La Storia in breve di CastelBrando, attraverso i milenni

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La Storia in breve di CastelBrando, attraverso i milenni
CastelBrando
GUIDA STORICA AL CASTELLO
CastelBrando affonda le sue radici in 2000 anni di storia e rappresenta una pagina
aperta sul passato del territorio e sulle gesta di popolazioni, condottieri e illustri
personaggi, che ne hanno evidenziato eroiche imprese.
Abitato sin dalla preistoria, il primo castrum fu eretto a partire dall’età romana, come
struttura di controllo e difesa della Via Imperiale Claudia Augusta, che collegava
l’Adriatico al nord Europa.
Nel corso dei secoli conobbe una serie di ampliamenti: fu dimora dei Signori Da
Camino, i quali lo cinsero interamente di un’imponente merlatura alla guelfa e vi
eressero una torre centrale; passò poi sotto il controllo della Repubblica di Venezia,
che lo diede in feudo prima a Marin Faliero e poi, per meriti d’arme, ai capitani di
ventura Giovanni Brandolino ed Erasmo da Narni, più noto come il Gattamelata.
Con la famiglia Brandolini, che più delle altre ne ha segnato la storia ed il carattere, nel
cinquecento, il maniero fu ampliato nella sua parte centrale con gusto sansoviniano,
che ne impresse un garbo veneziano.
L’ultimo a sorgere è il corpo settecentesco a ferro di cavallo progettato dall’architetto
Ottavio Scotti di Treviso; una struttura lineare e imponente, volta ad un rigoroso
classicismo.
Rimase di proprietà dei Conti Brandolini fino al 1959, anno in cui fu venduto ai padri
Salesiani, che lo riadattarono per utilizzarlo come centro di studi spirituali.
Nel 1997 CastelBrando viene acquistato e restaurato completamente dalla
Quaternario Investimenti S.p.A., che lo ha riportato al fascino dei tempi del suo
massimo splendore.
GUIDA STORICA AL CASTELLO
Indice
pag. 5
CastelBrando e la Valmareno
pag. 6-7
Primi insediamenti nella Valmareno
pag. 8-9
L’evoluzione di CastelBrando
pag. 10-12
La “Regio X Venetia et Histria”
e il Castrum romano di Valmareno
pag. 13-16
La zona strategica di Valmareno: dalle invasioni
barbariche all’infeudazione delle famiglie nobili
pag. 17-18
La famiglia Da Camino
pag. 19
Il dominio della Serenissima Rep. Veneziana
pag. 20
I compagni d’armi Gattamelata e Brandolini
pag. 21
La fam. Brandolini,unica proprietaria di Valmareno
pag. 22
La Lega di Cambrai e l’intervento di G. Brandolini
pag. 23
I lavori cinquecenteschi dei Brandolini
pag. 24
Il teatro Sansovino
pag. 25-26
Le prigioni del castello
pag. 27-31
Il settecento e l’ampliamento del castello
pag. 32-33
L’Alcova del Conte Brandolini
pag. 34-35
La chiesa di San Martino
pag. 36
1998-­2003
pag. 37
5 Anni di lavori ciclopici
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GUIDA STORICA AL CASTELLO
CastelBrando e la Valmareno(1)
Eretto a 400 metri s.l.m.,
CastelBrando
domina
e protegge la valle ed
i passi alpini (passo di
Praderadego e passo
San Boldo); per duemila
anni CastelBrando è stata
una fortezza inespugnata
a difesa del fronte Nord,
soprattutto durante la
Serenissima Repubblica
Veneziana (1300-1797).
Vista aerea della Vallata
Il borgo di Cison di Valmarino dominato da CastelBrando.
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Primi insediamenti nella Valmareno
Prealpi Trevigiane.
Selci scheggiate ritrovate
a Roncavazzai (a Follina,
a 5 km da CastelBrando)
fanno risalire la presenza
dell’uomo nelle Prealpi
Venete già al 30.000 a. C.
Con il ritiro dei ghiacciai,
nel 30.000-40.000 a.C.,
Vista aerea del Gruppo della Carega.
la Vallata inizia a godere
di un clima favorevole
all’uomo; abili agricoltori
e artigiani iniziano ad
instaurarsi nelle vicinanze
dei laghi di Revine
Lago, creando i primi
villaggi palafitticoli d’Italia,
Palafitte del Parco Archeologico Didattico del Livelet.
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precursori di Venezia
(Parco
Archeologico
Didattico
del
Livelet
presso Revine Lago, a 5
km da CastelBrando. Sito
internet: livelet.provincia.
treviso.it) (2).
GUIDA STORICA AL CASTELLO
Popolazioni indoeuropee attraversano le
Alpi per raggiungere questa valle verso il
1000 a.C. e, unendosi ai popoli autoctoni,
formano il popolo dei Paleoveneti (3). Si
trattava di un popolo di abili cavalieri che,
negli anni, dimostrarono la loro potenza
con molteplici vittorie nelle gare equestri
greche.
Cacciatore delle Alpi
Ricostruzione di un costume
dei Veneti antichi del Museo
di I costumi del potere
di CastelBrando;
Stipe sacra di San Pietro
I Paleoveneti sono un popolo indoeuropeo che si è stanziato nell’Italia nord-orientale
verso la metà del II millennio a.C. Si narra che i Veneti antichi fossero grandi amanti
dei cavalli, tanto da farsi seppellire con loro. Omero li ricorda nell’Illiade, descrivendoli
come “gli Eneti che nelle corse dei cavalli primeggiavano vestiti di azzurro”, il colore
che li rappresentava e che è poi diventato il colore nazionale.
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46 a.c. ~ 400
CASTRUM ROMANO
Imperatore Claudio Augusto
400 ~ 600
INVASIONI BARBARICHE
600 ~ 900
LONGOBARDI
CAROLINGI
OTTOMANI
(Imperatore Carlo Magno,
Ottone I° & Teodolinda)
1400 ~ 1600
BRANDOLINI GATTAMELATA
Reasmo da Narni
1700 ~ 2000
IL CASTRUM ROMANO VENNE DEMOLITO
E LE PIETRE VENNERO UTILIZZATE PER
EDIFICARE LA REGGIA PATRIZIA
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900 ~ 1200
GHERARDO E GAIA DA CAMINO
1200 ~ 1400
MARINO FALIERO Doge di venezia
2000 ad oggi
CASTELBRANDO è fra i più grandi e storici castelli europei:
20.000 mq. coperti, 260 stanze, 365 finestre
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La “Regio X Venetia et Histria”
e il Castrum romano di Valmareno
In modo pacifico iniziano i rapporti tra Veneti e Romani che fanno
di “Venetia et Histria” la decima provincia romana, la X Regio (4).
L’imperatore
Claudio
Augusto inaugura nel 46
d.C. la strada imperiale
che prende il suo nome
“Via Claudia Augusta” (5),
iniziata dal padre Druso
nel 15 a.C. E’ il primo
collegamento fra il mondo
latino e quello germanico
e fra il Mediterraneo ed il
centro Europa.
Percorso della strada imperiale Via Claudia Augusta. Tratto di strada della Via Claudia Augusta Altinate
presso Praderadego e ponte romano di Villa Jacur presso Susegana.
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GUIDA STORICA AL CASTELLO
CastelBrando, dai reperti ritrovati, vede lo stanziarsi tra il 1000 e il 600 a.C. dei
Paleoveneti. Nel 40 d.C. circa, viene eretto il Castrum (attuale CastelBrando) quale
base logistica e di controllo della pianura e dei passi alpini lungo la Claudia Augusta.
Monete romane ritrovate nel sito di CastelBrando. Ricostruzione del Castrum
Il Castrum viene alimentato da 5 km di condotte in pietra e terracotta, presenta i
Roman Bath e probabilmente un tempio votivo (molti reperti sono affioranti grazie agli
scavi archeologici).
Si ipotizza che il Castrum
sia stato distrutto da un
terremoto di un’intensità
stimata intorno all’XI grado
della scala Mercalli che,
il 21 luglio 365 d.C.,
provocò
grandissime
distruzioni a Belluno,
Padova e Verona; le
conseguenze
furono
disastrose, tanto da far
“precipitare” il monte
Soccher a Ponte nelle Alpi
e da far probabilmente
cambiare il percorso del
fiume Piave.
Sorgente d’acqua che alimenta CastelBrando e condotte romande dell’antico Castrum.
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Tre
pareti
dell’antico
Castrum romano sono
tuttora visibili, compreso il
suo antico ingresso. Dalla
grandezza delle pareti
(2-3 metri) si è calcolata
l’altezza di ca. 30 metri.
Il forno per il pane, quasi
intatto, ha un diametro
di oltre 3,2 metri; si è
calcolato che provvedeva
al pane per più di 200
armigeri.
Sopra al forno si trova
un’ulteriore
camera
utilizzata dai romani per
essiccare le carni, che
venivano poi mantenute
nelle sacche della cintura
dai soldati per alcune
settimane o addirittura
mesi.
La presenza dei Roman
Bath
(Bagni
romani)
testimonia l’esistenza di
un tempio votivo nelle
vicinanze o all’interno del
Castrum, probabilmente
dedicato alla dea Minerva
o a Giove, com’era in uso
nell’Impero romano.
Il Castrum romano quindi
era un luogo strategico
per un efficiente controllo
dei passi e della valle e
una stazione di posta.
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Forno Romano
visitabile all’interno
della Cantina
di Ottone a
CastelBrando
Scudo Romano ritrovato all’interno di CastelBrando
GUIDA STORICA AL CASTELLO
La zona strategica di Valmareno:
dalle invasioni barbariche
all’infeudazione delle famiglie nobili
Caduto l’Impero Romano, tra il 360 e il 476 d.C.,
iniziano le invasioni barbariche con Goti, Visigoti e Unni.
