Gaiser e Lehmann - Le Montagne Divertenti

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Gaiser e Lehmann - Le Montagne Divertenti
Trimestrale di Valtellina e
T rimestrale
di
A lpinismo
e
C ultura A lpina
e
v
r
i
D tenti
Poste Italiane SpA - Spedizione in Abbonamento Postale 70% DCB-Sondrio
N°37 - ESTATE 2016 - EURO 5
Racconti di
Antonio Boscacci
Sull’avventura capitata
ai tre omarini, quando
l’Olifante risuonò sulle
alture del Qualido
Volontariato
Montagne per tutti
Alpinismo
Pizzo Cengalo: via
Gaiser-Lehmann
Valmasino
Pizzo Cengalo, via
normale
Alpi Orobie
In cresta dalla Pescöla
al pizzo del Drùet
Valmalenco
Alta Via: 7a tappa, dal
rifugio Bignami
al rifugio Cristina
Valchiavenna
Monte Gruf, la vedetta
della val Codéra
Bassa Valtellina
In MTB alla Rosetta
Alta Valtellina
Passeggiata tra val
Tréla e val Alpisella
Viaggi
Islanda: il trekking delle
sorgenti calde
Natura
Gambero di fiume:
corazzato d’acqua dolce
Inoltre
Ricette della nonna,
foto dei lettori, giochi...
Gaiser e Lehmann
acrobati d’alta quota
VALCHIAVENNA
- BASSA VALTELLINA - VAL MÀSINO - ALPI RETICHE E OROBIE - VALMALENCO - ALTA VALTELLINA
1
LE MONTAGNE DIVERTENTI Editoriale
Beno
La vetta della montagna offriva un punto di vista privilegiato da cui studiare le nostre prossime avventure.
Trovato un sasso comodo e sgombro dalla neve, contemplammo l’orizzonte per molto tempo, incuranti
che quell’indugiare ci avrebbe consegnati alla notte. Era ovvio che, nonostante l’imbrunire, non avremmo
resistito alla tentazione di scendere per una via che non conoscevamo e per una valle che nemmeno
era sulla nostra cartina. Mai avremmo rinunciato a una scorpacciata di emozioni per rendere la
giornata ancora più speciale. Le incognite non ci preoccupavano: se uno di noi avesse avuto
paura o fosse rimasto indietro, l’altro l’avrebbe aiutato, o spronato prendendolo in giro fino
a fargliela passare. Ironizzare sulle proprie debolezze funziona sempre.
Funzionò anche quel giorno. D’inverno. Sulla Cassa del Ferro.
Ora che il mio amico Caspoc’ se n’è andato, non posso che pensarlo felice,
mentre è alla scoperta di posti nuovi e mi prende in giro vedendomi spaventato.
2 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2016
Editoriale - Valle del Gallo. Al tramonto nei pressi del Grasso di Pra Grata, tornando dalla Cassa del Ferro (22 dicembre 2015, foto Beno).
In copertina - Valmalenco. Passaggi acrobatici nella traversata delle cime di Musella (25 luglio 2013, foto Beno - www.clickalps.com).
Ultima
di copertina
-Valle del Truzzo.
La turrita dorsale della Camoscera riflessa nel lago Nero (5 luglio 2015, foto Roberto Ganassa - www.clickalps.com).
Editoriale
3
LE MONTAGNE
DIVERTENTI
Trimestrale sull’ambiente alpino di Valtellina e Valchiavenna
Registrazione Tribunale di Sondrio n° 369
S
A
peciali
O
LE MONTAGNE DIVERTENTI
lpinismo
E
R
8
10
Speciali
scursionismo
ubriche
Editore
Beno
Direttore responsabile
Enrico Benedetti
36
72
Fred Gaiser e Bertl Lehmann
Val Bondasca
Valmalenco
Viaggi
4
11
Realizzazione grafica
10
Alessandra Morgillo
Beno
Gioia Zenoni
Roberto Moiola
I
Redazione
Dalla Foresta Nera al Cengalo
Beno
Revisori di bozze
Pizzo Cengalo - via Gaiser-Lehmann
Alta Via: 7a tappa (Bignami - Cristina)
Islanda - Il trekking delle sorgenti calde
Mario Pagni e Carlo Nani
Responsabile della cartografia
48
82
Lo spigolo NO del Cengalo
Val Màsino
Approfondimenti
Raccontato da Bertl Lehmann
Pizzo Cengalo (m 3369) - via normale
Alpeggiatori e contrabbandieri
Natura
Gambero di fiume
12
A
18
Alessandra Morgillo, Andrea Sem, Antonella, Andrea
Toffaletti, Angelo Ronconi, Antonio Boscacci, Beno,
Bruno Mazzoleni, Carlo Nani, Corrado Morelli, Dicle,
Eliana e Nemo Canetta, Eulalia Picceni, Flavio Casello,
Franca Prandi, Giacomo Meneghello, Gioia Zenoni,
Giovanni Rovedatti, Giulia Frangi, Jacopo Merizzi, Kim
Sommerschield, Luciano Bruseghini, Luisa Angelici, Mario
Pagni, Mario Sertori, Marino Amonini, Matteo Di Nicola,
Matteo Gianatti, Matteo Tarabini, Mattia Bruseghini,
Maurizio Cittarini, Maurizio Negrini, Nicola Giana, Paolo
Piani, Pietro Pellegrini, Raffaele Occhi, Renzo Benedetti,
Roberto Dioli, Roberto Ganassa, Roberto Giardini,
Roberto Moiola, Sergio Scuffi, Severino Penone, Walter
Fumasoni.
R
Matteo Gianatti
Hanno inoltre collaborato a questo numero
Alpi Orobie
Alpi Orobie
Sull’avventura ... del Qualido
Dalla Pesciöla (m 2168) al Drùet (m 2868)
In MTB sulla Rosetta
Poesie / Le foto dei lettori
0
Racconti di Antonio Boscacci
13
12
Bonazzi Grafica - via Francia, 1 - 23100 Sondrio
90
Stampa
52
[email protected]
tel. 0342 380138
22
Pubblicità e distribuzione
M
Avis Comunale Sondrio, CAI sez. Valtellinese di Sondrio,
DAV-FreiburgBreisgau, Cino Ortelli, Franco Monteforte, Pietro Crapella,
Lorenzo Bertolini, Danilo Grossi, la Tipografia Bonazzi,
gli edicolanti che ci aiutano nel promuovere la rivista e gli
sponsor che credono in noi e in questo progetto... e tutti
quelli che ho dimenticato di citare.
2
Si ringraziano inoltre
Rubriche
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www.lemontagnedivertenti.com
Contatti, informazioni e merchandising
97
Valchiavenna
Approfondimenti
68
98
Percorsi di corsa
Approfondimenti
Alta Valtellina
Intervista a Walter Fumasoni
Monte Gruf (m 2936)
Rifugio della Corte
6
62
- www.lemontagnedivertenti.com
- oppure telefonare al 0342 380138 (basta lasciare i dati
in segreteria).
Montagne per tutti
35
fatto il bonifico è necessario
registrare il proprio abbonamento su
30
annuale (4 numeri della rivista):
costo € 22 da versarsi sul
c/c 3057/50 Banca Popolare di Sondrio
IT17 I056 9611 0000 0000 3057 X50
intestato a:
Beno di Benedetti Enrico
via Panoramica 549/A
23020 Montagna (SO)
nella causale specificare: abbonamento a Le Montagne
Divertenti per [nome, cognome e
indirizzo del beneficiario]
Giochi
Soluzioni del n. 36 e concorsi del n. 37
O
Abbonamenti per l’Italia
M
[email protected]
www.lemontagnedivertenti.com
Arretrati
[email protected] - € 6 cad.
Numeri esauriti: PDF scaricabili dal sito della rivista
S
21 settembre 2016
4
LE MONTAGNE DIVERTENTI I 4 percorsi attivi
Val Codéra, la vita d’una volta
Estate 2016
LE MONTAGNE DIVERTENTI Val Trela - val Alpisella
8
13
Prossimo numero
Le ricette della nonna
Gnocchi di farinéi
Sommario
Sommario
5
Localizzazione luoghi
Zillis
Zillis
Wergenstein
Bergün
Parsonz
Sufers
3062
2115
Mulegns
3378
Cresta
St. Moritz
Maloja
Pizzo Stella
Pizzo Quadro
3013
3183
Mera
Pizzo Galleggione
3107
CHIAVENNA
Prata
Camportaccio
Somaggia
Monte Disgrazia
3032
Lago
di Como
Caiolo Albosaggia
Tartano
Tremenico
Premana
Geròla
Bellàno
Taceno
Pescegallo
Pizzo dei Tre Signori
2554
Bellagio
Introbio
Lierna
Ornica
LE MONTAGNE DIVERTENTI Barzio
Monte Cadelle
2483
Passo San Marco
1985
Foppolo
Carona
Mezzoldo
Cùsio
Piazzatorre
Valtorta
Pasturo
6
Colorina
Cassiglio
Olmo
al Brembo
Adda
T. V
enin
a
Dervio
Albaredo
Ponte in Valt.
Pizzo Campaggio
2503
Roncorbello
Tresenda
Carona
Aprica
Còrteno
Schilpario
Vilminore
Colere
Gromo
Estate 2016
Villa
Pizzo Camino
2492
(Beno)
Traversata in cresta dalla
Pescöla (m 2168) al pizzo
del Drùet (m 2868)
62 Valchiavenna
Monte Gruf (2936)
(Beno / Segio Scuffi)
72Valmalenco
Alta Via: 7a tappa
(Eliana e Nemo Canetta / Luciano
90 Alpi Orobie
Adamello
3554
Monte Fumo
3418
Garda
Monte Carè Alto
3462
Berzo
Paisco
Concarena
2549
Passo del Tonale
1883
(Beno)
Bruseghini)
Sonico
Palone del Torsolazzo
2670
Ponte
di Legno
Edolo
Malonno
52
Pizzo di Coca Monte Torena
2911
3050
Monte Sellero
2743
Pizzo di Redorta
Loveno
3039
Monte Gleno
Pizzo del Diavolo
2883
Valbondione
di Tenda
Passo del Vivione
2914
1828
Gandellino
Monno
Cortenedolo
100
Pezzo
Pezzo
Vione
(Pietro Pellegrini / Beno)
Pizzo Cengalo (m 3369) via normale
Incudine
Passo dell'Aprica
2829
Branzi
Vezza
d'Oglio
Pizzo Cengalo (m 3369) via Gaiser-Lehmann
48 Val Màsino
Punta San Matteo
3678
Passo di Gavia
2618
Corno
corno dei Tre Signori
3359
Punta di Pietra Rossa
Monte Tonale
3212
2694
Monte Serottini
2967
Mazzo
Tovo
Lovero
Sernio
TIRANO
Bianzone
Teglio
Arigna
Pizzo di Rodes
Fumero
Sondalo
Adda
Chiuro
Sirta
Talamona
Bema
Boirolo
SONDRIO
T. Livrio
90
Monte Legnone
2610
Postalesio
Berbenno
Castione
3136
Tresivio
MORBEGNO
Delébio Rògolo
Còsio
Regolédo
Torre
di S. Maria
Brusio
(Antonio Boscacci)
52 Alpi Orobie
Forni
Santa Caterina
Le Prese
Grosotto
Monte Masuccio
2816
Fonta
na
Caspano
Dubino Mantello Mello
Traona
Dazio
Bùglio
Ardenno
3323
Le Prese
T. Va
l
Dongo
Cevo
Pizzo Scalino
Monte Cevedale
3769
Monte Confinale
3370
Cepina
Grosio
Vetta di Ron
T. Mallero
Còlico
2845
Verceia
3114
Malghera
Poschiavo
72
Lanzada
Caspoggio
Chiesa
in Valmalenco
T. Caldenno
Lago
di Mezzola
Primolo
Bagni
3678
di Màsino 22
Pizzo Ligoncio
San Martino Corni Bruciati
o
T. Màsin
Montemezzo
Livo Gera
Lario
Sasso Nero
2917
3378
48
Cima del Desénigo
Dosso d. Liro
Cima di Castello
ra
T. Code
Novate
Mezzola
Chiareggio
Gran Zebrù
3851
frana
di val Pola
Eita
San Carlo
Ortles
3905
San Antonio
BORMIO
Valdisotto
Cima di Saoseo
3264
i
od
Lag chiavo
Pos
2459
36
3308
62
San Cassiano
San Pietro
Samòlaco
Era
Pizzo Martello
Bondo
Villa
di Chiavenna Pizzo Badile
La Rösa
4049
Passo del Muretto
2562
Vicosoprano
Passo del Bernina
2323
Bagni di Bormio
Oga
T. Roasco
Gordona
Soglio
Castasegna
Prosto
Mese
Piz Palù
Pizzo Bernina 3906
Casaccia
Giogo di Santa Maria
2503
Premadio
Cima Piazzi
3439
Solda
Solda
Passo dello Stelvio
2757
Arnoga
Forcola
di Livigno
2315
Passo del Maloja
1815
Can
can
o
Valdidentro
Isolaccia
Passo del
Foscagno
2291
Sils
T.
La
nte
rna
Fraciscio
98
Trepalle
Pianazzo
Campodolcino
1816
Piz Languard
3268
Silvaplana
Juf
hi d
i
Sull’avventura ... sulle
alture del Qualido
36 Val Bregaglia
Cima la Casina
Lag
3180
Pontresina
Julierpass
Bivio
Lago d
i Lei
Madesimo
Livigno
3057
Mera
3209
Samedan
Piz Nair
3392
Pizzo d'Emet
Isola
Sur
Stelvio
Stelvio
San Maria
Lago del Gallo
Piz Piatta
Montespluga
3279
3159
Inn
22 Val di Mello
Montechiaro
Montechiaro
Müstair
Piz d'Err
Piz Grisch
Innerferrera
Passo dello Spluga
Zuoz
Albulapass
2312
Julia
Curtegns 1864
Ausserferrera
Piz Quattervals
3418
Reno
Splügen
Medels
Pizzo Tambò
Piz Kesch
Cunter
Andeer
e itinerari
Saviore
Valle
In MTB sulla Rosetta
(m 2142)
(Roberto Ganassa)
98 Alta Valtellina
Val Tréla - val Alpisella
(Luciano Bruseghini)
Capo
di Ponte
Làveno
LE MONTAGNE DIVERTENTI Monte Re di Castello
2889
Niardo
Niardo
© Beno
© Beno
2010/2016
2011 - riproduzione
- riproduzione
vietata
vietata
Localizzazione di luoghi e itinerari
7
L
e g e n d a
Schede sintetiche, tempistiche e mappe
Ogni itinerario è corredato da una scheda sintetica in cui vengono riassunte le caratteristiche principali del
percorso, tra cui dislivello positivo, tempo di percorrenza e difficoltà. Nella pagina a fianco trovate una breve e divertente spiegazione dei 7 gradi della “scala Beno” con cui viene valutato l'impegno complessivo richiesto dalla gita.
Non sono contemplate le difficoltà estreme, che esulano dalle finalità di questa rivista e dalle nostre stesse capacità. Nelle
schede sintetiche alla voce “dettagli” viene indicata la difficoltà tecnica secondo la scala alpinistica convenzionale, corredata da una breve spiegazione.
Le tempistiche fornite nel testo descrittivo sono progressive, cioè indicano il tempo necessario1 per raggiungere la località partendo dall'ultimo riferimento crono-geografico2. Con dislivello s’intende il dislivello positivo.
Le schede sintetiche sono affiancate da un box grafico che, esprimendo una valutazione su bellezza, pericolosità e fatica,
permetterà a colpo d’occhio di scegliere l’itinerario più consono alle proprie capacità.
Nelle mappe, perlopiù realizzate con scala 1:50000, sono rappresentati: dorsali delle montagne, passi, vette, torrenti,
laghi, ghiacciai, zone abitate, chiese, rifugi e strade carrozzabili. Per chiarezza non sono disegnati i sentieri, ma, in rosso, il
solo itinerario descritto nell'articolo. Altri colori indicano eventuali varianti.
se la linea dell'itinerario è continua significa che questo si svolge su sentiero non difficile;
il tratteggio invece indica che si è al di fuori dei sentieri o su rotte riservate ad alpinisti o escursionisti esperti.
Ottimo anche per anziani non più autosufficienti o
addirittura sprovveduti turisti di città. Ideale per la
camporella, anche per le coppiette meno esperte.
Si comincia a dover stare
attenti alle storte,
alle cavallette carnivore
e nello zaino è meglio mettere
qualche provvista
e qualche vestito.
1 - Se non vi sono difficoltà tecniche, la velocità ipotizzata è di 350 metri di dislivello all'ora, oppure 3,5 km/h su itinerario pianeggiante.
2 - " [...] raggiungo la punta della Sfinge (m 2805, ore 0:30)" indica che per raggiungere la Sfinge occorrono 30 minuti partendo dal precedente riferimento crono-geografico, che in questo caso era, qualche riga prima, la sella Ligoncino "[...] fino alla sella Ligoncino (m 2770, ore 2:15)." Per facilitare
l'individuazione dei riferimenti crono-geografici, questi sono tutti formattati in grassetto.
BELLEZZA
PERICOLOSITÀ
Quasi meglio il centro commerciale
Carino
Assolutamente sicuro
Bello
Basta stare un po’ attenti
Imperdibile
FATICA
Richiesta discreta tecnica alpinistica
Pericoloso (si consiglia una guida)
ORE DI PERCORRENZA
Anche per uomini larva
Nulla di preoccupante
Impegnativo
Un massacro
Itinerario abbastanza
lungo, ma senza
particolari difficoltà
alpinistiche.
DISLIVELLO IN SALITA
meno di 4 ore
meno di 800 metri
dalle 4 alle 9 ore
dagli 800 ai 1500 metri
dalle 9 alle 13 ore
dai 1500 ai 2500 metri
oltre le 13 ore
oltre i 2500 metri
Le scarpe da ginnastica
cominciano ad essere
sconsigliate (sono d’obbligo
abito da sera e mocassini).
È meglio stare attenti
a dove si mettono i piedi.
Vertigini vietate!
Montagna divertente,
itinerario molto lungo
e ricco di insidie di varia
specie. Sconsigliato a tutti gli
appassionati di montagna non
temerari e dopati.
È richiesta una buona
conoscenza dell’ambiente
alpino, discreta capacità
di arrampicare
e muoversi su ghiacciaio
o terreni friabili come
la pasta sfoglia.
È consigliabile una guida.
Valida alternativa
al suicidio. Solo per
persone con un’ottima
preparazione fisicoatletica ed esperienza
alpinistica. Servono
sprezzo del pericolo
e, soprattutto, barbe
lunghe e incolte.
Più di 30 anni di esperienza
al servizio dei clienti
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Persone e Famiglie
Gaiser e Lehmann
dalla Foresta Nera al Cengalo
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Tel. 0342 514646 - Fax 0342 219731
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LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2016
LE MONTAGNE DIVERTENTI Fred Gaiser (1905-1938) e Bertl Lehmann (1909-1952)
11
Personaggi
Speciali
AC-P-0134
AC-P-0142
AC-P-0143
Il versante occidentale delle Sciore nell’alta val Bondasca. Da dx: Sciora di
Dentro, Ago di Sciora, Pioda di Sciora e Sciora di Fuori. La foto è stata scattata
nei pressi della capanna Sciora, eretta nel 1905. Lo spigolo nord ovest della
Sciora di Fuori fu la prima ascensione che Gaiser e Lehmann compirono in val
Bondasca. Era il 1936 (1907, foto Alfredo Corti - www.archiviocorti.it - © CAI
sez. Valtellinese di Sondrio).
Alla pagina precedente: Fred Gaiser, Bertl Lehmann e il pizzo Cengalo in un
acquerello di Kim Sommerschield (www.sommerschield.it).
N
L
on erano certo degli
sprovveduti, Bertl
ehmann e Fred Gaiser,
i due alpinisti tedeschi che il 15 luglio
1937 salirono per primi l’inviolato spigolo nord ovest del Cengalo.
Erano arrivati in Bregaglia pensando
12
LE MONTAGNE DIVERTENTI in primo luogo alla nord est del
Badile, ma prima di loro vi avevano
già pensato Cassin e compagni che li
avevano preceduti alla capanna Sciora.
«Se appena allentiamo la guardia –
scrisse lo stesso Cassin – qualcuno ci
porta via la “prima”»; a quel punto,
visto che di granito ce n’era per tutti
e che di mettersi in competizione con
gli italiani non avevano voglia, i due
tedeschi rivolgono l’attenzione ad altri
ambiziosi obiettivi.
Il 13 luglio, mentre Cassin, Esposito e Ratti si spingono per 600 metri
Estate 2016
sullo spigolo nord del Badile per
meglio osservare la parete, Lehmann
e Gaiser si cimentano col grandioso
spigolo nord-ovest dei Gemelli
(quello che nella prima parte prende
il nome di “ferro da stiro”). Dopo
un giorno di riposo – durante il
LE MONTAGNE DIVERTENTI quale i tre lecchesi, preceduti di poco
dai comaschi Molteni e Valsecchi,
attaccano la parete – i due tedeschi
riescono a guadagnarsi in giornata
quel magnifico gioiello d’arrampicata ch’è lo spigolo nord ovest del
Cengalo. Sfuggono appena in tempo
alla tempesta che di lì a poco si
scatena sulla montagna: pioggia, neve,
vento, tuoni, fulmini. E gli italiani?
Solo a valle sapranno che, dopo
aver superato tutti e cinque con due
bivacchi la parete, Molteni e Valsecchi
sono morti di sfinimento durante la
discesa.
Lehmann e Gaiser erano allora tra
i migliori scalatori dell’epoca, e lo
spigolo nord ovest del Cengalo fu
in un certo senso l’apice della loro
carriera alpinistica. Stranamente,
tuttavia, i loro nomi non figurano
quasi mai nei testi di storia dell’alpinismo. Ma da dove venivano, e come
erano arrivati nella semisconosciuta
Bregaglia?
Alfred Gaiser (detto Fred) era nato
il 23 aprile 1905 a Strasburgo, allora
appartenente alla Germania, dove suo
padre era militare di stanza. Ultimo
di 15 figli – come scrisse di se stesso
– era il più spericolato fra i ragazzini
del quartiere; qualche volta, all’insaputa dei genitori, saliva di soppiatto
all’ultimo piano della casa, usciva
dall’abbaino e poi si inerpicava su per
la ripida falda del tetto fino a raggiungerne il colmo, da dove spaziava con
lo sguardo sui Vosgi e la Foresta Nera
sognando grandi montagne. Dopo il
1918, con l’occupazione francese, la
famiglia si trasferì a Freundenstadt,
non lontano da Friburgo, dov’era
invece nato, il 7 dicembre 1909,
Albert Wilhelm Lehmann (detto
Bertl).
Respiravano dunque entrambi
l’aria del Reno e della Foresta Nera,
fra le cui rocce – sulle pareti di Gfäll,
Feldsee, Scheibenfelsen, Höllental,
Scharfenstein e Battert – aprirono
itinerari di elevata difficoltà, preparandosi così alle grandi imprese nelle
Alpi, con lo spirito dei leggendari
“Bergvagabunden”1, che andavano
per le montagne ricchi solo di una
bicicletta, una tenda e un cielo di
stelle, ma soprattutto di tanta voglia
di avventura. Certo, respirarono
pure il clima dell’epoca tra le due
guerre, con la crisi della Germania di
Weimar, l’avvento e il consolidarsi del
nazismo, che attraverso la sua propaganda cercò di pervadere ogni settore
della società, alpinismo compreso,
1 - Vagabondi delle montagne.
Fred Gaiser (1905-1938) e Bertl Lehmann (1909-1952)
13
Personaggi
Speciali
inneggiando alla forza, alla superiorità tedesca e al mito della razza. Ma
dai loro scritti, dalle testimonianze
di chi li conobbe, sembra che Gaiser
e Lehmann siano rimasti lontani dal
fanatismo e dalla retorica di quell’ideologia, ormai dominante in tutte
le associazioni sportive, e che abbiano
respinto i pochi tentativi di coinvolgimento. Delle loro imprese, schive
da esibizionismo e mai sbandierate
in un’ottica nazionalista con le parole
roboanti delle ideologie totalitarie di
allora, poco o nulla si giovò il regime
per la sua propaganda. Nessun “desiderio germanico della lotta” in loro, al
massimo, giunti in vetta: «È stata una
bella via, una bella battaglia, una bella
vittoria.»
ertl Lehmann, figlio unico,
era cresciuto in una famiglia
molto sensibile al culto della natura.
Sulle orme dei genitori, entrò anche
lui a far parte dei Naturfreunde (Amici
della natura) – associazione popolare
di ispirazione socialista le cui radici
affondano nei movimenti operai di
fine ‘800, che aveva per obiettivo
protezione dell’ambiente, eco-turismo, sport e cultura (verrà poi messa
fuorilegge dal nazismo) – con cui
cominciò a frequentare le montagne
più prossime a casa e a prender confidenza con le rocce del Gfäll. Terminati gli studi, intraprese la professione
B
Fred Gaiser ritratto da Kim Sommerschield (www.sommerschield.it).
In copertina a questo articolo: il pizzo Cengalo, versante NO, acquerello di Kim Sommerchield.
Monte Pelmo (m 3168), parete N (16 giugno 2012, foto Roberto Moiola).
14
LE MONTAGNE DIVERTENTI Bertl Lehmann ritratto da Kim Sommerschield (www.sommerschield.it).
di falegname come il padre. Felice
di vivere, dotato di un straordinaria
prestanza fisica, la montagna per lui
era tutto; negli anni ’30 fu uno dei
più attivi e intraprendenti scalatori
della Germania meridionale, una vera
e propria autorità che riscuoteva l’ammirazione dei più giovani.
Quando conobbe Gaiser – molto
probabilmente fra le rocce del
Battert vicino a Baden-Baden, che
raggiungeva da Friburgo in bicicletta
con una pedalata di 4 ore – Lehmann
aveva già all’attivo una serie di
imprese alpinistiche di primo rango
nelle Alpi. Tra il 1928 e il 1934 aveva
avuto modo di dimostrare tutta la
sua bravura, sia fra i colossi ghiacciati
dell’Oberland Bernese e del Vallese
– dal Wetterhorn allo Strahlhorn,
dal Cervino al Rosa, dal Weißhorn
al Dom, dal Finsteraarhorn al
Blümlisalphorn con una puntata al
Bianco – sia nelle Dolomiti, dove fece
un vero salto di qualità con imprese da
maestro tra cui la est del Catinaccio
e la sud della Marmolada, la nord
ovest della Civetta e lo Spigolo del
Velo alla Cima della Madonna, la
Piccola di Lavaredo per la fessura
Preuss la nord della Cima Grande
(quarta salita), la via Dimai sulla sud
della Punta Fiames e la via Stösser
sulla sud della Tofana (quinta salita),
la via Piaz-Steger sulla nord est della
Il versante N delle Tre Cime di Lavaredo (da sx m 2857, m 2999, m 2973) (7giugno 2015, foto Roberto Moiola).
Estate 2016
LE MONTAGNE DIVERTENTI Fred Gaiser (1905-1938) e Bertl Lehmann (1909-1952)
15
Personaggi
Speciali
Torre Winkler (prima ripetizione) e
la nord del Pelmo (dodicesima salita).
red Gaiser invece, dopo un
approccio soft con le montagne
delle prealpi tedesche, aveva cominciato ad arrampicare nella palestra del
Battert dove, a partire dal 1931, aprì
una serie di vie estremamente difficili. Ma non gli era sconosciuto lo
sci. Con Hans Moldenhauer (19061987) passò i primi dieci giorni del
1932 fra le nevi del Bregenzer Wald
e dell’Arlberg, dopo aver festeggiato il
capodanno col vecchio e celebre alpinista austriaco Karl Blodig2, deliziati
dai racconti pieni di spirito delle sue
ascensioni a tutti i quattromila delle
Alpi. «Un giubilo, un’esultanza! L’ultimo dell’anno con Blodig! Chi avrebbe
potuto resistere al gentile invito del
vecchio maestro?»
Giunta
l’estate,
Gaiser
e
Moldenhauer – che oltre alla passione
per la montagna condividevano
quella per la musica, suonando l’uno
il violino l’altro il pianoforte – fecero
una serie di ascensioni nell’Oberland Bernese (dove ritorneranno la
primavera successiva a salire Mönch
e Jungfrau) e raggiunsero poi la
vetta del Bianco dopo una tempesta
fra la neve profonda, guadagnandosi al ritorno gli elogi del parroco di
Chamonix.
Gaiser nel frattempo si era innamorato di Hedwig (detta Hede), e
nell’estate del 1933 passò con lei due
magnifiche settimane ad arrampicare
nelle Dolomiti; in quell’occasione
fece la prima salita dell’impegnativo
spigolo sud est della Pala di Socorda
nel gruppo del Catinaccio.
Era abituato a caricarsi di zaini
voluminosi fin da quando, apprendista impiegato alla ferrovia del
Murgtalbahn, al tempo della grande
inflazione lo mandavano in banca con
un grande zaino che riportava carico
di banconote per pagare gli operai.
Poi si impiegò nella ditta Christofstal (tessuti e abbigliamento), dove da
semplice contabile divenne direttore
della pubblicità. Fu così che, anche
grazie a quest’esperienza, si mise in
luce come conferenziere, “vendendo”
F
2 - L’oculista austriaco Karl Blodig (1859-1956) è
considerato il primo vero collezionista di 4000 delle
Alpi. Nell’arco di 50 anni di carriera alpinistica ne
conquistò ben 60, ai tempi i soli 4000 conosciuti.
16
LE MONTAGNE DIVERTENTI Foresta Nera. Da sx Liesel Lehmann, Hede e Fred
Gaiser, Bertl Lehmann (1936/37, archivio DAVFreiburg-Breisgau).
L’impressionante Aiguille Noire de Peuterey (m 3773)
(17 agosto 2014, foto Giovanni Rovedatti).
I pizzi Gemelli (m 3262 - m 3225) dalla Vadrec da la
Bondasca (8 marzo 2014, foto Giovanni Rovedatti).
La Zinalrothorn (m 4221), versante S Cabane du
Mountet (24 luglio 1989, foto Giovanni Rovedatti).
bene le sue serate che preparava con
lo scrupolo e la precisione di un ragioniere; il pubblico di Stoccarda, Karlsruhe, Freudenstadt, Pforzheim e
Mannheim poté ascoltare i racconti
delle sue ascensioni, seguendone lo
sviluppo sullo schermo attraverso le
diapositive scattate con la sua Leica.
lle figure di Lehmann e
Gaiser, così come a quella di
Moldenhauer, è stata recentemente
dedicata una pubblicazione della
Sezione di Friburgo del DAV (a cui
Lehmann apparteneva dal 1933), Ein
Dreigestirn der “Klettergilde Battert”
(Una triade del “Gruppo scalatori
Battert”), frutto di un’appassionata
ricerca di Friedrich Kluge e Manfred
Baßler, a cui siamo ampiamente
debitori per le notizie qui riportate.
Quel gruppo, una sorta di “accademico” locale fondato da Walter
A
Stösser, raccoglieva allora l’élite degli
scalatori della Germania meridionale, che si cimentavano fra le rocce
del Battert scoperte già nel 1885 da
Wilhelm Paulcke, e che in tempi più
recenti vedranno alpinisti del calibro
di Martin Schliessler ricalcare le vie di
quei predecessori.
Fu in quell’ambiente che si conobbero Lehmann e Gaiser, dando vita fin
da subito a una formidabile cordata
fondata sulla reciproca totale fiducia.
Dalle rocce del Battert ai grandi
problemi delle Alpi il passo fu breve.
state 1935. A metà luglio i due
sono a Chamonix. Partendo dal
rifugio Charlet, con una formidabile
cavalcata compiono il primo percorso
completo dal Petit Dru all’Aiguille
Verte, passando per il Grand Dru,
il Pic Sans Nom, la Punta Petigax
e la Punta Croux, con discesa finale
E
Estate 2016
dalla Verte per il canalone Whymper.
Poi un altro exploit, la prima ripetizione di quella che, nella guida del
Monte Bianco di Chabod e Grivel, è
addirittura considerata “la più lunga e
complessa impresa delle Alpi”: da Courmayeur al tetto d’Europa attraverso
l’Aiguille Noire, l’Aiguille Blanche,
il colle e la cresta di Peutérey.
Pochi giorni prima avevano salito
la fredda parete nord del Dente
del Gigante per la via Pfannl. E fu
proprio al ritorno da quell’ascensione,
lungo la Mer de Glace, che cominciò a
germogliare il seme del Cengalo. Due
austriaci, anch’essi reduci dal Dente
(dove avevano aperto una nuova
via sulla parete sud), cominciarono
infatti a decantar loro le bellezze della
Bregaglia e le sue magnifiche salite
su granito; erano i viennesi Herbert
Burggasser e Rudolf Leiss, che
LE MONTAGNE DIVERTENTI l’anno prima vi avevano compiuto la
prima salita della Sciora di Dentro per
la parete Nord-Ovest.
Dunque nel 1936 Lehmann e
Gaiser, con le rispettive compagne
Liesel e Hede, filano anche loro verso
la Bregaglia con le moto stracariche
di zaini, tende e attrezzature varie;
si accampano sotto il rifugio Sciora.
Mentre le ragazze rimangono a prendere il sole e a bagnarsi nei ruscelli,
Bertl e Fred salgono lo spigolo nord
ovest della Sciora di Fuori. Ritornati
alle tende, provarono un tale senso di
appagamento che Gaiser, illustrando
poi la salita in un conferenza, la
considerò “un dono degli dei”. Pochi
giorni dopo salgono lo spigolo nord
del Badile, ne sono entusiasti. Rivolgendoglisi come ad un amico, Gaiser
afferma con enfasi: «Mille gioie si risvegliano. Mille lodi ti si dovrebbero into-
nare. Chi ti ha percorso, non può non
capire che ti meriti pienamente l’appellativo di “Scala verso il cielo della
Bregaglia”».
E arriviamo così allo spigolo nord
ovest del Cengalo. Lehmann era
fresco di nozze, Gaiser padre da pochi
mesi di Hannes.
Sulla rivista Bergsteiger del 1938
Lehmann pubblicherà il racconto di
quell’ascensione, preceduto da un
articolo di Gaiser sulla loro precedente salita allo spigolo della Sciora
di Fuori. Articolo postumo, quest’ultimo; Gaiser infatti aveva perso la vita
in un incidente stradale il 17 marzo
1938, lasciando tutti nello sconcerto.
Aveva 32 anni.
Lehmann, cui nello stesso anno
nasce la figlia Erika Klara, farà ancora
in tempo a compiere alcune impegnative salite nel Kaisergebirge in
Austria (parete ovest del Totenkirchl
e parete est della Fleischbank), e a
visitare il gruppo del Bernina, prima
dello scoppio della guerra. Poi viene
richiamato soldato e spedito in
Russia; lì, ferito a un braccio, sarà
fatto prigioniero e non farà ritorno a
casa che il 2 novembre 1949!
Nel 1951 lo ritroviamo a Zermatt,
dove compie la traversata del Breithorn e sale in giornata lo Zinalrothorn. Nonostante non sia più
l’audace scalatore degli anni ’30,
nonostante la ferita in guerra gli
abbia leso il nervo mediano togliendogli completamente la sensibilità
e la capacità di presa di tre dita, non
abbandona l’arrampicata fra le rocce
della Foresta Nera. Da secondo, però,
come quando il giorno di Pentecoste
del 1952, con Albrecht Schwab, stava
salendo la fessura strapiombante
del “Großen Axmann” nella palestra di Gfäll. Ad un certo punto, non
riuscendo a tenersi ad un appiglio con
la mano compromessa, scivolò rimanendo appeso a pendolo; pur trattenuta dall’alto, la corda, una vecchia
corda di canapa, strisciò contro uno
spigolo, si lacerò e cedette. Lehmann
precipitò per circa 30 metri, battendo
la testa e la schiena sui massi sottostanti; trasportato alla clinica universitaria di Friburgo, morì il giorno
seguente. Era il 13 giugno 1952,
aveva 42 anni.
Fred Gaiser (1905-1938) e Bertl Lehmann (1909-1952)
17
Storia dell’alpinismo
Speciali
Bertl Lehmann
Lo spigolo nord ovest del Cengalo
Traduzione a cura di Raffaele Occhi
«Q
uando Fred Gaiser ed io, al
termine della nostra prima
uscita in Bregaglia, prendemmo congedo
dalle montagne avvolte nelle nebbie,
sapevamo che saremmo ritornati. Ora,
dopo nemmeno un anno, eravamo
di nuovo qui, lasciammo le moto in
custodia e salimmo per il percorso a noi
ben noto alla capanna Sciora. Vi erano
già cinque italiani, che aspiravano alla
parete nord est del Badile. Due di loro,
giovani di Como, sapevamo che l’anno
precedente avevano tentato di salire
questa parete liscia come un muro.
Dovettero allora tornare a casa con le
pive nel sacco e ora volevano tentare
nuovamente la fortuna. Oggi non erano
i soli, un’eccellente cordata italiana di
tre, fra cui gli scalatori Ratti e Cassin,
bruciava dall’impazienza di risolvere il
corteggiato problema della nord est del
Badile.
E ora veniamo al perché, nei nostri
programmi, volevamo tentare la parete
del Badile prima di attaccare lo spigolo
del Cengalo. Non sapevamo se le difficoltà della parete fossero maggiori di
quelle dello spigolo. Ci mancava la
possibilità di confronto, ma in ogni caso
il Badile presenta un sistema di fessure
e discontinuità delle placche, che non si
riscontra invece sul Cengalo.
