Questioni procedurali in tema di licenziamenti individuali

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Questioni procedurali in tema di licenziamenti individuali
Questioni procedurali in tema di licenziamenti individuali
Sommario: 1. Il licenziamento disciplinare e la procedura dell’art. 7 della Legge n. 300/’70. Ambito di applicazione ­ 2. la definizione di licenziamento disciplinare ­ 3. L’affissione del codice disciplinare art. 7 comma 1 ­ 4. La preventiva contestazione dell’addebito e le difese del lavoratore art. 7 comma 2 ­ 5. Le difese del lavoratore art. 7 comma 2, 3 e 5 ­ 6. La tempestività nell’adozione del licenziamento ed i termini previsti dalla contrattazione collettiva 7­ Il doppio licenziamento. 1. Il licenziamento disciplinare e la procedura dell’art. 7 della Legge n. 300/’70. Ambito di
applicazione
Per licenziamento disciplinare si intende il recesso del datore lavoro determinato da mancanze del
dipendente gravissime (per giusta causa) o gravi (per giustificato motivo soggettivo) che integrano
una violazione degli obblighi contrattuali. Il licenziamento disciplinare deve essere comminato
previa attivazione della procedura prevista dall’art. 7 dello Statuto dei Lavoratori. L’elaborazione
giurisprudenziale, in primo luogo l’intervento della Corte Costituzionale, ha via via sviluppato il
campo di applicazione delle garanzie previste ai primi tre commi dall’art. 7 (pubblicità del codice
disciplinare; preventiva contestazione e assistenza da parte del rappresentante sindacale)
estendendolo: 1) al licenziamento, posto che la norma era dettata in tema di sanzioni conservative,
a prescindere dal fatto che la contrattazione collettiva ritenesse l’applicabilità o meno dell’art. 7
alla sanzione espulsiva (cfr. Corte Costituzionale n. 204/’82); 2) alle imprese con meno di sedici
dipendenti (cfr. Corte Costituzionale n. 427/’89) . In entrambi i casi la Corte si è mossa attuando il
principio di uguaglianza dell’art. 3 della Costituzione che richiede parità di trattamento e di garanzie
ogniqualvolta il lavoratore subisca il massimo pregiudizio della perdita del lavoro e della lesione
della dignità professionale e personale.
Sulla base di questi principi l’applicazione delle garanzie di cui ai commi 2 e 3 dell’art. 7 è stata
estesa, come già ascoltato, anche al licenziamento disciplinare del dirigente.
Identica conclusione si è raggiunta per il licenziamento disciplinare dei lavoratori a termine, degli
apprendisti e dei lavoratori assunti con contratto di formazione lavoro fermo restando, in caso di
licenziamento illegittimo, il solo diritto al risarcimento del danno costituito dalle retribuzioni dovute
sino al termine del rapporto. Ovviamente la valutazione della legittimità del licenziamento per
ragioni disciplinari (segnatamente per giusta causa ex art. 2119 c.c.) riguarda solo l’ipotesi del
licenziamento irrogato ante tempus ovvero prima della scadenza naturale del contratto,
diversamente questi rapporti rientrano nell’area della libera recedibilità .
Vi è, infatti, un’area di rapporti di lavoro che resta esclusa dall’applicazione delle garanzie dell’art.
7 l. n.300/’70 perché vige il principio della libera recedibillità specificamente:
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1) Lavoratori domestici per espresso richiamo normativo contenuto nella legge 108/’90 che all’art.
4 esclude l’applicabilità dell’art. 2 della legge n. 604/’66 (obbligo del datore di lavoro di comunicare
per iscritto il licenziamento) ai rapporti disciplinati dall’art. 2 della legge n. 339/’58 sul lavoro
domestico. In sostanza, in ragione della natura strettamente fiduciaria del rapporto lavorativo
istauratosi tra le parti, il licenziamento del lavoratore domestico può essere operato senza vincolo
di forma col solo obbligo di preavviso salvo il caso di giusta causa di licenziamento. In tale ipotesi,
se il lavoratore impugna il licenziamento poi accertato come illegittimo, ha diritto al solo preavviso
non essendo previsto in capo al datore di lavoro l’obbligo di risarcimento del danno.
È il caso, però, di evidenziare che la contrattazione collettiva salvaguarda il licenziamento della
lavoratrice madre durante il periodo dall’inizio della gestazione sino al termine dell’astensione
obbligatoria per congedo di maternità. Ferma restando la possibilità di licenziamento in caso di
colpa grave della lavoratrice integrante una giusta causa ex art. 54 comma 3 lettera a) del D.lgs.