Si racconta che Attila, re degli Unni, abbia conquistato
ed usato il Castrum per le sue orde e continue invasioni
di popoli Nordici e dall’Oriente.
Invasioni barbariche in Europa
Molto documentata è l’invasione da parte dei
Longobardi (6) che, nel 568, si insediano nella Vallata,
sotto la guida di re Alboino. La tradizione narra che
la regina Teodolinda (7), strettamente legata alla sua
fede cattolica, dopo aver soggiornato per un periodo
nell’antica fortezza di CastelBrando, dona la Valmareno
al nascente vescovado di Ceneda.
La regina Teodolinda, illustrazione
di “Cronache di Norimberga”
di Hartmann Schedel
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La regina Teodolinda, di
fede cattolica, rappresentò
il primo collegamento
tra i Longobardi ariani
e la Chiesa di Roma.
Il suo forte legame alla
fede cattolica la indusse
a costringere le proprie
genti ad abbandonare
la poligamia, scegliendo
la
religione
cristiana
che, invece, imponeva
una stretta monogamia,
pena il taglio della testa;
ovviamente molti o, più
probabilmente,
quasi
tutti
si
convertirono.
Vennero incise le croci
all’ingresso di ogni casa
o fortezza, croci che sono
ancora nettamente visibili
nell’antico ingresso al
Castrum.
Parte del documento
dell’Editto di Rotari
e degli Statuti
della Repubblica Veneziana
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Particolare di CastelBrando: croci longobarde
Le popolazioni venete
adottarono
le
leggi
longobarde, in particolar
modo l’Editto di Rotari
(8), ben documentato
anche nei successivi
codici del Feudo della
Valmareno
che,
con
svariati adattamenti ed
inserimenti dei codici della
Serenissima e degli ordini
feudali, fu utilizzato fino alla
caduta della Repubblica
Veneziana (1797).
GUIDA STORICA AL CASTELLO
Verso l’800 le invasioni
proseguono con l’arrivo
dei Carolingi, comandati
dall’imperatore
Carlo
Magno, che occupano
il castello ed i territori
circostanti per quasi 100
anni. Un altro importante
imperatore
occupa
successivamente
il
castello e i suoi territori:
si tratta di Ottone I, re di
Germania e Sassonia,
che,
incaricato
di
proteggere il territorio
dai molteplici attacchi
degli Ungari, restituisce
la giurisdizione temporale
a Sicario, vescovo di
Ceneda,
nominato
successivamente
feudatario dell’Impero.
Carlo Magno, imperatore
del Sacro Romano Impero
Immagine del castello
del Vescovado
di Ceneda (Vittorio Veneto)
E’ del 739 un documento
firmato dal vescovoconte di Ceneda (9), che
trasferisce il Castrum
(CastelBrando) con la
“Camera della chiesa” ad
una famiglia longobarda.
Nel XI secolo, i vescovi
cenedesi
diedero
in
feudo la Valmareno ai
Conti di Porcia, i quali, nel
1154, con il matrimonio
dell’erede
Sofia
di
Colfosco (10) (nata dal
matrimonio
tra Walfredo Conte di
Colfosco e Adelaide di
Porcia) con Guecellone
da
Camino
(11),
permettono il passaggio
del feudo di Valmareno
sotto la giurisdizione dei
Caminesi.
I Caminesi, divisi poi
in Caminesi di Sopra
(con
base
anche
in
CastelBrando),
espandono
l’originale
Castrum-fortezza
in
Castello comitale.
Stemma della
famiglia Da Camino
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All’originale ingresso al
Castrum, che era rivolto
ad Ovest, verso la Claudia
Augusta, viene aggiunta
una strada ed un ingresso
verso Est, con muraglie e
torri di guardia.
Torri duecentesce di CastelBrando
Addossate al lato Est
del Castrum, vengono
edificate le prigioni ed una
serie di stanze e saloni,
tutt’oggi ben visibili.
Particolare delle Torri
Mura Guelfa che circonda CastelBrando
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Ingresso alle torri
GUIDA STORICA AL CASTELLO
La famiglia Da Camino
“Il Buon Gherardo e la figlia Gaia”, vengono cantati da Dante nel Purgatorio e nel
Convivio come esempio di Buon Governo, a dispetto di quel Da Camino Guecello
(dei Caminesi di Sotto) ucciso dai sudditi per la troppa tirannia in Treviso.
Ben v’èn tre vecchi ancora
in cui rampogna l’antica età la nova,
e par lor tardo che Dio a miglior vita li ripogna:
Currado da Palazzo e ‘l buon Gherardo
e Guido da Castel, che mei si noma,
francescamente, il semplice Lombardo.
[... diss’io:] Ma qual Gherardo
è quel che tu per saggio
di’ ch’è rimaso de la gente spenta,
in rimprovèro del secol selvaggio?”.
“O tuo parlar m’inganna, o el mi tenta”,
rispuose a me; “ché, parlandomi tosco,
par che del buon Gherardo nulla senta.
Per altro sopranome io nol conosco,
s’io nol togliessi da sua figlia Gaia. (Dante Alighieri, Purgatorio - Canto sedicesimo)
Pognamo che Gherardo
da Cammino fosse stato
nepote del più vile villano
che mai bevesse del
Sile o del Cagnano, e
la oblivione non fosse
ancora del suo avolo
venuta. Chi sarà oso
di dire che Gherardo
da Cammino fosse vile
uomo? e chi non parlerà
meco dicendo quello
essere stato nobile?
Certo nullo, quanto vuole
sia presuntuoso, però
che elli fu, e fia sempre
la sua memoria. E se la
oblivione del suo basso
antecessore non fosse
venuta, sì come s[i s]
uppone, ed ello fosse
grande di nobilitade e la
nobilitade in lui si vedesse
così apertamente come
aperta si vede, prima
sarebbe stata in lui che ‘l
generante suo fosse stato:
e questo è massimamente
impossibile. (Dante
Alighieri, Convivio,
quarto trattato, cap. 16)
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Grazie ad alcuni matrimoni,
la famiglia Da Camino
inizia ad estendere il
proprio territorio oltre la
valle.
La famiglia, però, spesso
cede la Contea a dei
Vicari e Gastaldi.
Molti
sono
quindi
i proprietari che si
susseguono in questi
secoli, fino al 1312,
quando Rizzardo Da
Camino viene assassinato
nella loggia del suo
palazzo, senza lasciare
eredi maschi.
Abbazia Santa Maria di Follina, costruita da Sofia Da Camino.
Nel scegliere il nome della figlia,
Gherardo
si
rifece
all’aggettivo
provenzale “gay”, con il significato di
“valore” e “cortesia”. Lo stesso Dante,
riferendosi a Gherardo, utilizza il termine
“gaio”, intendendo la sua “gentilezza
lieta e cortesia cavalleresca”. A Gaia è
dedicata una delle torri del castello.
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Nonostante
la
rivendicazione da parte
dei Caminesi del ramo di
Sotto, la Valmareno ritorna
sotto la giurisdizione del
vescovo di Ceneda, che
infeuda nella Contea i
procuratori di San Marco:
Marco Morosini, Marco
Giustiniani e Giustiniano
Giustiniani.
Nel 1343, il vescovo
Ramponi
decide
di
lasciare il feudo a Rizzardo
e Gherardo, facenti parte
del ramo dei Caminesi di
Sotto.
GUIDA STORICA AL CASTELLO
Il dominio della
Serenissima Repubblica Veneziana
Piazza San Marco, Venezia.
Il loro dominio, però, dura ben poco perché, a causa dei debiti, sono costretti a
cedere tutto alla Repubblica Veneziana (12) che ne infeuda il noto Marin Faliero (13),
podestà che non fu affatto accettato dalla popolazione locale e, per questo motivo,
il suo dominio fu molto breve.
Marin Faliero fu il cinquantacinquesimo
doge della Repubblica Veneziana.
Dopo aver lavorato per anni per la
Repubblica come un valente soldato,
l’11 settembre 1354 fu proclamato
doge. Il suo dogado però fu molto
breve e travagliato. Nel 1355 fu
decapitato, dopo aver congiurato
contro la Repubblica. Il Consiglio dei
Dieci decise in seguito di eliminare
dal Palazzo Ducale la foto del doge
traditore e di inserire, al suo posto,
la scritta “Hic est locus Marini Faletri,
decapitati pro criminbus”.
François Pradilla,
“Marino Faliero Dux LV”, 1883.
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I compagni d’armi Gattamelata
e Brandolini
Nel 1355 il doge Marin Faliero fu condannato a morte, costringendo la Repubblica
ad infeudare nella Contea di Valmareno un nuovo Podestà. Ricominciano così le lotte
per la conquista del feudo di Valmareno che terminano nel 1436, anno in cui il doge
Francesco Foscari infeuda nella Contea due suoi valorosi capitani di ventura, come
ricompensa per i servizi resi allo stato: si tratta dei fratelli d’armi Erasmo da Narni,
noto come Gattamelata (14) e Brandolino “Brando” IV da Bagnacavallo.
Dettaglio della statua di Gattamelata,
Piazza del Santo (PD). Ricostruzione del costume
di Brandolino IV, presso Museo dei Costumi
antichi, CastelBrando.
Vista della Vallata, antica Contea di Valmareno.
Deciso a combattere
ancora
per
la
Serenissima
per
conquistare il più alto
grado di condottiero (il
Comando
generale),
il Gattamelata vende
il feudo per 3000
ducati d’oro e continua
a combattere fino al
raggiungimento
dei
suoi settant’anni, nel
1439, un anno dopo
aver acquisito il titolo di
Capitano generale.
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Scrivania quattrocentesca
del Gattamelata,
presso CastelBrando.
A CastelBrando si trova
un prezioso tavolo da
campo quattrocentesco,
appartenente
al
condottiero Gattamelata,
sul quale è ancora visibile
la bruciatura del cero,
necessario ad illuminare le
parole delle sue numerose
lettere.
