N5A6 - Liceo Canova

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N5A6 - Liceo Canova
1
LA VENTICINQUESIMA ORA - GIORNALINO A DISTRIBUZIONE GRATUITA DEL LICEO “A. CANOVA” - NUMERO V, ANNO VI
IRLANDA,
L’Irlanda dice sì alle nozze gay grazie ad
un referendum popolare; diventa così il
primo Paese al mondo ad inserire nella
Costituzione il matrimonio tra persone
dello stesso sesso. Il Vaticano giudica il
tutto “una sconfitta per l’umanità”.
U.S.A.,
Sono state ritrovate a casa di un
milionario statunitense opere
trafugate nel 1957. Tra i beni
anche tre affreschi del I secolo
a.C. provenienti da Pompei e
tre preziosi volumi del 1600
rubati dalla Biblioteca storica
Nazionale
dell’Agricoltura.
L’operazione è stata portata
a termine dai carabinieri in
collaborazione con l’ICE (Istituto
nazionale Commercio Estero).
NEBRASKA,
Il parlamento statale del Nebraska
è riuscito a rovesciare il veto posto
dal governatore ed ha abolito la
pena di morte; si tratta del primo
stato amministrato da repubblicani
ad eliminare la pena dopo il North
Dakota nel 1979.
PERÙ
Ù
Prosegue lo sciopero indetto
dalla Federazione dei Lavoratori
per protestare contro l’apertura
della miniera di Tia Maria, che
comporterebbe l’inquinamento
della falda acquifera necessaria
per le coltivazioni della zona. Il
presidente Hamala ha adottato
una linea dura nei riguardi dei
manifestanti e gli scontri con
la polizia hanno finora causato la morte di due persone.
2
PALMIRA (SIRIA),
Il 20 maggio le milizie dell’ISIS
hanno conquistato Palmira,
città della Siria, dichiarata Patrimonio dell’UNESCO nel 1980
grazie alle rovine romane presenti; è una conquista di importanza strategica in quanto
la città si trova sulla strada che
separa Damasco da Homs ed
mez
e
in mezzo
ad alcuni giacimenti
di gas.
THAILANDIA,
Scoperte 139 fosse comuni
di Rohingya in fuga dalla
Birmania e bangladesi,
vittime
del
traffico
clandestino di corpi umani.
Il ritrovamento è avvenuto
nel confine tra la Thailandia
e la Malaysia in zone ritenute
campi di prigionia dei
migranti in transito.
KENYA,
Continua l’epidemia di colera
che ha colpito il Kenya negli ultimi cinque mesi, causando la
morte di almeno 65 persone.
Le piogge delle ultime settimane, inquinando l’acqua
potabile, hanno favorito il diffondersi dell’epidemia.
INDIA,
IN
D 18 maggio l’India è messa
Dal
Da
iin ginocchio da un’ondata di
caldo record, che ha colpito
soprattutto
lo stato di Andhra Pradesh.
Il bilancio è finora di 1800
morti e le temperature registrate superano i 45 gradi
centigradi; il clima torrido ha
inoltre causato un aumento
dell’inquinamento atmosferico, in particolare per quanto
riguarda l’ozono.
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aterina Bald
C
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3
so
AT T U A L I TÀ
COSA SUCCEDE AL CANOVA?
di Silvia Michieletto
Niente è più appropriato di una bella medaglia e di un attestato di merito per concludere
in bellezza l’anno scolastico: il nostro mitico
giornalino non si è lasciato sfuggire questa
possibilità e festeggia dunque un importante
riconoscimento a livello nazionale, classificandosi al sedicesimo posto nel concorso
“Fare il Giornale nelle Scuole” :Complimenti!
Accanto alla gioia, però, si fa strada anche la
stanchezza degli impegni dell’ultimo minuto, non ultima la campagna elettorale per
il presidente della Regione Veneto, la quale
riguarda da vicino non solo i neo-maggiorenni e gli adulti che si apprestano a votare,
ma anche alcuni insegnanti dell’Istituto che
tentano di affiancare la carriera ordinaria a
quella politica, seppur con qualche difficoltà.
Non sarà un po’ troppo impegnativo? “Ai
posteri l’ardua sentenza...”.
A proposito di stanchezza, è risaputo come
essa porti spesso con sé anche una buona
dose di stress, soprattutto in chi si appresta
ad affrontare il fatidico Esame di Stato: in
quest’ottica di “ansia pre-esame”, dunque, le
reazioni allo stress di alcuni (ormai stremati)
maturandi, come reso noto da alcune recenti vicende (vedi Il Canovaccio: Ballo di fine
anno), risultano comprensibili a fronte del
loro desiderio di donare un ultimo contributo all’Istituto che li ha ospitati per cinque (o
forse qualcuno in più) anni di intenso studio.
Se qualche disputa e qualche piccola incomprensione sono perciò inevitabili in un periodo così intenso, non sono però da dimenticare gli sforzi di chi cerca di assecondare le
volontà di tutti per realizzare un finale con i
fiocchi: non possiamo non citare, ad esempio, il successo dei due spettacoli teatrali organizzati dalla Compagnia Autogestita del
Canova, dove i due registi (Matilda di Nardo
e Giovanni Barbon) hanno saputo conciliare
le diverse capacità di ogni artista e le aspettative del pubblico facendole confluire in due
vere e proprie opere d’arte, che testimoniano un gran lavoro ed una grande passione.
Si auspica che anche il tanto desiderato (e
dibattuto) “Ballo di Istituto”, perciò, ottenga lo stesso esito positivo e la stessa ampia partecipazione: nell’attesa della grande
festa finale, però, tra una scarpa tacco quindici ed una cravatta elegante, gli studenti
si stanno ancora preparando per gli ultimi
compiti in classe ed interrogazioni, sacrificando qualche pomeriggio di sole per
recuperare le sviste dell’anno scolastico.
Impossibile, a questo riguardo, negare un
grazie sincero agli insegnanti e ai collaboratori che si sono fin’ora resi disponibili per
qualche ora di lezione extra-curricolare
pomeridiana, per ovviare a queste impellenti necessità di “recupero ad urgenza”.
Un ringraziamento particolare va anche
a tutti gli studenti che hanno dimostrato
interesse e disponibilità nelle varie attività, siano esse proposte dall’Istituto (tra cui
l’incontro con gli esperti del settore medico tenutosi lo scorso 22/05 e le numerose
certificazioni) o extra-scolastiche, in cui gli
studenti meritevoli risultano sempre numerosi, con gran soddisfazione del Liceo.
Infine, in occasione del mio ultimo contributo da maturanda per questo splendido
Giornalino, cui auguro il meglio, mi prendo
la licenza di parlare in prima persona per
dare un ultimo saluto, con caloroso affetto,
a tutte le persone che mi hanno accompagnata da cinque (sì, nel mio caso fortunatamente solo cinque!) anni a questa parte,
ringraziandole per l’impronta personale che
hanno lasciato in me, nel bene e nel male.
Mi auguro che l’epidemia di giornalisti e
lettori de “La Venticinquesima Ora” contagi
il maggior numero possibile di Canoviani
anche nelle generazioni future, affinché
l’eredità dei fondatori continui a crescere e
ad incrementare il merito di chi ha messo da
sempre tutto se stesso per realizzare e mantenere questo splendido progetto autogestito, di cui state tenendo tra le mani il prodotto.
Continuate ad usufruirne, anche solo limitandovi a sfogliare il giornalino di nascosto durante le lezioni (“ooops... c’è chi
lo fa in altro modo?”): vi assicuro che, in
nome di questo connubio di complicità ed impegno, i professori (e non solo
quelli di letteratura) saranno concordi
nell’affermare che “il fine giustifica i mezzi”.
Buon percorso, dunque, a tutti gli allievi: buone nottate di studio, buoni reumatismi da
studio, buoni dolori articolari da studio, buoni pianti disperati da studio, buone risate
isteriche da studio... insomma, buon Canova,
e buona fortuna nella ricerca di quegli innumerevoli aspetti positivi (per cui lo studio, forse, non sarà necessario) che questa
scuola saprà lasciarvi, come ha fatto con me
Grazie a Nellida, che ha sempre sostenuto
“La Venticinquesima Ora e ha sempre messo a disposizione tutta la pazienza di cui
è dotata; grazie alla Vicepreside, per i suoi
consigli; grazie alla Preside, per aver dato
la possibilità alla libera espressione degli
studenti; grazie ai collaboratori, che si sono
offerti di farci compagnia nelle giornate di
riunione; grazie agli studenti, ai lettori, ai
pinzatori, ai distributori, agli ex-allievi, ai
fondatori, agli impaginatori, agli sponsor, a
chi è solo venuto a bere un caffé o a mangiare un “panino del giovedì” all’osteria, a
chi erediterà l’onore e l’onere di far parte
della Redazione, e anche a chi è arrivato a
leggere questo articolo fin proprio alla fine.
2.
Servizio pulizia
La positiva efficienza dei collaboratori scolastici impedisce talvolta agli alunni di utilizzare
i servizi igienici dopo la quarta ora (perché
già puliti) o di tenere la porta aperta durante l’ultima ora di lezione, a causa dei rumori
provenienti dal corridoio dovuti agli inevitabili spostamenti di carrelli/strumenti. Se possibile, chiediamo l’enorme cortesia di concedere qualche minuto in più, dopo il termine
delle lezioni, per poter utilizzare i bagni e i corridoi prima che siano puliti. Grazie di cuore.
3.
Confusione durante le simulazioni
Anche a nome di chi dovrà affrontare simulazioni d’esame nei prossimi anni scolastici,
chiediamo agli alunni delle classi inferiori alla
quinta il favore di ridurre il tono di voce e di
controllare i gesti rumorosi per il rispetto di chi
deve affrontare delle prove ardue, dato che
sfortunatamente, quest’anno, ciò non si è verificato nonostante i ripetuti richiami. Grazie!
4.
Organizzazione generale
Purtroppo i recenti incontri relativi all’attività
di alternanza scuola-lavoro hanno riscontrato parecchi assenti, fatto prevedibile dato che
organizzare il progetto nel mese di maggio
rischia di rappresentare un ostacolo gravoso
nel periodo di studio più intenso. Il consiglio
degli studenti interessati è quello di organizzare le riunioni con un po’ più di tempistica,
nei limiti del possibile, e di avvisare del loro
svolgimento con un po’ più di anticipo, non di
un paio di giorni ma di almeno una settimana.
5.
Spreco di spazi
Ricco di numerosi servizi, il Canova pecca
però in quello dei laboratori scolastici “speciali” (es.: chimica), che pare non possano essere
usufruibili previo corso di sicurezza frequenG-R-A-Z-I-E!
La redazione de “La Venticinquesima Ora” tato dagli alunni: le otto ore previste dal corso
sembrano però essere un po’ troppe per gli
insegnanti, che preferiscono rinunciare alle
attività piuttosto che farlo seguire agli allievi.
Sarebbe auspicabile poter usufruire in
maniera più consona di un servizio così
Il CanovACCIO
utile, che non merita di restare inutilizzato.
La rubrica che raccoglie la lista degli aspetti
meno positivi del Canova (che, si sa, sono A quanto pare, le lamentele si sono accumuinevitabili in ogni Istituto) informa di alcuni late proprio nell’ultimo numero dell’anno:
fatti salienti accaduti nell’ultimo periodo, in che ciò sia dovuto alla spossatezza generale
modo che ciascuno studente possa pren- o che si tratti di una coincidenza, sarandere in mano il proprio fantomatico “strac- no senz’altro dei punti da tenere a mente
cio” (il CanovACCIO, appunto) per aiutare a per migliorare costantemente il nostro Isdare una ripulita e a sistemare le varie dif- tituto a partire dal prossimo settembre.
ficoltà che si sono presentate. Tra queste:
Nel frattempo... felice conclusione, auguri ai
maturandi e BUONE VACANZE a tutti!
1.