151/’01.
2) lavoratori subordinati sportivi professionisti per espressa disposizione legislativa l’art. 4 comma
7 o 8 della legge n. 91/’81 che esclude l’applicabilità della disciplina di cui all’art. 7 della l. n.
300/’70. In verità leggendo la norma l’esclusione riguarda solo per la sanzioni disciplinari irrogate
dalle federazioni sportive nazionali dovendosi, in astratto, ritenere l’applicabilità dell’art. 7 per le
sanzioni irrogate dal datore di lavoro. Va precisato che, come delineato dalla Corte di Cassazione
n. 9551 del 11/04/2008 l’inapplicabilità delle regole generali di tutela vale solo per atleti, allenatori,
direttori tecnico sportivi, categorie espressamente regolamentate dalla legge 91/’81, e non per altre
professionalità del mondo sportivo quali massaggiatori, preparatori atletici, medici sociali citati
3) lavoratori ultrasessantenni in possesso dei requisiti pensionistici che non abbiano optato per la
prosecuzione del rapporto ai sensi dell’art.6 L. 54/’82 per conseguire la massima anzianità
contributiva utile (art. 4 L. 108/’90). Di fatto l’innalzamento dell’età pensionabile al compimento dei
sessantacinque anni per gli uomini e dei sessantanni per le donne ha ridotto il campo di
applicazione a quelle sole categorie nelle quali è possibile maturare i requisiti pensionistici prima
del raggiungimento dell’età pensionabile.
4) lavoratori in prova datore di lavoro e dipendente posso recedere liberamente dal rapporto
durante il periodo di prova.
Al pubblico impiego contrattualizzato non si applica la disciplina di cui all’art. 7 della Statuto dei
lavoratori se non per i commi primo, quinto e ottavo (affissione del codice disciplinare, spatium
deliberandi di cinque giorni dalla contestazione scritta dell’addebito, inefficacia delle sanzioni
disciplinari dopo due anni dall’applicazione) espressamente richiamati dall’art. 55 comma 2 nonché
sesto e settimo (facoltà di promuovere il tentativo di conciliazione avanti un collegio di
conciliazione costituito presso la Direzione provinciale del Lavoro e inefficacia della sanzione in
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caso di omissione di nomina di proprio rappresentante da parte del datore di lavoro)
espressamente richiamati dall’art. 56 del D.lgs. n.165/’01 in tema di sanzioni disciplinari 1 .
In ogni caso gli artt. 54 (codice di comportamento) 55 (sanzioni disciplinari) e 56 (impugnazione
delle sanzioni disciplinari) del D.lgs. 165/’01 disciplinano in via generale, con ampi rimandi alla
contrattazione collettiva di ogni singolo comparto, la materia della formazione e conoscibilità del
codice di comportamento dei pubblici dipendenti, della regolamentazione del procedimento di
irrogazione e impugnazione delle sanzioni disciplinari conservative ed espulsive riprendendo le
linee guida della tutela del citato art. 7.
L’unica differenza di rilievo è la disposizione di cui al quarto comma dell’art. 55 che prevede
l’individuazione, da parte di ogni amministrazione e secondo il proprio ordinamento, dell’ufficio
competente per i procedimenti disciplinari. Tale ufficio è l’unico deputato: alla contestazione
dell’addebito al dipendente (su segnalazione del capo struttura); all’istruzione del procedimento
disciplinare e all’applicazione della sanzione, salvo il caso del rimprovero verbale e della censura
applicati direttamente dal capo struttura.
La conseguenza della violazione del disposto dell’art. 55 è stata chiarita dalla Corte di Cassazione
la quale ha spiegato che “Il procedimento disciplinare istaurato da un soggetto o un organo diverso
dall’u.c.p.d. è illegittimo e, pertanto, la sanzione irrogata a seguito di un procedimento come
dinanzi illegittimo è viziata di nullità in quanto il provvedimento è stato adottato in violazione di
norma di legge inderogabile sulla competenza … il consequenziale accertamento della sua
inderogabilità o imperatività non può che comportare l’applicazione del primo comma dell’art. 1418
c.c. dell’atto o provvedimento adottato da organo o soggetto dell’ente ex lege non competente”.
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Diversamente nel caso di difetto di rappresentanza del soggetto che ha comminato il licenziamento
nel rapporto di lavoro privato, è possibile la ratifica con effetti ex tunc da parte della società
secondo il disposto dell’art. 1399 c.c. nel rispetto delle forma prescritte dalla legge.