GUIDA STORICA AL CASTELLO
La famiglia Brandolini,
unica proprietaria di Valmareno
Nato nel 1370 a Narni,
Ersamo di Paolo lo
Strenuo, meglio noto
come Gattamelata, fu
uno dei più importanti
condottieri
italiani,
inizialmente al servizio
di Firenze, poi del Papa
Martino V e infine della
Repubblica veneziana.
Varie sono le ipotesi sul
suo soprannome: alcuni
sostengono che riassumi
il suo comportamento,
ovvero “la dolcezza dei
suoi modi congiunta
a grande furbizia”; altri
dicono che derivi dal
cognome della madre,
Melania Battelli.
Alla sua morte, nel
1443,
la
vedova
Dipinti della famiglia Brandolini
del Settecento e
di Brandolino Brandolini.
Giacoma
Boccarini
Brunori commissionò al
Donatello la creazione di
un monumento in onore
del cavaliere. Il Donatello
si mise presto all’opera
e, nel 1453, consegnò
la prima opera pubblica
puramente
celebrativa,
situata in piazza del Santo
a Padova.
La famiglia Brandolini
proveniva
da
Bagnacavallo. Alcuni autori
raccontano che il principe
Brando, proveniente da
“Brandeborgo”, ebbe in
feudo Bagnacavallo come
premio per aver lottato
al fianco di Belisario,
generale
bizantino.
I
Brandolini
vengono
anche ricordati per la
partecipazione alla prima
Crociata con Sigismondo
e Tiberto Brandolini; in
ricordo di questa crociata,
si ha l’aggiunta del simbolo
degli scorpioni neri nello
stemma della famiglia.
Uno dei più importanti
componenti della famiglia
è Brandolino III Brandolini,
il primo membro dei
Brandolini a stanziarsi
nelle zone dell’attuale
regione Veneto. Nel 1300,
infatti, questo capitano,
al servizio di Galeazzo
Visconti,
ricevette
la
Contea di Zumelle come
premio per le sue imprese
militari contro i Da Carrara.
Mentre il Gattamelata
scelse la strada del
combattimento,
il
compagno
Brandolini,
avendo ormai 52 anni e
un braccio rotto, decise di
lasciare la propria carriera.
Acquistò quindi il resto
del feudo, venduta dal
Gattamelata, divenendo
così unico conte di
Valmareno e signore di
Solighetto.
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La Lega di Cambrai e l’intervento
di Gianconte Brandolini
Il Cinquecento diventa
un secolo importante per
la famiglia Brandolini. La
Repubblica
Veneziana,
infatti, a causa della sua
politica espansionistica,
viene ostacolata dalla
Lega di Cambrai (15)
(formata dalle maggiori
potenze
europee:
Germania, Spagna, i
Savoia, i Gonzaga, il
Papato, Firenze).
Nel 1510, la Lega inizia
a conquistare parte del
territorio appartenente alla
Repubblica
Veneziana
e, in particolar modo,
l’Imperatore Massimiliano
I conquista Feltre, Belluno
e Vittorio Veneto.
Su
richiesta
della
Repubblica
Veneziana,
Gianconte Brandolini crea
un piccolo esercito e libera
Vittorio Veneto, Belluno
e
Feltre.
Conquistati
i territori, decide di
mandare un segnale
22
all’Imperatore: toglie gli
occhi e taglia le mani al
capitano reggente dei
germanici e lo rispedisce
a Massimiliano I, che era
appostato a Trento.
Offeso di questo suo
gesto, l’Imperatore crea
un esercito di 40.000
uomini e inizia la marcia
verso Feltre. Gianconte,
astutamente,
decide
di abbandonare Feltre
e rifugiarsi nei monti,
per poi, in un secondo
momento, riconquistare
Feltre e liberare le zone
fino quasi a Trento.
Grazie a questo episodio
e a tanti altri, Gianconte e
la famiglia Brandolini sono
ancora oggi ricordati nella
storia della Repubblica
Veneziana come abili
condottieri.
GUIDA STORICA AL CASTELLO
I lavori cinquecenteschi
dei Brandolini
Facciata cinquecentesca dell’Ala
Mentre
Gianconte
Brandolini
combatteva
per la protezione della
Repubblica
Veneziana,
Antonio Maria Brandolini si
occupò dell’ampliamento
del castello.
In perfetto stile veneziano,
con l’utilizzo di bifore e
trifore, si ipotizza che
la
creazione
dell’Ala
Rinascimentale, costruita
nei
primi
anni
del
Cinquecento, sia opera
del
maestro
Jacopo
Sansovino (16),
Proto (massimo architetto)
della
Repubblica
di
Venezia e amico di
famiglia.
Sicuramente
lo
stile
veneziano è stato scelto
in onore della Repubblica,
grandissima potenza per la
quale la famiglia Brandolini
ha
sempre
lavorato.
Ma è possibile anche
che la scelta sia stata
influenzata dallo stretto
legame con la Regina
Cornaro (17), amante di
tali canoni estetici. I due
camini cinquecenteschi
nel Teatro del Sansovino
sono, infatti, regalo della
Regina di Cipro.
Ad
arricchire
questa
facciata, tre stemmi a
testimonianza dei legami
più importanti della famiglia
con le nobili famiglie dei
Cornaro, dei Da Collalto
(18) e dei Malatesta (19).
Uno dei tre stemmi che
decorano la facciata
Rinascimentale
Fontana cinquecentesca
del Fauno,
figura mitologica romana
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Il Teatro Sansovino
Teatro Sansovino
Nel 1683, Guido VIII
Brandolini fece costruire
un
teatro
nell’Ala
Rinascimentale
del
castello. Non si trattava
solo di un teatro per feste
di ballo e rappresentazioni
musicali, ma era anche
il luogo dove i sudditi
ricevevano una formazione
culturale
e
civile.
L’incendio del 1872 e il
successivo terremoto del
Lastra dell’Ottocento
24
1873, però, distrussero
una parte del teatro e
dell’Ala cinquecentesca.
Fu
successivamente
risistemato dai fratelli
Vincenzo
Sigismondo,
Guido, Paolo e Annibale
che lasciarono, come
testimonianza, una lastra
con l’iscrizione: “Questo
castello di Valmarino
ricordo di Erasmo Da
Narni detto el Gattamelata
Stemma di matrimonio
della famiglia Brandolini
e di Brandolino Brandolini
quasi
distrutto
dalle
fiamme nella notte del
5 e 6 luglio dell’anno
1872. I fratelli Brandolino,
Vincenzo,
Sigismondo,
Guido, Paolo, Annibale
conti
Brandolini
ristaurarono per volontà
concorde e lo resero
monumento di amor
fraterno e di indissolubile
affetto di famiglia”.
Oggi il Teatro Sansovino
viene anche chiamato
Salone degli Stemmi, in
quanto, lungo le pareti,
presenta
dipinti
gli
stemmi restaurati della
famiglia Brandolini uniti in
matrimonio con alcune
delle famiglie più note della
storia italiana ed europea,
dal 1240 al 1934.
GUIDA STORICA AL CASTELLO
Gli stemmi rappresentavano i matrimoni della famiglia: all’interno dello
stemma, veniva posto a sinistra il simbolo della famiglia dello sposo
e a destra il simbolo della famiglia della sposa. Inoltre, in alto, sono
scritti i nomi dei due coniugi e la data del matrimonio.
Uno dei Caminetti del
Teatro Sansovino
Due imponenti caminetti
decorano
il
teatro
Sansovino. Si tratta del
dono di nozze da parte
della Regina Caterina
Cornaro per il matrimonio
tra un suo nipote e un
membro della famiglia
Brandolini. In occasione
di queste nozze, fu
concesso ai Brandolini
di inserire la corona reale
a nove punte nel loro
stemma.
L’elegante
ingresso
dell’Ala
Rinascimentale
Famiglia Brandolini all’ingresso
al Teatro Sansovino (Porta in Alabastro)
dalla
corte
interna
presenta
una
porta
realizzata nei primi anni del
Cinquecento, diamantata
in prezioso Alabastro
bianco, la specie più
pregiata
di
roccia
evaporitica di origine
gessosa.
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Le prigioni del castello
L’ala
duecentesca,
collegata
al
Teatro
Sansovino,
disponeva
anche delle prigioni, che
si sviluppavano in tre celle
(20).
Nella
prima
cella
avveniva l’esame ed
il contradditorio fra il
giudice ed il condannato.
Molto spesso la pena
era pecuniaria ed il
condannato
doveva
versare una somma per
riconquistare la libertà o
veniva trasportato nella
terza sala, quella “dei
tormenti”.
Museo delle Prigioni Antiche, CastelBrando
In quest’ultima sala, la
Sala delle Torture, sono
ritornati alla luce (grazie a
scavi e restauri) il camino,
dove venivano arroventati
i ferri di tortura, il vano
di tortura all’acqua, la
carrucola per gli stiramenti
e l’accetta per il taglio
degli arti o della testa, oltre
ad un’uscita, attraverso
un tunnel, verso il bosco,
dove
probabilmente
venivano portati gli arti o i
cadaveri.
26
GUIDA STORICA AL CASTELLO
E’ di questo periodo il racconto, arrivato fino ai giorni nostri, della
dama nera e dama bianca, spiriti erranti o fantasmi di dame trucidate
nel castello e portatrici di fortuna, se l’incontro è con la dama bianca,
o di sfortuna, se l’incontro è con la dama nera.
Tra le pene più diffuse,
c’era la Berlina. Le donne
che
commettevano
reati che intaccavano
i pubblici costumi, ad
esempio l’adulterio o la
prostituzione,
venivano
rinchiuse in una gabbia
ed esposte nelle zone più
frequentate della Contea.