Il nostro progetto di salire il
giorno successivo lo spigolo nord-ovest dei Gemelli (Ferro da Stiro) non
lo lasciammo comunque perdere, e
lo portammo così a compimento.
Prima che calasse l’oscurità eravamo di
nuovo alla capanna Sciora. Gli italiani
oggi erano rimasti alla capanna e ci
avevano osservato nella parte inferiore
dello spigolo.
Il mattino seguente alla buonora
cominciò un gran movimento nella
piccola capanna. I due giovani scalatori di Como furono i primi ad alzarsi,
un’ora più tardi li seguirono gli altri tre
e si incamminarono sul percorso verso la
loro parete. Noi dapprima ci riposammo
per bene, non avevamo fretta di alzarci.
Avevamo proprio bisogno di un giorno di
riposo, poiché una scalata di sesto grado
18
LE MONTAGNE DIVERTENTI La capanna Sciora e sullo sfondo i versanti NE del pizzo Cengalo e del pizzo
Badile in una cartolina d’inizio ‘900 (archivio Maurizio Cittarini).
non passa certo senza lasciar traccia. Nel
primo pomeriggio ci dirigemmo al piede
della parete nord del Cengalo ed esplorammo il nostro percorso per il giorno
seguente. Il progetto di metter mano alla
parete del Badile, l’avevamo definitivamente abbandonato.
Sopra la val Bregaglia era ancora notte
profonda, quando lasciammo la capanna
e ci dirigemmo al ghiacciaio che scende
tra il Cengalo e il Badile. Dopo un incespicare sui detriti è una vera benedizione poter camminare sulla neve. Non
abbiamo preso né piccozza né ramponi
per risparmiare sul bagaglio. L’attrezzatura è comunque già abbastanza
ragguardevole, poiché non possiamo
essere certi di cavarcela senza un bivacco.
Sul ghiacciaio giacciono alcuni camosci
morti, colpiti da una scarica di sassi o da
una slavina caduta dalla parete nord del
Cengalo. Aggiriamo dei crepacci e poco
a poco giungiamo vicinissimi al Badile.
Ansiosi tendiamo l’orecchio per capire se
gli italiani sono già all’opera sulla parete.
Ma sembra che stiano ancora aspettando
Estate 2016
il levar del sole dentro i sacchi a pelo.
Giù in basso riconosciamo due alpinisti, che vanno verso l’attacco dello
spigolo del Badile. Sono amici di Stoccarda, che hanno piantato la loro tenda
vicinissimo al rifugio. Poco più tardi
segue le loro tracce un trio di svizzeri,
una coppia di sposi con un compagno,
che pure vogliono attaccare lo spigolo
del Badile. Rapidamente ci innalziamo
sulla neve. Sulla roccia si andrà altrettanto veloci? Lo si vedrà presto, poiché
abbiamo già raggiunto l’attacco, al piede
nord occidentale dello spigolo, e siamo
ora felici di poter togliere dallo zaino
la corda e gli attrezzi. Questa riduzione
di peso è però quasi subito compensata
dalle scarpe chiodate, che dobbiamo
riporre nello zaino. Le cambiamo infatti
già qui con le scarpe da arrampicata, che
si adattano meglio fin dal primo tratto
di rocce rotte, difficili e sgretolate. Così
friabili non ce le aspettavamo, ma per
fortuna sono solo alcune lunghezze di
corda. Dopo un breve tratto di cresta,
la pendenza diminuisce e possiamo
procedere per un po’ in conserva. Qui
costruiamo il primo ometto, e ne approfittiamo per osservare ancora una volta
gli italiani. Eravamo proprio di fronte
a loro e potevamo riconoscerli bene.
Evidentemente il lavoro di là era difficile,
poiché in continuazione risuonavano i
colpi di martello, con cui conficcavano
nella roccia un chiodo via l’altro.
Si prosegue, ora siamo su rocce solide,
magnifiche, e procediamo rapidamente
per lo più lungo fessure e spaccature. In
prossimità di un’enorme placca facciamo
una breve sosta. Siamo felici e di buon
umore, solo il tempo ci preoccupa. Il
cielo azzurro è scomparso, molte nuvole
grigie si sono addensate. Un brusco
abbassamento di temperatura su questo
spigolo… non osiamo pensare al peggio.
Non ci fermiamo a lungo qui. Quattrocento metri di rocce difficili ci separano ancora dalla cima, un grosso punto
interrogativo è ancora davanti a noi.
Siamo arrivati al punto dove lo spigolo
si impenna bruscamente. Fin dove
possiamo vedere, roccia liscia, inarticolata. Al primo sguardo appare impossibile, tuttavia troviamo un punto debole.
Una fessura superficiale conduce a un
pulpito. Bisogna traversare una placca
fino alla fessura successiva. Lentamente, ma con continuità, ci innalziamo, arrampicando per lo più lungo
LE MONTAGNE DIVERTENTI La vecchia capanna Badile e, a dx, la capanna Gianetti, inaugurata nel
1912. Sullo sfondo il pizzo Cengalo (archivio Maurizio Cittarini).
piccole fessure, spesso anche in aperta
parete. Un passaggio lo ricordo ancora
benissimo. Fred ha preso il comando;
il corpo molto spinto in fuori, le mani
aggrappate al bordo della placca, i piedi
puntati contro la parete, si destreggia
verso l’alto, e la corda da 40 metri è
quasi finita, finché posso seguirlo. Dopo
un po’ sono presso di lui, e si prosegue
lungo una sottile costola, poiché a destra
e a sinistra è tutto liscio come un’anguilla. Poi seguiamo ancora una fessura
finché si perde nella parete e alla fine,
dopo circa 30 metri, raggiungiamo
un punto di sosta, anche se è solo una
cengia larga una spanna. Una traversata, parte strisciando parte appesi, ci
porta verso destra ad un’altra fessura.
Con l’aiuto di un chiodo è possibile risalirla. Poi si prosegue quasi facilmente,
per lo meno così ci sembra dopo quello
che abbiamo superato. Dopo alcune
lunghezze di corda traversiamo ritornando allo spigolo che qui è di nuovo
molto marcato. Seguendolo giungiamo
presto all’inizio della cresta nevosa, e
dopo un’ora di salita per neve e blocchi,
alle 17 ci stringiamo la mano in vetta. In
11 ore di arrampicata ci è riuscito ciò che
l’anno scorso avevamo visto dal Badile.
Lo spigolo, con l’eccezione dell’attacco,
è del tutto sicuro da cadute di sassi, ciò
che tuttavia di primo mattino è poco
probabile.
La discesa per la cresta ovest è facile,
una volta che si trova il canale giusto che
scende fino al piccolo ghiacciaio. Da qui
si prosegue per morene fino alla capanna
Badile, che raggiungiamo in due ore.
Subito dopo arrivano anche i nostri
amici di Stoccarda, e con loro siamo gli
unici ospiti del rifugio.
Nella notte piove a dirotto. Siamo
preoccupati per la sorte degli italiani e
dei tre svizzeri.
Il mattino successivo ritorniamo
insieme ai due di Stoccarda alla capanna
Sciora. La traversata del Passo di Bondo,
soprattutto con scarsa visibilità, non
è facile da trovare. Verso mezzogiorno
raggiungiamo la capanna. Il tempo ha
volto del tutto al peggio, la pioggia lascia
il posto alla neve.
Quando il mattino successivo ci
alziamo, il tempo è un po’ migliorato,
tuttavia fino al limite del bosco è tutto
coperto di neve. Ancora una volta risaliamo alla parete del Badile, chiamiamo
e gridiamo ma non riceviamo alcuna
risposta. Ce l’avranno fatta?
La neve fresca non permette nei
giorni successivi alcuna scalata di rilievo,
pertanto decidiamo di scendere a valle.
Là ci attende la triste notizia che i due
giovani italiani sono morti. Avevano
superato la parete, con la quale si battevano da anni, ma durante la discesa per
la parete sud sono morti di freddo e di
sfinimento. Gli altri tre avevano invece
raggiunto, dopo un ulteriore bivacco
sebbene con gravi congelamenti, la
capanna Badile.
Verso sera risaliamo a Soglio. Magnifica è la vista sui gruppi della Sciora e
del Badile. Superbo ci guarda dall’alto
lo spigolo del Cengalo. Facciamo nuovi
progetti. Ma tuttavia rimarranno tali.
Sei mesi più tardi mi raggiunse l’inimmaginabile triste notizia che il mio bravo
compagno di cordata era morto in un
incidente d’auto. Non lo dimenticherò
mai.»1
1 - “Cengalo-Nordwestkante”, Der Bergsteiger, 8.
Jahrgang 1938, pp. 653-659 (consultato alla biblioteca del CAI Milano).
Bertl Lehmann racconta la salita alla NO del Cengalo
19
Storia dell’alpinismo
Speciali
L’impresa di Gaiser e Lehmann al Cengalo
inquadramento storico e alpinistico
Pizzo Badile
(3305)
Raffaele Occhi
I
l grosso della carriera alpinistica di
Lehmann e Gaiser si colloca negli
anni ’30 del secolo scorso, quando
erano ormai lontane le memorabili imprese del primo anteguerra di
Preuss (parete est del Campanil Basso
di Brenta, 1911) e di Dülfer (parete
est della Fleischbank, 1912), sulla
cui scia l’arte d’arrampicare, coinvolgendo sempre più ampi strati sociali,
raggiunse fra le due guerre nuovi orizzonti. Forte era invece ancora l’eco
delle scalate di Solleder e Lettenbauer
alla Civetta e di Rossi e Simon al
Pelmo degli anni ‘20, con cui si aprì
l’epoca del 6° grado, all’insegna della
superiorità degli arrampicatori tedeschi e austriaci; ancor più prossima era
la risonanza delle imprese che, nell’emularli, furono successivamente realizzate su pareti fino ad allora considerate
impossibili, da scalatori la cui fama
varcò tutti i confini: basti ricordare
Comici, Dibona e i fratelli Dimai,
Zanutti e Mary Varale, Steger e Paula
Wiesinger, Videsott e Rudatis, Vinatzer, Castiglioni e Micheluzzi, Stösser
e Auckenthaler, Andrich e Tissi, Ratti
e Vitali, Carlesso, Soldà, Cassin...
A un certo punto non ci si accontentò più delle muraglie verticali o
strapiombanti delle Dolomiti, dove
si erano andate affinando tanto l’arte
dell’arrampicata libera, che di quella
in artificiale; anche sulla spinta dei
nazionalismi europei si allargò a
tutte le Alpi la corsa agli “ultimi
problemi”: cresta sud dell’Aiguille
Noire de Peutérey (Brendl e Schaller,
1930), nord del Gran Zebrù (Ertl e
Brehm, 1930) e nord dell’Ortles (Ertl
e Schmid, 1931), nord del Cervino
(fratelli Schmid, 1931), nord dell’Aiguille Blanche de Peutérey (Chabod
e Grivel, 1933). Restavano ancora,
oltre alla nord delle Grandes Jorasses
e dell’Eiger, certe pareti in qualche
valle semisconosciuta...
È a questo punto che entrano in
scena Lehmann e Gaiser. Dopo essersi
fatti le ossa nelle palestre di roccia
della Foresta Nera, corrono dunque
anche loro nelle Dolomiti, a ripercorrere le vie più famose ed impegnative; ma non disdegnano anche
20
LE MONTAGNE DIVERTENTI l’alta montagna, con le grandi vette
dell’Oberland Bernese, il Cervino e il
gruppo del Bianco.
C’era allora chi diceva che i “dolomitisti”, pur abituati alle grandi difficoltà sul verticale, difficilmente se la
sarebbero cavata altrettanto bene sul
granito con le sue grandi placche prive
di appigli; nulla di più errato! Così
come il grande Cassin, lo confermarono anche Lehmann e Gaiser sulle
pareti della Bregaglia, affrontando in
scioltezza lo spigolo nord ovest della
Sciora di Fuori (oggi valutata dal IV al
V+ con tratti A1 e A2) piuttosto che la
cresta nord nord ovest dei Gemelli (IV
e V), prima di portare a compimento il
loro capolavoro, lo spigolo nord ovest
del Cengalo (difficoltà V, V+ e VI-),
proprio mentre Cassin stava salendo
l’attigua nord est del Badile (IV, V, V+
con tratti di A1 e A2).
La Gaiser-Lehmann al Cengalo
e la Bramani-Castiglioni aperta
dodici giorni dopo sulla nord ovest
del Badile, Gian Piero Motti nella
sua Storia dell’alpinismo le considera giustamente “due imprese di
analogo livello tecnico” alla più famosa
impresa di Cassin e compagni. “All’epoca queste due superbe realizzazioni
non ebbero l’eco e la risonanza internazionale della via Cassin sulla Nord
Est del Badile, a vantaggio della quale,
come sempre purtroppo accade in queste
situazioni, la tragedia giocò un ruolo
determinante. Ma certamente le altre
due vie aperte non erano da meno sul
piano della difficoltà, anzi probabilmente, data la prevalenza dell’arrampicata libera su quella artificiale, hanno
conservato più a lungo la loro primitiva
difficoltà”.
Chapeau, in ogni caso, a tutti
quanti, anche pensando alle attrezzature “primitive” di allora. Chi di
noi affronterebbe oggi quelle vie con
una pesante corda di canapa, pantaloni alla zuava, lo zaino appesantito
dagli scarponi chiodati smessi dopo
il ghiacciaio fra i crepacci per infilare
le pedule all’attacco delle rocce (salvo
Bramani e Castiglioni che ebbero
a sperimentare allora le famose
ViBram)?
Pizzo Cengalo
(3369)
Punta Sant'Anna
(3171)
Punta Sertori
(3195)
Colle del Cengalo
(3046)
via
Bramani-Castiglioni
via Cassin
via Gaiser-Lehmann
Va d r e c
Va d r
d a l a Tr
ubinasca
ec dal Cengal
I versanti N di Cengalo e Badile. Indicate le 3 più importanti vie aperte nel 1937 in val Bondasca
(2 settembre 2014, foto e tracciati Mario Sertori).
Estate 2016
LE MONTAGNE DIVERTENTI L'impresa di Gaiser e Lehmann al Cengalo: inquadramento
21
Speciali
Racconti
di Antonio Boscacci
Racconti - val Màsino
Introduzione
T
utti i riferimenti a persone
e fatti presenti in questo
racconto di Antonio sono reali e realmente accaduti. I tre “omarini” di
cui si narra la grande impresa sono:
Antonio Boscacci, Paolo Masa (Pilly)
e Jacopo Merizzi. Il luogo, teatro
dell’impresa, è il paretone del monte
Qualido in val di Mello e l’anno è il
1982. Pochi ingredienti per cucinare
un piatto davvero molto gustoso. È la
prima volta che in val di Mello viene
aperta una via in più giorni (big wall):
940 metri di granito spettacolare con
tetti, lamoni e placche. Insomma un
susseguirsi di difficoltà che richiedono
tecnica e determinazione, ma anche
intuito e sangue freddo, doti che non
mancano di certo ai tre protagonisti.
“Il Paradiso può attendere” è il nome
che Antonio, Pilly1 e Jacopo hanno
1 - Su Mario Sertori, Solo Granito. Vol. 1 - Valli del
dato alla via che, come ha scritto
Mario Sertori nella sua guida2, è “un
grandioso itinerario aperto da una
cordata mitica di professori del Sassismo.
Un’opera d’arte dal tracciato superbo”.
Cosa aggiungere?
In un articolo apparso su Società
Valtellinese nell’ottobre del 1982
Antonio scrive:
“Il Paradiso può attendere è una via
aperta in sette giorni e in due tentativi.
Il primo risale al settembre del 1981
e che durò 4 giorni durante i quali fu
percorsa la parte bassa della parete fino
al primo bivacco (tre temporali incredibili ci hanno costretto a scendere su
una parete trasformata in una gigantesca cascata). Il secondo tentativo
Màsino e del Disgrazia, Edizioni Versante Sud, 2014,
pgg.190-195 si può leggere la storia della via Il Paradiso può attendere scritta da Paolo Masa.
2 - Mario Sertori, Val di Mello, Edizioni Versante
Sud, 2014
Luisa Angelici
(12/14 luglio 1982) si è concluso felicemente in cima al cubo del Qualido. Un
solo temporale, ma di quelli che ti fanno
sentire un pesce, poi l’arrivo in vetta con
un sole splendido. A stare sette giorni
appiccicati ad una montagna, accade
che si finisca per considerarla come una
zia: così è successo anche a noi dopo
la prima ascensione della parete del
Qualido. Una tra le più belle e difficili
vie delle Alpi è lì che aspetta di condividere i suoi incantevoli bivacchi e lo
splendido granito delle sue fessure.”
Sono sicura che il racconto di
Antonio vi divertirà; la scrittura è
fresca ironica, effervescente come
la coppa di champagne con cui gli
“omarini” festeggiarono la riuscita
dell’impresa e che di certo Antonio
non assaggiò, essendo lui un astemio
convinto e irriducibile!
Sull’avventura capitata ai tre omarini,
quando l’Olifante risuonò sulle alture
del Qualido
Antonio Boscacci
I PREPARATIVI
La parete orientale del monte Qualido (1984,
foto Antonio Boscacci). La via il “Il Paradiso può
Il sasso di Remenno
si trova
nella piana
Filorera
attendere”
si sviluppa
nel centro
della tra
parete
per 940
emetri,
San Martino
Sulladiparete
del la
divisa di
in Valmasino.
20 lunghezze
corda.ovest
Secondo
sasso
si possono
vedere
i gradiniha
scavati
nellafino
roccia
relazione
di Antonio
Boscacci,
difficoltà
al VII
dai pastori
per andare
in cima fino
a sfalciare
grado
e passaggi
in artificiale
all’A3.un po’
22
d’erba perLEleMONTAGNE
loro bestie. DIVERTENTI Tutto cominciò con la divisione del
vino.
- Mica dovremo portarci dietro
tutto quel vino?
Chiesi con un certo nervosismo,
misto a un po’ di impazienza e di
feroce rimprovero.
- È stato tutto previsto.
Ribatté uno dei due indaffarati miei
compagni.
- 10 litri sono il minimo possibile,
essendo noi in tre.
- Come in tre?
Osai obbiettare, trattenendo a
stento un moto d’ira.
- Siamo o non siamo in tre?
Disse il più giovane dei due.
- E 10 diviso tre non fa 3,333 con il
Estate 2016
LE MONTAGNE DIVERTENTI tre periodico?
Aggiunse con una punta di fastidiosissima spocchia.
A quei tempi aveva intenzione
ancora di iscriversi all’università, e
questo, secondo lui, era un tentativo
di darmi una lezione. Visto che ero
laureato in matematica e la faccenda
del tre periodico non era certo cosa
nuova per me.
Voleva farsi bello con quell’affermazione, ma io sapevo che era
chiaramente il suo solito modo di
ingarbugliare il discorso per dimostrarmi che, come al solito, non aveva
ragione.
Quando ricorreva a quei trucchi,
era come sbattermi in faccia che aveva
torto.
Almeno io così allora vedevo le cose.
- È vera la storia del 3,333 con il tre
periodico per ciascuno di noi.
Dissi io.
- Ma vorrei farvi notare (passai dal
tu al voi perché mi volevo rivolgere a
tutti e due e poi volevo dare più solennità al mio dire), che io non bevo
vino, sono astemio, quindi la vostra
divisione, non dà 3,333 con il tre
periodico, ma un rotondo, scintillante
e autonomo 5.
- Per farla breve, ribattei, con un
certo astio, io il vostro vino non voglio
portarlo e non ve lo porto.
- Ma guarda che nessuno di noi due
ha mai assolutamente coltivato l’idea
di farti portare alcunché di liquido e
afrodisiaco. Questo è compito nostro
e, nemmeno come pensiero di ripiego,
abbiamo avuto in mente di farti
Il paradiso può attendere
23
Racconti - val Màsino
Speciali
contribuire al trasporto dell’ambrosia.
- Meno male.
Risposi caustico e al contempo,
devo dire, soddisfatto.
Sul piazzale del Gatto Rosso,
comparvero allora, prelevate dal
bagagliaio della Due Cavalli, quattro
piccole taniche di plastica, ciascuna
contenente due litri e mezzo di vino.
Poi, ma solo dopo, apparve il resto.
Scatole di paté de fois gras, di
ostriche, due tubetti di tonno, uno
alle olive e uno in salsa rossa, con
pomodoro e peperoncino, due tubetti
di maionese e infine due scatolette di
legno avvolte con cura in una carta
trasparente.
- Ma ci dobbiamo portare anche il
legno?
Cercai di protestare, ma con tale
timidezza, che la mia domanda-rimprovero non venne neppure presa in
considerazione.
Con l’aria infastidita del bramino
che invita il paria a lucidargli meglio
le scarpe, mi fu risposto che, mantenuto nella sua confezione originale,
il caviale non avrebbe perso neppure
una briciola del suo aroma e del suo
gusto.
Solo quando tutto il cibo fu prelevato dalla Due Cavalli e steso accanto
all’auto, mi resi conto che la richiesta
tassativa che i miei due amici avevano
avanzato fin dall’inizio dell’impresa,
di essere loro ad occuparsi delle scorte
alimentari, era frutto di un piano
segreto.
Un ben congeniato dispositivo che
aveva come unico scopo quello di
nascondere la deliberata e inconfessabile volontà di tenermi all’oscuro dei
preparativi e fare in modo che io non
potessi neppure indirettamente interferire nelle loro scelte.
Tutta la storia dell’alpinismo della
val Màsino, dell’alpinismo valtellinese
e, in particolare quella di tutti gli alpinisti che avevo conosciuto, sui libri o
di persona, fu in un attimo spazzata
via.
Dove erano le salsicce, i salami,
la pancetta, il pane secco e tutti gli
ammennicoli mangiarecci dei quali
sono piene le storie di montagna e di
conquista?
Dov’era la guida alpina che divideva
con il cliente l’ultimo tozzo di pane
sbriciolato, conservato nella capiente
24
LE MONTAGNE DIVERTENTI tasca dei calzoni alla zuava?
Dov’era il microscopico pezzetto di
salsiccia che, dopo essere stato diviso
in tre parti, pelle compresa aveva
portato alla vittoria sulla famosa via
del versante sud del paretone della
cima di Zocca.
E la via dei Ragni di Lecco percorsa
l’ultimo giorno con un quadretto di
cioccolato che si era sciolto in tasca,
raschiato e diviso come una leccornia?
E la via degli Svizzeri sulla quale era
finita l’acqua già il secondo giorno e
per tutto il terzo non avevano bevuto
nulla, a parte leccare la roccia umida
accanto a un nido di gracchi? [In
verità, la leggenda, ormai disarticolata
da mille e mille racconti, diceva che
erano state proprio due uova di gracco
alpino, trovate nel nido, a permettere
agli svizzeri Hans Pursheller e Gratz
Messmer di portare a termine la loro
intrepida prova sulle piodesse della
punta Rasica].
Noi non avevamo neppure una
salsiccia, non un salame, nemmeno
un pezzo di pancetta!
Quando feci notare questo piccolo
particolare, mi fu risposto che se avessi
guardato meglio, mi sarei accorto che
accanto ai vasetti dei sottaceti, tra le
ostriche e la bottiglia di champagne,
che non poteva mancare in caso di
riuscita dell’impresa, c’era un pezzetto
di lardo.
- Ah, meno male, dissi, qualcosa che
mi ricorda il buon vecchio modo di
andare in montagna.
Almeno di questo mio padre
sarebbe stato fiero.
Il lardo del suo maiale, che allevava
personalmente e al quale ogni anno
attribuiva un nome diverso, come agli
uragani del golfo del Messico, era uno
dei componenti della sua dieta. E in
montagna non mancava mai.
Dove c’era mio padre, c’era il suo
lardo.
Anzi, una volta riconobbi che in un
rifugio c’era mio padre dal fatto che
sul tavolo si trovava un pezzo del suo
lardo.
Non sapevo che fosse lì.
Il lardo di mio padre non tradiva
mai.
- Abbiamo voluto conservare il
lardo, perché il lardo è come la donna.
E giù a spiegarmi l’analogia tra il
lardo e le donne, con particolari così
piccanti e un tantino volgari che non
mi pare il caso di raccontarli. Né, al
tempo stesso, avrei voglia di esaminare le non insignificanti turbe psicologiche dei miei due amici riguardo a
questo argomento, per loro comunque
di grandissimo valore escatologico.
In ogni caso, con quel pezzetto di
lardo di Colonnata, la storia dell’alpinismo era salva.
Per farla breve, preparammo tutto
l’occorrente mangereccio e il beveraggio e, solo successivamente,
passammo in rassegna il materiale
alpinistico.
Indaffarati e prontissimi nell’esaminare ogni sorta di leccornia da loro
preparata, mi parvero del tutto indifferenti al materiale alpinistico, del
quale ero io il responsabile.
- Di certo avrai fatto un’ottima
scelta.
Con questa lapidaria frase, per la
quale fu impiegato il tempo di un
battito d’ali, l’esame del materiale
terminò.
Iniziammo a infilare il tutto negli
zaini.
E qui, ad ogni vasetto che entrava
nel sacco dell’uno o dell’altro, c’era un
moto di sorpresa.
Una specie di gratitudine che
ognuno aveva per l’altro.
- Bella scelta queste acciughe arrotolate con i capperi, Pilly.
- Ottima questa crema di camembert, Jacopo.
Alla fine di questo incredibile
balletto, ricco di mezze frasi, autentiche sorprese e sguardi pieni di
ammirazione per quelle scelte, per
altro fatte insieme, i miei due amici
si alzarono e, dopo essersi inchinati, si
strinsero la mano.
- Buon lavoro, disse Pilly.
- Ottime scelte, ribatté Jacopo.
Il balletto durò alcuni minuti poi,
finalmente, si passò a mettere nei
sacchi il materiale di arrampicata.
Un’ora dopo il nostro arrivo al
Gatto Rosso, tutto era pronto per la
partenza.
Allineate accanto alla Due Cavalli
c’erano le quattro tanichette di vino,
tre grossi zaini e un enorme sacco.
- Il vino lo portiamo noi come
deciso e come è giusto, ma tu dovrai
portare il saccone del materiale.
In fondo, me lo ero meritato.
Estate 2016
LA MICETTA
Percorremmo la mulattiera accanto
al torrente.
Davanti c’erano Pilly e Jacopo che
chiacchieravano.
Di solito, quando chiacchieravano
così beatamente, o stavano parlando
di donne oppure di cibo.
Che per loro in fondo era un po’ la
stessa cosa.
Ricordo che un giorno che ce ne
stavamo seduti sul grande sasso piatto
del Bidé della Contessa, con le gambe
a penzoloni nel torrente, iniziammo
una discussione sul film di Bertolucci.
- Che raffinatezza. Disse Pilly.
- Forse, invece del burro, si sarebbe
potuto provare con una mousse di
cioccolato. Una sdilinquitudine.
Poi Jacopo aggiunse:
- Quando la micetta è bagnata,
aprire l’ombrello con prontezza e
nello stesso tempo con armoniosa
delicatezza.
Dio, quanto mi piacque quell’aggettivo, che aggiungendosi alla già
insita armoniosità della delicatezza, la
rafforzava al sommo grado.
Era, in fondo, come una bellissima
sottoveste di organza. Ma no, forse
dovrei dire una sottoveste di zucchero
filato.
Allora dissi una di quelle frasi che
non si dovrebbero mai dire, perché
poi diventano patrimonio del luogo
nel quale vengono dette e, da quel
momento, ogni volta che vi capiterà
di passare di lì, non potrete fare a
meno di pensare a quelle parole.
Beh, per farla breve, dissi:
- Quando il gatto si avvicina alla
micetta, c’è da augurarsi che lei non
morda.
- Bravo, Bosca, finalmente sei dei
nostri.
Risposero insieme Jacopo e Pilly.
Poi, scattando in piedi, mi tesero la
mano e mi fecero un inchino.
Era il loro modo di manifestarmi la
loro assoluta, incondizionata simpatia.
La solennità del momento non mi
fece comunque perdere il suo lato
buffo.
Nudi come lombrichi, Jacopo e
Pilly, si girarono verso il sentiero e,
rivolgendosi a Monica e Giulia, che
proprio in quel momento stavano
passando, esclamarono:
LE MONTAGNE DIVERTENTI Antonio, Jacopo e Pilly preparano il materiale alla baita (1982 luglio, foto Antonio Boscacci).
- Orsù, damigelle, perché non vi
degnate di bagnare la vostra micetta
nelle calde acque di questo nostro
torrentello?
Ma loro, vergognosette, dopo
aver emesso un lungo e prolungato
squittio, se ne andarono per la loro
strada.
ANDAVO SU CHE PAREVO UN
MULO
Quando a ca di Carna prendemmo
il sentiero che saliva verso la valle del
Qualido, ero già tutto sudato.
Mi fermai un momento, appoggiandomi a un sasso e proprio allora i due
miei amici cessarono di chiacchierare,
si girarono e vedendomi un po’ affaticato, mi dissero di non preoccuparmi,
che mi avrebbero dato il cambio
presto nel trasporto del saccone.
Quando ripresi il cammino e
passammo dalle parti di Nuova
Dimensione, pensai che forse
avremmo dovuto affittare un animale.
Andavo su che parevo un mulo con
quel maledetto saccone di traverso che
mi faceva venire il torcicollo.
Oltre tutto c’erano due friends che
sbucavano di lato e mi colpivano un
orecchio in una maniera davvero
insopportabile.
Per non parlare del chiodo che mi
Il paradiso può attendere
25
Racconti - val Màsino
Speciali
si stava conficcando nel deltoide e di
quel nut che mi comprimeva la clavicola e che non riuscivo a spostare
nonostante i continui e numerosi
tentativi di levarmelo di torno.
Quando finalmente raggiunsi i due,
fermi all’inizio della scala della Moia,
la prima cosa che mi sentii dire fu:
- Guarda come è sudato il Bosca.
Forse avremmo dovuto prendere il
mulo del melàt e farci trasportare da
lui gli zaini e il saccone.
- Pensa un po’ Jacopo, disse con un
gran sorriso Pilly, pensa un po’ se avessimo preso un mulo invece del Bosca;
avremmo potuto portarci anche un
contenitore per il ghiaccio.
- Due flûte à champagne, qualche
cubetto di ghiaccio e questo praticello
sarebbe diventato l’atrio del Paradiso.
- Enchanté.
Risposi e, per essere più persuasivo,
emisi un lungo raglio. Un raglio di
mulo affaticato, come il luogo e gli
amici mi ispirarono.
LA CAVERNA DI POLIFEMO
Bivacco sulla parete del Qualido (luglio 1982, foto Antonio Boscacci).
Con quel procedere fatto di chiacchiericci e lunghe soste, erano quasi
le otto di sera quando arrivammo
all’antro scelto per passare la notte.
Il sole, dopo aver disperso i suoi
raggi sulle rocce della costiera che
separa la val Qualido dalla valle di
Zocca, si era ritirato in buon ordine
anche dal fondovalle.
Di fronte a noi si ergeva una nuda,
liscia, compatta, immensamente alta
parete verticale.
- È là che dovremo cercare la nostra
via.
Disse Jacopo, additandomi uno
strano pilastro dentellato, sormontato
da numerosi tetti.
- Se riusciamo a destreggiarci tra
quella serie di aggettanti e robuste
asperità, forse troveremo il modo di
salire anche quel nulla che troneggia
al centro.
- Là, dove c’è quel gracco,
dovremmo trovare un passaggio.
Altrimenti pendoliamo sulla destra
e voilà, riprendiamo da quella lunga
fessura verticale.
Aggiunse Pilly, mostrandomi una
foto. Aveva, a suo dire, studiato la
parete attentamente su quella immagine 10x15.
A sx Jacopo Merizzi e a dx Paolo Masa impegnati sulla parete del Qualido (luglio 1982, foto Antonio Boscacci).
26
LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2016
LE MONTAGNE DIVERTENTI Mi parve inopportuno chiedergli se tutto lo studio che aveva
fatto si fosse limitato a un esame di
quell’immagine un po’ sbiadita e
per giunta leggermente sfocata ai
bordi, perché capii subito che quella
era la sola immagine che avevamo a
disposizione.
Lasciando gli zaini fuori, ci infilammo dentro la piccola grotta.
Nell’equilibrio combinato di tre
grossi massi, sui quali si era assestata nel tempo una discreta quantità
di terra e di erbe, era nata la nostra
dimora.
Una specie di dépendance della
grotta di Polifemo.
Era piccola e graziosa come si
ritiene debba essere una dépendance
e probabilmente un tempo era stata
anche munita di porta, della quale
però ormai non c’era più traccia.
Sulla destra entrando c’erano due
piccoli giacigli con del fieno e, a sinistra, sotto lo sporgere di una roccia,
ce n’era un terzo.
Una minuscola apertura faceva da
finestra e da camino.
Fu una cena indimenticabile.
Affacciati a osservare il fondo
della val di Mello, con la parete del
Qualido che diventava sempre più
alta e più nera, dopo aver cosparso
un certo numero di biscotti alla cioccolata con una spruzzata di panna
montata, assistemmo al lento nascere
della notte.
Migliaia di stelle ronzavano sopra
di noi nello scampolo di cielo che
le robuste pareti di quella valle
permettevano.
Tutto pareva fatto per elevare i
nostri spiriti e trasportare le nostre
menti verso i beati pascoli di
Manitou.
- Ti sei dimenticato la musica.
Disse Pilly.
- Non mi sono dimenticato di
nulla, perché eri tu che avresti dovuto
occupartene.
Rispose Jacopo.
- E non addossare agli altri le tue
responsabilità e le tue dimenticanze.
Questa scenetta si svolse mentre
una stella cadente attraversò il cielo
dalle parti della cima d’Arcanzo e non
lontano dalla luminosa Aldebaran.
Mettemmo in un sacchetto gli
avanzi della cena e ci infilammo un
golf.
La rugiada stava scendendo lungo
la val Qualido ed era ora di ritirarsi
al coperto.
Il mio piccolo Casio, adatto a
resistere fino a cinquanta metri
sott’acqua, segnava la mezzanotte.
- Cari colleghi, dissi con tono
solenne come si conviene alla vigilia
di un importante avvenimento, cari
colleghi, è bene che ce ne andiamo
a letto, perché tra un po’ Polifemo
passerà a contare le pecore, anche
quelle della dépendance.
Prima però ci mettemmo in posizione e via ...
- Chi non piscia in compagnia,
urlammo all’unisono ... con tutto il
resto che segue.
IL RUGGITO DEL MELONE
“Non istarò qui a raccontarvi della
salita che noi compiemmo, né delle
difficoltà che superammo” scrisse il
prof. Carlo Bonadei quando, nel
1873, raggiunse con la comitiva
della sezione Valtellinese del Club
Alpino Italiano le baite del Publino,
“nei regni dell’aquila e dell’Orso”.
Poi però, dimenticandosi di questa
avvertenza iniziale, scrisse una relazione di 28 pagine su quella salita
che terminò con “l’agognata conquista
della sommità del Corno Stella a oltre
2600 m di quota sul livello del mare”.
Io più semplicemente mi limiterò a
dire che impiegammo tre giorni per
salire la nostra via.
Che trovammo alquante difficoltà,
delle quali non vi parlerò per non
annoiarvi.
Che fummo bersagliati da due
temporali e da una grandinata.
Che i miei amici usarono con
parsimonia il vino, così che questo
terminò contemporaneamente all’ultimo tiro della via.
Che dovemmo fare un pendolo
di quasi 40 metri e che per l’ultimo
della cordata fu un bel problema.
Che ...
Vi risparmio tutte le noiosissime
notizie sui materiali impiegati e sul
cibo consumato, su quella volta che
caddi e sulle mille che fui lì lì per
cadere, sulla suola che mi si staccò e
che dovetti legare con lo spago.
Sull’alberello di rosa canina al quale
Il paradiso può attendere
27
Racconti - val Màsino
Speciali
Antonio Boscacci durante l’apertura de “Il Paradiso può attendere” sulla parete del Qualido (luglio 1982, foto Jacopo Merizzi).
ci appendemmo in tre e sul camoscio che dall’alto per ben due ore ci
osservò salire, facendoci dei sorrisetti
così particolari che era evidente che ci
stava prendendo per il culo.
ERMINIA LA DOLCE
Voglio invece raccontarvi quello che
successe al secondo bivacco.
Intanto, occorre dire che appendemmo le amache del secondo
bivacco sotto una specie di tettuccio.
In realtà non era un tetto vero e
proprio, ma un modesto risalto, una
discontinuità nella lunga parete, sotto
la quale eravamo approdati dopo una
lunga giornata di placche, fessurucole
e lame (sottili e delicatissime le une,
robuste e imponenti le altre).
In ogni caso decidemmo che quello
era il posto per la notte e, con garbo,
cautela, ma anche con la necessaria
energia, approntammo il bivacco.
In alto abitava il Pilly, poi veniva lo
Jacopo e, in basso, al di sotto dei due e
un po’ di traverso rispetto a loro, c’era
28
LE MONTAGNE DIVERTENTI la mia dimora.
Con quasi mille metri di parete
sotto, avevamo cercato di fare le
cose per bene e, per essere certi che
nessuno di noi scivolasse da solo
verso l’abisso, oltre che assicurarci alle
nostre amache, ci eravamo assicurati
anche tra di noi.