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2. la definizione di licenziamento disciplinare
In seguito agli interventi della Corte Costituzionale con sentenze n. 204/’82 e n. 345 e 935 del
1988, si è affermata la nozione cosiddetta ontologica del licenziamento disciplinare. In sostanza le
garanzie dei primi tre commi dell’art. 7 sono applicabili ad ogni licenziamento che si fondi su una
condotta colpevole o dolosa del dipendente, un’inadempienza o una trasgressione idonea a
configurare un’ipotesi di giusta causa o giustificato motivo soggettivo indipendentemente
dall’espressa previsione ex lege o sulla base della contrattazione collettiva della condotta come
rilevante sul piano disciplinare. Volendo fare un esempio concreto la Corte di Cassazione ha
ritenuto la natura ontologicamente disciplinare, con conseguente applicazione delle garanzie
dell’art. 7, al licenziamento intimato per condanna penale (nel caso di specie per furto aggravato)
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Art. 56 “ Se i contratti nazionali non hanno istituito apposite procedure di conciliazione e arbitrato, le sanzioni disciplinari possono
essere impugnate dal lavoratore avanti al collegio di conciliazione di cui all’art. 66 con le modalità e con gli effetti di cui all’art. 7, commi
sesto e settimo della legge 20 maggio 1970 n. 300”
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del dipendente.
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Quanto alla delimitazione temporale delle condotte colpevoli rilevanti, si è statuita la rilevanza
disciplinare dei comportamenti posti in essere dal lavoratore dopo il licenziamento ma prima della
ricostituzione del rapporto jussu iudicis solo se derivanti dalla violazione di obblighi
extracontrattuali o da norme penali ma non da obblighi contrattuali. Le fattispecie concrete
esaminate hanno riguardato il caso del lavoratore che aveva posto in essere comportamenti
minatori, intimidatori e diffamatori nei confronti del datore di lavoro dopo il licenziamento (Cass.
10663/04) ed il dipendente licenziato che aveva lavorato per una ditta concorrente nel periodo tra il
licenziamento e l’ordina di reintegrazione. In quest’ultimo giudizio la Corte di Cassazione ha però
precisato che non può più configurarsi una violazione dell’obbligo di fedeltà per il periodo
successivo all’inadempimento dell’ordine di reintegrazione potendosi il dipendente attivare per
procurarsi i mezzi di sostentamento secondo la propria professionalità anche presso la
concorrenza. 5
3. l’affissione del codice disciplinare art. 7 comma 1 L. 300/’70
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“In tema di rapporto di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, ai sensi dell'art. 59, quarto comma, del D.Lgs. 3
febbraio 1993, n. 29, trasfuso nell'art. 55 del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, tutte le fasi del procedimento disciplinare sono svolte
esclusivamente dall'ufficio competente per i procedimenti disciplinari (u.c.p.d.), il quale è anche l'organo competente alla irrogazione
delle sanzioni disciplinari, ad eccezione del rimprovero verbale e della censura. Ne consegue che il procedimento instaurato da un
soggetto o organo diverso dal predetto ufficio, anche se questo non sia ancora stato istituito, è illegittimo e la sanzione irrogata è, in tale
caso, affetta da nullità, risolvendosi in un provvedimento adottato in violazione di norme di legge inderogabili sulla competenza; ne' la
previsione legislativa è suscettibile di deroga ad opera della contrattazione collettiva, sia per l'operatività del principio gerarchico delle
fonti, sia perché il terzo comma dell'art. 59 cit. attribuisce alla contrattazione collettiva solo la possibilità di definire la tipologia e l'entità
delle sanzioni e non anche quella di individuare il soggetto competente alla gestione di ogni fase del procedimento disciplinare”. Cass.
n. 2168/04
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Cass. 17461/’03 “La disciplina dettata dall'art. 1399 cod. civ. - che prevede la possibilità di ratifica con effetto retroattivo, ma con
salvezza dei diritti dei terzi, del contratto concluso da soggetto privo del potere di rappresentanza - è applicabile, in virtù dell'art. 1324
cod. civ., anche ai negozi unilaterali come il licenziamento. Tuttavia, la illegittimità dell'atto di licenziamento per carenza di potere
dell'organo societario che l'ha emanato, rende l'atto inefficace fino all'eventuale ratifica da parte dell'organo legittimamente deliberante,
che ha effetto retroattivo sino alla data di emanazione del provvedimento illegittimo, salvo che nel frattempo non sia intervenuta
autonoma causa di estinzione del rapporto di lavoro. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che, da un lato, aveva
affermato la illegittimità del licenziamento per carenza di potere del soggetto che lo aveva intimato e, dall'altro, aveva ritenuto l'efficacia
immediata del suddetto licenziamento, con conseguente nullità, per mancanza di oggetto, delle dimissioni rassegnate dal lavoratore
subito dopo la comunicazione del licenziamento inefficace).