“Mettere alla berlina”
significa, infatti “umiliare”.
Inoltre esisteva un pozzo
a coltelli. Il reo veniva
appeso ad una balestra,
posizionata sopra il pozzo,
per poi lasciarlo cadere al
suo interno.
Berlina di CastelBrando
Una leggenda narra che un
serpente, periodicamente
di notte, si alza sul pozzo
della morte e con grida
lugubri ricorda le crudeltà
usate in castello.
Pozzo dei coltelli con stemma dei Brandolini
27
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Il settecento e l’ampliamento
del castello
Nel Settecento, Guido
IX
Brandolino
affidò
all’architetto Ottavio Scotti
(21) l’ampliamento del
castello.
Demolendo
quindi
una parte del castello
(“… è già demolito
in gran parte l’antico
palazzo quale era tutto
irregolare e pressoché
informe,
affinché
di
considerabile estensione
e, rinnovandolo, non si
lasci in piedi del vecchio
palazzo o castello, come
lo chiamano, che la gran
sala”), l’architetto Scotti
progetta e costruisce,
tra il 1710 e il 1730,
l’Ala Barocca, un ampio
edificio in stile anti
sismicità. Inoltre copia il
sistema di climatizzazione
a radiazione dell’Ermitage
Fondamenta visibili
nel giardino di corte
28
Facciata Barocca
di San Pietroburgo: le
possenti mura centrali
hanno una serie di
canalizzazione, percorse
da aria riscaldata da una
settecentesca caldaia a
legna (visibile ancora oggi
sotto i criptoportici), unica
Caldaia settecentesca
nel suo genere, e che
climatizza il castello come
una grande stufa.
All’interno del Giardino di
Corte sono ancora visibili
le fondamenta di edifici
risalenti al 900-12001500.
Giardino di corte
GUIDA STORICA AL CASTELLO
All’ingresso principale, i Brandolini decisero di esporre una propria collezione di armi
e armature, fieri del proprio mestiere delle armi.
Ingresso principale ala Barocca
Lo scalone è unico nella
sua specie: è composto,
infatti, di 69 gradini
monolitici, divisi in 5 ordini
da 5 terrazzi veneziani ed
è contornato da armature
originali del 1200, del
1500 e del 1700.
Al di sotto di questo
scalone, si trovava lo
scalone cinquecentesco
che
accompagnava
armoniosamente
gli
ospiti all’interno dell’Ala
Rinascimentale. Gli scalini
erano molto più larghi,
cosicché era possibile
percorrerlo
anche
a
cavallo.
Nel Settecento la
scala rappresentava
il potere.
Per questo motivo,
il Conte attendeva
gli ospiti a metà
scalone, quando
questi erano
graditi, oppure nel
pianerottolo più alto,
quando questi non
erano i benvenuti,
così da sottolineare
ancora di più il
proprio potere.
Scalone principale del ‘700
29
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Data l’altezza del palazzo, le scale svolgevano un ruolo fondamentale di collegamento.
Esistevano quindi “lo scalone reale”, eleganti scale nobili e alcune scale della servitù.
30
GUIDA STORICA AL CASTELLO
L’ingresso principale era
percorso anche dalle
carrozze, che venivano
ricoverate
sotto
ai
criptoportici.
Per alcuni anni, i Brandolini
utilizzarono i criptoportici
come deposito e stalla.
Nella parte più alta dei
criptoportici,
erano
mantenute, durante il
periodo invernale, circa
1000 vasi di gerani
che, per 9 mesi l’anno,
decorano ancora oggi le
365 finestre del castello.
Oggi ospitano invece una
collezione di carrozze
antiche, dalla Biga romana
alla Break da caccia.
Adiacente ai criptoportici,
si eleva il torrione di
guardia. Da qui i guardiani
avevano
un
ampio
Serra dei Brandolini
controllo su buona parte
della Contea, da Tarzo a
Follina.
Il torrione di guardia quindi
era fondamentale per la
protezione del castello e
del feudo.
Nella zona retrostante,
invece, si trovava la serra
per i fiori dei Brandolini.
Lo stesso torrione di
guardia,
grazie
allo
spessore dei propri muri
e quindi alla temperatura
stabile che si creava al
suo interno, fu utilizzato
come una vera e propria
serra, specialmente per
le piante di limoni e di
arance.
Si racconta che la
Contessa usasse,
appena svegliata,
sorseggiare il caffè
ogni giorno dell’anno
affacciata ad una
finestra diversa.
Torrione di guardia
Giardino di corte
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L’Alcova del Conte Brandolini
L’Ala
Settecentesca
ospitava i piani nobili della
famiglia Brandolini e, in
particolar modo, l’Alcova
del Conte.
Due
anticamere
collegavano
l’alcova
allo scalone principale.
L’alcova,
inoltre,
possedeva
diverse
vie di fuga, tra cui una
botola
posizionata
sotto al letto del Conte,
che
conduceva
alla
Casagrande, abitazione
dei Conti Brandolini, al
centro del borgo di Cison
di Valmarino (quindi fuga
verso l’Est); si dice inoltre
che ci fosse un tunnel che
arrivava fino alla Chiesetta
di S.Giacomo e S.Filippo
giù a Valmareno.
Alcova del Conte
Era uso in passato la tradizione del
“ius primea noctis”: le spose della
Contea di Valmareno dovevano
trascorrere la prima notte di nozze
con il Conte, presso la sua alcova.
Quando però la neo sposa o il
neo sposo si ribellavano al Conte,
quest’ultimo li uccideva per poi
gettare il corpo all’interno della
botola della sua stanza.
Una funzione positiva la ebbe
durante la prima guerra mondiale,
quando la Marchesa Serra
di Cassano riuscì a sfuggire
all’invasione austriaca percorrendo
il condotto della botola fino alla
Casagrande.
Vista notturna del Castello
32
GUIDA STORICA AL CASTELLO
Altre vie di fuga, “le
segrete”, conducevano
verso la valle, a Sud. Il
tunnel è visibile al lato
dell’ascensore (livello 2)
ed una terza via di fuga
verso il bosco e foresta a
Nord.
Il castello ebbe la fortuna
di essere posizionato in
un punto del monte ideale
per le sorgenti di acqua,
che cominciano il proprio
corso a 4 km a monte (in
Corin) e che da 2000 anni
alimentano il castello.
Per questo motivo vi sono
molte fontane e molti pozzi
all’interno del castello.
Le prime condotte furono
costruite dai Romani in
terracotta e pietra forata e
sono visibili in diverse aree
del castello.
Pozzo dei desideri
Una delle sorgenti che alimenta CastelBrando
Il “pozzo dei desideri”,
costruito già nel 1250, fu
utilizzato per nascondere
i tesori raccolti dai
Brandolini nelle varie
battaglie,
includendo
anche parte del tesoro
conquistato dai propri avi
durante le crociate. Si
narra che ogni desiderio
espresso in questo pozzo,
diventi realtà.
Fontana della fertilità
La “fontana della fertilità”
racchiude tra le sue
acque una leggenda: si
narra che, se una coppia,
insieme, esprime un forte
desiderio di maternità
guardando la fontana,
la maternità si realizza.
Si tratta di una fontana
costruita nel 1700.
Fontana della fertilità
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La chiesa di San Martino
Chiesa di San Martino
Opera di Ottavio Scotti
è anche la chiesetta di
San Martino. Costruita nel
Settecento sopra i resti di
una precedente chiesetta
romanica del duecento
e probabilmente sopra i
resti di un tempio votivo
romano, è un connubio
di architettura classica
e
armoniosamente
decorata con affreschi e
stucchi in stile rocaille.
Su progetto di Ottavio
Scotti, architetto che
si è occupato della
costruzione
dell’Ala
Barocca,
la
chiesa
segue
uno
stile
classico, assolutamente
inconsueto per la cultura
barocca dell’epoca.
Egidio dall’Oglio (22) ha
invece creato i capolavori
interni, caratterizzati da
colori delicati e da uno
stile tendente al rococò.
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Le opere della chiesa di
S. Martino sono i Dodici
Apostoli, i Santi Paolo,
Tiziano e Pietro, il Riposo
durante la fuga in Egitto, la
Fuga in Egitto, la Natività e
l’Assunzione della Vergine.
La chiesa presenta anche
un’opera di un allievo
di Jacopo da Bassano,
raffigurante San Martino.
La chiesa, infatti, è
dedicata proprio a questo
santo, protettore dei
cavalieri e condottieri.
San Martino dipinto della
Chiesa di CastelBrando
Interno Chiesa San Martino
GUIDA STORICA AL CASTELLO
Al centro del pavimento
della navata centrale,
spicca una botola con
il
motto
“Impavidum
Ferient”, probabilmente
tratto dalla celebre frase
di Orazio “Impavidum
ferient ruinae” (le rovine
lo colpirono impavido).
All’interno della chiesa si
trovano anche le tombe
della famiglia dopo il 1800
fino l’ultimo Brandolini
(il
Conte
Brandolino
Brandolini d’Adda, morto
nel 2001) e l’ossario della
grotta precedente dei
Brandolini dal 1200.
Sulla facciata esterna,
invece, si trova il famoso
bassorilievo di Brandolino
III De Brandoli, collocato
tra la sua lastra tombale
e gli stemmi di famiglia.
Ai piedi la scritta “Qui
giace Brandolino De
Brandolini uomo potente
per intelletto e per spada
che Bagnacavallo partorì,
fu Capitano della chiesa
e Conte per meritata
virtù di Zumelle, che
avrebbe condotto grazie
al suo nome insigne
azioni coraggiose in tutte
le terre se le parche non
avessero rotto i fili con
la rocca veloce”; le altre
pietre tombali, portate in
castello con le ossa dei
Guerrieri e Conti nel 1500
ca., da Bagnacavallo,
sono risalenti ad epoche
più antiche (900-11001300).
