimento, cari colleghi, è bene che ce ne andiamo a letto, perché tra un po’ Polifemo passerà a contare le pecore, anche quelle della dépendance. Prima però ci mettemmo in posizione e via ... - Chi non piscia in compagnia, urlammo all’unisono ... con tutto il resto che segue. IL RUGGITO DEL MELONE “Non istarò qui a raccontarvi della salita che noi compiemmo, né delle difficoltà che superammo” scrisse il prof. Carlo Bonadei quando, nel 1873, raggiunse con la comitiva della sezione Valtellinese del Club Alpino Italiano le baite del Publino, “nei regni dell’aquila e dell’Orso”. Poi però, dimenticandosi di questa avvertenza iniziale, scrisse una relazione di 28 pagine su quella salita che terminò con “l’agognata conquista della sommità del Corno Stella a oltre 2600 m di quota sul livello del mare”. Io più semplicemente mi limiterò a dire che impiegammo tre giorni per salire la nostra via. Che trovammo alquante difficoltà, delle quali non vi parlerò per non annoiarvi. Che fummo bersagliati da due temporali e da una grandinata. Che i miei amici usarono con parsimonia il vino, così che questo terminò contemporaneamente all’ultimo tiro della via. Che dovemmo fare un pendolo di quasi 40 metri e che per l’ultimo della cordata fu un bel problema. Che ... Vi risparmio tutte le noiosissime notizie sui materiali impiegati e sul cibo consumato, su quella volta che caddi e sulle mille che fui lì lì per cadere, sulla suola che mi si staccò e che dovetti legare con lo spago. Sull’alberello di rosa canina al quale Il paradiso può attendere 27 Racconti - val Màsino Speciali Antonio Boscacci durante l’apertura de “Il Paradiso può attendere” sulla parete del Qualido (luglio 1982, foto Jacopo Merizzi). ci appendemmo in tre e sul camoscio che dall’alto per ben due ore ci osservò salire, facendoci dei sorrisetti così particolari che era evidente che ci stava prendendo per il culo. ERMINIA LA DOLCE Voglio invece raccontarvi quello che successe al secondo bivacco. Intanto, occorre dire che appendemmo le amache del secondo bivacco sotto una specie di tettuccio. In realtà non era un tetto vero e proprio, ma un modesto risalto, una discontinuità nella lunga parete, sotto la quale eravamo approdati dopo una lunga giornata di placche, fessurucole e lame (sottili e delicatissime le une, robuste e imponenti le altre). In ogni caso decidemmo che quello era il posto per la notte e, con garbo, cautela, ma anche con la necessaria energia, approntammo il bivacco. In alto abitava il Pilly, poi veniva lo Jacopo e, in basso, al di sotto dei due e un po’ di traverso rispetto a loro, c’era 28 LE MONTAGNE DIVERTENTI la mia dimora. Con quasi mille metri di parete sotto, avevamo cercato di fare le cose per bene e, per essere certi che nessuno di noi scivolasse da solo verso l’abisso, oltre che assicurarci alle nostre amache, ci eravamo assicurati anche tra di noi. Se per qualche motivo fossimo precipitati, lo avremmo fatto tutti insieme. Come i tre moschettieri rinchiusi nella torre del castello di Rouen quando, dovendo scappare per andare a salvare il re, finirono insieme nel fossato di cinta con l’acqua che, fortuna loro, era sufficientemente alta. Siccome, a parere dei miei amici, le maggiori difficoltà erano state superate, si decise che era giunto il momento di mangiare le ostriche. Come voi certo saprete, mangiare delle ostriche seduti ai comodi tavoli di un comodo ristorante, magari con un leggero filo di donzella di fronte, è cosa del tutto semplice oltre che piacevole. Ma mangiare delle ostriche appesi a un chiodo, su una parete verticale, non è impresa semplicissima. Risolvemmo la cosa in questo modo. Ci sedemmo tutti e tre sull’amaca centrale, lasciando le provviste nell’amaca superiore, opportunamente calata fino alla nostra altezza. Fu un momento davvero emozionante. Gustare un’ostrica così, con i piedi nell’abisso, avendo davanti agli occhi i monti e le pareti della val di Mello e, sullo sfondo, trasfigurato da una nebbiolina azzurra che ne accendeva ancor di più la bellezza, il monte Disgrazia, dalle fulgide creste, appena appena imporporate dagli ultimi, fiochi raggi di un sole lontano ... Un brivido mi corse lungo la schiena mentre a tutti noi si inumidirono gli occhi. Mangiammo e bevemmo. Poi quando tutto si assopì e il piacere della notte prese il sopravvento, aiutati anche da una leggera aura che risaliva sonnecchiando la parete, ognuno di Estate 2016 noi si ritirò nella sua cuccia sospesa. Il posizionamento del corpo, durante un bivacco in parete, appesi come delicati culatelli, non è impresa facile e richiede un certo tempo. Trovata la posizione vagamente fetale, adatta alla bisogna, ci augurammo la buona notte. Le stelle, in quel cielo limpido e pulsante, aiutate dal nero che saliva dalla valle e dalle pareti che sembravano rifletterlo verso il cielo; le stelle dicevo, erano così intensamente luminose che parevano caderci addosso. Le osservai per lungo tempo poi si mischiarono con i sogni e mi trovai beato nei vasti pascoli del cielo dove anche i muli avevano il loro dignitosissimo posto accanto ai puledri e agli stalloni purosangue. Non saprei dire che ora fosse, quando mi svegliai trafitto da un urlo, all’inizio un po’ annebbiato e poi via via sempre più chiaro. - Erminia, Erminia la dolce vieni tra le mie braccia, voglio pettinare con cura i tuoi riccioli neri. Quasi compresso da quel grido, reagii mettendomi a sedere. Questa fu la scena che il buio della notte e il chiarore delle stelle mi permisero di vedere. Jacopo se ne stava ritto in piedi sull’amaca, in un equilibrio che avrebbe dovuto essere precario, ma che invece era inspiegabilmente stabile. - Erminia, Erminia la dolce vieni tra le mie braccia, voglio pettinare con cura i tuoi riccioli neri. Ripeté per tre o quattro volte questa invocazione, si sedette sull’amaca e poi si infilò nel sacco a pelo. Dopo qualche secondo stava di nuovo russando, come un caprone del Caucaso. L’OLIFANTE Quando, dopo un’ultima placca piacevolmente adagiata, raggiungemmo la cresta e davanti a noi apparve il baratro della val Livincina, erano ormai le due del pomeriggio. Un pomeriggio assolato e terso come non se ne vedono molti. Pezzetti di un sole estivo di indicibile piacevolezza, cadevano su quel cacumine assolato quasi fossero giganteschi fiocchi di neve e noi, al contrario LE MONTAGNE DIVERTENTI L’Olifante è uno strumento musicale rudimentale, ricavato da una zanna di elefante. Viene nominato per la prima volta nella Chanson de Roland, un poema scritto nell’XI secolo e che narra le avventure di Orlando. La leggenda racconta che Orlando, paladino e nipote di Carlo Magno, re di Francia, avesse ricevuto dal re il compito di guidare e proteggere le retrovie del suo esercito che, dopo essere andato in Spagna a dare la caccia ai Saraceni (arabi musulmani), stava facendo ritorno in Francia. Il re aveva consegnato nelle mani di Orlando anche l’Olifante da suonare solo in caso di pericolo. Ed è ciò che accade infatti sui Pirenei, al passo di Roncisvalle (778). Orlando cerca in tutti i modi di resistere all’attacco dei nemici, esita, prende tempo, ma alla fine decide di suonare l’Olifante per avvisare il re, e lo fa con tale forza e impeto che il suo corpo non riesce a sopravvivere allo sforzo e, quando il re Carlo giunge in suo aiuto, Orlando è già morto. C’è un’altra leggenda che sicuramente pochi conoscono e che lega, in modo un po’ fantasioso, Orlando alla città di Sondrio. Si dice infatti che la famiglia De Capitani, quella che nel 1048 iniziò la costruzione del castello Masegra, discendesse nientepopodimeno che da Orlando e che tale discendenza fosse confermata dal ritrovamento del famoso Olifante durante i lavori di sistemazione del castello. Si sa che nel Medioevo, per dar lustro a un casato, si cercavano illustri predecessori; sta di fatto che in alcuni documenti del Trecento, relativi alla città di Sondrio, viene citato un corno che risuonava dall’altura del Masegra giù al piano in occasione di bandi pubblici e di feste (testo e disegno Luisa Angelici). di Hans Castorp1, avremmo voluto assolutamente farci ricoprire da quella “cristallometria assolutamente regolare”. La roccia era tiepida. Seduti a cavalcioni della cresta, dopo esserci date le opportune pacche sulle spalle, brindammo alla nostra nuova via, io con un ottimo succo di frutta alla pera e gli altri con lo champagne. Poi ci spostammo in un luogo più appropriato e demmo fondo alle provviste rimaste. Di tutto il materiale mangiareccio che avevamo trascinato con noi lungo quella infinita parete, rimase solo mezzo tubetto di pasta d’acciughe. In quel piccolo giardino di mirtilli, allietati da un debole venticello, sprofondammo in un meritato sonno ristoratore. E fu proprio allora che, risalendo lungo la val Qualido, o forse lungo la val Livincina, ci raggiunse un cupo e allo stesso tempo fiammeggiante rombo di tuono. No, non era il segnale di una imminente burrasca. Non il prodotto di umano respiro. 1 - Protagonista de La montagna incantata, romanzo di Thomas Mann del 1924. Solo l’arcangelo Michele avrebbe potuto produrre quella meraviglia. A travolgere le barriere poste tra il cielo e la terra era il suono assoluto dell’Olifante. Liberatosi dalle catene della storia, risalì fessure e placche, superò precipizi e burroni e stemperandosi appena un poco, ma al contempo adattandosi a tutte quelle infinite pieghe, liberò la sua furia selvaggia e disperata. Mi piegai sulle ginocchia e mi alzai. Poi, aprendo le braccia, mi buttai nell’abisso. Quando, dopo un tempo che mi parve interminabile, il suono dell’Olifante cessò, mi trovai seduto nel parcheggio del Gatto Rosso, accanto alla Due Cavalli. E non ho alcun altro ricordo della discesa dal Qualido. Anzi, mentre scrivo questa mia modesta chanson de geste, ogni volta che penso a quel suono, al respiro di Orlando che risale quelle valli, quasi fossimo al pirenaico puerto di Ibañeta, beh, lo confesso, gli occhi mi luccicano e mi viene da piangere. E, quando piango, in genere mi sveglio. Il paradiso può attendere 29 Montagne per tutti Speciali L a gente di montagna che a un certo punto della vita deve proseguire con limitazioni fisiche, alla domanda “cosa ti manca di più?” risponde “andare in montagna”. Ciò non deve sorprendere, perchè, da noi, la bellezza ha quell’aspetto. Montagna, dislivelli, sentieri non rappresentano una barriera insormontabile per la disabilità, ma sono piuttosto un limite culturale. Con l’utilizzo di speciali mezzi non motorizzati quali la joëlette, infatti, anche chi ha disabilità può provare il piacere dell’andare per monti, dove affrontare il viaggio ha un significato più profondo del semplice raggiungere la meta. Sulla cresta finale del monte Pisello. Grazie alla joëlette un disabile può compiere anche tracciati impegnativi (4 luglio 2010, foto Walter Fumasoni). 30 LE MONTAGNE DIVERTENTI Gioia Zenoni intervista Walter Fumasoni Estate 2016 LE MONTAGNE DIVERTENTI Montagne per tutti 31 Volontariato Speciali Salita al monte Pisello (4 luglio 2010, foto Walter Fumasoni). I l libretto che trovate in allegato a Le Montagne Divertenti costituisce il numero zero di una serie di guide che si rivolgono a tutti i possibili fruitori della montagna, quindi anche a persone con disabilità motorie o sensoriali. Per questi ultimi si possono organizzare escursioni sulle Alpi, con l’ausilio di handbike o joëlette e di un gruppetto di amici volonterosi. Per l’esordio proponiamo un bellissimo e appagante itinerario che risale tutta la Valmalenco da Sondrio al passo del Muretto, snodandosi lungo lo storico sentiero Rusca. A spiegarci origini e filosofia di questo progetto è Walter Fumasoni, volontario di una delle associazioni che, in Valtellina e Valchiavenna, operano per diffondere la cultura dell’accessibilità e l’abbattimento delle barriere architettoniche o di integrazione. C ome è nata l’idea di rendere la montagna accessibile a tutti? Se chiedi a una persona cresciuta in montagna, che ora non può più andarvi con le sue gambe, “Cosa ti manca di più?” la risposta è “Tornare in montagna”. Forse perchè da noi la bellezza ha proprio l’aspetto della montagna: è lì che si concretizza la perfetta armonia del creato. La ricerca della bellezza è parte del DNA di ogni essere umano, non si interrompe dopo un trauma, una malattia o con la vecchiaia; anzi gli scossoni della vita ne generano proprio un bisogno più forte. Per questo è importante che persone con limitazioni fisiche, senso- 32 LE MONTAGNE DIVERTENTI riali o cognitive, i cosiddetti disabili, possano accostarsi al bello. Abbiamo la fortuna di vivere in una cattedrale della natura fatta di montagne, valli e fiumi, ma da noi la bellezza si completa della forma più limpida e preziosa: quella della solidarietà reciproca tra la gente, nata dalla fatica condivisa del vivere in montagna. Risvegliare il desiderio di aiutarsi è il modo più bello per vivere la montagna e per renderla davvero accessibile. C osa intendi dire? Qualcuno avrebbe potuto suggerire l’uso dell’elicottero per portare in montagna i disabili, per dare loro il contentino e tornare a casa senza fatiche e scocciature e soprattutto senza riflettere tanto. Nell’idea di montagna che abbiamo, invece, è centrale il percorso che porta alla meta: la meta è tale solo se la si raggiunge e non se ci si è. Quindi l’esperienza più bella che si può fare in montagna è quella che si fa lungo il percorso, nell’osservazione di quello che ci circonda e nella condivisione di quello che ci emoziona. Con una guida ben fatta, l’emozione prende forma ancora prima di partire, ti permette di conoscere lo svolgimento del percorso e di godere appieno quello che man mano s’incontra, di organizzarsi autonomamente. Inoltre avere una guida fra le mani genera interazione e coinvolgimento fra i compagni di viaggio. Q uali sono e come funzionano i mezzi non motorizzati con cui un disabile può fare escursionismo? Lungo il sentiero Rusca (8 maggio 2016, foto Walter Fumasoni). Un primo mezzo è la joëlette, carrozzina monoruota da spingere e tirare, con la quale si va ovunque si passi a piedi; l’equipaggio è formato da tre persone, una davanti che tira e direziona, uno dietro che spinge e frena e una terza laterale che garantisce l’equilibrio e la sicurezza. Alcune joëlette le abbiamo progettate e costruite adattandole ai nostri sentieri e alle persone che via via accompagniamo: bambini, anziani o chi mangia tanta polenta. L’ handbike è una bici che si aziona con il movimento della mani e con rapporti e gomme da mtb è possibile “manolare” anche su strade sterrate in forte pendenza. C ome possono essere resi accessibili i percorsi in montagna? Con due semplici azioni complementari. La prima contempla tutte le opere necessarie per rendere il percorso il più fruibile possibile: pulizia e manutenzione ordinaria del tracciato, spiazzi o parcheggi a inizio percorso e aree sosta per tutti. La seconda azione comprende gli strumenti logistici e di accoglienza: fornitura di carrozzina ai rifugi di montagna per permettere alla persona disabile che arriva in joëlette di scendere, utilizzare i servizi, pranzare e pernottare; organizzazione del sistema di accompagnamento in joëlette con i conduttori che si mettono a disposizione per i diversi percorsi; indicazioni sulle guide escursionistiche pensando anche a chi cammina con le gambe degli altri. Estate 2016 C hi ha partecipato al progetto per la realizzazione della guida “Sentiero Rusca”? Grafica, cartografia e contenuti della guida, nata da una mia idea, sono stati realizzati con l’aiuto di SeTe srl e de Le Montagne Divertenti, che hanno subito abbracciato il progetto. Importante è stato anche il supporto della Comunità Montana di Sondrio, del Centro Servizi Volontariato della Provincia di Sondrio (LAVOPS) e di varie istituzioni ed enti che non sto ad elencare. C ome mai il sentiero Rusca è adatto a tutti? Quali strutture e servizi si trovano? La Comunità Montana di Sondrio ha realizzato sul sentiero Rusca le opere strutturali necessarie alla fruizione accessibile e sono state realizzate aree sosta con giochi. Lungo il tracciato, alla Torre dei Basci nel comune di Torre di Santa Maria, è attivo un servizio di conduzione con joëlette e volontari. Le pendenze, i raggi di curvatura, la pavimentazione lungo lo sviluppo del percorso permettono la fruizione con la joëlette e a tratti anche con carrozzine motorizzate, passeggini e handbike. Sono stati realizzati dei comodi parcheggi in prossimità dei tratti significativi dell’itinerario proprio per dare la possibilità di scegliere il pezzo più idoneo a ciascuno. Sono state previste numerose aree sosta, di cui quella di Tornadù e dei Basci accessibili, dotate quindi di camminamenti fruibili, tavoli in cui una carrozzina riesce ad infilarsi e giochi LE MONTAGNE DIVERTENTI per tutti. Questa sinergia tra persone ed enti ha reso il sentiero Rusca accessibile. C os’è l’Associazione Tecnici Senza Barriere Onlus e quali attività svolge? Abbiamo cominciato la nostra attività di volontariato girando le case di famiglie di persone che a un certo punto della loro vita hanno dovuto fare i conti con una limitazione fisica, cognitiva o sensoriale, con l’intenzione di mettere a disposizione di chiunque ne avesse bisogno quello che sappiamo fare. Ci occupiamo di tutto ciò che serve a rendere di nuovo fruibile, accessibile e accogliente una casa, un ambiente urbano e così migliorare la qualità della vita di tutti. Oggi aiutiamo centinaia di famiglie mantenendo saldi i principi di gratuità e portando concretezza. C i sono altre iniziative legate all’accessibilità delle montagne della Provincia di Sondrio? Dalla volontà di replicare questa esperienza sui vari itinerari della Valtellina, abbiamo ideato il progetto “Tuttidappertutto” che coinvolge il mondo del volontariato locale. Stiamo lavorando in Valchiavenna per il percorso “Sui passi di Don Guanella”, che vorremmo rendere fruibile a tutti con alcune azioni strutturali e completando la guida esistente con le indicazioni sull’accessibilità. Lungo il sentiero ippociclopedonale che da Albosaggia porta a Campei con la Fondazione Albo- saggia abbiamo realizzato due aree sosta accessibili. In collaborazione con l’Ecomuseo della Valgerola, nei boschi sopra l’abitato di Gerola Alta abbiamo creato un percorso multisensoriale della lunghezza di un chilometro e altri due itinerari, uno geologico e uno botanico, antistanti la Casa del Tempo.. C osa deve fare una persona che, leggendo questo articolo, voglia provare l’esperienza di una gita in montagna con la joëlette? Seguendo le indicazioni della guida è possibile organizzare l’escursione in due modi: in autonomia con joëlette propria o fornita sul posto, prenotando le strutture ricettive, organizzando il rientro con mezzi propri o pubblici; oppure affidandosi al gruppo di volontari attivo sul percorso che penserà a tutto. E chi volesse diventare accompagnatore? Organizziamo dei corsi della durata di una giornata sia per montare, condurre la joëlette, sia per l’accompagnamento di ipo o non vedenti. Basta chiamare! I nfo e contatti: Walter Fumasoni 339/3401179 Francesca Rogna 335/5870790 www.sulsentierorusca.it www.latorredeibasci.com www.valtellinaccessibile.it www.tuttidappertutto.org Montagne per tutti 33 Corsa Speciali t t t c t t t t D t c www.lemontagnedivertenti.com/corsa/ La nuova funzione dedicata agli amanti della corsa in montagna C on all’attivo ben 4 percorsi adatti ad ogni tipo di gamba e di esigenza d’allenamento, Percorsi di corsa si prende una pausa per il numero estivo dove, spinti dalle alte temperature, gli itinerari della rivista si collocano tutti in alta montagna. Ruttico gomme Nel darvi l’appuntamento per il numero 38 de LMD vi segnaliamo che Marco Bonati è stato il primo ad aver compiuto tutti e 4 gli itinerari registrandone il tempo su www.lemontagnedivertenti.com/corsa/, ed è perciò stato premiato con magnifici gadget! Dal 1967 ti aiuta a guidare sicuro PNEUMATICI PER AUTOVETTURA, MOTO, AUTOCARRI E AGRICOLTURA TAGLIANDI, MECCANICA, AMMORTIZZATORI E FRENI MOLLE E KIT SPORTIVI, DISTANZIALI E CERCHI IN LEGA RIPARAZIONE GOMME E CERCHI BILANCIATURA E CONVERGENZA ASSISTENZA SUL POSTO OFFICINA MOBILE CONVENZIONI CON LE MAGGIORI FLOTTE D’AUTONOLEGGIO chi sono stati Montagna in Valtellina (SO) fine tangenziale direzione Bormio tel 0342/215328 fax 0342/518609 e-mail [email protected] www.rutticogomme.191.it 34 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2016 I PIÙ VELOCI fino al 31.05.2016 ? PERCORSO LUNGHEZZA DISLIVELLO MIGLIOR PRESTAZIONE TEMPO Anello della Cólmen di Dazio Giro del lago di Mezzòla Il km verticale di Villa di Tirano Montagna - Spriana 17,8 km 25,3 km 3,3 km 18,4 km 800 m 440 m 1014 m 740 m Giovanni Tacchini Graziano Zugnoni Enrico Benedetti Enrico Benedetti 1h 28’ 52” 2h 04’ 03” 43’ 20” 1h 19’ 30” LE MONTAGNE DIVERTENTI Percorsi di corsa 35 Alpinismo P Val Bondasca izzo Cengalo (m 3369) sperone NO - via Gaiser Lehmann Dopo aver percorso qualche giorno prima la via Cassin sulla NE del Badile, restandone un po’ deluso per il troppo affollamento e forse per le eccessive aspettative, decido di andare con Pietro alla ricerca di un itinerario più selvaggio e isolato, dove ci si possa, anzi ci si debba, sentire in piena armonia con la montagna e non solo parte della carovana di rocciatori a caccia di un trofeo. La scelta cade sul pilastro NO del Cengalo e in particolare sulla Gaiser-Lehmann, via coeva alla Cassin, ma decisamente meno ripetuta e famosa e con caratteristiche più spiccatamente alpinistiche. Introduzione Beno, racconto Pietro Pellegrini 36 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2016 LE MONTAGNE DIVERTENTI Il campanile di Soglio e le cime della val Bondasca. Da sx le Sciore, i pizzi Gemelli, il pizzo Cengalo con in evidenza, tra luce ed ombra, il pilastro NO e, all’estrema dx, il pizzo Badile (20 agosto 2013, foto Roberto Moiola). Pizzo Cengalo (m 3369) - via Gaiser-Lehmann 37 Alpinismo Valchiavenna Cima della Bondasca (3289) Pioda di Sciora (3238) Sciora di Fuori (3169) Ago di Sciora (3205) Pizzo Cengalo (3369) Pizzo Badile (3305) Pizzi Gemelli (3225-3262) Sciora di Dentro (3275) Punta Sant'Anna (3171) Punta Torelli (3137) Colle del Cengalo (3046) nd asc a Pizzo Trubinasca (2918) Ve d ta ret de a ll Bo Ve d r e t ta d e l l a Tr u b inasca Capanna Sciora (2120) a ub Tr a in sc a Lera d’Sura (1894) Va l lo ne de ll Capanna Sasc Furä (1904) 38 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2016 LE MONTAGNE DIVERTENTI La val Bondasca e i suoi colossi di granito visti Pizzo Cengalo (m dalla 3369)vetta - viadel Gaiser-Lehmann 39 i Galleggione. Sono riportati toponimi italiani (30 giugno 2014, foto Beno). Alpinismo Val Bondasca Mi avevano raccontato che la Gaiser-Lehmann al Cengalo è un vero e proprio viaggio su una parete di dimensioni colossali, circondata da montagne severe e verticali. Un’avventura la cui unica via d’uscita è in vetta, per cui portiamo una sola corda da 60 metri, da un lato per risparmiar peso, dall’altro perché non prevediamo la possibilità di battere in ritirata in corda doppia. Il 21 agosto, quando guardavo il pilastro NO del Cengalo dal pizzo Badile, era del tutto spoglio di cordate: di rado qualcuno si spinge da quelle parti, quindi la cupa muraglia di granito, la più alta parete delle Alpi Retiche (1300 m), resta avvolta nella sua remota solitudine. A chi ha osservato lo sperone NO del Cengalo con attenzione, non sarà certo sfuggito l’aspetto compatto e all’apparenza inattaccabile, specialmente nella liscia parte superiore, dove si trovano molti tratti di arrampicata in aderenza difficilmente proteggibili, che richiedono di entrare in totale sintonia con la roccia e la montagna. Trovata una finestra di bel tempo, mi organizzo alla svelta per condiviBELLEZZA FATICA PERICOLOSITÀ Verso la capanna Sasc Furä (20 agosto 2013, foto Beno). dere la corda e un fantastico bivacco all’addiaccio ai piedi della parete con Pietro Pellegrini, amico e ottimo compagno di avventure, persona in grado di dare sempre il meglio di sé nei momenti di difficoltà e che perciò mi infonde sicurezza. Il periodo che abbiamo scelto, l’inizio di settembre, non è dei migliori, perché le giornate sono già Partenza: strada della val Bondasca (m 1252). Itinerario automobilistico: da Chiavenna si prende la SS 37 in direzione di St. Moritz. Superata Villa di Chiavenna vi è la dogana (10 km) e si entra in territorio svizzero. Altri 3 km e si esce sulla dx per raggiungere Bondo da cui si seguono le indicazioni per la val Bondasca. La strada che sale nella valle è a pagamento (10 euro - distributore automatico), ma consente un buon risparmio di dislivello e di tempo. Si lascia l’auto in uno dei parcheggi appena oltre lo sbocco del vallun da la Trubinasca: qui un ponticello che porta sulla sx idrografica del torrente Bondasca segna l’inizio del sentiero per il rifugio Sasc Furä (molti proseguono a piedi in dx idrografica fino a Laret, ma ritengo l’opzione - equivalente in termini di tempo meno interessante). Itinerario sintetico: strada della val Bondasca (m 1252) - capanna Sasc Furä (m 1904) - ghiacciaio del Cengalo (bivacco) - salita per lo sperone NO pizzo Cengalo (m 3369) - discesa per la via normale (SO) - capanna Gianetti (m 2535) - Bagni di Màsino (m 1172). Tempo previsto: 3 ore dall’auto ai piedi del ghiacciaio del Cengalo (bivacco) + 8-12 ore per la vetta del Cengalo attraverso la via Gaiser-Lehmann + 2:15 ore per la discesa alla Gianetti + 2:15 ore per la discesa ai Bagni di Màsino. Attrezzatura richiesta: 1 corda da 60 metri, cordini, casco, moschettoni, discensore, imbraco, serie di nut (molto utili) e friend fino al 3, scarpe da 40 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2016 LE MONTAGNE DIVERTENTI piuttosto corte e il ghiacciaio a N è tutto inciso da una fitta ragnatela di crepacci, talvolta non valicabili. Di questi nostri due giorni nel regno del granito vi propongo il bel racconto che ha scritto Pietro. 