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Cass. 17652/07 “Il licenziamento motivato da una condotta colposa o comunque manchevole del lavoratore, indipendentemente dalla
sua inclusione o meno tra le misure disciplinari della specifica disciplina del rapporto, deve essere considerato di natura disciplinare e,
quindi, deve essere assoggettato alle garanzie dettate in favore del lavoratore dal secondo e terzo comma dell'art. 7 della legge n. 300
del 1970 circa la contestazione dell'addebito ed il diritto di difesa. (Nella specie, la S.C. ha affermato il principio ritenendo illegittimo il
licenziamento intimato senza le garanzie prescritte benché in relazione ad un fatto qualificato come reato con sentenza passata in
giudicato).”
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Cass. 9925/’09 “I comportamenti posti in essere dal lavoratore dopo la cessazione del rapporto per licenziamento e prima della sua
ricostituzione "jussu judicis" possono assumere rilevanza disciplinare, occorrendo distinguere tra obblighi scaturenti dal sinallagma
contrattuale e doveri extracontrattuali, derivanti dall'art. 2043 cod. civ. o da norme penali. Su questi ultimi doveri in nessun caso può
influire la cessazione del rapporto, perché essi non trovano la loro fonte nel sinallagma contrattuale, e quindi la loro violazione rileva
sempre, anche se posta in essere dopo la cessazione del rapporto, mentre gli obblighi scaturenti dal contratto rimangono a carico del
lavoratore per un suo obbligo di coerenza con la volontà di proseguire il rapporto espressa con l'impugnazione del licenziamento, salvo i
comportamenti necessitati dallo scopo di reperire fonti di sostentamento alternative alla retribuzione di fatto non più corrisposta, con una
ricerca svolta dal lavoratore nell'ambito della propria professionalità e quindi anche, eventualmente, presso la concorrenza. (Nella
specie, la S.C., nel rigettare il ricorso, ha ritenuto la correttezza della decisione impugnata che, con motivazione adeguata, aveva
ritenuto che lo svolgimento di una attività professionale alle dipendenze di una impresa concorrente del datore di lavoro nel periodo
intermedio tra il licenziamento e l'ordine di reintegrazione, proseguita anche dopo la reintegra, integrasse la violazione del dovere di
fedeltà, e ciò anche se, in precedenza, tale condotta era stata tollerata)”.
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Chiarito il campo di delimitazione formale e sostanziale dell’art. 7 l. n.300/’70 passiamo ad
analizzarne le singole garanzie.
Il primo comma dell’art. 7 dispone che “le norme disciplinari relative alle sanzioni ed alle infrazioni
in relazione alle quali ciascuna possa essere applicata devono essere portate a conoscenza dei
lavoratori mediante affissione in luogo accessibile a tutti”
Mentre è pacifica l’applicazione della norma in tema di sanzioni disciplinari conservative (il potere
disciplinare sarebbe solo genericamente previsto dall’art. 2106 c.c. con conseguente necessità di
predisporre una normativa secondaria collettiva o contrattuale di specificazione e integrazione) si
ritiene che, derivando il potere di recesso del datore di lavoro direttamente dalla legge, possa
procedersi a legittimo licenziamento disciplinare in caso di:
condotte percepibili dal lavoratore come illecite perché contrarie a norme di legge di rilevanza o
meno penale;
violazione dei doveri fondamentali connessi al rapporto di lavoro di cui agli art. 2104 e 2105 c.c.;
infrazioni il cui divieto risiede nella coscienza sociale quale minimum etico perciò riconoscibili
senza necessità di specifica previsione (Cass. 12735/03)
In sostanza è necessaria l’affissione del codice disciplinare solo laddove siano contestati al
lavoratore illeciti consistiti nella violazione di prescrizioni strettamente attinenti all’organizzazione
aziendale (Cass. 18377/’06).