Ballo di fine anno
Una disputa piuttosto accesa ha visto molti
studenti coinvolti nella sfida “rappresentanti di Istituto” vs “alunni del quinto anno”
per la scelta dei DJ che suoneranno in occasione della festa finale. Ebbene, dopo un
lungo dibattito cui molti hanno assistito
grazie ai social (Facebook, ndr), tifando per
l’uno o l’altro partito, le acque si sono calmate e tutto è stato risolto con la diplomazia, nonché con le scuse da entrambe le
parti. Come detto in precedenza, lo stress
può giocare brutti scherzi e dare origine a
tensioni: l’importante è che ora siamo certi
che saranno i nostri Canoviani DOC Fabio
e Marco a deliziarci con le loro melodie.
Missione compiuta!
4
AT T U A L I TÀ
EDITORIALE
di Caterina Begliorgio e Sara Santi
Il tempo vola, il grande baratro si avvicina,
l’ultimo numero è arrivato (sigh).
Ecco il nostro scherzoso, mieloso bilancio,
che abbiamo immaginato di fare esattamente fra cinquantatre anni, ormai sessantottenni, davanti ad una tazza di tè.
Estate 2058, pomeriggio ventilato
Salottino à la mode guarnito di gatti (tutti
obesi)
Un tavolino con due tazze, due teiere e un
centrino ricamato
Due arzille vecchiette conversano amabilmente:
-Caterina, mia cara, preferisci tè alla rosa
canina oppure alla cannabis? (non stupitevi,
nel 2058 la marijuana è legale)
-Uhm, credo che prenderò un po’ di succo di
cicuta, grazie Sara.
-Intendevi succo di sambuco, non è vero?
-Oh sì, che sciocca! La memoria fa cilecca, e
il resto, come ben sai, l’ha fatto il Canova...
-Mia cara, non sei l’unica portare ancora i
segni della famigerata deformazione classica! Io ti capisco, e non me ne preoccuperò...
Almeno fino a quando mi chiamerai ancora
Sara e non Critone!
-Ah, il Liceo Classico... Una pensa di esserne
uscita, di esserne finalmente libera, e invece
niente: non ti lascerà mai. Proprio mai.
-E’ una cosa che ti porti dietro per tutta la
vita, latente... Come l’herpes.
-Come il virus della varicella, o la famosa
parmigiana di zia Carmela...
-Miiii, non me ne parlare! Ma devo dire che
la metafora è azzeccatissima: il Canova non
lo digerisci mai, c’hai quel semino di melanzana che ti rimane fra i denti, quella pesantezza nella pancia che ti fa passare la voglia
di fare qualunque cosa...
-Sì, però...
-Però è buono.
-Te lo gusti.
-Te lo divori. Lo mangi fino a stare male, piuttosto che sia lui a mangiare te! Prende vita
nel tuo stomaco esattamente come la parmig...
-Non turbiamo le pupille dei lettori! Però
hai ragione. Se ci pensi, senza il Canova noi
due non ci saremmo mai conosciute! Non ci
saremmo mai incontrate al Giornalino. Non
avremmo cantato “I Want to Break Free” a
squarciagola pinzando le nuove copie (te lo
ricordi?) e non saremmo mai diventate amiche. Non avremmo mai scritto questo editoriale! Non avremmo mai...
-Adesso non turbare tu le mia pupille! Mi fai
commuovere... Siamo vecchie e sentimentali, d’accordo, ma un bel bilancio razionale
non ce lo mette nessuno, in quest’epoca di
tecnologie supersoniche, macchine volanti,
teletrasbordi (così diceva il mio professore
di Italiano, caro vecchietto! L’hanno ibernato, mi sembra), dicevo: non ce lo mette
nessuno? In fondo il Canova abbiamo tanto
penato...
-Abbiamo imparato la fiducia e la solidarietà...
-Abbiamo lottato contro noi stessi, contro
il sistema, contro le piccole ingiustizie quotidiane...
-Abbiamo vinto tante battaglie...
-Abbiamo lasciato il sangue sui libri...
-Ma se tu non studiavi mai...
-Non è vero...
-Scherzavo...
-Comunque dicevo...
-Abbiamo affrontato tante prove...
-Siamo cresciute...
-Siamo cambiate...
-Ci siamo fidate...
-Dei nostri compagni e insegnanti...
-Ma soprattutto degli autori che abbiamo
studiato e delle conoscenze che abbiamo
acquisito...
-Certe che saremmo state ripagate...
-E così è stato.
-Oddio, cos’è stato?
-Ah, il mio vicino che fa esperimenti con i
raggi nucleari.
-No, dico, cos’è stato il Canova per noi?
-Ah, troppo per una pagina sola.
-Per un pomeriggio solo.
-Allora ti aspetto al più presto per un altro
tè. Tanto, per allora, con la memoria che ci
ritroviamo, avremo già dimenticato tutto!
-E ricominceremo la stessa conversazione
da capo, che bellezza!
-Ma prima di salutarci, lasciamo un punto
fermo.
-Sì, il tuo gatto che si è delicatamente posato sui miei piedi e non mi lascia andare.
ADDII AL CANOVA
Giunta al termine dell’irto e tortuoso percorso che a breve mi porterà
ad uscire da questo liceo (anche se è bene non dare nulla per certo)
PLVRQRWURYDWDDULÁHWWHUHVXFRPHPLKDQQRFDPELDWDFLQTXHDQQL
di Canova. Ho imparato a conoscere l’arte della retorica e le tecniche
del bravo simulator ac dissimulator, ho imparato a distinguere se una
frase è di Ovidio o di Taylor Swift e il cestino della mia bicicletta ha
assunto la forma di un trapezio irregolare in seguito alle molteplici
cadute causate dal peso del vocabolario di latino.
Il Canova mi ha spesso privato del sonno e della ragione, ha più
volte messo alla dura prova i miei nervi, ma non mi ha mai impedito
di continuare a fare quello che mi piace e seguire i miei interessi. Ora,
siccome il senso della brevitas e della decenza mi suggeriscono di
tagliare corto, voglio concludere e dire addio al Canova sentendomi
alleggerita ma anche più completa, e chissà che il cestino della mia
ELFLFOHWWDSRVVDÀQDOPHQWHWURYDUHULSRVR
Margherita Sartor
Questa nostra chiacchierata immaginaria
è non soltanto una proiezione fantasiosa,
ma un sincero auspicio per il futuro: speriamo di ricordare questa scuola con affetto
e riconoscenza, con la consapevolezza di
esserci spinte fino al limite, di aver combattuto acremente per migliorare noi stesse e
l’Istituto, o almeno per lasciare un piccolo
segno. Se si ridurrà ad un frammento di pagina, speriamo che sia quest’ultima parte a
salvarsi, in cui ringraziamo tutti quanti.
Che i vostri nomi siano ricordati, famosi o
ignoti ai più: rimanga nel cuore di chi incontrate la stessa traccia indelebile che avete
lasciato nei nostri.
Innanzitutto, ringraziamo di cuore la nostra
meravigliosa, fantasmagorica Redazione.
Una baraonda di idee, passioni, iniziative
portate sempre a compimento con alacre
impegno, quasi sull’orlo della pazzia, ma soprattutto un crogiuolo di MOLESTIA, quella
positiva, che sveglia le coscienze e mette in
crisi le certezze. Grazie a chi ha scritto, a chi
ha corretto, a chi ha pinzato, a chi ha partecipato con gioia o ammirevole serietà, con
timidezza o espansività. A tutti, nessuno escluso.
Grazie alla Preside Ventura e alla nostra amata Vicepreside Carla Borghetto, sempre attenta alle esigenze degli studenti, disponibile come pochi: una presenza costante che
ci ha sostenuto in qualunque occasione.
Presenza altrettanto costante quella di Nellida, roccia sicura, burbera all’apparenza ma
di una dolcezza disarmante.
Grazie ai responsabili delle altre attività autogestite, compagni e colleghi insostituibili.
Grazie a voi, lettori, a voi, studenti, a chi ha
letto questo nostro Giornalino e a chi lo leggerà.
Viva la Venticinquesima Ora!
Gatti e fiorellini dalle zuccape
Il Canova è stato la mia miniera:
scavando ho incontrato le zone d’ombra e le
paure, ho estratto le pietre più preziose e i punti
fermi della mia vita.
È stato il mio mondo, la mia seconda casa. È
stato il luogo in cui mi sono innamorata.
Scuola di vita e gabbia dorata, recinto delle
mie passioni, palestra con tutti gli attrezzi: pesi
colossali, muri da arrampicata, ostacoli e pure
quadri svedesi, rompicapi da sbrogliare.
Se fosse musica sarebbe una sinfonia solenne,
una grande pompa costruita su note semplici.
Se fosse cibo sarebbe una torta da matrimonio,
con mille strati appollaiati e cascanti e un cuore
di marmellata.
Ti ho affettato, Canova, ma con affetto, e tu mi
hai fatto a pezzi. È stata come una storia d’amore,
contrastata, ricca, passionale, indimenticabile.
E anche se finirà male, con un Esame di Stato,
quello che rimarrà sarà comunque amore, per
la vita, per lo studio, per quella persona: ecco la
cosa più importante che ho imparato qui.
Sara Santi
5
-No, dico...
-Sì, il Canova.
-Alla fine, ci ha restituito tutto.
AT T U A L I TÀ
I MATURANDI TIRANO LE SOMME
di Greta Pasetto
Giunti ormai agli sgoccioli dell’anno scolastico, ci è parso
d’uopo intervistare diversi campioni di maturandi canoviani per scoprire che cosa uno studente può aver ricavato da cinque (o più) anni di permanenza qui. Ed ecco che
ad alcuni veterani del posto, dagli skater ai poeti, dai
nostalgici ai caffeinomani, è stato chiesto di impiegare
un minuto del loro tempo per tirare le somme sul loro
percorso e condividere con i lettori la loro esperienza:
Durante i primi anni, lo ammetto, avrei tanto voluto
cambiare scuola: troppo studio e troppi sacrifici! Poi
ho però imparato a gestire il mio tempo e ho deciso di rimanere. Ora che sono arrivato alla fine penso
che se dovessi tornare indietro sceglierei di nuovo il
Canova, perché oltre alle semplici parole scritte sui libri è riuscito a trasmettermi insegnamenti di vita che
non penso avrei mai ricevuto in altre scuole superiori. Ringrazio il Canova per questo. Davide Zanato
In questi cinque anni ho imparato molto, sotto tanti punti di vista, e devo dire che le conoscenze acquisite, a discapito dei più che lamentano l’inutilità del liceo classico,
sono riuscita ad utilizzarle nella vita quotidiana. Infatti,
dopo aver studiato l’alfabeto greco, l’ho subito utilizzato
per scrivere i bigliettini delle materie scientifiche; dopo
aver studiato le invocazioni che i grandi poeti facevano
alle divinità per aver una sorte propizia, le ripetevo anche
io invocando un benedetto 6 in matematica o sperando
che non mi avessero rubato l’ennesima bicicletta fuori
dalla sede centrale; dopo aver studiato la dialettica e la retorica dei grandi oratori, utilizzavo entrambe per convincere i miei genitori che non era colpa mia se le serate dagli
amici si erano protratte più a lungo del previsto. Per non
parlare di quante imprecazioni fantasiose ho inventato
durante questi anni dolceamari, a causa delle mie continue corse contro la maledetta campanella delle 7:55, delle
versioni impossibili, ma anche delle grandi soddisfazioni e gioie che questa scuola ha saputo darmi, sebbene
spesso ce ne si renda conto solo alla fine. Irma Delmonte
Questi cinque anni sono stati e saranno forse i più intensi della mia vita sia da un punto di vista formativo
che sociale. Sono gli anni in cui da semplice scolaretta
mi sono trasformata in una cittadina (spero) attiva e
consapevole. Ci hanno fatto sputare sangue, sudare
sui libri, azzerare la nostra vita sociale... Ma ne è valsa
la pena! Lo rifarei? Sì, anzi forse un po’ già mi manca.