31 AGOSTO 2013 Saliamo sabato pomeriggio in val Bregaglia con l’intenzione di raggiun- roccia, 5-6 chiodi e martello (altrimenti preventivare di non proteggersi lungo le placche). Scarponi, ramponi e picca indispensabili per arrivare all’attacco. Difficoltà/dislivello: 5,5 su 6 / oltre 2000 metri di cui 1100 di parete. Dettagli: TD+, vari tiri di V+ e V. Arrampicata estremamente varia. Si dice 26 lunghezze di corda in parete; noi ne abbiamo contate circa 20, ma abbiamo fatto tiri da 60 m e tratti in conserva lunga. Ci sono lunghezze difficilmente proteggibili, pochi chiodi in via (e molti fuori via!) e soste non sempre sicure. Il tracciato non è semplice da individuare, la roccia non è sempre sicura, specialmente nella parte bassa. Questi fattori, uniti all’avvicinamento problematico a causa della ragnatela di crepacci del ghacciaio, rendono la Gaiser-Lehmann più impegnativa di vie come la Cassin al Badile, che pur presenta passi su roccia di grado superiore. Discesa: dalla via normale fino in Gianetti (alpinistica f+). Infine sentiero fino ai Bagni di Màsino. Mappe: - Kompass n. 92 - Val Chiavenna - Val Bregaglia, 1:50000 - Valmasino. Carta Escursionistica, 1:30000 - CNS. foglio 1276 - Val Bregaglia, 1:25000 Guide: Mario Sertori, Solo granito. MàsinoBregaglia-Disgrazia vol.2, ed. Versante Sud, Milano 2015. La relazione deve essere solo uno spunto per la salita, essendo impossibile dare una descrizione esaustiva del tracciato tiro per tiro. Pizzo Cengalo (m 3369) - via Gaiser-Lehmann 41 Alpinismo Val Bondasca La Gaiser-Lehmann vista dal punto in cui il sentiero del Viale scavalca la cresta N del Badile e si abbassa nella valle del Cengalo. Anche se dalla foto non si direbbe, la via supera ben 1100 metri di parete (31 agosto 2013, foto Beno). Il nostro bivacco a circa m 2200 ai piedi del Vadrec dal Cengal (31 agosto 2013, foto Pietro Pellegrini). Il ramponi e gli “scarponi da tennis” scelti da Pietro non trasmettono alcuna sicurezza (31 agosto 2013, foto Pietro Pellegrini). gere entro sera un punto di bivacco nei pressi del ghiacciaio del Cengalo ai piedi della parete NO. L’atmosfera è rallegrata dagli amici che ci accompagnano. Beno vuole mostrare a Gioia, a sua sorella e agli amici i versanti settentrionali di Cengalo e Badile, la capanna Sasc Furä e la pietraia lunare ai piedi dello spigolo N del Badile (La Plota) dove ha bivaccato pochi giorni prima per attaccare la Cassin, oltre che approfittare della loro cortesia per farci riportare l’auto in Italia, dato che noi domani scenderemo dal versante opposto del Cengalo. Lasciata l’auto lungo la strada della val Bondasca in uno dei parcheggi a bordo carreggiata (m 1252) che precedono Laret, subito attraversiamo il torrente su un ponticello, per risalire, paralleli all’asse della valle, i prati cosparsi di baite di Lera. Presso Lombardui intercettiamo il sentiero che proviene da Laret e pieghiamo bruscamente a S (dx) verso la montagna. Entriamo nel fitto del bosco e, dapprima tra grandi massi, iniziamo a prender quota. Le pendenze sono severe e mai diminuiscono; scalette, gradoni e catene aiutano nei punti più difficoltosi. Poi gli alberi si fanno più radi, lasciando spazio alla radura dove sorge la capanna Sasc Furä (m 1904, ore 1:45), che ci si para innanzi all’improvviso senza che prima l’avessimo scorta dal basso. Il rifugio sorge su un poggio al limite superiore del bosco ed è scavato nel bel mezzo di una grossa roccia, come evidenzia lo stesso toponimo. Superiamo il rifugio Sasc Furä e proseguiamo verso le titaniche pareti di granito sfiorate dai raggi del sole del tardo pomeriggio. Alla bocchetta ci salutiamo: gli amici torneranno a casa, mentre noi seguiremo “Il Viale”1 ancora per qualche centinaio di metri, avvicinandoci alla meta. La parete NO è di fronte a noi, imponente, con le sue fasce nere nella parte inferiore e la 1 - Il Viale è il sentiero che unisce le capanne Sasc Furä e Sciora passando ai piedi delle pareti di Cengalo e dei Gemelli. Dopo le poderose frane scese negli ultimi anni dal Cengalo, che ne hanno modificato l’aspetto del versante NE cancellando anche alcune vie storiche di salita, il sentiero è stato ufficialmente chiuso per ragioni di sicurezza. Ciò significa che in caso di incidenti i soccorsi costeranno davvero cari. Ovviamente è sconsigliato anche scalare il versante NE della montagna, mentre il NO parrebbe non interessato dai crolli. 42 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2016 LE MONTAGNE DIVERTENTI Pizzo Cengalo (3369) II Colle del Cengalo (3046) IV V+ V V- cengia mediana III V+ III IV Va d r ec dal Cengal nostro bivacco La linea di salita al pilastro NO del Cengalo. Indicate per sommi capi le difficoltà incontrate. (31 agosto 2013, foto Pietro Pellegrini). sua guglia dorata in quella superiore, dove c’è una specie di grande occhio di granito. Strette fessure si incuneano tra le grandi placche che avvolgono lo spigolo. La verticalità del pilastro intimorisce; cerco di convincermi che sia solo una questione di prospettiva. Gli amici, invece, fanno a gara a farsi immortalare con la parete. Per loro che non la devono affrontare, è semplicemente l’innocuo sfondo di una fotografia. Rimasti soli e scavalcato il prolungamento della cresta N del Badile, scendiamo2 nella valle che ospita il ghiacciaio indicato su CNS come Vadrec dal Cengal. Il Viale si abbassa tra le pietraie (E), mentre noi saliamo paralleli al ruscello che sgorga dal ghiacciaio (S), mirando alla base della lingua che scende a dx del testone roccioso detto Fort da Cengal. Scegliamo un comodo posto di bivacco nei pressi di un grosso masso a circa m 2200 (ore 1:15), non distante del torrente. 2 - Tratto attrezzato. Pizzo Cengalo (m 3369) - via Gaiser-Lehmann 43 Alpinismo Val Bondasca Nel labirinto di crepacci del Vadrec dal Cengal (1 settembre 2013, foto Pietro Pellegrini). Appena di là dal labbro del ghiacciaio ha inizio la parete. Nei primi tiri la roccia è sporca e friabile (1 settembre 2013, foto Beno). Soli non si è mai tra le braccia di queste pareti di cui non si può ignorare la presenza. Osservo lo spigolo e la spruzzata di neve che ne ha ricoperto la parte sommitale. Le difficoltà in quel settore sono finite, se mai ci arriveremo, ma il pensiero di incontrare neve in via mi preoccupa, dato che ho portato con me solo un paio di scarpe da tennis oltre a quelle d’arrampicata. Per giunta il ghiacciaio da attraversare per raggiungere l’attacco è molto crepacciato e non so come me la caverò con i ramponi applicati alle Nike. In negozio sembrava funzionassero bene ... Beno non tarda molto a domandarmi dove siano i miei scarponi e, quando gli illustro il mio pensiero, mi guarda come a chiedersi se ha di fronte un genio o un idiota, ma si limita a un laconico «Se ti fidi ...» Ogni problema a suo tempo. Gonfiamo i materassini, stendiamo i sacchi e consumiamo la cena nella fresca aria della sera. Abbiamo dei sacchi a pelo leggeri, questo per rispar- 44 LE MONTAGNE DIVERTENTI Sui diedri della parte centrale della Gaiser-Lehmann. Sopra di noi un compatto muro di granito (1 settembre 2013, foto Pietro Pellegrini). Sui verticali e atletici diedri della parte centrale della GaiserLehmann(1 settembre 2013, foto Pietro Pellegrini). miar peso, dato che ce li dovremo trascinare fino in vetta. Friend, corda, fettucce, imbrachi, caschi, piccozze e ramponi dondolano assicurati a una fessura del masso che ci riparerà dall’aria gelida che cala dalle montagne. La luce del sole sfuma sulle guglie delle Sciore e lascia spazio a un manipolo di stelle che lente ruotano nel cielo e ci augurano la buona notte. La scura parete NO del Cengalo veglia su di noi. 1 SETTEMBRE 2013 La sveglia suona alle 5. Cerco di rubare qualche minuto di sonno limando sui tempi della colazione. Legati ci incamminiamo alla luce delle pile frontali alla ricerca di un passaggio per raggiungere la base della parete NO del Cengalo. Dopo un ampio arco lambendo la NE del Badile (troppi crepacci impediscono una linea diretta), cerchiamo di riavvicinarci al Cengalo, ma la scelta di stare alti sembra infrangersi nel dedalo di crepacci che si apre attorno noi: crepe molto ampie corrono in tutte le direzioni e formano una specie di ragnatela entro cui emergono alcune isole nevose. Rischiara. Dopo vari ponti e blocchi di ghiaccio, Beno si avvicina al bordo di un crepaccio che non può essere aggirato in alcun modo e si volta verso di me: «Non si passa, bisogna saltare.» Chiedo una stima del volo da affrontare: «3 metri!» Alzo le spalle: «Saltiamo!». La situazione mi ricorda il salto della breccia sulla cresta N del Coca3, questa volta a ruoli invertiti e senza fotografo a immortalare la scena. Lascio qualche metro di corda al mio compagno e faccio sicura piantando picca e ramponi come unghie nella neve. Scavalcato il crepaccio indietro non si torna, dato che saltare in salita un simile ostacolo sarebbe da primato olimpico. Siamo di là: la nostra avventura ora 3 - Pietro Pellegrini, Traversata del pizzo di Coca, LMD n.26 - Autunno 2013, pp. 26-39. Estate 2016 Iniziano le grandi placconate, difficili da proteggere e da interpretare (1 settembre 2013, foto Pietro Pellegrini). potrà concludersi solo in vetta. Per mettere le mani sulla parete di roccia, qualche decina di metri più in basso e a sx del grosso canalone che precipita dalla cresta SO, ci rimane però ancora da superare il pericoloso labbro a sbalzo del ghiacciaio. Scavalcato un cumulo di blocchi, segno di un crollo recente, ci immergiamo in un colatoio verticale, che ci consente, con una spaccata, di approdare su una cengia rocciosa. Pochi passi coi ramponi che stridono sulle placche foderate di sabbia e troviamo finalmente un pianerottolo per metterci in assetto da roccia e così iniziare la via. L’approccio è abbastanza traumatico per la roccia umida e sporca di detrito. Le mani e i piedi sono intorpiditi dal freddo mentre realizziamo quanto sia immensa la parete e quanto sia difficile individuare la via corretta da seguire. Lo sporadico imbatterci in un chiodo non ci dà conforto, in quanto potrebbe essere testimonianza di uno dei tanti tentativi finiti fuori via. Le prime lunghezze ci portano a superare LE MONTAGNE DIVERTENTI Sotto di noi un baratro di oltre 800 metri e davanti a noi una lavagna di granito (1 settembre 2013, foto Beno). il freddo zoccolo basale (IV, 3 tiri da 60 m) piegando leggermente sulla dx. Un intermezzo più facile ci consente di riprendere la linea di spigolo e di sbloccare la lenta progressione facendo un buon tratto in conserva. Le cordate impegnate sullo spigolo del Badile sono già più alte di noi e si godono il calore del sole. Consultiamo le relazioni che abbiamo stampato, ma sono inutili e le mettiamo via per non perder troppo tempo e per non farci rovinare il gusto della scalata. Ci affidiamo all’intuito del mio compagno che, adottando la strategia di mettersi nei panni di un pioniere degli anni ‘30, finora non ha sbagliato. Lascio volentieri a lui il compito di andare da primo: sono al tempo stesso ammirato e annichilito dalla situazione in cui sono immerso. Affrontiamo una serie di tre diedri ad elevata verticalità (V+, tenersi a ridosso dello spigolo), un susseguirsi di fessure e lame sporgenti dall’interpretazione non immediata. Perlomeno si riesce a proteggere bene. Segue un tiro semplice (III), che ci permette una sosta con merenda su un terrazzo/cengia posto all’incirca a metà via. Una grossa lama staccata contraddistingue questo punto. La parete acquista compattezza. Lo spigolo arrotondato è un’unica immensa placca con poche fessure a spezzarne la continuità. L’arrampicata è di aderenza (circa 7 tiri, max V+), diminuiscono gli appigli e aumentano i metri che separano il mio compagno dall’ultima protezione. Sale concentrato, all’apparenza non condizionato dalla situazione di potenziale pericolo a cui si espone. Lo osservo dal basso nelle lunghe attese in sosta e capisco solo quando è il mio turno che certi rallentamenti erano dovuti a passaggi impegnativi. Lo raggiungo in soste attrezzate su chiodi d’epoca che ballano come i denti di una vecchia strega, rinforzati alla bell’e meglio. Il sole sembra spostarsi nel cielo più in fretta di quanto noi saliamo in parete. Chissà come sarebbe se un temporale o una nevicata ci costrin- Pizzo Cengalo (m 3369) - via Gaiser-Lehmann 45 Alpinismo Val Bondasca anche quest'anno faremo squadra e saremo al fianco di tante meritevoli iniziative n. verde: 800 593 000 - [email protected] facebook.com/avissondrio 46 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2016 Nella parte alta della parete, dopo 17 tiri di corda, non si vede ancora l’uscita (1 settembre 2013, foto Beno). Non c’è molto da fidarsi delle soste che incontriamo. Chissà quante lune hanno visto! (1 settembre 2013, foto Pietro Pellegrini). Poi, finalmente, terminano le ostilità e una facile spalla di roccia e detrito ci porta in cresta (1 settembre 2013, foto Pietro Pellegrini). Alle 18, stanchi morti ma molto felici, siamo in vetta al Cengalo (1 settembre 2013, foto Pietro Pellegrini). gessero a un bivacco! Beno riparte, gli do un segnale quando la corda passa la metà, poi sparisce dalla mia vista. I due chiodi piantati dai signori Gaiser e Lehmann, o comunque da loro contemporanei, non credo reggerebbero la sua caduta dato che non ha ancora messo alcuna protezione. Mi devo fidare di lui. La corda è finita e mi grida di salire. Immagino non sia ancora arrivato in sosta e sia necessario fare un tratto in conserva. Smonto la sosta e parto, avendo cura di mantenere la corda in tensione. Ora anche lui si sta fidando ciecamente di me. Quando lo raggiungo resto perplesso nel vedere che ha attrezzato una sosta su 2 friend e ha fatto quasi 90 metri senza mettere niente! Quanto sottile è oggi la differenza tra la vita e la morte, quanto sento labile e insignificante la mia esistenza! Non posso fare a meno di pensarci quando resto solo. Davvero è questo che sto cercando? Dalla sosta un traverso su cengia verso dx, poi di nuovo un tratto in LE MONTAGNE DIVERTENTI placca a cui segue una fessura delicatissima e verticale con sosta su cordino avvolto attorno a una lillipuziana lama ballerina. Ci troviamo in due appesi a quell’escrescenza di granito con oltre 1000 metri di vuoto sotto i piedi. Gli aggancio all’imbraco i ferri che ho recuperato, mentre lui studia il da farsi. Beno riparte traversando sulla sx. Non si capiscono le difficoltà, ma lo vedo spedito: significa che l’arrampicata è facile. Dopo poco sento un urlo: «Ci siamo, è fatta, era l’ultimo tiro!». È arrivato in cresta. Lo raggiungo e ci guardiamo in faccia sorridenti, contenti di essere finalmente fuori dal tratto tecnico. Togliamo le scarpette, mettiamo la corda nello zaino e saliamo l’ultimo strappo su quelle roccette innevate che osservavo ieri. In breve guadagniamo la cresta SO, dove lasciamo gli zaini e corriamo fino in vetta al Cengalo (m 3369, ore 9) per scrivere qualcosa di sconclusionato sul libro di vetta e stringerci la mano! Sono le 18, dalla Gianetti probabilmente ci staranno curando col binocolo, dato che Gioia e Ste dovrebbero esser lì ad aspettarci col cuore in gola. Il rientro è per la via normale. Una lunga discesa tra pietraie avvolte nella luce del tramonto. Arriviamo al rifugio Gianetti (m 2534, ore 2:15) accolti dagli abbracci degli amici e salutati dal sorriso e dalla gentilezza del Mimmo, che ci conferma che la Gaiser-Lehmann solitamente viene affrontata a inizio stagione, e non al suo termine quando il ghiaciaio diventa un labirinto e le giornate brevi. Ceniamo e raggiungiamo i Bagni di Màsino (m 1172, ore 2:15) che è quasi mezzanotte. Anche se stanco, ripenso a quanto piena sia stata questa giornata, quanto preziosa la vita che ho tra le mani, quanto insignificante sarebbe una vita senza affrontare le proprie paure. Che la sete fa apprezzare l’acqua, il buio fa apprezzare la luce, la solitudine fa apprezzare l’amore. Pizzo Cengalo (m 3369) - via Gaiser-Lehmann 47 Val Màsino Alpinismo P izzo Cengalo (m 3369) via normale - cresta SO Sulla montagna più alta di val Bondasca e val Porcellizzo si può giungere anche senza particolari difficoltà tecniche: basta seguire la via normale che si snoda sul versante italiano, inaugurata da Douglas Freshfield, la guida di Chamonix Francois Dévouassoud e Charles Comyns Tucker il 25 luglio 1866, 150 anni fa. Beno La capanna Gianetti e il pizzo Cengalo. Indicata la via normale (23 luglio 2013, foto Roberto Ganassa). 48 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2016 LE MONTAGNE DIVERTENTI Pizzo Cengalo (m 3369) - via normale 49 Alpinismo BELLEZZA FATICA PERICOLOSITÀ Val Màsino Partenza: Bagni di Màsino (m 1172). Itinerario automobilistico: da Morbegno seguire la SS 38 verso Sondrio. Appena attraversato il ponte sul Màsino, svoltare a sx (5 km a E di Morbegno) e seguire la SP 9 della val Màsino fino al suo termine: i Bagni del Màsino (2 km oltre l'abitato di San Martino). Poco prima dell'impianto termale vi è sulla sx uno spiazzo sterrato in cui si può lasciare l'auto. Itinerario sintetico: Bagni di Màsino (m 1172) - Corte Vecchia (m 1405) - casera Porcellizzo (m 1899) - rifugio Gianetti (m 2534) pizzo Cengalo (m 3369). Tempo di salita: 7 ore. Attrezzatura richiesta: scarponi, un pezzo di corda e imbraco. Ramponi e piccozza sono indispensabili con neve residua sulla via o nel canale che porta in cresta (informarsi al rifugio Gianetti 0342/645161). Difficoltà/dislivello circa 2200 m. Dettagli: alpinistica f+. Passi su roccia fino al II grado. Non si tratta di un’ascensione difficile, ma non va assolutamente sottovalutata in caso di neve residua. Mappe: - Val Màsino - carta escursionistica, 1:30000; - CNS n.268 e n.278, 1:50000; - Kompass n.92, Valchiavenna e Val Bregaglia, 1:50000. Bagni di Màsino (7 giugno 2014, foto Roberto Ganassa). D al complesso termale dalle altalenanti fortune dei Bagni di Màsino, una stradicciola sterrata si spinge verso O rimanendo in sx idrografica, finché una abbondante segnaletica, che fornisce anche le tempistiche divise per preparazione atletica, indica (dx) l’inizio del sentiero per la Gianetti. Questo attraversa una radura in direzione NO e, appena si immerge nel bosco, ha per un tratto il fondo selciato. Senza sconti di pendenza, ci issiamo sul versante orientale della valle dei Bagni. Con una serie di risvolte nel fitto degli abeti guadagniamo l’accesso sospeso della val Porcellizzo in corrispondenza del pianoro erboso che ospita le diroccate baite dell’alpe Corte Vecchia (m 1405 m, ore 0:45). Un tratto in piano ci riporta nel bosco e subito ecco le “Termopili”, 50 LE MONTAGNE DIVERTENTI in salita: 3+ su 6 / due enormi massi granitici, l’un l’altro molto vicini, attraverso cui si passa stretti in una sorta di buia grotta. Con la vegetazione che si fa via via più rada e con la pendenza che va a crescere, il sentiero prosegue faticoso alzandosi sul versante orientale della val Porcellizzo. A 1700 m la mulattiera piega a N e, dopo aver guadato il torrente Sione appena sopra una suggestiva cascata, torna a ridosso del torrente Porcellizzo. Oltre un corridioio, si apre il “Pianone”, un grandioso circo d’origine glaciale il cui fondo è un fertile pascolo. Più avanti, sulla dx, ecco le baite dell’alpe Zoccone (m 1899, ore 1:15), spartane ma tutt’oggi utilizzate dai pastori. I giganti di granito che chiudono la valle troneggiano al di sopra del catino in cui ci troviamo. Il tracciato piega a sx e, con l’ausilio di ponti e passe- relle scavalca torrenti e aree impaludate, quindi risale ripido le bastionate rocciose che delimitano la conca, disegnando numerosi tornanti. Sormontato il gradino roccioso, il cammino si fa faticoso, un po’ per la quota, un po’ per la monotonia del paesaggio privo di riferimenti che diano ragione del cammino effettuato. Tra placche rocciose, ruscelletti, chiazze d’erba e rododendri guadagniamo il rifugio Gianetti (m 2534, ore 1:45), che appare solo all’ultimo, ai piedi del pizzo Badile e reso evidente dagli infissi rossi che lo fanno emergere dal grigiume dello sfondo. Il rifugio Gianetti, costruito dai CAI di Milano nei pressi della capanna Badile, fu inaugurato il 20 luglio 1913. Dopo esser stato incendiato dai nazifascisti nel 1944, fu ricostruito nel 1949 e riammodernato nel 1978 e nel 1994. Dedicato a Luigi Gianetti, che ne fu finanziatore, è affiancato dal bivacco invernale Attilio Piacco1, alpinista morto nel 1958 sulla vicina punta Torelli. È gestito dalla famiglia Fiorelli da tre generazioni, e oggi Giacomo (Mimmo) ne è il custode. La capanna offre 93 posti letto. Dal rifugio prendiamo a dx il sentiero Roma in direzione del rifugio Allievi, e dove questo si abbassa per attraversare sotto ad una placconata spesso bagnata, lo abbandoniamo per risalire il pendio di erba e sfasciumi sulla sx (N). Guidati da qualche ometto di pietra entriamo nel grandioso anfiteatro compreso tra Cengalo e punta Sertori. Tra pietraie e modesti campi di neve, residui del Il Pianone e l’alpe Zoccone (m 1899). Sullo sfondo la testata della val Porcellizzo con, al centro, Badile e Cengalo (8 giugno 2014, foto Roberto Ganassa). Pizzo Badile (3305) Punta Sertori (3195) Pizzo Cengalo (3369) Pizzi Gemelli (3262) Pizzo del Ferro Occid. (3267) La testata della val Porcellizzo e la via normale al Cengalo (28 agosto 2011, foto Roberto Ganassa). Sotto: il tracciato della via normale al Cengalo (29 maggio 2011, foto Roberto Ganassa). ghiacciaio del Cengalo, passiamo ai piedi della parete E della punta Sertori, e puntiamo al canale più a sx tra quelli che portano sulla cresta SO. Una corda fissa2 ci aiuta a superare la prima placconata (II, 15 m), quindi insistiamo nel canale di roccia e sfasciumi fino al colle del Cengalo (m 3046), massima depressione della cresta SO della montagna. Passati sul lato svizzero (impressionante è lo scorcio sul Badile), seguiamo la traccia che ci porta verso un primo risalto, la cui cima (m 3096) viene aggirata da N grazie a un traverso attrezzato con catene. Segue uno stretto intaglio oltre il quale ci portiamo sulla faccia meridionale della successiva prominenza (m 3193), che aggiriamo grazie a una cengia (ometti). Ci abbassiamo di qualche metro e traversiamo verso E sul lato italiano. Una paretina coperta da rottami ci accompagna sulla groppa finale, un tempo nevosa e ora ridotta a un ammasso di blocchi. Qui si deve assolutamente evitare di sporgersi verso la val Bondasca, perché spesso vi sono instabili cornici di neve a sbalzo sulla più alta parete delle Alpi Retiche! Quando la pendenza scema, manca davvero poco alla croce di vetta del pizzo Cengalo (m 3369, ore 3:30). 