Facendo un po’ di casistica non è stata ritenuta necessaria l’affissione del codice in caso di :
distruzione volontaria di alcuni files del computer aziendale recanti progetti seppure ancora in
bozza (Appello Torino sent. n. 403/’07); sottrazione di generi alimentari dalla mensa cui il
dipendente era addetto (Cass. n.5434/03); “picchettaggio” nei confronti dei colleghi di lavoro non
scioperanti (Cass. 10201/04); reiterato svolgimento di orario di lavoro in modo difforme dalla
previsione contrattuale (Trib. Varese); insubordinazione costituita dal rifiuto di indossare scarpe
antinfortunistiche (Trib. Milano sent. in data 6.6.2007 d.ssa Mennuni); attestazione nel verbale di
constatazione amichevole di modalità del sinistro diverse da quelle reali da parte di un autista
coinvolto in un incidente con il mezzo aziendale (Cass. 4778/04); rifiuto di sottoscrizione del
contratto di lavoro a tempo parziale (con forma scritta ad substantiam) da parte del lavoratore a
tempo pieno che già aveva accettato la riduzione dell’orario di lavoro. L’irrilevanza dell’affissione
del codice disciplinare è stata motivata ritenendo la condotta del lavoratore contraria ai principi di
correttezza e buona fede (Cass. 1108/’02);
è stata, invece, ritenuta necessaria l’affissione in caso di licenziamento per violazioni relative alla
custodia dell’automezzo aziendale da parte dell’autista (Appello Torino sent. n. 804/’08); in caso di
mancato o intempestivo invio, da parte di un informatore medico, delle relazioni sull’attività svolta e
i clienti visitati (Cass. n. 19306/’04); assenza ingiustificata sul rilievo che il codice disciplinare
indica il numero dei giorni di assenza integranti la giusta causa (Appello Torino n. 603/’03). Sulla
medesima questione la Corte di Cassazione è di diverso avviso ritenendo che l'obbligo di rendere
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la prestazione rientri tra i doveri fondamentali del lavoratore (Cass.6974/’02); assenza alla visita
fiscale. In tal caso, tenuto conto che la legge prevede solo la perdita dell’indennità di malattia per
l’intero periodo, è necessaria l’espressa previsione disciplinare che definisca un’ipotesi di assenza
ingiustificata e le conseguenti sanzioni.
Con riferimento alle modalità di affissione si è ritenuto che l'obbligo di affissione delle norme
disciplinari in luogo accessibile a tutti va inteso nel senso che l'accesso deve essere libero e
comodo, ossia senza difficoltà particolari, mentre non è richiesta l'affissione in un luogo in cui i
dipendenti debbano passare necessariamente né nelle bacheche aziendali (Cass. 20733/07).
Inoltre, ove l'impresa sia articolata in più unità produttive, l'onere dell'affissione del codice
disciplinare in luogo accessibile a tutti implica che l'affissione sia effettuata in ciascuna sede,
stabilimento e reparto autonomo e che altrettanto avvenga qualora l'impresa operi presso terzi,
utilizzando locali di altri per tenervi materiali o persone (Cass. 247/’07).
Da ultimo un accenno al pubblico impiego contrattualizzato. L’obbligo di affissione del codice
disciplinare è espressamente richiamato dall’art. 55 comma 2 del D.lgs 165/’01 6 . La tipologia delle
infrazioni e delle relative sanzioni è definita, anche per il pubblico impiego, dai contratti collettivi
ferma restando la descrizione dei doveri dei dipendenti ad opera dei codici di comportamento
previsti dall’art. 54. L’art. 54 del d.lgs 165/01 ai commi 1, 2 e 3 prevede: la redazione di un codice
di comportamento a cura del dipartimento della funzione pubblica in accordo con le confederazioni
sindacali rappresentative; la pubblicazione deI codice di comportamento nella Gazzetta Ufficiale; la
consegna al dipendente all’atto dell’assunzione e il recepimento del codice di comportamento nei
contratti collettivi per il necessario coordinamento con le previsioni in materia di responsabilità
disciplinare.
Secondo la Suprema Corte laddove la previsione di sanzioni fosse contenuta in norme aventi forza
di legge non è più necessaria l’affissione del codice disciplinare attesa la generale conoscibilità
delle condotte sanzionate.
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4. La preventiva contestazione dell’addebito e le difese del lavoratore art. 7 comma 2 L.
300/’70
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Art. 55 comma 2 Dlgs 165/’01 “Ai dipendenti di cui all’art. 2 comma 2 [dipendenti delle amministrazioni pubbliche] applicano l’art. 2106
del codice civile e l’art. 7 commi primo, quinto e ottavo della legge 20 maggio 1970 n. 300”
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Cass. n. 25099/’06 “In tema di affissione del codice disciplinare nel pubblico impiego privatizzato, la previsione delle sanzioni e delle
relative conseguenze in norme aventi forza di legge - in particolare, per l'amministrazione scolastica, il capo IV, sezione V, del d.lgs.
