dopo il matrimonio - Amici del Cabiria

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dopo il matrimonio - Amici del Cabiria
DOPO IL MATRIMONIO
Sito: http://www.efterbrylluppet.dk/
Trailer: http://www.mymovies.it/trailer/?id=44577
Anno: 2006
Titolo Originale: Efter brylluppet
Altri titoli: After the Wedding, Efter bröllopet
Durata: 112
Origine: DANIMARCA, SVEZIA
Genere: DRAMMATICO
Specifiche tecniche: (1:1.85)
Produzione: ZENTROPA ENTERTAINMENTS
Distribuzione: TEODORA FILM
Data uscita: 22-12-2006
Regia: Susanne Bier
Attori:
Mads Mikkelsen Jacob
Rolf Lassgård
Jørgen
Sidse Babett Knudsen
Helene
Stine Fischer Christensen Anna
Christian Tafdrup
Christian
Frederik Gullits Ernst
Martin
Kristian Gullits Ernst
Morten
Ida Dwinger
Annette
Mona Malm
Nonna
Anne Fletting
Segretaria
Claus Flygare
Autista
Meenal Patel
Sig.ra Shaw
Niels Anders Thorn
Sacerdote
Neeral Mulchandani
Pramod, 8 anni
Henning Jensen Uomo al compleanno
Thomas Voss
Cameriere giovane
Troels II Munk Capo cameriere
Neel Rønholt
Mille
Julie Ølgaard
(Julie R. Ølgaard) Cameriera hotel
Henrik Larsen Autista al matrimonio
Soggetto: Susanne Bier, Anders Thomas Jensen
Sceneggiatura: Anders Thomas Jensen
Fotografia: Morten Søborg
Musiche: Johan Söderqvist
Montaggio: Morten Højbjerg, Pernille Bech Christensen
Scenografia: Søren Skjaer
Costumi: Manon Rasmussen
Effetti: Justin Legg, Thomas Caspersen, Mads Nybo Jørgensen
Critica:
'"Nel danese 'Dopo il matrimonio' di Susanne Bier (gran successo in patria), un uomo dal fisico imponente e dal volto
indurito sembra aver trovato la pace e gli affetti lavorando in India, dove gestisce un orfanotrofio. Ma quando torna a
Copenhagen in cerca di fondi scopre che oltre ai "figli" virtuali in Asia c'è anche una figlia carnale avuta tanti anni prima
senza saperlo; che quella figlia ormai adulta si sta per sposare; che a crescerla è stato proprio il ricchissimo mecenate che
dovrebbe finanziare il suo orfanotrofio. Ed è solo l'inizio... (...) Dopo un breve prologo immerso nel calore e nei colori
dell'India, tesse la rete del suo imparabile mélo nel comfort, nella ricchezza, nella mollezza dell'opulenta Copenhagen. La
danese costruisce, e il suo padre ignaro alla fine ritrova tutto, la figlia vera e i fondi per l'orfanotrofio. Ma perde il legame
più profondo che aveva costruito in India. Non si può avere tutto. E fra l'affetto e il denaro, sembra dire la Bier, l'Occidente
sceglierà sempre il secondo." (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 20 ottobre 2006)
La danese Susanne Bier conferma lo stato di grazia del precedente Non desiderare la donna d'altri con quest'altra storia di
complicati legami di famiglia, ancora da una sceneggiatura di Anders Thomas Jensen, il notevole regista di Le mele di
Adamo. Come spesso succede nel cinema dei Paesi scandinavi, gli attori sono sempre gli stessi e molto bravi. Qui potete
ammirare uno straordinario Mads Mikkelsen (tra qualche giorno "cattivo" nel nuovo 007 Casino Royale) nel ruolo di Jacob,
un volontario tra gli orfani di Calcutta, richiamato in Danimarca da un ricco e potenziale benefattore (altro attore
straordinario, lo svedese RoIf Lassgard). Che fa entrare Jacob nella sua vita familiare, con sconvolgenti scoperte, agnizioni,
colpi di scena. Acuta riflessione sul drammatico contrasto tra libertà e destino ma anche tra ricchezza e povertà, girato con
un uso non dogmatico (anche ironico) del Dogma, Dopo il matrimonio è molto favorito ai prossimi Oscar per il miglior film
straniero. Sandro Rezoagli (Ciak) - 05/01/2007
Si può parlare di fame nel mondo, di capitalismo occidentale che sfrutta i paesi sottosviluppati, di volontariato, di
tradimenti e di cancro senza mostrare la fame nel mondo, i tradimenti, il cancro. Si possono lanciare pure dei messaggi ma
senza proclami e dimostrazioni, senza slogan e senza pietismi. È lo sguardo, nitido, lucido, consapevole, maturo, onesto di
Susanne Bier, giustamente ritenuta oggi una delle autrici nordeuropee di maggior talento e spessore.