2 - Qui cadono spesso massi che potrebbero aver tagliato o rovinato la fune, per cui si consiglia di verificarne le condizioni prima di affidarsi esclusivamente ad essa. Pizzo Cengalo (3369) Anticima orientale del Cengalo (3307) 3193 3096 Colle del Cengalo (3046) 1 - Si tratta della vecchia capanna Badile, costruita nel 1887 e restaurata nel 1960. Estate 2016 LE MONTAGNE DIVERTENTI Pizzo Cengalo (m 3369) - via normale 51 Alpi Orobie Alpinismo T raversata in cresta dalla Pesciöla passando per la cima della Foppa Faremo una traversata grandiosa, che ripercorre le gesta di alpinisti come Alfredo Corti, Augusto Bonola, Bruno Melazzini, Attilio Gualzetti e Giuseppe Foianini. Siamo nella selvaggia val d’Arigna, al confine con la valtellinese val Malgina prima e la bergamasca val Morta poi. Il nostro itinerario abbraccia l’intero circo del Vag - dal pizzo di Faila al pizzo del Drùet. Alpinisticamente spiccano due tratti spettacolari: la cresta N della cima della Foppa e la traversata da quest’ultima alla cima Occidentale di Cagamei. Sono ingaggi per stomaci forti in quanto alle difficoltà su roccia (che arrivano al V grado), si sommano tratti affilatissimi e friabili che richiedono estrema dimestichezza con i famigerati scisti orobici. Beno (m 2168) al pizzo del Drùet (m 2868), (m 2851) e i Cagamei (m 2913) Pizzo Occ. di Cagamei (2913) Cima SE del Vag (2866) Cima della Foppa (2851) Cima della Pesciöla (2168) Pizzo di Faila (2490) Foppe Campei ag Bocchetta di Faila (2451) Gh 52 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2016 c iac iai o de LE MONTAGNE DIVERTENTI l V La lunga cresta dalla Pesciöla alla cima del Drùet vista dalla cima del Drùet (27 ottobre 2014, foto Beno). Traversata Pesciöla - Drùet 53 Alpinismo Alpi Orobie Pizzo Occ. di Cagamei (2913) Pizzo del Drùet Cima della Foppa (2868) (2851) de lV ag Punta della Pesciöla (2344) Va llo ne Va llo ne Cima della Pesciöla (2168) de lle Fa sce re Pizzo di Faila (2490) Alpe Pesciöla Alpe Drùet Campei L’orografica dx della val d’Arigna e il tracciato della gita descritta in questo articolo (20 maggio 2016, foto Beno). Sotto: a sx Foppe (17 giugno 2015, foto Roberto Ganassa) e a dx l’alpe Pescöla, a dx (7 ottobre 2015, foto Roberto Ganassa). BELLEZZA FATICA PERICOLOSITÀ Partenza: centrale di Armisa in località ca Pizzini (m 1041). Itinerario automobilistico: da Sondrio si prende la SS38 in direzione Tirano. Appena prima di Chiuro, in località Casacce (5 km dalla fine della tangenziale di Sondrio), si esce a dx in direzione di Arigna/Briotti. Si attraversa l’Adda e si segue la strada comunale per Arigna/Briotti fino in località Fontaniva (km 14 da Sondrio) dove c’è un trivio (tornante). Per la strada di mezzo (indicazioni per la centrale Edison) ci si addentra in val d’Arigna per un paio di chilometri fino alla centrale di Armisa, sopra la quale si trova un parcheggio con bacheca del Parco delle Orobie Valtellinesi. Itinerario sintetico: centrale di Armisa (m 1041) - Foppe (m 1360) - Campei (m 1647) - alpe Pesciöla (m 1996) - cima della Pesciöla (m 2168) - bocchetta di Faila (m 2451) cima della Foppa (m 2851) per la cresta N - cima Occidentale di Cagamei (m 2913) - bocchetta del V i porteremo con noi in un’avventura sulla sponda orientale della valle di Arigna che culmina sulla cima Occidentale dei Cagamei (m 2913). La vetta sorge nel punto d’incontro tra le valtel- 54 LE MONTAGNE DIVERTENTI Vag (m 2780) - pizzo del Drùet (m 2868) - passo del Drùet (m 2756) - alpe Drùet (m 1795) - Foppe (m 1360) - centrale di Armisa (m 1041). Tempo previsto: 14 ore per l’intero giro. Attrezzatura richiesta: corda (30 m), casco, imbraco, qualche protezione fettucce, ramponi e piccozza. veloce, cordini, Difficoltà/dislivello: 5- su 6 / oltre 2300 m. Dettagli: D. Itinerario molto lungo su creste a tratti esposte e friabili. Occorre molta dimestichezza con questo tipo di terreni. Un paio, seppur brevi, passi di V. Tratti più impegnativi: la seconda torre sulla cresta N della cima della Foppa e la traversata della seconda elevazione che c’è tra Foppa e Cagamei. Nella nostra gita di fine ottobre abbiamo trovato in qualche punto le rocce gelate e il freddo non ci ha certo aiutato nella progressione. Mappe: Kompass n.104 - Foppolo Valle Seriana, 1:50000. linesi val d’Arigna e val Malgina con la bergamasca val Morta. Dalla sommità prendono vita tre creste, tutte piuttosto impegnative. Trascurando quella che si dirige con un tratto terrificante verso il Diavolo di Malgina (E), ci dedicheremo alle altre due (NNO e O), concatenando itinerari storici, come quelli che si affrontano sulla dorsale NNO che, dopo aver originato la massiccia cima della Foppa (m 2851) digrada, Estate 2016 per usare le parole di Alfredo Corti1, con torri pittoresche verso il pizzo di Faila e i dolci boschi della Pesciöla. 1 - Silvio Saglio, Alfredo Corti, Bruno Credaro, Guida dei monti d'Italia. Alpi Orobie, CAI-TCI, Milano 1956 LE MONTAGNE DIVERTENTI Questo spigolo fu vinto il 19 agosto 1934 da Bruno Melazzini, Attilio Gualzetti e Giuseppe Foianini, ed è uno dei più interessanti itinerari alpinistici della zona, oltre che il nostro primo obbiettivo di giornata. 27 OTTOBRE 2014 inalmente si è chiusa la stagione delle gare e, con le gambe ancora “ghisate” dalla discesa del Trofeo Vanoni, inizio a camminare nella penombra assieme al Caspoc’. Dalla F Traversata Pesciöla - Drùet 55 Alpinismo Alpi Orobie Pizzo Occ. di Cagamei (2913) Cima della Foppa (2851) Cima SE del Vag (m 2866) Cima NO del Vag Pizzo del Drùet (2868) III torre Passo del Drùet (2756) II torre de ll eF as ce re I torre centrale di Armisa raggiungiamo per strada le baite delle Foppe, sparse tra i pascoli appena al di sopra del bivio per i Forni. Il cielo è grigio. Presa la pista che sale a E, poco prima delle due baite di Campei (m 1647, capolinea della strada), imbocchiamo sulla sx (cartello in legno) il sentiero bollato per Pesciöla. Guadagniamo quota in una fitta abetaia per uscirne non lontano dalla simpatica conca pascoliva dell’alpe Pesciöla (m 1996, ore 2:30), dov'è il rifugio omonimo2. Il terreno è brinato e i sassi sono ghiacciati e scivolosi. Proseguiamo verso S in una specie di valletta a ridosso della dorsale che separa val Malgina e val d'Arigna, emergendo finalmente dal lago di nebbia a circa m 2050. Il cielo è ora terso, il panorama amplissimo. Per una sponda d’erba e sassi rimontiamo lo spartiacque con la val Malgina e facendo qualche metro verso N (sx) siamo sull’erbosa cima della Pesciöla, inconfondibile col suo laghetto di vetta. Giriamo di nuovo il timone di 180° e galoppando verso S tocchiamo una serie di elevazioni erbose3 che ci 2 - Il rifugio Baita Pesciola è stato ricavato nel 1997 dall’omonima baita. È gestito dal CAI di Ponte in Valtellina. Sempre chiuso, offre cucina e 20 letti. Per avere le chiavi si deve contattare il responsabile Ivan Simonini (340/5638511). 3 - Tra di esse vi è la rocciosa quota m 2344, non nominata sulle carte, ma da qualcuno chiamata pizzo di Pesciöla. Il 18 giugno 2014 è stata munita di una croce metallica che la rende un chiaro punto di riferimento per gli escursionisti (informazioni 56 LE MONTAGNE DIVERTENTI Va ll on e Abbracciando il Combolo dalla cima della Pesciöla (27 ottobre 2014, foto Roberto Dioli). Cima della Foppa, Cagamei e Druet, con segnato l’itinerario descritto in questo articolo, visti dal pizzo di Rodes (20 giugno 2015, foto Roberto Ganassa). Da sx: il Diavolo di Malgina, la cima di Valmorta, il pizzo Orientale di Cagamei e la cima della Foppa visti dai pressi del pizzo della Pesciöla (27 ottobre 2014, foto Beno). portano ai piedi del pizzo di Faila, una sorta di pilastro d'angolo della cresta. Non volendo perder tempo per aggiungere pietrame al suo ometto di vetta4, scendiamo (sx) per tracce di sentiero in val Malgina e, tenendoci appena al di sotto dei contrafforti rocciosi della cresta, andiamo a intercettare un ripidissimo canale, alla cui uscita si deve anche arrampicare, che ci porta alla bocchetta di Faila (m 2451, ore 1:30), sella alla base della cresta N della cima della Foppa. fornite da Stefano Famlonga). 4 - Traversare per cresta il pizzo di Faila non offre difficoltà speciali, pur trattandosi di una faccenda solo per alpinisti. Qui si inizia a fare sul serio. Per rocce ripide (max III), ma piuttosto solide, cercando di aggirare convenientemente le principali difficoltà dal tiepido versante meridionale, siamo senza problemi in cima ad una prima torre. Gelo e ombra avvolgono l'alta val Malgina, ma per fortuna non c'è verglass. La roccia inizia a farsi meno solida e scendere al successivo profondo intaglio richiede attenzione. Ci si para innanzi una repulsiva e alta parete che par proprio inaccessibile. A dx precipita un canale terrificante che lambisce un'alta muraglia Estate 2016 Cresta settentrionale della cima della Foppa. A sx: salendo la prima torre. Al centro: la seconda torre vista dalla cima della prima. A dx: in arrampicata sulla III torre (27 ottobre 2014, foto Beno). strapiombante, mentre a sx una cengia obliqua corre sottocresta andandosi ad infilare chissà dove. La seguiamo per una ventina di metri, poi, quando la faccenda si fa troppo gelata, approfittiamo del primo canale-camino sulla dx per tornare a cavalcare la dorsale. Se fin qui abbiamo giocato in conserva, ora ci aspetta un vero tiro di corda. Non è tanto la difficoltà dell'arramLE MONTAGNE DIVERTENTI picata a preoccuparmi, ma il fatto che si sgretola tutto. Gli appigli per le mani si staccano e con cura li devo riporre su mensole di fortuna affinchè non cadano e arrivino a tagliare la corda o il Caspoc’, entrambi indispensabili per la mia sicurezza. Gli ultimi 4 metri sono i più ostici, perchè il camino strapiomba di brutto (V). Mi si incastra lo zaino mentre mi affanno con le dita congelate alla ricerca di una presa sicura. I poggioli per i piedi traballano. Una lama di roccia si stacca perchè toccata dallo zaino, così metto un braccio dietro la schiena, la recupero e la getto sull'altro versante, il tutto sospeso su quanto di più instabile si possa immaginare. Quindi mi faccio coraggio e con un colpo di reni esco da quel postaccio. Traversata Pesciöla - Drùet 57 Alpinismo Sono di nuovo al sole. Il Caspoc’ mi raggiunge con sorprendente facilità ancora prima che io sia riuscito a montare una sosta decente: «Tanto nemmeno io ti stavo facendo sicura!» Insistiamo verso l'alto lungo il filo. Un paio di brecce marce, placche non troppo inclinate e roccia friabile ci accompagnano verso un terza torre, a cui segue uno spuntone, quindi una groppa meno ostica che ci regala la cima della Foppa (m 2851, ore 3). Pranziamo augurandoci nevichi quanto prima per poter tornare su questa cima con gli sci. Dal comodo versante orientale ovviamente, non certo dalla cresta N! Ora vogliamo raggiungere il pizzo Occidentale di Cagamei, dal quale ci separano due anticime, che per brevità ho battezzato cima NO del Vag (m 2850 ca.) e cima SE del Vag (m 2866 su IGM), e altrettante selle. Per essere più rapidi aggiriamo la cima NO del Vag e, scendendo per ghiaioni rossastri andiamo alla base della successiva selletta. Volendo evitare alcune placche gelate dello spigolo, ci infiliamo in un camino-diedro (35 metri, IV+) sul lato N della seconda elevazione. Fa un freddo cane e al Caspoc’, che è il capocordata in questo momento, gelan via le mani. È sopra di me protetto solo da un paio di friend malmessi e non sente più le dita. In qualche modo riesco a raggiungerlo. Pure le mie estremità sono diventate fredde e insensibili. Non capisco nemmeno se sto afferrando o meno gli appigli! Decido perciò di non superare il successivo tetto, ma di traversare le esposte placconate sulla dx utilizzando solo i piedi. Guadagno così la cresta e presto siamo in cima. Alfredo Corti, che nel luglio 1925 con Augusto Bonola compì per primo la traversata dalla cima della Foppa al pizzo Occidentale dei Cagamei, sottolinea quanto siano delicati alcuni passaggi del tratto di cresta che ci aspetta. Infatti una serie di spuntoni aguzzi ed esposti ci fanno tribolare un po'. Contorno i primi due sul lato della val Malgina (sx), quindi scendo da una breccia per 5 metri verso S. Tocca al Caspoc’ star davanti e lui si dirige tosto in cima al dente successivo. 58 LE MONTAGNE DIVERTENTI Alpi Orobie In vetta alla cima della Foppa (27 ottobre 2014, foto Roberto Dioli). Nel passaggio più pericoloso della discesa dalla cima SE del Vag che separa la cima della Foppa dai Cagamei (27 ottobre 2014, foto Beno). La cima SE del Vag vista dalla bocchetta che la separa dal pizzo Occidentale di Cagamei (27 ottobre 2014, foto Beno). Cima della Foppa Cima SE del Vag (2851) (2866) Tra gli inquietanti spuntoni della cima SE del Vag. La foto è stata scattata nel punto indicato con un bollino giallo a pagina 53 (27 ottobre 2014, foto Beno). Estate 2016 L’itinerario per il pizzo Occidentale di Cagamei visto dalla sella alla base della sua cresta NNO (27 ottobre 2014, foto Beno). LE MONTAGNE DIVERTENTI La cima della Foppa e le cime NO e SE del Vag (27 ottobre 2014, foto Beno). Traversata Pesciöla - Drùet 59 Alpinismo Alpi Orobie ilitA’, in Stab o im x a m , o l l o maximo contr ologia maximo in tecn ore o liwood boxofic le n g le in a im n a strati W OMEGA pr Tecnologia GaRE14SSIVa - coda DUO tech - LO SPATola PRO Lo sci MAXIMO ha una struttura costruita con l’innovativa tecnologia LIWOOD BOX CORE che accoppia un’anima in legno leggero con fianchi in legno più resistente, il tutto avvolto in un box in fibra di vetro e fibra di carbonio che permette allo sci di rimanere leggero e performante migliorando durata e resistenza. 14 STRATI di materiali tecnologici rendono lo sci particolarmente affidabile e durevole. 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Ed ecco un'altra lama, questa volta un po' più solida. Poi torna tutto semplice fino alla depressione alla base della cresta NNO del pizzo Occidentale di Cagamei. Levati corda e imbrachi, dopo un bizzarro crepaccio nella roccia e alcuni metri di arrampicata in un diedro friabile sul lato N, prendiamo facilmente quota sulla groppa e tocchiamo facilmente il pizzo Occidentale di Cagamei (m 2913, ore 2:30). Sono le 16:30. Che fare? Tra un'ora inizia a diventar buio. Tuttavia vogliamo ammirare di profilo quanto appena arrampicato. Il Caspoc’, che l'ha già fatta, dice che la discesa dal passo del Drùet è banale. Allora ci lanciamo. Io sono stanco morto. Ci portiamo alla bocchetta del Vag, sopra la quale c'è il "salto del camoscio", una fascia rocciosa di 10 metri data IV grado. Superiamo questo ostacolo senza alcun timore e slegati, tanto da poter affermare che in precedenza abbiamo vinto almeno un paio di passi di V. Appoggiandoci agli sfasciumi sottocresta lato val Morta, siam presto accanto all'ometto di vetta del pizzo del Drùet (m 2868, ore 0:45), la cui ombra frastagliata si protende fino alla base della cresta che unisce la cima della Foppa e i Cagamei. La vista è bellissima, dal Coca alla punta di Scais, dal pizzo Recastello alla dentatura delle Alpi retiche! Il lago di nebbia che si era sciolto nel corso della giornata si sta andando a ricomporre sulla Valtellina, mentre sopra la lontana pianura Padana probabilmente è sempre stato compatto e LE MONTAGNE DIVERTENTI La vetta del pizzo Occidentale di Cagamei da NNO (27 ottobre 2014, foto Beno). La turrita cresta N della cima della Foppa dal vallone delle Fascere (27 ottobre 2014, foto Beno). impenetrabile. Scendiamo una spalla di sfasciumi fino al passo del Drùet (m 2756). Le nostre ombre si allungano fino a squagliarsi nella tenue luce del tramonto. Giù a dx per altri rottami e un canalone che si getta sul ghiacciaio delle Fascere. 100 metri sopra la vedretta, usciamo sulla dx per evitare il salto basale del colatoio. Il tepore del sole si spegne e la val d’Arigna è dipinta solo dai freddi colori dell’ora blu. Altra ganda, gelata e scivolosa, ci accompagna sul ghiacciaio delle Fascere. Ramponi su, poi ramponi via nello zaino e, lungo il gelato cordolo della morena, ci immettiamo nel vallone del Vag. L’aria pungente e malinconica della notte ci ricoda che un’altra fantastica avventura assieme si sta per concludere, così fantastichiamo su come sarebbe bello avere pane e salame, un thermos di tè caldo e due sacchi a pelo per poterci fermare quassù a cena e addormentarci contando le stelle che iniziano a punteggiare il cielo. Capita spesso di non voler più scendere dalle montagne e perciò indugiare, ma questa sera, dato che da bravo pirla non ho portato il frontalino e inizierò presto a inciampare contro ogni ostacolo, ci diamo una mossa. In alto a NE si disegna contro il cielo plumbeo il dentellato profilo della cresta N della cima della Foppa, davvero spaventoso. La stanchezza mi piega le gambe a ogni passo. All'alpe Drùet (m 1795) è notte fonda. Inizio a inciampare. Maledizione! Brancolando nel buio con un frontalino e un telefonino con una luce fioca, tutti e due del Caspoc che è più assennato di me, seguiamo il sentiero verso N. Ritrovata la carrozzabile per le Foppe, divalliamo alla centrale di Armisa (m 1041, ore 3:30). Traversata Pesciöla - Drùet 61 Alpinismo Valchiavenna Monte Gruf (m 2936) la vedetta della val Codera Da Colico o dal lago di Mezzòla, se si alza lo sguardo verso la val Codera, si è subito attratti dall’ampia piramide rocciosa che disegna la sovrastante linea dell’orizzonte. Si tratta del monte Gruf, una delle cime più alte della valle. Dalla sua sommità si gode un panorama stupendo, che va dal lago di Como alla val Bregaglia, ma nonostante ciò è visitato di rado, perché 2700 metri di dislivello positivo, di cui 1600 su terreno accidentato, sono sufficienti a scoraggiare la maggior parte dei pretendenti. Beno 62 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2016 LE MONTAGNE DIVERTENTI A dx, l’imbocco della val Codera e il sovrastante monte Gruf visti dalle rive del lago di Mezzòla (11 aprile 2011, foto Roberto MonteGanassa). Gruf (m 2936) 63 Alpinismo Valchiavenna Sas Becché (2728) Cima di Lavina (2307) Va l C od Bresciàdega lle Canìna Va o rt sè e lD Va o nc Co del le Val iga én ìna l ros Be G l l Va Va Bocch. di val Piana (2690) Val P iàna Pizzo di Prata (2727) Monte Gruf (2936) Monte Conco (2908) ér a nàsca d’Ar l a V e Av è r ta Va l l La val Codera e l’itinerario per il monte Gruf visti dal pizzo dell’Oro. In giallo la variante che permette di non percorrere per intero il fondo del canyon (27 giugno 2010, foto Roberto Ganassa). BELLEZZA Partenza: Novate Mezzola - frazione Mezzolpiano (m 316). Itinerario FATICA PERICOLOSITÀ automobilistico: dal faraonico svincolo di Piantedo seguire la SS 36 per Chiavenna. Si superano Nuova Olonio, Verceia, Campo Mezzola e, a Novate Mezzola, si imbocca sulla dx, poco dopo la stazione ferroviaria, la strada (cartelli indicanti la val Codera) per la frazione Mezzolpiano (m 316), dove si posteggia l’auto nell’ampio piazzale sterrato allo sbocco della val Codera (14 km da Piantedo). Itinerario sintetico: Novate Mezzola (Mezzolpiano, m 316) - Avedé (m 790) - Codera (m 825) - Saline (m 1045) - Bresciadega (m 1214) rifugio Brasca (m 1304) - valle Piana - bocchetta di val Piana (m 2690) - monte Gruf (m 2936). Tempo di percorrenza: 9:30 ore per la salita e almeno 6:30 ore per la discesa. Attrezzatura richiesta: scarponi e abbigliamento di varia grammatura in quanto si passa dal fondovalle a quasi m 3000. Corda, piccozza e ramponi servono in caso di neve residua. Difficoltà/dislivello: 3+ su 6, 2620 m in salita e sviluppo notevole. Dettagli: Alpinistica f. Non si incontrano grosse difficoltà tecniche, ma la val Piana è faticosissima e costituita da un lunghissimo canale di blocchi instabili. In caso di neve residua, la cresta E non va sottovalutata. Mappe: - Kompass n.92 - Valchiavenna e Val Bregaglia, 1:50000 (è però molto imprecisa nei toponimi e nei sentieri); 7 settembre 2013 - Il monte Gruf è forse la vetta più panoramica della val Codera, ben visibile sia dal lago di Como che da quello di Novate. Chissà che figata deve essere salirvi a dormire armati di solo sacco a pelo e aspettare prima il tramonto e poi l'alba! Domani metton bello solo mezza giornata e, se il proverbio “rosso di mattina il brutto tempo si avvicina” non mi tradisce, presumo che l'alba sarà infuocata e indimenticabile. C osì convinco Gioia, soprassedendo sui 2620 metri di dislivello positivo e sulle pietraie da incubo che foderano la val Piana. «Mi urlerà un po’ addosso penso tra me e me ma una volta che sarà in vetta e vedrà il paesaggio tornerà di buon’umore.» Giusto per scaramanzia, nella remota ipotesi in cui la perturbazione arrivasse un po’ in anticipo, acquistiamo strada facendo una tela cerata 64 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2016 LE MONTAGNE DIVERTENTI da 6 euro dal ferramenta. Alle 12:30 il Panda giace nel parcheggio e noi ci incamminiamo da Novate sul sentiero per la val Codera (Mezzolpiano, m 316). Caldo, caldissimo mentre contiamo i 42 tornanti nel bosco, salutiamo la vecchia ruspa abbandonata e le casette di Avedé (m 790). Dopo la scalinata in discesa, le gallerie para massi e valanghe e uno strappetto, ecco il cimitero, quindi il paesino di Codera (m 825, ore 2), con il suo campanile e, oltre la piazzetta, le tante case addossate le une alle altre. Sullo sfondo, l’inconfondibile sagoma del Gruf che ci attende. Fuori dall’abitato inizia la strada, grazie alla quale con le gip vengono smistate le merci giunte fin quassù con la teleferica. Speriamo che mai venga costruita Monte Gruf (m 2936) 65 Alpinismo la strada per Codera, speriamo che questo paradiso silenzioso rimanga tale e incontaminato. Speriamo che la follia dell’uomo non arrivi a realizzare opere tanto inutili quanto dannose. Chi sale a Codera lo fa per vedere un paese senza auto, se queste ci fossero non salirebbe più. Diretti a N, percorriamo la lunga valle ammirando gli inquietanti scorci sulle selvagge valli tributarie, la cui soglia sospesa e apparentemente inaccessibile è marcata da alte cascate. A Saline (m 1045) la val Codera piega a E. Superata Bresciàdega, sempre accanto all’ampio letto del torrente Codera raggiungiamo il rifugio Brasca (m 1304, ore 1:30). Lo sviluppo è fatto, ora rimane il dislivello! Camminiamo per 5 minuti oltre il Brasca in direzione del bivacco Pedroni, finché, sulla sx, si vede lo sbocco della val Piana. Guadato il torrente Codera entriamo nel canalone petroso cinto dagli alberi e iniziamo a risalirlo. Non serve troppo cammino per ritrovarsi tra alte e pericolanti pareti di roccia che fanno sembrare la val Piana un canyon che di “piano” non ha proprio nulla. Forse i topografi gli hanno attribuito questo nome per celia. Pietraie, pietraie, desolate pietraie in questa faglia tettonica riempitasi di detrito. Gioia si distrae nell’osservare incantata i colori e le fogge inusuali dei sassi. Il geologo Sante Ghizzoni, autore con Guido Mazzoleni del bellissimo volume Itinerari mineralogici in Val Codera, ci racconterà infatti sulla via del ritorno, che qui si trovano minerali endemici quali la yugawaralite. Quello che è un inferno dal punto di vista escursionistico, è quindi una mecca per i geologi! La faglia, tra l’altro, è la stessa da cui si generano le risorgenze termali del Màsino. Tra i rottami variopinti e instabili ogni tanto affiora un po’ d’acqua per rifocillarci. Incontriamo alcuni salti di roccia costituiti da grandi blocchi che sbarrano la strada (passi di II). Quello a m 2350 ca. è un po’ più rognoso, così ci affidiamo a una scoscesa rampa di erba e ghiaia (dx, E), che ci porta sulla vasta distesa di pietre della val Piana al di fuori del canyon. 66 LE MONTAGNE DIVERTENTI Valchiavenna Salendo a Codera. Sullo sfondo il monte Gruf (10 luglio 2010, foto Roberto Ganassa). Sguardo verso S dalla vetta del monte Gruf (13 aprile 2014, foto Giovanni Rovedatti). Nell’inquietante, ripido e interminabile canyon della val Piana che supera un dislivello di ben 1300 metri (25 marzo 2012, foto Beno). Gli ultimi metri per la vetta del Gruf quando c’è la neve (25 marzo 2012, foto Andrea Sem). La nostra scelta è inconsapevolmente saggia; infatti, più in alto, il solco è ancora colmo di neve e non sarebbe stato percorribile senza ramponi1. La bocchetta di val Piana è ben visibile in alto. Il sole è stato portato via dalle nebbie che vengono spalmate sui pendii da un ventaccio umido. Alle 19:20 siamo alla bocchetta di val Piana. Inquietante è lo scorcio sul canale che porta direttamente a pochi metri dalla vetta (passi di II-), vinciamo la gara col buio e alle 19:55 siam sul monte Gruf (m 2936, ore 5). Io sono ancora in mutande per il caldo, ma ci pensa il vento a farmi subito vestire. Accanto all’ometto c’è un piccolo spazio sul ciglio del precipizio che bonifichiamo per stendervi i materassini. Alle 21 ci corichiamo strigliati dal vento e senza aver goduto di alcun panorama. Nei sacchi a pelo si sta bene. 1 - Ho percorso nel 2012 l’intero solco della val Piana con Andrea. Era marzo e questo era colmo di neve e raggiungeva pendenze fino a 40°. tagliente spigolo O del monte Conco. Prendiamo a sx sulla ganda appena sotto i contrafforti della cresta NE del Gruf, finchè, in corrispondenza di un masso sotto cui vi è una specie di buco, troviamo il canale che sale sulla cresta NE del Gruf. Di tanto in tanto costruiamo degli ometti di pietra che ci serviranno l’indomani per scendere qualora la visibilità sia scarsa. Un po’ sullo spigolo, quindi tagliando per cenge lato S fino al Estate 2016 LE MONTAGNE DIVERTENTI Pioggia e nebbia alla spaventosa bocchetta di val Piana (8 settembre 2013, foto Beno). Gioia ne ha uno da -19°C, io invece sono in un sacco piuma più essenziale, ma che fa comunque il suo dovere. Gioia si accorge di essere sul ciglio del precipizio solo alle 22, dopo che le nebbie si sono sciolte e stiamo cercando la stella polare in un cielo incredibilmente limpido. Così facciamo cambio di posto prima che voli giù di sotto. A mezzanotte inizia a piovere e ci nascondiamo sotto la tel cerata. La affranchiamo con qualche sasso e la incastriamo alla bell’e meglio sotto i materassini. Il vento la scuote in continuazione e le gocce d’acqua che ci battono sopra completano lo stridente concerto che non ci fa più chiuder occhio. Guardo l’orologio ogni mezz’ora. Smetterà l’acqua, o almeno il vento? Macché! Niente foto: ho portato macchina, obiettivi e cavalletto per niente. Alle 6, benché la gita fotografica sia stata un fallimento, mi torna il buonumore: 1 ora e si può iniziare a scendere. Il lieto pensiero mi fa addormentare, così sono le 8 che ci tiriamo in piedi e in 3 minuti, con inusuale rapidità, facciamo gli zaini e scendiamo svelti nella nebbia prima che il freddo ci immobilizzi gli arti. Gioia ha lo sguardo di quella che non mi ha ancora ucciso solo perché le servo per ritrovare la strada. Le capre sono a 200 metri da noi, non hanno freddo, non cercano riparo e ci dimostrano quanto siano superiori all’uomo! La discesa è un calvario un po’ per la scarsa visibilità, un po’ per i massi che rotolano spontaneamente o scalzati dai nostri piedi: a scendere la val Piana ci vuole quanto a salirla. Per fortuna ieri abbiamo fatto gli ometti di pietra, così non perdiamo mai la bussola. Entriamo al Brasca fradici, stanchi e affamati: «Abbiamo solo 20 euro esordisco io - riuscite a darci qualcosa da mangiare?». «Ma da dove venite?» «Abbiamo passato la notte in vetta al Gruf.» «Eh?? Non preoccupatevi i soldi che avete saranno sufficienti». Così i ragazzi che gestiscono il rifugio ci nutrono a dovere, mentre il caminetto acceso ci asciuga un po’ i vestiti. Nel tavolo accanto al nostro vi sono cercatori di funghi e di minerali, tra cui Sante Ghizzoni che ci parla un po’ della geologia della val Codera, oltre che della grande frana che ha coinvolto la valle Piana qualche anno fa, rendendola di difficile accesso. Ci racconta che si era pure formato un lago nel fondovalle. Siamo di ritorno a Novate sudati e puzzolenti che sono le 16 passate. Alla fine è stata una bella avventura, e, come promesso, indimenticabile! Monte Gruf (m 2936) 67 V al C odera la vita d’una volta Valchiavenna Sergio Scuffi Codera negli anni ‘50 (foto archivio Roberto Giardini). La val Codera è una delle poche zone alpine rimaste senza collegamento stradale col fondovalle. Ciò ha contribuito a mantenere una forma di isolamento che, se da un lato ha impedito qualsiasi apprezzabile sviluppo economico, ha però salvaguardato il mantenimento dell’ambiente naturale e di arcaiche professioni, legate all’andamento delle stagioni e allo sfruttamento delle risorse del territorio. ECONOMIA normi e incredibili muri a secco testimoniano il costante lavoro che, di generazione in generazione, ha impegnato gli abitanti della valle nella bonifica dei pendii montuosi al fine di ricavare gli spazi coltivabili dai quali traevano il proprio sostentamento. Nei minuscoli campi, ottenuti anche con il faticoso trasporto della terra, si produceva quanto poteva servire per un’economia di autosussistenza: canapa e lino per i tessuti, e generi alimentari quali orzo, segale, granoturco e patate1. Molto importanti erano i castagneti, un tempo diffusi e curati, ora quasi del tutto abbandonati e afflitti da gravi malattie2. Da una decina di anni, tuttavia, la castagna è stata rivalutata. Qui si prepara infatti una particolare marmellata ricavata dai marroni, la cui lavorazione vede coinvolti anche turisti e volontari. Altra risorsa della val Codera erano gli alpeggi, frequentati nei mesi estivi con le mucche da latte3 per ottenere formaggio e burro di ottima qualità e, al contempo, risparmiare e accantonare per la stagione fredda il poco foraggio che si otteneva dai prati della Piana di 1 - Notizie ricavate dal volumetto Val Codera, montagna per tutte le stagioni, a cura dell’Associazione Amici Val Codera, Lyasis Edizioni, Sondrio 1997. 