n.297 del 1994 recante le sanzioni disciplinari, le diverse fattispecie di illecito, pur con clausole generali, e il relativo procedimento garantisce, attraverso la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, la conoscenza da parte della generalità, rendendo inutile la previsione
nel codice disciplinare e la relativa affissione. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva fatto corretta
applicazione del principio esposto in massima in controversia in cui un insegnante, lamentando la mancata affissione del codice
disciplinare, aveva dedotto la nullità del richiamo scritto irrogato dall'amministrazione scolastica per aver abbandonato la sorveglianza di
una classe senza tempestiva espressione dell'adesione alla partecipazione ad un'assemblea sindacale. La S.C. ha, peraltro, rilevato
che il ricorrente non aveva invocato alcuna utile disposizione collettiva capace di derogare alle disposizioni di legge, e che anzi la
disposizione collettiva da questi richiamata, l'art. 56 CCNL 5 agosto 1995, rinviava espressamente al citato decreto legislativo)”.
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La contestazione dell’addebito deve precedere l’adozione del provvedimento disciplinare espulsivo
ed ha la duplice finalità di informare il lavoratore circa le condotte illegittime che gli vengono
attribuite e di metterlo in condizione di esplicare idonea difesa.
Dalle finalità esposte si ricavano i caratteri distintivi della corretta contestazione come
pacificamente ritenuti da dottrina e giurisprudenza: specificità, tempestività, immutabilità.
Specificità: la contestazione deve fornire le indicazioni necessarie ad individuare nella sua
materialità il fatto contestato (Cass. 18377/06) contenendo un'esposizione puntuale delle
circostanze essenziali (tempo, luogo e modalità di svolgimento) dei singoli episodi addebitati al
lavoratore. In caso di contestazione della recidiva come elemento costitutivo delle mancanze
addebitate o della gravità delle stesse è necessaria l’indicazione degli episodi e dei precedenti
disciplinari che la integrano. L’importante è che la contestazione risulti idonea a raggiungere lo
scopo per il quale è prevista ovvero a consentire al lavoratore di predisporre un'adeguata difesa.
Volendo esemplificare sono carenti di specificità tutte quelle contestazioni si riferiscono a
“comportamenti di insubordinazione” “atteggiamenti minacciosi” “frasi insultanti” “comportamento
maleducato” oppure “gestione negligente” “criticità nei rapporti interpersonali che incidono
negativamente sulla operatività della struttura” “diffuso notizie lesive dell’onore della reputazione o
dell’immagine dell’azienda”
Tempestività immediatezza della contestazione equivale ad una stretta contiguità temporale col
fatto, perché l’art. 7 della legge n. 300 del 1970 esige un’immediata reazione da parte del datore.
Solo in tale ipotesi il lavoratore viene posto in grado di articolare un’adeguata difesa. In altre
parole il principio di immediatezza della contestazione disciplinare costituisce non solo, e non
tanto, un obbligo di natura procedimentale, ma soprattutto un obbligo di natura sostanziale,
essendo strumentale alla tutela del diritto di difesa del lavoratore ed all’esigenza che il potere
disciplinare sia esercitato dal datore di lavoro con correttezza e buona fede Tuttavia, a
contemperamento del precedente principio, è stato affermato che “l’immediatezza va intesa in
senso relativo, cioè va valutata considerando le circostanze del caso concreto: da un lato rileva
l’epoca in cui il datore di lavoro ha avuto conoscenza del fatto, …; dall’altro, occorre tener conto
dei fattori tipici della fattispecie, quali … la particolarità dell’infrazione, implicante la necessità di
indagini e verifiche per la concreta definizione dell’addebito e la sua riferibilità al dipendente, la
complessità dell’organizzazione aziendale…” (Cass. 14074/’02 .
In tal senso è stata ad esempio esclusa l'immediatezza della contestazione nei confronti di un
dipendente di un istituto bancario, intervenuta dopo oltre tre mesi dalla ricezione delle risultanze
acquisite dall'ispettorato interno, tanto più che il competente servizio faceva parte della medesima
Direzione Generale della banca (Cass. 13167/09). È stata, invece, ritenuta tempestiva una
contestazione intimata dopo quattro mesi dall'ultimo episodio di utilizzo, da parte del dipendente,
del telefono d’ufficio con il quale erano stati inviati, anche fuori dall'orario di lavoro e nell'arco di un
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anno, oltre tredicimila brevi messaggi, attesa la necessità di controllare l'estraneità dei messaggi ai
motivi di servizio (Cass. 29480/08).