Per una ragazza all’antica come me sarà difficile abbandonare un edificio storico come il nostro e dire
addio agli amati balli di fine anno! Anna Marangon
Sono stati cinque anni davvero ricchi per me. Invece dei molti aspetti che certo hanno contribuito a
rendermi ormai pazza, voglio ricordare che è anche
merito di questa scuola l’avermi fatto capire che cosa
voglio essere e fare, in compagnia di una memorabile classe e attraverso un’esperienza di rappresentanza che mi ha fatto aprire gli occhi su molte cose
(colgo l’occasione per invitare chiunque a rifletterci
e a tentarla se ci si crede). Pace e amore! Lara Bassi
Arrivo alle macchinette, inserisco trenta centesimi e premo il pulsante “caffè macchiato” (parola che alle orecchie
di un preadolescente suona come una delle più sofisticate parole del vocabolario). Il bicchiere scende, io non
curante subito lo tiro fuori: c’erano solo lo zucchero e
la bacchetta di plastica. Abbasso lo sguardo e dal distributore comincia a colare una strana miscela di caffè
liofilizzato e acqua. Avevo 14 anni e non sapevo come
funzionassero i distributori automatici. Tra qualche mese
finiranno forse gli anni più strani della mia vita. Cinque
anni in cui tutto ha avuto un sapore di nuovo, dalle prime
esperienze con l’alcol ai primi approcci con la letteratura, l’arte e tutte quelle cose “ elevate e sublimi” (come
direbbe Dostoevskij). In questi anni ho creato il collettivo del Canova, mi sono fatto rompere un uovo in testa
nella speranza di ottenere qualche voto alle elezioni dei
rappresentanti d’istituto, mi sono ustionato il cuoio capelluto e ho dovuto convivere con i capelli bruciati da
terribili esperimenti adolescenziali un anno intero ma
soprattutto ho conosciuto tra le persone più importanti
della mia vita, persone che ho (e mi hanno) visto crescere e prendere un po’ di coscienza su chi siamo e sul
mondo in cui vi viviamo. Chiuderò un capitolo della mia
vita per me molto importante, curioso di scoprire cosa
mi aspetta, da persona completamente diversa da quella
che ero quando sono entrato (So usare le macchinette
del caffè, per esempio) P.s. Sono l’unico che pensa che la
cioccolata calda sappia da zuppa di funghi? Paolo Turk
Boia, ne ho di cose da dire! Per me è stata una crescita
spirituale enorme e ciò che ho studiato, tutte cose
utilissime per il mio carattere (filosofia, lettere classiche e moderne e il resto), mi ha formato dal punto
di vista intellettuale ma anche da quello sociale e relazionale dato che ho conosciuto un sacco di persone!
Sono arrivato partendo da zero e piano piano ho imparato e vissuto esperienze fantastiche che mi hanno
fatto fare un salto enorme. Lo rifarei mille volte sia per
le materie di studio sia per tutta la gente vista e incontrata nel mio percorso, ad occhi chiusi. Luigi Bonan
Dal greco, al latino fino all’italiano
un solo terrore affligge il Canoviano:
non Euripide, non D’Annunzio o il prode Cicerone,
ma qualcosa che fa rima con PENTAPROPANONE.
Perciò affiderò ad un pastiche letterario
il compito di illustrare il suddetto calvario
Taci
Nel libro non leggo
Formule chimiche
Umane
Ma leggo
Formule e arcani
Di streghe lontane
Ascolta, ascolta. Le urla
Dirompenti delle fattucchiere
A poco a poco
più fosche
men fosche
si fan
Presso il Priapo
Ardente.
Odi? Invocan su di noi
Maledizion imperitura
Che dura e varia nell’aria
Cavalca i secol, i giorni etterni
Ascolta
Gli insulti fioriscono
nell’eloquio del disperato
Studente
che vedrai trasumanar
in camionista fervente
Taci.
Il πρέπον ti assista compagno
Canoviano
E la medietas temperi
l’insulto rusticano
E la Fortuna ti guidi verso l’αταρασσία:
Il tempo passa e tutto porta via
Anche se pensi ancora alla coniura
non ti crucciar la vince chi l’ha dura
Insomma che la variatio sia a voi congeniale,
“Simulator ac dissimulator” è la soluzione ideale
Così dopo cinque anni mi son ritrovata
A scriver due scempiate sull’esperienza passata
Ma con petto gonfio e d’orgoglio infiammata
urlo a tutto il mondo che É STATA NA FIGATA
Latino, greco, storia e filosofia
Son sicura che il prossimo anno ne avrò nostalgia
Che sebben a volte abbia trascorso giorni di clausura
che ne sia valsa la pena di questo son sicura
E affinché la rima risuoni propizia
ti lascio improvvisando una sententia della Pizia
“Non lamentandosi si arriva alla σωφία,
Ma con impegno, determinazione ed autoironia”
Ed ora facciamo ala al folle volo
“la matura ci attende” diciamo tutti in coro
Grazie Canova, compagni e professori
che la Fortuna ci porti le cose migliori.
Bella zia si fa bordello
Con Agnese Scapinello.
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ADDII AL CANOVA
Ci sono cose che mi rendo conto mi mancheranno da morire. Mi
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prima di quella di matematica, mi mancheranno le maratone notturne
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mancheranno le interminabili mattinate scandite dal suono della
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AT T U A L I TÀ
L’IMPORTANZA DI CHIAMARSI CANOVA
di Aldo Tonini
Per la prima volta non parlerò di argomenti di attualità o
di geopolitica in alcun modo pregnanti di propaganda
filorussa. Un’altra cosa che invece tengo molto a cuore è
dare un addio a questa scuola che mi ha ospitato per gli
ultimi due anni. Tante domande potrebbero sorgere al riguardo, in effetti, è strano che uno studente di quinta sia
al Canova solo da due anni, vi chiederete quindi perché
sia venuto qui invece di fuggirne come è più solito per
quelli che cambiano istituto. In questa scuola infatti ci
sono finito dopo aver trascorso i primi tre anni di superiori al Liceo Scientifico Leonardo da Vinci; probabilmente
a voi tutti farà ribrezzo soltanto l’idea di tanta scientificità
e scientificaggine o scientificituria tutta condensata in
un unico luogo. Non è da meravigliarsi, mi resi conto del
girone infernale in cui entrai dopo il primo (ma non ultimo) tre e mezzo in matematica, circa a ottobre del primo
anno; fu solo in terza che decisi finalmente di architettare la mia evasione da quel perfido luogo di satanica
venerazione dell’empia scienza comunemente denominata “matematica”. Infatti, una volta arrivato al canova,
nell’allora 4^A linguistico, la mia vita scolastica (e pure
sociale in realtà) cambiò totalmente; in meglio. Matematica e fisica non erano più incubi, a dire la verità, tutta la
quarta l’ho passata vivendo di rendità dal programma
scientifico del Da Vinci, i libri di queste due materie li
avrò aperti sì e no tre volte in nove mesi, arrivando a fine
anno con 8 in matematica; solo l’anno dopo iniziarono
a fioccare i quattro anche qui, e dovetti tragicamente ricominciare a studiare le malefiche discipline. Mi interessa
soprattutto raccontarvi non tanto di quanto il Canova sia
migliore del DaVinci sotto ogni possibile punto di vista,
ma anche dirvi che, a mio avviso, il livello di istruzione
di questa scuola è estremamente superiore a quello di
istutiti troppo poco improntati su materie umanistiche e
interessati al lato umano delle persone. Obiettivamente
parlando, la formazione umanistica del Canova (tanto
al classico quanto al linguistico), dà agli studenti una
preparazione e una cultura generale molto più vasta di
quella di altre scuole. Relativamente alla preparazione,
il Canova è quindi un’ottima scuola; ma ciò che voglio è
puntualizzare quanto abbia anche apprezzato l’interesse
da parte dei professori riguardo non solo al rendimento
scolastico degli studenti, ma anche riguardo alla loro individualità e ai loro diversi talenti personali; inoltre, qui
ho conosciuto tante altre persone che condividono i miei
stessi interessi. Tutto ciò per rivolgermi in particolare agli
alunni dei primi anni; frequentare il Canova, nonostante
possa sembrare difficile e impegnativo, e portare alcuni
momenti di sconforto e di smarrimento è senza dubbio
una delle scelte migliori che poteste fare. Alle ultime settimane di scuola del quinto anno, mi vengono in mente
alcuni consigli da dare ai nuovi canoviani: non imbrattate le porte dei bagni (in particolare la terza porta del
bagno al secondo piano della succursale), non chiedete
al personale scolastico di chiamarvi fuori dalla classe durante le interrogazioni, ricordatevi di non sottovalutare
materie importanti come educazione fisica, matematica
o religione. L’ultimo consiglio che mi viene in mente, passando anche a temi più seri (non che i precedenti non lo
fossero), tenete a mente di non prendervi il giorno prima
dei compiti o delle interrogazioni a studiare, o a scrivere
gli articoli del giornalino con due giorni di ritardo dalla
scadenza se non volete che vengano fuori degli obbrobri
come il presente; ricordatevi di non tralasciare il primo
quadrimestre, la parte iniziale è molto più importante di
quello che crediate, cercate di evitare di copiare durante
le verifiche, o almeno se proprio dovete farlo, non fatelo
in modo troppo plateale. E per concludere il mio addio al
Canova, luogo dove ho imparato termini quali “piaggeria” o “uroburo” o “scatologia”, tutto grazie all’inimitabile
professoressa Rossi, auguro a tutti voi giovinotti (e non)
una fantastica permanenza in questa scuola che ha dato
tanto non solo a me ma anche alle generazioni precedenti.
POEMETTO ERRANTE
(poesia di 9 quartine con versi ottonari, schema metrico
AAbb)
E’l Maschio in cor suo piangea
ché l’Arto in cul lo mettea,
l’uno sì tanto smetter volea,
4 l’altro intenzione n’avea.
Il colon divertito era,
lo piacer non vide sera;
Vinto l’un dal corpo fiero
8 piacer fu sì lusinghiero.
Allor già uscir ne sente
un gran gemito dolente:
“Ahi! Ahi! Troppo” disse l’uno
12 offeso, “Or tanto basti,
da duo or siam come matti”.
“Non temer ch’io ti sbatti,
andiam fin che l’alba spunti
16 che sarem sì stanchi e unti!”.
Sorto poi lo almo raggio,
che’l sol splendea come maggio,
aperser li occhi ratti
20 col pensier a l’amati fatti,
temendo fosse un sogno
quel piacer così agogno,
che volsersi l’un a l’altro
24 pel’angoscia in perso antro.
Nott’e dì il lor diletto
fu soave sovra il letto
che la bianca sì potenza
28 con dolor e penitenza,
colmò l’antro digestivo
del Maschion così passivo.
E’l Maschion con inni e canti
32 tirò giù madonn’e santi.
l’opera ma che, poiché lasciata incompiuta, sia stata poi
rivista e continuata da altri (precisamente due).
Le due ore d’assemblea
fruttar fecer la platea,
venne gente d’ogne parte
36 a mirar lo Poemetto errante.
Anonimo del sublime
Note e analisi
4 : ambiguità stilistica: la parafrasi potrebbe sembrare
“..l’altro ne aveva l’intenzione..”, ma l’ipotesi più accreditata è che si debba interpretare come “..l’altro non ne
aveva l’intenzione..”.
7 : “fiero” si intende di belva animale.
9-12 : ripresa da “La Gerusalemme liberata”, La selva incantata, di Torquato Tasso.
11-13 : sono presenti due enjambement.
24 : chiara allegoria di matrice erotica.
25-27 : si riprende da “La chanson de Roland” <<Molta
gioia e molto diletto ebbe Lancillotto quella notte>> e
dal frammento 196a W. di Archiloco.
33-36 : è la quartina che chiude l’opera, in cui si esce dalla
vicenda “storica” per addentrarsi in quella contemporanea all’autore.
1-16/17-36 : nel testo si riscontra una forte ambivalenza
linguistica, che separa in due il testo : nelle prime quattro quartine il linguaggio è basso e umile, al contrario
delle altre che vengono espresse attraverso un linguaggio aureo e sublime. Secondo alcune fonti una possibile
spiegazione sarebbe da ricercare nel brutto periodo
di incertezza e instabilità che sta attraversando la politica dello Stato dell’autore, che ne ha causato un forte
bifrontismo spirituale. Un’altra ipotesi da tenere comunque in considerazione è che l’autore abbia iniziato
7
AT T U A L I TÀ
MA É BUONA PER DAVVERO?
di Rachele Scarpa
La società in cui viviamo è permeata di disuguaglianze.