2 - Tra queste vi sono il mal dell’inchiostro, già noto nel 1860 e il cancro corticale, individuato nel 1938. 3 - Ma anche pecore e capre. E 68 LE MONTAGNE DIVERTENTI Chiavenna. Quest’ultimo infatti era prevalentemente paludoso fino alla fine dell’Ottocento, quando si intrapresero i lavori di arginatura del fiume Mera e le successive opere di bonifica. In loco venivano reperiti anche i materiali per la costruzione delle abitazioni: innanzitutto il granito, poi il legno. La pietra era utilizzata soprattutto per i muri, la copertura dei tetti con le “piòde”, la realizzazione di scale, ballatoi, sostegni per le grondaie, stipiti, soglie e davanzali, tavoli esterni, panche, vasche per l’acqua e addirittura mangiatoie per le stalle. Il legno, di cui non vi era molta disponibilità, serviva per porte e finestre, solai, travi di portata per i tetti. Estate 2016 Cava in val di Monte (anni ‘60, foto archivio Roberto Giardini). Codera negli anni ‘70 (foto archivio Roberto Giardini). Giuseppe Penone a Gruf (anni ‘60, foto archivio famiglia Penone). Bresciadega negli anni ‘50 (foto archivio Roberto Giardini). Essendo poca la superficie adatta ad essere edificata, le case si innalzavano anche per 3-4 o più piani, all’interno dei quali si realizzavano locali essenziali quali la cucina, la stüa4 e le camere. IL GRANITO Il granito fa parte della storia di Novate, dove antiche cave hanno impegnato generazioni di scalpellini (picapréda) nella preparazione di manufatti per i lavori di pavimentazione di vie e piazze in varie città della pianura (Milano, ma anche Pavia e Bologna), oppure per la costruzione di strade e ferrovie. Il lavoro delle cave, inizialmente ubicate solo nel fondovalle5, si estese anche al resto del comune di Novate, cominciando presso La Riva nel 1805, per interessare poi anche varie località della val Codera, da dove il prodotto veniva 4 - La stüa era il locale principale dell’abitazione ed era riscaldato con la pigna, una particolare stufa in pietra. 5 - Tra le prime vi fu la storica cava presso il tempietto di San Fedelino, aperta nel 1785 e da cui prese il nome il granito locale. LE MONTAGNE DIVERTENTI fatto scendere tramite teleferiche a contrappeso6. I primi addetti provenivano dalla val d’Intelvi, poi si passò a impiegare molta manodopera locale7. Fra i vari compiti svolti dagli addetti alle cave vi erano il minör, che si occupava delle mine per staccare enormi blocchi dalla montagna, il taiör, che ricavava i pezzi delle dimensioni volute, il fatüràant che li lavorava con precisione, e infine il ferée che faceva la manutenzione ai vari ferri di lavoro. Tra le piaghe che affliggevano lo scalpellino, oltre agli acciacchi legati alle condizioni climatiche talvolta estreme del lavoro all’aperto, vi erano i ricorrenti e gravi infortuni agli arti, oltre alla silicosi (pucéra), grave malattia respiratoria causata dalla polvere inalata in cava per un’intera vita. 6 - Queste erano chiamate telèfori: la prima fu installata in val del Munt, poi fu il turno di Montagnola, di San Giorgio e delle altre località in quota. 7 - Nel 1890 si contavano un centinaio di scalpellini, che divennero più di 700 fra le due guerre mondiali, il periodo di maggiore sviluppo dell’attività estrattiva. ERA MEGLIO VIVERE IN ALTO Il fondovalle, come già detto paludoso fino a fine ‘800, era infestato dalla malaria, per non parlare delle frequenti incursioni di varie truppe impegnate nelle interminabili guerre per il controllo delle valli della Mera e dell’Adda. Ciò fece sì che per diversi secoli la gente della zona preferisse vivere in alto, nei paesi della val Codera, tanto che durante il periodo della dominazione dei Grigioni (15121797) il comune di Novate, diviso in quattro quartieri (Codera, La Cola con San Giorgio, Novate, Campo) spesso aveva come sindaco proprio uno di Codera, che risultava la frazione con il maggior numero di abitanti. Le condizioni di isolamento della valle ne fecero, in varie occasioni, luogo di rifugio per ricercati o perseguitati: dal chiavennasco Francesco Dolzino, che con i suoi volontari fuggiva dagli Austriaci dopo le insurrezioni del 1848, ai gruppi di partigiani nel periodo della Resistenza, alle Aquile randagie, ragazzi del gruppo di scout di Val Codéra, la vita di una volta 69 Approfondimenti Valchiavenna Milano e Monza che svolgeva attività giovanili clandestine durante il periodo del fascismo e fu perciò dichiarato fuorilegge nel 19278. DEMOGRAFIA nche qui, come altrove, dagli anni ‘60 si assistette a un progressivo spopolamento. Lo evidenziano bene le precise e dettagliate informazioni fornite da Roberto Giardini, presidente dell’Associazione Amici della Val Codera: «Per quanto riguarda l’andamento demografico, a Codera nel XVII secolo venivano registrati circa 500 abitanti, numero rimasto stabile sino alla fine del XIX secolo. Con l’apertura delle cave a Novate cominciò la discesa a valle, ma i residenti in tutta la valle nel 1933 erano ancora 500. Dopo la Seconda Guerra Mondiale gli abitanti scesero a circa 120, quindi il declino fu lento, ma inesorabile: 21 abitanti negli anni ‘80, mentre ora ci sono solo 7-8 persone che passano tutto l’anno a Codera. Codera perciò non è mai disabitato, come invece capita a San Giorgio, Cola, Cìi e Avedée: Cìi, che nel 1888 contava 33 abitanti, si svuotò con la morte degli ultimi 3 residenti negli anni ‘90, mentre ad Avedée l’ultimo residente scese a valle all’inizio degli anni 2000.” A TURISMO Nonostante le condizioni di vita siano cambiate, le particolarità della val Codera continuano ad attrarre moltissimi escursionisti, invitati anche dalla presenza di alcune strutture di accoglienza che offrono possibilità di vitto e alloggio. Incontriamo, a partire da Codera, La Locanda (m 824, tel. 338/1865169) e l’Osteria Alpina (m 851, tel. 0343/62037), entrambe gestite dall’ Associazione Amici della Val Codera; più su vi è il rifugio Bresciadega (m 1214, tel. 0343/44499) nella località omonima, infine il rifugio Brasca (m 1304), all’alpe Coeder (verificare periodi di apertura presso Consorzio per la promozione turistica della Valchiavenna, tel. 0343/37361). Un’opera che sicuramente avrà notevoli riflessi positivi è il recente recupero 8 - Oggi questi gruppi di scout sono tra i più assidui frequentatori della val Codera. 70 LE MONTAGNE DIVERTENTI Giovani in festa a Codera (anni ‘30, foto archivio Roberto Giardini). del Tracciolino, percorso panoramico per pedoni e mountain bike che, dalla val dei Ratti, a monte di Verceia, conduce fino a Codera. Fu costruito dalla Falck all’inizio degli anni ’30 come viottolo di servizio ed ispezione agli impianti idroelettrici in val Codera e val dei Ratti, collegando le chiuse delle due valli con un percorso pianeggiante che, con tratti in galleria, asseconda le pieghe del monte per 12 km. Degno di menzione, infine, è l’operato dell’Associazione Amici della Val Codera, nata nel 1981. Il sodalizio, senza scopo di lucro e che raccoglie persone della valle, di Novate e semplici amanti di questi luoghi, promuove ricerche e studi per favorire la permanenza degli insediamenti e delle attività umane, anche attraverso il recupero di lavori e produzioni tradizionali. Inoltre fa conoscere le particolarità del territorio anche all’esterno e gestisce il Museo Storico Etnografico Naturalistico della Val Codera, ubicato a Codera al piano terra della Casa di Valle e in due attigui antichi edifici del borgo9. SEVERINO PENONE, “CODERÀTT” PUROSANGUE. La sua famiglia viveva a Codera, ma la mamma per metterlo al mondo scese a Novate Mezzola, dove Severino nacque il 23 giugno 1928. 9 - Informazioni e prenotazioni: tel. 0343/62037; 338/1865169; 02/58104576; email: info@ valcodera.com Ben presto fu riportato su, e iniziò, per lui come per i suoi coetanei, la vita dei bimbi di montagna, da subito abituati a curarsi di mille piccole incombenze: dopo la messa al mattino presto, subito in stalla a “regolare” le bestie, poi a scuola, quindi di nuovo all’opera a cercare legna, custodire le mucche al pascolo o rintracciare le capre su per le rocce e i valloni. Purtà, sempre purtà, un verbo che ben sintetizza la vita di montagna, e che Severino conobbe bene: rifornirsi di viveri a valle, trasportare giù i prodotti dei pochi campi, un po’ di formaggio che si vendeva per procurarsi dei soldi (o a volte si barattava direttamente per ottenere altri prodotti o prestazioni di lavoro); ingrassare i campi, procurarsi la legna; e ancora radunare le pietre o le piode per costruire la casa o i ricoveri per gli animali. «Se andavi a caccia - ricorda Severino - dovevi caricarti sulle spalle l’animale abbattuto, magari di frodo, e quindi compiere lunghi giri attraverso percorsi fuori mano per non imbatterti nelle guardie.» Poi vi era il contrabbando, valicando le montagne tramite il passo della Teggiola per raggiungere la Bregaglia svizzera e procurarsi un carico di sigarette (ciò richiedeva dalle 8 alle 10-12 ore con un carico di 30-40 kg). Con un po’ di ironia, e quasi per giustificarsi, Severino tiene a precisare che «quèl l’era per mangià…», e lo stesso ripete per la caccia. L’impressione che si ha ascoltandolo è che facesse il contrabbanEstate 2016 Severino col sacco (fine anni ‘30, foto archivio fam. Penone). diere non solo per il guadagno, ma anche per un desiderio d’avventura. Diventato adulto, Severino, come tanti suoi coetanei, lavorò come scalpellino, si dedicò alla campagna, trovando anche occupazione nel taglio dei boschi. Eletto presidente del locale consorzio, si ingegnò nel costruire una teleferica, riuscendo a munirla di motore. La sua abilità in cava e nel maneggio delle teleferiche gli procurò del lavoro anche in Svizzera e in Valmalenco, nelle cave di talco, che poi veniva lavorato a Novate. È proprio a Novate, presso lo stabilimento della Mineraria Valtellinese, che fu assunto. Ma il richiamo della montagna, della pietra e delle cave era ciò che lo attraeva di più, tanto che, appena il fratello mise su una cava in proprio nella val de Munt, lo seguì come scalpellino. Purtroppo quasi subito un grave inciLE MONTAGNE DIVERTENTI Severino Penone (22 maggio 2016, foto Sergio Scuffi). dente provocato dallo scoppio di una mina gli fece perdere un occhio e il suo ultimo lavoro fu quello di magazziniere presso l’Ospedale di Chiavenna. Fra i ricordi di Severino, quarto di sei fratelli e cresciuto in un paese che ancora contava oltre 150 abitanti, vi è la scuola, tenuta da una sola maestra che si occupava di quattro classi in due turni: il mattino i più grandicelli, il pomeriggio le classi I e II. Nella mente rivive ancora, con nostalgia, le varie tappe della transumanza, per salire gradualmente di quota, prima al Piazzo per «far mangiare il fieno» custodito nella stalla, poi più su, verso gli alpeggi di Arnasca, Averta e Sivigia. Non rimpiange invece il tempo di guerra, specialmente dopo l’8 settembre 1943, quando stavano tutti in allerta per avvistare eventuali incur- sioni di tedeschi o fascisti, per avvertire in tempo e far allontanare dalle case eventuali ricercati. Tra questi, un fuggiasco illustre fu accompagnato dallo stesso Severino fino al confine con la Svizzera: si trattava nientemeno che di Enrico De Nicola, il futuro presidente della Repubblica, che al suo rientro, pochi giorni prima della Liberazione, riconobbe ancora con gratitudine il suo giovane accompagnatore. Sebbene le esigenze di famiglia e di lavoro abbiano indotto Severino a trasferirsi a Novate già attorno ai 20 anni, ha sempre continuato a frequentare la sua Codera con assiduità. Nel salutarmi dopo la nostra chiacchierata, Severino mi assicura: «Trà un po’ de dè me pàsi sö…» Val Codéra, la vita di una volta 71 Escursionismo 7 Alta Via della Valmalenco 7 tappa a Dal gruppo del Bernina ai piedi del pizzo Scalino, dal rifugio Bignami al rifugio Cristina, si cammina contornando la diga di alpe Gera e percorrendo la val Poschiavina e la valle di Campagneda coi suoi splendidi laghetti. Eliana e Nemo Canetta Il pizzo Scalino riflesso nei laghi di Campagneda (5 giugnoLE2012, foto Roberto Moiola). MONTAGNE DIVERTENTI 72 Estate 2016 LE MONTAGNE DIVERTENTI Alta Via della Valmalenco (VII tappa) 73 Escursionismo La VII tappa è tra le più semplici dell’Alta Via della Valmalenco. Gli aspri paesaggi d’alta montagna lasciano spazio alle placide praterie e alle rocce levigate che guidano ai piedi della parete nord del pizzo Scalino. Questa è l’unica delle otto tappe a valicare il confine svizzero, nel passaggio dalla valle Poschiavina a quella di Campagneda. Cima di Caspoggio (3136) Sasso Moro (3103) Forc. di Fellaria (2819) Bocch. di Caspoggio (3136) Rif. Bignami (2401) La prima parte della VII tappa dell’Alta Via della Valmalenco e la via di accesso al rifugio Bignami (www.rifugiobignami.it, tel. 0342/451178) da Campo Moro, viste dai pendii che sovrastano l’alpe Gembré (3 ottobre 2009, foto Roberto Ganassa). BELLEZZA FATICA PERICOLOSITÀ - 74 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2016 Partenza: rifugio Bignami (m 2401). Varianti d'accesso: per chi non si trova già al rifugio Bignami, lo può raggiungere con 1:15 ore di cammino dai piedi della diga di alpe Gera. In auto, da Lanzada si deve percorrere la strada asfaltata che tocca Franscia, Campo Moro e, dopo aver costeggiato la diga omonima, supera la galleria che dà accesso all’ampio spiazzo con parcheggio a circa m 2020. A piedi, si segue la strada in direzione N, quindi, prima dello scarico della diga, si piega a dx per sentierino. In breve si intercetta la strada di servizio che termina alla bianca casa del guardiano. Da qui un’aerea passerella porta sulla sommità dello sbarramento (trivio). Si traversa il coronamento della diga verso NO (sx), portandosi così in dx orografica della valle e si risale con una lunga diagonale a mezza costa l’ampio e ripido pendio prativo che costituisce la sponda NO del lago fino al rifugio Bignami. È anche possibile portarsi subito in val Poschiavina, decisione che fa sì risparmiar tempo ma che fa anche tagliare l’interessantissima parte iniziale della VII tappa. Questa variante è possibile grazie alla stradella intagliata sul versante NO del monte Spundascia che si diparte dal trivio posto al margine SE del coronamento della diga. Oltrepassata una galleria, si è a uno splendido belvedere sulla testata della valle, rigata dalle cascate che scendono dalle due lingue del ghiacciaio di Fellaria. Poco dopo c’è un bivio. Si LE MONTAGNE DIVERTENTI lascia a sx il sentiero che porta all’alpe Gembré, per prendere a dx la stradetta che sale ripida e raggiunge una sorta di selletta (m 2218). Più oltre, un robusto ponte permette di superare il torrente Poschiavino e di arrivare all’omonima alpe, ove si incrocia il tracciato principale dell’AV (ore 0:45 dal parcheggio). Itinerario sintetico: rifugio Bignami (m 2401) - alpe Gembré (m 2214) - alpe val Poschiavina (m 2228) - passo Canciano (m 2464) - passo di Campagneda (m 2615) - laghi di Campagneda - rifugio Cristina (m 2233). Tempo previsto: 5 ore e mezza. Attrezzatura richiesta: da escursionismo. Difficoltà/dislivello: 2 su 6, 600 m in salita e 700 m in discesa (sviluppo 14 km). Dettagli: E. Escursione su sentieri segnalati (n. 301-305) da bandierine bianco-rosse e dai triangoli gialli dell'Alta Via della Valmalenco. Tratti malcerti nell’attraversamento delle piane di Campagneda e Prabello. Mappe: - Comunità Montana Valtellina di Sondrio, Cartografia Escursionistica, Fogli 1-2: Valmalenco Versante retico, 1:30000; - Valmalenco. Speciale Alta Via della Valmalenco, 1: 30000, allegato omaggio al n. 29 de LMD. Alta Via della Valmalenco (VII tappa) 75 Escursionismo Valmalenco Sasso Moro (3103) Monte Spundascia (2867) Sassi Bianchi (2679) Monte di Acquanegra (2807) Monte Palino (2686) Rif. Bignami Il rifugio Bignami, il ghiacciaio di Fellaria Orientale e, al centro, il piz Varuna (10 luglio 2015, foto Roberto Ganassa). Gli accessi alla valle Poschiavina dall’alpe Gembré (Alta Via della Valmalenco - rosso) e dalla diga di alpe Gera (giallo) visti dai pressi del rifugio Bignami (www.rifugiobignami.it - tel. 0342/451178). La struttura offre 70 posti letto e nel 2016 aprirà il 2 giugno (6 agosto 2013, foto R. Ganassa). Attraversando gli impetuosi torrenti che fuoriescono dalle lingue del ghiacciaio di Fellaria (12 luglio 2015, foto Luciano Bruseghini). D al rifugio Bignami (m 2401) scendiamo in direzione NNE nella valletta del torrente dell’alpe di Fellaria. Ci abbassiamo fino a circa m 2200, quindi andiamo ad attraversare le morene, ormai in gran parte inerbate, di quella che era a metà del XIX secolo la fronte comune delle due lingue del ghiacciaio di Fellaria1. Dinnanzi a noi, da un’erta parete, scendono le cascate degli emissari di queste lingue oggi fortemente riti1 - Dal vasto altopiano nevoso posto tra i m 3400 e i m 3800 compreso tra i pizzi Palù, Bellavista e Zupò hanno origine tre grandi colate glaciali: Fellaria Occidentale, Fellaria Orientale e Palù. L’apparato, noto come Fellaria-Palù, nel 2007 misurava complessivamente 915 ha ed è in costante ritiro. Benché oggi sia difficile da credersi, all’apice della Piccola età glaciale (1850 circa) la lingua della colata maggiore, quella di Fellaria Orientale, si raccordava con quella di Fellaria Occidentale e scendeva fino ad occupare il piano di alpe Gera, dove oggi si trova l’omonima diga. La vedretta di Fellaria Orientale si è progressivamente ritirata perdendo nel 2006 la propria continuità in corrispondenza dell’alto gradino roccioso a quota m 2900, quello che ben si vede dal rifugio Bignami. La parte inferiore della vedretta, adagiata sul ripiano sottostante, è alimentata oggi solo dai crolli di ghiaccio e si sta perciò velocemente disfacendo, come testimoniano i numerosi laghetti epiglaciali e marginoglaciali comparsi (fonte: AA.VV., I ghiacciai della Lombardia. Evoluzione e attualità, HOEPLI, Milano 2011). L’alpe Gembré e il lago di alpe Gera (5 agosto 2009, foto Roberto Moiola). 76 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2016 LE MONTAGNE DIVERTENTI rate. Tenendoci un poco alti rispetto al sottostante lago di Gera2, superiamo vari torrentelli su apposite passerelle di legno, per andare a risalire a mezza costa la val Confinale, ai piedi della cresta occidentale della cima Fontana. In tal modo giungiamo all’alpe Gembré (m 2214), un gruppo di caratteristiche baite in sasso tra le meglio conservate dell’intera Valmalenco e che ancora oggi viene utilizzato benché sia raggiungibile solo a piedi. Trascurato il sentiero che sale ad E al passo Confinale e al bivacco Anghileri-Rusconi, continuiamo in 2 - Nel solco principale dell’alta val Lanterna non vie erano laghi naturali, quando negli anni ‘50 iniziarono i lavori per la realizzazione di due imponenti dighe per l’accumulo delle acque provenienti dai ghiacciai del Bernina: Campo Moro e alpe Gera. Il maggiore dei due sbarramenti, quello di alpe Gera, fu teso tra Sasso Moro e monte Spundascia e fu il primo al mondo ad essere realizzato con la tecnica di invenzione italiana del Calcestruzzo Rullato Compattato (RCC). È alto come un grattacielo di 58 piani e potrebbe contenere al suo interno l’intero Duomo di Milano. Il lago artificiale che genera ha una capacità di 68 milioni di m3, pari cioè a 63000 piscine olimpioniche! L’indotto energetico complessivo associato ai due bacini è di 723 milioni di kWh/ anno, pari al fabbisogno di 350000 famiglie: una popolazione enormemente superiore a quella dell’intera provincia di Sondrio. piano in direzione SSO aggirando la cresta occidentale dei Sassi Bianchi. Il sentiero scende ora verso il lago, passando da una sorta di galleria naturale e poco dopo, con uno zig zag, si rialza verso sx (ESE) per raggiungere la sella, oltre la quale ci si affaccia di colpo alla verdeggiante val Poschiavina. Restando sempre sul lato orografico dx, in poche decine di metri siamo all’alpe Val Poschiavina (m 2228, ore 1:30), costituita da una nuvola di baitelle a un solo piano, molte recentemente ristrutturate3. Qui incontriamo il sentiero che giunge direttamente dal coronamento della diga di alpe Gera. A questo punto dobbiamo risalire tutta la val Poschiavina che, come suggerisce il nome, costituiva un tempo il collegamento più diretto e più facile tra la Valmalenco e la valle di Poschiavo. Il sentiero pianeggia, non lungi dal torrente, sino a un risalto che superiamo senza particolare 3 - Gli ampi pascoli della valle Poschiavina sono sfruttati nei mesi estivi da Antonio e Mario Nana (40 mucche), Guido Rossi (10 mucche), Valentino Nana (10 mucche) e da Annamaria Nana con 10 capre (informazioni raccolte da Andrea Sem). Alta Via della Valmalenco (VII tappa) 77 Escursionismo Valmalenco Il Sasso Moro e il lago di alpe Gera incorniciati nella grotta naturale che si trova lungo il sentiero che dall’alpe Gembré porta nella valle Poschiavina (12 settembre 2010, foto Roberto Ganassa). Le minuscole baite dell’alpe Val Poschiavina sono raccolte sotto il fianco roccioso dei Sassi Bianchi sulla dx orografica della valle, famosa anche per la presenza di numerose e belle vie di arrampicata su serpentino (12 agosto 2011, foto Roberto Ganassa). fatica per affacciarci alla parte mediana della valle, dominata a mezzodì dalle rupi e dalle torri nerastre del monte Spundascia4. Il tracciato, ben segnalato in questa sezione, si allontana dal torrente Poschiavino per la presenza di aree paludose e torbose. Alle nostre spalle appare in tutta la sua grandiosità il gruppo del Bernina. Di nuovo accosti al torrente giungiamo a un nuovo risalto e a una strettoia tra alcune ciclopiche rocce. Ancora poco dislivello e siamo alla testata della valle, caratterizzata dalla cresta poco rilevata della quota m 2501 che unisce il passo di Canciano con il passo d’Ur (o della Poschiavina). Noi ci dirigiamo al primo mantenendo la direzione SE e puntando a una bassa barriera di rocce, assai più facile di quel che sembra e che si supera utilizzando alcuni cengioni. Abbiamo così guadagnato il passo di Canciano (m 2464, ore 1:30). Non lontano incrociamo la segnaletica bianco-rossa di un sentiero elvetico che, sconfinando nel nostro 4 - Spondascia su CTR. 78 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2016 LE MONTAGNE DIVERTENTI territorio, collega il passo di Canciano con quello d’Ur traversando con panoramico percorso il versante meridionale del Corno di Campascio e del Corno delle Ruzze. Trascurato questo sentiero, ci dirigiamo a SO verso una paretina rocciosa attrezzata, cui segue una ripida valletta, nevosa all’inizio di stagione. In tal modo puntiamo alla linea di confine italo-elvetica che valichiamo verso m 2400. Lo spartiacque in questa area è poco definito poiché le morene, abbandonate da pochi decenni dal ghiacciaio dello Scalino, non sono ancora ben assestate. Oltre un laghetto tocchiamo il cippo confinario n. 1 (m 2518) e rientriamo in territorio italiano non lungi dall’incrocio con il sentiero che sale da Poschiavo. A mezzodì (sx) cupi roccioni nascondono la vedretta del pizzo Scalino, mentre noi ci dirigiamo a ONO su un altopiano ricco di fenomeni geomorfologici d’alta quota, come i suoli poligonali5, e con specie 5 - Con suolo poligonale si intendono le varie e spesso simmetriche forme geometriche in cui si conforma il materiale del suolo in aree lasciate scoperte dal ritiro dei ghiacciai. arboree caratteristiche delle aree periglaciali, come i salici nani striscianti. A questo punto lasciamo sulla sx una sorta di canyon ove è la ripida e stretta lingua terminale della vedretta del pizzo Scalino6 e valichiamo su un ponticello l’impetuoso torrente che ne esce. Dalla passerella risaliamo le coste moreniche sino ai laghetti a m 2565, da quali continuiamo a prender quota, tenendo la dx, sino all’arco di legno che indicava il punto più elevato della skyrace Valmalenco Valposchiavo7. 