Il Castello rimase proprietà
dei Brandolini fino al 1959,
data in cui fu acquistato
dai Padri Salesiani (23)
che ne crearono un centro
spirituale, per ospitare
corsi di aggiornamento
culturale e religioso.
Particolare della botola
all’inteno della Chiesa
Particolare del bassorilievo di
Brandolino III De Brandoli
Particolare del bassorilievo di
Brandolino III De Brandoli
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1998-­2003
Vista aerea di CastelBrando
Nel 1998 il castello
viene acquistato dalla
Quaternario Investimenti
S.p.A. (24), e in particolar
modo
da
Massimo
Colomban, imprenditore
italiano e fondatore della
Permastelisa che ha
fatto di CastelBrando
uno dei più raffinati
esempi di riqualificazione
del patrimonio storicoartistico italiano.
Il
recupero,
la
rifunzionalizzazione
e
l’apertura al pubblico
e alla comunità, dopo
2000 anni di fortezza e
residenza patrizia privata.
36
Vista delle facciate di CastelBrando
Particolare di CastelBrando
GUIDA STORICA AL CASTELLO
5 Anni di lavori ciclopici
• funicolare panoramica, lungo 200 m, ad
una pendenza del 75%
• 26.000 m3 di roccia scavati per la
creazione di 3 garage, del Teatro Tenda e
servizi annessi e funicolare
• 37.000 kg di canali d’aria
• 40.000 kg di tubazioni in ferro nero e
zincate
• 8.000 metri di tubazioni in rame
• 12.000 metri di tubazioni per la
distribuzione di acqua sanitaria, acqua
grezza e antincendio
• 1.300 metri di tubazioni per la
distribuzione gas metano
• 458.000 metri di cavi elettrici
• 64.000 metri di tubi elettrici
Ingresso funicolare panoramica
• 1.000 metri di canali elettrici
• 8.000 metri di fibra ottica (1 Giga di
velocità di trasmissione)
• 72 quadri elettrici di distribuzione primaria
• 65 quadri di distribuzione secondaria
• 8 caldaie per il riscaldamento a gas
metano (c.a. 2000 kw/h)
• 6 gruppi refrigeranti (c.a. 650 kw/h)
• 21 centrali di trattamento dell’aria per la
climatizzazione e controllo dell’umidità
interna
Funicolare panoramica
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NOTE
1) Valmareno oggi è una frazione del
Comune di Follina, posizionata ai piedi del
Passo Praderadego. L’antico termine con
cui veniva denominata la vallata era “Vallis
Mareni”, poi modificata in “Val di Maren” e,
infine, in “Val Marena”. Ci sono varie ipotesi
riguardo alla denominazione di Valmareno.
Alcuni studiosi ritengono che “Valmareno”
sia un nome dato dal Doge Marin Falier
(che ha risieduto in CastelBrando intorno
al 1349); questo, però, è sfatato dalla
presenza di documenti del 1150 in cui
appare già questo nome. Un’altra ipotesi
sostiene che questa denominazione
ricordi un precedente specchio d’acqua
rimasto dopo il ritiro del Mare Adriatico, il
quale invadeva tutta la Valle Padana; ciò
spiegherebbe la scoperta di fossili marini nei
suoi dintorni. Ipotesi più credibile è quella
di un possibile torrente, il Valmareno, che
scendeva da Praderadego, attraversava il
paese per poi raggiungere la vicina Follina,
modificandone anche il proprio nome in
“Follina”. L’ipotesi più veritiera è la possibilità
che Valmareno derivi da un termine di origine
gallica; la radice indoeuropea di “mareno”
indica la palude, lo stagno e l’acquitrino.
Probabilmente è stato attribuito questo
nome al paese per ricordare la caratteristica
zona paludosa che fu bonificata nel 1100
dai monaci cistercensi. Si ritiene, infatti, che
la Via Claudia Augusta Altinate, la strada
imperiale che collegava Altino con i paesi
del Nord e che passava proprio per il Passo
Praderadego, affiancasse questo corso
d’acqua che offriva molti vantaggi.
PREISTORIA VENETA
2) Le Prealpi Venete rappresentano una delle
aree meglio documentate della preistoria
italiana; già in un momento avanzato del
Paleolitico inferiore (fra 500.000 e 300.000
anni fa) erano abitate da piccoli gruppi di
nomadi che si dedicavano alla raccolta di
vegetali, alla pesca, alla caccia di animali e
alla scheggiatura della pietra e dell’osso. Nel
Paleolitico Medio (30.000-35.000 anni fa),
l’Homo Sapiens, uomo più evoluto, domina
il territorio e, grazie a nuove tecniche di
caccia, ha la possibilità di procurarsi cibo
(anche animali di grossa taglia come i
mammut e l’orso delle caverne). Terminata
l’ultima glaciazione, nel periodo chiamato
“Epigravettiano evoluto-finale” (20.000
anni fa), l’uomo inizia a spostarsi nelle
montagne, lasciando tracce attraverso
graffiti ed incisioni figurative e geometriche;
inoltre vi sono le prime sepolture umane.
L’Homo sapiens sapiens (che ha iniziato
ad abitare le zone nel Paleolitico Superiore,
40.000-35.000 anni fa) svolgeva già delle
prime vere attività commerciali, attraverso lo
scambio dell’Ambra e il culto per i santuari
d’acqua, legati alla fertilità. A questi periodi,
seguono l’Età del rame (5.000-4.000 a.C.),
l’Età del bronzo (3.500-1.200 a.C.) e l’Età
del ferro (1.200 a.C.), in cui si trova un
passaggio “dal villaggio alla città” (civiltà
palafitticola), i primi documenti scritti in una
lingua indoeuropea molto simile al latino e,
infine, nella seconda metà dell’Età di ferro,
segni evidenti della stabilizzazione di alcuni
gruppi celtici. Per una conoscenza più
approfondita della preistoria del Veneto, ci
sono molte testimonianze tra le province di
Treviso e di Belluno: innanzi tutto il Parco
Archeologico e Didattico di Livelet, presso
Revine Lago, Si tratta di una ricostruzione
archeologica di alcune abitazioni primitive
relative al Neolitico, all’Età del Rame e
del Bronzo. Altre mete interessanti sono il
Museo Civico del Castello (Conegliano), il
Museo Civico Archeologico “Eno Bellis”
(Oderzo), il Museo di Storia Naturale
“Brandolini Giol” (Oderzo), il Museo del
Cenedese (Vittorio Veneto), il Museo Civico
di Asolo, il Museo Civico “La terra e l’uomo”
(Crocetta del Montello), il Museo di Storia
Naturale e Archeologia (Montebelluna), il
Museo Civico dei reperti archeologici del
territorio zumellese (Mel), il Museo Civico
della Val Fiorentina “Vittorino Cazzetta”
(Selva di Cadore), l’abitato fortificato in
località Noal (Sedico), il Museo Civico di
Belluno, il Museo Civico di Feltre, il Museo
Palazzo Corte Metto (Auronzo di Cadore).
3) Molte sono le fonti, arrivate ai nostri
giorni, che narrano del popolo dei Veneti
antichi. Scrittori greci e latini affermano che
i Veneti provengono dalla Paflagonia (che,
come dice Omero, è collegata al topos dei
loro famosi cavalli), Asia Minore. Gli scrittori
romani (in particolar modo Livio e Virgilio)
raccontano che i Veneti, guidati dal duce
Pilemene, giungono a Troia (intorno al 13001200 a.C.) per allearsi con gli abitanti nella
famosa omonima guerra; morto Pilemene e
già espulso il suo popolo dalla Paflagonia
a seguito di una sedizione (ribellione),
Antenore prende il comando, giungendo
così “in intimum maris Adriatici sinum”
dove, dopo aver cacciato gli Euganei,
fonda la città di Padova e li stabilisce la
sede del popolo. Si deduce quindi che gli
antichi Veneti si stabilirono nel territorio, che
coincide con l’attuale regione veneta, tra il
XIII e XII secolo a.C. Noti per la loro grande
abilità a cavallo, vengono ricordati da molti
autori, in particolar modo da Omero. I loro
centri abitativi più importanti (testimoniati
da fonti epigrafiche di tipo funerario e
votive) erano Este, Padova, Altino, Treviso,
Oderzo, Concordia, Montebelluna, Mel,
Vittorio Veneto, Cadore.
I ROMANI IN VENETO E LA X REGIO
4) La colonizzazione latina dell’Italia ebbe
inizio nel II secolo a.C.; n tutta Italia fu
creata una rete stradale che diede inizio alla
centuriazione e romanizzazione del territorio.
In Veneto, per esempio, furono costruite nel
153 a.C. la via consolare Annia (da Adria
ad Aquileia), nel 148 a.C. la via consolare
Postumia (da Genova ad Aquileia)e nel 132
a.C. la via Popilia (da Rimini ad Aquileia).
Con l’inizio della divisione del territorio
italiano in 11 circoscrizioni (regiones), nel
49 a.C. il proconsole Cesare permise la
cittadinanza agli abitanti dei territori ormai
latini. Nel 7 d.C., l’imperatore Augusto
creò la “Regio X Venetia et Histria” (la
decima regione), grazie all’instaurarsi di
un rapporto pacifico tra i romani e i popoli
Galli Cenomani, Euganei, Veneti, Rezi,
Gallo Carni, Istri. La X Regio comprendeva
gli attuali territorio di: Veneto, Friuli, Carnia,
Venezia Giulia, Carso, Istria, Trentino, parte
dell’Alto Adige, Cremona, Brescia, Sondrio
e Mantova.