Negli ultimi mesi abbiamo assistito al triste spettacolo di di un’umanità incapace di riconoscersi che
spesso percepiva lo straniero che fugge dalla guerra
come un invasore, così come a quello di un’Europa
che tutt’ora tarda nel porsi come soluzione a riguardo.
Gettiamo uno sguardo alla nostra Italia accartocciata per
colpa della crisi e percepiamo ancora il serpeggiare nella
mentalità comune e nella realtà dei fatti le differenze tra Nord
e Sud, tra estremamente poveri ed estremamente ricchi.
Ogni mattina ci alziamo, strofiniamo via il torpore dagli
occhi e andiamo a scuola. Ci illudiamo forse di essere al
sicuro nella nostra opaca bolla di quotidianità, ma, volenti o nolenti, coscienti o incoscienti, le disuguaglianze
ci hanno raggiunto anche qui, tra le mura scolastiche.
La riforma Buona Scuola, approvata il 20 maggio in Parlamento, è travestita da innovazione, cambiamento, rivoluzione, quando in realtà trasuda disuguaglianze, e ad
esse condanna molti studenti per molti anni a venire. Misure come il 5x1000 o lo School Bonus giustificheranno
l’assenza di risorse pubbliche alle scuole in nome di un
contributo versato da chi le frequenta, non facendo altro
che accentuare il divario tra le cosiddette scuole di “serie
A” e quelle di “serie B”. Allo stesso modo creerà disuguaglianze l’incredibile investimento di potere al quale sarà
soggetto il dirigente. Al bando gli organi collegiali, i rappresentanti di istituto, il protagonismo, la cooperazione:
nella Buona Scuola il potere decisionale su POF, finanziamenti e persino destino lavorativo dei professori va
al preside. Una scuola dove l’operato dei docenti viene
valutato secondo criteri non molto trasparenti con conseguenze determinanti sulla loro stabilità lavorativa, dove
l’alternanza scuola-lavoro non ha un fine formativo ma
punta piuttosto al finanziare la scuola con il lavoro degli
studenti nelle imprese, dove i privati sono bene accetti e
ben accette saranno probabilmente anche le loro influenze sui programmi e sulla didattica, non è la scuola che
mi immagino per i futuri canoviani. Nella Buona Scuola
non si nominano nemmeno né il diritto allo studio né
l’abbandono scolastico, i due problemi che noi studenti
ci troviamo a fronteggiare quotidianamente: il costo degli abbonamenti alle reti di trasporto, quello dei libri, la
carta igienica che manca, l’intonaco che si scrosta, la finestra che cede, l’amico che non termina il corso di studi.
E questi, purtroppo, sono solo alcuni esempi di
ciò che , all’interno di quel decreto, non funziona.
Se il mondo in cui viviamo inciampa la scuola non dovrebbe precipitare con lui. E questo è un ragionamento che si fa
troppo poco al giorno d’oggi. L’idea che la scuola sia la soluzione (alla crisi, alla disoccupazione, al declino della cultura
e dell’arte, ma anche a problemi come l’immigrazione, ad
esempio) ha ancora molta strada da fare, ma, al momento,
sembra che nessuno voglia fare il primo passo. Il Governo
Renzi di certo no. E noi? Non si tratta solo di essere favorevoli o contrari alla Buona Scuola (che comunque, a parer
mio, è e rimarrà una riforma disastrosa), si tratta di credere o meno che si possa ripartire investendo sulla scuola. Si tratta di identificarsi nel futuro del proprio Paese.
Si tratta di essere Studenti, consapevoli ed entusiasti.
E io voglio credere che noi lo siamo e che lo rimarremo.
NEPAL, EMERGENZA DIMENTICATA
di Beatrice Criveller
È passato poco più di un mese dal 25 aprile scorso, quando una potente scossa di terremoto ha messo in ginocchio il Nepal, un paese sconosciuto ai più almeno fino
al suddetto giorno, il cui territorio relativamente piccolo
sembra quasi scomparire accanto all’immensa Cina che
lo sovrasta a nord e alla penisola indiana che lo racchiude a sud. Una preziosa perla per intenditori e amanti
dell’avventura, che offre paesaggi montani mozzafiato con le sue vette da record. Culla del buddhismo e
dell’induismo, tra mistiche cerimonie sulle rive del Gange
e antichi e spettacolari templi, luoghi di culto testimoni
di una storia che risale all’ottavo secolo a. C. e ancora
indietro fino a confondersi nel mito. Sentinelle di pietra
rimaste a vegliare per secoli sulla povera ma orgogliosa
popolazione di questa terra, temprata dal clima aspro e
da una situazione politica complessa, da anni foriera di
disordini interni e guerre civili. Per secoli fino, appunto,
allo scorso 25 aprile, quando lo scorrimento della placca
indiana sotto quella euroasiatica ha generato una scossa
tellurica di entità paragonabile solo a quella verificatasi
nel 1934, che aveva allora provocato 8500 morti. Questa,
di vittime, finora ne porta con sé 8361, e ne lascia altri 6
milioni e 600 mila a combattere sulla terra, per continuare a viverci. Il sisma di magnitudo 7,9 sulla scala Richter
ha scardinato le fondamenta della città di Pokhara, luogo
dell’epicentro non lontano dalla capitale Timbuktu, e ha
fatto tremare la terra fino al confine con la Cina. Interi villaggi sono andati distrutti, gli edifici collassati su sé stessi,
la rete elettrica e le linee telefoniche sono state interrotte
per giorni, lasciando la popolazione letteralmente al buio
e nel più completo isolamento. Perdite impossibili da stimare nell’immediato, ma che hanno spinto organizzazioni
umanitarie di tutto il mondo ad agire tempestivamente.
Oltre alle Organizzazioni Non Governative internazionali,
sono scese in campo squadre inviate dai paesi vicini, primi
fra tutti India e Pakistan. Ma dal canto nostro, noi Italiani
ci siamo interessati soltanto vagamente all’emergenza
Nepal, e solo fino al momento in cui una decina di nostri
connazionali è rimasta bloccata nelle vicinanze del campo base dell’ Everest, in seguito alla scossa. Tutti alpinisti e, in quanto tali, dotati di conoscenze e attrezzature
necessarie ad affrontare situazioni di pericolo, nonché di
strumenti di comunicazione e di denaro utile a lasciare il
paese immediatamente dopo l’apertura dell’aeroporto
di Katmandu. Nonostante questo, la sproporzione in termini di attenzione mediatica tra quella rivolta alle vicende
degli avventurieri italiani e quella nei confronti dei 6 milioni di nepalesi morti, feriti, o sfollati ha dell’incredibile,
tanto da aver infastidito anche alcuni tra gli alpinisti stessi. Reinhold Messner, famoso esploratore altoatesino
e profondo conoscitore delle vette Himalaiane, ha dichiarato: “La vera emergenza non è sull’Everest, la tragedia
si sta vivendo nella valle di Kathmandu e in tutte le altre
dove i morti si contano a migliaia. Non possiamo avere
un’attenzione di serie A per gli alpinisti, che dovrebbero
essere in grado di badare a se stessi, anche se la situazione
lassù è molto grave, e una di serie B per la popolazione”.
Ciononostante, una volta risolta l’emergenza localizzazione-salvataggio-rimpatrio dei connazionali, i nostri riflettori su questa povera terra si sono spenti, salvo qualche
fievole e brevissimo lampeggiare in data 12 maggio,
quando si è verificata una seconda scossa, questa volta
di magnitudo 5, che ha portato altri 96 morti. Scossa che
ha provocato stati di shock e terrore nei sopravvissuti, e
in noi solo vaghe reazioni di dispiacere e fastidio della
durata di pochi minuti, il tempo di accantonare di nuovo
la vicenda e magari di farci sopra del facile humor sui social network, sull’onda dell’applicazione: “stai bene? Dillo
a facebook”, pensata per tranquillizzare le famiglie dei
dispersi e tristemente utilizzata da una serie di idioti annoiati per renderci partecipi, direttamente dal divano di
casa, del loro essere sopravvissuti al terremoto in Nepal.
Nonostante la scomparsa dell’argomento dalle testate dei
nostri giornali, a un mese di distanza dal disastro le conseguenze appaiono nelle loro più tragiche dimensioni, e
le condizioni sono quanto mai critiche, soprattutto per
chi è sopravvissuto. Il numero degli sfollati ammonta a
3 milioni (l’equivalente dell’intera popolazione di Roma),
tutti sprovvisti, oltre che di un’abitazione, di beni di prima
necessità e di assistenza sanitaria adeguata. Le condizioni
igieniche sono ovunque precarie e, in particolar modo
nelle tendopoli, il rischio di epidemia è altissimo, soprattutto in prospettiva dell’inizio della stagione dei monsoni,
previsto per giugno. “Stiamo portando avanti una vera e
propria corsa contro il tempo, per garantire un riparo alle
comunità più isolate prima dell’arrivo dei monsoni. Grazie
all’esperienza delle guide alpine nepalesi ci stiamo assicurando che gli aiuti giungano a chi ne ha più bisogno,
8
ma non c’è tempo da perdere” ha dichiarato Riccardo Sansone, responsabile delle emergenze umanitarie di Oxfam
Italia. L’ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento
degli aiuti umanitari (UNOCHA), stima siano necessari
423 milioni di dollari per rispondere all’emergenza, ma
ad oggi solo il 21% sono stati effettivamente stanziati.
Gli operatori umanitari delle sette organizzazioni non
governative del network di AGIRE, già presenti in Nepal
al momento del terremoto o giunte a meno di una settimana dal sisma (ActionAid, CESVI, GVC, InterSos, Oxfam, SOS Villaggi dei Bambini, Terre des Hommes), in
questo mese hanno fornito cibo, acqua potabile, tende
e teli di plastica per i ripari temporanei, coperte, medicine, kit igienico-sanitari, attrezzi per la cucina. Hanno
inoltre creato spazi sicuri per l’infanzia (child friendly
spaces) dove realizzare attività psico-sociali e di educazione e hanno coinvolto la popolazione in programmi
di cash for work per lo sgombero dalle macerie, generando una piccola fonte di reddito per chi ha perso tutto.
I Nepalesi non sembrano arrendersi né aspettare passivamente l’arrivo degli aiuti: “È sorprendente come nei villaggi la popolazione abbia già iniziato a ricostruire abitazioni, a recuperare i materiali distrutti, a cercare alternative”
sottolinea la Caritas italiana, anch’essa attiva sul posto.
AGIRE, in collaborazione con EXPO MILANO 2015, ha
organizzato una raccolta fondi per finanziare le attività di risposta all’emergenza che sono già in corso e
quelle che saranno necessarie per avviare una ripresa
a lungo termine. Se vi va, il sito www.agire.it offre varie modalità di donazione e collaborazione. La classica
goccia nell’oceano, che se non ci fosse, mancherebbe.
ATTUALITÀ
VIAGGIO ALLA RICERCA DELLA FELICITA’
di Martina Lovat, Chiara Biscaro, Elena Zanetti
“C’era una volta”, è l’inizio perfetto per un racconto
dal finale felice. Eppure, ci rincresce affermare che
questa storia è sospesa tra l’incognito e la speranza,
tra la paura di non sopravvivere e l’ansia per il futuro.
La valigia era pronta, un piccolo borsello
con
acqua,
qualche
moneta,
una
lettera.
Il piccolo “Bella Faccia” abitava a Fara, in Afghanistan, e
aveva solo dieci anni. Quella sera il padre lo aveva preso
in braccio e dolcemente gli aveva sussurrato che sarebbe
dovuto partire per l’Italia, dove non avrebbe più subito
violenze da parte dei Talebani. Senza nemmeno avere il
tempo di riflettere, si era ritrovato in una carovana, che
lo portò in Iran, poi in Turchia, in Grecia ed infine in Italia,
quella terra che tutti gli immigrati considerano il punto
di partenza per un futuro migliore. Spaventato, smarrito,
sospeso tra incubo e realtà, sapeva in cuor suo che non
sarebbe più stato al sicuro. Viveva come un vagabondo,
nulla per cui vivere, solo l’istinto di scappare. Aveva appena trovato asilo a Brindisi quando scoprì di avere uno
zio in Inghilterra che lo cercava. Notizie di lui? Nessuna.