Questo suo Dopo il matrimonio racconta dunque di un quarantenne danese che ha scelto di vivere in India nel semidisperato
tentativo di salvare un pugno di bambini dal loro spaventoso destino, di una sua ex che, nella periferia di Copenhagen, si è
rifatta una vita sposando un miliardario, capace di controllare tutto tranne gli imprevisti. Il tratto del film è ellittico e ciò che
piace è il suo rispetto nei confronti degli spettatori, chiamati direttamente in causa, posti attivamente dinanzi a una storia che
vuole solo suggerire, depistare sui dettagli (una lacrima, un anello, una carezza, un primo piano sugli occhi…). Susanne
Bier non ha l'urgenza di suggerire terapie balsamiche al dolore fisico e spirituale di una cultura, di un popolo, di un
continente in crisi: la sua cinepresa si accontenta di guardare in uno dei mille angoli in cui quella cultura, quel popolo, quel
continente si è rifugiato per non guardare, per non soffrire, per non sentire nessun dolore. Aldo Fittante (Film TV) 28/12/2006
Dovrebbero darlo come tema da svolgere agli esami per aspiranti sceneggiatori. Le carte uscite dal mazzo sono un
matrimonio, con relativi discorsi di circostanza che non si sa mai dove conducono (in genere gli invitati e i parenti sono già
un po' alticci) e un misterioso ospite che il padre della sposa ha invitato all'ultimo momento (in realtà, lo ha fatto venire in
Danimarca dall'India per una donazione che farebbe saltar di gioia qualunque volontario con tanti orfanelli da sfamare). Ne
verrebbe fuori o una storia dannatamente minimalista, che con l'intenzione di evitare i luoghi comuni finisce per non
interessare a nessuno, oppure un terrificante melodramma. Susanne Bier e il suo sceneggiatore Anders Thomas Jensen
(anche regista, l'anno scorso girò Le mele di Adamo: Dio e il Diavolo si litigano un albero di mele, e l'anima di un
neonazista in via di rieducazione) mettono a segno il primo colpo. Appena la trama sembra avviarsi verso una trappola
prevedibile, con grande furbizia superano l'ostacolo (perfino le scene tra i bimbi poveri dell'India, ad alto rischio di noia
documentaria, si lasciano guardare). Appena un dialogo sembra avviarsi verso la banalità, ecco che arriva qualcosa a
ribaltare le attese. L'ottima regia, i magnifici attori, il cinismo familiare made in Danimarca che abbiamo conosciuto in
Festen di Thomas Vinterberg e nei film di Lars von Trier fanno il resto. Non capita spesso di vedere tanti primi piani, su
facce in grado di reggerli, e tutti giusti per la storia. Non capita spesso di vedere un film che stabilisce il suo ritmo, e lo
rispetta. Non capita spesso di vedere situazioni tanto complicate, e nessun intervento ex machina atto a spiegarle. Non capita
spesso di vedere tante ciocche di capelli in libertà, senza pensare che la regista stia ricorrendo a un mezzuccio indegno.
Menzione speciale a Mads Mikkelsen: era nelle Mele di Adamo e sarà il cattivo Le Chiffre in Casino Royale, con una
cicatrice sull'occhio e un difetto ai condotti lacrimali che gli fa piangere lacrime al tavolo da poker. Qui, quando lascia i suoi
poveri, e arriva nel lussuoso albergo, non dice una parola, ma ha uno sguardo di disprezzo (per la stanza, la vista, il
personale, perfino gli asciugamani del bagno)che toglie il fiato. Mariarosa Mancuso (Il Foglio) - 28/12/2006
L'amore al tempo del capitalismo
Il cinema danese, soprattutto il movimento Dogma, ci ha introdotto in famiglie apparentemente ordinate, in realtà in
equilibrio piuttosto instabile (basti pensare ai film di Thomas Vinterberg). In Dopo il matrimonio di Susanne Bier da oggi
nelle sale (distribuito da Teodora) torniamo nel pieno di un dramma familiare, prendendo un po' di distanza a causa
dell'incipit ambientato in India. Cosa sono i problemi nell'Europa del nord rispetto ai bisogni primari di buona parte del
genere umano che vive nel sud del mondo? sembra dirci il film. Jacob, un volontario al servizio del poveri (Mads
Mikkelsen, superstar danese, il prete in Le mele di Adamo di Anders Thomas Jensen sceneggiatore di questo film) agisce in
solitudine, cercando di trovare i mezzi di sussistenza per gli orfani in un'India di cui non si intuisce l'economia rampante. Ha
tagliato i ponti con il suo paese nordico che disprezza, ma l'occidente opulento e il sud del mondo stanno per incontrarsi
nuovamente quando lo chiama il magnate (Rolf Lassgard) per offrirgli una possibilità di finanziamento, a patto che torni in
Danimarca e partecipi al matrimonio della figlia.
