EcoviaggioMaasaistyle

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NUOVI
BUSINESS
Da pastori
seminomadi a travel
manager e custodi
della biodiversità.
La tribù simbolo
del Kenya lavora
per il futuro.
Con la complicità
di due italiani
Da sinistra: il lodge
Campi Ya Kanzi; due
maasai ammirano il panorama
del parco Tsavo; Luca
Belpietro e Manuela Bonomi
con la figlia; elefanti sulle
colline Chyulu; la “famiglia”
di Campi Ya Kanzi.
Testo e foto
di Davide Scagliola
Tradizione hi-tech
Eco viaggio Maasai style
alta maasai, salta. Gli stereotipi sono ben noti: il pastore
delle pianure africane, con il
mantello rosso (lo shuka, eredità dei colonialisti inglesi), la lancia in
mano, i monili al collo, il Kilimangiaro
e le giraffe sullo sfondo. E poco altro.
Invece il popolo delle savane è molto
più di una suddivisione antropologica.
Diciamo anzitutto che abita gli altopiani a cavallo tra Kenya e Tanzania, zigzagando da secoli tra pascoli, riserve
naturali, parchi nazionali, proprietà
private e disastri socio-economici di
un’area che vive oggi anche di turismo, e le cui risorse naturali sono tuttora, per il 75%, escluse da programmi di protezione ambientale.
Il maasai moderno è un incrocio tra
un pastore, un politico, un ranger e un
osservatore geografico. Nonché, per
indole, un guardiano. Le stime ufficiose parlano di circa 600 mila individui
che vivono tra i due Paesi, ma la complessa organizzazione dei clan non
permette di fare una stima approfondita. I maasai sono di origine nilotica e
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parlano il maa, lingua nilotico-sahariana da cui prende il nome tutte l’etnia.
Da sempre sono considerati pastori
seminomadi, e simbolo dell’Africa dei
grandi spazi. In realtà sono più che altro pastori transumanti stanzializzati,
specialmente in Kenya. Costruiscono
(sono le donne a lavorare) rifugi temporanei per uomini e animali, gli enkang, e capanne di sterco e fango all’interno di un recinto di arbusti spinosi, per proteggersi dai predatori. Poi,
di quando in quando, abbandonano
tutto e si trasferiscono, alla ricerca di
pascoli nuovi e acqua, ricominciando
tutto daccapo.
Il progetto di Luca e Manuela
Oggi molte comunità vivono in case di
mattoni e lamiera. Ci sono scuole e
spacci, e le attività di pastorizia e allevamento hanno subìto variazioni dovute al sovraffollamento, anche turistico,
di alcune aree. Durante il colonialismo
inglese, i maasai erano relegati al margine della società anglo-africana. Oggi
giocano un ruolo importante per la
conservazione ambientale. E, dove
possibile, collaborano, intercedono,
organizzano e fanno parte di meccanismi legati al turismo sostenibile, al
movimento degli animali (con i quali
condividono il fabbisogno di molta terra per sopravvivere) e all’economia.
Uno degli esempi meglio riusciti di interazione tra Homo turisticus e comunità locali è, da una decina di anni, il
campo di Luca e Manuela, tra le colline di Chyulu, le verdi colline d’Africa
hemingwayane, a cavallo tra Tanzania
e Kenya. Nel 1996 Manuela Bonomi e
Luca Belpietro si organizzarono per
condividere la gestione di un fazzoletto di terra benedetto dalla natura, affacciato sul profilo del Kilimangiaro e
sul parco Tsavo: 400 miglia quadrate
di alture, pascoli, foreste e valli che
appartenevano a tremila maasai raccolti nella comunità di Kuku Group
Ranch. In due anni, dal nulla, crearono un gioiello di ospitalità - Campi Ya
Kanzi - il campo del tesoro nascosto in
lingua kiswaili - in uno degli angoli più
straordinari d’Africa, un tempo rifugio
pure di Hemingway. Vennero tracciati
sentieri e strade, trovate nuove sorgenti (l’acqua più vicina, all’epoca, era
a 12 miglia), e si costruirono le basi di
fiducia tra italiani e guerrieri/pastori locali, cui venne insegnato a costruire
un lodge, a montare tende e servizi e
a fare le guide naturalistiche.
Amici tra Spagna e Stati Uniti
«Campi Ya Kanzi all’inizio rappresentava il nostro sogno divenuto realtà»,
racconta Luca. «Vivere qui e aiutare le
comunità a migliorare le condizioni socio-sanitarie divenne il nostro obiettivo
di vita. Nel contempo fu anche la dimostrazione sul terreno della mia tesi
universitaria sulla conservazione ambientale e lo sviluppo sostenibile in
Kenya, che mi fruttò la laurea in Economia. Oggi la nostra visione si è trasformata in quotidianità. Io e Manuela
viviamo uno dei momenti più soddisfacenti di tutta l’avventura: il nostro
fondo per il sostegno alle comunità
maasai funziona bene (Maasai Wilderness Conservation Fund; per info:
21 FEBBRAIO 2009
Per una vacanza ecosostenibile in Kenya si può far riferimento ad African
Explorer (www.africanexplorer.com, tel. 02.4331.9474). Prevede soggiorni
in diversi ecolodge sparsi in tutto il Paese; programmi di 9 giorni,
a partire da 1.815 euro. Campi Ya Kanzi è costruito con rocce di lava locali,
legna proveniente da programmi di riforestazione e tende fisse con letti
e verande. Usa tecnologie avanzate per produrre energia verde: acqua calda
ed elettricità sono generate da pannelli solari, la cucina a carbone è eco-friendly
(secondo un progetto ambientale dell’Onu), l’acqua piovana viene raccolta
e filtrata da rocce laviche, i rifiuti inceneriti e trasformati in compost per
colture organiche. La Tembo House, la casa che raccoglie gli spazi comuni,
ha una terrazza che da sola vale il viaggio; è affacciata sulla valle e su tutti
i 280 mila acri della proprietà. È possibile partecipare a safari a piedi guidati
da trekker maasai. Cercare leoni e ghepardi tra la fitta foresta in cima
alle colline Chyulu è un’esperienza straordinaria. Per info: www.maasai.com.
www.maasaitrust.org), e abbiamo avviato collaborazioni in Spagna e negli
Stati Uniti dove, con l’Università di Yale, partecipiamo a programmi di ricerca e sviluppo sul campo». Luca e Manuela, con la collaborazione dei figli e
di amici di mezzo mondo, mandano
avanti il tutto con entusiasmo infinito.
«Oggi impieghiamo stabilmente 120
persone. Lo scopo dichiarato, adesso
come al nostro arrivo, è di usare i proventi del turismo sostenibile per la
conservazione dell’ecosistema di quest’angolo di Kenya, dove si trovano
flora e fauna insostituibili. Allo stesso
tempo cerchiamo di migliorare le condizioni di vita, sanità ed educazione
dei villaggi nella valle. I maasai rimangono sempre gli unici, veri proprietari
della terra dove sorge l’area di attività
di ecoturismo, lodge compreso. Ci aiutano soprattutto nella gestione, ricevendo in cambio cospicue percentuali
degli introiti. Hanno capito l’importanza di proteggere gli animali selvatici,
leoni compresi. E, senza abbandonare
le tradizionali attività di agricoltura e
pastorizia, gestiscono finalmente la loro terra con una visione davvero multitask». (Foto dell’agenzia Parallelozero)
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