Arrivano con i barconi, nascosti nei furgoni, nei treni, nelle
stive delle navi; sono ovunque, ormai, hanno la pelle diversa dalla nostra, lingue e culture differenti, eppure c’è
qualcosa che ci accomuna agli immigrati: siamo tutti esseri umani. Troppo poco spesso si tratta il tema dei “minori
stranieri non accompagnati”, ossia “i minorenni non aventi
cittadinanza italiana o di altri Stati dell’Unione Europea
che, non avendo presentato domanda di asilo politico,
si ritrovano per qualsiasi causa nel territorio dello Stato”.
L’Italia deve dunque fare i conti non soltanto con adulti re-
sponsabili della propria vita, ma anche con bambini e ragazzi che sbarcano soprattutto sulle coste del Meridione.
Questi esseri indifesi, la maggior parte delle volte costretti
a lasciare il loro paese d’origine per volontà dei genitori,
non possono assolutamente essere lasciati in balia della
paura e dello smarrimento. Essi hanno uno scopo, vivono
nell’ombra, scappando e rischiando la loro vita e libertà
ogni giorno, inconsapevoli delle loro azioni ma speranzosi
in un futuro migliore. Da parte nostra, poi, come possiamo giudicare chi è alla ricerca di una vita stabile e felice,
lontana dalla guerra e da situazioni difficili? Analizziamoci, riflettiamo: È giunto il momento di aiutarli davvero.
UN TUFFO NELLA CULTURA GRECA
di Francesca Varago
La professoressa Frare con un gruppo di studenti di VB
ginnasio(Alexia Cautis, Maria Pugliese, Pietro Stefani
eFrancesca Varago), di IE liceo(Filippo Zorzan e Giacomo
De Vecchi) e di ID liceo(Gaia Conte, Gianna De Longhi,
Chiara Marcassa e Elena Zoppé) hanno fatto alcuni incontri con delle classi di quinta elementare e prima media dell’istituto comprensivo Don Milani di Maserada sul
Piave. In quanto studenti del classico avevamo il compito
di dare una base di cultura greca ai bambini, partendo dal
rito del duello omerico e passando all’esercito di cittadini
che combatte per la libertà della propria patria. abbiamo
spiegato loro il passaggio dall’individualismo degli eroi
omerici, che combattevano soltanto per la gloria, ai cittadini, che combattevano per la propria patria e che per ciò
chiesero poi più diritti politici. I bambini sono stati molto
interessati e ricettivi, erano molto incuriositi dall’alfabeto
greco e impressionati dai nobili ideali dei guerrieri greci.
Per ringraziarci hanno realizzato dei bei cartelloni, dis-
egni e brevi racconti e hanno provato a scrivere qualche
parola in greco. È stato bello lavorare con dei bambini e
provare a svolgere il ruolo di insegnanti per una volta,
ma è stato anche difficile mettersi al loro livello e semplificare i concetti. Speriamo che grazie a questa piccola
iniziativa i bambini si interessino alla cultura greca e non
la vedano più come una cosa così lontana e inaccessibile
LA MAFIA NON É INVINCIBILE, PUÒ ESSERE SCONFITTA
(VLVWHOD0DÀDLQ9HQHWR"(D7UHYLVR"
di Lorena Patricia Hossu
“Papà, ma qualcosa di corrotto si può aggiustare?
“Figlio mio, fidati, la legalità ti cambia la vita”
L’8 maggio al Liceo Antonio Canova, si è tenuta l’attesa
conferenza su “Legalità e Mafia nella provincia di Treviso”,
organizzata dalla Rete degli Studenti Medi di Treviso.
L’incontro ha visto come protagonisti i relatori Fabio Malaspina, ispettore superiore di Polizia alla questura di Venezia
da trent’anni, il quale si occupa di stalking e dell’apparato
della sorveglianza speciale con la mansione di sequestro
dei beni e di attribuzione al patrimonio dello Stato; Paolino
Barbiero, segretario generale Spi Cgil di Treviso e Monica
Zorzetta, giornalista musicale e poi cronista per “Il Gazzettino” di Mestre e autrice di “A casa nostra. Cinquant’anni
di mafia e criminalità in Veneto con D. Guerretta (2006)”.
Prima domanda di una lunghissima serie, che sorge spontanea: quali sono le Forze dello Stato e qual è il ruolo della polizia? Le Forze dello Stato, chiamate anche comparto
di sicurezza, che contano 311 mila persone, sono cinque:
la Polizia di Stato, i Carabinieri, la Guardia di Finanza, la
Guardia Forestale ed infine la Polizia Penitenziaria. Il ruolo
della Polizia non è solamente quello di salvare la vita alle
persone evitando un suicidio (nel 2014 ci sono stati ben
120 casi), ma è anche quello di mantenere la legalità e la
democrazia, di mettere all’angolo“i cattivi per far prevalere
i buoni” nella corruzione; corruzione perché non si può
negare che la Mafia esista in Italia, in Veneto e a Treviso.
Nel 1873 apparve un’idea di mafia totalmente diversa:
unioni o fratellanze, specie di sette, senza scopo politico,
un unico capo, una cassa comune, specie di piccoli governi
in un governo. Ma ora non si ha un’idea ben precisa, possiamo solo dire che non è vero che “La mafia esiste solo al
Sud, qui da noi siamo tutti lavoratori” e non è nemmeno
vero che quelli che commettono reati siano tutti mafiosi,
allora forse è il caso di analizzare da più vicino questo
tema. Monica Zorzetta ci ha nominato la Mala del Brenta, Totò Riina, la Camorra, la Ndrangheta e Cosa Nostra.
“Si stava meglio quando c’era Maniero, non c’erano
delitti rimasti insoluti contro persone comune”.
La Mala del Brenta, stiamo parlando degli anni ’50 e del
boss Felice Maniero, conosciuto meglio come “Faccia
d’Angelo”, controllava tutto il Veneto e non permetteva
che altri criminali intervenissero sul territorio, infatti, prima di commettere un colpo, bisognava chiedere il permesso a Maniero; con Maniero la droga ha fatto fare il
salto di qualità e gli ha fruttato molti soldi, ma anche con
la figura di Gaetano Fidanzato che ha permesso l’holding
per traffico e spaccio. Come riporta un dottore del SerT
(Servizio per Tossicodipendenze) di Dolo la zona della
riviera del Brenta era diventata più importante e popolata rispetto a Mestre, centinaia e centinaia di persone
morivano per overdose mentre Maniero si arricchiva.
Cosa Nostra in Sicilia nelle campagne, dove venivano
gestite le proprietà terriere di piccoli proprietari contro altri dai mafiosi; il vice Bernardo Prove e Matteo.; la
Camorra nata in Campania durante il governo spagnolo,
in città è protetta dalle classi sociali più agiate, si basa
soprattutto sul loto clandestino e sul gioco d’azzardo;
l’Ndrangheta che è ormai in tutte le parti del mondo,
così potente perché è basata su legami di sangue, è un
insieme di famiglie, non ci sono pentiti, perché ad unirli
è il silenzio, la consapevolezza di far parte di un gruppo.
Bisogna sottolineare che in Veneto la Mafia non è più
quella di prima, ha cambiato pelle e si è evoluta. Ci sono
state invasioni di tutte le etnie (soprattutto russe e nigeriane) e si ha la presenza di tutte le Mafie citate prima.
9
A Treviso la situazione non è così critica: prevale la
Camorra, che si dedica a controllare gli appalti. Qui
da noi non avvengono faide, omicidi, ma si viene con
valigette piene per reinvestire perché il Veneto, il Friuli
Venezia Giulia e la Lombardia sono regioni molto ricche.
A Belluno abbiamo la Banda della Magliana, a Verona, il territorio più a rischio di tutto il Veneto, nelle
zone del Lago di Garda e a S. Bonifacio la Ndrangheta con l’Anello Fumara, i Casalesi e i Piromalli.
Ma allora perché temiamo così tanto la Mafia? Perché la legge sui soggiorni obbligati non ha funzionato e nemmeno il referendum che avevano indetto
per abrogarla, ma hanno avuto l’effetto contrario, cioè
quello di espandere ancor maggiormente la Mafia?
Abbiamo paura perché vengono coinvolte persone comuni, vengono uccise vittime innocenti: ormai nessuno
ricorda più Matteo Toffanin, ragazzo ucciso nel padovano perché “scambiato” per un delinquente mentre
costeggiava con la sua Mercedes (fatalità stesso modello, colore e stesso inizio di targa del delinquente) sotto
l’appartamento della fidanzata, anch’essa gambizzata da
due criminali. Ma nessuno si ricorda di lui, è solamente uno
dei tanti “errori”. Ci si ricorda piuttosto dell’eclatante fatto
di Codognè e della famiglia della mafiosa Anna Piazza, in
soggiorno obbligato appunto in un appartamento sopra
una sala da ballo nel comune di Codognè. Ci si ricorda il
tumulto della città, le dicerie della gente.. nessuno ha il
coraggio di dire basta. Cosa ci rimane? Noi, e mi riferisco
a noi studenti, professori, genitori, possiamo collaborare
con gli esperti o guardare da più vicino la situazione lavorando in uno dei tanti campi della Mafia sottosequestro.
RUBRICHE
I FILM DEL MOMENTO
di Davide Sutto
AL CINEMA
Avengers: Age of Ultron – Joss Whedon
Nerd di tutto il mondo unitevi! È giunto il momento di uscire dalle nostre stanze buie: gli Avengers sono tornati! Ebbene sì, dopo un’attesa triennale il gruppo di
supereroi più famoso del cinema ritorna in sala con il secondo capitolo della ormai celebre saga che, come il suo predecessore, va a chiudere un’altra “phase” del
MCU (Marvel Cinematic Universe), per la precisione la seconda. Questa volta le vicende dei Vendicatori si incrociano con quelle di Ultron, un androide costruito
dallo stesso Tony Stark per aiutare il supergruppo a proteggere la Terra, ma che in realtà si rivelerà essere una vera e propria minaccia per l’intero genere umano.
Alla regia troviamo ancora Joss Whedon che svolge di nuovo un ottimo lavoro, riuscendo a rendere con sufficiente precisione le concitate e frequenti scene di lotta
(accompagnate da un comparto di effetti speciali ancora più spettacolari di quelli del primo film) che in questo genere di pellicole rischiano spesso di presentarsi
in maniera confusionaria. Se proprio dobbiamo parlare di punti deboli, l’unico elemento che presenta delle carenze è la sceneggiatura. Se da un lato troviamo un
villain davvero ben caratterizzato (che possiamo tranquillamente paragonare a Loki per il grado di squilibrio mentale, al limite tra l’adorabile e l’inquietante), dall’altro
Quicksilver e Scarlet, oltre ad essere stati brutalmente strappati al loro universo di appartenenza (X – Men), si presentano in maniera piuttosto anonima e trascurabile.
Oltretutto, se proprio dobbiamo dirlo, questa volta la trama si è sviluppata in maniera un tantino più sbrigativa e con alcuni buchi che rendono questo film di gran
lunga meno emozionante del primo capitolo. Comunque di sicuro non si tratta di un lavoro di scarsa qualità, anzi, come al solito la Marvel è riuscita a sfornare un buon
blockbuster che riesce ad intrattenere il pubblico e che si pone come ottimo punto di partenza per la “Phase 3”. And now, get ready for the Civil War! PS: vale la pena di
vedere questo film solo per la scena dopo i titoli di coda in cui possiamo ammirare Thanos in tutto il suo splendore mentre indossa il Guanto dell’Infinito…pura libidine!