Se per qualche motivo fossimo
precipitati, lo avremmo fatto tutti
insieme.
Come i tre moschettieri rinchiusi
nella torre del castello di Rouen
quando, dovendo scappare per andare
a salvare il re, finirono insieme nel
fossato di cinta con l’acqua che,
fortuna loro, era sufficientemente alta.
Siccome, a parere dei miei amici,
le maggiori difficoltà erano state
superate, si decise che era giunto il
momento di mangiare le ostriche.
Come voi certo saprete, mangiare
delle ostriche seduti ai comodi tavoli
di un comodo ristorante, magari con
un leggero filo di donzella di fronte,
è cosa del tutto semplice oltre che
piacevole.
Ma mangiare delle ostriche appesi
a un chiodo, su una parete verticale,
non è impresa semplicissima.
Risolvemmo la cosa in questo modo.
Ci sedemmo tutti e tre sull’amaca
centrale, lasciando le provviste nell’amaca superiore, opportunamente
calata fino alla nostra altezza.
Fu
un
momento
davvero
emozionante.
Gustare un’ostrica così, con i piedi
nell’abisso, avendo davanti agli occhi
i monti e le pareti della val di Mello
e, sullo sfondo, trasfigurato da una
nebbiolina azzurra che ne accendeva
ancor di più la bellezza, il monte
Disgrazia, dalle fulgide creste, appena
appena imporporate dagli ultimi,
fiochi raggi di un sole lontano ...
Un brivido mi corse lungo la
schiena mentre a tutti noi si inumidirono gli occhi.
Mangiammo e bevemmo.
Poi quando tutto si assopì e il piacere
della notte prese il sopravvento, aiutati
anche da una leggera aura che risaliva
sonnecchiando la parete, ognuno di
Estate 2016
noi si ritirò nella sua cuccia sospesa.
Il posizionamento del corpo,
durante un bivacco in parete, appesi
come delicati culatelli, non è impresa
facile e richiede un certo tempo.
Trovata la posizione vagamente
fetale, adatta alla bisogna, ci augurammo la buona notte.
Le stelle, in quel cielo limpido e
pulsante, aiutate dal nero che saliva
dalla valle e dalle pareti che sembravano rifletterlo verso il cielo; le stelle
dicevo, erano così intensamente luminose che parevano caderci addosso.
Le osservai per lungo tempo poi si
mischiarono con i sogni e mi trovai
beato nei vasti pascoli del cielo dove
anche i muli avevano il loro dignitosissimo posto accanto ai puledri e agli
stalloni purosangue.
Non saprei dire che ora fosse,
quando mi svegliai trafitto da un urlo,
all’inizio un po’ annebbiato e poi via
via sempre più chiaro.
- Erminia, Erminia la dolce vieni tra
le mie braccia, voglio pettinare con
cura i tuoi riccioli neri.
Quasi compresso da quel grido,
reagii mettendomi a sedere.
Questa fu la scena che il buio della
notte e il chiarore delle stelle mi
permisero di vedere.
Jacopo se ne stava ritto in piedi
sull’amaca, in un equilibrio che
avrebbe dovuto essere precario, ma che
invece era inspiegabilmente stabile.
- Erminia, Erminia la dolce vieni tra
le mie braccia, voglio pettinare con
cura i tuoi riccioli neri.
Ripeté per tre o quattro volte questa
invocazione, si sedette sull’amaca e poi
si infilò nel sacco a pelo.
Dopo qualche secondo stava di
nuovo russando, come un caprone del
Caucaso.
L’OLIFANTE
Quando, dopo un’ultima placca
piacevolmente adagiata, raggiungemmo la cresta e davanti a noi
apparve il baratro della val Livincina,
erano ormai le due del pomeriggio.
Un pomeriggio assolato e terso
come non se ne vedono molti.
Pezzetti di un sole estivo di indicibile
piacevolezza, cadevano su quel cacumine assolato quasi fossero giganteschi fiocchi di neve e noi, al contrario
LE MONTAGNE DIVERTENTI L’Olifante è uno strumento musicale rudimentale, ricavato
da una zanna di elefante. Viene nominato per la prima
volta nella Chanson de Roland, un poema scritto nell’XI
secolo e che narra le avventure di Orlando.
La leggenda racconta che Orlando, paladino e nipote
di Carlo Magno, re di Francia, avesse ricevuto dal re
il compito di guidare e proteggere le retrovie del suo
esercito che, dopo essere andato in Spagna a dare la caccia
ai Saraceni (arabi musulmani), stava facendo ritorno in
Francia.
Il re aveva consegnato nelle mani di Orlando anche l’Olifante
da suonare solo in caso di pericolo. Ed è ciò che accade infatti
sui Pirenei, al passo di Roncisvalle (778). Orlando cerca in
tutti i modi di resistere all’attacco dei nemici, esita, prende
tempo, ma alla fine decide di suonare l’Olifante per avvisare
il re, e lo fa con tale forza e impeto che il suo corpo non riesce
a sopravvivere allo sforzo e, quando il re Carlo giunge in suo
aiuto, Orlando è già morto.
C’è un’altra leggenda che sicuramente pochi conoscono e
che lega, in modo un po’ fantasioso, Orlando alla città
di Sondrio. Si dice infatti che la famiglia De Capitani,
quella che nel 1048 iniziò la costruzione del castello
Masegra, discendesse nientepopodimeno che da
Orlando e che tale discendenza fosse confermata
dal ritrovamento del famoso Olifante durante
i lavori di sistemazione del castello.
Si sa che nel Medioevo, per dar lustro
a un casato, si cercavano illustri
predecessori; sta di fatto che in
alcuni documenti del Trecento,
relativi alla città di Sondrio,
viene citato un corno che
risuonava dall’altura del Masegra
giù al piano in occasione di bandi
pubblici e di feste (testo e disegno
Luisa Angelici).
di Hans Castorp1, avremmo voluto
assolutamente farci ricoprire da quella
“cristallometria assolutamente regolare”.
La roccia era tiepida.
Seduti a cavalcioni della cresta, dopo
esserci date le opportune pacche sulle
spalle, brindammo alla nostra nuova
via, io con un ottimo succo di frutta
alla pera e gli altri con lo champagne.
Poi ci spostammo in un luogo più
appropriato e demmo fondo alle provviste rimaste.
Di tutto il materiale mangiareccio
che avevamo trascinato con noi lungo
quella infinita parete, rimase solo
mezzo tubetto di pasta d’acciughe.
In quel piccolo giardino di mirtilli,
allietati da un debole venticello, sprofondammo in un meritato sonno
ristoratore.
E fu proprio allora che, risalendo
lungo la val Qualido, o forse lungo
la val Livincina, ci raggiunse un cupo
e allo stesso tempo fiammeggiante
rombo di tuono.
No, non era il segnale di una imminente burrasca.
Non il prodotto di umano respiro.
1 - Protagonista de La montagna incantata, romanzo
di Thomas Mann del 1924.
Solo l’arcangelo Michele avrebbe
potuto produrre quella meraviglia.
A travolgere le barriere poste tra il
cielo e la terra era il suono assoluto
dell’Olifante.
Liberatosi dalle catene della storia,
risalì fessure e placche, superò precipizi e burroni e stemperandosi appena
un poco, ma al contempo adattandosi
a tutte quelle infinite pieghe, liberò la
sua furia selvaggia e disperata.
Mi piegai sulle ginocchia e mi alzai.
Poi, aprendo le braccia, mi buttai
nell’abisso.
Quando, dopo un tempo che mi
parve interminabile, il suono dell’Olifante cessò, mi trovai seduto nel
parcheggio del Gatto Rosso, accanto
alla Due Cavalli.
E non ho alcun altro ricordo della
discesa dal Qualido.
Anzi, mentre scrivo questa mia
modesta chanson de geste, ogni volta
che penso a quel suono, al respiro di
Orlando che risale quelle valli, quasi
fossimo al pirenaico puerto di Ibañeta,
beh, lo confesso, gli occhi mi luccicano e mi viene da piangere.
E, quando piango, in genere mi
sveglio.
Il paradiso può attendere
29
Montagne per tutti
Speciali
L
a gente di montagna che a un certo punto della vita deve proseguire con limitazioni
fisiche, alla domanda “cosa ti manca di più?” risponde “andare in montagna”.
Ciò non deve sorprendere, perchè, da noi, la bellezza ha quell’aspetto. Montagna, dislivelli, sentieri non rappresentano una barriera insormontabile per la disabilità, ma sono
piuttosto un limite culturale. Con l’utilizzo di speciali mezzi non motorizzati quali la
joëlette, infatti, anche chi ha disabilità può provare il piacere dell’andare per monti, dove
affrontare il viaggio ha un significato più profondo del semplice raggiungere la meta.
Sulla cresta finale del monte Pisello. Grazie alla
joëlette un disabile può compiere anche tracciati
impegnativi (4 luglio 2010, foto Walter Fumasoni).
30
LE MONTAGNE DIVERTENTI Gioia Zenoni intervista Walter Fumasoni
Estate 2016
LE MONTAGNE DIVERTENTI Montagne per tutti
31
Volontariato
Speciali
Salita al monte Pisello (4 luglio 2010, foto Walter Fumasoni).
I
l libretto che trovate in allegato a Le Montagne Divertenti costituisce il numero zero di
una serie di guide che si rivolgono
a tutti i possibili fruitori della
montagna, quindi anche a persone
con disabilità motorie o sensoriali.
Per questi ultimi si possono organizzare escursioni sulle Alpi, con
l’ausilio di handbike o joëlette e di
un gruppetto di amici volonterosi.
Per l’esordio proponiamo un
bellissimo e appagante itinerario
che risale tutta la Valmalenco da
Sondrio al passo del Muretto,
snodandosi lungo lo storico sentiero
Rusca.
A spiegarci origini e filosofia di
questo progetto è Walter Fumasoni,
volontario di una delle associazioni
che, in Valtellina e Valchiavenna,
operano per diffondere la cultura
dell’accessibilità e l’abbattimento
delle barriere architettoniche o di
integrazione.
C
ome è nata l’idea di rendere la
montagna accessibile a tutti?
Se chiedi a una persona cresciuta
in montagna, che ora non può più
andarvi con le sue gambe, “Cosa ti
manca di più?” la risposta è “Tornare
in montagna”. Forse perchè da noi
la bellezza ha proprio l’aspetto della
montagna: è lì che si concretizza la
perfetta armonia del creato. La ricerca
della bellezza è parte del DNA di
ogni essere umano, non si interrompe
dopo un trauma, una malattia o con
la vecchiaia; anzi gli scossoni della vita
ne generano proprio un bisogno più
forte. Per questo è importante che
persone con limitazioni fisiche, senso-
32
LE MONTAGNE DIVERTENTI riali o cognitive, i cosiddetti disabili,
possano accostarsi al bello. Abbiamo
la fortuna di vivere in una cattedrale della natura fatta di montagne,
valli e fiumi, ma da noi la bellezza si
completa della forma più limpida e
preziosa: quella della solidarietà reciproca tra la gente, nata dalla fatica
condivisa del vivere in montagna.
Risvegliare il desiderio di aiutarsi è il
modo più bello per vivere la montagna
e per renderla davvero accessibile.
C
osa intendi dire?
Qualcuno avrebbe potuto
suggerire l’uso dell’elicottero per
portare in montagna i disabili, per
dare loro il contentino e tornare a casa
senza fatiche e scocciature e soprattutto senza riflettere tanto.
Nell’idea di montagna che abbiamo,
invece, è centrale il percorso che porta
alla meta: la meta è tale solo se la si
raggiunge e non se ci si è. Quindi
l’esperienza più bella che si può fare
in montagna è quella che si fa lungo
il percorso, nell’osservazione di quello
che ci circonda e nella condivisione di
quello che ci emoziona.
Con una guida ben fatta, l’emozione prende forma ancora prima di
partire, ti permette di conoscere lo
svolgimento del percorso e di godere
appieno quello che man mano s’incontra, di organizzarsi autonomamente. Inoltre avere una guida fra le
mani genera interazione e coinvolgimento fra i compagni di viaggio.
Q
uali sono e come funzionano i mezzi non motorizzati con cui un disabile può fare
escursionismo?
Lungo il sentiero Rusca (8 maggio 2016, foto Walter Fumasoni).
Un primo mezzo è la joëlette,
carrozzina monoruota da spingere e
tirare, con la quale si va ovunque si
passi a piedi; l’equipaggio è formato
da tre persone, una davanti che tira
e direziona, uno dietro che spinge
e frena e una terza laterale che
garantisce l’equilibrio e la sicurezza.
Alcune joëlette le abbiamo progettate
e costruite adattandole ai nostri
sentieri e alle persone che via via
accompagniamo: bambini, anziani o
chi mangia tanta polenta.
L’ handbike è una bici che si aziona
con il movimento della mani e con
rapporti e gomme da mtb è possibile
“manolare” anche su strade sterrate in
forte pendenza.
C
ome possono essere resi
accessibili i percorsi in
montagna?
Con
due
semplici
azioni
complementari. La prima contempla
tutte le opere necessarie per rendere
il percorso il più fruibile possibile:
pulizia e manutenzione ordinaria
del tracciato, spiazzi o parcheggi a
inizio percorso e aree sosta per tutti.
La seconda azione comprende gli
strumenti logistici e di accoglienza:
fornitura di carrozzina ai rifugi
di montagna per permettere alla
persona disabile che arriva in joëlette
di scendere, utilizzare i servizi,
pranzare e pernottare; organizzazione
del sistema di accompagnamento
in joëlette con i conduttori che si
mettono a disposizione per i diversi
percorsi; indicazioni sulle guide
escursionistiche pensando anche a chi
cammina con le gambe degli altri.
Estate 2016
C
hi ha partecipato al progetto
per la realizzazione della
guida “Sentiero Rusca”?
Grafica, cartografia e contenuti
della guida, nata da una mia idea,
sono stati realizzati con l’aiuto di
SeTe srl e de Le Montagne Divertenti, che hanno subito abbracciato
il progetto.
Importante è stato anche il
supporto della Comunità Montana
di Sondrio, del Centro Servizi
Volontariato della Provincia di
Sondrio (LAVOPS) e di varie istituzioni ed enti che non sto ad elencare.
C
ome mai il sentiero Rusca è
adatto a tutti? Quali strutture e servizi si trovano?
La Comunità Montana di Sondrio
ha realizzato sul sentiero Rusca le
opere strutturali necessarie alla fruizione accessibile e sono state realizzate aree sosta con giochi. Lungo
il tracciato, alla Torre dei Basci nel
comune di Torre di Santa Maria, è
attivo un servizio di conduzione con
joëlette e volontari. Le pendenze,
i raggi di curvatura, la pavimentazione lungo lo sviluppo del percorso
permettono la fruizione con la joëlette e a tratti anche con carrozzine
motorizzate, passeggini e handbike.
Sono stati realizzati dei comodi
parcheggi in prossimità dei tratti
significativi dell’itinerario proprio
per dare la possibilità di scegliere il
pezzo più idoneo a ciascuno. Sono
state previste numerose aree sosta,
di cui quella di Tornadù e dei Basci
accessibili, dotate quindi di camminamenti fruibili, tavoli in cui una
carrozzina riesce ad infilarsi e giochi
LE MONTAGNE DIVERTENTI per tutti. Questa sinergia tra persone
ed enti ha reso il sentiero Rusca
accessibile.
C
os’è l’Associazione Tecnici
Senza Barriere Onlus e quali
attività svolge?
Abbiamo cominciato la nostra
attività di volontariato girando le
case di famiglie di persone che a un
certo punto della loro vita hanno
dovuto fare i conti con una limitazione fisica, cognitiva o sensoriale, con l’intenzione di mettere a
disposizione di chiunque ne avesse
bisogno quello che sappiamo fare. Ci
occupiamo di tutto ciò che serve a
rendere di nuovo fruibile, accessibile
e accogliente una casa, un ambiente
urbano e così migliorare la qualità
della vita di tutti. Oggi aiutiamo
centinaia di famiglie mantenendo
saldi i principi di gratuità e portando
concretezza.
C
i sono altre iniziative
legate all’accessibilità delle
montagne della Provincia di
Sondrio?
Dalla volontà di replicare questa
esperienza sui vari itinerari della
Valtellina, abbiamo ideato il progetto
“Tuttidappertutto” che coinvolge
il mondo del volontariato locale.
Stiamo lavorando in Valchiavenna
per il percorso “Sui passi di Don
Guanella”, che vorremmo rendere
fruibile a tutti con alcune azioni
strutturali e completando la guida
esistente con le indicazioni sull’accessibilità. Lungo il sentiero ippociclopedonale che da Albosaggia porta
a Campei con la Fondazione Albo-
saggia abbiamo realizzato due aree
sosta accessibili. In collaborazione
con l’Ecomuseo della Valgerola, nei
boschi sopra l’abitato di Gerola Alta
abbiamo creato un percorso multisensoriale della lunghezza di un
chilometro e altri due itinerari, uno
geologico e uno botanico, antistanti
la Casa del Tempo..
C
osa deve fare una persona
che, leggendo questo articolo, voglia provare l’esperienza
di una gita in montagna con la
joëlette?
Seguendo le indicazioni della guida
è possibile organizzare l’escursione
in due modi: in autonomia con
joëlette propria o fornita sul posto,
prenotando le strutture ricettive,
organizzando il rientro con mezzi
propri o pubblici; oppure affidandosi
al gruppo di volontari attivo sul
percorso che penserà a tutto.
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Montagne per tutti
33
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di corsa si prende una pausa per il numero estivo dove,
spinti dalle alte temperature, gli itinerari della rivista si
collocano tutti in alta montagna.
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vi segnaliamo che Marco Bonati è stato il primo ad aver
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34
LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2016
I PIÙ VELOCI
fino al
31.05.2016 ?
PERCORSO
LUNGHEZZA
DISLIVELLO
MIGLIOR PRESTAZIONE
TEMPO
Anello della Cólmen di Dazio
Giro del lago di Mezzòla
Il km verticale di Villa di Tirano
Montagna - Spriana
17,8 km
25,3 km
3,3 km
18,4 km
800 m
440 m
1014 m
740 m
Giovanni Tacchini
Graziano Zugnoni
Enrico Benedetti
Enrico Benedetti
1h 28’ 52”
2h 04’ 03”
43’ 20”
1h 19’ 30”
LE MONTAGNE DIVERTENTI Percorsi di corsa
35
Alpinismo
P
Val Bondasca
izzo Cengalo (m 3369)
sperone NO - via Gaiser Lehmann
Dopo aver percorso qualche giorno prima la via Cassin sulla NE del Badile, restandone
un po’ deluso per il troppo affollamento e forse per le eccessive aspettative, decido di
andare con Pietro alla ricerca di un itinerario più selvaggio e isolato, dove ci si possa, anzi
ci si debba, sentire in piena armonia con la montagna e non solo parte della carovana di
rocciatori a caccia di un trofeo.
La scelta cade sul pilastro NO del Cengalo e in particolare sulla Gaiser-Lehmann, via coeva
alla Cassin, ma decisamente meno ripetuta e famosa e con caratteristiche più spiccatamente
alpinistiche.
Introduzione Beno, racconto Pietro Pellegrini
36
LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2016
LE MONTAGNE DIVERTENTI Il campanile di Soglio e le cime della val Bondasca. Da sx le Sciore, i pizzi Gemelli, il pizzo
Cengalo con in evidenza, tra luce ed ombra, il pilastro NO e, all’estrema dx, il pizzo Badile
(20 agosto 2013, foto Roberto Moiola).
Pizzo Cengalo (m 3369) - via Gaiser-Lehmann
37
Alpinismo
Valchiavenna
Cima della Bondasca
(3289)
Pioda di Sciora
(3238)
Sciora di Fuori
(3169)
Ago di Sciora
(3205)
Pizzo Cengalo
(3369)
Pizzo Badile
(3305)
Pizzi Gemelli
(3225-3262)
Sciora di Dentro
(3275)
Punta Sant'Anna
(3171)
Punta Torelli
(3137)
Colle del Cengalo
(3046)
nd
asc
a
Pizzo Trubinasca
(2918)
Ve d
ta
ret
de
a
ll
Bo
Ve d r e
t ta d e
l l a Tr u b
inasca
Capanna Sciora
(2120)
a
ub
Tr
a
in
sc
a
Lera d’Sura
(1894)
Va
l
lo
ne
de
ll
Capanna Sasc Furä
(1904)
38
LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2016
LE MONTAGNE DIVERTENTI La val Bondasca e i suoi colossi di granito visti
Pizzo Cengalo (m dalla
3369)vetta
- viadel
Gaiser-Lehmann
39 i
Galleggione. Sono riportati
toponimi italiani (30 giugno 2014, foto Beno).
Alpinismo
Val Bondasca
Mi avevano raccontato che la
Gaiser-Lehmann al Cengalo è un
vero e proprio viaggio su una parete
di dimensioni colossali, circondata da
montagne severe e verticali. Un’avventura la cui unica via d’uscita è in
vetta, per cui portiamo una sola corda
da 60 metri, da un lato per risparmiar
peso, dall’altro perché non prevediamo la possibilità di battere in ritirata in corda doppia.
Il 21 agosto, quando guardavo il
pilastro NO del Cengalo dal pizzo
Badile, era del tutto spoglio di
cordate: di rado qualcuno si spinge da
quelle parti, quindi la cupa muraglia
di granito, la più alta parete delle Alpi
Retiche (1300 m), resta avvolta nella
sua remota solitudine. A chi ha osservato lo sperone NO del Cengalo con
attenzione, non sarà certo sfuggito
l’aspetto compatto e all’apparenza
inattaccabile, specialmente nella liscia
parte superiore, dove si trovano molti
tratti di arrampicata in aderenza difficilmente proteggibili, che richiedono
di entrare in totale sintonia con la
roccia e la montagna.
Trovata una finestra di bel tempo,
mi organizzo alla svelta per condiviBELLEZZA
FATICA
PERICOLOSITÀ
Verso la capanna Sasc Furä (20 agosto 2013, foto Beno).
dere la corda e un fantastico bivacco
all’addiaccio ai piedi della parete con
Pietro Pellegrini, amico e ottimo
compagno di avventure, persona in
grado di dare sempre il meglio di sé
nei momenti di difficoltà e che perciò
mi infonde sicurezza.
Il periodo che abbiamo scelto,
l’inizio di settembre, non è dei
migliori, perché le giornate sono già
Partenza: strada della val Bondasca (m 1252).
Itinerario automobilistico: da Chiavenna si
prende la SS 37 in direzione di St. Moritz. Superata
Villa di Chiavenna vi è la dogana (10 km) e si entra
in territorio svizzero. Altri 3 km e si esce sulla dx per
raggiungere Bondo da cui si seguono le indicazioni
per la val Bondasca. La strada che sale nella valle è a
pagamento (10 euro - distributore automatico), ma
consente un buon risparmio di dislivello e di tempo.
Si lascia l’auto in uno dei parcheggi appena oltre lo
sbocco del vallun da la Trubinasca: qui un ponticello
che porta sulla sx idrografica del torrente Bondasca
segna l’inizio del sentiero per il rifugio Sasc Furä (molti
proseguono a piedi in dx idrografica fino a Laret, ma
ritengo l’opzione - equivalente in termini di tempo meno interessante).
Itinerario sintetico: strada della val Bondasca
(m 1252) - capanna Sasc Furä (m 1904) - ghiacciaio
del Cengalo (bivacco) - salita per lo sperone NO pizzo Cengalo (m 3369) - discesa per la via normale
(SO) - capanna Gianetti (m 2535) - Bagni di Màsino
(m 1172).
Tempo
previsto: 3 ore dall’auto ai piedi del
ghiacciaio del Cengalo (bivacco) + 8-12 ore per la
vetta del Cengalo attraverso la via Gaiser-Lehmann +
2:15 ore per la discesa alla Gianetti + 2:15 ore per la
discesa ai Bagni di Màsino.
Attrezzatura richiesta: 1 corda da 60 metri,
cordini, casco, moschettoni, discensore, imbraco,
serie di nut (molto utili) e friend fino al 3, scarpe da
40
LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2016
LE MONTAGNE DIVERTENTI piuttosto corte e il ghiacciaio a N è
tutto inciso da una fitta ragnatela di
crepacci, talvolta non valicabili.
Di questi nostri due giorni nel
regno del granito vi propongo il bel
racconto che ha scritto Pietro.
31 AGOSTO 2013
Saliamo sabato pomeriggio in val
Bregaglia con l’intenzione di raggiun-
roccia, 5-6 chiodi e martello (altrimenti preventivare
di non proteggersi lungo le placche). Scarponi,
ramponi e picca indispensabili per arrivare all’attacco.
Difficoltà/dislivello: 5,5 su 6 / oltre 2000
metri di cui 1100 di parete.
Dettagli: TD+, vari tiri di V+ e V. Arrampicata
estremamente varia. Si dice 26 lunghezze di corda in
parete; noi ne abbiamo contate circa 20, ma abbiamo
fatto tiri da 60 m e tratti in conserva lunga. Ci sono
lunghezze difficilmente proteggibili, pochi chiodi
in via (e molti fuori via!) e soste non sempre sicure.
Il tracciato non è semplice da individuare, la roccia
non è sempre sicura, specialmente nella parte bassa.
Questi fattori, uniti all’avvicinamento problematico
a causa della ragnatela di crepacci del ghacciaio,
rendono la Gaiser-Lehmann più impegnativa di vie
come la Cassin al Badile, che pur presenta passi su
roccia di grado superiore.
Discesa: dalla via normale fino in Gianetti
(alpinistica f+). Infine sentiero fino ai Bagni di Màsino.
Mappe:
- Kompass n. 92 - Val Chiavenna - Val Bregaglia,
1:50000
- Valmasino. Carta Escursionistica, 1:30000
- CNS. foglio 1276 - Val Bregaglia, 1:25000
Guide: Mario Sertori, Solo granito. MàsinoBregaglia-Disgrazia vol.2, ed. Versante Sud, Milano
2015. La relazione deve essere solo uno spunto per
la salita, essendo impossibile dare una descrizione
esaustiva del tracciato tiro per tiro.
Pizzo Cengalo (m 3369) - via Gaiser-Lehmann
41
Alpinismo
Val Bondasca
La Gaiser-Lehmann vista dal punto in cui il sentiero del Viale scavalca la cresta N del Badile e si abbassa nella valle del Cengalo. Anche se dalla foto
non si direbbe, la via supera ben 1100 metri di parete (31 agosto 2013, foto Beno).
Il nostro bivacco a circa m 2200 ai piedi del Vadrec dal Cengal
(31 agosto 2013, foto Pietro Pellegrini).
Il ramponi e gli “scarponi da tennis” scelti da Pietro non trasmettono
alcuna sicurezza (31 agosto 2013, foto Pietro Pellegrini).
gere entro sera un punto di bivacco
nei pressi del ghiacciaio del Cengalo
ai piedi della parete NO. L’atmosfera è rallegrata dagli amici che ci
accompagnano.
Beno vuole mostrare a Gioia, a
sua sorella e agli amici i versanti
settentrionali di Cengalo e Badile, la
capanna Sasc Furä e la pietraia lunare
ai piedi dello spigolo N del Badile (La
Plota) dove ha bivaccato pochi giorni
prima per attaccare la Cassin, oltre
che approfittare della loro cortesia per
farci riportare l’auto in Italia, dato che
noi domani scenderemo dal versante
opposto del Cengalo.
Lasciata l’auto lungo la strada della
val Bondasca in uno dei parcheggi
a bordo carreggiata (m 1252) che
precedono Laret, subito attraversiamo il torrente su un ponticello,
per risalire, paralleli all’asse della
valle, i prati cosparsi di baite di Lera.
Presso Lombardui intercettiamo
il sentiero che proviene da Laret e
pieghiamo bruscamente a S (dx) verso
la montagna. Entriamo nel fitto del
bosco e, dapprima tra grandi massi,
iniziamo a prender quota. Le pendenze
sono severe e mai diminuiscono;
scalette, gradoni e catene aiutano nei
punti più difficoltosi. Poi gli alberi si
fanno più radi, lasciando spazio alla
radura dove sorge la capanna Sasc
Furä (m 1904, ore 1:45), che ci si
para innanzi all’improvviso senza che
prima l’avessimo scorta dal basso. Il
rifugio sorge su un poggio al limite
superiore del bosco ed è scavato nel
bel mezzo di una grossa roccia, come
evidenzia lo stesso toponimo.
Superiamo il rifugio Sasc Furä e
proseguiamo verso le titaniche pareti
di granito sfiorate dai raggi del sole
del tardo pomeriggio. Alla bocchetta
ci salutiamo: gli amici torneranno a
casa, mentre noi seguiremo “Il Viale”1
ancora per qualche centinaio di metri,
avvicinandoci alla meta. La parete NO
è di fronte a noi, imponente, con le
sue fasce nere nella parte inferiore e la
1 - Il Viale è il sentiero che unisce le capanne Sasc
Furä e Sciora passando ai piedi delle pareti di Cengalo e dei Gemelli. Dopo le poderose frane scese
negli ultimi anni dal Cengalo, che ne hanno modificato l’aspetto del versante NE cancellando anche
alcune vie storiche di salita, il sentiero è stato ufficialmente chiuso per ragioni di sicurezza. Ciò significa che in caso di incidenti i soccorsi costeranno
davvero cari. Ovviamente è sconsigliato anche scalare il versante NE della montagna, mentre il NO
parrebbe non interessato dai crolli.
42
LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2016
LE MONTAGNE DIVERTENTI Pizzo Cengalo
(3369)
II
Colle del Cengalo
(3046)
IV
V+
V
V-
cengia mediana
III
V+
III
IV
Va d r
ec dal Cengal
nostro bivacco
La linea di salita al pilastro NO del Cengalo. Indicate per sommi capi le difficoltà incontrate. (31
agosto 2013, foto Pietro Pellegrini).
sua guglia dorata in quella superiore,
dove c’è una specie di grande occhio
di granito. Strette fessure si incuneano
tra le grandi placche che avvolgono lo
spigolo. La verticalità del pilastro intimorisce; cerco di convincermi che sia
solo una questione di prospettiva.
Gli amici, invece, fanno a gara a
farsi immortalare con la parete. Per
loro che non la devono affrontare, è
semplicemente l’innocuo sfondo di
una fotografia.
Rimasti soli e scavalcato il prolungamento della cresta N del Badile,
scendiamo2 nella valle che ospita
il ghiacciaio indicato su CNS
come Vadrec dal Cengal. Il Viale si
abbassa tra le pietraie (E), mentre
noi saliamo paralleli al ruscello che
sgorga dal ghiacciaio (S), mirando
alla base della lingua che scende a
dx del testone roccioso detto Fort da
Cengal. Scegliamo un comodo posto
di bivacco nei pressi di un grosso
masso a circa m 2200 (ore 1:15),
non distante del torrente.
2 - Tratto attrezzato.
Pizzo Cengalo (m 3369) - via Gaiser-Lehmann
43
Alpinismo
Val Bondasca
Nel labirinto di crepacci del Vadrec dal Cengal (1 settembre 2013, foto
Pietro Pellegrini).
Appena di là dal labbro del ghiacciaio ha inizio la parete. Nei primi
tiri la roccia è sporca e friabile (1 settembre 2013, foto Beno).
Soli non si è mai tra le braccia di
queste pareti di cui non si può ignorare la presenza. Osservo lo spigolo e
la spruzzata di neve che ne ha ricoperto la parte sommitale. Le difficoltà
in quel settore sono finite, se mai ci
arriveremo, ma il pensiero di incontrare neve in via mi preoccupa, dato
che ho portato con me solo un paio
di scarpe da tennis oltre a quelle d’arrampicata. Per giunta il ghiacciaio da
attraversare per raggiungere l’attacco è
molto crepacciato e non so come me
la caverò con i ramponi applicati alle
Nike. In negozio sembrava funzionassero bene ...
Beno non tarda molto a domandarmi dove siano i miei scarponi e,
quando gli illustro il mio pensiero, mi
guarda come a chiedersi se ha di fronte
un genio o un idiota, ma si limita a un
laconico «Se ti fidi ...»
Ogni problema a suo tempo.
Gonfiamo i materassini, stendiamo
i sacchi e consumiamo la cena nella
fresca aria della sera. Abbiamo dei
sacchi a pelo leggeri, questo per rispar-
44
LE MONTAGNE DIVERTENTI Sui diedri della parte centrale della Gaiser-Lehmann. Sopra di noi un
compatto muro di granito (1 settembre 2013, foto Pietro Pellegrini).
Sui verticali e atletici diedri della parte centrale della GaiserLehmann(1 settembre 2013, foto Pietro Pellegrini).
miar peso, dato che ce li dovremo
trascinare fino in vetta. Friend, corda,
fettucce, imbrachi, caschi, piccozze
e ramponi dondolano assicurati a
una fessura del masso che ci riparerà dall’aria gelida che cala dalle
montagne. La luce del sole sfuma sulle
guglie delle Sciore e lascia spazio a un
manipolo di stelle che lente ruotano
nel cielo e ci augurano la buona notte.
La scura parete NO del Cengalo veglia
su di noi.
1 SETTEMBRE 2013
La sveglia suona alle 5. Cerco di
rubare qualche minuto di sonno
limando sui tempi della colazione.
Legati ci incamminiamo alla luce
delle pile frontali alla ricerca di un
passaggio per raggiungere la base
della parete NO del Cengalo. Dopo
un ampio arco lambendo la NE del
Badile (troppi crepacci impediscono
una linea diretta), cerchiamo di riavvicinarci al Cengalo, ma la scelta di stare
alti sembra infrangersi nel dedalo di
crepacci che si apre attorno noi: crepe
molto ampie corrono in tutte le direzioni e formano una specie di ragnatela entro cui emergono alcune isole
nevose.
Rischiara.
Dopo vari ponti e blocchi di
ghiaccio, Beno si avvicina al bordo di
un crepaccio che non può essere aggirato in alcun modo e si volta verso di
me: «Non si passa, bisogna saltare.»
Chiedo una stima del volo da affrontare: «3 metri!»
Alzo le spalle: «Saltiamo!».
La situazione mi ricorda il salto
della breccia sulla cresta N del Coca3,
questa volta a ruoli invertiti e senza
fotografo a immortalare la scena.
Lascio qualche metro di corda al mio
compagno e faccio sicura piantando
picca e ramponi come unghie nella
neve. Scavalcato il crepaccio indietro
non si torna, dato che saltare in salita
un simile ostacolo sarebbe da primato
olimpico.
Siamo di là: la nostra avventura ora
3 - Pietro Pellegrini, Traversata del pizzo di Coca,
LMD n.26 - Autunno 2013, pp. 26-39.
Estate 2016
Iniziano le grandi placconate, difficili da proteggere e da interpretare
(1 settembre 2013, foto Pietro Pellegrini).
potrà concludersi solo in vetta. Per
mettere le mani sulla parete di roccia,
qualche decina di metri più in basso
e a sx del grosso canalone che precipita dalla cresta SO, ci rimane però
ancora da superare il pericoloso labbro
a sbalzo del ghiacciaio. Scavalcato un
cumulo di blocchi, segno di un crollo
recente, ci immergiamo in un colatoio verticale, che ci consente, con una
spaccata, di approdare su una cengia
rocciosa. Pochi passi coi ramponi
che stridono sulle placche foderate
di sabbia e troviamo finalmente un
pianerottolo per metterci in assetto da
roccia e così iniziare la via.
L’approccio è abbastanza traumatico
per la roccia umida e sporca di detrito.
Le mani e i piedi sono intorpiditi dal
freddo mentre realizziamo quanto sia
immensa la parete e quanto sia difficile individuare la via corretta da
seguire. Lo sporadico imbatterci in un
chiodo non ci dà conforto, in quanto
potrebbe essere testimonianza di uno
dei tanti tentativi finiti fuori via. Le
prime lunghezze ci portano a superare
LE MONTAGNE DIVERTENTI Sotto di noi un baratro di oltre 800 metri e davanti a noi una lavagna
di granito (1 settembre 2013, foto Beno).
il freddo zoccolo basale (IV, 3 tiri da
60 m) piegando leggermente sulla dx.
Un intermezzo più facile ci consente
di riprendere la linea di spigolo e di
sbloccare la lenta progressione facendo
un buon tratto in conserva. Le cordate
impegnate sullo spigolo del Badile
sono già più alte di noi e si godono il
calore del sole.
Consultiamo le relazioni che
abbiamo stampato, ma sono inutili e
le mettiamo via per non perder troppo
tempo e per non farci rovinare il gusto
della scalata. Ci affidiamo all’intuito
del mio compagno che, adottando la
strategia di mettersi nei panni di un
pioniere degli anni ‘30, finora non
ha sbagliato. Lascio volentieri a lui il
compito di andare da primo: sono al
tempo stesso ammirato e annichilito
dalla situazione in cui sono immerso.
Affrontiamo una serie di tre diedri ad
elevata verticalità (V+, tenersi a ridosso
dello spigolo), un susseguirsi di fessure
e lame sporgenti dall’interpretazione
non immediata. Perlomeno si riesce a
proteggere bene.
Segue un tiro semplice (III), che ci
permette una sosta con merenda su un
terrazzo/cengia posto all’incirca a metà
via. Una grossa lama staccata contraddistingue questo punto.
La parete acquista compattezza.