Susanne Bier che nel 2004 ha diretto Non desiderare la donna d'altri, ha preso anche lei le distanze da Dogma (come del
resto il fondatore Lars von Trier) dopo aver firmato un film in linea, Open Hearts (2001) e sta raggiungendo interessanti
traguardi internazionali, anzi mira all'Oscar come migliore film in lingua straniera e stranamente con un film che racchiude i
due elementi principali del cinema americano, l'individuo solitario e la famiglia unita, qui espressi in un'unico film. Inoltre
ha appena terminato le riprese del suo primo film a Hollywood Things we lost in the fire, con Halle Berry e Benicio del
Toro.
L'eccentricità di Dopo il matrimonio in fondo basato su una composta geometria è il suo lato selvaggio, evidenziato non a
caso da alcuni primissimi piani come si fa nei documentari sugli animali per scoprirne i comportamenti. Sono due anime
che convivono: mentre seguiamo gli sguardi da capo branco di un interprete, scorgiamo all'orizzonte un altro che potrebbe
soppiantarlo e qui si scatena un altro tipo di lotta per la sopravvivenza, con altri codici, accompagnato da una sceneggiatura
spiazzante, costruita per mantenere alta la suspense.
Anche se siamo ben lontani da Dogma è rimasta impigliata nel film un'ossessione tipica del gruppo. Quella che era
riconoscibile come «sincerità» di tipo tecnico (niente artifici di luce, di suono, oggetti costruiti dagli attori, niente colonna
sonora ecc.) qui prende corpo nei comportamenti, quando vediamo che sono tutti presi da una smania di sapere la verità sui
fatti, far chiarezza a tutti i costi, cosa alquanto disdicevole in società. L'ipocrisia come base di un sano matrimonio è messa
alle strette, in un'ansia di confessione totale, come le pubbliche confessioni nelle chiese protestanti. Si direbbe che circola
nel film l'etica protestante e lo spirito del capitalismo come ce lo raccontava Max Weber e lo si percepisce quando si pensa
che i miliardi devoluti in beneficienza serviranno pure a scaricare le tasse, come muovere capitali in India potrebbe essere in
prospettiva un buon investimento, come del resto i profitti del buon magnate sembrano essere accompagnati dal favore
divino. Come il protagonista idealista non è buono solo per il fatto di essere povero. Il film insomma ci mette di fronte ai
nostri personali pregiudizi, agita personalità forti e forti sentimenti e li mette al servizio di un intreccio non prevedibile.
Oggi l'intero incasso del film sarà devoluto da Teodora a Save the Children, l'organizzazione che lavora per difendere i
diritti dei minori, soprattutto quello di una scuola di qualità, nelle zone di guerra e che ha voluto associare il suo nome al
film perchè «per la prima volta parla del lavoro umanitario per quello che è». Silvana Silvestri (Il Manifesto) - 28/12/2006
«Il matrimonio» di Bier tra dramma e poesia
Ancora un film danese di qualità. Per merito di una regista, Susanne Bier, che appena l'altr'anno si era fatta molto
apprezzare con un film su una famiglia, Non desiderare la donna d'altri, intitolato molto più coerentemente Fratelli, nella
versione originale. Una famiglia anche qui, che si scompone e ricompone perfino a distanza, tra l'India e, appunto, la
Danimarca. Si comincia con Jacob, dedito, in una città indiana, a togliere i bambini dalla strada gestendo, con pazienza e
dedizione, un'impresa di volontariato, purtroppo, date le circostanze, sempre a corto di finanziamenti. Sembra
prometterglieli un miliardario di Copenhagen, Jorgen, che prima però vuole incontrarlo di persona. Jacob, data la situazione
precaria della sua impresa e pur separandosi a fatica dai suoi bambini, parte subiti e con una certa sorpresa vede che il suo
arrivo coincide con una festa per celebrare il matrimonio della figlia del suo futuro benefattore. Se non che, proprio in
quell'occasione, scopre che la ragazza, è solo la figlia adottiva Jorgen e che sua madre, oggi moglie felice e fedele, è stata
una sua antica fiamma tanto che, con una probabilità presto confermata, quella figlia è sua. Per questo è stato chiamato da
Jorgen o tutto è pura coincidenza? Il testo, scritto per Susanne Bier, da un suo sceneggiatore abituale, Anders Thomas
Jensen, noto in Danimarca anche come regista, non risponde del tutto a questo interrogativo ma vi costruisce attorno una
vicenda che, pur toccando spunti drammatici e, alla fine, anche laceranti, si affida soprattutto a una cifra intimista in cui le
psicologie, tra il presente e il passato via via ricostruito, si dipanano a poco a poco, con dubbi, recriminazioni, contrasti. Per
arrivare a una conclusione che, pur in un certo senso positiva, costerà dolori e rinunce a tutti. Susanne Bier ha trattato con
finezza questa materia, che, pur sommessa, rischiava spesso di diventare incandescente. Ha evitato, anche là dove poteva
essercene l'occasione, qualsiasi patetismo e ha svolto l'azione sempre con tocchi lievi, privilegiando immagini molto
ravvicinate, perfino con dettagli e occhi spesso in primo piano: per far emergere dal dramma, pur violento, soprattutto
l'animo dei personaggi singoli, quasi vivizionato. la coadiuvano interpreti d'eccezione, poco noti da noi, ma tutti di classe.