Mad Max: Fury Road – George Miller
Bentornato, Max! E bentornati anche anni ‘80! La sensazione che si prova guardando la nuova pellicola di George Miller è proprio quella di un salto indietro nel tempo,
quando i film post-apocalittici erano all’ordine del giorno. Questa però non è la classica “trashata” a basso costo, anzi, è un’opera meditata e curata fin nei minimi dettagli,
degno riavvio della saga che in passato rese celebre Mel Gibson. Miller, infatti, è riuscito a rendere in maniera impeccabile le atmosfere di un mondo reduce da un disastro
nucleare, sia dal punto di vista della regia che della sceneggiatura. I livelli di saturazione portati all’estremo, i costumi “diesel punk” eccessivi e in contrasto col paesaggio
minimalista, le macchine modificate sino ai limiti dell’assurdo e i caratteri dei personaggi tanto bizzarri da rasentare la pazzia ci fanno immergere in un’atmosfera
inquietante e affascinante al tempo stesso. L’aria che si respira è del tutto surreale e ciò è determinato sia dalla fotografia, che riesce a rendere un contrasto molto suggestivo
tra il giorno e la notte, sia dalla caratterizzazione dei personaggi che, a mio parere, è il tratto più peculiare di questo film. La trama, infatti, è pressoché trascurabile (in
sintesi è un road movie con molta azione e molte “tamarrate”) poiché l’attenzione si focalizza di continuo sui comportamenti assurdi dei singoli personaggi. Si passa da
un protagonista che riesce a mantenere il suo fascino di ribelle nonostante il numero davvero esiguo di battute (Max rimane muto per quasi tre quarti di film e quando
apre bocca di sicuro non diventa il Cicerone della Terra post-apocalittica), ai “figli di guerra”: dei pazzi pronti a gettarsi in braccio alla morte urlando “Ammirami!” per
guadagnarsi l’accesso al“Valhalla”, un ipotetico paradiso che, a quanto pare, accetta solo coloro che prima di morire si sono spruzzati in faccia della vernice spray argentata.
Per concludere non si può non citare la colonna sonora (davvero esaltante) che gioca un ruolo fondamentale, accompagnando i momenti più concitati che praticamente
costituiscono l’anima di tutto “Mad Max”, un film frenetico, accattivante e assolutamente fuori di testa, capace di lasciare lo spettatore sempre col fiato sospeso.
A TEATRO
Mudez – Riccardo Favaro (Testo) / Giovanni Barbon (Regia)
Solitamente da uno spettacolo teatrale organizzato da una compagnia scolastica non ci si aspetta molto, certo ci può sempre essere un’interpretazione innovativa ed
interessante, ma ogni volta si finisce inevitabilmente per rimanere rinchiusi nel labirinto ripetitivo della classicità. Un testo inedito, d’altronde, rappresenta un grosso
rischio che potrebbe sempre risolversi con un fiasco. Ma i rischi, si sa, a volte ripagano e Mudez ne è un chiaro esempio. Una commedia arguta e fuori dagli schemi, che
riesce fin dalle prime battute a conquistare l’attenzione del pubblico grazie ad un geniale black humor, azzeccatissimo e mai eccessivo, e ad una cura per i dialoghi che
oserei definire “tarantiniana”. La parola, infatti, è il vero cuore di quest’opera, dove una scenografia quanto mai minimalista e un’azione lasciata in secondo piano danno
ampio spazio agli intensi scambi di battute, a volte davvero frenetici, sempre in linea con quell’umorismo pungente che caratterizza tutta la commedia. Il merito, però,
non è solo del copione, ma anche degli attori, tutti perfettamente calati nel loro ruolo: personaggi comuni, quasi mediocri, ma che rispecchiano iconicamente tutta
l’amoralità della società moderna. Da questo mix, tra un testo molto accattivante e delle interpretazioni brillanti, nasce un’opera che riesce nell’impresa del “ridendo
dicere verum”, utilizzando una comicità intelligente, tagliente e ponderata, che troppo spesso ormai viene accantonata nelle grandi produzioni in favore di battute e
sketch davvero tristi e banali che quasi sempre si risolvono in volgarità di cattivo gusto, tutt’altro che divertenti. Fortunatamente, però, se questo è l’impegno con cui
oggi i giovani si dedicano al teatro per produrre un’opera interessante ed esilarante al tempo stesso, allora la comicità italiana può ben sperare perché il suo futuro è
in ottime mani. Complimenti ragazzi.
PS: volete un po’ di tè caldo?
YOUR WORLD IS NOT AL IT SEEMS
di Alice Mamprin
Mumford and sons - WILDER MIND
Il terzo album si rivela quello della
svolta, la band londinese ha deciso
di cambiare radicalmente il suo stile.
Abbandonare il vecchio sound, riporre nel fodero chitarre acustiche,
banjo e kick-drum e ripartire quasi da
zero, ecco la nuova filosofia della band.
Certamente hanno corso dei rischi: qualcuno non avrebbe approvato (come già
era accaduto ai Kings of Leon o ai Coldplay), molti altri, però, avrebbero apprezzato, schierandosi dalla loro parte.
Cambiando
stile
senza
abbandonare
definitivamente
il
sound
che li aveva resi famosi, i Mumford
& Sons hanno vinto la scommessa.
Nuove e foltissime schiere di fan ora li attendono, specialmente negli Stati Uniti
d’America.
L’insuperabile produzione di James Ford si
rivela calibrata perfettamente per il difficile compito di domare quel toro meccanico imbizzarrito che sempre è stato il sound
del gruppo nella sua versione precedente.
Missione compiuta.
Wilder Mind offre una dozzina di brani
dove entrano in scena nuovissimi elemen
ti che arricchiranno in futuro la tavolozza
sonora del gruppo.
Chitarre elettriche, una sezione ritmica
d’impronta pop-rock e poi organi, synth
e tastiere sempre perfettamente adatte
all’arrangiamento.
Questo stupisce senz’altro in positivo: la
virata stilistica suona davvero come una
conseguenza naturale e sincera, non artefatta.
È come se la band non avesse cambiato
drasticamente il modo di scrivere; come
se serbasse da tempo quegli assi nella
manica e attendesse solo l’occasione migliore per calarli.
Tompkins Square Park incede come un
treno notturno tra la insegne al neon di
una grande metropoli.
È il primo brano, ma c’è già tutto: strofe
orecchiabili, ritornello facilmente memorizzabile, abilità rara nel creare melodie
davvero vincenti nella loro efficacia.
In tonalità minore, vagamente malinconico, è un episodio di forte suggestione.
Dalle sue ceneri nasce Believe.
Il ritmo rallenta e tutto è tranquillo ma
nella seconda parte la canzone si accende, l’atmosfera si scalda e decolla con
l’entrata di batteria e chitarra elettrica in
primo piano.
The Wolf si fa notare per i crescendo
scoppiettanti, tipici della band anche se
trasfigurati.
Nei momenti di maggiore pathos, la canzone è una salita sulle montagne russe
con relativa, fulminea discesa.
L’istinto peculiare nel costruire melodie è
evidente anche in Just Smoke: il ritornello
cantabile è qui l’autentico punto di forza.
Con Monster l’atmosfera torna più rilassata, impalpabile: abbiamo di fronte una
sorta di gospel post-moderno impreziosito da organo e armonie vocali.
Ma la chicca è senz’altro rappresentata
da Broad Shouldered Beast: chitarra acustica arpeggiata (finalmente!) e pianoforte
per una ballata che cresce lentamente e
avanza per accumulazione di particolari:
sezione ritmica, archi, chitarra elettrica.
Pare una nenia vagamente orientale,
che si ferma, esplode e poi si arresta, sottotraccia, come una brace ardente.
Intensa anche Cold Arms: serenata notturna, fragile e spoglia, sussurrata sulla
punta della sei corde elettrica.
Solo sul finire dell’ascolto, intorno agli ultimi tre pezzi, si avverte come una piacevole sensazione di pienezza, di sazietà.
10
Di fatto, gli ultimissimi brani poco o nulla
aggiungono a quanto già espresso.
Vale a dire un pop-rock elegante, schietto e genuino, di pregevole fattura, ben
prodotto e confezionato.
Qua e là troverete tante buone idee, esposte nella maniera più efficace.
Canzoni che si lasciano ascoltare volentieri e che costituiscono, un’eccezione
dorata nel pattume plastificato delle hit
parade.
RUBRICHE
I NUOVI IMPRENDITORI ITALIANI
di Giulia Giacomin
DbGlove, un dispositivo indossabile per persone
cieche che consente l’utilizzo di smartphone e
tablet; Leave Your Baggage, un servizio di deposito bagagli in centro città; Remidi T8, un guanto
per performance musicali. Questi sono i finalisti
selezionati tra le idee candidate a GoBeyond, contest ideato da SisalPay con l’obbiettivo di trasformare idee imprenditoriali in realtà di successo.
Il vincitore, annunciato l’11 giugno 2015, sarà
premiato con un contributo economico iniziale
di 50mila euro e l’expertise di realtà d’eccellenza
quali Google, Gruppo Condé Nast, Rtl 102.5 e di
una rete di partner selezionati tra le più prestigiose aziende che per sei mesi sosterranno il nuovo
imprenditore nelle fasi dello sviluppo dell’impresa.
«La prima difficoltà nel creare un nuovo business in
Italia è quella di trovare persone in grado di comprendere che ogni impresa appena nata ha ancora tanto
lavoro da fare in termini di business model. La seconda è quella di confrontarsi con lo scetticismo, a volte
comprensibile, di chi per natura vede l’incertezza
e non il potenziale in ogni nuova iniziativa».
LYB- Leave Your Baggage
Lyb è nata in un gruppo di studenti dell’Università
Bocconi, durante una lezione di Product Innovation. È un servizio di deposito bagagli che il
gruppo di studenti intende posizionare nei punti
strategici delle grandi città, in prossimità di attrazioni turistiche e di strade molto frequentate, per
aiutare i turisti liberandoli dei loro bagagli. Un
altro vantaggio è la possibilità di accedere al servizio utilizzando diverse piattaforme situate nelle
vicinanze del deposito. Si presenta come un servizio estremamente digitale e orientato al futuro.
«“È per noi una grande opportunità esserci classificati tra i finalisti di GoBeyond - hanno dichiarato
i componenti del gruppo- Il contesto competitivo
che si trovano ad affrontare le imprese oggi è senza
dubbio complesso e costantemente in evoluzione.
DbGlove
DbGlove è un dispositivo indossabile che offre un aiuto alle persone cieche, rendendo digitali gli alfabeti basati sul tatto e consentendo agli
utenti di utilizzare tutte le funzionalità di smartphone o tablet. Nicholas Caporusso dal 2009
dedica parte del suo tempo a quello che è diventato un lavoro a tempo pieno e una missione.
Molti settori sono caratterizzati da un’accesa competizione orientata ad offrire sempre di più a sempre minor prezzo. Le imprese cercano quindi di
differenziarsi per quanto possibile, ma non sempre
riescono nell’intento. “Andare oltre” per noi vuol
dire offrire diversità orientandosi al paradigma
della semplicity, partendo dal presupposto che, se
non si può cambiare il mondo facendo un innovativo deposito bagagli volto a rendere l’esperienza
di viaggio migliore, lo si può fare ancora meno
stando seduti sul divano di casa propria».
Remidi T8
Remidi T8 è un wearable device (= dispositivo indossabile) composto da un guanto ed un bracciale
interconnessi, che permettono di comporre melodie. Lo scopo del prodotto è quello di permettere
la produzione di musica usando semplicemente la
mano. Un lampo di genio che il creatore racconta di
avere avuto poco dopo il ritorno da un’esperienza di
lavoro nel settore delle tecnologie musicali all’estero:
«Stavo battendo delle ritmiche su una sedia e mi immaginavo di riprodurle su un software. Mi sono detto: e se si saltasse questo passaggio intermedio?»
TOTALMENTE DIPENDENTE
di Martina Lovat
Tutto ebbe inizio il 5 Ottobre 2014 quando le porte del
Palaverde si riaprirono dopo 2 anni. La prima partita fu
un trionfo con il record di spettatori per la giornata di
Serie A Silver: 4170 spettatori.
Il grande ritorno del basket a Treviso fu premiato
con una serata indimenticabile. La squadra ricevette dal pubblico tutta l’adrenalina di cui aveva bisogno tanto da battere, con un quarto finale di
gara di gran carattere, la forte Viola Reggio Calabria.
Dopo questo inizio fantastico la TVB Basket riuscì a portare a casa 7 vittorie consecutive e il primato in classifica.
Il primo grande risultato arrivò con la qualificazione alle
Final Six di Coppa Italia a Rimini dove però la squadra di
coach Pilla uscì sconfitta al primo turno ma con onore.