Lo spigolo arrotondato è un’unica
immensa placca con poche fessure a
spezzarne la continuità. L’arrampicata
è di aderenza (circa 7 tiri, max V+),
diminuiscono gli appigli e aumentano
i metri che separano il mio compagno
dall’ultima protezione. Sale concentrato, all’apparenza non condizionato dalla situazione di potenziale
pericolo a cui si espone. Lo osservo
dal basso nelle lunghe attese in sosta
e capisco solo quando è il mio turno
che certi rallentamenti erano dovuti a
passaggi impegnativi. Lo raggiungo in
soste attrezzate su chiodi d’epoca che
ballano come i denti di una vecchia
strega, rinforzati alla bell’e meglio.
Il sole sembra spostarsi nel cielo
più in fretta di quanto noi saliamo
in parete. Chissà come sarebbe se un
temporale o una nevicata ci costrin-
Pizzo Cengalo (m 3369) - via Gaiser-Lehmann
45
Alpinismo
Val Bondasca
anche quest'anno faremo squadra
e saremo al fianco di tante
meritevoli iniziative
n. verde: 800 593 000 - [email protected]
facebook.com/avissondrio
46
LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2016
Nella parte alta della parete, dopo 17 tiri di corda, non si vede ancora
l’uscita (1 settembre 2013, foto Beno).
Non c’è molto da fidarsi delle soste che incontriamo. Chissà quante
lune hanno visto! (1 settembre 2013, foto Pietro Pellegrini).
Poi, finalmente, terminano le ostilità e una facile spalla di roccia e
detrito ci porta in cresta (1 settembre 2013, foto Pietro Pellegrini).
Alle 18, stanchi morti ma molto felici, siamo in vetta al Cengalo
(1 settembre 2013, foto Pietro Pellegrini).
gessero a un bivacco! Beno riparte, gli
do un segnale quando la corda passa
la metà, poi sparisce dalla mia vista. I
due chiodi piantati dai signori Gaiser
e Lehmann, o comunque da loro
contemporanei, non credo reggerebbero la sua caduta dato che non ha
ancora messo alcuna protezione. Mi
devo fidare di lui. La corda è finita e
mi grida di salire. Immagino non sia
ancora arrivato in sosta e sia necessario
fare un tratto in conserva. Smonto la
sosta e parto, avendo cura di mantenere la corda in tensione. Ora anche
lui si sta fidando ciecamente di me.
Quando lo raggiungo resto perplesso
nel vedere che ha attrezzato una sosta
su 2 friend e ha fatto quasi 90 metri
senza mettere niente! Quanto sottile è
oggi la differenza tra la vita e la morte,
quanto sento labile e insignificante la
mia esistenza! Non posso fare a meno
di pensarci quando resto solo. Davvero
è questo che sto cercando?
Dalla sosta un traverso su cengia
verso dx, poi di nuovo un tratto in
LE MONTAGNE DIVERTENTI placca a cui segue una fessura delicatissima e verticale con sosta su cordino
avvolto attorno a una lillipuziana lama
ballerina. Ci troviamo in due appesi a
quell’escrescenza di granito con oltre
1000 metri di vuoto sotto i piedi.
Gli aggancio all’imbraco i ferri che
ho recuperato, mentre lui studia il da
farsi.
Beno riparte traversando sulla sx.
Non si capiscono le difficoltà, ma lo
vedo spedito: significa che l’arrampicata è facile. Dopo poco sento un urlo:
«Ci siamo, è fatta, era l’ultimo tiro!».
È arrivato in cresta. Lo raggiungo
e ci guardiamo in faccia sorridenti,
contenti di essere finalmente fuori
dal tratto tecnico. Togliamo le scarpette, mettiamo la corda nello zaino
e saliamo l’ultimo strappo su quelle
roccette innevate che osservavo ieri.
In breve guadagniamo la cresta SO,
dove lasciamo gli zaini e corriamo fino
in vetta al Cengalo (m 3369, ore 9)
per scrivere qualcosa di sconclusionato
sul libro di vetta e stringerci la mano!
Sono le 18, dalla Gianetti probabilmente ci staranno curando col binocolo, dato che Gioia e Ste dovrebbero
esser lì ad aspettarci col cuore in gola.
Il rientro è per la via normale. Una
lunga discesa tra pietraie avvolte
nella luce del tramonto. Arriviamo al
rifugio Gianetti (m 2534, ore 2:15)
accolti dagli abbracci degli amici e
salutati dal sorriso e dalla gentilezza
del Mimmo, che ci conferma che la
Gaiser-Lehmann solitamente viene
affrontata a inizio stagione, e non
al suo termine quando il ghiaciaio
diventa un labirinto e le giornate brevi.
Ceniamo e raggiungiamo i Bagni
di Màsino (m 1172, ore 2:15) che è
quasi mezzanotte.
Anche se stanco, ripenso a quanto
piena sia stata questa giornata, quanto
preziosa la vita che ho tra le mani,
quanto insignificante sarebbe una vita
senza affrontare le proprie paure. Che
la sete fa apprezzare l’acqua, il buio
fa apprezzare la luce, la solitudine fa
apprezzare l’amore.
Pizzo Cengalo (m 3369) - via Gaiser-Lehmann
47
Val Màsino
Alpinismo
P
izzo Cengalo (m 3369)
via normale - cresta SO
Sulla montagna più alta di val Bondasca e val Porcellizzo
si può giungere anche senza particolari difficoltà
tecniche: basta seguire la via normale che si snoda
sul versante italiano, inaugurata da Douglas
Freshfield, la guida di Chamonix Francois
Dévouassoud e Charles Comyns Tucker il
25 luglio 1866, 150 anni fa.
Beno
La capanna Gianetti e il pizzo Cengalo. Indicata la via normale (23 luglio 2013, foto Roberto Ganassa).
48
LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2016
LE MONTAGNE DIVERTENTI Pizzo Cengalo (m 3369) - via normale
49
Alpinismo
BELLEZZA
FATICA
PERICOLOSITÀ
Val Màsino
Partenza: Bagni di Màsino (m 1172).
Itinerario automobilistico: da Morbegno
seguire la SS 38 verso Sondrio. Appena attraversato
il ponte sul Màsino, svoltare a sx (5 km a E di
Morbegno) e seguire la SP 9 della val Màsino fino al
suo termine: i Bagni del Màsino (2 km oltre l'abitato
di San Martino). Poco prima dell'impianto termale vi
è sulla sx uno spiazzo sterrato in cui si può lasciare
l'auto.
Itinerario
sintetico:
Bagni di Màsino
(m 1172) - Corte Vecchia (m 1405) - casera
Porcellizzo (m 1899) - rifugio Gianetti (m 2534) pizzo Cengalo (m 3369).
Tempo di salita: 7 ore.
Attrezzatura richiesta: scarponi, un pezzo
di corda e imbraco. Ramponi e piccozza sono
indispensabili con neve residua sulla via o nel canale
che porta in cresta (informarsi al rifugio Gianetti 0342/645161).
Difficoltà/dislivello
circa 2200 m.
Dettagli: alpinistica f+. Passi su roccia fino al II
grado. Non si tratta di un’ascensione difficile, ma
non va assolutamente sottovalutata in caso di neve
residua.
Mappe:
- Val Màsino - carta escursionistica, 1:30000;
- CNS n.268 e n.278, 1:50000;
- Kompass n.92, Valchiavenna e Val Bregaglia,
1:50000.
Bagni di Màsino (7 giugno 2014, foto Roberto Ganassa).
D
al complesso termale dalle
altalenanti fortune dei Bagni
di Màsino, una stradicciola sterrata si spinge verso O rimanendo in
sx idrografica, finché una abbondante segnaletica, che fornisce anche
le tempistiche divise per preparazione atletica, indica (dx) l’inizio
del sentiero per la Gianetti. Questo
attraversa una radura in direzione
NO e, appena si immerge nel bosco,
ha per un tratto il fondo selciato.
Senza sconti di pendenza, ci issiamo
sul versante orientale della valle dei
Bagni.
Con una serie di risvolte nel fitto
degli abeti guadagniamo l’accesso
sospeso della val Porcellizzo in corrispondenza del pianoro erboso che
ospita le diroccate baite dell’alpe
Corte Vecchia (m 1405 m, ore 0:45).
Un tratto in piano ci riporta nel
bosco e subito ecco le “Termopili”,
50
LE MONTAGNE DIVERTENTI in salita: 3+ su 6 /
due enormi massi granitici, l’un l’altro
molto vicini, attraverso cui si passa
stretti in una sorta di buia grotta. Con
la vegetazione che si fa via via più rada
e con la pendenza che va a crescere,
il sentiero prosegue faticoso alzandosi sul versante orientale della val
Porcellizzo.
A 1700 m la mulattiera piega a N
e, dopo aver guadato il torrente Sione
appena sopra una suggestiva cascata,
torna a ridosso del torrente Porcellizzo. Oltre un corridioio, si apre il
“Pianone”, un grandioso circo d’origine glaciale il cui fondo è un fertile
pascolo. Più avanti, sulla dx, ecco le
baite dell’alpe Zoccone (m 1899,
ore 1:15), spartane ma tutt’oggi
utilizzate dai pastori.
I giganti di granito che chiudono la
valle troneggiano al di sopra del catino
in cui ci troviamo. Il tracciato piega
a sx e, con l’ausilio di ponti e passe-
relle scavalca torrenti e aree impaludate, quindi risale ripido le bastionate
rocciose che delimitano la conca, disegnando numerosi tornanti.
Sormontato il gradino roccioso, il
cammino si fa faticoso, un po’ per la
quota, un po’ per la monotonia del
paesaggio privo di riferimenti che
diano ragione del cammino effettuato. Tra placche rocciose, ruscelletti,
chiazze d’erba e rododendri guadagniamo il rifugio Gianetti (m 2534,
ore 1:45), che appare solo all’ultimo, ai piedi del pizzo Badile e reso
evidente dagli infissi rossi che lo fanno
emergere dal grigiume dello sfondo.
Il rifugio Gianetti, costruito dai CAI
di Milano nei pressi della capanna
Badile, fu inaugurato il 20 luglio
1913. Dopo esser stato incendiato dai
nazifascisti nel 1944, fu ricostruito
nel 1949 e riammodernato nel 1978
e nel 1994. Dedicato a Luigi Gianetti,
che ne fu finanziatore, è affiancato
dal bivacco invernale Attilio Piacco1,
alpinista morto nel 1958 sulla vicina
punta Torelli. È gestito dalla famiglia Fiorelli da tre generazioni, e oggi
Giacomo (Mimmo) ne è il custode.
La capanna offre 93 posti letto.
Dal rifugio prendiamo a dx il
sentiero Roma in direzione del rifugio
Allievi, e dove questo si abbassa per
attraversare sotto ad una placconata spesso bagnata, lo abbandoniamo per risalire il pendio di erba
e sfasciumi sulla sx (N). Guidati da
qualche ometto di pietra entriamo
nel grandioso anfiteatro compreso tra
Cengalo e punta Sertori. Tra pietraie
e modesti campi di neve, residui del
Il Pianone e l’alpe Zoccone (m 1899). Sullo sfondo la testata della val Porcellizzo con, al centro, Badile
e Cengalo (8 giugno 2014, foto Roberto Ganassa).
Pizzo Badile
(3305)
Punta Sertori
(3195)
Pizzo Cengalo
(3369)
Pizzi Gemelli
(3262)
Pizzo del Ferro Occid.
(3267)
La testata della val Porcellizzo e la via normale al Cengalo (28 agosto 2011, foto Roberto Ganassa).
Sotto: il tracciato della via normale al Cengalo (29 maggio 2011, foto Roberto Ganassa).
ghiacciaio del Cengalo, passiamo
ai piedi della parete E della punta
Sertori, e puntiamo al canale più a
sx tra quelli che portano sulla cresta
SO. Una corda fissa2 ci aiuta a superare la prima placconata (II, 15 m),
quindi insistiamo nel canale di roccia
e sfasciumi fino al colle del Cengalo
(m 3046), massima depressione della
cresta SO della montagna. Passati
sul lato svizzero (impressionante è lo
scorcio sul Badile), seguiamo la traccia
che ci porta verso un primo risalto, la
cui cima (m 3096) viene aggirata da
N grazie a un traverso attrezzato con
catene. Segue uno stretto intaglio
oltre il quale ci portiamo sulla faccia
meridionale della successiva prominenza (m 3193), che aggiriamo grazie
a una cengia (ometti). Ci abbassiamo
di qualche metro e traversiamo verso
E sul lato italiano. Una paretina
coperta da rottami ci accompagna
sulla groppa finale, un tempo nevosa
e ora ridotta a un ammasso di blocchi.
Qui si deve assolutamente evitare
di sporgersi verso la val Bondasca,
perché spesso vi sono instabili cornici
di neve a sbalzo sulla più alta parete
delle Alpi Retiche!
Quando la pendenza scema, manca
davvero poco alla croce di vetta del
pizzo Cengalo (m 3369, ore 3:30).
2 - Qui cadono spesso massi che potrebbero aver
tagliato o rovinato la fune, per cui si consiglia di
verificarne le condizioni prima di affidarsi esclusivamente ad essa.
Pizzo Cengalo
(3369)
Anticima orientale del Cengalo
(3307)
3193
3096
Colle del Cengalo
(3046)
1 - Si tratta della vecchia capanna Badile, costruita
nel 1887 e restaurata nel 1960.
Estate 2016
LE MONTAGNE DIVERTENTI Pizzo Cengalo (m 3369) - via normale
51
Alpi Orobie
Alpinismo
T
raversata in cresta dalla Pesciöla
passando per la cima della Foppa
Faremo una traversata grandiosa, che ripercorre le gesta di alpinisti come Alfredo Corti,
Augusto Bonola, Bruno Melazzini, Attilio Gualzetti e Giuseppe Foianini. Siamo nella
selvaggia val d’Arigna, al confine con la valtellinese val Malgina prima e la bergamasca val
Morta poi. Il nostro itinerario abbraccia l’intero circo del Vag - dal pizzo di Faila al pizzo
del Drùet. Alpinisticamente spiccano due tratti spettacolari: la cresta N della cima della
Foppa e la traversata da quest’ultima alla cima Occidentale di Cagamei. Sono ingaggi per
stomaci forti in quanto alle difficoltà su roccia (che arrivano al V grado), si sommano
tratti affilatissimi e friabili che richiedono estrema dimestichezza con i famigerati scisti
orobici.
Beno
(m 2168) al pizzo del Drùet (m 2868),
(m 2851) e i Cagamei (m 2913)
Pizzo Occ. di Cagamei
(2913)
Cima SE del Vag
(2866)
Cima della Foppa
(2851)
Cima della Pesciöla
(2168)
Pizzo di Faila
(2490)
Foppe
Campei
ag
Bocchetta di Faila
(2451)
Gh
52
LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2016
c
iac
iai
o
de
LE MONTAGNE DIVERTENTI l
V
La lunga cresta dalla Pesciöla alla cima del Drùet vista
dalla cima del Drùet (27 ottobre 2014, foto Beno).
Traversata Pesciöla - Drùet
53
Alpinismo
Alpi Orobie
Pizzo Occ. di Cagamei
(2913)
Pizzo del Drùet
Cima della Foppa
(2868)
(2851)
de
lV
ag
Punta della Pesciöla
(2344)
Va
llo
ne
Va
llo
ne
Cima della Pesciöla
(2168)
de
lle
Fa
sce
re
Pizzo di Faila
(2490)
Alpe Pesciöla
Alpe Drùet
Campei
L’orografica dx della val d’Arigna e il tracciato della gita descritta in questo articolo (20 maggio 2016, foto Beno).
Sotto: a sx Foppe (17 giugno 2015, foto Roberto Ganassa) e a dx l’alpe Pescöla, a dx (7 ottobre 2015, foto Roberto Ganassa).
BELLEZZA
FATICA
PERICOLOSITÀ
Partenza: centrale di Armisa in località ca Pizzini
(m 1041).
Itinerario automobilistico: da Sondrio si
prende la SS38 in direzione Tirano. Appena prima
di Chiuro, in località Casacce (5 km dalla fine della
tangenziale di Sondrio), si esce a dx in direzione
di Arigna/Briotti. Si attraversa l’Adda e si segue la
strada comunale per Arigna/Briotti fino in località
Fontaniva (km 14 da Sondrio) dove c’è un trivio
(tornante). Per la strada di mezzo (indicazioni per
la centrale Edison) ci si addentra in val d’Arigna per
un paio di chilometri fino alla centrale di Armisa,
sopra la quale si trova un parcheggio con bacheca
del Parco delle Orobie Valtellinesi.
Itinerario
sintetico:
centrale di Armisa
(m 1041) - Foppe (m 1360) - Campei
(m 1647) - alpe Pesciöla (m 1996) - cima della
Pesciöla (m 2168) - bocchetta di Faila (m 2451) cima della Foppa (m 2851) per la cresta N - cima
Occidentale di Cagamei (m 2913) - bocchetta del
V
i porteremo con noi in
un’avventura sulla sponda
orientale della valle di Arigna che
culmina sulla cima Occidentale dei
Cagamei (m 2913). La vetta sorge
nel punto d’incontro tra le valtel-
54
LE MONTAGNE DIVERTENTI Vag (m 2780) - pizzo del Drùet (m 2868) - passo
del Drùet (m 2756) - alpe Drùet (m 1795) - Foppe
(m 1360) - centrale di Armisa (m 1041).
Tempo previsto: 14 ore per l’intero giro.
Attrezzatura richiesta: corda (30 m), casco,
imbraco, qualche protezione
fettucce, ramponi e piccozza.
veloce,
cordini,
Difficoltà/dislivello: 5- su 6 / oltre 2300 m.
Dettagli: D. Itinerario molto lungo su creste a
tratti esposte e friabili. Occorre molta dimestichezza
con questo tipo di terreni. Un paio, seppur brevi,
passi di V. Tratti più impegnativi: la seconda torre
sulla cresta N della cima della Foppa e la traversata
della seconda elevazione che c’è tra Foppa e
Cagamei. Nella nostra gita di fine ottobre abbiamo
trovato in qualche punto le rocce gelate e il freddo
non ci ha certo aiutato nella progressione.
Mappe: Kompass n.104 - Foppolo Valle Seriana,
1:50000.
linesi val d’Arigna e val Malgina
con la bergamasca val Morta. Dalla
sommità prendono vita tre creste,
tutte piuttosto impegnative. Trascurando quella che si dirige con un
tratto terrificante verso il Diavolo
di Malgina (E), ci dedicheremo alle
altre due (NNO e O), concatenando
itinerari storici, come quelli che si
affrontano sulla dorsale NNO che,
dopo aver originato la massiccia
cima della Foppa (m 2851) digrada,
Estate 2016
per usare le parole di Alfredo Corti1,
con torri pittoresche verso il pizzo di
Faila e i dolci boschi della Pesciöla.
1 - Silvio Saglio, Alfredo Corti, Bruno Credaro,
Guida dei monti d'Italia. Alpi Orobie, CAI-TCI,
Milano 1956
LE MONTAGNE DIVERTENTI Questo spigolo fu vinto il 19 agosto
1934 da Bruno Melazzini, Attilio
Gualzetti e Giuseppe Foianini, ed
è uno dei più interessanti itinerari
alpinistici della zona, oltre che il
nostro primo obbiettivo di giornata.
27 OTTOBRE 2014
inalmente si è chiusa la stagione
delle gare e, con le gambe ancora
“ghisate” dalla discesa del Trofeo
Vanoni, inizio a camminare nella
penombra assieme al Caspoc’. Dalla
F
Traversata Pesciöla - Drùet
55
Alpinismo
Alpi Orobie
Pizzo Occ. di Cagamei
(2913)
Cima della Foppa
(2851)
Cima SE del Vag
(m 2866)
Cima NO del Vag
Pizzo del Drùet
(2868)
III torre
Passo del Drùet
(2756)
II torre
de
ll
eF
as
ce
re
I torre
centrale di Armisa raggiungiamo per
strada le baite delle Foppe, sparse tra i
pascoli appena al di sopra del bivio per
i Forni. Il cielo è grigio.
Presa la pista che sale a E, poco prima
delle due baite di Campei (m 1647,
capolinea della strada), imbocchiamo
sulla sx (cartello in legno) il sentiero
bollato per Pesciöla. Guadagniamo
quota in una fitta abetaia per uscirne
non lontano dalla simpatica conca
pascoliva dell’alpe Pesciöla (m 1996,
ore 2:30), dov'è il rifugio omonimo2.
Il terreno è brinato e i sassi sono
ghiacciati e scivolosi.
Proseguiamo verso S in una specie
di valletta a ridosso della dorsale che
separa val Malgina e val d'Arigna,
emergendo finalmente dal lago di
nebbia a circa m 2050. Il cielo è ora
terso, il panorama amplissimo.
Per una sponda d’erba e sassi
rimontiamo lo spartiacque con la val
Malgina e facendo qualche metro
verso N (sx) siamo sull’erbosa cima
della Pesciöla, inconfondibile col suo
laghetto di vetta.
Giriamo di nuovo il timone di
180° e galoppando verso S tocchiamo
una serie di elevazioni erbose3 che ci
2 - Il rifugio Baita Pesciola è stato ricavato nel 1997
dall’omonima baita. È gestito dal CAI di Ponte in
Valtellina.
Sempre chiuso, offre cucina e 20 letti. Per avere le
chiavi si deve contattare il responsabile Ivan Simonini (340/5638511).
3 - Tra di esse vi è la rocciosa quota m 2344, non
nominata sulle carte, ma da qualcuno chiamata
pizzo di Pesciöla. Il 18 giugno 2014 è stata munita
di una croce metallica che la rende un chiaro punto
di riferimento per gli escursionisti (informazioni
56
LE MONTAGNE DIVERTENTI Va
ll
on
e
Abbracciando il Combolo dalla cima della Pesciöla (27 ottobre 2014, foto Roberto Dioli).
Cima della Foppa, Cagamei e Druet, con segnato l’itinerario descritto in questo articolo, visti dal pizzo di Rodes (20 giugno 2015, foto Roberto Ganassa).
Da sx: il Diavolo di Malgina, la cima di Valmorta, il pizzo Orientale di Cagamei e la cima della Foppa
visti dai pressi del pizzo della Pesciöla (27 ottobre 2014, foto Beno).
portano ai piedi del pizzo di Faila, una
sorta di pilastro d'angolo della cresta.
Non volendo perder tempo per
aggiungere pietrame al suo ometto
di vetta4, scendiamo (sx) per tracce
di sentiero in val Malgina e, tenendoci appena al di sotto dei contrafforti rocciosi della cresta, andiamo a
intercettare un ripidissimo canale, alla
cui uscita si deve anche arrampicare,
che ci porta alla bocchetta di Faila
(m 2451, ore 1:30), sella alla base
della cresta N della cima della Foppa.
fornite da Stefano Famlonga).
4 - Traversare per cresta il pizzo di Faila non offre
difficoltà speciali, pur trattandosi di una faccenda
solo per alpinisti.
Qui si inizia a fare sul serio.
Per rocce ripide (max III), ma piuttosto solide, cercando di aggirare
convenientemente le principali difficoltà dal tiepido versante meridionale,
siamo senza problemi in cima ad una
prima torre.
Gelo e ombra avvolgono l'alta val
Malgina, ma per fortuna non c'è
verglass.
La roccia inizia a farsi meno solida
e scendere al successivo profondo intaglio richiede attenzione.
Ci si para innanzi una repulsiva e
alta parete che par proprio inaccessibile. A dx precipita un canale terrificante che lambisce un'alta muraglia
Estate 2016
Cresta settentrionale della cima della Foppa. A sx: salendo la prima torre. Al centro: la seconda torre vista dalla cima della prima. A dx: in arrampicata
sulla III torre (27 ottobre 2014, foto Beno).
strapiombante, mentre a sx una cengia
obliqua corre sottocresta andandosi ad
infilare chissà dove. La seguiamo per
una ventina di metri, poi, quando la
faccenda si fa troppo gelata, approfittiamo del primo canale-camino sulla
dx per tornare a cavalcare la dorsale. Se
fin qui abbiamo giocato in conserva,
ora ci aspetta un vero tiro di corda.
Non è tanto la difficoltà dell'arramLE MONTAGNE DIVERTENTI picata a preoccuparmi, ma il fatto che
si sgretola tutto. Gli appigli per le mani
si staccano e con cura li devo riporre
su mensole di fortuna affinchè non
cadano e arrivino a tagliare la corda o
il Caspoc’, entrambi indispensabili per
la mia sicurezza.
Gli ultimi 4 metri sono i più ostici,
perchè il camino strapiomba di brutto
(V). Mi si incastra lo zaino mentre
mi affanno con le dita congelate alla
ricerca di una presa sicura. I poggioli
per i piedi traballano. Una lama di
roccia si stacca perchè toccata dallo
zaino, così metto un braccio dietro la
schiena, la recupero e la getto sull'altro
versante, il tutto sospeso su quanto di
più instabile si possa immaginare.
Quindi mi faccio coraggio e con un
colpo di reni esco da quel postaccio.
Traversata Pesciöla - Drùet
57
Alpinismo
Sono di nuovo al sole. Il Caspoc’ mi
raggiunge con sorprendente facilità ancora prima che io sia riuscito a
montare una sosta decente: «Tanto
nemmeno io ti stavo facendo sicura!»
Insistiamo verso l'alto lungo il filo.
Un paio di brecce marce, placche non
troppo inclinate e roccia friabile ci
accompagnano verso un terza torre, a
cui segue uno spuntone, quindi una
groppa meno ostica che ci regala la
cima della Foppa (m 2851, ore 3).
Pranziamo augurandoci nevichi
quanto prima per poter tornare su
questa cima con gli sci. Dal comodo
versante orientale ovviamente, non
certo dalla cresta N!
Ora vogliamo raggiungere il pizzo
Occidentale di Cagamei, dal quale
ci separano due anticime, che per
brevità ho battezzato cima NO del
Vag (m 2850 ca.) e cima SE del Vag
(m 2866 su IGM), e altrettante selle.
Per essere più rapidi aggiriamo la cima
NO del Vag e, scendendo per ghiaioni rossastri andiamo alla base della
successiva selletta. Volendo evitare
alcune placche gelate dello spigolo,
ci infiliamo in un camino-diedro
(35 metri, IV+) sul lato N della
seconda elevazione. Fa un freddo cane
e al Caspoc’, che è il capocordata in
questo momento, gelan via le mani. È
sopra di me protetto solo da un paio di
friend malmessi e non sente più le dita.
In qualche modo riesco a raggiungerlo.
Pure le mie estremità sono diventate fredde e insensibili. Non capisco
nemmeno se sto afferrando o meno gli
appigli! Decido perciò di non superare
il successivo tetto, ma di traversare le
esposte placconate sulla dx utilizzando
solo i piedi.
Guadagno così la cresta e presto
siamo in cima.
Alfredo Corti, che nel luglio
1925 con Augusto Bonola compì
per primo la traversata dalla cima
della Foppa al pizzo Occidentale dei
Cagamei, sottolinea quanto siano
delicati alcuni passaggi del tratto di
cresta che ci aspetta.
Infatti una serie di spuntoni aguzzi
ed esposti ci fanno tribolare un po'.
Contorno i primi due sul lato della
val Malgina (sx), quindi scendo da
una breccia per 5 metri verso S. Tocca
al Caspoc’ star davanti e lui si dirige
tosto in cima al dente successivo.
58
LE MONTAGNE DIVERTENTI Alpi Orobie
In vetta alla cima della Foppa (27 ottobre 2014, foto Roberto Dioli).
Nel passaggio più pericoloso della discesa dalla cima SE del Vag che separa la cima della Foppa dai Cagamei (27 ottobre 2014, foto Beno).
La cima SE del Vag vista dalla bocchetta che la separa dal pizzo Occidentale
di Cagamei (27 ottobre 2014, foto Beno).
Cima della Foppa
Cima SE del Vag (2851)
(2866)
Tra gli inquietanti spuntoni della cima SE del Vag. La foto è stata scattata nel punto indicato con un
bollino giallo a pagina 53 (27 ottobre 2014, foto Beno).
Estate 2016
L’itinerario per il pizzo Occidentale di Cagamei visto dalla sella alla base
della sua cresta NNO (27 ottobre 2014, foto Beno).
LE MONTAGNE DIVERTENTI La cima della Foppa e le cime NO e SE del Vag (27 ottobre 2014, foto Beno).
Traversata Pesciöla - Drùet
59
Alpinismo
Alpi Orobie
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60
LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2016
Scenario terrificante: siamo all'inizio
di un'affilatissima e marcissima lama
discendente.
Balla tutto e anche ciò che balla
meno suona vuoto. Siamo in bilico
tra altissimi precipizi. Faccio girare la
corda attorno a qualche prominenza
della roccia, ma, per rubare un espressione al grande Fabio Meraldi, gli sto
facendo “ombra con la corda”, cioè la
mia è solo una assicurazione virtuale.
Attimi di apprensione, poi la difficoltà è superata (5 m, III+). Tocca a
me e lui mi assicura dal basso (!?) ma,
sapendo che la corda non è inamidata,
mi intima di non volare!
Ed ecco un'altra lama, questa volta
un po' più solida.
Poi torna tutto semplice fino alla
depressione alla base della cresta NNO
del pizzo Occidentale di Cagamei.
Levati corda e imbrachi, dopo un
bizzarro crepaccio nella roccia e alcuni
metri di arrampicata in un diedro
friabile sul lato N, prendiamo facilmente quota sulla groppa e tocchiamo
facilmente il pizzo Occidentale di
Cagamei (m 2913, ore 2:30).
Sono le 16:30. Che fare? Tra un'ora
inizia a diventar buio.
Tuttavia vogliamo ammirare di
profilo quanto appena arrampicato.
Il Caspoc’, che l'ha già fatta, dice che
la discesa dal passo del Drùet è banale.
Allora ci lanciamo.
Io sono stanco morto.
Ci portiamo alla bocchetta del Vag,
sopra la quale c'è il "salto del camoscio", una fascia rocciosa di 10 metri
data IV grado.
Superiamo questo ostacolo senza
alcun timore e slegati, tanto da poter
affermare che in precedenza abbiamo
vinto almeno un paio di passi di V.
Appoggiandoci agli sfasciumi sottocresta lato val Morta, siam presto
accanto all'ometto di vetta del pizzo
del Drùet (m 2868, ore 0:45), la cui
ombra frastagliata si protende fino alla
base della cresta che unisce la cima
della Foppa e i Cagamei. La vista è
bellissima, dal Coca alla punta di
Scais, dal pizzo Recastello alla dentatura delle Alpi retiche!
Il lago di nebbia che si era sciolto
nel corso della giornata si sta andando
a ricomporre sulla Valtellina, mentre
sopra la lontana pianura Padana probabilmente è sempre stato compatto e
LE MONTAGNE DIVERTENTI La vetta del pizzo Occidentale di Cagamei da NNO (27 ottobre 2014, foto Beno).
La turrita cresta N della cima della Foppa dal vallone delle Fascere (27 ottobre 2014, foto Beno).
impenetrabile.
Scendiamo una spalla di sfasciumi
fino al passo del Drùet (m 2756).
Le nostre ombre si allungano fino
a squagliarsi nella tenue luce del
tramonto.
Giù a dx per altri rottami e un canalone che si getta sul ghiacciaio delle
Fascere. 100 metri sopra la vedretta,
usciamo sulla dx per evitare il salto
basale del colatoio.
Il tepore del sole si spegne e la val
d’Arigna è dipinta solo dai freddi
colori dell’ora blu.
Altra ganda, gelata e scivolosa,
ci accompagna sul ghiacciaio delle
Fascere. Ramponi su, poi ramponi via
nello zaino e, lungo il gelato cordolo
della morena, ci immettiamo nel
vallone del Vag.
L’aria pungente e malinconica della
notte ci ricoda che un’altra fantastica
avventura assieme si sta per concludere, così fantastichiamo su come
sarebbe bello avere pane e salame, un
thermos di tè caldo e due sacchi a pelo
per poterci fermare quassù a cena e
addormentarci contando le stelle che
iniziano a punteggiare il cielo.
Capita spesso di non voler più scendere dalle montagne e perciò indugiare, ma questa sera, dato che da
bravo pirla non ho portato il frontalino e inizierò presto a inciampare
contro ogni ostacolo, ci diamo una
mossa.
In alto a NE si disegna contro il
cielo plumbeo il dentellato profilo
della cresta N della cima della Foppa,
davvero spaventoso.
La stanchezza mi piega le gambe a
ogni passo.
All'alpe Drùet (m 1795) è notte
fonda.
Inizio a inciampare. Maledizione!
Brancolando nel buio con un frontalino e un telefonino con una luce
fioca, tutti e due del Caspoc che è più
assennato di me, seguiamo il sentiero
verso N. Ritrovata la carrozzabile per
le Foppe, divalliamo alla centrale di
Armisa (m 1041, ore 3:30).
Traversata Pesciöla - Drùet
61
Alpinismo
Valchiavenna
Monte Gruf (m 2936)
la vedetta della val Codera
Da Colico o dal lago di Mezzòla, se si alza lo sguardo verso la val Codera, si è subito attratti
dall’ampia piramide rocciosa che disegna la sovrastante linea dell’orizzonte. Si tratta del
monte Gruf, una delle cime più alte della valle. Dalla sua sommità si gode un panorama
stupendo, che va dal lago di Como alla val Bregaglia, ma nonostante ciò è visitato di
rado, perché 2700 metri di dislivello positivo, di cui 1600 su terreno accidentato, sono
sufficienti a scoraggiare la maggior parte dei pretendenti.
Beno
62
LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2016
LE MONTAGNE DIVERTENTI A dx, l’imbocco della val Codera e il
sovrastante monte Gruf visti dalle rive
del lago di Mezzòla (11 aprile 2011,
foto Roberto
MonteGanassa).
Gruf (m 2936)
63
Alpinismo
Valchiavenna
Sas Becché
(2728)
Cima di Lavina
(2307)
Va
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Bocch. di val Piana
(2690)
Val P
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Pizzo di Prata
(2727)
Monte Gruf
(2936) Monte Conco
(2908)
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La val Codera e l’itinerario per il monte Gruf visti dal pizzo dell’Oro. In giallo la variante che permette di non percorrere per intero il fondo del canyon
(27 giugno 2010, foto Roberto Ganassa).
BELLEZZA
Partenza: Novate Mezzola - frazione Mezzolpiano
(m 316).
Itinerario
FATICA
PERICOLOSITÀ
automobilistico:
dal faraonico
svincolo di Piantedo seguire la SS 36 per Chiavenna.
Si superano Nuova Olonio, Verceia, Campo Mezzola
e, a Novate Mezzola, si imbocca sulla dx, poco dopo
la stazione ferroviaria, la strada (cartelli indicanti la val
Codera) per la frazione Mezzolpiano (m 316), dove
si posteggia l’auto nell’ampio piazzale sterrato allo
sbocco della val Codera (14 km da Piantedo).
Itinerario sintetico:
Novate Mezzola
(Mezzolpiano, m 316) - Avedé (m 790) - Codera
(m 825) - Saline (m 1045) - Bresciadega (m 1214) rifugio Brasca (m 1304) - valle Piana - bocchetta di
val Piana (m 2690) - monte Gruf (m 2936).
Tempo
di percorrenza: 9:30 ore per la salita e
almeno 6:30 ore per la discesa.
Attrezzatura
richiesta:
scarponi
e
abbigliamento di varia grammatura in quanto si
passa dal fondovalle a quasi m 3000. Corda, piccozza
e ramponi servono in caso di neve residua.
Difficoltà/dislivello: 3+ su 6, 2620 m in salita
e sviluppo notevole.
Dettagli: Alpinistica f. Non si incontrano grosse
difficoltà tecniche, ma la val Piana è faticosissima
e costituita da un lunghissimo canale di blocchi
instabili. In caso di neve residua, la cresta E non va
sottovalutata.
Mappe:
- Kompass n.92 - Valchiavenna e Val Bregaglia,
1:50000 (è però molto imprecisa nei toponimi e nei
sentieri);
7
settembre 2013 - Il monte Gruf è forse la vetta più panoramica della val Codera, ben
visibile sia dal lago di Como che da quello di Novate. Chissà che figata deve essere
salirvi a dormire armati di solo sacco a pelo e aspettare prima il tramonto e poi l'alba!
Domani metton bello solo mezza giornata e, se il proverbio “rosso di mattina il brutto
tempo si avvicina” non mi tradisce, presumo che l'alba sarà infuocata e indimenticabile.
C
osì convinco Gioia, soprassedendo sui 2620 metri di dislivello positivo e sulle pietraie da incubo
che foderano la val Piana. «Mi urlerà
un po’ addosso penso tra me e me ma una volta che sarà in vetta e vedrà
il paesaggio tornerà di buon’umore.»
Giusto per scaramanzia, nella
remota ipotesi in cui la perturbazione
arrivasse un po’ in anticipo, acquistiamo strada facendo una tela cerata
64
LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2016
LE MONTAGNE DIVERTENTI da 6 euro dal ferramenta.
Alle 12:30 il Panda giace nel
parcheggio e noi ci incamminiamo da
Novate sul sentiero per la val Codera
(Mezzolpiano, m 316).
Caldo, caldissimo mentre contiamo
i 42 tornanti nel bosco, salutiamo la
vecchia ruspa abbandonata e le casette
di Avedé (m 790). Dopo la scalinata in discesa, le gallerie para massi
e valanghe e uno strappetto, ecco il
cimitero, quindi il paesino di Codera
(m 825, ore 2), con il suo campanile
e, oltre la piazzetta, le tante case addossate le une alle altre. Sullo sfondo, l’inconfondibile sagoma del Gruf che ci
attende.