5) Via Claudia Augusta Altinate è una
via militare di epoca romana che, per la
prima volta, segue un tracciato transalpino
che collega il mondo latino al mondo
germanico. Negli anni 46 e 47 d. C.,
l’imperatore Claudio Augusto (che diede il
nome a questa costruzione) aveva costruito
con “modalità e infrastrutture regolamentari”
questa via imperiale, iniziata già dal padre
Druso Maggiore nel 15 a.C. quando,
durante le campagne militari in ReziaVindelicia e nel Nordico, aveva spalancato le
porte delle Alpi combattendo le popolazioni
del nord e della Gallia. Ciò è testimoniato da
alcune iscrizioni incise su due cippi cilindrici
ritrovati a Rablà (BZ) e a Cesiomaggiore
(BL), che indicano però due diversi punti di
partenza; per questo si ipotizza che la Via
Claudia Augusta abbia due rami, uno che
partiva da Ostiglia (MN), l’altro da Altino
(VE) (passando ai piedi del Col de Moi, sul
quale si erge CastelBrando) e che poi si
ricongiungevano a Trento per proseguire in
un unico percorso fino alla Baviera. Creata
inizialmente come arteria di conquista e di
difesa, fu modificata da Claudio Augusto
per puntare ad uno sviluppo civile. Oltre ai
due cippi, sono stati ritrovati altri reperti (ad
esempio, alcuni tratti di strada presso l’area
archeologica di Altino, alcuni ponti romani
nelle zone tra il Montello e il Quartier del
Piave e presso Quarto d’Altino, un ponte
presso Villa Jacur a Susegana e un tratto di
strada nel Passo Praderadego).
LE INVASIONI BARBARICHE
6) I longobardi sono una popolazione
germanica orientale che, alle origini,
abitava la Scania (Svezia). Tra il II e il VI
secolo inizia la loro migrazione dall’Elba
all’Italia, soffermandosi nel medio corso del
Danubio e in Pannonia. Nel 568, guidati dal
re Alboino, si insediano in Italia creando il
Regno longobardo, un regno indipendente
formato da numerosi ducati. La prima città
a cadere nelle mani di Alboino è Cividale
del Friuli, seguita da Aquileia, Vicenza,
Verona e, poco a poco, tutta la zona nordorientale d’Italia, tra cui Pavia che diventa
la capitale del regno. Al re Alboino (ucciso
nel 572), succede Clef, che, però regna
per soli 2 anni. Nei successivi 10 anni,
non viene eletto un nuovo re, ma segue un
periodo di interregno, nel quale i vari ducati
conquistano gli Appenini centro-meridionali.
Ma, a causa dei troppi disordini interni,
viene eletto re Autari (figlio di Clef), sposo di
Teodolinda. Alla morte di Autari, Teodolinda
sposa Agilufo (duca di Torino) che diventa re
longobardo. Riprendono così le conquiste
dell’Italia e inizia anche un’integrazione
religiosa tra Longobardi e Italiani. Nel
616 muore Agilufo e a lui susseguono
numerosi re fino al 773-774, quando
Carlo Magno entra in Italia, conquistando
Pavia e facendosi chiamare “Gratia Dei rex
Francorum et Longobardum”, unendo così
il Regno Longobardo al Regno Franco.
7) Teondolinda è stata Regina dei
Longobardi e d’Italia dal 589 al 616.
Proveniente da stirpe regale, figlia del duca
di Bavari, sposa Autari, re dei Longobardi
(588). Dopo poco più di un anno, Autari
muore assassinato e Teodolinda decide
di risposarsi con Agilulfo, che diventa così
nuovo re longobardo. Nel 602 nasce il loro
figlio Adaloaldo, primo sovrano longobardo
battezzato nella fede cattolica. Alla morte
di Agilulfo, sale al trono il figlio che, ancora
minorenne, viene affiancato dalla madre
GUIDA STORICA AL CASTELLO
Teodolinda. Molto amata dal proprio
popolo, Teodolinda intensifica l’appoggio
alla Chiesa Cattolica. Muore nel 627 e il
suo corpo viene sepolto nel Duomo di
Monza. Con la sua morte, termina il periodo
monzese dei Longobardi.
8) Rotari è stato Re dei Longobardi e Re
d’Italia dal 636 al 652. Nato a Brescia,
dalla stirpe degli Aroldingi (dinastia che
regnò sui Longobardi a metà del VII
secolo), fu inizialmente duca di Brescia.
Morto il re Arioaldo, nel 636, sale al trono,
sposando poi Gundeperga, moglie del suo
predecessore e figlia della regina cattolica
Teodolinda. Molte sono le campagne militari
intraprese da Rotari che gli permettono di
ampliare notevolmente i territori longobardi,
conquistando tutta la Liguria e Oderzo
(grazie anche alla crisi interna dell’Impero
bizantino). Morto nel 652, è sepolto a Pavia,
nella basilica di San Giovanni Battista.
Rotari è ricordato soprattutto per l’Editto
promulgato da lui stesso alla mezzanotte
del 22 novembre 643. Attraverso questo
editto, codificò il diritto longobardo, che fino
a quella data era ancora orale, e apportò
delle innovazioni, probabilmente influenzato
anche dal diritto romano.
IL VENETO DAL X SECOLO
9) Ceneda oggi è un quartiere di Vittorio
Veneto. Già in età romana si trovava in
Ceneda un “vicus” (aggregato di case e
terreni) fortificato che appoggiava il Castrum
di Serravalle; oggi sono ancora visibili
alcuni tratti della centuriazione originale.
L’omonima diocesi, però, si estendeva
sul territorio Opiterginum (corrispondente
all’attuale territorio di Oderzo). Con l’inizio
delle invasioni barbariche, decade Oderzo
e Ceneda accresce la propria importanza,
divenendo prima sede del ducato
longobardo, poi diocesi e, grazie all’avvento
del Cristianesimo, sede vescovile. Nel 962,
l’imperatore Ottone I permette ai vescovi di
esercitare il potere temporale sul territorio,
diventando
così
Vescovado-contea.
Anche se sotto il dominio della Repubblica
Veneziana, Ceneda continua ad essere
una Contea vescovile fino al 1768, anno
in cui viene trasformata in una Podestà
ecclesiastica.
10) Sofia di Colfosco fu una delle più
importanti donne della Marca Trevigiana,
contessa e condottiera italiana. Grazie al
matrimonio con Guecellone II da Camino,
fa confluire alla famiglia del marito una
grande quantità di possedimenti feudali:
Sofia, infatti, è figlia di Walfredo di Colfosco
e Adelita, contessa di Zumelle, e nipote di
Ermanno, conte di Porcia. Sofia di Colfosco
è ricordata nella storia come una delle
più valorose donne italiane che ha osato
opporsi con le armi all’imperatore Federico
Barbarossa nelle battaglie di Cassano e
Balchignano. Nel 1170 fa erigere l’Abbazia
Santa Maria di Follina (oggi monastero
cistercense). Alla sua morte dona la
chiesa di Santa Margherita di Serravalle, le
chiese di Zumelle, Lago, Valmareno, Farrò,
Colfosco e Fonte all’Abbazia di Follina,
dove è stata sepolta e dove si trova la sua
tomba (costruita XVI secolo da san Carlo
Borromeo).
11) I Da Camino o Caminesi sono una
famiglia della Marca Trevigiana che ha
avuto rilievo fin dai primi anni del XII secolo.
Di origine longobarda e probabilmente
facente parte di un ramo della famiglia dei
Collalto, si sono affermati con Guidone,
figlio di Rambaldo I. Egli, infatti, salvò la vita
all’imperatore Corrado di Franconia che, per
premiarlo, gli donò il castello di Montanara
(nell’attuale Montanara di Sarmede, ai
piedi del Consiglio). In seguito anche i
figli Alberto e Guecello vengono infeudati
nelle terre tra il Piave e il Livenza per poi
stabilirsi in un luogo a Nord di Oderzo, dove
sorgeva un borgo con una grossa fornace.
Qui decidono di risiedere nel castello di
Camino e modificano il proprio nome da
conti di Montanara a conti Da Camino.
Presto iniziano a conquistare grandi territori
e, dopo un secolo, sono già proprietari
di Serravalle, Feltre, Belluno, Cadore,
Comelico. Inizia la loro decadenza che li
fa sottomettere al Comune di Treviso per
un breve periodo, dal 1183 al 1199. Da
questo momento, iniziano ad acquisire una
grande autorità e, schierati con la fazione
dei guelfi, sconfiggono i Da Romano, della
fazione dei ghibellini. Nel 1283 Gherardo
Da Camino diventa signore assoluto di
Treviso, stringendo una grande amicizia
con il Sommo poeta Dante Alighieri che
lo ricorderà nelle sue opere. A causa però
degli errori di gestione dei figli Rizzardo IV e
Guecellone, termina la signoria caminese.
Nel 1335 si estingue il ramo dei Caminesi
di Sopra con l’assassinio di Rizzardo VI e
tutti i territori della famiglia si incorporano al
dominio della Repubblica Veneziana.
IL DOMINIO VENEZIANO (dal Trecento
al Settecento)
12) Abitata già da popolazioni preromane,
Venezia è stata una delle potenze che
hanno caratterizzato maggiormente la
storia di tutta l’Europa. La sua nascita
è dovuta alle varie invasioni da parte di
Unni, Ostrogoti, Franchi e Longobardi, che
hanno costretto le popolazioni dell’Italia
Settentrionale a fuggire e rifugiarsi nella
laguna, un luogo formato completamente
da isole e per questo molto più sicuro
rispetto alla Terraferma. Pian piano queste
popolazioni trasformano la laguna in una
vera città, soprattutto quando nell’810 la
sede del governo ducale si trasferisce a
Rialto. Venezia si distingue presto per la sua
abilità a socializzare e commercializzare con
le altre popolazioni. Negli anni successivi, la
popolazione veneziana si specializza nelle
attività del mare, grazie alla sua favorevole
posizione, e presto Venezia diventa una
delle più temute potenze marittime. Proprio
per questo motivo, Venezia è costretta a
combattere molte guerre contro alcune
potenti rivali, come pisani, ungheresi,
genovesi e popolazioni del vicino Oriente.