Il sogno continua con vittorie ma anche con sconfitte.
Alla penultima giornata di campionato TVB riesce
a guadagnare l’accesso ai play-off e all’ultima gior-
nata la squadra si laurea campione di Serie A2 Silver.
Messa da parte la vittoria, la squadra continua ad allenarsi in vista dei play-off. Si parte con il piede sbagliato perdendo la prima partita nella tana dell’Agrigento.
Fortunatamente vinciamo la seconda partita e quindi
torniamo ad Agrigento, dove però perdiamo ancora.
L’ultima partita persa ha sancito la fine di questa stagione
fantastica che speriamo possa ripetersi il prossimo anno.
A proposito, ci stavamo dimenticando, ci si vede tutti al
Palaverde.
IO STO CON IL LUPO
di NiccolòAcram Capelletto e Cristiana Mazzetto
Chiunque di voi abbia un minimo di cultura fiabesca, ha
da sempre sviluppato una paura contro i lupi e streghe
cattive. Sulle streghe cattive siamo tutti d’accordo, ma sui
lupi ci sarebbe qualcosa da dire. Nemici ululanti o cuccioli
affamati?
IN LUPUM
Tutti gli animali della foresta (anche l’uomo) sono regolati da una legge: i “cattivi” predatori perdono, le “buone”
prede vincono.
Secondo questa regola tutte le piccole bambine, i grassi
porcellini, gli indifesi capretti hanno il diritto di vincere i
cattivi. Perché non dovrebbe essere così? Alla fine leggiamo le fiabe ai bambini affinché crescano convinti che ci
sia il bene da qualche parte, così in quei racconti fantastici
tutto viene esaltato: il lupo deve essere cattivo e non ci
aspettiamo altro.
I buoni costruiscono case, le piccole bambine vanno per
le foreste per recarsi dalla nonna, il buon cacciatore uccide l’animale per salvare la famiglia. Si potrebbe fare un
numero spropositato di esempi e in tutti il lupo risulterebbe cattivo, e per questo punito, dev’essere così e non può
essere altrimenti.
Per niente rispondiamo “Crepi!” quando ci augurano “In
bocca al lupo!”.
Il lupo è come un anatema in cui ritroviamo tutte le cose
cattive che ci sono successe e la speranza di una soluzione
a tutti i nostri problemi, perciò uccidiamo il lupo.
Sentiamo il bisogno di eliminare definitivamente le difficoltà, in questo modo uccidiamo il lupo.
PRO LUPO
Non vi sietE mai chiesti perché questo lupo sia sempre
considerato cattivo. Insomma, cosa ha fatto di male?
Okay, forse ingoiare capretti e ingannare una bambina che
porta le frittelle alla nonna non sono il gesto più nobile
che un personaggio di una fiaba per bambini possa compiere… Ma pensate a quanto dev’essere noioso, per un
lupo solitario, vivere in una foresta per la quale non passa
mai nessuno: chi non cercherebbe un po’ di divertimento?
E mettiamo pure che uccidere tre poveri maialini indifesi
sia un gesto poco nobile nei loro confronti: chi di voi non
ha mai mangiato salsicce alzi la mano, poi ne riparliamo.
Non si chiama cattiveria questa: si chiama fame e buon
gusto.
E se voi doveste trovarvi una pallottola in testa, la pancia tagliata o la coda affumicata ogni volta che tentate di
pranzare, chissà se continuereste a schierarvi contro di lui.
Ora, nessuno sta dicendo che il lupo debba diventare
un personaggio positivo: i “buoni” hanno vinto ormai da
tempo e lui ha sempre ricevuto la sua giusta punizione,
in ogni favola in cui si è ritrovato malauguratamente coinvolto… Sono ormai irrimediabili i livelli di sfortuna da
record raggiunti dal nostro antagonista, ed è ovvio che,
dopo aver assistito alla sua morte in ogni fiaba, a questo
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punto potrei essergli utile quando Papa Alessandro lo
è stato per Giovanna D’Arco scagionandola dopo la sua
morte. Tuttavia ci tengo a farvi riflettere sul ruolo di questo animale nelle fiabe, sperando che almeno qualcuno di
voi, dopo quest’articolo, si renda conto che “in bocca al
lupo”, non è un’ironica sfida alla sorte avversa, ma un bellissimo augurio. E invece che rispondere “Crepi”, ricordatevi che, per un cucciolo, la bocca del lupo è il posto più
caldo, sicuro e protetto che ci possa essere.
Protetto dai cacciatori che vogliono ucciderlo perché ha
osato nutrirsi.
Protetto dai capretti furiosi perché si sono fatti ingannare
tutti e sette da una zampata di farina.
Protetto dai porcellini che scorrazzavano per il bosco senza riuscire a mettersi d’accordo.
Protetto da una bambina che non conosce nemmeno la
strada per arrivare da sua nonna e che non obbedisce alla
mamma.
E se proprio devo scegliere tra una madre che stringe teneramente il cucciolo tra i denti e una che invece lascia i
suoi figli a casa da soli, o li manda via di casa perché sono
diventati grandi o lascia che si avventurino da soli per il
bosco… allora mi dispiace prendere le parti della figura
cattiva, che rappresenta tutti i pericoli e le nostre paure
più profonde, ma, in questo caso, sto con il lupo.
RUBRICHE
MUFFIN AL CIOCCOLATO, NUTELLA E GOCCE DI
CIOCCOLATO
di Carla Ogoumah Olagot
TORTA DI RICOTTA CON GLASSA AL
CIOCCOLATO FONDENTE
di Valentina Dalla Villa
IngredientI:
4 uova
4 cucchiai di zucchero
100 g di burro (ne bastano anche 60-70 g)
4 cucchiai di farina
500 g di ricotta
100 g di canditi: arancio, cedro (facoltativi)
100 g di uva passolina
buccia di limone o arancio grattugiata (possibilmente non trattati)
1 bustina di lievito vanigliato
2 cucchiai di Grand Marnier
un pizzico di sale
Procedimento:
Battete a lungo i rossi d’uovo con lo zucchero e il burro ammorbidito, aggiungete la
farina e gli altri ingredienti (le uvette devono essere fatte rinvenire in acqua calda e
asciugate), infine, dopo il lievito, i bianchi montati a neve. Cuocete in una teglia di 24
cm di diametro in forno ventilato a temperatura media (170°) per circa 40 minuti. Il
dolce è ottimo, anche se dieteticamente piuttosto calorico, se ricoperto dalla seguente
glassa: 200 g di cioccolato fondente, 50 g di burro, 2 cucchiai di zucchero, 2 o 3 cucchiai
di latte o acqua o caffè. Fate sciogliere a bagnomaria e, quando il composto è fluido
e liscio, versatelo sulla torta raffreddata, utilizzando una spatola o un coltello a lama
larga per meglio spalmarlo sulla superficie della torta. La decorazione in foto è stata
realizzata fondendo del cioccolato bianco a bagnomaria e creando, con una tasca da
pasticcere, il disegno sopra un foglio di carta da forno sotto cui c’era l’immagine da
ricreare, visibile in trasparenza. Si è poi fatto solidificare il tutto in frigorifero e, dopo
averlo staccato delicatamente dalla carta da forno, lo si è posto sul dolce appena
glassato. La torta è eccellente fredda di frigorifero.
Avete mai mangiato uno di quei buonissimi, deliziosi, paradisiaci muffin al cioccolato con
Nutella e gocce di cioccolato che ti fanno venire il diabete solo a vederli ? Ma come fa la
Nutella a non cuocersi insieme all’impasto ? Beh, ovviamente c’è il trucco e non è neanche
così difficile come può sembrare. Bisogna sempre congelare la Nutella, qualche oretta
prima di fare i muffin: fate delle palline di Nutella, copritela con la pellicola e mettetele nel
congelatore.
Ricetta per 12 muffin
Ingredienti:
120g di burro
120g di farina
120g di zucchero
2 uova
20g di caco in polvere
80g di cioccolato fondente
4g di lievito chimico in polvere
Procedimento :
Per prima cosa unite gli ingredienti secchi, quindi setacciare la farina, il lievito e il cacao.
Scogliere il cioccolato a bagno maria o in microonde e lasciarlo raffreddare. Montare il burro
con lo zucchero con delle fruste elettriche , una volta fatto, unite le uova una alla volta,
sempre usando delle fruste elettriche, fino a che non ottenete una consistenza spumosa.
Incorporate quindi il cioccolato sciolto, se volete potete aggiungere anche delle gocce di
cioccolato, e in seguito gli ingredienti secchi mescolando delicatamente dal basso verso
l’alto. Mettete nello stampo per muffin i pirottini e riempirli fino a metà circa con l’impasto,
aggiungete le palline di Nutella precedentemente congelate e poi altro impasto. Infine
mettete il tutto in forno già caldo a 180 gradi per 15-20 minuti. Ed ecco i vostri super golosi
muffin ripieni di Nutella. Se poi però non entrate più nel costume non date la colpa a me.
GRAPHIC NOVEL - EPILOGO SCRITTO
di Chiara Perini
Per quanto mi possa dispiacere, non sono riuscita
a continuare il fumetto, per motivi sia si tempo
che di salute. Quindi ho elaborato delle domande
utili alla conclusione della vicenda.
1- Perchè Dareka si comporta così?
Perché si diverte, ed è il suo modo di vivere. Dareka è nato e cresciuto in un ambiente dove ogni
sua richiesta veniva prontamente soddisfatta, e
avendo sviluppato un’intelligenza notevole, non
trovava soddisfacente concentrarsi sullo studio.
Non ha però avuto rapporti umani al di fuori della
sua famiglia. Dunque, considerandosi superiore a
livello intellettivo rispetto ai suoi coetanei ma in
un certo modo assetato di interagire con essi, ha
elaborato una maniera di fare parte del mondo
esterno riaffermando la sua superiorità.
Non molto ortodosso né molto pratico, ma Dareka ha il suo stile.
2- Perché Caim non ha reagito?
Caim ha reagito.
Ma di fatto, dire che ci sia qualcuno che ti sta manipolando non è molto credibile.
I suoi genitori l’hanno quasi subito classificato
come “ribellione giovanile”.
E no, Caim non avrebbe mai usato la violenza se
non spinto al limite.
Non per questioni morali, ma psicologiche, più
profonde.
Sin da piccolo, a Caim è stato insegnato di reprimere le sue emozioni, perché “lo rendevano debole”.
3- Dareka avrebbe potuto spingere Caim al limite?
Si, e l’avrebbe fatto. Per Dareka era un gioco e il
gioco termina quando il re cade.
4- Come si sarebbe conclusa la vicenda?
In sostanza, Dareka avrebbe chiesto a Caim di
incontrarlo di notte in un luogo abbandonato.
Dopo una violenta discussione, Caim avrebbe
perso il controllo e dato fuoco allo stabile, con
Dareka all’interno.
Dareka si sarebbe riuscito a salvare con delle ferite non mortali. Caim ne sarebbe uscito illeso fisicamente.
Dopo quella notte Caim avrebbe avuto bisogno
di supporto psicologico ma poi si sarebbe ristabilito.
Ma per Dareka il gioco non era finito, e la vicenda
sarebbe terminata con un flashforward sulla vita
da adulto do Caim, dove, per la seconda volta, si
ritrova una carta da gioco nella tasca del giubbotto.
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Dareka non è un ragazzo, né una ragazza.
Il suo sesso non è specificato e rimarrà tale.
PIOGGIA
È fragore nel buio immobile.
La aspetto, perché spesso torna
a cercare un posto per la notte.
M’incontra come sempre,
sotto un silenzio di piombo.
Fuori ormai crolla dal cielo
in sussulti senza fine: secondi
che ticchettano e poi
scorrono sul vetro, scandendo
nelle gocce questo tempo senza pace.
L’acqua è fredda e sorda sotto pelle.
Irrompe fra le tempie dalla finestra
chiusa per colmare ogni dubbio.
Passa addosso e sfregia
i ricordi fradici e le lettere perse,
senza ritegno né speranza.
Sul pavimento galleggiano
mille velieri di carta stropicciata,
che non troveranno un porto
dove scaricare polvere e memorie.