Fuori dall’abitato inizia la strada,
grazie alla quale con le gip vengono
smistate le merci giunte fin quassù con
la teleferica.
Speriamo che mai venga costruita
Monte Gruf (m 2936)
65
Alpinismo
la strada per Codera, speriamo che
questo paradiso silenzioso rimanga
tale e incontaminato. Speriamo che la
follia dell’uomo non arrivi a realizzare
opere tanto inutili quanto dannose.
Chi sale a Codera lo fa per vedere un
paese senza auto, se queste ci fossero
non salirebbe più.
Diretti a N, percorriamo la lunga
valle ammirando gli inquietanti scorci
sulle selvagge valli tributarie, la cui
soglia sospesa e apparentemente inaccessibile è marcata da alte cascate.
A Saline (m 1045) la val Codera
piega a E. Superata Bresciàdega,
sempre accanto all’ampio letto del
torrente Codera raggiungiamo il
rifugio Brasca (m 1304, ore 1:30).
Lo sviluppo è fatto, ora rimane il
dislivello!
Camminiamo per 5 minuti oltre
il Brasca in direzione del bivacco
Pedroni, finché, sulla sx, si vede lo
sbocco della val Piana. Guadato il
torrente Codera entriamo nel canalone
petroso cinto dagli alberi e iniziamo a
risalirlo. Non serve troppo cammino
per ritrovarsi tra alte e pericolanti
pareti di roccia che fanno sembrare
la val Piana un canyon che di “piano”
non ha proprio nulla. Forse i topografi
gli hanno attribuito questo nome per
celia.
Pietraie, pietraie, desolate pietraie
in questa faglia tettonica riempitasi di
detrito. Gioia si distrae nell’osservare
incantata i colori e le fogge inusuali
dei sassi. Il geologo Sante Ghizzoni,
autore con Guido Mazzoleni del
bellissimo volume Itinerari mineralogici in Val Codera, ci racconterà infatti
sulla via del ritorno, che qui si trovano
minerali endemici quali la yugawaralite. Quello che è un inferno dal
punto di vista escursionistico, è quindi
una mecca per i geologi! La faglia, tra
l’altro, è la stessa da cui si generano le
risorgenze termali del Màsino.
Tra i rottami variopinti e instabili
ogni tanto affiora un po’ d’acqua per
rifocillarci.
Incontriamo alcuni salti di roccia
costituiti da grandi blocchi che sbarrano la strada (passi di II). Quello a
m 2350 ca. è un po’ più rognoso, così
ci affidiamo a una scoscesa rampa di
erba e ghiaia (dx, E), che ci porta sulla
vasta distesa di pietre della val Piana al
di fuori del canyon.
66
LE MONTAGNE DIVERTENTI Valchiavenna
Salendo a Codera. Sullo sfondo il monte Gruf (10 luglio 2010, foto Roberto Ganassa).
Sguardo verso S dalla vetta del monte Gruf (13 aprile 2014, foto Giovanni Rovedatti).
Nell’inquietante, ripido e interminabile canyon della val Piana che supera un dislivello
di ben 1300 metri (25 marzo 2012, foto Beno).
Gli ultimi metri per la vetta del Gruf quando
c’è la neve (25 marzo 2012, foto Andrea Sem).
La nostra scelta è inconsapevolmente
saggia; infatti, più in alto, il solco è
ancora colmo di neve e non sarebbe
stato percorribile senza ramponi1.
La bocchetta di val Piana è ben visibile in alto. Il sole è stato portato via
dalle nebbie che vengono spalmate
sui pendii da un ventaccio umido.
Alle 19:20 siamo alla bocchetta di
val Piana. Inquietante è lo scorcio sul
canale che porta direttamente a
pochi metri dalla vetta (passi di II-),
vinciamo la gara col buio e alle 19:55
siam sul monte Gruf (m 2936, ore 5).
Io sono ancora in mutande per il
caldo, ma ci pensa il vento a farmi
subito vestire. Accanto all’ometto c’è
un piccolo spazio sul ciglio del precipizio che bonifichiamo per stendervi i
materassini. Alle 21 ci corichiamo strigliati dal vento e senza aver goduto di
alcun panorama.
Nei sacchi a pelo si sta bene.
1 - Ho percorso nel 2012 l’intero solco della val
Piana con Andrea. Era marzo e questo era colmo di
neve e raggiungeva pendenze fino a 40°.
tagliente spigolo O del monte Conco.
Prendiamo a sx sulla ganda appena
sotto i contrafforti della cresta NE
del Gruf, finchè, in corrispondenza di
un masso sotto cui vi è una specie di
buco, troviamo il canale che sale sulla
cresta NE del Gruf.
Di tanto in tanto costruiamo degli
ometti di pietra che ci serviranno l’indomani per scendere qualora la visibilità sia scarsa.
Un po’ sullo spigolo, quindi
tagliando per cenge lato S fino al
Estate 2016
LE MONTAGNE DIVERTENTI Pioggia e nebbia alla spaventosa bocchetta di val
Piana (8 settembre 2013, foto Beno).
Gioia ne ha uno da -19°C, io invece
sono in un sacco piuma più essenziale,
ma che fa comunque il suo dovere.
Gioia si accorge di essere sul ciglio
del precipizio solo alle 22, dopo che
le nebbie si sono sciolte e stiamo
cercando la stella polare in un cielo
incredibilmente limpido.
Così facciamo cambio di posto
prima che voli giù di sotto.
A mezzanotte inizia a piovere e ci
nascondiamo sotto la tel cerata. La
affranchiamo con qualche sasso e la
incastriamo alla bell’e meglio sotto i
materassini. Il vento la scuote in continuazione e le gocce d’acqua che ci
battono sopra completano lo stridente
concerto che non ci fa più chiuder
occhio.
Guardo l’orologio ogni mezz’ora.
Smetterà l’acqua, o almeno il vento?
Macché!
Niente foto: ho portato macchina,
obiettivi e cavalletto per niente.
Alle 6, benché la gita fotografica sia
stata un fallimento, mi torna il buonumore: 1 ora e si può iniziare a scendere.
Il lieto pensiero mi fa addormentare, così sono le 8 che ci tiriamo in
piedi e in 3 minuti, con inusuale
rapidità, facciamo gli zaini e scendiamo svelti nella nebbia prima che
il freddo ci immobilizzi gli arti. Gioia
ha lo sguardo di quella che non mi ha
ancora ucciso solo perché le servo per
ritrovare la strada.
Le capre sono a 200 metri da noi,
non hanno freddo, non cercano riparo
e ci dimostrano quanto siano superiori
all’uomo!
La discesa è un calvario un po’ per la
scarsa visibilità, un po’ per i massi che
rotolano spontaneamente o scalzati
dai nostri piedi: a scendere la val Piana
ci vuole quanto a salirla. Per fortuna
ieri abbiamo fatto gli ometti di pietra,
così non perdiamo mai la bussola.
Entriamo al Brasca fradici, stanchi
e affamati: «Abbiamo solo 20 euro esordisco io - riuscite a darci qualcosa
da mangiare?».
«Ma da dove venite?»
«Abbiamo passato la notte in vetta al
Gruf.»
«Eh?? Non preoccupatevi i soldi che
avete saranno sufficienti».
Così i ragazzi che gestiscono il
rifugio ci nutrono a dovere, mentre
il caminetto acceso ci asciuga un po’
i vestiti. Nel tavolo accanto al nostro
vi sono cercatori di funghi e di minerali, tra cui Sante Ghizzoni che ci parla
un po’ della geologia della val Codera,
oltre che della grande frana che ha
coinvolto la valle Piana qualche anno
fa, rendendola di difficile accesso. Ci
racconta che si era pure formato un
lago nel fondovalle.
Siamo di ritorno a Novate sudati e
puzzolenti che sono le 16 passate.
Alla fine è stata una bella avventura,
e, come promesso, indimenticabile!
Monte Gruf (m 2936)
67
V al C odera
la vita d’una volta
Valchiavenna
Sergio Scuffi
Codera negli anni ‘50 (foto archivio Roberto Giardini).
La val Codera è una delle poche zone alpine rimaste senza collegamento stradale
col fondovalle. Ciò ha contribuito a mantenere una forma di isolamento che,
se da un lato ha impedito qualsiasi apprezzabile sviluppo economico, ha però
salvaguardato il mantenimento dell’ambiente naturale e di arcaiche professioni,
legate all’andamento delle stagioni e allo sfruttamento delle risorse del territorio.
ECONOMIA
normi e incredibili muri a secco
testimoniano il costante lavoro
che, di generazione in generazione, ha
impegnato gli abitanti della valle nella
bonifica dei pendii montuosi al fine di
ricavare gli spazi coltivabili dai quali
traevano il proprio sostentamento. Nei
minuscoli campi, ottenuti anche con il
faticoso trasporto della terra, si produceva quanto poteva servire per un’economia di autosussistenza: canapa e
lino per i tessuti, e generi alimentari
quali orzo, segale, granoturco e patate1.
Molto importanti erano i castagneti,
un tempo diffusi e curati, ora quasi
del tutto abbandonati e afflitti da
gravi malattie2. Da una decina di anni,
tuttavia, la castagna è stata rivalutata.
Qui si prepara infatti una particolare
marmellata ricavata dai marroni, la cui
lavorazione vede coinvolti anche turisti
e volontari.
Altra risorsa della val Codera erano
gli alpeggi, frequentati nei mesi estivi
con le mucche da latte3 per ottenere
formaggio e burro di ottima qualità e,
al contempo, risparmiare e accantonare
per la stagione fredda il poco foraggio
che si otteneva dai prati della Piana di
1 - Notizie ricavate dal volumetto Val Codera, montagna per tutte le stagioni, a cura dell’Associazione
Amici Val Codera, Lyasis Edizioni, Sondrio 1997.
2 - Tra queste vi sono il mal dell’inchiostro, già noto
nel 1860 e il cancro corticale, individuato nel 1938.
3 - Ma anche pecore e capre.
E
68
LE MONTAGNE DIVERTENTI Chiavenna. Quest’ultimo infatti era
prevalentemente paludoso fino alla
fine dell’Ottocento, quando si intrapresero i lavori di arginatura del fiume
Mera e le successive opere di bonifica.
In loco venivano reperiti anche i
materiali per la costruzione delle abitazioni: innanzitutto il granito, poi il
legno. La pietra era utilizzata soprattutto per i muri, la copertura dei tetti
con le “piòde”, la realizzazione di scale,
ballatoi, sostegni per le grondaie,
stipiti, soglie e davanzali, tavoli esterni,
panche, vasche per l’acqua e addirittura mangiatoie per le stalle. Il legno,
di cui non vi era molta disponibilità,
serviva per porte e finestre, solai, travi
di portata per i tetti.
Estate 2016
Cava in val di Monte (anni ‘60, foto archivio Roberto Giardini).
Codera negli anni ‘70 (foto archivio Roberto Giardini).
Giuseppe Penone a Gruf (anni ‘60, foto archivio famiglia Penone).
Bresciadega negli anni ‘50 (foto archivio Roberto Giardini).
Essendo poca la superficie adatta ad
essere edificata, le case si innalzavano
anche per 3-4 o più piani, all’interno
dei quali si realizzavano locali essenziali
quali la cucina, la stüa4 e le camere.
IL GRANITO
Il granito fa parte della storia di
Novate, dove antiche cave hanno
impegnato generazioni di scalpellini (picapréda) nella preparazione di
manufatti per i lavori di pavimentazione di vie e piazze in varie città della
pianura (Milano, ma anche Pavia e
Bologna), oppure per la costruzione
di strade e ferrovie. Il lavoro delle
cave, inizialmente ubicate solo nel
fondovalle5, si estese anche al resto
del comune di Novate, cominciando
presso La Riva nel 1805, per interessare poi anche varie località della val
Codera, da dove il prodotto veniva
4 - La stüa era il locale principale dell’abitazione ed
era riscaldato con la pigna, una particolare stufa in
pietra.
5 - Tra le prime vi fu la storica cava presso il tempietto di San Fedelino, aperta nel 1785 e da cui
prese il nome il granito locale.
LE MONTAGNE DIVERTENTI fatto scendere tramite teleferiche a
contrappeso6. I primi addetti provenivano dalla val d’Intelvi, poi si passò a
impiegare molta manodopera locale7.
Fra i vari compiti svolti dagli addetti
alle cave vi erano il minör, che si occupava delle mine per staccare enormi
blocchi dalla montagna, il taiör, che
ricavava i pezzi delle dimensioni
volute, il fatüràant che li lavorava con
precisione, e infine il ferée che faceva
la manutenzione ai vari ferri di lavoro.
Tra le piaghe che affliggevano lo scalpellino, oltre agli acciacchi legati alle
condizioni climatiche talvolta estreme
del lavoro all’aperto, vi erano i ricorrenti e gravi infortuni agli arti, oltre alla
silicosi (pucéra), grave malattia respiratoria causata dalla polvere inalata in
cava per un’intera vita.
6 - Queste erano chiamate telèfori: la prima fu
installata in val del Munt, poi fu il turno di Montagnola, di San Giorgio e delle altre località in quota.
7 - Nel 1890 si contavano un centinaio di scalpellini, che divennero più di 700 fra le due guerre
mondiali, il periodo di maggiore sviluppo dell’attività estrattiva.
ERA MEGLIO VIVERE IN ALTO
Il fondovalle, come già detto paludoso fino a fine ‘800, era infestato
dalla malaria, per non parlare delle
frequenti incursioni di varie truppe
impegnate nelle interminabili guerre
per il controllo delle valli della Mera
e dell’Adda. Ciò fece sì che per
diversi secoli la gente della zona preferisse vivere in alto, nei paesi della val
Codera, tanto che durante il periodo
della dominazione dei Grigioni (15121797) il comune di Novate, diviso in
quattro quartieri (Codera, La Cola con
San Giorgio, Novate, Campo) spesso
aveva come sindaco proprio uno di
Codera, che risultava la frazione con il
maggior numero di abitanti.
Le condizioni di isolamento della
valle ne fecero, in varie occasioni,
luogo di rifugio per ricercati o perseguitati: dal chiavennasco Francesco
Dolzino, che con i suoi volontari
fuggiva dagli Austriaci dopo le insurrezioni del 1848, ai gruppi di partigiani
nel periodo della Resistenza, alle Aquile
randagie, ragazzi del gruppo di scout di
Val Codéra, la vita di una volta
69
Approfondimenti
Valchiavenna
Milano e Monza che svolgeva attività
giovanili clandestine durante il periodo
del fascismo e fu perciò dichiarato
fuorilegge nel 19278.
DEMOGRAFIA
nche qui, come altrove, dagli
anni ‘60 si assistette a un
progressivo spopolamento. Lo evidenziano bene le precise e dettagliate informazioni fornite da Roberto Giardini,
presidente dell’Associazione Amici
della Val Codera: «Per quanto riguarda
l’andamento demografico, a Codera
nel XVII secolo venivano registrati
circa 500 abitanti, numero rimasto
stabile sino alla fine del XIX secolo.
Con l’apertura delle cave a Novate
cominciò la discesa a valle, ma i residenti in tutta la valle nel 1933 erano
ancora 500. Dopo la Seconda Guerra
Mondiale gli abitanti scesero a circa
120, quindi il declino fu lento, ma
inesorabile: 21 abitanti negli anni ‘80,
mentre ora ci sono solo 7-8 persone
che passano tutto l’anno a Codera.
Codera perciò non è mai disabitato,
come invece capita a San Giorgio,
Cola, Cìi e Avedée: Cìi, che nel 1888
contava 33 abitanti, si svuotò con la
morte degli ultimi 3 residenti negli
anni ‘90, mentre ad Avedée l’ultimo
residente scese a valle all’inizio degli
anni 2000.”
A
TURISMO
Nonostante le condizioni di vita
siano cambiate, le particolarità della
val Codera continuano ad attrarre
moltissimi escursionisti, invitati anche
dalla presenza di alcune strutture di
accoglienza che offrono possibilità di
vitto e alloggio. Incontriamo, a partire
da Codera, La Locanda (m 824, tel.
338/1865169) e l’Osteria Alpina
(m 851, tel. 0343/62037), entrambe
gestite dall’ Associazione Amici della
Val Codera; più su vi è il rifugio
Bresciadega (m 1214, tel. 0343/44499)
nella località omonima, infine il rifugio
Brasca (m 1304), all’alpe Coeder
(verificare periodi di apertura presso
Consorzio per la promozione turistica
della Valchiavenna, tel. 0343/37361).
Un’opera che sicuramente avrà notevoli riflessi positivi è il recente recupero
8 - Oggi questi gruppi di scout sono tra i più assidui
frequentatori della val Codera.
70
LE MONTAGNE DIVERTENTI Giovani in festa a Codera (anni ‘30, foto archivio Roberto Giardini).
del Tracciolino, percorso panoramico
per pedoni e mountain bike che,
dalla val dei Ratti, a monte di Verceia,
conduce fino a Codera. Fu costruito
dalla Falck all’inizio degli anni ’30
come viottolo di servizio ed ispezione
agli impianti idroelettrici in val Codera
e val dei Ratti, collegando le chiuse
delle due valli con un percorso pianeggiante che, con tratti in galleria, asseconda le pieghe del monte per 12 km.
Degno di menzione, infine, è l’operato dell’Associazione Amici della
Val Codera, nata nel 1981. Il sodalizio, senza scopo di lucro e che raccoglie persone della valle, di Novate
e semplici amanti di questi luoghi,
promuove ricerche e studi per favorire la permanenza degli insediamenti
e delle attività umane, anche attraverso
il recupero di lavori e produzioni tradizionali. Inoltre fa conoscere le particolarità del territorio anche all’esterno e
gestisce il Museo Storico Etnografico
Naturalistico della Val Codera, ubicato
a Codera al piano terra della Casa di
Valle e in due attigui antichi edifici del
borgo9.
SEVERINO PENONE,
“CODERÀTT” PUROSANGUE.
La sua famiglia viveva a Codera,
ma la mamma per metterlo al mondo
scese a Novate Mezzola, dove Severino
nacque il 23 giugno 1928.
9 - Informazioni e prenotazioni: tel. 0343/62037;
338/1865169; 02/58104576; email: info@
valcodera.com
Ben presto fu riportato su, e iniziò,
per lui come per i suoi coetanei, la
vita dei bimbi di montagna, da subito
abituati a curarsi di mille piccole
incombenze: dopo la messa al mattino
presto, subito in stalla a “regolare” le
bestie, poi a scuola, quindi di nuovo
all’opera a cercare legna, custodire le
mucche al pascolo o rintracciare le
capre su per le rocce e i valloni. Purtà,
sempre purtà, un verbo che ben sintetizza la vita di montagna, e che Severino conobbe bene: rifornirsi di viveri
a valle, trasportare giù i prodotti dei
pochi campi, un po’ di formaggio che
si vendeva per procurarsi dei soldi (o
a volte si barattava direttamente per
ottenere altri prodotti o prestazioni di
lavoro); ingrassare i campi, procurarsi
la legna; e ancora radunare le pietre o
le piode per costruire la casa o i ricoveri per gli animali. «Se andavi a caccia
- ricorda Severino - dovevi caricarti
sulle spalle l’animale abbattuto, magari
di frodo, e quindi compiere lunghi giri
attraverso percorsi fuori mano per non
imbatterti nelle guardie.» Poi vi era il
contrabbando, valicando le montagne
tramite il passo della Teggiola per
raggiungere la Bregaglia svizzera e
procurarsi un carico di sigarette (ciò
richiedeva dalle 8 alle 10-12 ore con
un carico di 30-40 kg). Con un po’ di
ironia, e quasi per giustificarsi, Severino tiene a precisare che «quèl l’era
per mangià…», e lo stesso ripete per la
caccia. L’impressione che si ha ascoltandolo è che facesse il contrabbanEstate 2016
Severino col sacco (fine anni ‘30, foto archivio fam. Penone).
diere non solo per il guadagno, ma
anche per un desiderio d’avventura.
Diventato adulto, Severino, come
tanti suoi coetanei, lavorò come scalpellino, si dedicò alla campagna,
trovando anche occupazione nel taglio
dei boschi. Eletto presidente del locale
consorzio, si ingegnò nel costruire
una teleferica, riuscendo a munirla
di motore. La sua abilità in cava e nel
maneggio delle teleferiche gli procurò
del lavoro anche in Svizzera e in
Valmalenco, nelle cave di talco, che poi
veniva lavorato a Novate. È proprio a
Novate, presso lo stabilimento della
Mineraria Valtellinese, che fu assunto.
Ma il richiamo della montagna, della
pietra e delle cave era ciò che lo attraeva
di più, tanto che, appena il fratello
mise su una cava in proprio nella val
de Munt, lo seguì come scalpellino.
Purtroppo quasi subito un grave inciLE MONTAGNE DIVERTENTI Severino Penone (22 maggio 2016, foto Sergio Scuffi).
dente provocato dallo scoppio di una
mina gli fece perdere un occhio e il suo
ultimo lavoro fu quello di magazziniere
presso l’Ospedale di Chiavenna.
Fra i ricordi di Severino, quarto di
sei fratelli e cresciuto in un paese che
ancora contava oltre 150 abitanti, vi è
la scuola, tenuta da una sola maestra
che si occupava di quattro classi in due
turni: il mattino i più grandicelli, il
pomeriggio le classi I e II.
Nella mente rivive ancora, con
nostalgia, le varie tappe della transumanza, per salire gradualmente
di quota, prima al Piazzo per «far
mangiare il fieno» custodito nella stalla,
poi più su, verso gli alpeggi di Arnasca,
Averta e Sivigia.
Non rimpiange invece il tempo
di guerra, specialmente dopo l’8
settembre 1943, quando stavano tutti
in allerta per avvistare eventuali incur-
sioni di tedeschi o fascisti, per avvertire
in tempo e far allontanare dalle case
eventuali ricercati.
Tra questi, un fuggiasco illustre fu
accompagnato dallo stesso Severino
fino al confine con la Svizzera: si
trattava nientemeno che di Enrico
De Nicola, il futuro presidente
della Repubblica, che al suo rientro,
pochi giorni prima della Liberazione,
riconobbe ancora con gratitudine il
suo giovane accompagnatore.
Sebbene le esigenze di famiglia e
di lavoro abbiano indotto Severino a
trasferirsi a Novate già attorno ai 20
anni, ha sempre continuato a frequentare la sua Codera con assiduità.
Nel salutarmi dopo la nostra chiacchierata, Severino mi assicura: «Trà un
po’ de dè me pàsi sö…»
Val Codéra, la vita di una volta
71
Escursionismo
7
Alta Via della Valmalenco
7 tappa
a
Dal gruppo del Bernina ai piedi del pizzo Scalino, dal rifugio
Bignami al rifugio Cristina, si cammina contornando la diga di alpe
Gera e percorrendo la val Poschiavina e la valle di Campagneda coi
suoi splendidi laghetti.
Eliana e Nemo Canetta
Il pizzo Scalino riflesso nei laghi di Campagneda
(5 giugnoLE2012,
foto Roberto
Moiola). MONTAGNE
DIVERTENTI
72
Estate 2016
LE MONTAGNE DIVERTENTI Alta Via della Valmalenco (VII tappa)
73
Escursionismo
La VII tappa è tra le più semplici dell’Alta Via della Valmalenco. Gli aspri paesaggi
d’alta montagna lasciano spazio alle placide praterie e alle rocce levigate che
guidano ai piedi della parete nord del pizzo Scalino.
Questa è l’unica delle otto tappe a valicare il confine svizzero, nel passaggio dalla
valle Poschiavina a quella di Campagneda.
Cima di Caspoggio
(3136)
Sasso Moro
(3103)
Forc. di Fellaria
(2819)
Bocch. di Caspoggio
(3136)
Rif. Bignami
(2401)
La prima parte della VII tappa dell’Alta Via della Valmalenco e la via di accesso al rifugio Bignami (www.rifugiobignami.it, tel. 0342/451178) da Campo
Moro, viste dai pendii che sovrastano l’alpe Gembré (3 ottobre 2009, foto Roberto Ganassa).
BELLEZZA
FATICA
PERICOLOSITÀ
-
74
LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2016
Partenza: rifugio Bignami (m 2401).
Varianti d'accesso: per chi non si trova già al
rifugio Bignami, lo può raggiungere con 1:15 ore di
cammino dai piedi della diga di alpe Gera. In auto,
da Lanzada si deve percorrere la strada asfaltata
che tocca Franscia, Campo Moro e, dopo aver
costeggiato la diga omonima, supera la galleria
che dà accesso all’ampio spiazzo con parcheggio a
circa m 2020. A piedi, si segue la strada in direzione
N, quindi, prima dello scarico della diga, si piega a
dx per sentierino. In breve si intercetta la strada di
servizio che termina alla bianca casa del guardiano.
Da qui un’aerea passerella porta sulla sommità dello
sbarramento (trivio). Si traversa il coronamento della
diga verso NO (sx), portandosi così in dx orografica
della valle e si risale con una lunga diagonale a mezza
costa l’ampio e ripido pendio prativo che costituisce
la sponda NO del lago fino al rifugio Bignami.
È anche possibile portarsi subito in val Poschiavina,
decisione che fa sì risparmiar tempo ma che fa anche
tagliare l’interessantissima parte iniziale della VII
tappa. Questa variante è possibile grazie alla stradella
intagliata sul versante NO del monte Spundascia
che si diparte dal trivio posto al margine SE del
coronamento della diga. Oltrepassata una galleria, si
è a uno splendido belvedere sulla testata della valle,
rigata dalle cascate che scendono dalle due lingue
del ghiacciaio di Fellaria. Poco dopo c’è un bivio. Si
LE MONTAGNE DIVERTENTI lascia a sx il sentiero che porta all’alpe Gembré, per
prendere a dx la stradetta che sale ripida e raggiunge
una sorta di selletta (m 2218). Più oltre, un robusto
ponte permette di superare il torrente Poschiavino e
di arrivare all’omonima alpe, ove si incrocia il tracciato
principale dell’AV (ore 0:45 dal parcheggio).
Itinerario sintetico:
rifugio Bignami
(m 2401) - alpe Gembré (m 2214) - alpe
val Poschiavina (m 2228) - passo Canciano
(m 2464) - passo di Campagneda (m 2615) - laghi di
Campagneda - rifugio Cristina (m 2233).
Tempo previsto: 5 ore e mezza.
Attrezzatura richiesta: da escursionismo.
Difficoltà/dislivello: 2 su 6, 600 m in salita e
700 m in discesa (sviluppo 14 km).
Dettagli: E. Escursione su sentieri segnalati
(n. 301-305) da bandierine bianco-rosse e dai
triangoli gialli dell'Alta Via della Valmalenco.
Tratti malcerti nell’attraversamento delle piane di
Campagneda e Prabello.
Mappe:
- Comunità Montana Valtellina di Sondrio,
Cartografia Escursionistica, Fogli 1-2: Valmalenco Versante retico, 1:30000;
- Valmalenco. Speciale Alta Via della Valmalenco,
1: 30000, allegato omaggio al n. 29 de LMD.
Alta Via della Valmalenco (VII tappa)
75
Escursionismo
Valmalenco
Sasso Moro
(3103)
Monte Spundascia
(2867)
Sassi Bianchi
(2679)
Monte di Acquanegra
(2807)
Monte Palino
(2686)
Rif. Bignami
Il rifugio Bignami, il ghiacciaio di Fellaria Orientale e, al centro, il piz
Varuna (10 luglio 2015, foto Roberto Ganassa).
Gli accessi alla valle Poschiavina dall’alpe Gembré (Alta Via della Valmalenco - rosso) e dalla diga di alpe Gera (giallo) visti dai pressi del rifugio
Bignami (www.rifugiobignami.it - tel. 0342/451178). La struttura offre 70 posti letto e nel 2016 aprirà il 2 giugno (6 agosto 2013, foto R. Ganassa).
Attraversando gli impetuosi torrenti che fuoriescono dalle lingue del
ghiacciaio di Fellaria (12 luglio 2015, foto Luciano Bruseghini).
D
al rifugio Bignami (m 2401)
scendiamo in direzione NNE
nella valletta del torrente dell’alpe di
Fellaria. Ci abbassiamo fino a circa
m 2200, quindi andiamo ad attraversare le morene, ormai in gran parte
inerbate, di quella che era a metà del
XIX secolo la fronte comune delle
due lingue del ghiacciaio di Fellaria1.
Dinnanzi a noi, da un’erta parete,
scendono le cascate degli emissari di
queste lingue oggi fortemente riti1 - Dal vasto altopiano nevoso posto tra i m 3400 e
i m 3800 compreso tra i pizzi Palù, Bellavista e
Zupò hanno origine tre grandi colate glaciali: Fellaria Occidentale, Fellaria Orientale e Palù. L’apparato, noto come Fellaria-Palù, nel 2007 misurava
complessivamente 915 ha ed è in costante ritiro.
Benché oggi sia difficile da credersi, all’apice della
Piccola età glaciale (1850 circa) la lingua della colata
maggiore, quella di Fellaria Orientale, si raccordava
con quella di Fellaria Occidentale e scendeva fino ad
occupare il piano di alpe Gera, dove oggi si trova
l’omonima diga.
La vedretta di Fellaria Orientale si è progressivamente ritirata perdendo nel 2006 la propria continuità in corrispondenza dell’alto gradino roccioso a
quota m 2900, quello che ben si vede dal rifugio
Bignami. La parte inferiore della vedretta, adagiata
sul ripiano sottostante, è alimentata oggi solo dai
crolli di ghiaccio e si sta perciò velocemente disfacendo, come testimoniano i numerosi laghetti epiglaciali e marginoglaciali comparsi (fonte: AA.VV., I
ghiacciai della Lombardia. Evoluzione e attualità,
HOEPLI, Milano 2011).
L’alpe Gembré e il lago di alpe Gera (5 agosto 2009, foto Roberto Moiola).
76
LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2016
LE MONTAGNE DIVERTENTI rate. Tenendoci un poco alti rispetto
al sottostante lago di Gera2, superiamo vari torrentelli su apposite
passerelle di legno, per andare a risalire a mezza costa la val Confinale,
ai piedi della cresta occidentale della
cima Fontana. In tal modo giungiamo
all’alpe Gembré (m 2214), un gruppo
di caratteristiche baite in sasso tra le
meglio conservate dell’intera Valmalenco e che ancora oggi viene utilizzato benché sia raggiungibile solo a
piedi. Trascurato il sentiero che sale
ad E al passo Confinale e al bivacco
Anghileri-Rusconi, continuiamo in
2 - Nel solco principale dell’alta val Lanterna non
vie erano laghi naturali, quando negli anni ‘50 iniziarono i lavori per la realizzazione di due imponenti
dighe per l’accumulo delle acque provenienti dai
ghiacciai del Bernina: Campo Moro e alpe Gera.
Il maggiore dei due sbarramenti, quello di alpe
Gera, fu teso tra Sasso Moro e monte Spundascia e
fu il primo al mondo ad essere realizzato con la tecnica di invenzione italiana del Calcestruzzo Rullato
Compattato (RCC). È alto come un grattacielo di
58 piani e potrebbe contenere al suo interno l’intero
Duomo di Milano. Il lago artificiale che genera ha
una capacità di 68 milioni di m3, pari cioè a 63000
piscine olimpioniche! L’indotto energetico complessivo associato ai due bacini è di 723 milioni di kWh/
anno, pari al fabbisogno di 350000 famiglie: una
popolazione enormemente superiore a quella
dell’intera provincia di Sondrio.
piano in direzione SSO aggirando la
cresta occidentale dei Sassi Bianchi.
Il sentiero scende ora verso il lago,
passando da una sorta di galleria naturale e poco dopo, con uno zig zag, si
rialza verso sx (ESE) per raggiungere
la sella, oltre la quale ci si affaccia di
colpo alla verdeggiante val Poschiavina. Restando sempre sul lato orografico dx, in poche decine di metri siamo
all’alpe Val Poschiavina (m 2228,
ore 1:30), costituita da una nuvola di
baitelle a un solo piano, molte recentemente ristrutturate3. Qui incontriamo
il sentiero che giunge direttamente dal
coronamento della diga di alpe Gera.
A questo punto dobbiamo risalire
tutta la val Poschiavina che, come
suggerisce il nome, costituiva un
tempo il collegamento più diretto e
più facile tra la Valmalenco e la valle
di Poschiavo. Il sentiero pianeggia,
non lungi dal torrente, sino a un
risalto che superiamo senza particolare
3 - Gli ampi pascoli della valle Poschiavina sono
sfruttati nei mesi estivi da Antonio e Mario Nana
(40 mucche), Guido Rossi (10 mucche), Valentino
Nana (10 mucche) e da Annamaria Nana con 10
capre (informazioni raccolte da Andrea Sem).
Alta Via della Valmalenco (VII tappa)
77
Escursionismo
Valmalenco
Il Sasso Moro e il lago di alpe Gera incorniciati nella grotta naturale che si trova lungo il sentiero che dall’alpe Gembré porta nella valle Poschiavina
(12 settembre 2010, foto Roberto Ganassa).
Le minuscole baite dell’alpe Val Poschiavina sono raccolte sotto il fianco roccioso dei Sassi Bianchi sulla dx orografica della valle, famosa anche per la
presenza di numerose e belle vie di arrampicata su serpentino (12 agosto 2011, foto Roberto Ganassa).
fatica per affacciarci alla parte mediana
della valle, dominata a mezzodì dalle
rupi e dalle torri nerastre del monte
Spundascia4. Il tracciato, ben segnalato in questa sezione, si allontana dal
torrente Poschiavino per la presenza
di aree paludose e torbose. Alle nostre
spalle appare in tutta la sua grandiosità
il gruppo del Bernina.
Di nuovo accosti al torrente giungiamo a un nuovo risalto e a una strettoia tra alcune ciclopiche rocce. Ancora
poco dislivello e siamo alla testata della
valle, caratterizzata dalla cresta poco
rilevata della quota m 2501 che unisce
il passo di Canciano con il passo d’Ur
(o della Poschiavina). Noi ci dirigiamo
al primo mantenendo la direzione
SE e puntando a una bassa barriera
di rocce, assai più facile di quel che
sembra e che si supera utilizzando
alcuni cengioni. Abbiamo così guadagnato il passo di Canciano (m 2464,
ore 1:30).
Non lontano incrociamo la segnaletica bianco-rossa di un sentiero
elvetico che, sconfinando nel nostro
4 - Spondascia su CTR.
78
LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2016
LE MONTAGNE DIVERTENTI territorio, collega il passo di Canciano
con quello d’Ur traversando con panoramico percorso il versante meridionale del Corno di Campascio e del
Corno delle Ruzze. Trascurato questo
sentiero, ci dirigiamo a SO verso una
paretina rocciosa attrezzata, cui segue
una ripida valletta, nevosa all’inizio
di stagione. In tal modo puntiamo
alla linea di confine italo-elvetica che
valichiamo verso m 2400. Lo spartiacque in questa area è poco definito poiché le morene, abbandonate
da pochi decenni dal ghiacciaio dello
Scalino, non sono ancora ben assestate. Oltre un laghetto tocchiamo
il cippo confinario n. 1 (m 2518) e
rientriamo in territorio italiano non
lungi dall’incrocio con il sentiero che
sale da Poschiavo. A mezzodì (sx) cupi
roccioni nascondono la vedretta del
pizzo Scalino, mentre noi ci dirigiamo
a ONO su un altopiano ricco di fenomeni geomorfologici d’alta quota,
come i suoli poligonali5, e con specie
5 - Con suolo poligonale si intendono le varie e
spesso simmetriche forme geometriche in cui si conforma il materiale del suolo in aree lasciate scoperte
dal ritiro dei ghiacciai.
arboree caratteristiche delle aree periglaciali, come i salici nani striscianti.
A questo punto lasciamo sulla sx
una sorta di canyon ove è la ripida e
stretta lingua terminale della vedretta
del pizzo Scalino6 e valichiamo su un
ponticello l’impetuoso torrente che ne
esce. Dalla passerella risaliamo le coste
moreniche sino ai laghetti a m 2565,
da quali continuiamo a prender quota,
tenendo la dx, sino all’arco di legno
che indicava il punto più elevato della
skyrace Valmalenco Valposchiavo7.
6 - Il ghiacciaio del pizzo Scalino occupa gran parte
dell’altopiano a N della dorsale rocciosa tra pizzo
Scalino e pizzo Canciano. Il ritiro della fronte dalle
misurazioni di Marson del 1885 ai rilievi del 2007 è
stato stimato in 1170 m, ma, data la morfologia
della vedretta, è stata la perdita di spessore quella più
significativa. Nel 2007 il ghiacciaio misurava ancora
151 ha, dopo essersi ridotto di quasi un quarto dal
1990.
7 - La skyrace Valmalenco Valposchiavo è stata una
gara di corsa in montagna internazionale che si è
disputata dal 2002 al 2012. Gli atleti partivano da
Lanzada e, dopo aver superato il passo di Campagneda, scendevano in Svizzera a Poschiavo, dov’era
posto il traguardo. 31 km e 1850 metri di dislivello
positivo, che il campione del mondo di corsa in
montagna Marco De Gasperi ha coperto nell’edizione 2007 in sole 2 ore e 32’, record della gara.