Nonostante ciò, riesce ad espandere il
proprio territorio in tutto il Veneto (compreso
la Valmareno) e in parte del Friuli e della
Lombardia. La Repubblica di Venezia quindi
domina l’entroterra fino al 1797, anno
della caduta della stessa Serenissima a
causa dell’avanzare delle milizie francesi di
Napoleone Bonaparte.
13) La storia di Marin Falier è sconosciuta
fino ai suoi trentenni, probabilmente a causa
del demnatio memoriae (cancellazione
della memoria) voluto dalla Repubblica in
seguito al suo tradimento. Nato nel 1285,
all’età di trent’anni svolge servizi onorevoli
in guerra e nelle ambasciate, diventando
così membro del Consiglio dei Dieci (una
delle più alte cariche veneziane). L’11
settembre 1354 viene proclamato Doge
della Repubblica veneziana, mentre si trova
ad Avignone, come ambasciatore presso
papa Innocenzo VI (precedentemente
erano stati eletti altri due dogi della famiglia
Falier: tra il 1084 e il 1095 il Doge Falier
Bodoni Vitale e tra il 1102 e il 1118 il Doge
Falier Bodoni Ordelaf). A causa della fragile
situazione in cui si trova Venezia (aveva
appena affrontato una guerra contro i
veronesi, stava combattendo con Genova e
aveva superato la peste con conseguenze
gravi, sia dal punto di vista economico,
che commerciale) e di un’offesa da
parte del patrizio Michele Steno, Marin
Falier organizza una congiura contro
la Repubblica veneziana, che prevede
l’uccisione dei membri dei vari Consigli e
la sua nomina in “Signore di Venezia”. La
congiura però viene sventata e, dopo la
sua confessione, il 17 aprile del 1355 viene
condannato a morte per alto tradimento e
quindi decapitato. Nella Sala del Maggior
Consiglio, presso il Palazzo Ducale, viene
cancellata la sua effigie e inserito, tra i
ritratti dei vari dogi, l’iscrizione “Hic fuit
locus ser Marini Faletri, decapitati pro
crimine proditionis”, che, dopo l’incendio al
Palazzo Ducale del 1577 è stata sostituita
con l’iscrizione “Hic est locus Marini Faletri
decapitati pro criminibus”.
14) Erasmo di Paolo da Narni, meglio
conosciuto come “Gattamelata”, nasce a
Narni nel 1370 (il suo nome di battesimo
è Stefano) e inizialmente è soprannominato
“lo Strenuo” (soprannome del padre Pietro,
robusto e instancabile fornaio). Gattamelata
inizia la sua carriera come soldato al seguito
di Cecchino Broglio, signore di Assisi.
Ormai trentenne, viene notato da Braccio da
Montone che ne diviene suo maestro e dal
quale apprende l’astuzia e la rapidità. Grazie
al Gattamelata, Braccio da Montone riesce
a conquistare Todi, Rieti, Narni e Spoleto.
Nel 1410 sposa Giacoma Bocarini Brufoli
di Leonessa, sorella di un suo compagno
d’armi. Da questa unione nascono 6 figli,
ma solo 1 maschio (Giannantonio). Nel
1424, durante una battaglia al fianco dei
Bracceschi all’Aquila, viene sconfitto e
imprigionato, ma riesce a fuggire e unirsi
con il Piccinino al servizio di Firenze, contro
il duca di Milano, Filippo Maria Visconti.
Nel 1427, passa al servizio del pontefice
Martino V, che necessitava di liberarsi
degli irrequieti signorotti di Umbria, Emilia
e Romagna. Poi si unisce a Brandolino IV
Brandolini, formando una compagnia di
ventura. Non gradito al nuovo pontefice,
Eugenio IV, il Gattamelata (e di conseguenza
il compagno d’armi Brandolini) si mette
al servizio della Repubblica di Venezia.
Nel 1430 riceve il comando unico nella
guerra contro i Visconti, che terminerà
con la vittoria veneziana. Intanto, la figlia
Polissena Gattamelata sposa Tiberto VIII
Brandolini, figlio di Brandolino IV, e nasce
la loro figlia, Giacoma Brandolini. Il 17
febbraio 1436 i due condottieri chiedono a
Venezia la conferma della propria condotta;
inoltre ricevono l’investitura della Contea di
Valmareno con piena giurisdizione. Subito
sorgono dei contrasti tra i due compagni,
che, però vengono risolti con un accordo:
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in cambio del possesso a pieno titolo di
Valmareno, il Brandolini avrebbe pagato
3000 ducati d’oro e si sarebbe ritirato dalla
professione militare. Accettato l’accordo,
il Gattamelata continua a combattere al
servizio della Repubblica e sostituisce il
traditore Gonzaga, ricevendo così il titolo di
governatore generale. Attraverso la sconfitta
dei Visconti, ottiene anche il titolo di Capitano
generale delle armi venete. Combatte fino ai
settant’anni, quando, ormai malato, si ritira a
Padova, dove muore nel 1443. La vedova
Bocarini Brunori commissiona al Donatello
la statua equestre, che ora domina in Piazza
del Santo, a Padova. Per quanto riguarda
lo stemma del Gattamelata, nei vari anni
ebbe 4 diverse forge, ma che contenevano
di solito 2 elementi principali: i 3 cappi
(che probabilmente rappresentavano le
tre trecce di crini di cavallo o corregge di
cuoio) e una gatta (non sempre presente).
La sua armatura ora è esposta all’Arsenale
di Venezia: era formata da 134 pezzi per
un’altezza di 206 cm e peso di 49 kg.
15) La Lega di Cambrai è un’alleanza creata
nel 1508 dal pontefice Giulio II, contro la
Repubblica di Venezia, troppo potente
nella sua politica espansionistica. Alla
Lega si allearono anche Luigi XII di Francia,
Massimiliano I del Sacro Romano Impero,
Ferdinando d’Aragona dei Regni di Napoli
e della Sicilia, Alfonso I d’Este del Ducato
di Ferrara, Carlo III del Ducato di Savoia
e Francesco II Gonzaga, Marchese di
Mantova. Il trattato prevedeva che, una volta
sconfitta Venezia, tutti i suoi domini fossero
ripartiti tra i membri della Lega. Attraverso le
battaglie di Agnadello e di Polesella, la Lega
riesce ad entrare nel territorio veneziano e
spingersi quasi fino alle coste della laguna,
mettendo sotto assedio Padova. Impaurito
però dalla minaccia francese, papa Giulio II
decide di abbandonare la Lega di Cambrai
per creare la Lega Santa contro la Francia,
alla quale aderisce anche la Repubblica
Veneziana.
16) Jacopo Titti, detto il Sansovino è
uno dei più importanti architetti e scultori
italiani. Nato a Firenze nel 1486, a
vent’anni si trasferisce a Roma per iniziare
il suo apprendistato nella bottega di Andrea
Cantucci, chiamato “Sansovino”, dal quale
Titti prende il soprannome. Fuggito da
Roma, si rifugia negli anni Venti a Venezia,
con l’intento di proseguire poi per la
Francia. Qui, però, gli viene commissionato,
dal Doge Andrea Gritti, il restauro della
cupola della basilica di San Marco. Decide
quindi di rimanere a Venezia a progettare
eleganti edifici, che tutt’ora decorano la
città lagunare, aggiudicandosi nel 1529 il
titolo di “Proto delle Procuratie de supra”.
Tra le sue opere più conosciute: la Libreria
Marciana, la Loggetta del Campanile, le
Procuratie Nuove, la Chiesa di Santa Maria
della Misericordia, la Zecca, il Palazzo
Corner, i raffinati interni delle Chiese di San
Francesco della Vigna, di San Martino, di
San Salvador e di San Zulian. Dal punto di
vista scultoreo, vanno ricordate le statue
di Marte e Nettuno della Scala dei Giganti
e la Scala d’Oro del Palazzo Ducale, la
Madonna con Bambino, presso l’Arsenale
di Venezia, il Miracolo del fanciullo Parissio e
la Guarnigione della giovane Carilla presso
la Basilica di Sant’Antonio di Padova, le
sculture e la porta bronzea della Sacrestia
di San Marco. Morto nel 1570 a Venezia,
le sue ceneri sono racchiuse nel Battistero
della Basilica di San Marco.
17) Caterina Cornaro è stata Regina di
Cipro e Armenia dal 1474 al 1489. Nata a
Venezia nel 1454, è membro della famiglia
Corner (italianizzato Cornero), una delle
dodici famiglie tribunizie della Repubblica
di Venezia. A 14 anni viene prescelta
come sposa di Giacomo II di Lusingano,
re di Cipro e Armenia. Nel 1468, vengono
celebrate le nozze in procura per poi
proseguire con delle suntuose nozze a
Cipro al suo arrivo, nel 1472. Lo Stato
Veneto decide di attribuirle l’appellativo
di “Figlia adottiva della Repubblica”. Nel
1473, muore re Giacomo II, pochi mesi
prima della nascita di suo figlio. Per volere
del re, l’eredità al trono passa a Caterina.
Ciò suscita delle sommosse da parte di
alcuni nobili dell’isola che pretendevano
la salita al trono di Carlotta, figlia legittima
del precedente re Giovanni II (mentre
Giacomo II era un suo figlio illegittimo). La
Repubblica Veneziana interviene subito a
proteggere la regina, mentre i nobili ribelli
fuggono dall’isola. Nel 1474, muore il figlio
Giacomo III a causa di febbri malariche.
Dopo una seconda congiura, la Repubblica
chiede a Caterina di abdicare e, dopo un
primo rifiuto, decide, nel 1489, di lasciare
il trono. Ritornata a Venezia, viene accolta
in modo talmente memorabile che, ancora
oggi, ogni anno (5 settembre) viene
organizzata la Regata Storica in memoria
dell’accoglienza veneziana alla Regina.