6 - Il ghiacciaio del pizzo Scalino occupa gran parte dell’altopiano a N della dorsale rocciosa tra pizzo Scalino e pizzo Canciano. Il ritiro della fronte dalle misurazioni di Marson del 1885 ai rilievi del 2007 è stato stimato in 1170 m, ma, data la morfologia della vedretta, è stata la perdita di spessore quella più significativa. Nel 2007 il ghiacciaio misurava ancora 151 ha, dopo essersi ridotto di quasi un quarto dal 1990. 7 - La skyrace Valmalenco Valposchiavo è stata una gara di corsa in montagna internazionale che si è disputata dal 2002 al 2012. Gli atleti partivano da Lanzada e, dopo aver superato il passo di Campagneda, scendevano in Svizzera a Poschiavo, dov’era posto il traguardo. 31 km e 1850 metri di dislivello positivo, che il campione del mondo di corsa in montagna Marco De Gasperi ha coperto nell’edizione 2007 in sole 2 ore e 32’, record della gara. Purtroppo le difficoltà economiche ed organizzative per mantenere la manifestazione ai livelli di eccellenza che l’avevano caratterizzata nel corso degli anni, hanno portato il comitato organizzatore a deciderne la definitiva sospensione. Alta Via della Valmalenco (VII tappa) 79 Escursionismo Presto siamo al minuscolo ma caratteristico altopiano del passo di Campagneda (m 2615, ore 1), aperto tra le pendici del pizzo Scalino e la lunga cresta ESE del monte Spundascia8. Un canale di rottami permette di perdere rapidamente quota sin verso i 2550 m, ove una frana ha interrotto il vecchio e facile sentiero. Ci affidiamo perciò alle roccette sulla dx, attrezzate con catene. Un ultimo pendio di sfasciumi ci deposita nella conca ove sono sparsi i sette laghi di Campagneda, tipici bacini di escavazione glaciale. Il sentiero diviene nuovamente agevole e, per coste e vallette, porta a toccare il lago di quota m 2349, che si lascia però sulla dx per scendere lungo una placida valletta e affacciarsi all’ampia e verdeggiante piana di Campagneda, dominata a S dalla caratteristica piramide del pizzo Scalino. Trascurato il sentiero che, dirigendosi a occidente, porta al rifugio Ca’ Runcasch ed al rifugio Zoia, pieghiamo a sx, prestando attenzione alle segnaletiche sparse nella prateria e di non sempre facile individuazione. In un chilometro ci portiamo così alla sella nei pressi della quota m 2344, ultima propaggine di uno sperone che 8 - In questa zona si faccia attenzione alle segnaletiche, che portano direttamente alla sella dalla quale è agevole divallare verso Campagneda. Valmalenco Attraversando praterie e rocce montonate nella valle Poschiavina. Sullo sfondo il Sasso Moro (12 luglio 2015, foto Luciano Bruseghini). Il pizzo Scalino dai pascoli della valle di Campagneda (30 giugno 2014, foto Roberto Ganassa). Il rifugio Cristina (www.rifugiocristina.altervista.org, tel. 0342 452398) si trova in posizione rialzata a SE delle baite dell’alpe Prabello (30 giugno 2014, foto Roberto Ganassa). Pizzo Canciano, a sx, e pizzo Scalino, a dx, dal laghetto nei pressi del passo d’Ur, non lungi dal passo di Canciano (12 agosto 2011, foto Roberto Ganassa). Il Disgrazia al tramonto specchiato in uno dei laghi di Campagneda (22 settembre 2012, foto Roberto Ganassa). 80 LE MONTAGNE DIVERTENTI scende dal sovrastante Cornetto, anticima nord-orientale del pizzo Scalino. Sull’opposto versante scendiamo a un torrentello che guadiamo, per puntare a una nuova sella nei pressi della quota m 2326. Da qui ammiriamo i vasti ripiani superiori di Prabello, a cui puntiamo per andare ad incontrare il sentierino che collega il rifugio Cristina al Cornetto e che costituisce l’accesso alla via normale al pizzo Scalino dal versante malenco. Traversiamo così tutto il ripiano superiore di Prabello contenuto tra antiche morene inerbate, e, con un ultimo breve strappo, siamo al rifugio Cristina9 in posizione leggermente rialzata a SE delle baite dell’alpe Prabello10 (m 2233, ore 1:30). 9 - La storia del rifugio inizia nel 1918, quando Ersilio Bricalli costruì una baita sopra un rilievo a SE dell’alpe. L’anno seguente venne edificata la chiesetta dedicata a Maria SS. Regina della Pace e il parroco, don Giovanni Gatti, spinse perché quella casetta appena eretta divenisse un ristoro per tutti i pellegrini che giungevano a visitare il piccolo santuario. Fu così che Ersilio cominciò l’attività di rifugista e dedicò la capanna a sua moglie Cristina. Nel 1947 la conduzione passò al figlio Olivo, che ne curò la gestione fino al 1967 quando cedette il testimone alla figlia Franca che lo amministrò insieme al marito Pio Negrini. Dal 2012 è toccato alla quarta generazione, le figlie di Pio, Vania e Valentina, prendere le redini del rifugio (tratto da Luciano Bruseghini, Alpe Prabello e lago del Mufulé, LMD n. 16 Primavera 2011, pgg. 89-97). 10 - Le baite, benché si trovino sul territorio comunale di Lanzada, sono di proprietà del comune di Caspoggio, che ne consentiva l’uso civico alle persone che caricavano l’alpeggio nei mesi estivi. Oggi, quasi tutte ristrutturate, vengono godute, oltre che da Maurizio Negrini che qui ancora montica i suoi animali, dai discendenti degli antichi pastori. L’alpe Prabello. L’edificio più grande, sulla sx, è il rifugio Cristina (30 giugno 2014, foto Roberto Ganassa). Estate 2016 LE MONTAGNE DIVERTENTI Alta Via della Valmalenco (VII tappa) 81 Escursionismo U na vita in alpe Intervista a Eulalia Picceni Valmalenco Luciano Bruseghini Da diversi anni i miei genitori conoscono Eulalia Picceni e i suoi familiari perché ogni estate si recano all’alpe Gembré a raccogliere erba iva e ad acquistare l’impareggiabile burro che Eulalia, classe 1933, produce nei due mesi che trascorre in quota col bestiame. Inoltre mia madre, essendo stata l’insegnante di quattro dei suoi nove figli, ha mantenuto con lei un legame confidenziale. Così approfitto di questa amicizia per recarmi in fondo alla valle di Campo Moro a farmi raccontare dall’arzilla signora i suoi ricordi della vita all’Alpe Gembré. V enuta a sapere che l’intervista fa da corollario alla VII tappa dell’Alta Via della Valmalenco, Eulalia esordisce dicendomi di aver conosciuto personalmente Giancarlo Corbellini, colui che insieme ai coniugi Canetta è stato l’ideatore e l’artefice di questo stupendo tracciato fra i monti della valle del Mallero. ei primi anni ottanta il Corbellini, passando per l’alpe Gembré e vedendo una moltitudine di bestie al pascolo (mucche, capre, pecore e maiali) volle fare una foto a questo incanto bucolico. La macchina fotografica si trovava in fondo allo zaino, così fu costretto a svuotarlo per recuperarla e, mentre egli era intento a scattare immagini alpestri, i maiali approfittarono delle cibarie che lui aveva appoggiato sul prato: chi con una mela, chi con un panino, i suini pasteggiarono felici alla faccia del fotografo. Rimessa la mercanzia nel sacco, riprese il cammino verso il sovrastante passo Confinale, ma da lì a poco eccolo di ritorno. Noi pensavamo perché fosse sprovvisto di alimenti, invece era stato respinto dalle guardie di confine in quanto non aveva con sé alcun documento.» Eulalia mi racconta che fin da piccola, ogni estate monticava le zone sopra Franscia insieme ai genitori e ai nonni. Erano soprattutto gli anziani che sostavano in quota a curare le bestie, mentre i giovani rimanevano a valle per coltivare la campagna. Essendo quelli alpeggi pubblici, il consiglio comunale deliberava quando poteva iniziare la transumanza e siccome ai tempi non tutti sapevano leggere e ancor meno frequentavano il municipio, era il parroco che durante le funzioni religiose avvisava i parrocchiani della «N Dos di Vét: Eulalia Picceni impegnata nella preparazione dei formaggi (24 ottobre 2015, foto Luciano Bruseghini). 82 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2016 LE MONTAGNE DIVERTENTI data prestabilita. Da Lanzada si saliva prima a Franscia, poi ai Dos di Vet e si proseguiva quindi per le alpi Campascio e Foppa. Si sfruttavano anche le zone prative dell’alpe Campo Moro e dell’alpe Gera, dagli anni ‘60 sommerse dalle acque di due bacini artificiali. Infine a luglio si giungeva a Gembré. Qui il pascolo era suddiviso in due parti: una includeva le piccole baite e il fondo della vallata, l’altra occupava la grande spianata circa duecento metri più in alto, conosciuta con il nome di Siguréta e dove sorgevano due costruzioni. Una, più ampia, era abitata dalla guardia di finanza che controllava il traffico con la vicina Svizzera attraverso il passo Confinale; l’altra, più piccola, era un baitello in cui i pastori si rifugiavano in caso di maltempo improvviso. «Era così minuscola - sottolinea Eulalia che vi si riusciva a stare a malapena seduti!» Un tempo, quando le bestie brucavano a Siguréta, toccava ai pastori portare il latte appena munto a Gembré per lavorarlo. Successivamente trovarono più comodo far compiere alle mucche due volte al giorno il percorso di discesa e di risalita. Ogni volta che ci si spostava da un alpeggio all’altro bisognava trasferire un sacco di cose: tutti gli attrezzi per la lavorazione del latte e persino i paiàz1. In più, quando si caricava Gembré, essendo per la quota spoglio di alberi, si doveva pure trasportare la legna. Dall’alpe Gera, perciò, la si accatastava nei pressi del ponte che attraversava il tumultuoso torrente Cormor; poi, una volta arrivati con le bestie in quota, ogni giorno, solitamente di pomeriggio 1 - Materassi fatti con le foglie di granturco. dopo aver svolto le faccende domestiche e casearie, si scendeva a recuperarne una parte. Subito dopo ferragosto abbandonavano questi pascoli e ritornavano all’alpe Gera o all’alpe Campo Moro per un paio di settimane, per poi ridiscendere prima a Campascio e poi ai Dos di Vett. In ogni alpeggio c’era un capàlp, solitamente una persona anziana con esperienza, che decideva in quale zona far pascolare il bestiame e quando era ora di spostarsi. Il nonno di Eulalia era solito dire «De San Bartulumé dei muntagni se ne vé» ossia intorno al giorno di San Bartolomeo (24 agosto) bisogna scendere dagli alpeggi superiori (questo a causa del cambiamento climatico). A quei tempi sui pascoli di Gembré si monticavano 70/80 mucche, ma siccome ogni famiglia era proprietaria solamente di due o tre capi, ciò significava che quasi una quarantina di famiglie si divideva le poche baite presenti: «Le case erano così minuscole che entravano i gatti e uscivano i ratti!» dice sorridendo. D’altronde i materiali da costruzione dovevano essere trasportati dal basso, si cercava quindi di evitare sforzi eccessivi. Il legname per i tetti lo si recuperava a Campo Moro o all’ancor più lontana alpe Foppa e la sabbia la si estraeva dal torrente Cormor. Solamente di pietre ve ne erano in abbondanza. Il cibo scarseggiava e i pasti erano sempre gli stessi: polenta gialla a mezzogiorno e minestra di latte alla sera. Tutto quello che veniva prodotto negli alpeggi serviva per l’autoconsumo e quindi non era messo in vendita. Anche l’approvvigionamento di acqua fresca era un problema, visto Intervista a Eulalia Picceni 83 Approfondimenti che il ruscello più vicino scorre a un centinaio di metri dalle baite: si andava quindi a rifornirsi con due secchi appesi alle estremità di un bastone ricurvo al centro (bagiùl), caricato in spalla. Si doveva riempire maggiormente il recipiente dietro in modo da non perdere l’equilibrio durante il ritorno. Oggi invece l’acqua arriva direttamente all’interno della casa grazie a delle tubature posizionate dai figli di Eulalia e così si evitano ulteriori fatiche. Non avendo la “Play station”, i bambini che un tempo erano in Gembré si divertivano giocando con quello che trovavano. Un sasso oblungo con il panét 2 della nonna diventava una bellissima bambola e una cavità fra le rocce la loro casetta. Fiori e piccoli sassi erano la moneta di scambio per giocare al negoziante. Di scarpe non ce n’erano: o si camminava scalzi o si mettevano i pedù. «Entrava acqua fredda ricorda Eulalia - e usciva quella calda.» Alla sera un’anziana signora recitava il rosario all’esterno delle baite e tutti i presenti assistevano e rispondevano a tono; però la maggior parte delle volte questa nonnina, stanca dalla dura vita alpestre, si addormentava prima di terminare le orazioni, per la gioia dei piccoli che coglievano al volo l’occasione per squagliarsela. Racconta poi di un maialino che un coraggioso cagnolino aveva salvato dall’annegamento e della triste fine toccata a due mucche che si erano fracassate le zampe al punto da renderne necessario l’abbattimento, con grande dispiacere dei propietari che vedevano sfumare parte della loro “ricchezza”. Sul caminetto della baita c’è una bellissima foto di una donna anziana che sta dando da mangiare a una piccola marmotta. Le chiedo chiarimenti e lei mi racconta una dolce e triste storia. Sua mamma Rina, dopo un forte temporale, trovò una marmottina dispersa e abbandonata. La portò al riparo e le diede del latte caldo appena munto. La bestiola (a 2 - Foulard. 84 LE MONTAGNE DIVERTENTI Valmalenco V ita da pastore N Intervista a Maurizio egrini Luciano Bruseghini Eulalia Picceni prepara il burro all’alpe Gembré (inizio anni 2000, foto archivio Eulalia Picceni). cui fu dato il nome di Briciola) gradì molto e si affezionò subito alla sua nuova amica, al punto da seguirla in ogni suo spostamento. Anche quando la donna scese a valle, la cuccioletta la seguì fino a Lanzada. Ma un brutto giorno un cane malvagio la rincorse, la catturò e la uccise. Nel 1979 Eulalia iniziò a portare con sé anche tre dei suoi nove figli,Gianni, Sergio e Paola, per darle una mano nell’accudire il bestiame e nell’attività casearia. Paola sale tuttora ogni estate e fornisce un valido supporto alla madre: probabilmente sarà lei a raccoglierne il testimone. Negli ultimi anni, per poter soggiornare a Gembré per un paio di mesi, Eulalia a inizio stagione fa trasportare con l’elicottero il grosso delle provviste, tra cui la legna e le bombole del gas, poi ogni fine settimana i famigliari salgono a rifornirla dei prodotti deperibili. Ogni primavera è il premuroso ed efficiente figlio Antonio, armato di badile e piccone, a sistemare il sentiero che collega l’alpeggio con l’alpe Poschiavina, dove giunge una carrozzabile. «Costruiscono piste ciclabili ovunque - ironizza Eulalia - e a me non fanno nemmeno una caprabile!» Nell’estate del 2015 Eulalia è salita in Gembré con sei bovini (due da latte e quattro vitelli) e numerose capre, che ha munto ogni giorno e dal cui latte, con sapiente maestria, ricava dei superbi latticini3. Tutte le operazioni (mungitura, preparazione del burro e cagliata), vengono ancora fatte manualmente, senza l’utilizzo di alcun apparecchio elettrico in quanto l’alpe è sprovvista di energia elettrica. Stare tanto tempo in quota non pesa ad Eulalia, anzi la rende molto felice e ribadisce che un tempo, anche se non possedeva niente, era più contenta di ora. Pur essendo l’unica abitante fissa di Gembré, non si sente sola perché transita moltissima gente per i sentieri che attraversano l’alpe, soprattutto escursionisti che percorrono l’Alta Via o che vanno al passo Confinale. Capita spesso che qualcuno si fermi per chiederle della vita in alpeggio. A volte le vengono poste delle domande le cui risposte sono tanto ovvie da indicarle che molti, assorti come sono in una vita dove non c’è più tempo per la riflessione e la solidarietà, non concepiscono l’idea di poter svolgere lavori in simbiosi con la natura, di quelli che rasserenano e portano tranquillità. Comunque lei risponde sempre sorridendo, con una battuta di spirito o una presa in giro. 3 -Una curiosità: essendo Gembré posizionato in alta quota, dirimpetto al ghiacciaio di Fellaria, durante la notte la temperatura scende di parecchi gradi e per evitare che i formaggi si rovinino, vengono protetti con delle coperte. Estate 2016 Alpe Prabello, una capretta di Maurizio Negrini al pascolo (15 luglio 2012, foto Beno). «S e si tratta di una videointervista non se ne parla proprio, se invece sono solo due chiacchiere alla buona, eccomi a tua completa disposizione.» Così esordisce il mio compaesano Maurizio Negrini alla richiesta di un colloquio per Le Montagne Divertenti. Carattere allegro e sempre sorridente, ma anche tanto timido, bisogna saper entrare in confidenza con lui per capirne l’animo. Incontro Maurizio presso il luogo dove svolge l’attività abituale: il grande stallone in località Presa a Caspoggio. Qui custodisce i suoi animali e lavora sapientemente il latte da loro ottenuto. Fortunatamente in paese è rimasto almeno lui a guadagnarsi da vivere grazie alla pastorizia, altrimenti non ci sarebbe più nessuno a sfalciare i vasti prati che attorniano il piccolo nucleo malenco. E pensare che fino a una cinquantina di anni fa quasi ogni famiglia possedeva dei capi di bestiame e sfruttava ogni angolo di pascolo disponibile! Classe 1971, Maurizio fin da LE MONTAGNE DIVERTENTI piccolo trascorreva i mesi estivi all’alpe Prabello, ai piedi del pizzo Scalino, come faméi per gli zii che gestivano il rifugio Cristina. Iniziò ad essere consapevole della sua passione per le mucche e la pastorizia qualche anno più tardi, quando, nelle vacanze scolastiche, saliva sugli alpeggi al seguito dell’allevatore Quinto Negrini. Terminati gli studi presso la scuola alberghiera, per tre anni fece il cuoco in vari ristoranti e alberghi. Però, una volta espletato il servizio militare, la passione primordiale per la pastorizia tornò ad impossessarsi di lui. Dal 1992 al 1994 fu dipendente presso l’azienda agricola Pizzo Scalino di Nani Leonardo di Lanzada, finché decise di fare il grande salto, diventando in prima persona proprietario e gestore di una sua impresa. «Sono partito con quattro mucche e stavo in affitto in una stalla nel comune di Torre di Santa Maria, poi col passare degli anni gli animali sono aumentati finché ho deciso di costruire una stalla mia a Caspoggio. Questo sogno l’ho realizzato nel 2002. Attualmente possiedo circa 80 bovini, tra mucche da latte, manze asciutte e vitelli, 40 capre e 20 maiali che nutro con lo scarto della lavorazione del latte.» Come aiuto nelle faccende giornaliere ha assunto un giovane collaboratore, Filippo Battaglia, che segue la gestione della stalla, mentre Maurizio stesso si occupa del caseificio. Una grossa mano la danno anche la moglie Moira e i figli Samuele e Vanessa. Quest’ultima, in particolare, frequenta corsi di agraria e trascorre ogni momento libero dagli studi presso la stalla del padre partecipando a tutte le varie fasi delle lavorazioni. E soprattutto la domenica, che sarebbe il suo unico giorno senza impegni scolastici, passa ancora più tempo in azienda, perché deve sostituire Filippo che si gode il meritato riposo settimanale. Maurizio mi racconta che grazie all’aiuto dei famigliari e di Filippo quest’inverno ha potuto avere Intervista a Maurizio Negrini 85 Approfondimenti ben tre giorni di vacanza, dopo 24 anni senza mai ferie. «Anche il giorno del mio matrimonio, al mattino, mi sono recato in stalla a mungere, poi fortunatamente alla sera ho trovato dei comprensivi sostituti che mi hanno permesso di godere in tranquillità le ore più felici della mia vita. Molti parenti e numerosi volontari del paese mi danno un’enorme mano durante i mesi estivi quando c’è lo sfalcio dei prati del paese e dei maggenghi limitrofi; senza di loro non riuscirei ad andare avanti.» Ed è un impegno gravoso, visto che,nella bella stagione bisogna tagliare l’erba due volte: una a giugno e una ad agosto. Ciò tiene occupate per diverse giornate numerose persone, che non vogliono niente in cambio. Sorridendo mi racconta che ogni tanto i suoi cugini bonariamente ironizzano: «Perché proprio noi dobbiamo essere tuoi parenti?» Un encomio speciale va alla cugina Erica, considerata come una sorella, che si occupa del negozio aperto in via don Gatti a Caspoggio. «Prima vendevo i formaggi ai grossisti, poi quattro anni fa ho deciso di aprire uno spaccio in paese: sono veramente soddisfatto di come i paesani e i turisti apprezzino i miei latticini, dai formaggi stagionati ai caprini, dallo yogurt alla ricotta: riesco a malapena a soddisfare le loro esigenze.» Nei mesi freddi Maurizio tiene gli animali in stalla, poi verso metà maggio porta le giovani manze e i vitelli al pascolo sui prati attorno a Sant’ Antonio. Al termine della stagione scolastica sale per un mesetto con tutti i bovini presso l’alpe Ferla, lungo le piste da sci di Piazzo Cavalli. Durante questo periodo produce dell’ottimo Bitto che ha fatto incetta di premi, tra cui spicca nel 2003 la medaglia d’oro alle olimpiadi del formaggio tenutasi in Francia. Verso la metà di luglio, con una lunga transumanza sui sentieri dell’Alta Via della Valmalenco, compie in sei ore il tragitto per l’alpe Prabello. «Solamente le capre vengono trasferite con i mezzi a motore. I primi anni anche loro venivano a piedi, ma era 86 LE MONTAGNE DIVERTENTI Valmalenco C ontrabbandieri Intervista a Mattia Bruseghini Luciano Bruseghini Maurizio Negrini a Prabello (29 luglio 2007, foto archivio famiglia Negrini). più il tempo che si perdeva a recuperarle che la durata del viaggio!» Soggiorna a Prabello fino ad agosto inoltrato, poi sono le mucche stesse che tendono a puntare la via di casa: vuol dire che la bella stagione è agli sgoccioli e bisogna rientrare. Sempre con lo stesso tragitto dell’andata torna alla Ferla, dove sosta per un altro mese. Ai primi di ottobre scende in paese e ritira il bestiame nella stalla fino alla primavera successiva. Per poter produrre latte, ogni mucca deve partorire una volta all’anno e questo oggi avviene grazie all’inseminazione artificiale. Quando è il momento del parto sono Maurizio e suoi collaboratori a seguire direttamente la nascita, solamente quando la situazione si presenta a rischio, si chiede l’intervento del veterinario. I piccoli nati vengono nutriti per tre mesi con un mix di latte materno e latte in polvere, poi prendono due strade differenti a seconda del sesso: se sono femmine restano in stalla e vanno a sostituire le bovine giunte a fine carriera, se sono maschi li aspetta un futuro peggiore, perché verranno cresciuti per sfruttarne la prelibata carne. La vita media di una mucca da latte delle razze che possiede Maurizio è di circa una decina d’anni, tranne in casi particolari come la sua amata Lola che è recentemente scomparsa all’età di 13 anni. «È stata la bestia migliore che abbia mai avuto, vincitrice di numerosi premi: in particolare nella categoria primipare da latte è giunta seconda a livello regionale e terza a livello europeo. E nel febbraio del 2012 alla fiera di Verona ha primeggiato per la miglior qualità del latte. Mi piace molto partecipare ai concorsi, anche se a volte bisogna compiere lunghe trasferte. La soddisfazione di vedere un proprio animale ricevere un riconoscimento ripaga di tutti i sacrifici fatti. Questa passione l’ho trasmessa a mia figlia Vanessa, che in questi giorni sta scortando alcuni dei nostri capi ad una mostra ad Edolo.» Anche le capre per poter produrre latte devono partorire una volta all’anno. Ma mentre per le mucche le nuove nascite sono scaglionate nel corso di tutto l’anno, in modo da avere sempre latte per la trasformazione casearia, i parti delle capre di Maurizio sono concentrati nei mesi di novembre e dicembre, così che i piccoli siano pronti per il “martirio pasquale”.» Dopo avermi accennato a varie problematiche legate al suo mestiere, Maurizio mi saluta lasciandomi monito per tutti coloro i quali volessero cimentarsi nel suo mestiere: «Il lavoro dell’allevatore è molto duro, sebbene dia anche grandi soddisfazioni. Io lo considero una missione, perché senza un’infinita passione è impossibile svolgerlo.» Estate 2016 All’arrivo della gara di sci degli Alpini a Sant’Antonio di Caspoggio (primi anni ‘70, foto archivio Mattia Bruseghini). I n casa, mio padre Mattia, uomo di poche parole, non ha mai riferito granché del suo passato da spallone. Solo in rare occasioni, quando la compagnia e un bicchiere di buon vino gli scioglievano la lingua, raccontava episodi particolari e significativi di quegli anni. Non perché fosse pentito di quella parentesi della sua gioventù, ma piuttosto perché il ricordo delle avventure e dei pericoli trascorsi con persone, molte delle quali non ci sono più, lo commuove, lo riempie di nostalgia e gli fa sgorgare le lacrime dagli occhi. Fortunatamente per Le Montagne Divertenti fa un’eccezione e apre il suo libro delle rimembranze. «S ono il secondo di sette figli. La mia famiglia non navigava nell’oro: mia madre era casalinga e mio padre arrotino, prevalentemente nella bergamasca e nel cremasco. A nove anni, durante l’estate, cominciai a seguire il papà nella sua girovaga vita lavorativa. Il mio compito era quello LE MONTAGNE DIVERTENTI di gridare “mulitta, mulitta…” nei paesi o presso le cascine e di raccogliere gli strumenti da affilare