Purtroppo le difficoltà economiche ed organizzative
per mantenere la manifestazione ai livelli di eccellenza che l’avevano caratterizzata nel corso degli
anni, hanno portato il comitato organizzatore a
deciderne la definitiva sospensione.
Alta Via della Valmalenco (VII tappa)
79
Escursionismo
Presto siamo al minuscolo ma caratteristico altopiano del passo di Campagneda (m 2615, ore 1), aperto tra le
pendici del pizzo Scalino e la lunga
cresta ESE del monte Spundascia8.
Un canale di rottami permette di
perdere rapidamente quota sin verso i
2550 m, ove una frana ha interrotto il
vecchio e facile sentiero. Ci affidiamo
perciò alle roccette sulla dx, attrezzate con catene. Un ultimo pendio di
sfasciumi ci deposita nella conca ove
sono sparsi i sette laghi di Campagneda, tipici bacini di escavazione
glaciale.
Il sentiero diviene nuovamente
agevole e, per coste e vallette, porta
a toccare il lago di quota m 2349,
che si lascia però sulla dx per scendere lungo una placida valletta e
affacciarsi all’ampia e verdeggiante
piana di Campagneda, dominata a S
dalla caratteristica piramide del pizzo
Scalino. Trascurato il sentiero che, dirigendosi a occidente, porta al rifugio
Ca’ Runcasch ed al rifugio Zoia,
pieghiamo a sx, prestando attenzione
alle segnaletiche sparse nella prateria e
di non sempre facile individuazione.
In un chilometro ci portiamo così alla
sella nei pressi della quota m 2344,
ultima propaggine di uno sperone che
8 - In questa zona si faccia attenzione alle segnaletiche, che portano direttamente alla sella dalla quale è
agevole divallare verso Campagneda.
Valmalenco
Attraversando praterie e rocce montonate nella valle Poschiavina.
Sullo sfondo il Sasso Moro (12 luglio 2015, foto Luciano Bruseghini).
Il pizzo Scalino dai pascoli della valle di Campagneda
(30 giugno 2014, foto Roberto Ganassa).
Il rifugio Cristina (www.rifugiocristina.altervista.org, tel. 0342 452398) si trova in posizione
rialzata a SE delle baite dell’alpe Prabello (30 giugno 2014, foto Roberto Ganassa).
Pizzo Canciano, a sx, e pizzo Scalino, a dx, dal laghetto nei pressi del passo
d’Ur, non lungi dal passo di Canciano (12 agosto 2011, foto Roberto Ganassa).
Il Disgrazia al tramonto specchiato in uno dei laghi di Campagneda (22 settembre 2012, foto Roberto Ganassa).
80
LE MONTAGNE DIVERTENTI scende dal sovrastante Cornetto, anticima nord-orientale del pizzo Scalino.
Sull’opposto versante scendiamo a un
torrentello che guadiamo, per puntare
a una nuova sella nei pressi della
quota m 2326. Da qui ammiriamo
i vasti ripiani superiori di Prabello, a
cui puntiamo per andare ad incontrare il sentierino che collega il rifugio
Cristina al Cornetto e che costituisce l’accesso alla via normale al pizzo
Scalino dal versante malenco. Traversiamo così tutto il ripiano superiore di
Prabello contenuto tra antiche morene
inerbate, e, con un ultimo breve
strappo, siamo al rifugio Cristina9
in posizione leggermente rialzata a
SE delle baite dell’alpe Prabello10
(m 2233, ore 1:30).
9 - La storia del rifugio inizia nel 1918, quando
Ersilio Bricalli costruì una baita sopra un rilievo a
SE dell’alpe. L’anno seguente venne edificata la chiesetta dedicata a Maria SS. Regina della Pace e il parroco, don Giovanni Gatti, spinse perché quella
casetta appena eretta divenisse un ristoro per tutti i
pellegrini che giungevano a visitare il piccolo santuario. Fu così che Ersilio cominciò l’attività di rifugista e dedicò la capanna a sua moglie Cristina.
Nel 1947 la conduzione passò al figlio Olivo, che ne
curò la gestione fino al 1967 quando cedette il testimone alla figlia Franca che lo amministrò insieme al
marito Pio Negrini. Dal 2012 è toccato alla quarta
generazione, le figlie di Pio, Vania e Valentina, prendere le redini del rifugio (tratto da Luciano Bruseghini, Alpe Prabello e lago del Mufulé, LMD n. 16 Primavera 2011, pgg. 89-97).
10 - Le baite, benché si trovino sul territorio comunale di Lanzada, sono di proprietà del comune di
Caspoggio, che ne consentiva l’uso civico alle persone che caricavano l’alpeggio nei mesi estivi. Oggi,
quasi tutte ristrutturate, vengono godute, oltre che
da Maurizio Negrini che qui ancora montica i suoi
animali, dai discendenti degli antichi pastori.
L’alpe Prabello. L’edificio più grande, sulla sx, è il rifugio Cristina (30 giugno 2014, foto Roberto Ganassa).
Estate 2016
LE MONTAGNE DIVERTENTI Alta Via della Valmalenco (VII tappa)
81
Escursionismo
U na vita in alpe
Intervista a Eulalia Picceni
Valmalenco
Luciano Bruseghini
Da diversi anni i miei genitori conoscono Eulalia Picceni e i suoi familiari perché
ogni estate si recano all’alpe Gembré a raccogliere erba iva e ad acquistare
l’impareggiabile burro che Eulalia, classe 1933, produce nei due mesi che trascorre
in quota col bestiame. Inoltre mia madre, essendo stata l’insegnante di quattro dei
suoi nove figli, ha mantenuto con lei un legame confidenziale. Così approfitto di
questa amicizia per recarmi in fondo alla valle di Campo Moro a farmi raccontare
dall’arzilla signora i suoi ricordi della vita all’Alpe Gembré.
V
enuta a sapere che l’intervista fa da corollario alla VII
tappa dell’Alta Via della Valmalenco,
Eulalia esordisce dicendomi di aver
conosciuto personalmente Giancarlo Corbellini, colui che insieme ai
coniugi Canetta è stato l’ideatore e
l’artefice di questo stupendo tracciato
fra i monti della valle del Mallero.
ei primi anni ottanta il
Corbellini, passando per
l’alpe Gembré e vedendo una moltitudine di bestie al pascolo (mucche,
capre, pecore e maiali) volle fare una
foto a questo incanto bucolico. La
macchina fotografica si trovava in
fondo allo zaino, così fu costretto a
svuotarlo per recuperarla e, mentre
egli era intento a scattare immagini
alpestri, i maiali approfittarono delle
cibarie che lui aveva appoggiato sul
prato: chi con una mela, chi con un
panino, i suini pasteggiarono felici
alla faccia del fotografo. Rimessa
la mercanzia nel sacco, riprese il
cammino verso il sovrastante passo
Confinale, ma da lì a poco eccolo di
ritorno. Noi pensavamo perché fosse
sprovvisto di alimenti, invece era
stato respinto dalle guardie di confine
in quanto non aveva con sé alcun
documento.»
Eulalia mi racconta che fin da
piccola, ogni estate monticava le
zone sopra Franscia insieme ai genitori e ai nonni. Erano soprattutto
gli anziani che sostavano in quota
a curare le bestie, mentre i giovani
rimanevano a valle per coltivare la
campagna. Essendo quelli alpeggi
pubblici, il consiglio comunale deliberava quando poteva iniziare la
transumanza e siccome ai tempi non
tutti sapevano leggere e ancor meno
frequentavano il municipio, era il
parroco che durante le funzioni religiose avvisava i parrocchiani della
«N
Dos di Vét: Eulalia Picceni impegnata nella
preparazione dei formaggi
(24 ottobre 2015, foto Luciano Bruseghini).
82
LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2016
LE MONTAGNE DIVERTENTI data prestabilita. Da Lanzada si saliva
prima a Franscia, poi ai Dos di Vet
e si proseguiva quindi per le alpi
Campascio e Foppa. Si sfruttavano
anche le zone prative dell’alpe Campo
Moro e dell’alpe Gera, dagli anni ‘60
sommerse dalle acque di due bacini
artificiali. Infine a luglio si giungeva
a Gembré. Qui il pascolo era suddiviso in due parti: una includeva le
piccole baite e il fondo della vallata,
l’altra occupava la grande spianata
circa duecento metri più in alto,
conosciuta con il nome di Siguréta e
dove sorgevano due costruzioni. Una,
più ampia, era abitata dalla guardia di
finanza che controllava il traffico con
la vicina Svizzera attraverso il passo
Confinale; l’altra, più piccola, era un
baitello in cui i pastori si rifugiavano
in caso di maltempo improvviso. «Era
così minuscola - sottolinea Eulalia che vi si riusciva a stare a malapena
seduti!»
Un tempo, quando le bestie brucavano a Siguréta, toccava ai pastori
portare il latte appena munto a
Gembré per lavorarlo. Successivamente trovarono più comodo far
compiere alle mucche due volte al
giorno il percorso di discesa e di
risalita.
Ogni volta che ci si spostava da un
alpeggio all’altro bisognava trasferire un sacco di cose: tutti gli attrezzi
per la lavorazione del latte e persino
i paiàz1. In più, quando si caricava Gembré, essendo per la quota
spoglio di alberi, si doveva pure
trasportare la legna. Dall’alpe Gera,
perciò, la si accatastava nei pressi del
ponte che attraversava il tumultuoso
torrente Cormor; poi, una volta
arrivati con le bestie in quota, ogni
giorno, solitamente di pomeriggio
1 - Materassi fatti con le foglie di granturco.
dopo aver svolto le faccende domestiche e casearie, si scendeva a recuperarne una parte.
Subito dopo ferragosto abbandonavano questi pascoli e ritornavano
all’alpe Gera o all’alpe Campo Moro
per un paio di settimane, per poi
ridiscendere prima a Campascio e
poi ai Dos di Vett.
In ogni alpeggio c’era un capàlp,
solitamente una persona anziana
con esperienza, che decideva in
quale zona far pascolare il bestiame
e quando era ora di spostarsi. Il
nonno di Eulalia era solito dire «De
San Bartulumé dei muntagni se ne vé»
ossia intorno al giorno di San Bartolomeo (24 agosto) bisogna scendere
dagli alpeggi superiori (questo a
causa del cambiamento climatico).
A quei tempi sui pascoli di Gembré
si monticavano 70/80 mucche, ma
siccome ogni famiglia era proprietaria solamente di due o tre capi, ciò
significava che quasi una quarantina di famiglie si divideva le
poche baite presenti: «Le case erano
così minuscole che entravano i gatti
e uscivano i ratti!» dice sorridendo.
D’altronde i materiali da costruzione dovevano essere trasportati dal
basso, si cercava quindi di evitare
sforzi eccessivi. Il legname per i tetti
lo si recuperava a Campo Moro o
all’ancor più lontana alpe Foppa e
la sabbia la si estraeva dal torrente
Cormor. Solamente di pietre ve ne
erano in abbondanza.
Il cibo scarseggiava e i pasti erano
sempre gli stessi: polenta gialla a
mezzogiorno e minestra di latte
alla sera. Tutto quello che veniva
prodotto negli alpeggi serviva per
l’autoconsumo e quindi non era
messo in vendita.
Anche l’approvvigionamento di
acqua fresca era un problema, visto
Intervista a Eulalia Picceni
83
Approfondimenti
che il ruscello più vicino scorre a
un centinaio di metri dalle baite: si
andava quindi a rifornirsi con due
secchi appesi alle estremità di un
bastone ricurvo al centro (bagiùl),
caricato in spalla. Si doveva riempire
maggiormente il recipiente dietro
in modo da non perdere l’equilibrio durante il ritorno. Oggi invece
l’acqua arriva direttamente all’interno della casa grazie a delle tubature posizionate dai figli di Eulalia e
così si evitano ulteriori fatiche.
Non avendo la “Play station”, i
bambini che un tempo erano in
Gembré si divertivano giocando
con quello che trovavano. Un sasso
oblungo con il panét 2 della nonna
diventava una bellissima bambola e
una cavità fra le rocce la loro casetta.
Fiori e piccoli sassi erano la moneta
di scambio per giocare al negoziante.
Di scarpe non ce n’erano: o si
camminava scalzi o si mettevano
i pedù. «Entrava acqua fredda ricorda Eulalia - e usciva quella
calda.»
Alla sera un’anziana signora recitava il rosario all’esterno delle baite
e tutti i presenti assistevano e rispondevano a tono; però la maggior
parte delle volte questa nonnina,
stanca dalla dura vita alpestre, si
addormentava prima di terminare le
orazioni, per la gioia dei piccoli che
coglievano al volo l’occasione per
squagliarsela.
Racconta poi di un maialino
che un coraggioso cagnolino aveva
salvato dall’annegamento e della
triste fine toccata a due mucche
che si erano fracassate le zampe al
punto da renderne necessario l’abbattimento, con grande dispiacere
dei propietari che vedevano sfumare
parte della loro “ricchezza”.
Sul caminetto della baita c’è una
bellissima foto di una donna anziana
che sta dando da mangiare a una
piccola marmotta. Le chiedo chiarimenti e lei mi racconta una dolce
e triste storia. Sua mamma Rina,
dopo un forte temporale, trovò una
marmottina dispersa e abbandonata.
La portò al riparo e le diede del latte
caldo appena munto. La bestiola (a
2 - Foulard.
84
LE MONTAGNE DIVERTENTI Valmalenco
V ita
da
pastore
N
Intervista a Maurizio
egrini
Luciano Bruseghini
Eulalia Picceni prepara il burro all’alpe Gembré (inizio anni 2000, foto archivio Eulalia Picceni).
cui fu dato il nome di Briciola) gradì
molto e si affezionò subito alla sua
nuova amica, al punto da seguirla in
ogni suo spostamento. Anche quando
la donna scese a valle, la cuccioletta la
seguì fino a Lanzada. Ma un brutto
giorno un cane malvagio la rincorse,
la catturò e la uccise.
Nel 1979 Eulalia iniziò a portare
con sé anche tre dei suoi nove figli,Gianni, Sergio e Paola, per darle
una mano nell’accudire il bestiame e
nell’attività casearia. Paola sale tuttora
ogni estate e fornisce un valido
supporto alla madre: probabilmente
sarà lei a raccoglierne il testimone.
Negli ultimi anni, per poter
soggiornare a Gembré per un paio
di mesi, Eulalia a inizio stagione fa
trasportare con l’elicottero il grosso
delle provviste, tra cui la legna e le
bombole del gas, poi ogni fine settimana i famigliari salgono a rifornirla
dei prodotti deperibili.
Ogni primavera è il premuroso
ed efficiente figlio Antonio, armato
di badile e piccone, a sistemare il
sentiero che collega l’alpeggio con
l’alpe Poschiavina, dove giunge una
carrozzabile. «Costruiscono piste
ciclabili ovunque - ironizza Eulalia
- e a me non fanno nemmeno una
caprabile!»
Nell’estate del 2015 Eulalia è salita
in Gembré con sei bovini (due da
latte e quattro vitelli) e numerose
capre, che ha munto ogni giorno e
dal cui latte, con sapiente maestria,
ricava dei superbi latticini3. Tutte le
operazioni (mungitura, preparazione
del burro e cagliata), vengono ancora
fatte manualmente, senza l’utilizzo di
alcun apparecchio elettrico in quanto
l’alpe è sprovvista di energia elettrica.
Stare tanto tempo in quota non
pesa ad Eulalia, anzi la rende molto
felice e ribadisce che un tempo, anche
se non possedeva niente, era più
contenta di ora.
Pur essendo l’unica abitante fissa
di Gembré, non si sente sola perché
transita moltissima gente per i sentieri
che attraversano l’alpe, soprattutto
escursionisti che percorrono l’Alta
Via o che vanno al passo Confinale.
Capita spesso che qualcuno si fermi
per chiederle della vita in alpeggio. A
volte le vengono poste delle domande
le cui risposte sono tanto ovvie da
indicarle che molti, assorti come sono
in una vita dove non c’è più tempo
per la riflessione e la solidarietà, non
concepiscono l’idea di poter svolgere lavori in simbiosi con la natura,
di quelli che rasserenano e portano
tranquillità.
Comunque lei risponde sempre
sorridendo, con una battuta di spirito
o una presa in giro.
3 -Una curiosità: essendo Gembré posizionato in
alta quota, dirimpetto al ghiacciaio di Fellaria,
durante la notte la temperatura scende di parecchi
gradi e per evitare che i formaggi si rovinino, vengono protetti con delle coperte.
Estate 2016
Alpe Prabello, una capretta di Maurizio Negrini al pascolo (15 luglio 2012, foto Beno).
«S
e si tratta di una videointervista non se ne parla proprio,
se invece sono solo due chiacchiere alla
buona, eccomi a tua completa disposizione.» Così esordisce il mio compaesano Maurizio Negrini alla richiesta di
un colloquio per Le Montagne Divertenti. Carattere allegro e sempre sorridente, ma anche tanto timido, bisogna
saper entrare in confidenza con lui per
capirne l’animo.
Incontro Maurizio presso il luogo
dove svolge l’attività abituale: il grande
stallone in località Presa a Caspoggio.
Qui custodisce i suoi animali e lavora
sapientemente il latte da loro ottenuto. Fortunatamente in paese è
rimasto almeno lui a guadagnarsi da
vivere grazie alla pastorizia, altrimenti
non ci sarebbe più nessuno a sfalciare
i vasti prati che attorniano il piccolo
nucleo malenco. E pensare che fino
a una cinquantina di anni fa quasi
ogni famiglia possedeva dei capi di
bestiame e sfruttava ogni angolo di
pascolo disponibile!
Classe 1971, Maurizio fin da
LE MONTAGNE DIVERTENTI piccolo trascorreva i mesi estivi all’alpe
Prabello, ai piedi del pizzo Scalino,
come faméi per gli zii che gestivano il
rifugio Cristina.
Iniziò ad essere consapevole della
sua passione per le mucche e la pastorizia qualche anno più tardi, quando,
nelle vacanze scolastiche, saliva sugli
alpeggi al seguito dell’allevatore
Quinto Negrini.
Terminati gli studi presso la scuola
alberghiera, per tre anni fece il cuoco
in vari ristoranti e alberghi. Però, una
volta espletato il servizio militare, la
passione primordiale per la pastorizia
tornò ad impossessarsi di lui.
Dal 1992 al 1994 fu dipendente
presso l’azienda agricola Pizzo Scalino
di Nani Leonardo di Lanzada, finché
decise di fare il grande salto, diventando in prima persona proprietario e
gestore di una sua impresa.
«Sono partito con quattro mucche
e stavo in affitto in una stalla nel
comune di Torre di Santa Maria,
poi col passare degli anni gli animali
sono aumentati finché ho deciso di
costruire una stalla mia a Caspoggio.
Questo sogno l’ho realizzato nel 2002.
Attualmente possiedo circa 80 bovini,
tra mucche da latte, manze asciutte e
vitelli, 40 capre e 20 maiali che nutro
con lo scarto della lavorazione del
latte.»
Come aiuto nelle faccende
giornaliere ha assunto un giovane
collaboratore, Filippo Battaglia, che
segue la gestione della stalla, mentre
Maurizio stesso si occupa del caseificio.
Una grossa mano la danno anche
la moglie Moira e i figli Samuele e
Vanessa. Quest’ultima, in particolare,
frequenta corsi di agraria e trascorre
ogni momento libero dagli studi
presso la stalla del padre partecipando
a tutte le varie fasi delle lavorazioni. E
soprattutto la domenica, che sarebbe
il suo unico giorno senza impegni
scolastici, passa ancora più tempo
in azienda, perché deve sostituire
Filippo che si gode il meritato riposo
settimanale. Maurizio mi racconta
che grazie all’aiuto dei famigliari e di
Filippo quest’inverno ha potuto avere
Intervista a Maurizio Negrini
85
Approfondimenti
ben tre giorni di vacanza, dopo 24
anni senza mai ferie.
«Anche il giorno del mio
matrimonio, al mattino, mi sono
recato in stalla a mungere, poi
fortunatamente alla sera ho trovato
dei comprensivi sostituti che mi
hanno permesso di godere in
tranquillità le ore più felici della mia
vita.
Molti parenti e numerosi volontari del paese mi danno un’enorme
mano durante i mesi estivi quando
c’è lo sfalcio dei prati del paese e dei
maggenghi limitrofi; senza di loro non
riuscirei ad andare avanti.»
Ed è un impegno gravoso, visto che,nella bella stagione bisogna tagliare
l’erba due volte: una a giugno e una ad
agosto. Ciò tiene occupate per diverse
giornate numerose persone, che non
vogliono niente in cambio. Sorridendo mi racconta che ogni tanto i
suoi cugini bonariamente ironizzano:
«Perché proprio noi dobbiamo essere
tuoi parenti?»
Un encomio speciale va alla cugina
Erica, considerata come una sorella,
che si occupa del negozio aperto in
via don Gatti a Caspoggio. «Prima
vendevo i formaggi ai grossisti, poi
quattro anni fa ho deciso di aprire
uno spaccio in paese: sono veramente soddisfatto di come i paesani e
i turisti apprezzino i miei latticini, dai
formaggi stagionati ai caprini, dallo
yogurt alla ricotta: riesco a malapena a
soddisfare le loro esigenze.»
Nei mesi freddi Maurizio tiene
gli animali in stalla, poi verso metà
maggio porta le giovani manze e i
vitelli al pascolo sui prati attorno
a Sant’ Antonio. Al termine della
stagione scolastica sale per un mesetto
con tutti i bovini presso l’alpe Ferla,
lungo le piste da sci di Piazzo Cavalli.
Durante questo periodo produce
dell’ottimo Bitto che ha fatto incetta di
premi, tra cui spicca nel 2003 la medaglia d’oro alle olimpiadi del formaggio
tenutasi in Francia.
Verso la metà di luglio, con una
lunga transumanza sui sentieri
dell’Alta Via della Valmalenco, compie
in sei ore il tragitto per l’alpe Prabello.
«Solamente le capre vengono trasferite con i mezzi a motore. I primi anni
anche loro venivano a piedi, ma era
86
LE MONTAGNE DIVERTENTI Valmalenco
C ontrabbandieri
Intervista a Mattia Bruseghini
Luciano Bruseghini
Maurizio Negrini a Prabello (29 luglio 2007, foto archivio famiglia Negrini).
più il tempo che si perdeva a recuperarle che la durata del viaggio!»
Soggiorna a Prabello fino ad agosto
inoltrato, poi sono le mucche stesse
che tendono a puntare la via di casa:
vuol dire che la bella stagione è agli
sgoccioli e bisogna rientrare. Sempre
con lo stesso tragitto dell’andata torna
alla Ferla, dove sosta per un altro mese.
Ai primi di ottobre scende in paese e
ritira il bestiame nella stalla fino alla
primavera successiva.
Per poter produrre latte, ogni mucca
deve partorire una volta all’anno e
questo oggi avviene grazie all’inseminazione artificiale. Quando è il
momento del parto sono Maurizio
e suoi collaboratori a seguire direttamente la nascita, solamente quando
la situazione si presenta a rischio, si
chiede l’intervento del veterinario. I
piccoli nati vengono nutriti per tre
mesi con un mix di latte materno e
latte in polvere, poi prendono due
strade differenti a seconda del sesso:
se sono femmine restano in stalla e
vanno a sostituire le bovine giunte a
fine carriera, se sono maschi li aspetta
un futuro peggiore, perché verranno
cresciuti per sfruttarne la prelibata
carne. La vita media di una mucca da
latte delle razze che possiede Maurizio
è di circa una decina d’anni, tranne in
casi particolari come la sua amata Lola
che è recentemente scomparsa all’età
di 13 anni. «È stata la bestia migliore
che abbia mai avuto, vincitrice di
numerosi premi: in particolare nella
categoria primipare da latte è giunta
seconda a livello regionale e terza a
livello europeo. E nel febbraio del
2012 alla fiera di Verona ha primeggiato per la miglior qualità del latte.
Mi piace molto partecipare ai
concorsi, anche se a volte bisogna
compiere lunghe trasferte. La soddisfazione di vedere un proprio animale
ricevere un riconoscimento ripaga di
tutti i sacrifici fatti. Questa passione
l’ho trasmessa a mia figlia Vanessa,
che in questi giorni sta scortando
alcuni dei nostri capi ad una mostra ad
Edolo.»
Anche le capre per poter produrre
latte devono partorire una volta
all’anno. Ma mentre per le mucche
le nuove nascite sono scaglionate nel
corso di tutto l’anno, in modo da
avere sempre latte per la trasformazione casearia, i parti delle capre di
Maurizio sono concentrati nei mesi
di novembre e dicembre, così che i
piccoli siano pronti per il “martirio
pasquale”.»
Dopo avermi accennato a varie
problematiche legate al suo mestiere,
Maurizio mi saluta lasciandomi
monito per tutti coloro i quali volessero cimentarsi nel suo mestiere:
«Il lavoro dell’allevatore è molto
duro, sebbene dia anche grandi
soddisfazioni. Io lo considero una
missione, perché senza un’infinita
passione è impossibile svolgerlo.»
Estate 2016
All’arrivo della gara di sci degli Alpini a Sant’Antonio di Caspoggio (primi anni ‘70, foto archivio Mattia Bruseghini).
I
n casa, mio padre Mattia, uomo
di poche parole, non ha mai
riferito granché del suo passato
da spallone. Solo in rare occasioni, quando la compagnia e un
bicchiere di buon vino gli scioglievano la lingua, raccontava episodi
particolari e significativi di quegli
anni. Non perché fosse pentito di
quella parentesi della sua gioventù,
ma piuttosto perché il ricordo delle
avventure e dei pericoli trascorsi
con persone, molte delle quali
non ci sono più, lo commuove, lo
riempie di nostalgia e gli fa sgorgare
le lacrime dagli occhi.
Fortunatamente per Le Montagne
Divertenti fa un’eccezione e apre il
suo libro delle rimembranze.
«S
ono il secondo di sette figli.
La mia famiglia non navigava
nell’oro: mia madre era casalinga e
mio padre arrotino, prevalentemente
nella bergamasca e nel cremasco. A
nove anni, durante l’estate, cominciai
a seguire il papà nella sua girovaga vita
lavorativa. Il mio compito era quello
LE MONTAGNE DIVERTENTI di gridare “mulitta, mulitta…” nei
paesi o presso le cascine e di raccogliere gli strumenti da affilare per poi
riconsegnarli, ricordando con precisione da chi li avevo avuti.
A soli 17 anni, nell’estate del 1957,
quando ancora frequentavo la scuola
di ragioneria a Sondrio, per avere
qualche soldo in tasca, mi aggregai
a spalloni di Caspoggio pratici del
“mestiere” e così iniziò la mia carriera
da “porta sac”.»
Già durante la seconda guerra
mondiale era in auge questa attività
nelle zone di frontiera: dall’Italia si
partiva carichi di riso verso la vicina
Svizzera e si ritornava con lo zaino
pieno del sale che invece scarseggiava
da noi. Molti contrabbandieri aiutarono anche persone di nazionalità
ebraica a varcare il confine, salvandole
dalle persecuzioni razziali.
Mio padre ricorda che gli abitanti
della Valmalenco erano spinti a praticare questa attività dalla mancanza
di lavoro: per portare qualcosa a casa
erano pronti ad affrontare fatiche e
rischi infiniti, primo tra tutti quello
di essere arrestati. Comunque incassavano bene: ogni traversata dava un
profitto di 10 mila lire e quindi in
una settimana potevano guadagnare
quanto un operaio in un mese!
Con i suoi “colleghi” si recava anche
in trasferta a Tirano: entrava a piedi in
Svizzera lungo i binari della ferrovia,
oppure seguendo un erto sentierino,
sul lato opposto del Poschiavino, fino
a Campocologno. Da qui rientrava
con carichi di caffè (ogni carga pesava
fino a 40 kg). Durante le ore notturne
riusciva a compiere più attraversamenti, se tutto filava liscio e se i
panau1 vigilavano altrove.
Quando invece la partenza e il
rientro avvenivano dalla Valmalenco,
normalmente si trafficava solo in sigarette, ma anche qui il peso dello zaino
era sempre sui 40 kg.
Durante il periodo estivo, scroccavano un passaggio dal fondovalle agli
autisti dei camion che si dirigevano
a Campo Moro per la costruzione
della diga. Se qualcuno possedeva una
1 - Appellativo dato ai finanzieri.
Intervista a Mattia Bruseghini
87
Approfondimenti
Valmalenco
Passo di Campagneda
(2620)
Pizzo Scalino
(m 3323)
Monte di
Acquanegra
(m 2806)
Munt di Cup
(2770)
Monte di Cavaglia
(2728)
Passo degli Ometti
(2758)
Prabello
Monte Palino
(2686)
Buchèl de Cavàja
(2550)
Monte Foppa
(2463)
Alpe Cavaglia
Acquanegra
Piazzo Cavalli
Sant’Antonio
Santa Elisabetta
Caspoggio
Lanzada
Caspoggio, Lanzada e i valichi del contrabbando (29 ottobre 2011, foto Beno).
motocicletta oppure un’auto, salivano
con quella in modo da poter rientrare
poi più velocemente e comodamente.
Dalla diga proseguivano a piedi verso
il passo di Canciano e poi giù fino
all’alpe Canciano, dove i “commercianti” svizzeri li aspettavano con la
mercanzia portata in quota grazie
all’utilizzo di bestie da soma.
Era consuetudine che uno della
“banda” facesse la vedetta nei dintorni
del passo di Canciano, in modo
da controllare che gli agenti della
Guardia di Finanza non si aggirassero
nei paraggi.
«Una sera purtroppo la sentinella
si addormentò e non avvisò i due
compagni dell’arrivo dei finanzieri. La
retata non ebbe però molto successo,
visto che uno dei contrabbandieri
dovette sì abbandonare il carico, ma
riuscì comunque a fuggire, mentre
l’altro fece in tempo a nascondere lo
zaino sotto le rocce e a scappare; il
88
LE MONTAGNE DIVERTENTI giorno seguente recuperò le sigarette e
così non ci smenò il guadagno.»
«Una volta - ricorda mio padre mentre rincasavano da Campo Moro
su un’auto guidata da un magnà2
fummo fermati ad un posto di blocco.
Io e il mio migliore amico riuscimmo
a scendere al volo dalla macchina e a
scappare nei boschi per poi rientrare
sani e salvi a casa, mentre il povero
autista venne trattenuto con tutta la
merce a bordo!»
Il percorso del rientro, se non
si aveva un mezzo di trasporto da
Campo Moro, passava per l’alpe
Prabello lungo il sentiero dell’Alta
Via, per poi scendere a Caspoggio.
Capitava delle volte che, essendoci le
forze dell’ordine a controllare il passo
e le zone limitrofe, i contrabbandieri
dovevano salire la vedretta del pizzo
Scalino e scollinare in val di Togno.
2 - Abitante di Lanzada.
Da qui, procedendo a fianco del passo
degli Ometti, percorrevano la ripida
sponda destra idrografica, ricoperta di
scivolosissimo fieno selvatico, fino a
raggiungere il buchèl de Cavàja, da cui
calavano in Valmalenco passando per
l’alpe Cavaglia.
Col sorriso e un po’ di rammarico,
mi racconta anche due eventi significativi avvenuti nello stesso giorno
lungo quell’itinerario assai impegnativo e pericoloso:
«Era l’inizio di luglio e la mattina
presto stavamo scendendo dalla
spalla del pizzo Scalino verso la val
di Togno. Era stata una notte molto
fredda e le rocce erano ricoperte da
un sottile strato di ghiaccio. Dovevamo compiere un traverso esposto
sopra una fascia rocciosa scivolosissima. A turno riuscimmo a passare
indenni, ma quando toccò all’amico
Pedrin questi venne preso dal panico e
si mise a piangere. Allora deponemmo
Estate 2016
i nostri zaini e tornammo indietro a
recuperare il compagno bloccato e
il suo carico.» Questo “incidente”
fu quindi motivo di presa in giro
del povero sventurato per gli anni a
venire.
«Sempre quel giorno, mentre
percorrevamo il ripido pendio verso
il buchèl de Cavàja, decidemmo di
fare una sosta. Un nostro compagno,
il Roc, mentre fumava un sigaretta
ammirando i primi bagliori del sole in
un cielo terso, scivolò sul fieno selvatico umido e slittò a valle per decine
di metri. Fortunatamente riuscì a
bloccare il suo rotolare e a tornare
da noi. Era tutto pieno di lividi, ma
pronto a riprendere il cammino.»
Durante il periodo invernale la
rotta del contrabbando era differente
e molto più faticosa. Gli spalloni di
Caspoggio nel pomeriggio entravano
in Svizzera passando dalla dogana di
Tirano e portando gli sci di legno
LE MONTAGNE DIVERTENTI oppure le ciaspole fai da te (un ramo
piegato a forma ovale, tenuto insieme
da fili di spago intrecciati). Caricata la
merce a Poschiavo, risalivano i ripidi
pendii verso il passo di Campagneda.
Era proprio un grande sforzo, visto
che di pelli di foca non ce n’erano: gli
sci erano fasciati con pezzi di cuoio o
stoffa in modo che non scivolassero
all’indietro. Giunti al passo che ormai
era notte, compivano una lunga
diagonale verso l’alpe Prabello. Qui
normalmente sostavano qualche ora
all’interno di una delle piccole baite,
accendendo anche il fuoco per riscaldarsi un pochino. Poi riprendevano la
marcia fino ad arrivare in paese prima
che facesse giorno.
Normalmente si impiegavano
cinque ore a compiere la tratta
alpe Canciano-passo di Campagneda-Caspoggio; ma durante il
periodo invernale o primaverile con
neve molle, il viaggio durava anche
ventiquattro ore!
In un paio di occasioni erano
giunti in paese che era ancora buio
così avevano deciso di riposarsi un
momento presso il cimitero che si
trovava vicino alla piazza. Ma, stanchi
per il lungo cammino, si erano addormentati e si erano svegliati solo
quando ormai era sorto il sole. Allora
via di corsa con lo zaino in spalla
prima che qualcuno li vedesse.
La merce trasportata veniva venduta
a privati oppure a gente che possedeva un’attività e che quindi la rivendeva a sua volta. Durante gli ultimi
anni di questo servizio, Mattia e i suoi
compari cedevano le sigarette a un
intermediario di Sondrio che pagava
meglio rispetto a quelli malenchi.
Mattia narra che nei primi anni
la polizia svizzera non era mai intervenuta, anzi era ben contenta del
commercio che dava guadagno ai
propri concittadini. Invece, alla fine
degli anni sessanta, probabilmente
per accordi presi con lo stato italiano,
multava (100 franchi) chiunque valicasse i passi montani per introdursi
in territorio elvetico, obbligando al
passaggio dalla dogana di Tirano, ma
non ostacolando poi l’espatrio attraverso i valichi d’alta quota.
Mattia non è mai stato fermato dalla
Guardia di Finanza, ma in un paio
di occasioni ha dovuto abbandonare
la carga: una volta all’alpe Prabello e
una al Mut Caslet di Caspoggio, dove
trovò ad attenderlo le forze dell’ordine
allertate da qualcuno che aveva fatto
una soffiata.
«Se catturati - sottolinea mio padre si veniva condotti in caserma a Chiesa
in Valmalenco e si doveva affrontare
un processo con conseguente multa
salatissima.»
Mio padre terminò la sua carriera
da contrabbandiere nel 1969 e nel
1970 iniziò a lavorare alla STAC,
società che gestiva gli impianti di risalita di Caspoggio. Quasi tutti i suoi
amici interruppero l’attività in quegli
anni per due motivi: le opportunità
lavorative meno pericolose e faticose
erano aumentate, ma anche perché il
controllo della Guardia di Finanza si
era fatto molto più pressante.
In tredici anni di “onorata carriera”
ha calcolato di aver fatto sicuramente
più di mille viaggi con lo zaino pieno
di sigarette o caffè!
Mattia con l’inseparabile cappello degli Alpini
(2012, foto archivio Mattia Bruseghini).
Intervista a Mattia Bruseghini
89
Escursionismo
I
N
M
T
B
S
U
L
L
A
La cima della Rosetta (m 2142) è la montagna di Morbegno, una delle più
vicine alla città, con una bella pala erbosa che dalla vetta si abbassa verso la
val Gerola. Bastan due fiocchi di neve che tutti gli appassionati della zona
si precipitano lì con le pelli, basta una bella giornata estiva o autunnale che
diventa folto il pubblico di escursionisti che ne calcano i pendii. E ora è giunto il
momento di farla conoscere anche agli amanti della MTB!
90
LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2016
LE MONTAGNE DIVERTENTI Scendendo dalla cima della Rosetta. In basso a sx si scorge
il lago di Culino (28 maggio 2015, foto
Roberto
Cima
dellaGanassa).
Rosetta (m 2142)
R
O
S
E
T
T
A
Roberto
91
Ganassa
Escursionismo
Bassa Valtellina
SeTe srl Sviluppo e Territorio
Via Pignotti 14, Poggiridenti
SONDRIO
TEL +39 0342 200296
WEB www.setesrl.it
MAIL [email protected]
Foto Pollini
COORDINATE
46°10’13’’ N
9°55’02’’ E
BELLEZZA
FATICA
PERICOLOSITÀ
Partenza: Morbegno (m 255).