Si è ritenuta pure la tempestività di un licenziamento irrogato nei confronti di una dipendente della
Società che distribuisce la corrispondenza nel 2000 a fronte di una segnalazione di reato inoltrata
dalla stessa società all’autorità Giudiziaria nel 1997. In questo caso sia il primo giudice che la
Corte D’Appello di Torino hanno ritenuto il comportamento secondo buona fede del datore di
lavoro considerando che all’atto della segnalazione all’autorità giudiziaria sussistevano solo indizi,
elementi insufficienti per una contestazione disciplinare. Solo dopo il positivo vaglio dibattimentale
nel 2000 (il processo si era concluso con il patteggiamento della dipendente) la società aveva
proceduto alla contestazione (sottrazione di francobolli da corrispondenza in partenza, distruzione
della corrispondenza, riutilizzo dei francobolli in favore di un parente) ed al successivo
licenziamento,. I giudici avevano valutato positivamente anche il fatto che non risultasse in atti che
il datore di lavoro avesse avuto accesso agli esiti dell’indagine sino alla sentenza di
patteggiamento (cfr. Corte D’Appello Torino n. 1310/02).
Sul tema del rispetto del principio di immediatezza e della compatibilità con l’attesa degli esiti del
procedimento penale vi sono numerose sentenze con esiti apparentemente divergenti anche in
Cassazione. In realtà il criterio generale è quello della valutazione della tempestività in relazione al
momento in cui i fatti a carico del lavoratore appaiano ragionevolmente sussistenti (Cass.
1101/07). Ad esempio si è affermata la legittimità del licenziamento irrogato dal datore di lavoro
dopo la comunicazione alla società, parte offesa, del rinvio a giudizio del dipendente per truffa e
falso anche se già negli anni precedenti il dipendente aveva comunicato alla società di aver
ricevuto l’avviso di garanzia (Cass. 23739/08).
Immodificabilità. Il principio dell’immodificabilità della contestazione attiene pacificamente al divieto
di modificazione del fatto materiale posto a base dell’illecito giudicato punibile con licenziamento.
Ne discende che non viola il principio di immutabilità né la diversa qualificazione giuridica del fatto
(che peraltro spetta all’organo giudicante) né quelle modifiche o aggiunte che non configurano
elementi integrativi di una diversa fattispecie di illecito disciplinare. In si considera illegittima
l’introduzione nel provvedimento di licenziamento di
circostanze nuove rispetto a quelle
contestate, tali da implicare una diversa valutazione dell'infrazione disciplinare anche
diversamente tipizzata dal codice disciplinare apprestato dalla contrattazione collettiva. Nel caso di
specie si è ritenuta la legittimità del licenziamento perché il fatto contestato era l’aver consentito ad
un congiunto l’utilizzazione di un biglietto aereo a prezzo agevolato con modalità truffaldine,
modalità specificate in sede di licenziamento ovvero sostituzione del nome del congiunto sulla
carta d’imbarco ad opera della dipendente. La corte ha ritenuto che la mancanza contestata era la
stessa e la specificazione della sostituzione del nome riguardava solo una modalità esecutiva che
non modificava la gravità del fatto (Cass. 17604/07).
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Sempre in tema di applicazione del principio di immutabilità si evidenzia l’ipotesi della
contestazione per assenza ingiustificata. Il superamento dei giorni di assenza previsti dal CCNL
per l’irrogazione del licenziamento disciplinare deve sussistere ed specificata al momento della
contestazione disciplinare senza che possano computarsi ulteriori giorni di assenza successivi alla
contestazione e precedenti il licenziamento (Cass. 16132/’07). Vedi casi in cui il Ccnl ritiene rilevati
le assenza superiori a tre o quattro giorni mantra la contestazione interviene il terzo o quarto
giorno.
5. Le difese del lavoratore comma 2, 3 e 5 L. 300/’70
Ricevuta la contestazione il lavoratore ha cinque giorni di tempo per organizzare le proprie difese e
fornire le proprie giustificazioni per iscritto chiedendo di essere personalmente sentito con o senza
l’assistenza di un rappresentante dell’associazione sindacale cui egli aderisca o conferisca
mandato.
È ormai indiscusso che il termine dilatorio di cinque giorni per l’adozione del licenziamento
disciplinare sia funzionale allo svolgimento di compiute difese da parte del lavoratore. Da tale
principio discendono una serie di considerazioni via via affrontate dalla giurisprudenza sia di merito
che di Cassazione:
- se il lavoratore si giustifica compiutamente senza richiedere di essere nuovamente sentito, il
licenziamento può essere irrogato anche prima della scadenza del termine (Cass. S.U. 6900/’03);
- se il lavoratore chiede di essere sentito o si giustifica dopo la scadenza del termine il datore di
lavoro non è obbligato tenere in conto le difese e può provvedere al licenziamento;
- il termine è di cinque giorni deve ritenersi un termine post quem. Recita infatti il comma cinque
dell’art. 7 L.300/’70
“provvedimenti disciplinari più gravi del rimprovero verbale non possono
essere applicati prima che siano trascorsi cinque giorni dalla contestazione per iscritto…” Ciò
significa che questo è un termine non entro il quale si deve fare qualcosa ma, scaduto il quale, si
può fare qualcosa.