Cito solo Mads Mikkelsen come Jacob e Rolf Lassgard come Jorgen: due facce che bucano lo schermo. Gian Luigi Rondi
(Il Tempo) - 28/12/2006
Nella giornata dei figlioletti, la Festa ha proposto ieri anche un film danese, Dopo il matrimonio di Susanne Bier, scritto da
lei con il ben più interessante Anders Thomas Jenes, regista del formidabile Le mele d'Adamo. In Dopo il matrimonio ci
sono altri due casi di figlioletti: nel presente, quello del bambino indiano che si è aggrappato all'insegnante danese (Mads
Mikkelsen) del suo orfanotrofio; nel passato, quello della bambina che l'insegnante, ignaro, aveva avuto in patria prima di
lasciarla per l'India e della quale apprende l'esistenza solo il giorno delle nozze della medesima, ormai ventenne, a
Copenhagen. In questo film, che dura mezz'ora di troppo, l'attenzione non è sui più giovani, ma sui danni fatti loro da
genitori immaturi. Critico verso la generazione che ha creduto di cambiare il mondo e al massimo il mondo l'ha girato (in
aereo), il film della Bier sembra sempre sul punto di eruzione di cattiveria giustiziera, come i film del gruppo Dogma.
Invece no: la Bier propende per la revisione - non per la distruzione - delle velleità, accennando anche al fatto che essa può
avvenire solo perché quella generazione giovane trent'anni fa comincia a estinguersi. Verità lapalissiana, ma che non viene
mai scritta sui giornali e raramente viene affrontata anche al cinema. Maurizio Cabona (Il Giornale) - 20/10/2006
Pochi sussurri e molte grida alla danese
Guardando dritta negli occhi i suoi personaggi, la danese Susanne Bier - quella di Non desiderare la donna d' altri,
corteggiata da Hollywood - continua a parlare delle ferite sul ring familiare e del Potere inviolabile del passato, come diceva
Proust. Con il film che porta la Danimarca verso l' Oscar, l' autrice spiega quale e quanto male ci possiamo fare
involontariamente. Vedi un redento al volontariato tra orfani indiani (l' ottimo Mads Mikkelsen, nemico di 007 in Casino
Royale), richiamato a Copenhagen per scegliere l' Occidente borghese da un ricco industriale malato (Rolf Lasgard) che fa
donazioni milionarie e proposte decenti ma che diventano indecenti svelati gli altarini. Palese melò con agnizioni ed
epifanie, ricchi e poveri, pianto e urlato oltre la media nordica (sempre il profondo Sud di Germi) in cui si riconosce il
macabro fascino della morte ma anche il micidiale cocktail affettivo di rancori-rimpianti-rimorsi. Scritto con l' Anders
Thomas Jensen regista di Le mele di Adamo e fedele con una certa ironia all' etica-estetica del Dogma di Von Trier (i danesi
sono tutta una famiglia e ogni riferimento all' «Anitra selvatica» di Ibsen non è puramente casuale), il film fa domandine sul
libero arbitrio, specie dei sentimenti, e sta in equilibrio sulle onde del destino che spesso ci sommergono nel surf degli
affetti e dei misteri casalinghi. E' un altro Viaggio segreto (vedi quello di Andò), in cui il padre si offre come vittima
sacrificale tra pochi sussurri e molte grida: la regista se ne intende di grovigli di vipere. L' amato-odiato microcosmo
Famiglia, allargata tra paternità biologica o adottiva è riconosciuto motore d' infelicità (cosa diranno i piccini di Calcutta?)