Dove parcheggiare: per chi utilizza
setemap
il treno non vi è alcun problema, in
quanto questo ferma a Morbegno. Chi
invece arriva in auto deve considerare
che nel centro di Morbegno i parcheggi
sono tutti a pagamento o a disco orario,
dunque è meglio parcheggiare o al polo
fieristico / bocciodromo o direttamente
nel primo tratto della provinciale della
val Gerola, dove si trovano vari spazi a
bordo strada.
orientarsi nello spazio.it
progettazione e realizzazione
mappe eScursionistichE e TuristichE
Itinerario sintetico: Morbegno
(m 255) - Piantina (m 750) - Bagni
dell’Orso (m 1100) - alpe Tagliata
(m 1500) - Tagliate alte (m 1400) monte Olano (m 1700) - lago di Culino
(m 1965) - cima della Rosetta
(m 2142) - lago di Culino
(m 1965) - monte Olano (m 1700) Tagliate (m 1400) - rifugio della Corte
(m 1250) - I Ronchi (m 1040) - Sacco di
sopra (m 800) - Morbegno (m 255).
Tempo
di salita: 4-5 ore per la cima
della Rosetta.
Attrezzatura
richiesta: MTB
(meglio avere una biammortizzata),
casco, gomitiere e ginocchiere, guanti,
occhiali, scarpe impermeabili, chiave a
brugola multipla, camera d’aria di scorta
con attrezzi per il cambio (se non si
montano copertoni latticizzati).
In verde è la traccia di salita, in rosso quella di discesa.
Difficoltà/dislivello: 3+ su 6 (si
che vi trovate a oltre m 2000, dove le
temperature e il meteo possono cambiare
molto velocemente.
Dettagli: BC. L’itinerario si svolge
su vari tipi di terreno: asfalto, sterrato,
mulattieri e sentieri di cresta. C’è un
tratto un po’ esposto nei pressi della
cima della Rosetta. Non dimenticate
Mappe:
- ERSAF, Val Gerola e valle del Bitto di
Albaredo. Carta Escursionistica, 1:25000.
intende se percorso in MTB), oltre 1800
metri in salita.
«L
e cime, dopo averle fatte sia a piedi che con gli sci, le salirò
anche in MTB!» Questa era una delle idee che avevo da
giovane e ora la sto concretizzando con grande soddisfazione.
Così, quando l’anno scorso a fine
maggio ho incontrato Angelo Ronconi
- un vecchio compagno di ravanate
con gli sci e ora grande appassionato
di MTB - gli ho proposto come mia
prima uscita dell’anno la Rosetta.
Avevo già salito la cima della Rosetta
con la MTB nel 2007, armato di una
bici economica appena acquistata.
Ricordo bene la faticaccia fatta, non
avendo per niente la gamba del biker.
92
LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2016
LE MONTAGNE DIVERTENTI A dire il vero gamba e tecnica mi
mancano anche ora, ma la passione
per le cosiddette ravanate sopperisce
ampiamente a queste carenze.
Prima di raccontare l’itinerario è
doverosa una premessa: io non sono
un vero ciclista e ho una visione forse
un po’ distorta della MTB. Infatti,
solitamente si sceglie un percorso in
base al divertimento in discesa, proprio
come nello scialpinismo; siccome non
sono un buon discesista, io prediligo invece la salita e il mio obbiettivo
rimane la cima, il passo o comunque
un punto in alto da cui godermi ampi
paesaggi. Per questo motivo il percorso
che propongo per raggiungere la cima
della Rosetta non è certo la prima
scelta che farebbe un biker, come mi
conferma Angelo, ma è quello che più
si addice ad una mia personale ricerca
estetica.
Cima della Rosetta (m 2142)
93
Escursionismo
Bassa Valtellina
Monte Combana
(2327)
Cima della Rosetta
Pizzo dei Galli
(2142)
(2217)
Lago di Culino
Monte Legnone
(2610)
Monte Olano
La Corte
Al
pe
Ta
gli
ata
Tagliate
I Ronchi
Mellarolo
Sacco
Piantìna
Cosio
Piantìna e la sua chiesetta (6 maggio 2016, foto Roberto Ganassa).
Morbegno
polo fieristico
Morbegno e la cima della Rosetta visti dalle pendici della Cólmen di Dazio. Indicati gli itinerari di salita (verde) e di discesa (rosso). Col doppio colore sono
segnate le parti comuni (3 ottobre 2009, foto Roberto Ganassa).
D
al margine sud occidentale di
Morbegno (via San Rocco,
m 255) pedaliamo lungo la strada
provinciale della val Gerola1, tagliando
verso ponente l’ampia falda del monte
sopra Cosio. Poco dopo il primo
tornante (e anche l’unico della SP 7
fino a Gerola), imbocchiamo la strada
sulla dx che sale a Piantìna (m 750) e
alpe Tagliata (Munt del Taià). Superati
i prati di Piantìna, dove si trovano
numerose seconde case e una chiesetta,
continuiamo a salire nel fresco bosco
orobico fino al parcheggio presso i
cosiddetti Bagni dell’Orso (m 1100)2.
Da qui una ripida rampa ci porta agli
aperti pascoli del Taià, dove la strada
ritorna a pendenze moderate. Superato
un laghetto, il panorama spazia dalla
bassa Valtellina al monte Disgrazia.
Ci aspetta ora qualche tornante faticoso fino alla baita chiamata “Primi
Masun”, dove la sterrata s’addolcisce
nuovamente. Al tornante destrorso
1 -La strada, a gestione statale fino al 2001, è stata
costruita nel 1910 e rinnovata negli anni Sessanta.
2 - Il toponimo parrebbe derivare dall’antica frequentazione della località da parte dei plantigradi
(fonte: Massimo Dei Cas, www.paesidivaltellina.it)
94
LE MONTAGNE DIVERTENTI a circa m 1500, abbandoniamo la
strada per l’alpe Tagliata e svoltiamo
a sx, attraversando, con una bretella
di sentiero, la val Giuta. Tornati sulla
strada, la seguiamo fino a quando sulla
dx si stacca il ripido tratturo che porta
ai prati di Tagliate di Sopra, quindi al
panoramico dosso pascolivo del monte
Olano (m 1700).
Proseguiamo verso S e andiamo
a intercetare l’evidente sentiero che
taglia i versanti settentrionale e orientale della cima della Rosetta. Insistendo verso S raggiungiamo la casera
nei pressi del lago di Culino (m 1969).
Il sentiero, largo e a tratti pianeggiante, piega decisamente a O e si
porta presso la baita Culino (m 2042).
Salendo prima verso N (dx), poi NE,
rimontiamo il gradone che sovrasta il
lago di Culino. La cima della Rosetta,
anche se in parte nascosta, si sta
approssimando. Traversati in salita i
pendii erbosi in direzione NE (frangenti ripidi e un po’ esposti), raggiungiamo la grande croce della cima della
Rosetta (m 2142, ore 4:30).
Ora con calma possiamo scegliere
la via di discesa. Le alternative sono
molte e con differenti gradi di difficoltà, ma io opto per una facile.
Torniamo così sui nostri passi fino al
monte Olano (m 1700) e da qui scendiamo sul grande sentiero, a tratti
sassoso, fino al rifugio della Corte
(m 1250). Dopo una birra e due
chiacchere con Corrado, il gestore,
prendiamo la strada asfaltata (dx),
fino a quando sulla sx (m 1080 ca.)
alcuni gradini ci danno accesso al
sentiero per Mellarolo. Poco dopo,
intercettata la stradina sterrata
che scende alle numerose case dei
Ronchi, la seguiamo verso NNE (sx)
e su un tracciato che alterna tratti di
sentiero e di carrareccia arriviamo
alle case alte di Sacco3. Quando la
carrozzabile, ora cementata, volta
a dx (E), noi ci lasciamo guidare da
un cartello marrone che individua il
sentiero sulla sx e che reca tra le indicazioni quella per Piantìna. Oggi
non attraverseremo Sacco, riservandoci per una prossima gita la visita a
3 - Un tempo Sacco era formata da due nuclei ben
distinti, rispettivamente di sotto e di sopra, tra i
quali nei primi secoli dopo il Mille passava addirittura la linea di confine fra le pievi di Ardenno e di
Olonio.
Estate 2016
Il lago di Culino (28 maggio 2015, foto Roberto Ganassa).
In vetta alla cima della Rosetta (28 maggio 2015, foto Roberto Ganassa).
LE MONTAGNE DIVERTENTI Lungo il sentiero tra l’alpe Tagliata e Tagliate
(6 maggio 2016, foto Roberto Ganassa).
questo borgo del comune di Cosio,
che ha mantenuto molto dell’aspetto
antico, dalle case del Quattrocento e
Cinquecento che custodiscono affreschi di pregio - prima fra tutte quella
celebre per la camera picta con la raffigurazione dell’Homo Salvadego4 - ai
tesori della chiesa di San Lorenzo.
Il sentiero che abbiamo invece
intrapreso è divertente e traversa
il fianco del monte fino nei pressi
di Piantìna, dove recuperiamo la
strada asfaltata5 che seguiamo fino a
Morbegno.
Trattandosi di una gita in MTB,
il tempo di percorrenza è legato alle
capacità tecniche del ciclista in salita,
ma ancor di più in discesa, dove è
impossibile dare delle indicazioni
cronometriche per il “biker medio”.
Tengo, infine, a ricordare che i
sentieri sono stati realizzati prima di
tutto per gli escursionisti, dunque la
precedenza è d’obbligo, come l’evitare
di lanciarsi a folli velocità in discesa
mettendo a repentaglio la sicurezza
degli altri utenti della montagna.
Non va inoltre dimenticato il rispetto
dei pascoli e del lavoro degli alpeggiatori, che proprio in queste zone
producono formaggi genuini di
qualità superlativa.
4 - Per approfondimenti sul Museo dell’Homo Salvadego in contrada Pirondini, vedi Giorgio Orsucci,
Nella casa del Salvadego, LMD n. 17 - Estate 2011,
pp. 121-125.
5 - Da qui si potrebbe prendere anche la mulattiera,
a tratti tecnica, che scende fino all’abitato di Regoledo di Cosio
Cima della Rosetta (m 2142)
95
Escursionismo
Bassa Valtellina
Finalmente in libreria!
108 pagine, € 12,50
Scendendo dal monte Olano (6 maggio 2016, foto Roberto Ganassa).
R ifugio
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Graziano Murada
Nembro
I
Viaggio lungo i sentieri della vita
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LE MONTAGNE DIVERTENTI ☞
chi sono stati
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I PIÙ VELOCI?
le schede e i commenti degli
ATLETI
Estate 2016
l rifugio della Corte, situato a
m 1250 nell’omonima località all’imbocco della val Gerola, è
un buon punto di riferimento per le
escursioni estive e invernali nell’area
compresa fra pizzo dei Galli e Rosetta.
La struttura, che offre 15 posti letto
e fino a una cinquantina di coperti
quando il bel tempo consente di stare
all’aperto, è di proprietà della parrocchia di Sacco e ha quasi cent’anni.
Costruita nel 1920, venne utilizzata fino al 1990, quando lo storico
gestore Gerolamo Fazzini noto come
“Girumìn” lasciò per raggiunti limiti
di età.
All’inizio del 2002 io e Mara demmo
il via ai numerosi e necessari interventi
di ristrutturazione e a novembre dello
stesso anno il rifugio riaprì ufficialmente i battenti sotto la nostra guida.
Sono oramai 14 anni che gestisco il
rifugio, tenendolo aperto da maggio
LE MONTAGNE DIVERTENTI della
a ottobre e tutti i fine settimana
dell’anno. La decisione di lasciare il
mio posto sicuro di tecnico radiologo in ospedale non è stata semplice:
la professione in fondo mi piaceva e
mi gratificava. Ma dopo tanto tempo
posso affermare che mai mi sono
pentito della scelta. Ho realizzato il mio
sogno di vivere e lavorare proprio dove
ho trascorso i momenti più felici della
mia infanzia, ripetendone la magia.
L’ amore per i miei monti, infatti, è
sempre stato forte, molto forte, quasi
una vocazione e gestire un rifugio,
sebbene non arricchisca in termini
di denaro, consente di vivere in
montagna e di vivere la montagna.
La passione per lo sport, inoltre, ci
ha permesso di organizzare eventi in
collaborazione con associazioni e Pro
Loco locali. Così, nel tempo, siamo
riusciti a portare in quest’angolo della
val Gerola un discreto afflusso di
C orte
Corrado Morelli
Corrado Morelli (2015, foto Roberto Ganassa).
persone lungo tutto il corso dell’anno.
Cordialità, informazioni e una buona
cucina casalinga hanno fatto il resto,
tanto che numerosi ospiti sono divenuti buoni amici.
Rifugio della Corte (m 1250)
97
Escursionismo
Alta Valtellina
Val Trèla-val Alpisella
Uno splendido e semplice anello escursionistico attorno alla dorsale del
monte Pettìni, tra la valle di Fraele e quella di Livigno, che, nell’ultima parte,
fa visita alle sorgenti del fiume Adda e ne segue il corso fino al colossale
invaso di San Giacomo di Fraele.
Luciano Bruseghini
Scendendo dal passo dell’Alpisella nella valle
omonima, dove sono le sorgenti del fiume Adda
(26 settembre 2015, foto Luciano Bruseghini).
98
LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2016
LE MONTAGNE DIVERTENTI Val Trèla - val Alpisella
99
Escursionismo
Alta Valtellina
L
Mappa della valle di Fraele a inizio ‘900, prima della costruzione delle dighe.
Pizzo del Ferro
(3054)
VAL
L
Cassa del Ferro
(3140)
VA
L
EA
LPI
SEL
LA
LE
BR
UN
A
Il lago di Cancano, lo sbarramento della diga di San Giacomo e le valli Alpisella e Bruna
(19 settembre 2013, foto Giacomo Meneghello).
BELLEZZA
FATICA
PERICOLOSITÀ
-
Partenza: Petìn (m 1953).
Itinerario automobilistico: da Bormio seguire
la SS 301 del Foscagno in direzione Livigno. Alla
chiesa della Madonna della Pietà (4,5 km da Bormio),
si imbocca a dx (indicazione laghi di Cancano) la
strada asfaltata che con 19 tornanti conduce alle torri
di Fraele (8 km). Da qui il fondo diventa sterrato.
Si costeggiano prima il lago naturale delle Scale,
poi i bacini artificiali di Fraele e di San Giacomo
(l’accesso alla strada che costeggia i laghi di Cancano
e San Giacomo nel periodo estivo limitato ai mezzi
autorizzati; glialtri possono usufruire di un servizio
sotitutivo con bus navetta). Superato il ristoro San
Giacomo, dopo un ulteriore breve tratto immerso nel
bosco, alle case di Petìn (8 km) parcheggiamo nella
piccola piazzola con pannello illustrativo allo sbocco
della val Pettìni.
Itinerario sintetico: Petìn (m 1953) - bocchetta
di valle Lunga (m 2335) - passo di val Trela (m 2295) Stefan (m 1918) - passo di val Alpisella (m 2268) sorgenti dell’Adda (m 2102) - Petìn (m 1953).
Tempo previsto: 6 ore e mezza.
Attrezzatura richiesta: da escursionismo.
Difficoltà/dislivello: 2 su 6, 1000 metri.
Dettagli: E. Escursione su strade e sentieri
segnalati senza alcuna difficoltà tecnica. Lo sviluppo
è di circa 20 km.
Mappe:
- Kompass n. 96 - Bormio Livigno Valtellina,
1:50.000;
- Alta Valtellina edizione 2010, 1:50.000, realizzata
da Alpinia.
Salendo in val Pettìni (26 settembre 2015, foto Luciano Bruseghini).
100
LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2016
LE MONTAGNE DIVERTENTI a partenza della gita è a Petìn1,
alla cnfluenza della valle Pettìni
in quella di Fraele, dove il lago artificiale di San Giacomo forma un’insenatura. L’invaso ha cancellato quei
luoghi che, nel documentario realizzato nel 1953 dal regista Romolo
Marcellini con il patrocinio del ministro valtellinese Ezio Vanoni, vengono
definiti “muti paesi sommersi”.
Tra questi vi era il nucleo di San
Giacomo, che si trovava non lontano
dal passo di Fraele, lungo una delle
più importanti arterie commerciali
dalla Valtellina verso il nord Europa.
San Giacomo era un piccolo nucleo
con tanto di caserma della Finanza,
casa cantoniera, osteria e chiesetta,
le cui prime testimonianze risalgono
addirittura al 12872. Poi, nel 1940,
iniziarono i lavori per la costruzione
della diga di San Giacomo, che terminarono solo nel 1950 per il frapporsi
della Seconda Guerra Mondiale. Il
lago - originato da uno sbarramento a
gravità alleggerita alto fino a 91,5 m,
lungo 995 m e con una capacità di
64 milioni di metri cubi - sommerse
completamente l’abitato3. Prima
degli invasi colossali la valle di Fraele
aveva anche un suo laghetto naturale,
il lago della Cornaggia. Questo fu
visitato il 13 agosto 1902 da Bruno
Galli-Valerio durante le sue avventurose vacanze estive effettuate sempre
e solo a piedi, “dal Tresero all’Ortler
e alle Dolomiti di San Giacomo di
Fraele”. “Dal 7 agosto - racconta4 - è il
primo giorno di riposo. Da S. Giacomo
al lago della Cornaggia, passiamo il
tempo dando la caccia a ragni, zanzare
e raccogliendo galle. Quanto alle trote,
esse ci rubano due ami, ma continuano
a nuotare tranquillamente nelle azzurre
acque del lago.”
1 - Petìn è il toponimo locale, riportato anche da
Giovanni Peretti in Rifugi alpini bivacchi e itinerari
scelti in Alta Valtellina, Bonazzi Grafica, Sondrio
1987. Il toponimo è stato trasformato in Alpe de
Pettin su CTR. Il gruppo di baite è senza nome su
CNS, Kompass, e su IGM 1:25000, dove addirittura
nella valle di Fraele vi è la sola diga di Cancano I.
Ciò significa che il foglio non è più stato aggiornato
dagli anni ‘40.
2 - Mario Gianasso, Guida turistica della provincia di
Sondrio, II edizione a cura di Antonio Boscacci,
Franco Gianasso e Massimo Mandelli, Banca Popolare di Sondrio, Sondrio 2000.
3 - L’attuale chiesetta di San Giacomo di Fraele,
dislocata in testa al lago, fu eretta nel 1953 a protezione delle dighe.
4 -Bruno Galli-Valerio, Punte e passi, traduzione italiana a cura di Luisa Angelici e Antonio Boscacci,
Tipografia Bettini, Sondrio 1994.
Val Trèla - val Alpisella
101
Escursionismo
Alta Valtellina
Verso il passo di val Trela (26 settembre 2015, foto Luciano Bruseghini).
5 - Il toponimo deriva dall’italianizzazione di val di
Petìn.
6 - Fino a fine ‘800 per raggiungere l’alpe Trela si
doveva affrontare un sentiero a tratti molto angusto
ed esposto sui precipizi della gola terminale della val
Corta. Questo venne allargato negli ultimi anni del
secolo, quindi sostituito da una pista militare
costruita ai tempi della Prima Guerra Mondiale.
102
LE MONTAGNE DIVERTENTI Il passo di val Trela (14 settembre 2014, foto Roberto Ganassa).
S
PI
EL
LE
AL
Al bivio. A sx si va a Trepalle, a dx in val Torto (26 settembre 2015, foto Luciano Bruseghini).
VAL
Tornando a noi, imbocchiamo la
val Pettìni5 (NO) seguendo la carrareccia che costeggia il torrentello sulla
sx idrografica, ma poco dopo, grazie
a provvidenziali ponti in legno, ci
spostiamo sull’altro versante. Prendiamo rapidamente quota accompagnati da verdeggianti e profumati pini
mughi. Prima di una vallecola che
scende sulla destra, incappiamo in un
bivio: a sx la strada sterrata6 percorre la
val Corta, o valle dell’Acqua, e si dirige
alle cascine di Trela, mentre il sentiero
n. 130 (dx), che noi scegliamo, sfrutta
la val Lunga e guadagna la bocchetta
omonima (m 2335).
All’improvviso ecco comparire un
quadro bucolico: un nutrito gruppo
di cerve bruca erba e bassi cespugli.
Man mano che ci avviciniamo, pur
cercando di non allarmarle, odono
comunque i nostri passi e se la danno
a gambe levate. Peccato! Poteva scapparci una foto superlativa.
Proseguiamo la marcia ai piedi del
monte Pettìni fino a sbucare su di un
esteso pianoro con vista a 360°. In
Scendendo in val Pila. In alto sullo sfondo è Trepalle (26 settembre 2015, foto Bruseghini).
Scendendo in val Pila (26 settembre 2015, foto Luciano Bruseghini).
Il lago di Livigno e la valle Alpisella (14 settembre 2014, foto Roberto Ganassa).
Estate 2016
LE MONTAGNE DIVERTENTI LA
basso verso S risaltano nel verde dei
pascoli le baite dell’alpe Trela, dominate dal pinnacolo della punta Lago
Nero; verso O si protende la vallata
che conduce al passo di val Trela e a
NE è annidata la conca occupata dal
bacino artificiale di San Giacomo,
impreziosita dalle vette del piz
Murtaröl e del piz Magliavachas.
Insistiamo sulla traccia che a mezzacosta punta al valico, posto su un bel
dosso panoramico, e con alcuni saliscendi in breve conquistiamo il passo
di val Trela (m 2295, ore 1). Qui
incrociamo diversi bikers sfiancati
dalla salita da Trepalle e che si apprestano a buttarsi a capofitto in direzione San Giacomo, per poi rientrare
a Livigno dalla valle Alpisella: praticamente stanno compiendo il nostro
stesso itinerario in senso inverso.
Guardando verso SE ammiriamo l’intera val Trela e il calcareo massiccio
delle cime di Platòr.
Riposati e rifocillati, marciamo
decisi sull’ampio sentiero che perde
gradatamente quota lungo la val Pila:
essendo un tracciato studiato per le
mountain bike, la stradina è veramente comoda e priva di difficoltà.
Velocemente digradiamo allietati dallo
scrosciare di un piccolo ruscello e dal
fischio delle ultime marmotte ancora
sveglie. Giunti nelle vicinanze di una
Val Trèla - val Alpisella
103
Escursionismo
Alta Valtellina
Il lago dell’Alpisella (26 settembre 2015, foto Luciano Bruseghini).
presa dell’acqua, abbandoniamo il
sentiero n. 130 che si diparte verso sx
(destinazione Trepalle) e seguiamo il
fondovalle (sentiero n. 133), mirando
alle abitazioni di Stefan7, frazione di
Trepalle (m 1918, ore 0:45).
Mantenendo sempre la dx idrografica avanziamo su uno sterrato che si
infila in val Torto nel canyon scavato
dal torrente. Nel procedere accanto
al ruscello, lungo un tratto sinuoso
inciso nella roccia, avvertiamo una
strana sensazione di impotenza: in un
attimo la natura potrebbe sopraffarci
con le sue imprevedibili forze.
Poco dopo la strada si trasforma
in un agevole viottolo che accompagna il gorgogliante corso d’acqua.
Ignorando un deviazione sulla sx,
seguiamo la pista di dx che per un
breve tratto scema in un sentiero
stretto e piuttosto avventuroso, in
quanto si rischia di finire coi piedi
7 - Riproponendo la fonetica dialettale la CTR
riporta il toponimo Sc’tefan.
Il terzo e più alto laghetto della valle Alpisella “di Fraele” (26 settembre 2015, foto Luciano Bruseghini).
104
LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2016
LE MONTAGNE DIVERTENTI a mollo. Poi la via torna comoda
e meno incassata. La lunga discesa
termina a circa m 1840 presso il
conoide di detriti scaricati a valle dal
Rin d’Alpisella, che raccoglie le acque
di vari rigagnoli che scaturiscono
dalle pendici meridionali del pizzo
del Ferro. Lo attraversiamo su grosse
pietre, quindi seguiamo la traccia
(poco evidente - bollino bianco-rosso
verniciato sulla roccia8) che si inerpica (dx) su un dosso fino a m 1920,
dove intercettiamo l’ampia mulattiera che unisce il lago di Livigno
alla valle di Fraele. Questa percorre
interamente la valle Alpisella, toponimo che identifica la profonda frattura della crosta terrestre compresa
tra la costiera pizzo del Ferro - pizzo
Aguzzo, formata dalla dolomia di Pra
Grata, e i calcari della dorsale cima
8 - Se si mancasse questo sentiero e si proseguisse
verso valle, si allungherebbe di molto il percorso
giungendo fino al lago di Livigno.
di Pozzin - monte Pettìni9. Ma la
valle Alpisella non ha solamente una
discontinuità trasversale, bensì, come
scrive Giorgio Orsucci in 100 laghi di
Valtellina e Valchiavenna10: “talmente
sfuggente è la cesura creata dal passo di
val Alpisella fra i due valloni, che essi
sono ricondotti a un unico toponimo,
Alpisella per l’appunto. Sicché la valle
Alpisella si configura come un unico
canale che, in apparente soluzione di
continuità, collega il lago di Livigno al
lago di San Giacomo.
In realtà, nonostante la sua morfologia sia molto uniforme e quasi
pianeggiante, la valle è spaccata da
un importante spartiacque: la goccia
che cade a ovest del passo di val Alpisella scende nel lago di Livigno, quindi
nello Spöl, poi nell’Inn, nel Danubio e
infine nel mar Nero; la goccia che cade
a est del passo, invece, va nell’Adda
che proprio in questa valle ha le sue
sorgenti, quindi nel Po e infine nel mar
Adriatico”.
Percorriamo (dx) un primo tratto
pianeggiante scortati da giovani
camosci che compiono spericolate evoluzioni tra le rocce sopra
le nostre teste facendoci temere la
caduta di massi! Attraversato un
ponte11, iniziamo la ripida ascesa in
un ombroso bosco di conifere dove
tre provvidenziali tornanti smorzano
la pendenza. A oltre m 2150 usciamo
dalla frondosa vegetazione. A questo
punto insistiamo in direzione E fino
a incrociare il verde lago dell’Alpisella
(m 2268), che Bruno Galli-Valerio12
così declamava: “Attraversando l’Alpisella per fare una passeggiata a Livigno,
penso che se fossi un pittore passerei
alcuni giorni lassù, per riprodurre
gli splendidi contrasti: le rocce nude,
tormentate, i pascoli verdi e i laghetti
dell’Alpisella. Vorrei dipingere l’ultimo
laghetto verso Livigno, collo sfondo
artistico del Saliente e della Corna dei
Cavalli, le cui guglie brune si staccano
sull’azzurro del cielo.”
Intorno vi sono baite e spaziose
stalle che ospitano nei mesi estivi
numerosi capi di bestiame. Consi9 - Carta Geologica d’Italia, foglio n. 8 - Bormio,
1:100.000.
10 - Beno e Giorgio Orsucci, 100 laghi di Valtellina
e Valchiavenna, Lyasis, 2013.
11 - Pontino dell’Alpisella su CTR.
12 - Bruno Galli-Valerio, Punte e passi, op. cit.
Val Trèla - val Alpisella
105
Escursionismo
Alta Valtellina
Le sorgenti dell’Adda (29 settembre 2006, foto Matteo Gianatti).
Scendendo al lago di San Giacomo (26.9.2015, foto Bruseghini).
Le case di Petìn (26 settembre 2015, foto Luciano Bruseghini).
derato l’immenso territorio a disposizione, le mucche non hanno che
l’imbarazzo di scegliere dove pascolare!
Poco oltre, siamo al secondo valico
di giornata: il passo di valle Alpisella
(m 2285, 2 ore).
Le salite sono finite: d’ora in avanti
si cammina solo in piano o in discesa.
Seguiamo ancora la strada sterrata
che percorre tutta la valle verso E,
permettendo di ammirare i restanti tre
laghetti dell’Alpisella, finché sulla sx
(N) prendiamo il sentiero ben segnalato che conduce alle sorgenti “ufficiali” del fiume Adda (m 2102). Le
sorgenti sarebbero più correttamente
106
LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2016
LE MONTAGNE DIVERTENTI da identificarsi con quelle mappate
sulla CNS, ovvero in corrispondenza
di alcune pozze rossastre poste sul lato
opposto della valle13 a circa m 2200.
Un breve tratto fra rocce e aghifoglie
e scopriamo dove nasce e inizia il suo
percorso il quarto fiume italiano per
lunghezza (313 km). Visto da qui
sembra solamente un piccolo e fresco
rigagnolo di montagna e non dà l’idea
di poter diventare uno dei giganti
navigabili del nostro Paese.
Ripresa la marcia sempre in sx idrografica, abbiamo il terzo e improvviso
13 - Massimo Dei Cas, Alle sorgenti dell’Adda, LMD
n.1 - Estate 2007, pp. 27-32.
incontro faunistico, anche se stavolta è
meno piacevole dei precedenti: un’intorpidita vipera se ne sta arrotolata a
fianco della pista, ma come sopraggiungiamo si defila elegantemente tra i
ciuffi d’erba selvatica. Fortunatamente
Valeria non la scorge, altrimenti chissà
che urla e che fuga a gambe levate
farebbe!
Continuiamo la discesa verso la valle
di Fraele, nel bosco. In men che non
si dica sbuchiamo sulla carrozzabile
che costeggia il lago di San Giacomo.
La percorriamo verso dx (S) e in dieci
minuti chiudiamo il nostro anello a
Petìn (m 1953, ore 1:45).
Val Trèla - val Alpisella
107
Islanda
Rubriche
il trekking delle sorgenti calde
– “Laugavegur”
Quattro tappe, 90 km e 3600 metri di dislivello positivo: è uno dei percorsi più belli che si possono effettuare in
Islanda. Tecnicamente non impegnativo (alcuni tratti su neve o attrezzati), è ben segnalato e servito da rifugi. La più
grande incognita del trekking è il meteo, mai così variabile come in questa remota isola in mezzo all’Atlantico, capace di
alternare giornate soleggiate e miti ad altre quasi invernali, anche in piena estate. Considerando la latitudine (64° N), tra i
m 1000 e i m 1500 di altitudine si presentano condizioni analoghe a quelle che si trovano a m 3000 sulle Alpi.
Andrea Toffaletti
A poche decine di minuti dalla partenza, a monte della cascata di Skogafoss, si
apre davanti a noi l’itinerario che dovremmo affrontare con la salita fino al passo
Fimmvörðurháls lungo le pendici del vulcano Eyjafjallajökull, che tanti problemi
creò
la sua eruzione
(1 agosto
LE con
MONTAGNE
DIVERTENTI
2014, foto Giulia Frangi).
108nel 2010
Estate 2016
LE MONTAGNE DIVERTENTI Islanda - Il trekking delle sorgenti calde
109
Rubriche
Viaggi
CIRCOLO POLARE ARTICO
MARE DI
NORVEGIA
Landmannalaugar
Skogar
OCEANO ATLANTICO
L’Islanda. Indicati con la linea continua il percorso fatto in autobus, col tratteggio il trekking vero e proprio.
Costi: prenotando con largo anticipo è possibile spendere circa 500 € per il volo diretto a/r dall’Italia. Il bus da e per la partenza del trekking si
aggira intorno ai 100 € a/r. Cari sono i rifugi, intorno ai 40 € a notte senza vitto e occorre prenotarli almeno 6 mesi prima. Per info: www.nat.is.
L’
Islanda, ovvero “terra del
ghiaccio”, è un’isola vulcanica situata a nord dell’Europa
attorno tra il 63° e il 67° parallelo. Nonostante la sua latitudine
spinta, la corrente del Golfo ne
mitiga il clima rendendo questa
isola abitabile (312000 persone, di
cui oltre un terzo gravita attorno
alla capitale Reykjavík).
Il territorio islandese, che misura
circa 103000 km2, è composto per
lo più da montagne e altipiani.
Circa il 10% dell’isola è ricoperto
da ghiacciai, tra cui il Vatnajökull,
il più grande d’Europa. Le attività vulcaniche e geotermiche
disegnano il paesaggio, mentre il
contrapporsi di correnti miti con
altre fredde genera una zona di
bassa pressione quasi permanente
che rende il clima estremamente
variabile.
L’Islanda è un’isola che non si
finisce mai di scoprire: nei miei
precedenti viaggi avevo visitato i
110
LE MONTAGNE DIVERTENTI fiordi occidentali ed effettuato il giro
dell’isola, con interessanti puntate
nell’interno. Questa volta voglio
assaporare l’Islanda più selvaggia,
in tenda e a diretto contatto con la
natura. L’occasione è il trekking del
Laugavegur, il cosiddetto “sentiero
delle sorgenti calde” che, dalla località di Skógar sulla costa meridionale
islandese conduce in quattro giorni
nella montuosa regione di Fjallabak,
precisamente a Landmannalaugar,
dove si trovano invitanti pozze
d’acqua calda.
Il tragitto può essere percorso
anche in senso opposto, in discesa,
come fa la maggioranza degli escursionisti. Il nostro gruppo, invece,
vuole porsi come traguardo alle
proprie fatiche le pozze di acqua
calda di Landmannalaugar.
Arrivati a Reykjavík con volo
diretto da Milano, ci spostiamo in
pullman lungo la Ring Road n°1
costeggiando le numerose cascate
che punteggiano la costa meridionale. Montata la tenda a un centi-
naio di metri dalla bella cascata
Skogafoss ci addormentiamo sotto la
fastidiosa e caratteristica pioggerella
islandese.
I TAPPA: SKÓGAR - BASAR
(26 km / DISLIVELLO + 1100 m)
Il risveglio la mattina seguente
non è dei migliori: piove, la tenda
è allagata e la sveglia suona due ore
prima del previsto (4:30) perchè non
abbiamo impostato il fuso orario.
Smontato il campo ci mettiamo in
cammino curvi sotto zaini stracarichi. Il percorso risale il corso del
fiume Skógar su ampi pendii alle
falde del famigerato Eyjafjallajökull,
il vulcano che durante l’eruzione del
2010 sputò tanta cenere da paralizzare per vari giorni i voli in tutta
Europa. Il sentiero è evidente e si
snoda tra piccole cascate. Attraversato un ponticello in legno intercettiamo la strada sterrata nei pressi
del bivacco Baldvinnskali (m 880).
Il paesaggio si fa sempre più aspro e
appaiono i primi nevai che preludono
Estate 2016
2° tappa. Poco dopo aver attraversato un profondo canyon siamo ormai in vista del rifugio Emstrur (2 agosto 2014, foto Andrea Toffaletti).
al passo Fimmvörðurháls (m 1100),
il punto più elevato dell’intero
trekking. Proseguiamo per campi di
lava originati da recenti eruzioni e
coni vulcanici che sprigionano vapori
di zolfo. Vuoi per questo, vuoi per
una nebbia da pianura Padana, l’atmosfera sembra quella di un girone
dantesco. A causa del forte vento non
indugiamo troppo dirigendoci verso
la sottostante valle di Þorsmörk,
ovvero la “valle degli Dei”. Qui superiamo, grazie a una catena di sicurezza, un passaggio esposto, l’unica
difficoltà tecnica dell’intero percorso.
Attraversiamo verdi vallate a cui
seguono stretti canyon scavati dai
fiumi nella tenera cenere vulcanica,
quindi boschi di betulle nane nella
parte più bassa della valle. Raggiunto
in serata il piccolo insediamento di
Basár, montate le tende, fatta una
doccia semi-calda nelle strutture del
campeggio e rifocillati a dovere, ci
buttiamo nelle tende speranzosi di
trovare un tempo migliore al nostro
risveglio.
LE MONTAGNE DIVERTENTI II TAPPA: BASAR - BOTNAR (15 km
- DISLIVELLO + 150 m)
Il nuovo giorno ci accoglie con
un cielo terso e senza nubi. Ciò ci
consente di ripiegare le nostre tende
praticamente asciutte e di fare un’abbondante colazione crogiolandoci al
sole. La seconda tappa non ci preoccupa molto: il percorso è pianeggiante e si snoda prevalentemente in
una larga vallata, dove ci sono solo un
paio di guadi da effettuare. Partiamo
di buona lena raggiungendo il rifugio
di Þorsmörk dall’altra parte della valle
dopo aver superato l’ampio letto del
torrente Krossá. Il paesaggio è rigoglioso: qualche albero alto non più di
tre metri, erba verde e ruscelli ricordano le nostre Alpi.
Guadato il fiume Þröngá, togliendoci scarponi e calze, entriamo in
un’ampia vallata. Il verde lascia
spazio a un brullo altopiano sferzato
dal vento che alza folate di polvere.
Incontriamo molti escursionisti che
viaggiano in senso opposto al nostro:
sono soprattutto inglesi, francesi e
ovviamente tedeschi. Qualche parola,
un pranzo frugale e si riparte. Il tempo
volge nuovamente al brutto e nubi
scure ci scaricano addosso acqua e
grandine, che fronteggiamo col giusto
equipaggiamento. Grazie a un ardito
ma solido ponticello sorpassiamo il
profondo canyon scavato dall’impetuoso torrente Syðri-Emstruá, che
nasce da una lingua del ghiacciaio del
Mýrdalsjökull. Raggiungiamo quindi
il rifugio di Emstrur (m 500 circa)
e l’annesso campeggio, posto in
pendenza in riva a un torrentello.
I rifugi islandesi sono ben diversi da
quelli sulle Alpi: innanzitutto devono
essere prenotati molto in anticipo,
anche sei mesi prima, e non offrono
cibo, costringendo l’escursionista a
portare i viveri da casa.
Il tempo non migliora molto: tira
un forte vento e la temperatura è
attorno ai 5°C, ma almeno non piove!