per poi riconsegnarli, ricordando con precisione da chi li avevo avuti. A soli 17 anni, nell’estate del 1957, quando ancora frequentavo la scuola di ragioneria a Sondrio, per avere qualche soldo in tasca, mi aggregai a spalloni di Caspoggio pratici del “mestiere” e così iniziò la mia carriera da “porta sac”.» Già durante la seconda guerra mondiale era in auge questa attività nelle zone di frontiera: dall’Italia si partiva carichi di riso verso la vicina Svizzera e si ritornava con lo zaino pieno del sale che invece scarseggiava da noi. Molti contrabbandieri aiutarono anche persone di nazionalità ebraica a varcare il confine, salvandole dalle persecuzioni razziali. Mio padre ricorda che gli abitanti della Valmalenco erano spinti a praticare questa attività dalla mancanza di lavoro: per portare qualcosa a casa erano pronti ad affrontare fatiche e rischi infiniti, primo tra tutti quello di essere arrestati. Comunque incassavano bene: ogni traversata dava un profitto di 10 mila lire e quindi in una settimana potevano guadagnare quanto un operaio in un mese! Con i suoi “colleghi” si recava anche in trasferta a Tirano: entrava a piedi in Svizzera lungo i binari della ferrovia, oppure seguendo un erto sentierino, sul lato opposto del Poschiavino, fino a Campocologno. Da qui rientrava con carichi di caffè (ogni carga pesava fino a 40 kg). Durante le ore notturne riusciva a compiere più attraversamenti, se tutto filava liscio e se i panau1 vigilavano altrove. Quando invece la partenza e il rientro avvenivano dalla Valmalenco, normalmente si trafficava solo in sigarette, ma anche qui il peso dello zaino era sempre sui 40 kg. Durante il periodo estivo, scroccavano un passaggio dal fondovalle agli autisti dei camion che si dirigevano a Campo Moro per la costruzione della diga. Se qualcuno possedeva una 1 - Appellativo dato ai finanzieri. Intervista a Mattia Bruseghini 87 Approfondimenti Valmalenco Passo di Campagneda (2620) Pizzo Scalino (m 3323) Monte di Acquanegra (m 2806) Munt di Cup (2770) Monte di Cavaglia (2728) Passo degli Ometti (2758) Prabello Monte Palino (2686) Buchèl de Cavàja (2550) Monte Foppa (2463) Alpe Cavaglia Acquanegra Piazzo Cavalli Sant’Antonio Santa Elisabetta Caspoggio Lanzada Caspoggio, Lanzada e i valichi del contrabbando (29 ottobre 2011, foto Beno). motocicletta oppure un’auto, salivano con quella in modo da poter rientrare poi più velocemente e comodamente. Dalla diga proseguivano a piedi verso il passo di Canciano e poi giù fino all’alpe Canciano, dove i “commercianti” svizzeri li aspettavano con la mercanzia portata in quota grazie all’utilizzo di bestie da soma. Era consuetudine che uno della “banda” facesse la vedetta nei dintorni del passo di Canciano, in modo da controllare che gli agenti della Guardia di Finanza non si aggirassero nei paraggi. «Una sera purtroppo la sentinella si addormentò e non avvisò i due compagni dell’arrivo dei finanzieri. La retata non ebbe però molto successo, visto che uno dei contrabbandieri dovette sì abbandonare il carico, ma riuscì comunque a fuggire, mentre l’altro fece in tempo a nascondere lo zaino sotto le rocce e a scappare; il 88 LE MONTAGNE DIVERTENTI giorno seguente recuperò le sigarette e così non ci smenò il guadagno.» «Una volta - ricorda mio padre mentre rincasavano da Campo Moro su un’auto guidata da un magnà2 fummo fermati ad un posto di blocco. Io e il mio migliore amico riuscimmo a scendere al volo dalla macchina e a scappare nei boschi per poi rientrare sani e salvi a casa, mentre il povero autista venne trattenuto con tutta la merce a bordo!» Il percorso del rientro, se non si aveva un mezzo di trasporto da Campo Moro, passava per l’alpe Prabello lungo il sentiero dell’Alta Via, per poi scendere a Caspoggio. Capitava delle volte che, essendoci le forze dell’ordine a controllare il passo e le zone limitrofe, i contrabbandieri dovevano salire la vedretta del pizzo Scalino e scollinare in val di Togno. 2 - Abitante di Lanzada. Da qui, procedendo a fianco del passo degli Ometti, percorrevano la ripida sponda destra idrografica, ricoperta di scivolosissimo fieno selvatico, fino a raggiungere il buchèl de Cavàja, da cui calavano in Valmalenco passando per l’alpe Cavaglia. Col sorriso e un po’ di rammarico, mi racconta anche due eventi significativi avvenuti nello stesso giorno lungo quell’itinerario assai impegnativo e pericoloso: «Era l’inizio di luglio e la mattina presto stavamo scendendo dalla spalla del pizzo Scalino verso la val di Togno. Era stata una notte molto fredda e le rocce erano ricoperte da un sottile strato di ghiaccio. Dovevamo compiere un traverso esposto sopra una fascia rocciosa scivolosissima. A turno riuscimmo a passare indenni, ma quando toccò all’amico Pedrin questi venne preso dal panico e si mise a piangere. Allora deponemmo Estate 2016 i nostri zaini e tornammo indietro a recuperare il compagno bloccato e il suo carico.» Questo “incidente” fu quindi motivo di presa in giro del povero sventurato per gli anni a venire. «Sempre quel giorno, mentre percorrevamo il ripido pendio verso il buchèl de Cavàja, decidemmo di fare una sosta. Un nostro compagno, il Roc, mentre fumava un sigaretta ammirando i primi bagliori del sole in un cielo terso, scivolò sul fieno selvatico umido e slittò a valle per decine di metri. Fortunatamente riuscì a bloccare il suo rotolare e a tornare da noi. Era tutto pieno di lividi, ma pronto a riprendere il cammino.» Durante il periodo invernale la rotta del contrabbando era differente e molto più faticosa. Gli spalloni di Caspoggio nel pomeriggio entravano in Svizzera passando dalla dogana di Tirano e portando gli sci di legno LE MONTAGNE DIVERTENTI oppure le ciaspole fai da te (un ramo piegato a forma ovale, tenuto insieme da fili di spago intrecciati). Caricata la merce a Poschiavo, risalivano i ripidi pendii verso il passo di Campagneda. Era proprio un grande sforzo, visto che di pelli di foca non ce n’erano: gli sci erano fasciati con pezzi di cuoio o stoffa in modo che non scivolassero all’indietro. Giunti al passo che ormai era notte, compivano una lunga diagonale verso l’alpe Prabello. Qui normalmente sostavano qualche ora all’interno di una delle piccole baite, accendendo anche il fuoco per riscaldarsi un pochino. Poi riprendevano la marcia fino ad arrivare in paese prima che facesse giorno. Normalmente si impiegavano cinque ore a compiere la tratta alpe Canciano-passo di Campagneda-Caspoggio; ma durante il periodo invernale o primaverile con neve molle, il viaggio durava anche ventiquattro ore! In un paio di occasioni erano giunti in paese che era ancora buio così avevano deciso di riposarsi un momento presso il cimitero che si trovava vicino alla piazza. Ma, stanchi per il lungo cammino, si erano addormentati e si erano svegliati solo quando ormai era sorto il sole. Allora via di corsa con lo zaino in spalla prima che qualcuno li vedesse. La merce trasportata veniva venduta a privati oppure a gente che possedeva un’attività e che quindi la rivendeva a sua volta. Durante gli ultimi anni di questo servizio, Mattia e i suoi compari cedevano le sigarette a un intermediario di Sondrio che pagava meglio rispetto a quelli malenchi. Mattia narra che nei primi anni la polizia svizzera non era mai intervenuta, anzi era ben contenta del commercio che dava guadagno ai propri concittadini. Invece, alla fine degli anni sessanta, probabilmente per accordi presi con lo stato italiano, multava (100 franchi) chiunque valicasse i passi montani per introdursi in territorio elvetico, obbligando al passaggio dalla dogana di Tirano, ma non ostacolando poi l’espatrio attraverso i valichi d’alta quota. Mattia non è mai stato fermato dalla Guardia di Finanza, ma in un paio di occasioni ha dovuto abbandonare la carga: una volta all’alpe Prabello e una al Mut Caslet di Caspoggio, dove trovò ad attenderlo le forze dell’ordine allertate da qualcuno che aveva fatto una soffiata. «Se catturati - sottolinea mio padre si veniva condotti in caserma a Chiesa in Valmalenco e si doveva affrontare un processo con conseguente multa salatissima.» Mio padre terminò la sua carriera da contrabbandiere nel 1969 e nel 1970 iniziò a lavorare alla STAC, società che gestiva gli impianti di risalita di Caspoggio. Quasi tutti i suoi amici interruppero l’attività in quegli anni per due motivi: le opportunità lavorative meno pericolose e faticose erano aumentate, ma anche perché il controllo della Guardia di Finanza si era fatto molto più pressante. In tredici anni di “onorata carriera” ha calcolato di aver fatto sicuramente più di mille viaggi con lo zaino pieno di sigarette o caffè! Mattia con l’inseparabile cappello degli Alpini (2012, foto archivio Mattia Bruseghini). Intervista a Mattia Bruseghini 89 Escursionismo I N M T B S U L L A La cima della Rosetta (m 2142) è la montagna di Morbegno, una delle più vicine alla città, con una bella pala erbosa che dalla vetta si abbassa verso la val Gerola. Bastan due fiocchi di neve che tutti gli appassionati della zona si precipitano lì con le pelli, basta una bella giornata estiva o autunnale che diventa folto il pubblico di escursionisti che ne calcano i pendii. E ora è giunto il momento di farla conoscere anche agli amanti della MTB! 90 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2016 LE MONTAGNE DIVERTENTI Scendendo dalla cima della Rosetta. In basso a sx si scorge il lago di Culino (28 maggio 2015, foto Roberto Cima dellaGanassa). Rosetta (m 2142) R O S E T T A Roberto 91 Ganassa Escursionismo Bassa Valtellina SeTe srl Sviluppo e Territorio Via Pignotti 14, Poggiridenti SONDRIO TEL +39 0342 200296 WEB www.setesrl.it MAIL [email protected] Foto Pollini COORDINATE 46°10’13’’ N 9°55’02’’ E BELLEZZA FATICA PERICOLOSITÀ Partenza: Morbegno (m 255). Dove parcheggiare: per chi utilizza setemap il treno non vi è alcun problema, in quanto questo ferma a Morbegno. Chi invece arriva in auto deve considerare che nel centro di Morbegno i parcheggi sono tutti a pagamento o a disco orario, dunque è meglio parcheggiare o al polo fieristico / bocciodromo o direttamente nel primo tratto della provinciale della val Gerola, dove si trovano vari spazi a bordo strada. orientarsi nello spazio.it progettazione e realizzazione mappe eScursionistichE e TuristichE Itinerario sintetico: Morbegno (m 255) - Piantina (m 750) - Bagni dell’Orso (m 1100) - alpe Tagliata (m 1500) - Tagliate alte (m 1400) monte Olano (m 1700) - lago di Culino (m 1965) - cima della Rosetta (m 2142) - lago di Culino (m 1965) - monte Olano (m 1700) Tagliate (m 1400) - rifugio della Corte (m 1250) - I Ronchi (m 1040) - Sacco di sopra (m 800) - Morbegno (m 255). Tempo di salita: 4-5 ore per la cima della Rosetta. Attrezzatura richiesta: MTB (meglio avere una biammortizzata), casco, gomitiere e ginocchiere, guanti, occhiali, scarpe impermeabili, chiave a brugola multipla, camera d’aria di scorta con attrezzi per il cambio (se non si montano copertoni latticizzati). In verde è la traccia di salita, in rosso quella di discesa. Difficoltà/dislivello: 3+ su 6 (si che vi trovate a oltre m 2000, dove le temperature e il meteo possono cambiare molto velocemente. Dettagli: BC. L’itinerario si svolge su vari tipi di terreno: asfalto, sterrato, mulattieri e sentieri di cresta. C’è un tratto un po’ esposto nei pressi della cima della Rosetta. Non dimenticate Mappe: - ERSAF, Val Gerola e valle del Bitto di Albaredo. Carta Escursionistica, 1:25000. intende se percorso in MTB), oltre 1800 metri in salita. «L e cime, dopo averle fatte sia a piedi che con gli sci, le salirò anche in MTB!» Questa era una delle idee che avevo da giovane e ora la sto concretizzando con grande soddisfazione. Così, quando l’anno scorso a fine maggio ho incontrato Angelo Ronconi - un vecchio compagno di ravanate con gli sci e ora grande appassionato di MTB - gli ho proposto come mia prima uscita dell’anno la Rosetta. Avevo già salito la cima della Rosetta con la MTB nel 2007, armato di una bici economica appena acquistata. Ricordo bene la faticaccia fatta, non avendo per niente la gamba del biker. 92 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2016 LE MONTAGNE DIVERTENTI A dire il vero gamba e tecnica mi mancano anche ora, ma la passione per le cosiddette ravanate sopperisce ampiamente a queste carenze. Prima di raccontare l’itinerario è doverosa una premessa: io non sono un vero ciclista e ho una visione forse un po’ distorta della MTB. Infatti, solitamente si sceglie un percorso in base al divertimento in discesa, proprio come nello scialpinismo; siccome non sono un buon discesista, io prediligo invece la salita e il mio obbiettivo rimane la cima, il passo o comunque un punto in alto da cui godermi ampi paesaggi. Per questo motivo il percorso che propongo per raggiungere la cima della Rosetta non è certo la prima scelta che farebbe un biker, come mi conferma Angelo, ma è quello che più si addice ad una mia personale ricerca estetica. Cima della Rosetta (m 2142) 93 Escursionismo Bassa Valtellina Monte Combana (2327) Cima della Rosetta Pizzo dei Galli (2142) (2217) Lago di Culino Monte Legnone (2610) Monte Olano La Corte Al pe Ta gli ata Tagliate I Ronchi Mellarolo Sacco Piantìna Cosio Piantìna e la sua chiesetta (6 maggio 2016, foto Roberto Ganassa). Morbegno polo fieristico Morbegno e la cima della Rosetta visti dalle pendici della Cólmen di Dazio. Indicati gli itinerari di salita (verde) e di discesa (rosso). Col doppio colore sono segnate le parti comuni (3 ottobre 2009, foto Roberto Ganassa). D al margine sud occidentale di Morbegno (via San Rocco, m 255) pedaliamo lungo la strada provinciale della val Gerola1, tagliando verso ponente l’ampia falda del monte sopra Cosio. Poco dopo il primo tornante (e anche l’unico della SP 7 fino a Gerola), imbocchiamo la strada sulla dx che sale a Piantìna (m 750) e alpe Tagliata (Munt del Taià). Superati i prati di Piantìna, dove si trovano numerose seconde case e una chiesetta, continuiamo a salire nel fresco bosco orobico fino al parcheggio presso i cosiddetti Bagni dell’Orso (m 1100)2. Da qui una ripida rampa ci porta agli aperti pascoli del Taià, dove la strada ritorna a pendenze moderate. Superato un laghetto, il panorama spazia dalla bassa Valtellina al monte Disgrazia. Ci aspetta ora qualche tornante faticoso fino alla baita chiamata “Primi Masun”, dove la sterrata s’addolcisce nuovamente. Al tornante destrorso 1 -La strada, a gestione statale fino al 2001, è stata costruita nel 1910 e rinnovata negli anni Sessanta. 2 - Il toponimo parrebbe derivare dall’antica frequentazione della località da parte dei plantigradi (fonte: Massimo Dei Cas, www.paesidivaltellina.it) 94 LE MONTAGNE DIVERTENTI a circa m 1500, abbandoniamo la strada per l’alpe Tagliata e svoltiamo a sx, attraversando, con una bretella di sentiero, la val Giuta. Tornati sulla strada, la seguiamo fino a quando sulla dx si stacca il ripido tratturo che porta ai prati di Tagliate di Sopra, quindi al panoramico dosso pascolivo del monte Olano (m 1700). Proseguiamo verso S e andiamo a intercetare l’evidente sentiero che taglia i versanti settentrionale e orientale della cima della Rosetta. Insistendo verso S raggiungiamo la casera nei pressi del lago di Culino (m 1969). Il sentiero, largo e a tratti pianeggiante, piega decisamente a O e si porta presso la baita Culino (m 2042). Salendo prima verso N (dx), poi NE, rimontiamo il gradone che sovrasta il lago di Culino. La cima della Rosetta, anche se in parte nascosta, si sta approssimando. Traversati in salita i pendii erbosi in direzione NE (frangenti ripidi e un po’ esposti), raggiungiamo la grande croce della cima della Rosetta (m 2142, ore 4:30). Ora con calma possiamo scegliere la via di discesa. Le alternative sono molte e con differenti gradi di difficoltà, ma io opto per una facile. Torniamo così sui nostri passi fino al monte Olano (m 1700) e da qui scendiamo sul grande sentiero, a tratti sassoso, fino al rifugio della Corte (m 1250). Dopo una birra e due chiacchere con Corrado, il gestore, prendiamo la strada asfaltata (dx), fino a quando sulla sx (m 1080 ca.) alcuni gradini ci danno accesso al sentiero per Mellarolo. Poco dopo, intercettata la stradina sterrata che scende alle numerose case dei Ronchi, la seguiamo verso NNE (sx) e su un tracciato che alterna tratti di sentiero e di carrareccia arriviamo alle case alte di Sacco3. Quando la carrozzabile, ora cementata, volta a dx (E), noi ci lasciamo guidare da un cartello marrone che individua il sentiero sulla sx e che reca tra le indicazioni quella per Piantìna. Oggi non attraverseremo Sacco, riservandoci per una prossima gita la visita a 3 - Un tempo Sacco era formata da due nuclei ben distinti, rispettivamente di sotto e di sopra, tra i quali nei primi secoli dopo il Mille passava addirittura la linea di confine fra le pievi di Ardenno e di Olonio. Estate 2016 Il lago di Culino (28 maggio 2015, foto Roberto Ganassa). In vetta alla cima della Rosetta (28 maggio 2015, foto Roberto Ganassa). LE MONTAGNE DIVERTENTI Lungo il sentiero tra l’alpe Tagliata e Tagliate (6 maggio 2016, foto Roberto Ganassa). questo borgo del comune di Cosio, che ha mantenuto molto dell’aspetto antico, dalle case del Quattrocento e Cinquecento che custodiscono affreschi di pregio - prima fra tutte quella celebre per la camera picta con la raffigurazione dell’Homo Salvadego4 - ai tesori della chiesa di San Lorenzo. Il sentiero che abbiamo invece intrapreso è divertente e traversa il fianco del monte fino nei pressi di Piantìna, dove recuperiamo la strada asfaltata5 che seguiamo fino a Morbegno. Trattandosi di una gita in MTB, il tempo di percorrenza è legato alle capacità tecniche del ciclista in salita, ma ancor di più in discesa, dove è impossibile dare delle indicazioni cronometriche per il “biker medio”. Tengo, infine, a ricordare che i sentieri sono stati realizzati prima di tutto per gli escursionisti, dunque la precedenza è d’obbligo, come l’evitare di lanciarsi a folli velocità in discesa mettendo a repentaglio la sicurezza degli altri utenti della montagna. Non va inoltre dimenticato il rispetto dei pascoli e del lavoro degli alpeggiatori, che proprio in queste zone producono formaggi genuini di qualità superlativa. 4 - Per approfondimenti sul Museo dell’Homo Salvadego in contrada Pirondini, vedi Giorgio Orsucci, Nella casa del Salvadego, LMD n. 17 - Estate 2011, pp. 121-125. 5 - Da qui si potrebbe prendere anche la mulattiera, a tratti tecnica, che scende fino all’abitato di Regoledo di Cosio Cima della Rosetta (m 2142) 95 Escursionismo Bassa Valtellina Finalmente in libreria! 108 pagine, € 12,50 Scendendo dal monte Olano (6 maggio 2016, foto Roberto Ganassa). R ifugio Il primo libro di Graziano Murada Nembro I Viaggio lungo i sentieri della vita In Vendita presso la biblioteca di Albosaggia t t t c t t t t D t c www.lemontagnedivertenti.com/corsa/ La nuova funzione dedicata agli amanti della corsa in montagna ☞ scopri nuovi PERCORSI per allenarti ☞ REGISTRA E CONDIVIDI i tuoi tempi 96 LE MONTAGNE DIVERTENTI ☞ chi sono stati ☞ I PIÙ VELOCI? le schede e i commenti degli ATLETI Estate 2016 l rifugio della Corte, situato a m 1250 nell’omonima località all’imbocco della val Gerola, è un buon punto di riferimento per le escursioni estive e invernali nell’area compresa fra pizzo dei Galli e Rosetta. La struttura, che offre 15 posti letto e fino a una cinquantina di coperti quando il bel tempo consente di stare all’aperto, è di proprietà della parrocchia di Sacco e ha quasi cent’anni. Costruita nel 1920, venne utilizzata fino al 1990, quando lo storico gestore Gerolamo Fazzini noto come “Girumìn” lasciò per raggiunti limiti di età. All’inizio del 2002 io e Mara demmo il via ai numerosi e necessari interventi di ristrutturazione e a novembre dello stesso anno il rifugio riaprì ufficialmente i battenti sotto la nostra guida. Sono oramai 14 anni che gestisco il rifugio, tenendolo aperto da maggio LE MONTAGNE DIVERTENTI della a ottobre e tutti i fine settimana dell’anno. La decisione di lasciare il mio posto sicuro di tecnico radiologo in ospedale non è stata semplice: la professione in fondo mi piaceva e mi gratificava. Ma dopo tanto tempo posso affermare che mai mi sono pentito della scelta. Ho realizzato il mio sogno di vivere e lavorare proprio dove ho trascorso i momenti più felici della mia infanzia, ripetendone la magia. L’ amore per i miei monti, infatti, è sempre stato forte, molto forte, quasi una vocazione e gestire un rifugio, sebbene non arricchisca in termini di denaro, consente di vivere in montagna e di vivere la montagna. La passione per lo sport, inoltre, ci ha permesso di organizzare eventi in collaborazione con associazioni e Pro Loco locali. Così, nel tempo, siamo riusciti a portare in quest’angolo della val Gerola un discreto afflusso di C orte Corrado Morelli Corrado Morelli (2015, foto Roberto Ganassa). persone lungo tutto il corso dell’anno. Cordialità, informazioni e una buona cucina casalinga hanno fatto il resto, tanto che numerosi ospiti sono divenuti buoni amici. Rifugio della Corte (m 1250) 97 Escursionismo Alta Valtellina Val Trèla-val Alpisella Uno splendido e semplice anello escursionistico attorno alla dorsale del monte Pettìni, tra la valle di Fraele e quella di Livigno, che, nell’ultima parte, fa visita alle sorgenti del fiume Adda e ne segue il corso fino al colossale invaso di San Giacomo di Fraele. Luciano Bruseghini Scendendo dal passo dell’Alpisella nella valle omonima, dove sono le sorgenti del fiume Adda (26 settembre 2015, foto Luciano Bruseghini). 98 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2016 LE MONTAGNE DIVERTENTI Val Trèla - val Alpisella 99 Escursionismo Alta Valtellina L Mappa della valle di Fraele a inizio ‘900, prima della costruzione delle dighe. Pizzo del Ferro (3054) VAL L Cassa del Ferro (3140) VA L EA LPI SEL LA LE BR UN A Il lago di Cancano, lo sbarramento della diga di San Giacomo e le valli Alpisella e Bruna (19 settembre 2013, foto Giacomo Meneghello). BELLEZZA FATICA PERICOLOSITÀ - Partenza: Petìn (m 1953). Itinerario automobilistico: da Bormio seguire la SS 301 del Foscagno in direzione Livigno. Alla chiesa della Madonna della Pietà (4,5 km da Bormio), si imbocca a dx (indicazione laghi di Cancano) la strada asfaltata che con 19 tornanti conduce alle torri di Fraele (8 km). Da qui il fondo diventa sterrato. Si costeggiano prima il lago naturale delle Scale, poi i bacini artificiali di Fraele e di San Giacomo (l’accesso alla strada che costeggia i laghi di Cancano e San Giacomo nel periodo estivo limitato ai mezzi autorizzati; glialtri possono usufruire di un servizio sotitutivo con bus navetta). Superato il ristoro San Giacomo, dopo un ulteriore breve tratto immerso nel bosco, alle case di Petìn (8 km) parcheggiamo nella piccola piazzola con pannello illustrativo allo sbocco della val Pettìni. Itinerario sintetico: Petìn (m 1953) - bocchetta di valle Lunga (m 2335) - passo di val Trela (m 2295) Stefan (m 1918) - passo di val Alpisella (m 2268) sorgenti dell’Adda (m 2102) - Petìn (m 1953). Tempo previsto: 6 ore e mezza. Attrezzatura richiesta: da escursionismo. Difficoltà/dislivello: 2 su 6, 1000 metri. Dettagli: E. Escursione su strade e sentieri segnalati senza alcuna difficoltà tecnica. Lo sviluppo è di circa 20 km. Mappe: - Kompass n. 96 - Bormio Livigno Valtellina, 1:50.000; - Alta Valtellina edizione 2010, 1:50.000, realizzata da Alpinia. Salendo in val Pettìni (26 settembre 2015, foto Luciano Bruseghini). 100 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2016 LE MONTAGNE DIVERTENTI a partenza della gita è a Petìn1, alla cnfluenza della valle Pettìni in quella di Fraele, dove il lago artificiale di San Giacomo forma un’insenatura. L’invaso ha cancellato quei luoghi che, nel documentario realizzato nel 1953 dal regista Romolo Marcellini con il patrocinio del ministro valtellinese Ezio Vanoni, vengono definiti “muti paesi sommersi”. Tra questi vi era il nucleo di San Giacomo, che si trovava non lontano dal passo di Fraele, lungo una delle più importanti arterie commerciali dalla Valtellina verso il nord Europa. San Giacomo era un piccolo nucleo con tanto di caserma della Finanza, casa cantoniera, osteria e chiesetta, le cui prime testimonianze risalgono addirittura al 12872. Poi, nel 1940, iniziarono i lavori per la costruzione della diga di San Giacomo, che terminarono solo nel 1950 per il frapporsi della Seconda Guerra Mondiale. Il lago - originato da uno sbarramento a gravità alleggerita alto fino a 91,5 m, lungo 995 m e con una capacità di 64 milioni di metri cubi - sommerse completamente l’abitato3. Prima degli invasi colossali la valle di Fraele aveva anche un suo laghetto naturale, il lago della Cornaggia. Questo fu visitato il 13 agosto 1902 da Bruno Galli-Valerio durante le sue avventurose vacanze estive effettuate sempre e solo a piedi, “dal Tresero all’Ortler e alle Dolomiti di San Giacomo di Fraele”. “Dal 7 agosto - racconta4 - è il primo giorno di riposo. Da S. Giacomo al lago della Cornaggia, passiamo il tempo dando la caccia a ragni, zanzare e raccogliendo galle. Quanto alle trote, esse ci rubano due ami, ma continuano a nuotare tranquillamente nelle azzurre acque del lago.” 1 - Petìn è il toponimo locale, riportato anche da Giovanni Peretti in Rifugi alpini bivacchi e itinerari scelti in Alta Valtellina, Bonazzi Grafica, Sondrio 1987. Il toponimo è stato trasformato in Alpe de Pettin su CTR. Il gruppo di baite è senza nome su CNS, Kompass, e su IGM 1:25000, dove addirittura nella valle di Fraele vi è la sola diga di Cancano I. Ciò significa che il foglio non è più stato aggiornato dagli anni ‘40. 