Si è allagata la stanza
e non nuoterò fino ai bordi del letto.
Così sono naufrago solo
sull’isola di questo foglio,
e non ho che l’inchiostro
con cui vivere stanotte.
RUBRICHE
ACQUE DI POESIA
Un abbraccio di paura e
Tristi persone si incontrano,
Percepiscono la propria aura.
Poi in un attimo si lasciano.
PASSEGGIA
FATICA
Passeggia mentre
S’illumina
Da solo
Nella sua culla
Con la sua ombra.
E gli piace colare a picco
Disordinatamente
Cavallo stramazzato
Scala
Il suo fulgore
Sulla neve
Dove festeggiano ignare
le lucciole antiche
Poi sospira :
Il pianto è vita
Gioele Scarpon
Gioele Scarpon
Giacomo Confortin
Si nuota in un oceano di persone
E si esprime sofferenza.
Atmosfere brillanti, bagliore,
Si disperdono in una parvenza
Ora cambio i toni e i suoni,
Viaggiando senza meta,
In mezzo a individui soli.
Al di fuori su un prato di stelle,
Abbandonate le città,
Le farfalle fuggono spente.
Farfalle come comete.
Ali come libertà ed emozione.
In un unico contatto, amore
Si fa sentire e riempe crepe.
Confusione di forme continue
Cristalline acque di poesia.
LA QUIETE DOPO LA TEMPESTA
Quest’anno fu pieno di voti,
ma ora verran le pagelle,
temute pagelle; ignoti
son gli esiti di alte favelle.
I timidi alunni impauriti,
traspare una gioia sottile.
Nell’anno, domande, questiti!
Che pace, finire!
Si devono aprire i quaderni
soltanto per dire:”È finita!”
Là, presso quei banchi fraterni,
rimane una scritta a matita.
Di tutto quel caos maledetto,
di tutto quel tempo passato,
non resta che qualche gessetto
per sempre spezzato.
S’è, quella prigione obbligata,
aperta in un grido sonoro,
le campanelle ora cantano
sogni di pace in un coro.
In fondo abbiamo avuto
Il tempo della pioggia;
Assetati vagabondi,
Abbiamo assaporato
La libertà leggera di una fradicia gioia.
Ora il domani tace
Nel presente sorpreso,
Riparato nei portoni
D’oscure vie spioventi.
Goccia a goccia la pace
scioglie un riso sospeso
Fra gli scambi di canzoni
E gli sguardi innocenti.
E ancora piove, ancora
Un brivido fugace
Gelida bacia la pelle,
Ancora lenta scende
La città in rivi scuri.
Solo, tu ora mi guardi
Da vuoti spazi immensi
E io che ancora ricordo
Non cerco primavere,
Antiche ho le radici
E lentamente appassisco.
Francesca Varago
O stanco studente, riposa!
Il voto nell’anno peggiore
non è ciò che cambia ogni cosa,
sciogliendosi al sole.
SHUMON
Nei suoi occhi il riflesso del mare,
Sul suo volto infinito stupore,
e, di fronte, ondeggiante brillare.
Sulle labbra dischiuse parole,
sentimenti che sembrano inversi,
tra i riflessi dell’acqua, del sole.
E quegli occhi, quell’animo, immersi
in quel bianco. Blu. Azzurro. Verde.
Cielo e mare, infiniti diversi.
Melodia che nel tempo si perde,
tutto avvolge e tutto nasconde,
e i pensieri che il vento disperde.
Scorre il sangue al ritmo delle onde
come inchiostro che traccia parole,
quelle volano sulle sue sponde.
Silenziosi segreti d’amore,
nell’oceano fremente di voci,
pregan solo di farsi ascoltare.
Tra i paesi e le guerre atroci:
li separa, pero’ non li spezza,
no! Li unisce con ponti veloci.
Che passi, adesso silenti!
Che vuote, le aule spaziose!
La voce di questi studenti
portava risate gioiose.
Complice dell’irrequietezza,
mille volti per quattro stagioni,
sfrigolante di gioia e tristezza.
Le sedie, gli armadi, le scale...
Non sembrano avere più vita.
Io sì! E che dolce quel mare,
o scuola finita!
Senza strade, senza spiegazioni,
senza meta, nel suo letto immenso,
culla il cielo e gli intona canzoni.
Driin driin! E mi dicono, fuggi!
Mi cantano, fuggi!
Sussurrano, fuggi!
Bisbigliano, fuggi!
Nei suoi occhi quel mare riflesso,
sul suo volto infinito stupore,
nella mente il disegno complesso
di qualcosa che cambia d’umore;
sulle labbra parole inattese,
di un bambino costretto ad odiare:
Là, voci d’ignoti signori,
mi sembrano miei professori
che fanno ch’io scappi pian piano...
Sentivo parlare, poi fuori
fuggivo lontano
“Questo mare non c’è al mio paese.
Solo il male. E gli spari, e rivolte”
E sorride, con le braccia tese.
E quegli occhi che videro morte
hanno ora uno sguardo pulito,
di speranze infantili risorte,
e ridendo di un canto guarito,
sono limpidi come lo è il cielo,
finalmente colmi d’infinito.
13
Cristiana Mazzetto
RUBRICHE
DI NOTTE
di Viola Coin
Di giorno si pensa, si pensa tanto, si pensa a cosa si deve fare,
a quello che ci si deve mettere, si pensa all’interrogazione
andata male, alla brutta influenza che si ha avuto, si pensa
a tutto ciò che tocca la mente e poi se ne va, sfuma via,
forse per essere ricordato, forse per essere dimenticato. Di
giorno si pensa a tutto quello che si vuole e che non si
vuole fare, e si corre. Si corre tanto, si insegue il tempo,
lo si rincorre e poi via, lui se ne va per la sua strada, e noi
corriamo, corriamo sempre di più ma non riusciamo a raggiungerlo, ormai lui se n’è andato da un bel pezzo. Invece
di notte no. Di notte è diverso. Di notte non pensiamo,
non pensiamo quasi mai, i pensieri prendono possesso di
noi, non siamo noi a doverli pensare. Di notte le cose che
ci fanno preoccupare, le cose più belle, più fastidiose, le
cose che occupano più spazio nel nostro cuore vengono
a galla e si lasciano ascoltare, immaginare, custodire e ac-
cudire. Di notte tutte quelle cose che di giorno facciamo
finta di non sentire, vedere, toccare prendono parte alla
nostra vita. Il tempo di notte è stagno, il tempo non corre
più, vuole fermarsi, ascoltare, forse pensare. Il tempo non
corre più e noi non lo inseguiamo. Così, il tempo diventa
parte di noi. E diventa il tempo dei ricordi, di tutto quello
che abbiamo passato, e non più di quello che deve avvenire. Di notte il tempo è a nostro favore.
PETRICOR
di Barbara de Francesco
È incredibile il modo in cui la nostra mente associ odori e
suoni a determinati ricordi.
Era ciò cui pensava in quel momento.
La canzone che aveva ascoltato un migliaio di volte sarebbe stata la colonna sonora perfetta per la scena patetica di
quell’istante, una canzone malinconica di Adele che aveva
amato. Fino a quel momento.
Pioveva, e l’odore pungente della terra bagnata le riportava alla mente alcuni dei momenti più belli che lei ed il suo
fidanzato anzi, ormai avrebbe dovuto definirlo ex, dato
che era stata appena lasciata per motivi a lei ancora oscuri
(giravano voci che si sentisse con un’altra, ma non voleva
crederci), avevano passato insieme.
La sera in cui, usciti dal cinema, erano stati sorpresi senza
ombrello dalla pioggia...
Si erano guardati e, stringendosi la mano, avevano iniziato
a correre verso la macchina, sotto lo sguardo incredulo dei
passanti
Una volta entrati in auto lui si era sfilato la giacca e l’aveva
appoggiata sulle spalle di lei. Per quanto anche quel giubbino, che sapeva di lui, fosse bagnato fradicio come i loro
vestiti, sentì un calore confortante avvolgerla, come se le sue
braccia la stessero stringendo.
I loro sguardi si erano incrociati e subito lei aveva iniziato a
giocare con una manica di quella giacca troppo grande.
Il ragazzo aveva invece iniziato a balbettare parole sconnesse, per poi fermarsi ripetendosi di essere uno sciocco.
Lei aveva riso, perché trovava adorabile il fatto che quando
erano insieme le mostrasse un lato di lui a tutti sconosciuto:
la sicurezza che aveva a scuola, coi professori e coi compagni
di classe, con lei svaniva, ma il suo essere impacciato era uno
dei tanti motivi per cui se ne era innamorata.
Lui aveva alzato lo sguardo e aveva sorriso nel trovare le
guance della sua fidanzata rigate dalle due fossette che
comparivano solo quando sorrideva sinceramente.
Allora aveva sfiorato le sue labbra delicatamente, in un bacio
veloce ma a sua volta lento, come se il tempo si fosse fermato; le aveva sussurrato all’orecchio un ‘ti amo’, il primo, facendola rabbrividire, e subito aveva spostato lo sguardo altrove,
per evitare che notasse il rossore che gli aveva colorato il viso.
La ragazza gli aveva posato una mano sulla guancia in
modo da poter fissare i suoi occhi scuri in quelli azzurri di lui,
e aveva ricambiato i suoi sentimenti con un ‘ti amo anch’io’.
L’incertezza che lui aveva avuto quella sera era tutt’altra
cosa rispetto alla decisione e alla freddezza con cui aveva
pronunciato pochi minuti prima otto maledette parole.
Si erano dati appuntamento a metà pomeriggio.
Lui era passato a prenderla a casa ed erano andati a fare una
passeggiata, diretti al loro posto (una panchina vicino al fiume, all’ombra di un salice piangente), ma da subito aveva
notato che c’era qualcosa di diverso in lui.
Aveva pensato fosse un po’ giù di corda per la scuola, era un
periodo denso si verifiche, e sapeva quanto importante fosse
per lui lo studio e quanto impegno gli richiedesse.
Non avevano parlato per tutto il tragitto e questo non era
un problema, molto spesso riuscivano a capirsi solo con uno
sguardo, d’altronde era lei che gli aveva detto che a volte i
silenzi valgono più di mille parole. Forse però avrebbe dovuto
capire.
Tutto d’un tratto lui si era fermato e, stringendole la mano tra
le sue, le aveva detto quelle otto maledette parole.
‘Credo che non dovremmo più vederci, mi dispiace’.
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Le era sembrato quasi che la terra le fosse crollata sotto
piedi, o che qualcuno le avesse colpito lo stomaco talmente
forte da impedirle di respirare.
Non un accenno di nervosismo, né lo sguardo insicuro che
aveva avuto la sera in cui le aveva detto la prima volta che la
amava, e questo rendeva accettare la SUA decisione ancora
più duro.
E lei era ancora lì. Ripensava alle sue parole, ne avrebbe po
tuto scegliere di migliori, più chiare forse, meno ironiche.
Come aveva potuto dirle che non si sarebbero più dovut
vedere? Una strana scelta lessicale, davvero, dato che era
no vicini di casa.
E il ‘mi dispiace’ alla fine, pronunciato con lo stesso tono
indifferente, come se quello rendesse il tutto più semplice
La pioggia iniziò a farsi più fitta, e per la prima volta la sen
sazione dei vestiti che aderivano alla pelle le dava fastidio
causandole brividi di freddo. Non aveva più la sua giacca a
tenerla calda né le sue braccia a stringerla, eppure sotto i
martellare incessante dell’acqua riusciva ancora a sentire
il calore delle mani che avevano stretto la sua.
Anche l’odore della terra bagnata le stava causando qual
che problema. Petricor, ovvero il profumo della pioggia
sul terreno asciutto, gli aveva detto una volta quando con
entusiasmo gli stava parlando del suo amore per que
fenomeno atmosferico che tutti odiano.
Sorrise, amaramente, all’ironia delle associazioni che i
nostro cervello è in grado di fare.
Da quel giorno in avanti quelle otto lettere di quella pa
rola, petricor, le avrebbero ricordato il giorno più bello e
quello più brutto della sua giovane vita.
VIVA IL GIORNALINO!
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