Al riparo di un fabbricato consumiamo una cena veloce a base di
piatti liofilizzati e poi ci ritiriamo nelle
tende.
Islanda - Il trekking delle sorgenti calde
111
Rubriche
III TAPPA: BOTNAR - ALFTAVATN
(16 km - DISLIVELLO + 50 m)
Dopo una travagliata notte passata
a temperature prossime allo zero, la
mattina, sotto un cielo plumbeo, ci
incamminiamo verso nord, lungo
un ampio e ben segnalato sentiero
che attraversa un arido altopiano
costituito prevalentemente da roccia
lavica. Il paesaggio è reso vivace dalla
presenza di alcuni vecchi coni vulcanici ricoperti da una verdissima vegetazione pioniera. Dopo aver guadato
alcuni rivoli, raggiungiamo una pista
sterrata lungo la quale ogni tanto fa
la sua comparsa qualche jeep. La pista
prosegue verso nord per circa 3 km,
fino al guado più profondo e impegnativo dell’intero trekking: quello
del fiume Kaldaklofskvísl. Qui è d’obbligo togliersi scarponi, calzettoni e
pantaloni poiché l’acqua supera l’altezza del ginocchio. La corrente non
è molto forte, ma è consigliabile avere
due bastoncini per mantenere l’equilibrio: una caduta in acqua, anche se
non pericolosa, bagnerebbe zaino e
l’attrezzatura contenuta.
Dopo un paio di chilometri siamo
al piccolo agglomerato di case di
Hvanngil (ovvero “l’ovile”), dove si
trova la fermata del pullman diretto
verso la costa, a Sellfoss, e che permetterebbe di interrompere il trekking in
caso di necessità.
Altri cinque chilometri e concludiamo la terza tappa, il lago di
Álftavatn, dove a circa m 500 vi è un
rifugio e il relativo campeggio, privo
di acqua calda. Montata in fretta la
tenda per il sopraggiungere di nuove
precipitazioni, ci rifocilliamo a dovere
e ci corichiamo piuttosto preoccupati:
le previsioni, comunicateci dal rifugista, annunciano neve oltre i 900 m.
IV TAPPA: ÁLFTAVATN LANDMANNALAUGAR (24 km DISLIVELLO + 470 m / - 500 m)
Nonostante le previsioni, il tempo
è stranamente bello. Solo qualche
velatura in cielo ci ricorda che qui, a
64° di latitudine nord, in mezzo all’oceano Atlantico, il tempo è estremamente mutevole. Dal lago di Álftavatn
ci portiamo verso le montagne di Fjallaback, sipario alla valle di Landmannalaugar, capolinea del trekking.
Il sentiero si snoda in una stretta
112
LE MONTAGNE DIVERTENTI Viaggi
3° tappa. A circa un’ora di cammino dal rifugio di Emstrur nell’ampia vallata in direzione nord.
Questo è forse il luogo in cui ci si sente davvero piccoli al cospetto dei grandi spazi disabitati
islandesi (2 agosto 2014, foto Andrea Toffaletti).
4° tappa. A circa metà strada tra il lago Álftavatn e Landmannalaugar incontriamo alcune
solfatare che emettono vapori vulcanici debolmente acidi (3 agosto 2014, foto Andrea Toffaletti).
3° tappa. Il guado più impegnativo dell’intero percorso lungo il torrente Kaldaklofskvísl:
è necessario togliersi scarponi, calze e pantaloni vista la profondità dell’acqua del torrente
(2 agosto 2014, foto Andrea Toffaletti).
4° tappa – La selva di vallecole da superare per arrivare al rifugio Hrafntinnusker (3 agosto 2014,
foto Andrea Toffaletti).
4° tappa. Da un valico posto circa 500 m più in alto, osserviamo il percorso compiuto dall’
Eyjafjallajökull fino al lago di Álftavatn (3 agosto 2014, foto Andrea Toffaletti).
Il grande campeggio di Landmannalaugar alla fine dell’itinerario. Consta di varie strutture come
docce e servizi igienici (4 agosto 2014, foto Giulia Frangi).
Estate 2016
LE MONTAGNE DIVERTENTI valle, per poi risalire un ripido
pendio fino ad un altopiano a circa
1000 m, dove il panorama è vastissimo e ci consente di guardare l’itinerario percorso nei giorni precedenti. Il
paesaggio è brullo e durante la marcia
incontriamo molti soffioni vulcanici
che emettono gas non molto salutari,
ma che creano un ambiante molto
particolare. Qualche chilometro di
saliscendi e arriviamo al bordo dell’altopiano, da cui scorgiamo il rifugio
Hrafntinnusker, posto a circa m 1000.
Dopo essere discesi per qualche
centinaio di metri, affrontiamo gli
ultimi tre chilometri, dove un gran
numero di vallecole, fonde 25-30 m
e create dai processi erosivi dell’acqua
nella tenere roccia tufacea, ci obbligano a continui saliscendi. Il tempo
cambia nuovamente: acqua mista a
neve ci accompagna fino al rifugio,
ubicato in un luogo quanto mai
spoglio ed esposto al forte vento. Ci
mancano altre 4 ore di marcia e ulteriori 12 km!
Superato un valico poco lontano
dal rifugio, il sentiero s’avventura in
una zona solitamente innevata e perde
quota molto lentamente. Affrettiamo
il passo per sfuggire alla pioggia gelata
che ci flagella. Con un percorso a saliscendi in un paesaggio dominato da
colline riolitiche color ocra e sorgenti
calde tocchiamo prima il monte Brennisteinsalda dalle mille sfumature
colorate e infine la località di Landmannalaugar col suo campeggio,
comodamente servito da un servizio
bus.
Le vicine pozze di acqua calda,
adagiate al termine di una vecchia
colata di lava, ci consolano e ci
permettono di passare varie ore a
mollo, mentre centinaia di escursionisti occupano rumorosamente il
campeggio e ci fanno rimpiangere le
zone remote appena attraversate.
L’Islanda negli ultimi anni è sempre
più interessata dal turismo di massa.
Questo sta profondamente mutando
gli standard turistici e sta intaccando
la rude bellezza del territorio. Visitare l’isola “zaino in spalla” attraverso
le vaste regioni interne è stato per noi
il modo migliore per assaporare quel
senso di solitudine e libertà oggi così
difficile da trovare anche a ridosso del
Circolo Polare Artico.
Islanda - Il trekking delle sorgenti calde
113
G
Rubriche
ambero di fiume
Austropotamobius pallipes:
un corazzato d’acqua dolce
Matteo Di Nicola
Lombardia. Gambero di fiume in una fotografia
di tipo “split”, cioè in cui è visibile sia il fondo
del corso d’acqua che l’ambiente esterno
(10 marzo 2016, foto Matteo Di Nicola).
114
LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2016
LE MONTAGNE DIVERTENTI Corazzati d'acqua dolce
115
Rubriche
Fauna
Q
uando si pensa a certi
animali si è portati inevitabilmente ad associarli al loro
habitat tipico di appartenenza. Ad
esempio nel nostro Paese gamberi
e granchi riconducono subito
all’ambiente marino, forse non a
torto, considerando che gran parte
delle specie italiane vive in acque
salate o salmastre.
Esistono però eccezioni: le nostre
acque interne vantano infatti
la presenza di splendide specie
dulciacquicole che colonizzano
diversi tipi di ambienti. In quelli
collinari e prealpini delle valli
lombarde, il protagonista è un bel
gambero di colore bruno-rossastro:
il gambero di fiume.
Lombardia. Maschio adulto di gambero di fiume sul fondo del torrente. Il gambero preferisce
acque fresche. La temperatura ideale si aggira sui 15°C (10 marzo 2016, foto Matteo Di Nicola).
A
Lombardia. Giovane gambero di
fiume.
La vita del gambero non è
semplice. La femmina, dopo
l’accoppiamento autunnale,
porta sull’addome un centinaio
di uova fecondate. Se ne prende
cura, ventilandole e pulendole
continuamente, per 5-6 mesi. Le
uova si schiudono in primavera,
ma le piccole larve rimangono
inizialmente aggrappate al corpo
materno. Diventate autonome,
entrano in un mondo fitto di
pericoli: innanzitutto devono
sfuggire ad altre larve voraci,
come quelle dei ditiscidi o delle
libellule, poi, superata questa
prova, diventano tra le prede
preferite di trote, anguille e corvi,
oltre che dell’uomo (10 marzo
2016, foto Matteo Di Nicola).
116
LE MONTAGNE DIVERTENTI ustropotamobius pallipes, il
suo nome scientifico, è un
crostaceo decapode1 appartenente
alla famiglia degli astacidi, che
comprende solo specie d’acqua dolce
Europee ed Americane.
L’esoscheletro chitinoso e le grosse
chele ne fanno un animale dall’aspetto coriaceo, ma le particolari
esigenze ecologiche denotano delicatezza e bassa tolleranza all’inquinamento, all’alterazione antropica e
alla frammentazione dei suoi habitat.
Fenomeni questi ultimi che hanno
portato a un notevole decremento
delle popolazioni in tutto l’areale di
distribuzione, quindi all’inserimento
del gambero di fiume nella lista rossa
IUCN2 delle specie a rischio, come
endangered3.
Il genere Austropotamobius conta
solo due specie attualmente riconosciute, distribuite esclusivamente
nell’Europa occidentale. In Italia
sono presenti entrambe anche se una,
il gambero di torrente (A. torrentium), è limitata a pochissime popolazioni del Friuli nord-occidentale.
Nel nostro Paese l’incontro con
l’altra specie, A. pallipes, è possi1 - Con 10 zampe.
2 - L’ Unione Mondiale per la Conservazione della
Natura (International Union for the Conservation
of Nature) è un’organizzazione non governativa con
sede in Svizzera fondata nel 1948 e osservatore permanente dell’assemblea generale del’ONU. L’IUCN
ha come missione “di persuadere, incoraggiare ed assistere le società di tutto il mondo nel conservare l’integrità e la diversità della natura e nell’assicurare che
qualsiasi utilizzo delle risorse naturali sia equo ed ecologicamente sostenibile” (fonte www.iucn.it).
3 - Minacciato.
Estate 2016
LE MONTAGNE DIVERTENTI Lombardia. Femmina adulta sul fondo del torrente. Si possono percepire le minori dimensioni,
sia totali che delle chele, rispetto al maschio (14 maggio 2015, foto Matteo Di Nicola).
Dove il fondale è sabbioso, il gambero di fiume assume una colorazione quasi mimetica. La
presenza del gambero è indice di acque non inquinate (19 maggio 2015, foto Matteo Di Nicola).
Corazzati d'acqua dolce
117
Rubriche
Fauna
Il gambero di fiume popola corsi
d’acqua ben ossigenati in zone boscate
e ombreggiate delle fasce collinari e
prealpine. Predilige fondali sassosi,
ma si adatta pure a quelli fangosi e
sabbiosi, anche di ambiente lacustre.
È facile da rinvenire nei torrenti e nei
ruscelli di montagna, dove è impossibile confonderlo con la specie invasiva americana perchè quest’ultima a
quote elevate risulta assente.
Ha abitudini prevalentemente
notturne. È carnivoro e si nutre di
vari tipi di invertebrati, ma in caso di
necessità si adatta a mangiare anche
vegetali.
La lunghezza media è di 10-12 cm,
il peso arriva a 90 g. I maschi sono
generalmente più grossi delle
femmine e con chele di maggiori
dimensioni.
Il tempo degli amori è l’autunno, dove avviene la fecondazione
delle uova che si schiuderanno a fine
primavera.
ra i corazzati d’acqua dolce
italiani non si può infine
non spendere due righe anche per
un’altro bellissimo decapode, sebbene
non presente sulle Alpi lombarde: il
granchio di fiume (Potamon fluviatile). Questa specie è rinvenibile
dall’Appennino Ligure-Toscano alla
Sicilia, ma è assente a nord del Po e
in Sardegna. Vive in ruscelli a lento
corso della fascia basso-collinare o in
alta pianura ma può anche colonizzare cave e laghetti, purchè abbia la
possibilità di scavare profonde tane
lungo gli argini, in cui trova rifugio di
giorno e durante i mesi freddi.
Di colore bruno, ma con i maschi
che possono assumere anche vivaci
tonalità di viola, ha un aspetto ancora
più coriaceo di quello del gambero
pur essendo altrettanto delicato e
sensibile alle alterazioni ambientali.
In caso di fortunato incontro con
uno di questi crostacei ricordo che
è assolutamente vietata la cattura,
sia a scopo culinario che detentivo,
in quanto animali protetti. Basterà
osservarli o scattare una bella foto per
portarsi il ricordo di un soldato del
fiume, purtroppo in parte sconfitto
dalla spietata macchina umana che
spesso divora avidamente la natura
per un egoistico e poco sostenibile
profitto.
T
Liguria. Un maschio adulto di
granchio di fiume (Potamon
flluviatile) staziona fiero sul
fondale ghiaioso del suo ruscello.
(25 aprile 2015, foto Matteo Di
Nicola).
Friuli. Presente in poche zone d’Italia, il gambero di torrente
(Austropotamobius torrentium) ad occhi non esperti è difficilmente
distinguibile dal gambero di fiume (8 maggio 2016, foto Di Nicola).
118
LE MONTAGNE DIVERTENTI Lombardia. Gambero della Louisiana (Procambarus clarkii), facilmente
distinguibile dalla specie nostrana per il colore rosso vivace e per la
presenza di una spina alla base delle chele (14.10.2010, foto Di Nicola).
Estate 2016
bile nei pochi habitat idonei rimasti
di tutte le regioni ad esclusione di
Sicilia, Sardegna, Puglia e Calabria
meridionale, dove la specie risulta
assente.
Molte sono le testimonianze di
chi, nei ricordi d’infanzia, vedeva il
gambero di fiume nei corsi d’acqua
dietro casa, ma ora non più e questo,
confermato dai più affidabili studi
scientifici è prova che il gambero
di fiume stia subendo un preoccupante declino. Le cause sono da
attribuire alla già citata distruzione
dei suoi habitat, alla pesca indiscriLE MONTAGNE DIVERTENTI minata per via delle carni prelibate
(ormai da tempo vietata, ma non
del tutto cessata) e, non ultimo, alla
presenza massiccia di fauna alloctona come il gambero della Louisiana o gambero killer (Procambarus
clarkii). Quest’ultimo è dannosissimo perchè può trasmettere organismi patogeni, come la peste del
gambero, anche se non è un competitore diretto in quanto la maggior
parte degli habitat delle due specie
non si sovrappongono4.
4 -Il gambero americano colonizza soprattutto i
bacini planiziali a lento corso.
Corazzati d'acqua dolce
119
Poesie dialettali
Rubriche
La
pastiglia
miracolosa
Paolo Piani
Tós, fregióor, catàr e ótri faštédi1:
cuntra ognantüu sa truàt rimédi!
Ma la sciénsa l’a pèrs ogni šperànsa,
da šcuprìi ‘na cüra cuntra l’ignorànsa2!
L’ignorànsa l’è ‘na bèštia própi catìva,
ca ogni òtra malìzia en sée la cultìva;
d’envédia, cativéria, òdio e violénsa,
la persóna ignorànta l’è mai sénsa!
Tosse, raffreddore, catarro e ogni altro tedio,
contro ognuno si è trovato uno specifico rimedio!
Ma la scienza ha ormai perso ogni speranza
di scoprire una cura contro la stupida ignoranza!
2)
L’ignoranza è una bestia proprio cattiva;
che ogni altra malizia in seno coltiva;
di invidia, cattiveria, odio e violenza,
la persona ignorante mai è senza!
Capisée tüc’3 l’urgénsa de na sülüziù,
ca, se pö dìi, l’anterèsa ogni naziù;
ma pürtròp la natüra štèsa del difèt,
a-i le mèt al ripàar da ogni precèt!
Tutti voi capite quanto sia urgente una soluzione,
che, si può affermare, interessi ogni nazione;
ma purtroppo la natura stessa del difetto
fa sì che sfugga ad ogni regola e precetto!
Par méi špiegàa chèl ca ‘nténdi dìi,
öli fàa n’esémpi ca tüc’ a-i pö capìi:
sa n’óm én di ‘na gamba al se fa màal,
ol so scervèl al ricéf en gran ségnàal,
Per spiegare meglio ciò che intendo dire,
voglio fare un esempio affinché ognuno possa capire:
se un uomo in una gamba si fa male,
il suo cervello riceve un forte segnale.
ma sa ‘l scervèl l’è öit come ól mè bursìi4,
ghé gnè ‘l f ìdech gnè la coràda5 a-i pö suštitüìi!
L’è tüso en gat che öl maiàs la cùa ..
al se ǧira6, al se ǧira e mai le trùa!
Ma se il cervello è vuoto come il mio portafogli,
né il fegato, né i polmoni lo possono sostituire.
Sembra di vedere un gatto la sua coda inseguire:
gira, gira, gira senza poterla ghermire!
Par giùnta, tanto pü en tal l’è rébambìit,
tanto méno da šta idéa al vée culpìit,
parché l’óm štüpet al vìif cuntèet…
… e da vich7 en difèt al ghe vée gna en méet!
Per giunta, tanto più si è rimbambiti,
tanto meno da questa idea si è colpiti,
e inoltre, siccome lo stupido vive giocondo
… di avere un difetto, non ci pensa un secondo!
E ilùra, al ghe olarìs própi na gran šcupèrta,
ma própi granda … da lagàa a buca vèrta:
la “PASTÌGLIA DE L’INTELIGÉNSA”: ch’envensiù!
… ensèma a l’òbbligo da töla gió a colaziù!!!
E allora, ci vorrebbe una grande scoperta,
ma proprio grande, da lasciare a bocca aperta:
La “PASTIGLIA DE L’INTELIGENSA”: che invenzione!
...unitamente all’obbligo di ingerirla a colazione !!!
1 - La š si pronuncia sc. Nel dialetto di Albosaggia il suono della š è decisamente meno
marcato che in quelli di Montagna o di Poggiridenti.
2 - L’ignoransa, nel dialetto di Albosaggia, non è da intendersi come una “non conoscenza”,
bensì come una grave forma di stupidità.
3 - La c’ indica il suono dolce della c finale, come in calec’.
4 - Öit come òl me bursìi: vuoto come il mio portafogli.
5 - Coràda: polmoni.
6 - La ǧ indica la j francese.
7 - La particella ch indica il suono duro della c finale.
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LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2016
LE MONTAGNE DIVERTENTI La pastiglia miracolosa
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IL MIGLIOR FOTOGRAFO
LE FOTO DEI LETTORI
Le foto dei lettori
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L’orso nella valle dei Ratti (2 aprile 2016, foto Bogna Sudolska ).
Recensione (a cura di Beno)
Il fotografo - Bogna Sudolska
Nella fotografia di reportage non sempre serve, come in quella paesaggistica, la perfezione tecnica,
ma è più importantea la capacità di cogliere con prontezza e velocità delle situazioni eccezionali che
non sempre permettono di ottimizzare tutti i parametri o di trovare la migliore posizione per scattare.
Questa immagine dell’avvistamento dell’ orso ne è un emozionante esempio.
La fotografa era stata informata della presenza del plantigrado da due amici, Massimo Copes e
Fausto Angelini, i quali lo avevano avvistato dal sentiero che porta all’alpe Nave. L’orso era sul versante
di Corveggia, mentre, come racconta Bogna, loro si sono appostati su quello opposto per non
infastidirlo. L’animale si è così mosso con tranquillità per alcune ore, per poi allontanarsi indisturbato.
«Non ho avuto paura - afferma Bogna - come credo non avrebbe avuto nessuno al mio posto:
eravamo a 300 metri in linea d’aria, così da poterlo ammirare senza temere per la nostra sicurezza.
Quello con l’orso è un incontro davvero inusuale tra le montagne della provincia di Sondrio, lascio
quindi solo immaginare la mia emozione in quei momenti!
Indispensabili sono stati un buon teleobiettivo, il treppiedi e il telecomando per evitare qualsiasi,
anche minima, vibrazione della macchina. La più grande difficoltà d’esecuzione è stata evitare
gli ostacoli che si ponevano tra me e il soggetto: alberi, arbusti e cespugli. L’unico momento in
cui ho avuto campo libero è stato quando l’orso ha deciso di scendere un canalone sassoso.»
Polacca d’origine, da più di vent’anni
sono stata adottata dalle montagne
valtellinesi. Più di tutto sono
affascinata dal mondo naturale, dalle
forme perfette delle piante e degli
animali, dai tramonti e dai cieli stellati.
Poco importa se stia praticando yoga
in un prato, passeggiando nel bosco
o se stia osservando qualche animale
camuffata da cespuglio: la natura è
medicina per ogni male e quello che
importa è essere in contatto con essa.
La fotografia è il modo più efficace
che ho trovato per condividere con
gli altri questa filosofia.
MANDA LE TUE FOTOGRAFIE
Due sezioni dedicate ai nostri lettori:
- una che premia il fotografo più bravo tra quelli che invieranno, con oggetto "miglior fotografo", i loro scatti inerenti i monti di Valtellina
e Valchiavenna all'indirizzo email [email protected].
- una che mostra chi ha portato “Le Montagne Divertenti” a spasso per il mondo; le foto vanno inviate esclusivamente all'indirizzo
email [email protected] e devono avere un soggetto umano (anche se in qualche caso accettiamo anche
animali domestici), la rivista (o un oggetto personalizzato LMD, come il retro della nuova mappa della Valmalenco) e, preferibilmente,
uno scorcio del luogo. Per esigenze grafiche, e non per corruzione degli addetti, alcune immagini potranno essere pubblicate in
anticipo rispetto all'ordine di invio. Pure la grandezza di pubblicazione non è proporzionale al peso del salame "di casa" inviatoci, ma
rispecchia solo criteri di grafica. Non si accettano fotomontaggi. Ricordati di mandare le immagini alla massima risoluzione.
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LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2016
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1 ➣ Chiesa in Valmalenco - Dal parrucchiere le pecore leggono solo la loro rivista preferita (29 novembre 2015, foto Laura Sem).
2 ➣ Alpi Lepontine - Laila, Alessandro, Davide, Valentino, Giacomo e Daniele sull’Hosandhorn (m 3182) (26 marzo 2016).
3 ➣ Sardegna - I “Dolcissimi” sulla punta Cannone (m 565), in cima all’isola di Tavolara (16 maggio 2016).
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4 ➣ Isola di Ponza - Dopo l’udienza in piazza San Pietro, monsignor Francesco Abbiati, con parrocchiani di Albosaggia (27 aprile 2016).
5 ➣ Valmalenco - Matteo, Ida, Pier e Nati al rifugio Longoni (20 agosto 2015).
6 ➣ Argentina - Giorgio lungo la RN 52 che attraversa il vasto plateau salato Salina Grande nella provincia di Jujuy (19 novembre 2015).
7 ➣ Monte Bianco - Tino e Miriam sulla punta Helbronner. Alle loro spalle il Dente del Gigante e le Grandes Jorasses (15 maggio 2016).
8 ➣ Romania - Flavia, Federica, Piera e Paolo leggono storie divertenti al castello di Peles a Sinaia (17 aprile 2016).
9 ➣ Stati Uniti - Corrado alla maratona di Boston (25 aprile 2016).
10 ➣Thailandia - Celio e il monaco buddista davanti al tempio bianco Wat Rong Khun, nei pressi di Chiang Rai (1 aprile 2016).
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11 ➣Chiesa in Valmalenco - Dori e la sua rivista preferita (11 aprile 2016).
12 ➣Argentina - Giada, Michela, Elisabetta, Andrea e Sebastian dalla Patagonia (aprile 2016).
13 ➣Scozia - Kieran Cunningham a Loch Katrine (Stronachlachar) nelle Scottish Highlands (27 dicembre 2015).
14 ➣aValmalenco - Fabio con Nala, Carlo, Gianpio, Romina, Roberto, Filippo, Carlo ed Enrico Corno di Braccia! (26 dicembre 2015).
15 ➣Val Màsino - Domenico, Walter, Stefano, Flavio, Luca e Matteo scendendo dalla sella di Pioda (24 aprile 2016).
16 ➣Alpi Retiche - Filippo sale il pizzo Canciano dopo un bivacco notturno in truna al passo di Campagneda (25-26 marzo 2016).
17 ➣Alta Valtellina - Antonio e Angelina con il cane Red, Pierino e Caterina sul Sasso Campana in val Grosina (8 gennaio 2016).
18 ➣Ardenno - Paola, Betty, Mary, Corina donne divertenti “Da Geo” (19 aprile 2016).
19 ➣Primolo - Arrivato a 94 anni, Rudy Ferrario vede le montagne dal balcone di casa o su “Le Montagne divertenti”! (27 marzo 2016).
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20 ➣Talamona - Giochi in allegria a Montemarcio (7 agosto 2015).
21 ➣Cuba - Mario, Silvana, Attilia e Luciano in viaggio a L’Avana (5 marzo 2016).
22 ➣Alpi Retiche - Ismaele, Simona e Michele al bivacco Bottani-Cornaggia (26 dicembre 2015).
23 ➣Fiuggi - Gli atleti del GP Santi Nuova Olonio al campionato italiano master di corsa campestre (20 marzo 2016).
24 ➣Tenerife - Morena, Max, Michi e Lella portano il mitico n.1 de LMD ai m 3718 del vulcano Teide (18 marzo 2016).
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25 ➣Valmalenco - Luca e Alessia sul monte Foppa (22 aprile 2016).
26 ➣Delebio - Davide festeggia la Pasqua con il nonno Giovanni (27 marzo 2016).
27 ➣Sardegna - Michele ed Erica constatano che a Costa Rei fuori stagione ci son solo le pecore (7 maggio 2016).
28 ➣Valmalenco - Luca di Pusiano ed Edoardo di Cislago al rifugio Palù (26 marzo 2016).
29 ➣Austria - Paola,Valerio e Fortunato in piazza della Residenza a Salisburgo (17 agosto 2015).
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30 ➣Chiesa Valmalenco - “Piccoli bar crescono” presso il rifugio “la Gusa” ai Barchi (16 aprile 2016).
31 ➣Zanzibar - Eugenio e sua moglie Ornella si godono una settimana di pura estate sulla spiaggia di Kendwa (15 febbraio 2016).
32 ➣Valmalenco - Fabio, Filippo B. e Filippo N. in pattini davanti al rifugio Cristina all’alpe Prabello (30 dicembre 2015).
33 ➣Primolo - La terza edizione de “La primolata”: da Sondrio a Primolo (20 marzo 2016).
34 ➣Repubblica Dominicana - Il Rena, il Ponch, il Cece e lo Zatta e sei ragazze del Paraguay a Bayahibe sull’isola di Saona (22 marzo 2016).
35 ➣Antigua - Barbara, Elisabetta, Gianna, Giusi, Italo, Luca, Paolo, Renzo, Silvia e Tiziana (14 gennaio 2016).
36 ➣Olanda - Kinderdijk, da destra Anastasiya, Oscar, Grazia e Matteo (27 dicembre 2015).
37 ➣Stati Uniti - Efrem, Valeria, Luciano, Erica e Stefano nella Death Valley, parco nazionale tra California e Nevada (26 maggio 2016).
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38 ➣Parma - Il coro CAI di Sondrio al teatro Regio durante la “XXXIV rassegna del bel cant” (7 novembre 2015, foto archivio Coro CAI).
39 ➣Valmalenco - Francesco e Nancy da Sydney a Primolo presso lo chalet della Pineta (27 dicembre 2015).
40 ➣New York - Francesco Lapsus con Cristina Bonacina e Lele Manzi dopo la “Empire state building run up” (4 febbraio 2016).
41 ➣Canada - Giacomo, Marco, Diego, Giovanni e Claudio sul mount Field (m 2642) nel British Columbia (1 marzo 2016).
42 ➣Alpi Retiche - Giorgio, dopo una bella nevicata notturna, va a sgranchire assi e gambe a Prato Valentino (10 febbraio 2016).
43 ➣Bosnia - Il gruppo dei “Giaröi” a Medjugorje (4 marzo 2016).
44 ➣Lapponia - Mario e Gabriella hanno raggiungono il circolo polare artico (19 febbraio 2016).
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Le foto dei lettori
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49 ➣Svizzera - Davide, Adele, Stefano e Roberta sulle rive del lago di Poschiavo in una splendida giornata di sole (26 marzo 2016).
50 ➣Tenerife - Emidio, Lorenza, Roby, Elvia nel massiccio montuoso di Teno (18 gennaio 2016).
51 ➣Valcamonica - La selezione provinciale maschile di pallavolo U15 che ha partecipato al “Trofeo delle province” (26 marzo 2016).
52 ➣Alta Valtellina - Da Dino, unico residente tutto l’anno all’alpe San Colombano a Valdisotto (19 febbraio 2016).
53 ➣Alpi Orobie - Piccole sciatrici al pianone di Pescegallo: Ilaria, Rachele, Elisa, Federica (3 aprile 2016).
45 ➣Isole Baleari - Cinzia, Raffaele, Piera, Ivo e la piccola Serena a Palma di Maiorca (15 dicembre 2015).
46 ➣Norvegia - Claudio, Barbara, Patrizia, Franca, Ornella, Stefania, Ercole, Alessandra, Diego e Gottardo (25 marzo 2016).
47 ➣Alta Valtellina - I bambini della primaria Eco School di Triangia in gita al Museo Vallivo di Valfurva (17 maggio 2016).
48 ➣Valmalenco - Silvia e Pierangelo Ferrari al passo degli Ometti (11 luglio 2015).
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LE MONTAGNE DIVERTENTI Le foto dei lettori
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Vincitori e
vinti
soluzioni del n.36
Ortles
(3906)
Gran Zebrù
(3851)
a
Che scimma
i-è?
Giochi
a
Monte Pasquale
(3553)
concorsi del n.37
I ciüsè òlta
Quali sono tra quelle ritratte in questa foto di Gioia
Zenoni la vetta più alta in assoluto e quella più alta
interamente in territorio valtellinese?
La cima più alta ritratta in questa fotografia è l’Ortles
(m 3906) e si trova in Tirolo. Poi, in ordine d’altezza, vi è il
Gran Zebrù, ma è sulla linea di confine. Mentre tra quelle
interamente in territorio valtellinese è il monte Pasquale
(m 3553) in val Cedeh a dominare la scena.
Pertanto la soluzione è Ortles e monte Pasquale.
I vincitori sono:
1. Carlo Busnelli
2. Margherita Maggi
Per gli altri premi tra chi ha indovinato sono stati estratti:
3. Viviana Castellini
4. Doris Varisto
5. Samuele Grossi
In anticipo o in ritardo, hanno indovinato anche: Antonietta Parolo, Angela Vanotti, Silvana, Giovanna e Fabio
Fanoni.
Conosci
il nome delle due cime indicate con le frecce? Suggerimenti: 1) ne è
ritratto il versante meridionale; 2) si trovano entrambe per intero in Valtellina; 3) distano quasi 18 chilometri l’una dall’altra.
Dai la tua risposta dalle ore 21:00 del 3 giugno 2016.
Ai due più veloci andrà la pila frontale M50L-P della Skitrab*!
Tra tutti gli altri che avranno indovinato entro le 21 del giorno seguente
verranno estratti 3 fortunati a cui andranno la fascetta per la corsa e la
maglietta LMD.
Scrivete le vostre risposte esclusivamente sulla pagina dedicata accessibile da
www.lemontagnedivertenti.com/concorsi/
Ma ch’el?
I cugnùset?
Cos’è e a cosa serve?
Dai la tua risposta dalle ore 21:00
del 4 giugno 2016. Ai due più veloci
andrà la pila frontale M50L-P della
Skitrab*!
Tra tutti quelli che avranno indovinato entro le ore 21 del giorno
L’oggetto ritratto in fotografia e appartenente alla collezione di Valtellina Antichità Restauri di Gianola Nino &
C. (www.valtellinaantichitarestauri.it) è un antico tritaverdure, utilizzato principalmente per ortaggi come verze e
crauti. Si noti il foro sul fondo per fare uscire l’acqua.
Non abbiamo potuto considerare valide riposte del tipo
“tagliere con lama a manico”, in quanto troppo generiche.
Pertanto non ci sono vincitori!
Per i prossimi concorsi cercheremo di inserire oggetti meno
difficili da indovinare.
seguente verranno estratti
altri 3 fortunati a cui andranno
la fascetta per la corsa e
la maglietta LMD.
Scrivete le vostre risposte sulla
pagina dedicata accessibile da
www.lemontagnedivertenti.com/concorsi/
* ideale per corsa, arrampicata e scialpinismo (solo 139 grammi), è ricaricabile via USB
arriva a una potenza di 120 lumen e permette di illuminare fino a 100 metri di distanza.
e
ATTENZIONE: LE RISPOSTE DATE IN ANTICIPO VERRANNO RITENUTE NULLE.
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LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2016
LE MONTAGNE DIVERTENTI Giochi
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Rubriche
LE RICETTE
DELLA NONNA
gnocchi
Di
farinéi
Testo Gioia Zenoni, foto Beno
I
l vostro orto è verde e rigoglioso, ma a farla da padroni
sono gli infestanti e non le tanto
attese verdure che tardano a crescere?
Non è detto che non possiate preparare comunque un lauto pranzetto:
basta imparare a conoscere quello che
cresce spontaneamente!
Sono un esempio i farinéi, piccole
piante erbacee annuali il cui nome
scientifico - Chenopodium album richiama le due caratteristiche principali delle foglie: a forma di piede
d’oca, sono rivestite nella parte inferiore da una specie di farina bianca,
ben riconoscibile al tatto.
Queste piante sono degli spinaci
selvatici e, proprio come la varietà
domestica, possono essere consumati
sia cotti, sia - quando sono teneri crudi in insalata. Ricchi di vitamine
A, B e C, di calcio, potassio e ferro,
hanno proprietà lassative, antinfiammatorie e antireumatiche.
Ecco una ricetta per gli amanti
della cucina semplice, che vogliono
apprezzare appieno il sapore e la
fragranza della verdura, ma anche
per chi voglia far fruttare la pulizia
dell’orto o, ancora, per coloro che,
rientrati tardi da una passeggiata,
si accorgono di avere il frigo vuoto
nonostante abbiano invitato a cena
l’intera comitiva!
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INGREDIENTI
(per 6/8 persone)
600 g di farinéi
200 g di farina
2 panini raffermi
100 ml di latte
5 uova
olio extra vergine d’oliva
sale
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LE MONTAGNE DIVERTENTI ... tra natura e benessere
PREPARAZIONE
Strappate le piante di farinéi e
scartatene subito le radici; qualora le
piante siano grandi e il fusto duro,
raccoglietene solo la cima. Se le
piante sono piene di terra, sciacquatele velocemente e asciugatele.
Tritate quindi i farinéi con la
mezzaluna o con un mixer (in questo
caso non a lungo, in modo da mantenerne la consistenza) e mescolateli
in una ciotola dove avrete preventivamente fatto assorbire il latte al
pane raffermo tritato a pezzettoni.
Aggiungete le uova a una a una e,
infine, la farina, fino a creare un
impasto molto morbido, ma coeso.
Le dosi sono indicative: aggiungete
gli ingredienti poco alla volta, regolandovi in base alle sensazioni.
Non dobbiamo creare una pasta
fresca aromatizzata, ma far sì che la
verdura resti protagonista del nostro
piatto, usando il minimo indispensabile degli altri ingredienti per non
coprirne il sapore.
A
I
V
A
T
L
A della
VALMALENCO
Con l’aiuto di due cucchiaini
create degli gnocchi e fateli scivolare in abbondante acqua bollente
salata; man mano vengono a galla,
raccoglieteli con una schiumarola e
rimescolateli in una ciotola con olio
extra vergine di oliva (da preferirsi
al burro perché ha un sapore più
fresco e delicato) per mantenerli ben
separati fra loro fino al momento in
cui li porterete in tavola, eventualmente arricchiti con una spolverata
di grana.
Estate 2016
dal 11 al 17 luglio
Il pacchetto comprende:
7 giorni (6 notti) di mezza pensione
esclusi extra nei rifugi;
Pranzo al sacco per mezzogiorno;
Accompagnatore di media montagna
per tutta la durata del trekking;
Trasporto privato fino all'Alpe Piasci
da dove inizia il trekking.
L'Alta Via della Valmalenco è un anello
escursionistico delle Alpi retiche che
percorre il perimetro della Valmalenco e si
sviluppa per circa 100 km. Durante il tragitto
si toccano i punti maggiormente significativi
e panoramici della valle. Tra pascoli,
alpeggi, laghi, boschi, cave e valichi si
possono ammirare i maestosi ghiacciai del
Disgrazia, del Bernina e dello Scalino.
430,00
Ea peursronoa
era tripla/quadrupla o
a con sistemazione in cam
son
per
a
e
end
int
zza pensione include
si
me
tto
*Il prezzo pacche
tta. Il trattamento di
no
per
si
cui
in
gio
e.
rifu
camerata a seconda del persona formulato su gruppi di minimo 6 person
a
zzo
Pre
.
ola
tav
acqua a
Prenotazione presso accompagnatore di media montagna
Valeria Pedrolini +39 347 4845545 oppure via e-mail
all’indirizzo [email protected]
Per info: www.valmalencoalpina.com
Fred Gaiser e Bertl Lehmann andavano per le montagne
ricchi solo di una bicicletta, una tenda e un cielo di stelle,
ma soprattutto di tanta voglia di avventura...
Raffaele Occhi
LE MONTAGNE DIVERTENTI 141