2 - Mario Gianasso, Guida turistica della provincia di Sondrio, II edizione a cura di Antonio Boscacci, Franco Gianasso e Massimo Mandelli, Banca Popolare di Sondrio, Sondrio 2000. 3 - L’attuale chiesetta di San Giacomo di Fraele, dislocata in testa al lago, fu eretta nel 1953 a protezione delle dighe. 4 -Bruno Galli-Valerio, Punte e passi, traduzione italiana a cura di Luisa Angelici e Antonio Boscacci, Tipografia Bettini, Sondrio 1994. Val Trèla - val Alpisella 101 Escursionismo Alta Valtellina Verso il passo di val Trela (26 settembre 2015, foto Luciano Bruseghini). 5 - Il toponimo deriva dall’italianizzazione di val di Petìn. 6 - Fino a fine ‘800 per raggiungere l’alpe Trela si doveva affrontare un sentiero a tratti molto angusto ed esposto sui precipizi della gola terminale della val Corta. Questo venne allargato negli ultimi anni del secolo, quindi sostituito da una pista militare costruita ai tempi della Prima Guerra Mondiale. 102 LE MONTAGNE DIVERTENTI Il passo di val Trela (14 settembre 2014, foto Roberto Ganassa). S PI EL LE AL Al bivio. A sx si va a Trepalle, a dx in val Torto (26 settembre 2015, foto Luciano Bruseghini). VAL Tornando a noi, imbocchiamo la val Pettìni5 (NO) seguendo la carrareccia che costeggia il torrentello sulla sx idrografica, ma poco dopo, grazie a provvidenziali ponti in legno, ci spostiamo sull’altro versante. Prendiamo rapidamente quota accompagnati da verdeggianti e profumati pini mughi. Prima di una vallecola che scende sulla destra, incappiamo in un bivio: a sx la strada sterrata6 percorre la val Corta, o valle dell’Acqua, e si dirige alle cascine di Trela, mentre il sentiero n. 130 (dx), che noi scegliamo, sfrutta la val Lunga e guadagna la bocchetta omonima (m 2335). All’improvviso ecco comparire un quadro bucolico: un nutrito gruppo di cerve bruca erba e bassi cespugli. Man mano che ci avviciniamo, pur cercando di non allarmarle, odono comunque i nostri passi e se la danno a gambe levate. Peccato! Poteva scapparci una foto superlativa. Proseguiamo la marcia ai piedi del monte Pettìni fino a sbucare su di un esteso pianoro con vista a 360°. In Scendendo in val Pila. In alto sullo sfondo è Trepalle (26 settembre 2015, foto Bruseghini). Scendendo in val Pila (26 settembre 2015, foto Luciano Bruseghini). Il lago di Livigno e la valle Alpisella (14 settembre 2014, foto Roberto Ganassa). Estate 2016 LE MONTAGNE DIVERTENTI LA basso verso S risaltano nel verde dei pascoli le baite dell’alpe Trela, dominate dal pinnacolo della punta Lago Nero; verso O si protende la vallata che conduce al passo di val Trela e a NE è annidata la conca occupata dal bacino artificiale di San Giacomo, impreziosita dalle vette del piz Murtaröl e del piz Magliavachas. Insistiamo sulla traccia che a mezzacosta punta al valico, posto su un bel dosso panoramico, e con alcuni saliscendi in breve conquistiamo il passo di val Trela (m 2295, ore 1). Qui incrociamo diversi bikers sfiancati dalla salita da Trepalle e che si apprestano a buttarsi a capofitto in direzione San Giacomo, per poi rientrare a Livigno dalla valle Alpisella: praticamente stanno compiendo il nostro stesso itinerario in senso inverso. Guardando verso SE ammiriamo l’intera val Trela e il calcareo massiccio delle cime di Platòr. Riposati e rifocillati, marciamo decisi sull’ampio sentiero che perde gradatamente quota lungo la val Pila: essendo un tracciato studiato per le mountain bike, la stradina è veramente comoda e priva di difficoltà. Velocemente digradiamo allietati dallo scrosciare di un piccolo ruscello e dal fischio delle ultime marmotte ancora sveglie. Giunti nelle vicinanze di una Val Trèla - val Alpisella 103 Escursionismo Alta Valtellina Il lago dell’Alpisella (26 settembre 2015, foto Luciano Bruseghini). presa dell’acqua, abbandoniamo il sentiero n. 130 che si diparte verso sx (destinazione Trepalle) e seguiamo il fondovalle (sentiero n. 133), mirando alle abitazioni di Stefan7, frazione di Trepalle (m 1918, ore 0:45). Mantenendo sempre la dx idrografica avanziamo su uno sterrato che si infila in val Torto nel canyon scavato dal torrente. Nel procedere accanto al ruscello, lungo un tratto sinuoso inciso nella roccia, avvertiamo una strana sensazione di impotenza: in un attimo la natura potrebbe sopraffarci con le sue imprevedibili forze. Poco dopo la strada si trasforma in un agevole viottolo che accompagna il gorgogliante corso d’acqua. Ignorando un deviazione sulla sx, seguiamo la pista di dx che per un breve tratto scema in un sentiero stretto e piuttosto avventuroso, in quanto si rischia di finire coi piedi 7 - Riproponendo la fonetica dialettale la CTR riporta il toponimo Sc’tefan. Il terzo e più alto laghetto della valle Alpisella “di Fraele” (26 settembre 2015, foto Luciano Bruseghini). 104 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2016 LE MONTAGNE DIVERTENTI a mollo. Poi la via torna comoda e meno incassata. La lunga discesa termina a circa m 1840 presso il conoide di detriti scaricati a valle dal Rin d’Alpisella, che raccoglie le acque di vari rigagnoli che scaturiscono dalle pendici meridionali del pizzo del Ferro. Lo attraversiamo su grosse pietre, quindi seguiamo la traccia (poco evidente - bollino bianco-rosso verniciato sulla roccia8) che si inerpica (dx) su un dosso fino a m 1920, dove intercettiamo l’ampia mulattiera che unisce il lago di Livigno alla valle di Fraele. Questa percorre interamente la valle Alpisella, toponimo che identifica la profonda frattura della crosta terrestre compresa tra la costiera pizzo del Ferro - pizzo Aguzzo, formata dalla dolomia di Pra Grata, e i calcari della dorsale cima 8 - Se si mancasse questo sentiero e si proseguisse verso valle, si allungherebbe di molto il percorso giungendo fino al lago di Livigno. di Pozzin - monte Pettìni9. Ma la valle Alpisella non ha solamente una discontinuità trasversale, bensì, come scrive Giorgio Orsucci in 100 laghi di Valtellina e Valchiavenna10: “talmente sfuggente è la cesura creata dal passo di val Alpisella fra i due valloni, che essi sono ricondotti a un unico toponimo, Alpisella per l’appunto. Sicché la valle Alpisella si configura come un unico canale che, in apparente soluzione di continuità, collega il lago di Livigno al lago di San Giacomo. In realtà, nonostante la sua morfologia sia molto uniforme e quasi pianeggiante, la valle è spaccata da un importante spartiacque: la goccia che cade a ovest del passo di val Alpisella scende nel lago di Livigno, quindi nello Spöl, poi nell’Inn, nel Danubio e infine nel mar Nero; la goccia che cade a est del passo, invece, va nell’Adda che proprio in questa valle ha le sue sorgenti, quindi nel Po e infine nel mar Adriatico”. Percorriamo (dx) un primo tratto pianeggiante scortati da giovani camosci che compiono spericolate evoluzioni tra le rocce sopra le nostre teste facendoci temere la caduta di massi! Attraversato un ponte11, iniziamo la ripida ascesa in un ombroso bosco di conifere dove tre provvidenziali tornanti smorzano la pendenza. A oltre m 2150 usciamo dalla frondosa vegetazione. A questo punto insistiamo in direzione E fino a incrociare il verde lago dell’Alpisella (m 2268), che Bruno Galli-Valerio12 così declamava: “Attraversando l’Alpisella per fare una passeggiata a Livigno, penso che se fossi un pittore passerei alcuni giorni lassù, per riprodurre gli splendidi contrasti: le rocce nude, tormentate, i pascoli verdi e i laghetti dell’Alpisella. Vorrei dipingere l’ultimo laghetto verso Livigno, collo sfondo artistico del Saliente e della Corna dei Cavalli, le cui guglie brune si staccano sull’azzurro del cielo.” Intorno vi sono baite e spaziose stalle che ospitano nei mesi estivi numerosi capi di bestiame. Consi9 - Carta Geologica d’Italia, foglio n. 8 - Bormio, 1:100.000. 10 - Beno e Giorgio Orsucci, 100 laghi di Valtellina e Valchiavenna, Lyasis, 2013. 11 - Pontino dell’Alpisella su CTR. 12 - Bruno Galli-Valerio, Punte e passi, op. cit. Val Trèla - val Alpisella 105 Escursionismo Alta Valtellina Le sorgenti dell’Adda (29 settembre 2006, foto Matteo Gianatti). Scendendo al lago di San Giacomo (26.9.2015, foto Bruseghini). Le case di Petìn (26 settembre 2015, foto Luciano Bruseghini). derato l’immenso territorio a disposizione, le mucche non hanno che l’imbarazzo di scegliere dove pascolare! Poco oltre, siamo al secondo valico di giornata: il passo di valle Alpisella (m 2285, 2 ore). Le salite sono finite: d’ora in avanti si cammina solo in piano o in discesa. Seguiamo ancora la strada sterrata che percorre tutta la valle verso E, permettendo di ammirare i restanti tre laghetti dell’Alpisella, finché sulla sx (N) prendiamo il sentiero ben segnalato che conduce alle sorgenti “ufficiali” del fiume Adda (m 2102). Le sorgenti sarebbero più correttamente 106 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2016 LE MONTAGNE DIVERTENTI da identificarsi con quelle mappate sulla CNS, ovvero in corrispondenza di alcune pozze rossastre poste sul lato opposto della valle13 a circa m 2200. Un breve tratto fra rocce e aghifoglie e scopriamo dove nasce e inizia il suo percorso il quarto fiume italiano per lunghezza (313 km). Visto da qui sembra solamente un piccolo e fresco rigagnolo di montagna e non dà l’idea di poter diventare uno dei giganti navigabili del nostro Paese. Ripresa la marcia sempre in sx idrografica, abbiamo il terzo e improvviso 13 - Massimo Dei Cas, Alle sorgenti dell’Adda, LMD n.1 - Estate 2007, pp. 27-32. incontro faunistico, anche se stavolta è meno piacevole dei precedenti: un’intorpidita vipera se ne sta arrotolata a fianco della pista, ma come sopraggiungiamo si defila elegantemente tra i ciuffi d’erba selvatica. Fortunatamente Valeria non la scorge, altrimenti chissà che urla e che fuga a gambe levate farebbe! Continuiamo la discesa verso la valle di Fraele, nel bosco. In men che non si dica sbuchiamo sulla carrozzabile che costeggia il lago di San Giacomo. La percorriamo verso dx (S) e in dieci minuti chiudiamo il nostro anello a Petìn (m 1953, ore 1:45). Val Trèla - val Alpisella 107 Islanda Rubriche il trekking delle sorgenti calde – “Laugavegur” Quattro tappe, 90 km e 3600 metri di dislivello positivo: è uno dei percorsi più belli che si possono effettuare in Islanda. Tecnicamente non impegnativo (alcuni tratti su neve o attrezzati), è ben segnalato e servito da rifugi. La più grande incognita del trekking è il meteo, mai così variabile come in questa remota isola in mezzo all’Atlantico, capace di alternare giornate soleggiate e miti ad altre quasi invernali, anche in piena estate. Considerando la latitudine (64° N), tra i m 1000 e i m 1500 di altitudine si presentano condizioni analoghe a quelle che si trovano a m 3000 sulle Alpi. Andrea Toffaletti A poche decine di minuti dalla partenza, a monte della cascata di Skogafoss, si apre davanti a noi l’itinerario che dovremmo affrontare con la salita fino al passo Fimmvörðurháls lungo le pendici del vulcano Eyjafjallajökull, che tanti problemi creò la sua eruzione (1 agosto LE con MONTAGNE DIVERTENTI 2014, foto Giulia Frangi). 108nel 2010 Estate 2016 LE MONTAGNE DIVERTENTI Islanda - Il trekking delle sorgenti calde 109 Rubriche Viaggi CIRCOLO POLARE ARTICO MARE DI NORVEGIA Landmannalaugar Skogar OCEANO ATLANTICO L’Islanda. Indicati con la linea continua il percorso fatto in autobus, col tratteggio il trekking vero e proprio. Costi: prenotando con largo anticipo è possibile spendere circa 500 € per il volo diretto a/r dall’Italia. Il bus da e per la partenza del trekking si aggira intorno ai 100 € a/r. Cari sono i rifugi, intorno ai 40 € a notte senza vitto e occorre prenotarli almeno 6 mesi prima. Per info: www.nat.is. L’ Islanda, ovvero “terra del ghiaccio”, è un’isola vulcanica situata a nord dell’Europa attorno tra il 63° e il 67° parallelo. Nonostante la sua latitudine spinta, la corrente del Golfo ne mitiga il clima rendendo questa isola abitabile (312000 persone, di cui oltre un terzo gravita attorno alla capitale Reykjavík). Il territorio islandese, che misura circa 103000 km2, è composto per lo più da montagne e altipiani. Circa il 10% dell’isola è ricoperto da ghiacciai, tra cui il Vatnajökull, il più grande d’Europa. Le attività vulcaniche e geotermiche disegnano il paesaggio, mentre il contrapporsi di correnti miti con altre fredde genera una zona di bassa pressione quasi permanente che rende il clima estremamente variabile. L’Islanda è un’isola che non si finisce mai di scoprire: nei miei precedenti viaggi avevo visitato i 110 LE MONTAGNE DIVERTENTI fiordi occidentali ed effettuato il giro dell’isola, con interessanti puntate nell’interno. Questa volta voglio assaporare l’Islanda più selvaggia, in tenda e a diretto contatto con la natura. L’occasione è il trekking del Laugavegur, il cosiddetto “sentiero delle sorgenti calde” che, dalla località di Skógar sulla costa meridionale islandese conduce in quattro giorni nella montuosa regione di Fjallabak, precisamente a Landmannalaugar, dove si trovano invitanti pozze d’acqua calda. Il tragitto può essere percorso anche in senso opposto, in discesa, come fa la maggioranza degli escursionisti. Il nostro gruppo, invece, vuole porsi come traguardo alle proprie fatiche le pozze di acqua calda di Landmannalaugar. Arrivati a Reykjavík con volo diretto da Milano, ci spostiamo in pullman lungo la Ring Road n°1 costeggiando le numerose cascate che punteggiano la costa meridionale. Montata la tenda a un centi- naio di metri dalla bella cascata Skogafoss ci addormentiamo sotto la fastidiosa e caratteristica pioggerella islandese. I TAPPA: SKÓGAR - BASAR (26 km / DISLIVELLO + 1100 m) Il risveglio la mattina seguente non è dei migliori: piove, la tenda è allagata e la sveglia suona due ore prima del previsto (4:30) perchè non abbiamo impostato il fuso orario. Smontato il campo ci mettiamo in cammino curvi sotto zaini stracarichi. Il percorso risale il corso del fiume Skógar su ampi pendii alle falde del famigerato Eyjafjallajökull, il vulcano che durante l’eruzione del 2010 sputò tanta cenere da paralizzare per vari giorni i voli in tutta Europa. Il sentiero è evidente e si snoda tra piccole cascate. Attraversato un ponticello in legno intercettiamo la strada sterrata nei pressi del bivacco Baldvinnskali (m 880). Il paesaggio si fa sempre più aspro e appaiono i primi nevai che preludono Estate 2016 2° tappa. Poco dopo aver attraversato un profondo canyon siamo ormai in vista del rifugio Emstrur (2 agosto 2014, foto Andrea Toffaletti). al passo Fimmvörðurháls (m 1100), il punto più elevato dell’intero trekking. Proseguiamo per campi di lava originati da recenti eruzioni e coni vulcanici che sprigionano vapori di zolfo. Vuoi per questo, vuoi per una nebbia da pianura Padana, l’atmosfera sembra quella di un girone dantesco. A causa del forte vento non indugiamo troppo dirigendoci verso la sottostante valle di Þorsmörk, ovvero la “valle degli Dei”. Qui superiamo, grazie a una catena di sicurezza, un passaggio esposto, l’unica difficoltà tecnica dell’intero percorso. Attraversiamo verdi vallate a cui seguono stretti canyon scavati dai fiumi nella tenera cenere vulcanica, quindi boschi di betulle nane nella parte più bassa della valle. Raggiunto in serata il piccolo insediamento di Basár, montate le tende, fatta una doccia semi-calda nelle strutture del campeggio e rifocillati a dovere, ci buttiamo nelle tende speranzosi di trovare un tempo migliore al nostro risveglio. LE MONTAGNE DIVERTENTI II TAPPA: BASAR - BOTNAR (15 km - DISLIVELLO + 150 m) Il nuovo giorno ci accoglie con un cielo terso e senza nubi. Ciò ci consente di ripiegare le nostre tende praticamente asciutte e di fare un’abbondante colazione crogiolandoci al sole. La seconda tappa non ci preoccupa molto: il percorso è pianeggiante e si snoda prevalentemente in una larga vallata, dove ci sono solo un paio di guadi da effettuare. Partiamo di buona lena raggiungendo il rifugio di Þorsmörk dall’altra parte della valle dopo aver superato l’ampio letto del torrente Krossá. Il paesaggio è rigoglioso: qualche albero alto non più di tre metri, erba verde e ruscelli ricordano le nostre Alpi. Guadato il fiume Þröngá, togliendoci scarponi e calze, entriamo in un’ampia vallata. Il verde lascia spazio a un brullo altopiano sferzato dal vento che alza folate di polvere. Incontriamo molti escursionisti che viaggiano in senso opposto al nostro: sono soprattutto inglesi, francesi e ovviamente tedeschi. Qualche parola, un pranzo frugale e si riparte. Il tempo volge nuovamente al brutto e nubi scure ci scaricano addosso acqua e grandine, che fronteggiamo col giusto equipaggiamento. Grazie a un ardito ma solido ponticello sorpassiamo il profondo canyon scavato dall’impetuoso torrente Syðri-Emstruá, che nasce da una lingua del ghiacciaio del Mýrdalsjökull. Raggiungiamo quindi il rifugio di Emstrur (m 500 circa) e l’annesso campeggio, posto in pendenza in riva a un torrentello. I rifugi islandesi sono ben diversi da quelli sulle Alpi: innanzitutto devono essere prenotati molto in anticipo, anche sei mesi prima, e non offrono cibo, costringendo l’escursionista a portare i viveri da casa. Il tempo non migliora molto: tira un forte vento e la temperatura è attorno ai 5°C, ma almeno non piove! Al riparo di un fabbricato consumiamo una cena veloce a base di piatti liofilizzati e poi ci ritiriamo nelle tende. Islanda - Il trekking delle sorgenti calde 111 Rubriche III TAPPA: BOTNAR - ALFTAVATN (16 km - DISLIVELLO + 50 m) Dopo una travagliata notte passata a temperature prossime allo zero, la mattina, sotto un cielo plumbeo, ci incamminiamo verso nord, lungo un ampio e ben segnalato sentiero che attraversa un arido altopiano costituito prevalentemente da roccia lavica. Il paesaggio è reso vivace dalla presenza di alcuni vecchi coni vulcanici ricoperti da una verdissima vegetazione pioniera. Dopo aver guadato alcuni rivoli, raggiungiamo una pista sterrata lungo la quale ogni tanto fa la sua comparsa qualche jeep. La pista prosegue verso nord per circa 3 km, fino al guado più profondo e impegnativo dell’intero trekking: quello del fiume Kaldaklofskvísl. Qui è d’obbligo togliersi scarponi, calzettoni e pantaloni poiché l’acqua supera l’altezza del ginocchio. La corrente non è molto forte, ma è consigliabile avere due bastoncini per mantenere l’equilibrio: una caduta in acqua, anche se non pericolosa, bagnerebbe zaino e l’attrezzatura contenuta. Dopo un paio di chilometri siamo al piccolo agglomerato di case di Hvanngil (ovvero “l’ovile”), dove si trova la fermata del pullman diretto verso la costa, a Sellfoss, e che permetterebbe di interrompere il trekking in caso di necessità. Altri cinque chilometri e concludiamo la terza tappa, il lago di Álftavatn, dove a circa m 500 vi è un rifugio e il relativo campeggio, privo di acqua calda. Montata in fretta la tenda per il sopraggiungere di nuove precipitazioni, ci rifocilliamo a dovere e ci corichiamo piuttosto preoccupati: le previsioni, comunicateci dal rifugista, annunciano neve oltre i 900 m. IV TAPPA: ÁLFTAVATN LANDMANNALAUGAR (24 km DISLIVELLO + 470 m / - 500 m) Nonostante le previsioni, il tempo è stranamente bello. Solo qualche velatura in cielo ci ricorda che qui, a 64° di latitudine nord, in mezzo all’oceano Atlantico, il tempo è estremamente mutevole. Dal lago di Álftavatn ci portiamo verso le montagne di Fjallaback, sipario alla valle di Landmannalaugar, capolinea del trekking. Il sentiero si snoda in una stretta 112 LE MONTAGNE DIVERTENTI Viaggi 3° tappa. A circa un’ora di cammino dal rifugio di Emstrur nell’ampia vallata in direzione nord. Questo è forse il luogo in cui ci si sente davvero piccoli al cospetto dei grandi spazi disabitati islandesi (2 agosto 2014, foto Andrea Toffaletti). 4° tappa. A circa metà strada tra il lago Álftavatn e Landmannalaugar incontriamo alcune solfatare che emettono vapori vulcanici debolmente acidi (3 agosto 2014, foto Andrea Toffaletti). 3° tappa. Il guado più impegnativo dell’intero percorso lungo il torrente Kaldaklofskvísl: è necessario togliersi scarponi, calze e pantaloni vista la profondità dell’acqua del torrente (2 agosto 2014, foto Andrea Toffaletti). 4° tappa – La selva di vallecole da superare per arrivare al rifugio Hrafntinnusker (3 agosto 2014, foto Andrea Toffaletti). 4° tappa. Da un valico posto circa 500 m più in alto, osserviamo il percorso compiuto dall’ Eyjafjallajökull fino al lago di Álftavatn (3 agosto 2014, foto Andrea Toffaletti). Il grande campeggio di Landmannalaugar alla fine dell’itinerario. Consta di varie strutture come docce e servizi igienici (4 agosto 2014, foto Giulia Frangi). Estate 2016 LE MONTAGNE DIVERTENTI valle, per poi risalire un ripido pendio fino ad un altopiano a circa 1000 m, dove il panorama è vastissimo e ci consente di guardare l’itinerario percorso nei giorni precedenti. Il paesaggio è brullo e durante la marcia incontriamo molti soffioni vulcanici che emettono gas non molto salutari, ma che creano un ambiante molto particolare. Qualche chilometro di saliscendi e arriviamo al bordo dell’altopiano, da cui scorgiamo il rifugio Hrafntinnusker, posto a circa m 1000. Dopo essere discesi per qualche centinaio di metri, affrontiamo gli ultimi tre chilometri, dove un gran numero di vallecole, fonde 25-30 m e create dai processi erosivi dell’acqua nella tenere roccia tufacea, ci obbligano a continui saliscendi. Il tempo cambia nuovamente: acqua mista a neve ci accompagna fino al rifugio, ubicato in un luogo quanto mai spoglio ed esposto al forte vento. Ci mancano altre 4 ore di marcia e ulteriori 12 km! Superato un valico poco lontano dal rifugio, il sentiero s’avventura in una zona solitamente innevata e perde quota molto lentamente. Affrettiamo il passo per sfuggire alla pioggia gelata che ci flagella. Con un percorso a saliscendi in un paesaggio dominato da colline riolitiche color ocra e sorgenti calde tocchiamo prima il monte Brennisteinsalda dalle mille sfumature colorate e infine la località di Landmannalaugar col suo campeggio, comodamente servito da un servizio bus. Le vicine pozze di acqua calda, adagiate al termine di una vecchia colata di lava, ci consolano e ci permettono di passare varie ore a mollo, mentre centinaia di escursionisti occupano rumorosamente il campeggio e ci fanno rimpiangere le zone remote appena attraversate. L’Islanda negli ultimi anni è sempre più interessata dal turismo di massa. Questo sta profondamente mutando gli standard turistici e sta intaccando la rude bellezza del territorio. Visitare l’isola “zaino in spalla” attraverso le vaste regioni interne è stato per noi il modo migliore per assaporare quel senso di solitudine e libertà oggi così difficile da trovare anche a ridosso del Circolo Polare Artico. Islanda - Il trekking delle sorgenti calde 113 G Rubriche ambero di fiume Austropotamobius pallipes: un corazzato d’acqua dolce Matteo Di Nicola Lombardia. Gambero di fiume in una fotografia di tipo “split”, cioè in cui è visibile sia il fondo del corso d’acqua che l’ambiente esterno (10 marzo 2016, foto Matteo Di Nicola). 114 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2016 LE MONTAGNE DIVERTENTI Corazzati d'acqua dolce 115 Rubriche Fauna Q uando si pensa a certi animali si è portati inevitabilmente ad associarli al loro habitat tipico di appartenenza. Ad esempio nel nostro Paese gamberi e granchi riconducono subito all’ambiente marino, forse non a torto, considerando che gran parte delle specie italiane vive in acque salate o salmastre. Esistono però eccezioni: le nostre acque interne vantano infatti la presenza di splendide specie dulciacquicole che colonizzano diversi tipi di ambienti. In quelli collinari e prealpini delle valli lombarde, il protagonista è un bel gambero di colore bruno-rossastro: il gambero di fiume. Lombardia. Maschio adulto di gambero di fiume sul fondo del torrente. Il gambero preferisce acque fresche. La temperatura ideale si aggira sui 15°C (10 marzo 2016, foto Matteo Di Nicola). A Lombardia. Giovane gambero di fiume. La vita del gambero non è semplice. La femmina, dopo l’accoppiamento autunnale, porta sull’addome un centinaio di uova fecondate. Se ne prende cura, ventilandole e pulendole continuamente, per 5-6 mesi. Le uova si schiudono in primavera, ma le piccole larve rimangono inizialmente aggrappate al corpo materno. Diventate autonome, entrano in un mondo fitto di pericoli: innanzitutto devono sfuggire ad altre larve voraci, come quelle dei ditiscidi o delle libellule, poi, superata questa prova, diventano tra le prede preferite di trote, anguille e corvi, oltre che dell’uomo (10 marzo 2016, foto Matteo Di Nicola). 116 LE MONTAGNE DIVERTENTI ustropotamobius pallipes, il suo nome scientifico, è un crostaceo decapode1 appartenente alla famiglia degli astacidi, che comprende solo specie d’acqua dolce Europee ed Americane. L’esoscheletro chitinoso e le grosse chele ne fanno un animale dall’aspetto coriaceo, ma le particolari esigenze ecologiche denotano delicatezza e bassa tolleranza all’inquinamento, all’alterazione antropica e alla frammentazione dei suoi habitat. Fenomeni questi ultimi che hanno portato a un notevole decremento delle popolazioni in tutto l’areale di distribuzione, quindi all’inserimento del gambero di fiume nella lista rossa IUCN2 delle specie a rischio, come endangered3. Il genere Austropotamobius conta solo due specie attualmente riconosciute, distribuite esclusivamente nell’Europa occidentale. In Italia sono presenti entrambe anche se una, il gambero di torrente (A. torrentium), è limitata a pochissime popolazioni del Friuli nord-occidentale. Nel nostro Paese l’incontro con l’altra specie, A. pallipes, è possi1 - Con 10 zampe. 