Caterina Cornaro viene nominata “domina
Aceli” (signora di Asolo), ma può comunque
mantenere il titolo di “Reina de Jerusalem
Cypre et Armeniae”. Scappata dalle truppe
tedesche, nel 1510 si rifugia a Venezia
dove, ormai malata, muore.
18) La famiglia Collalto è probabilmente
di origine longobarda. Si narra che il
capostipite Rambaldo sia sceso in Italia con
il re Alboino nel 570. I Collalto ricevono il
titolo di “conti di Treviso” da Carlo Magno,
mentre, verso il 959, a Pavia, il re d’Italia,
Berengario II, dona a Rambaldo I di Collalto
alcuni possedimenti a destra del fiume
Piave. Rambaldo divide l’eredità tra i suoi
due figli: a Gutcillo I vengono affidate le
terre tra il Livenza e il Tagliamento (dove
crea la dinastia dei Da Camino), mentre
a Rambaldo II i territori a sud-ovest del
Tagliamento. Il primo centro fortificato della
famiglia viene eretto su una collina che
guarda il Piave (verso il 1100) in quanto
uno dei suoi membri, Adesio, era stato
incaricato di controllare i guadi del fiume.
Nel 1312 il potere della famiglia si concentra
nei castelli di Collalto e San Salvadore
e, ricevuta piena giurisdizione feudale,
Rambaldo VIII fa della Contea un territorio
simile ad un principato indipendente. Sotto
la Repubblica Veneziana, diventano loro
Patrizi. La famiglia Collalto è nota anche
per la leggenda di Bianca Collalto. Si narra
che, dopo le nozze tra Tolberto di Collalto e
Chiara Da Camino (unione che contribuisce
alla fine delle discordie tra le due famiglie),
il conte Tolberto mise al capo della
servitù femminile di Chiara una ragazza,
probabilmente orfana: Maria. Alla partenza
di Tolberto per una guerra, Chiara vide della
complicità tra il marito e Maria e, presa dalla
gelosia, la fece immurare viva in una delle
torri del castello. La tradizione racconta che,
da quel giorno, il fantasma di Maria appare
alla famiglia dei Collalto, precedendo
momenti di gioia (Maria appare con una
veste bianca) o di catastrofe (appare con
un velo nero sul volto).
19) La famiglia Malatesta dominò gran parte
della Romagna e in particolar modo Rimini
(1295-1528), estendendo poi i territori
a San Marino, Pescara, Ancona, Forlì,
Cesena e Ravenna. Secondo la tradizione,
i Malatesta sono originali della Roma Antica.
Secondo un’ipotesi più veritiera, il primo
componente della famiglia è un certo
Giovanni di Ravenna (VIII secolo). Nel X
secolo, Rudoldfo, esponente della famiglia,
respinge in modo tenace, gli attacchi
esterni di Papi e Imperatori, guadagnandosi
il soprannome di “Malatesta”. Nel 1239,
Malatesta Pennabilli, del ramo dei Malatesta
da Verucchio, riceve il titolo di podestà
di Rimini, per poi nominarsi, in seguito,
signore della città. Ciò gli permette, nel
1295, di espellere dalla città tutte le famiglie
ghibelline. La famiglia Malatesta è ricordata
anche da Dante Alighieri, in particolar
modo nella Divina Commedia (Canto
V, Inferno) attraverso la storia di Paolo e
Francesca: Giovanni Malatesta è costretto
ad allontanarsi dalla moglie, Francesca da
Polenta, per motivi di guerra; la moglie inizia
a frequentare il cognato Paolo, per dedicare
insieme del tempo alla lettura di un libro
narrante le storie amorose di Lancilotto.
Queste letture però diventano sempre più
intime fino ad arrivare al loro innamoramento
e, scoperti da Giovanni, al rientro dalla
guerra, vengono assassinati barbaramente.
LA GIUSTIZIA NELLA CONTEA DI
VALMARENO
20) La Contea di Valmareno comprendeva
dodici “Villi”: Cison, Maren, Miane, Visnà,
Tovena, Rolle, Vergoman, Combai,
Campea, Premaor, Col e Solighetto.
All’interno della Contea, il Conte era la
persona più potente e godeva di “mero
e misto imperio”, cioè del più alto grado
di potere sia sugli uomini che sulle cose
appartenenti al feudo. I processi della
Contea si sviluppavano in tre fasi: la
formulazione dell’accusa, la testimonianza
e il dibattito processuale. Quest’ultimo
presentava tre gradi di giudizio: il grado di
prima istanza era sostenuto dal Podestà,
quello di seconda istanza dal Giudice di
Appellazione e il grado di terza istanza
dai Magistrati veneziani (Auditori novi per
le cause civili, Avogaria de Comun per le
cause penali). Dato il costo elevato dei
processi, spesso i condannati preferivano
rivolgersi direttamente al Conte per chiedere
la grazia. La legislazione della Contea era
ampia e varia, composta dagli “Statuti della
Valle” (statuti che regolavano tutti i feudi
soggetti ai Vescovi di Ceneda), integrati con
leggi veneziane e con ordini feudali della
famiglia Brandolini, sempre adeguati alla
continua trasformazione economico-politica
e sociale della vita della Contea. La maggior
parte dei reati riguardava danni al patrimonio
agricolo-forestale (ad esempio l’87% delle
denunce dell’anno 1574 riguardava questo
reato). Ulteriori approfondimenti sulla
giustizia della Contea di Valmareno sono
raccolti nel libro “Potere e giustizia” della
Collana di studi in CastelBrando.
GUIDA STORICA AL CASTELLO
L’ARTE NEL SETTECENTO
21) Ottavio Scotti, nato nel 1680 da una
nobile ricca trevigiana e morto nel 1748, è
stato un architetto italiano che ha operato
in particolar modo nella sua provincia.
Allievo di Pietro Simoni, a 46 anni scrive
“Studio di Architettura”, opera che raccoglie
le centinaia di tavole da lui disegnate. Tra
le sue opere principali, oltre all’edificio di
ampliamento di CastelBrando, vi sono, a
Treviso, il Palazzo Giacomelli, alcune parti
del Seminario Vescovile e le chiese di
Santo Stefano e di Santa Croce, mentre al
di fuori della sua città si è occupato della
ricostruzione della cattedrale di Ceneda e
della creazione del municipio di Conegliano.
A lui si devono anche la scalinata del
monastero di San Felice a Vicenza e la
chiesa del convento delle Carmelitane a
Mantova.
22) Egidio Dall’Oglio è l’autore degli affreschi
e stucchi della chiesa di San Martino in
CastelBrando. Nato nel 1705 a Cison Di
Valmarino, iniziò i propri studi artistici presso
la bottega di Giambattista Piazzetta nel
1725 (grazie alle disponibilità economiche
del padre Bartolomeo, amministratore dei
beni dei Brandolini). Dal Piazzetta apprende
buona parte delle sue tecniche, divenendo
probabilmente uno dei suoi primi aiuti
e uno dei principali divulgatori della sua
scuola. Dall’Oglio si occupò principalmente
dell’entroterra veneto, arricchendo, con le
sue opere, le principali chiese della Vallata:
la chiesa arcipretale di Miane, l’Abbazia di
Follina, la chiesa di San Giacomo di Rolle,
l’oratorio di Sant’Eurosia di Zuel di Qua, la
chiesa di San Gottardo di Mura, la Chiesa
Parrocchiale di Tovena, la chiesa di San
Giorgio di Lago, la chiesa di Santa Maria
di Lago, la chiesa Parrocchiale di Revine
Lago, il santuario di San Francesco di
Revine Lago e molte opere a Cison come
la chiesa parrocchiale, la chiesetta di San
Francesco, la chiesa Arcipretale, il tempio
della Beata Vergine delle Grazie, l’oratorio di
San Martino in CastelBrando, la chiesetta
di San Salvatore di Campomolino. Inoltre,
ampliando i suoi confini, opera in alcune
chiese della zona di Feltre-Belluno, di
Oderzo-Vittorio Veneto, di CastelfrancoCornuda, di Piove di Sacco. La sua opera
più importante e caratteristica Madonna col
Bambino e i Santi Giovannino, Giuseppe,
Anna e Giovacchino si trova nella cattedrale
di Belluno.
IL NOVECENTO
23) La Società Salesiana di San Giovanni
Bosco è un istituto religioso maschile di
diritto pontificio. Fondato nel 1859 da san
Giovanni Bosco, è una congregazione
clericale composta da sacerdoti, chierici e
laici che, attraverso oratori, scuole, collegi,
centri per la formazione professionale e
agraria, centri di orientamento vocazionale
e case di spiritualità, assicurano ai giovani
una buona formazione e educazione e la
possibilità di trovare lavoro; il loro scopo
(specificato anche nelle costituzioni
approvate dalla Santa Sede nel 1874) è,
infatti, quello di “essere nella Chiesa segni e
portatori dell’amore di Dio ai giovani, specie
ai più poveri”.
24) La Società Finanziaria Quaternario
Investimenti S.p.A., il cui fondatore e unico
amministratore è Massimo Colomban, fu
creata negli anni Sessanta; si tratta del
principale gruppo al mondo nelle architetture
monumentali “building envelpes”. Dagli
anni Novanta, oltre che dello sviluppo
immobiliare, si occupa anche di sviluppo
turistico (con la ristrutturazione, recupero
e rilancio di CastelBrando e di altre aree
“resort”) e di gestione e sviluppo d’impresa
(“Q1-Quaternario Space e Talent’s Lab”).
Sito internet: www.quaternarioinvestimenti.
it. I lavori della Quaternario Investimenti
S.p.A. presso CastelBrando sono descritti
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