contro cui si può agitare lo specchietto delle allodole degli amori bugiardi e incoscienti, come negli hit di Mina. Maurizio
Porro (Il Corriere della Sera) - 04/01/2007
Il danese giramondo (con una vita spericolata alle spalle), che ha cercato di redimersi in India dove assiste i bambini
perduti, deve tornare a casa per trovare i fondi necessari alla sua povera scuola. L'incontro con un miliardario disposto alla
beneficenza lo costringe a riaprire i conti con un passato (non solo amoroso) che credeva chiuso; forse anche il futuro, non
privo di lutti, cambierà.
Regista severa e appassionata, Susanne Bier corre ancora una volta. fra paura e desiderio, ai margini del melodramma
d'appendice. Il tono asciutto, gli attori bravi: così il burrone della retorica lacrimante è saltato con stile. Claudio Carabba
(Corriere della Sera) - 28/12/2006
Cinema intimista e coraggioso insieme, che unisce traumi e drammi borghesi a temi più alti, come la guerra in Afghanistan
nel precedente Non desiderare la donna d’altri e adesso il volontariato per gli orfani in India, le opere di Suzanne Bier
riescono a coniugare impegno civile strumentale alla trama e feuilleton in salsa Dogma. Con grande successo in patria e
crescenti consensi all’estero: dopo la segnalazione per gli Oscar al film straniero, il film è stato presentato con successo alla
Festa di Roma.
Jacob, il protagonista, è un idealista, ex alcolista, riparato in India a 20 anni in fuga dalla vita borghese e dalla ragazza che
aveva tradito. Artefice del suo ritorno è il milionario Jørgen, che promette una donazione di 4 milioni di euro
all’associazione per l’infanzia abbandonata per cui lavora, a condizione di incontrarlo personalmente in Danimarca, proprio
alla vigilia del matrimonio della figlia. Dopo il matrimonio, durante il brindisi, la sposa rivela come, due anni prima, abbia
saputo dal padre di non essere la sua figlia biologica. Le coincidenze sembrano troppe: la moglie del benefattore era il
grande amore di Jacob, forse mai dimenticato, e gli anni trascorsi dalla separazione coincidono con l’età della ragazza… A
questo punto si apre una voragine che cambia la vita di tutti. Quant’è generoso il capitano d’azienda, che vive con la
famiglia in una magione di campagna: ma cosa motiva la decisione di beneficiare l’orfanotrofio? E quanto conta la presenza
del suo connazionale? Lo si scopre abbastanza presto, ma le sorprese non finiscono qui, in una vicenda a tinte forti, seppur
raggelate dallo stile scandinavo: camera a mano, montaggio “emotivo” con dettagli sugli occhi dei protagonisti nei momenti
clou (in Italia la stessa vicenda sarebbe sfociata in sceneggiata).
La premessa non è dissimile da La mia vita senza me, senza voler dire troppo. Ricco di spunti, a tratti umoristico (la madre
del magnate gioca d’azzardo on line), esibisce uno stile fluido, la capacità di cogliere i momenti decisivi della quotidianità,
di procedere nella narrazione mettendo a confronto i personaggi, spesso a due per volta, consentendo allo spettatore di
accettare coincidenze ed iperboli: pur trovandosi di fronte a temi “alti” concentrati in due ore, si è ben disposti a credere a
tutto: ricchezza sfacciata e povertà estrema, famiglie d’origine ed elettive di pari valore, legami insospettati e ricomposti,
malattia e tradimento…
La Bier espande contenuti e ispirazione dell’opera precedente, con un film anche più accessibile: nonostante il montaggio e
le riprese “a sbalzi”, Dopo il matrimonio è infatti un film popolare, e non a caso l’autrice ha già girato un film a Hollywood
con Benicio Del Toro e Halle Berry. Del pari, il protagonista Mikkelsen, figura di spicco del cinema danese, apparirà come
il cattivo di turno nel nuovo e molto atteso 007. (www.fice.it)
Note:
- PRESENTATO FUORI CONCORSO ALLA I^ EDIZIONE DI 'CINEMA. FESTA INTERNAZIONALE DI
ROMA' (2006).
- CANDIDATO ALL'OSCAR 2007 COME MIGLIOR FILM STRANIERO.
- 2006 EUROPEAN FILM AWARDS: NOMINATED EUROPEAN FILM AWARD BEST ACTOR (MADS
MIKKELSEN), BEST DIRECTOR (SUSANNE BIER)