2 - L’ Unione Mondiale per la Conservazione della Natura (International Union for the Conservation of Nature) è un’organizzazione non governativa con sede in Svizzera fondata nel 1948 e osservatore permanente dell’assemblea generale del’ONU. L’IUCN ha come missione “di persuadere, incoraggiare ed assistere le società di tutto il mondo nel conservare l’integrità e la diversità della natura e nell’assicurare che qualsiasi utilizzo delle risorse naturali sia equo ed ecologicamente sostenibile” (fonte www.iucn.it). 3 - Minacciato. Estate 2016 LE MONTAGNE DIVERTENTI Lombardia. Femmina adulta sul fondo del torrente. Si possono percepire le minori dimensioni, sia totali che delle chele, rispetto al maschio (14 maggio 2015, foto Matteo Di Nicola). Dove il fondale è sabbioso, il gambero di fiume assume una colorazione quasi mimetica. La presenza del gambero è indice di acque non inquinate (19 maggio 2015, foto Matteo Di Nicola). Corazzati d'acqua dolce 117 Rubriche Fauna Il gambero di fiume popola corsi d’acqua ben ossigenati in zone boscate e ombreggiate delle fasce collinari e prealpine. Predilige fondali sassosi, ma si adatta pure a quelli fangosi e sabbiosi, anche di ambiente lacustre. È facile da rinvenire nei torrenti e nei ruscelli di montagna, dove è impossibile confonderlo con la specie invasiva americana perchè quest’ultima a quote elevate risulta assente. Ha abitudini prevalentemente notturne. È carnivoro e si nutre di vari tipi di invertebrati, ma in caso di necessità si adatta a mangiare anche vegetali. La lunghezza media è di 10-12 cm, il peso arriva a 90 g. I maschi sono generalmente più grossi delle femmine e con chele di maggiori dimensioni. Il tempo degli amori è l’autunno, dove avviene la fecondazione delle uova che si schiuderanno a fine primavera. ra i corazzati d’acqua dolce italiani non si può infine non spendere due righe anche per un’altro bellissimo decapode, sebbene non presente sulle Alpi lombarde: il granchio di fiume (Potamon fluviatile). Questa specie è rinvenibile dall’Appennino Ligure-Toscano alla Sicilia, ma è assente a nord del Po e in Sardegna. Vive in ruscelli a lento corso della fascia basso-collinare o in alta pianura ma può anche colonizzare cave e laghetti, purchè abbia la possibilità di scavare profonde tane lungo gli argini, in cui trova rifugio di giorno e durante i mesi freddi. Di colore bruno, ma con i maschi che possono assumere anche vivaci tonalità di viola, ha un aspetto ancora più coriaceo di quello del gambero pur essendo altrettanto delicato e sensibile alle alterazioni ambientali. In caso di fortunato incontro con uno di questi crostacei ricordo che è assolutamente vietata la cattura, sia a scopo culinario che detentivo, in quanto animali protetti. Basterà osservarli o scattare una bella foto per portarsi il ricordo di un soldato del fiume, purtroppo in parte sconfitto dalla spietata macchina umana che spesso divora avidamente la natura per un egoistico e poco sostenibile profitto. T Liguria. Un maschio adulto di granchio di fiume (Potamon flluviatile) staziona fiero sul fondale ghiaioso del suo ruscello. (25 aprile 2015, foto Matteo Di Nicola). Friuli. Presente in poche zone d’Italia, il gambero di torrente (Austropotamobius torrentium) ad occhi non esperti è difficilmente distinguibile dal gambero di fiume (8 maggio 2016, foto Di Nicola). 118 LE MONTAGNE DIVERTENTI Lombardia. Gambero della Louisiana (Procambarus clarkii), facilmente distinguibile dalla specie nostrana per il colore rosso vivace e per la presenza di una spina alla base delle chele (14.10.2010, foto Di Nicola). Estate 2016 bile nei pochi habitat idonei rimasti di tutte le regioni ad esclusione di Sicilia, Sardegna, Puglia e Calabria meridionale, dove la specie risulta assente. Molte sono le testimonianze di chi, nei ricordi d’infanzia, vedeva il gambero di fiume nei corsi d’acqua dietro casa, ma ora non più e questo, confermato dai più affidabili studi scientifici è prova che il gambero di fiume stia subendo un preoccupante declino. Le cause sono da attribuire alla già citata distruzione dei suoi habitat, alla pesca indiscriLE MONTAGNE DIVERTENTI minata per via delle carni prelibate (ormai da tempo vietata, ma non del tutto cessata) e, non ultimo, alla presenza massiccia di fauna alloctona come il gambero della Louisiana o gambero killer (Procambarus clarkii). Quest’ultimo è dannosissimo perchè può trasmettere organismi patogeni, come la peste del gambero, anche se non è un competitore diretto in quanto la maggior parte degli habitat delle due specie non si sovrappongono4. 4 -Il gambero americano colonizza soprattutto i bacini planiziali a lento corso. Corazzati d'acqua dolce 119 Poesie dialettali Rubriche La pastiglia miracolosa Paolo Piani Tós, fregióor, catàr e ótri faštédi1: cuntra ognantüu sa truàt rimédi! Ma la sciénsa l’a pèrs ogni šperànsa, da šcuprìi ‘na cüra cuntra l’ignorànsa2! L’ignorànsa l’è ‘na bèštia própi catìva, ca ogni òtra malìzia en sée la cultìva; d’envédia, cativéria, òdio e violénsa, la persóna ignorànta l’è mai sénsa! Tosse, raffreddore, catarro e ogni altro tedio, contro ognuno si è trovato uno specifico rimedio! Ma la scienza ha ormai perso ogni speranza di scoprire una cura contro la stupida ignoranza! 2) L’ignoranza è una bestia proprio cattiva; che ogni altra malizia in seno coltiva; di invidia, cattiveria, odio e violenza, la persona ignorante mai è senza! Capisée tüc’3 l’urgénsa de na sülüziù, ca, se pö dìi, l’anterèsa ogni naziù; ma pürtròp la natüra štèsa del difèt, a-i le mèt al ripàar da ogni precèt! Tutti voi capite quanto sia urgente una soluzione, che, si può affermare, interessi ogni nazione; ma purtroppo la natura stessa del difetto fa sì che sfugga ad ogni regola e precetto! Par méi špiegàa chèl ca ‘nténdi dìi, öli fàa n’esémpi ca tüc’ a-i pö capìi: sa n’óm én di ‘na gamba al se fa màal, ol so scervèl al ricéf en gran ségnàal, Per spiegare meglio ciò che intendo dire, voglio fare un esempio affinché ognuno possa capire: se un uomo in una gamba si fa male, il suo cervello riceve un forte segnale. ma sa ‘l scervèl l’è öit come ól mè bursìi4, ghé gnè ‘l f ìdech gnè la coràda5 a-i pö suštitüìi! L’è tüso en gat che öl maiàs la cùa .. al se ǧira6, al se ǧira e mai le trùa! Ma se il cervello è vuoto come il mio portafogli, né il fegato, né i polmoni lo possono sostituire. Sembra di vedere un gatto la sua coda inseguire: gira, gira, gira senza poterla ghermire! Par giùnta, tanto pü en tal l’è rébambìit, tanto méno da šta idéa al vée culpìit, parché l’óm štüpet al vìif cuntèet… … e da vich7 en difèt al ghe vée gna en méet! Per giunta, tanto più si è rimbambiti, tanto meno da questa idea si è colpiti, e inoltre, siccome lo stupido vive giocondo … di avere un difetto, non ci pensa un secondo! E ilùra, al ghe olarìs própi na gran šcupèrta, ma própi granda … da lagàa a buca vèrta: la “PASTÌGLIA DE L’INTELIGÉNSA”: ch’envensiù! … ensèma a l’òbbligo da töla gió a colaziù!!! E allora, ci vorrebbe una grande scoperta, ma proprio grande, da lasciare a bocca aperta: La “PASTIGLIA DE L’INTELIGENSA”: che invenzione! ...unitamente all’obbligo di ingerirla a colazione !!! 1 - La š si pronuncia sc. Nel dialetto di Albosaggia il suono della š è decisamente meno marcato che in quelli di Montagna o di Poggiridenti. 2 - L’ignoransa, nel dialetto di Albosaggia, non è da intendersi come una “non conoscenza”, bensì come una grave forma di stupidità. 3 - La c’ indica il suono dolce della c finale, come in calec’. 4 - Öit come òl me bursìi: vuoto come il mio portafogli. 5 - Coràda: polmoni. 6 - La ǧ indica la j francese. 7 - La particella ch indica il suono duro della c finale. 120 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2016 LE MONTAGNE DIVERTENTI La pastiglia miracolosa 121 IL MIGLIOR FOTOGRAFO LE FOTO DEI LETTORI Le foto dei lettori 1 L’orso nella valle dei Ratti (2 aprile 2016, foto Bogna Sudolska ). Recensione (a cura di Beno) Il fotografo - Bogna Sudolska Nella fotografia di reportage non sempre serve, come in quella paesaggistica, la perfezione tecnica, ma è più importantea la capacità di cogliere con prontezza e velocità delle situazioni eccezionali che non sempre permettono di ottimizzare tutti i parametri o di trovare la migliore posizione per scattare. Questa immagine dell’avvistamento dell’ orso ne è un emozionante esempio. La fotografa era stata informata della presenza del plantigrado da due amici, Massimo Copes e Fausto Angelini, i quali lo avevano avvistato dal sentiero che porta all’alpe Nave. L’orso era sul versante di Corveggia, mentre, come racconta Bogna, loro si sono appostati su quello opposto per non infastidirlo. L’animale si è così mosso con tranquillità per alcune ore, per poi allontanarsi indisturbato. «Non ho avuto paura - afferma Bogna - come credo non avrebbe avuto nessuno al mio posto: eravamo a 300 metri in linea d’aria, così da poterlo ammirare senza temere per la nostra sicurezza. Quello con l’orso è un incontro davvero inusuale tra le montagne della provincia di Sondrio, lascio quindi solo immaginare la mia emozione in quei momenti! Indispensabili sono stati un buon teleobiettivo, il treppiedi e il telecomando per evitare qualsiasi, anche minima, vibrazione della macchina. La più grande difficoltà d’esecuzione è stata evitare gli ostacoli che si ponevano tra me e il soggetto: alberi, arbusti e cespugli. L’unico momento in cui ho avuto campo libero è stato quando l’orso ha deciso di scendere un canalone sassoso.» Polacca d’origine, da più di vent’anni sono stata adottata dalle montagne valtellinesi. Più di tutto sono affascinata dal mondo naturale, dalle forme perfette delle piante e degli animali, dai tramonti e dai cieli stellati. Poco importa se stia praticando yoga in un prato, passeggiando nel bosco o se stia osservando qualche animale camuffata da cespuglio: la natura è medicina per ogni male e quello che importa è essere in contatto con essa. La fotografia è il modo più efficace che ho trovato per condividere con gli altri questa filosofia. MANDA LE TUE FOTOGRAFIE Due sezioni dedicate ai nostri lettori: - una che premia il fotografo più bravo tra quelli che invieranno, con oggetto "miglior fotografo", i loro scatti inerenti i monti di Valtellina e Valchiavenna all'indirizzo email [email protected]. - una che mostra chi ha portato “Le Montagne Divertenti” a spasso per il mondo; le foto vanno inviate esclusivamente all'indirizzo email [email protected] e devono avere un soggetto umano (anche se in qualche caso accettiamo anche animali domestici), la rivista (o un oggetto personalizzato LMD, come il retro della nuova mappa della Valmalenco) e, preferibilmente, uno scorcio del luogo. Per esigenze grafiche, e non per corruzione degli addetti, alcune immagini potranno essere pubblicate in anticipo rispetto all'ordine di invio. Pure la grandezza di pubblicazione non è proporzionale al peso del salame "di casa" inviatoci, ma rispecchia solo criteri di grafica. Non si accettano fotomontaggi. Ricordati di mandare le immagini alla massima risoluzione. 122 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2016 2 3 1 ➣ Chiesa in Valmalenco - Dal parrucchiere le pecore leggono solo la loro rivista preferita (29 novembre 2015, foto Laura Sem). 2 ➣ Alpi Lepontine - Laila, Alessandro, Davide, Valentino, Giacomo e Daniele sull’Hosandhorn (m 3182) (26 marzo 2016). 3 ➣ Sardegna - I “Dolcissimi” sulla punta Cannone (m 565), in cima all’isola di Tavolara (16 maggio 2016). LE MONTAGNE DIVERTENTI Le foto dei lettori 123 LE FOTO DEI LETTORI Le foto dei lettori 7 8 9 10 4 5 6 4 ➣ Isola di Ponza - Dopo l’udienza in piazza San Pietro, monsignor Francesco Abbiati, con parrocchiani di Albosaggia (27 aprile 2016). 5 ➣ Valmalenco - Matteo, Ida, Pier e Nati al rifugio Longoni (20 agosto 2015). 6 ➣ Argentina - Giorgio lungo la RN 52 che attraversa il vasto plateau salato Salina Grande nella provincia di Jujuy (19 novembre 2015). 7 ➣ Monte Bianco - Tino e Miriam sulla punta Helbronner. Alle loro spalle il Dente del Gigante e le Grandes Jorasses (15 maggio 2016). 8 ➣ Romania - Flavia, Federica, Piera e Paolo leggono storie divertenti al castello di Peles a Sinaia (17 aprile 2016). 9 ➣ Stati Uniti - Corrado alla maratona di Boston (25 aprile 2016). 10 ➣Thailandia - Celio e il monaco buddista davanti al tempio bianco Wat Rong Khun, nei pressi di Chiang Rai (1 aprile 2016). 124 LE MONTAGNE DIVERTENTI LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2016 Le foto dei lettori 125 LE FOTO DEI LETTORI Le foto dei lettori 11 12 16 17 18 19 14 13 15 11 ➣Chiesa in Valmalenco - Dori e la sua rivista preferita (11 aprile 2016). 12 ➣Argentina - Giada, Michela, Elisabetta, Andrea e Sebastian dalla Patagonia (aprile 2016). 13 ➣Scozia - Kieran Cunningham a Loch Katrine (Stronachlachar) nelle Scottish Highlands (27 dicembre 2015). 14 ➣aValmalenco - Fabio con Nala, Carlo, Gianpio, Romina, Roberto, Filippo, Carlo ed Enrico Corno di Braccia! (26 dicembre 2015). 15 ➣Val Màsino - Domenico, Walter, Stefano, Flavio, Luca e Matteo scendendo dalla sella di Pioda (24 aprile 2016). 16 ➣Alpi Retiche - Filippo sale il pizzo Canciano dopo un bivacco notturno in truna al passo di Campagneda (25-26 marzo 2016). 17 ➣Alta Valtellina - Antonio e Angelina con il cane Red, Pierino e Caterina sul Sasso Campana in val Grosina (8 gennaio 2016). 18 ➣Ardenno - Paola, Betty, Mary, Corina donne divertenti “Da Geo” (19 aprile 2016). 19 ➣Primolo - Arrivato a 94 anni, Rudy Ferrario vede le montagne dal balcone di casa o su “Le Montagne divertenti”! (27 marzo 2016). 126 LE MONTAGNE DIVERTENTI LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2016 Le foto dei lettori 127 LE FOTO DEI LETTORI Le foto dei lettori 21 25 20 26 22 27 23 28 24 20 ➣Talamona - Giochi in allegria a Montemarcio (7 agosto 2015). 21 ➣Cuba - Mario, Silvana, Attilia e Luciano in viaggio a L’Avana (5 marzo 2016). 22 ➣Alpi Retiche - Ismaele, Simona e Michele al bivacco Bottani-Cornaggia (26 dicembre 2015). 23 ➣Fiuggi - Gli atleti del GP Santi Nuova Olonio al campionato italiano master di corsa campestre (20 marzo 2016). 24 ➣Tenerife - Morena, Max, Michi e Lella portano il mitico n.1 de LMD ai m 3718 del vulcano Teide (18 marzo 2016). 128 LE MONTAGNE DIVERTENTI 29 25 ➣Valmalenco - Luca e Alessia sul monte Foppa (22 aprile 2016). 26 ➣Delebio - Davide festeggia la Pasqua con il nonno Giovanni (27 marzo 2016). 27 ➣Sardegna - Michele ed Erica constatano che a Costa Rei fuori stagione ci son solo le pecore (7 maggio 2016). 28 ➣Valmalenco - Luca di Pusiano ed Edoardo di Cislago al rifugio Palù (26 marzo 2016). 29 ➣Austria - Paola,Valerio e Fortunato in piazza della Residenza a Salisburgo (17 agosto 2015). Estate 2016 LE MONTAGNE DIVERTENTI Le foto dei lettori 129 LE FOTO DEI LETTORI Le foto dei lettori 30 31 34 35 36 37 32 33 30 ➣Chiesa Valmalenco - “Piccoli bar crescono” presso il rifugio “la Gusa” ai Barchi (16 aprile 2016). 31 ➣Zanzibar - Eugenio e sua moglie Ornella si godono una settimana di pura estate sulla spiaggia di Kendwa (15 febbraio 2016). 32 ➣Valmalenco - Fabio, Filippo B. e Filippo N. in pattini davanti al rifugio Cristina all’alpe Prabello (30 dicembre 2015). 33 ➣Primolo - La terza edizione de “La primolata”: da Sondrio a Primolo (20 marzo 2016). 34 ➣Repubblica Dominicana - Il Rena, il Ponch, il Cece e lo Zatta e sei ragazze del Paraguay a Bayahibe sull’isola di Saona (22 marzo 2016). 35 ➣Antigua - Barbara, Elisabetta, Gianna, Giusi, Italo, Luca, Paolo, Renzo, Silvia e Tiziana (14 gennaio 2016). 36 ➣Olanda - Kinderdijk, da destra Anastasiya, Oscar, Grazia e Matteo (27 dicembre 2015). 37 ➣Stati Uniti - Efrem, Valeria, Luciano, Erica e Stefano nella Death Valley, parco nazionale tra California e Nevada (26 maggio 2016). 130 LE MONTAGNE DIVERTENTI LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2016 Le foto dei lettori 131 LE FOTO DEI LETTORI Le foto dei lettori 41 42 43 44 38 39 40 38 ➣Parma - Il coro CAI di Sondrio al teatro Regio durante la “XXXIV rassegna del bel cant” (7 novembre 2015, foto archivio Coro CAI). 39 ➣Valmalenco - Francesco e Nancy da Sydney a Primolo presso lo chalet della Pineta (27 dicembre 2015). 40 ➣New York - Francesco Lapsus con Cristina Bonacina e Lele Manzi dopo la “Empire state building run up” (4 febbraio 2016). 41 ➣Canada - Giacomo, Marco, Diego, Giovanni e Claudio sul mount Field (m 2642) nel British Columbia (1 marzo 2016). 42 ➣Alpi Retiche - Giorgio, dopo una bella nevicata notturna, va a sgranchire assi e gambe a Prato Valentino (10 febbraio 2016). 43 ➣Bosnia - Il gruppo dei “Giaröi” a Medjugorje (4 marzo 2016). 44 ➣Lapponia - Mario e Gabriella hanno raggiungono il circolo polare artico (19 febbraio 2016). 132 LE MONTAGNE DIVERTENTI LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2016 Le foto dei lettori 133 LE FOTO DEI LETTORI Le foto dei lettori 49 50 45 51 46 47 49 ➣Svizzera - Davide, Adele, Stefano e Roberta sulle rive del lago di Poschiavo in una splendida giornata di sole (26 marzo 2016). 50 ➣Tenerife - Emidio, Lorenza, Roby, Elvia nel massiccio montuoso di Teno (18 gennaio 2016). 51 ➣Valcamonica - La selezione provinciale maschile di pallavolo U15 che ha partecipato al “Trofeo delle province” (26 marzo 2016). 52 ➣Alta Valtellina - Da Dino, unico residente tutto l’anno all’alpe San Colombano a Valdisotto (19 febbraio 2016). 53 ➣Alpi Orobie - Piccole sciatrici al pianone di Pescegallo: Ilaria, Rachele, Elisa, Federica (3 aprile 2016). 45 ➣Isole Baleari - Cinzia, Raffaele, Piera, Ivo e la piccola Serena a Palma di Maiorca (15 dicembre 2015). 46 ➣Norvegia - Claudio, Barbara, Patrizia, Franca, Ornella, Stefania, Ercole, Alessandra, Diego e Gottardo (25 marzo 2016). 47 ➣Alta Valtellina - I bambini della primaria Eco School di Triangia in gita al Museo Vallivo di Valfurva (17 maggio 2016). 48 ➣Valmalenco - Silvia e Pierangelo Ferrari al passo degli Ometti (11 luglio 2015). 134 LE MONTAGNE DIVERTENTI 53 52 48 Estate 2016 LE MONTAGNE DIVERTENTI Le foto dei lettori 135 Vincitori e vinti soluzioni del n.36 Ortles (3906) Gran Zebrù (3851) a Che scimma i-è? Giochi a Monte Pasquale (3553) concorsi del n.37 I ciüsè òlta Quali sono tra quelle ritratte in questa foto di Gioia Zenoni la vetta più alta in assoluto e quella più alta interamente in territorio valtellinese? La cima più alta ritratta in questa fotografia è l’Ortles (m 3906) e si trova in Tirolo. Poi, in ordine d’altezza, vi è il Gran Zebrù, ma è sulla linea di confine. Mentre tra quelle interamente in territorio valtellinese è il monte Pasquale (m 3553) in val Cedeh a dominare la scena. Pertanto la soluzione è Ortles e monte Pasquale. I vincitori sono: 1. Carlo Busnelli 2. Margherita Maggi Per gli altri premi tra chi ha indovinato sono stati estratti: 3. Viviana Castellini 4. Doris Varisto 5. Samuele Grossi In anticipo o in ritardo, hanno indovinato anche: Antonietta Parolo, Angela Vanotti, Silvana, Giovanna e Fabio Fanoni. Conosci il nome delle due cime indicate con le frecce? Suggerimenti: 1) ne è ritratto il versante meridionale; 2) si trovano entrambe per intero in Valtellina; 3) distano quasi 18 chilometri l’una dall’altra. Dai la tua risposta dalle ore 21:00 del 3 giugno 2016. Ai due più veloci andrà la pila frontale M50L-P della Skitrab*! Tra tutti gli altri che avranno indovinato entro le 21 del giorno seguente verranno estratti 3 fortunati a cui andranno la fascetta per la corsa e la maglietta LMD. Scrivete le vostre risposte esclusivamente sulla pagina dedicata accessibile da www.lemontagnedivertenti.com/concorsi/ Ma ch’el? I cugnùset? Cos’è e a cosa serve? Dai la tua risposta dalle ore 21:00 del 4 giugno 2016. Ai due più veloci andrà la pila frontale M50L-P della Skitrab*! Tra tutti quelli che avranno indovinato entro le ore 21 del giorno L’oggetto ritratto in fotografia e appartenente alla collezione di Valtellina Antichità Restauri di Gianola Nino & C. (www.valtellinaantichitarestauri.it) è un antico tritaverdure, utilizzato principalmente per ortaggi come verze e crauti. Si noti il foro sul fondo per fare uscire l’acqua. Non abbiamo potuto considerare valide riposte del tipo “tagliere con lama a manico”, in quanto troppo generiche. Pertanto non ci sono vincitori! Per i prossimi concorsi cercheremo di inserire oggetti meno difficili da indovinare. seguente verranno estratti altri 3 fortunati a cui andranno la fascetta per la corsa e la maglietta LMD. Scrivete le vostre risposte sulla pagina dedicata accessibile da www.lemontagnedivertenti.com/concorsi/ * ideale per corsa, arrampicata e scialpinismo (solo 139 grammi), è ricaricabile via USB arriva a una potenza di 120 lumen e permette di illuminare fino a 100 metri di distanza. e ATTENZIONE: LE RISPOSTE DATE IN ANTICIPO VERRANNO RITENUTE NULLE. 136 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2016 LE MONTAGNE DIVERTENTI Giochi 137 Rubriche LE RICETTE DELLA NONNA gnocchi Di farinéi Testo Gioia Zenoni, foto Beno I l vostro orto è verde e rigoglioso, ma a farla da padroni sono gli infestanti e non le tanto attese verdure che tardano a crescere? Non è detto che non possiate preparare comunque un lauto pranzetto: basta imparare a conoscere quello che cresce spontaneamente! Sono un esempio i farinéi, piccole piante erbacee annuali il cui nome scientifico - Chenopodium album richiama le due caratteristiche principali delle foglie: a forma di piede d’oca, sono rivestite nella parte inferiore da una specie di farina bianca, ben riconoscibile al tatto. Queste piante sono degli spinaci selvatici e, proprio come la varietà domestica, possono essere consumati sia cotti, sia - quando sono teneri crudi in insalata. Ricchi di vitamine A, B e C, di calcio, potassio e ferro, hanno proprietà lassative, antinfiammatorie e antireumatiche. Ecco una ricetta per gli amanti della cucina semplice, che vogliono apprezzare appieno il sapore e la fragranza della verdura, ma anche per chi voglia far fruttare la pulizia dell’orto o, ancora, per coloro che, rientrati tardi da una passeggiata, si accorgono di avere il frigo vuoto nonostante abbiano invitato a cena l’intera comitiva! • • • • • • • INGREDIENTI (per 6/8 persone) 600 g di farinéi 200 g di farina 2 panini raffermi 100 ml di latte 5 uova olio extra vergine d’oliva sale 138 LE MONTAGNE DIVERTENTI ... tra natura e benessere PREPARAZIONE Strappate le piante di farinéi e scartatene subito le radici; qualora le piante siano grandi e il fusto duro, raccoglietene solo la cima. Se le piante sono piene di terra, sciacquatele velocemente e asciugatele. Tritate quindi i farinéi con la mezzaluna o con un mixer (in questo caso non a lungo, in modo da mantenerne la consistenza) e mescolateli in una ciotola dove avrete preventivamente fatto assorbire il latte al pane raffermo tritato a pezzettoni. Aggiungete le uova a una a una e, infine, la farina, fino a creare un impasto molto morbido, ma coeso. Le dosi sono indicative: aggiungete gli ingredienti poco alla volta, regolandovi in base alle sensazioni. Non dobbiamo creare una pasta fresca aromatizzata, ma far sì che la verdura resti protagonista del nostro piatto, usando il minimo indispensabile degli altri ingredienti per non coprirne il sapore. A I V A T L A della VALMALENCO Con l’aiuto di due cucchiaini create degli gnocchi e fateli scivolare in abbondante acqua bollente salata; man mano vengono a galla, raccoglieteli con una schiumarola e rimescolateli in una ciotola con olio extra vergine di oliva (da preferirsi al burro perché ha un sapore più fresco e delicato) per mantenerli ben separati fra loro fino al momento in cui li porterete in tavola, eventualmente arricchiti con una spolverata di grana. Estate 2016 dal 11 al 17 luglio Il pacchetto comprende: 7 giorni (6 notti) di mezza pensione esclusi extra nei rifugi; Pranzo al sacco per mezzogiorno; Accompagnatore di media montagna per tutta la durata del trekking; Trasporto privato fino all'Alpe Piasci da dove inizia il trekking. L'Alta Via della Valmalenco è un anello escursionistico delle Alpi retiche che percorre il perimetro della Valmalenco e si sviluppa per circa 100 km. Durante il tragitto si toccano i punti maggiormente significativi e panoramici della valle. Tra pascoli, alpeggi, laghi, boschi, cave e valichi si possono ammirare i maestosi ghiacciai del Disgrazia, del Bernina e dello Scalino. 430,00 Ea peursronoa era tripla/quadrupla o a con sistemazione in cam son per a e end int zza pensione include si me tto *Il prezzo pacche tta. Il trattamento di no per si cui in gio e. rifu camerata a seconda del persona formulato su gruppi di minimo 6 person a zzo Pre . ola tav acqua a Prenotazione presso accompagnatore di media montagna Valeria Pedrolini +39 347 4845545 oppure via e-mail all’indirizzo [email protected] Per info: www.valmalencoalpina.com Fred Gaiser e Bertl Lehmann andavano per le montagne ricchi solo di una bicicletta, una tenda e un cielo di stelle, ma soprattutto di tanta voglia di avventura... Raffaele Occhi LE MONTAGNE DIVERTENTI 141