Pertanto il termine si computa normalmente ex art. 155 comma 1° c.p.c. senza il giorno iniziale
il dies a quo non può che essere quello della ricezione della contestazione (poichè prima di
conoscere la contestazione il lavoratore non può ovviamente difendersi),
decorrono poi i cinque giorni entro i quali il lavoratore può presentare le giustificazioni;
il sesto giorno il datore il datore può procedere ad applicare la sanzione. Rileva nel computo il
giorno in cui il datore irroga il licenziamento non quello in cui il medesimo viene comunicato al
lavoratore. La puntualizzazione è importante nel caso in cui il licenziamento sia spedito per lettera.
È il caso poi di chiarire che se il lavoratore si giustifica per iscritto entro il termine dei cinque giorni,
il datore di lavoro debba prendere in considerazione tali giustificazioni (anche per respingerle) nel
provvedimento di licenziamento. Intendo dire che si dovrebbe dubitare della legittimità di un
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licenziamento irrogato il sesto giorno dalla comunicazione della contestazione ma prima di aver
ricevuto le giustificazioni scritte inviate tempestivamente (cfr. Corte Appello Torino sent. n.
1154/02, 457/06). La conclusione è supportata dalla disposizione del secondo comma dell’art. 7
che fa divieto al datore di lavoro di procedere alla sanzione senza aver sentito il lavoratore a sua
difesa (cfr. Tribunale Napoli dott. Anzilotti sent. in data 29.3.2000).
6. La tempestività nell’adozione del licenziamento ed i termini previsti dalla contrattazione
collettiva.
All’esito dell’iter procedurale descritto dall’art. 7, l’irrogazione del licenziamento deve avvenire in
tempi ragionevolmente brevi. Peraltro, nel caso in cui il licenziamento sia irrogato per giusta causa
, mal si giustificherebbe una dilazione del provvedimento. Valgono comunque le considerazioni
svolte in tema di tempestività della contestazione circa la valutazione in concreto della buona fede
del datore di lavoro e l’interesse del lavoratore di veder concluso in tempi ragionevoli l’iter
disciplinare.
Mentre la legge non fissa alcun termine finale la contrattazione collettiva prevede molto
frequentemente un termine entro il quale debba essere applicata la sanzione assegnando all'inutile
decorso del termine il significato predeterminato di accoglimento delle giustificazioni dell'incolpato,
con conseguente decadenza del datore di lavoro dall'esercizio nel caso concreto del potere
disciplinare
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CCNL Metalmeccanici industria - Art. 23 - Provvedimenti disciplinari. "Salvo che per il richiamo verbale, la contestazione dovrà essere
effettuata per iscritto e i provvedimenti disciplinari non potranno essere comminati prima che siano trascorsi 5 giorni, nel corso dei quali il
lavoratore potrà presentare le sue giustificazioni. Se il provvedimento non verrà comminato entro i 6 giorni successivi a tali giustificazioni,
queste si riterranno accolte".
CCNL metalmeccanici PMI - Art. 24 - Provvedimenti disciplinari (Comma estratto). "L'eventuale provvedimento disciplinare dovrà
essere comminato al lavoratore entro 5 giorni lavorativi dalla scadenza del termine assegnato al lavoratore stesso per presentare le
sue giustificazioni. Inoltre dovranno essere specificati i motivi del provvedimento. Trascorsi gli anzidetti periodi previsti ai commi 2 e 5
della procedura di contestazione senza che sia stato mandato ad effetto alcun provvedimento, le giustificazioni addotte del lavoratore
si intendono accolte".
CCNL metalmeccanici Artigiani - Art. 30 - Provvedimenti disciplinari. "Salvo che per il richiamo verbale, la contestazione dovrà essere
effettuata per iscritto e i provvedimenti disciplinari non potranno essere comminati prima che siano trascorsi 5 giorni, nel corso dei
quali il lavoratore potrà presentare le sue giustificazioni. Se il provvedimento non verrà comminato entro 6 giorni successivi a tali
giustificazioni, queste si riterranno accolte.
CCNL Chimici industria - Art. 50 - Provvedimenti disciplinari . "Il provvedimento non potrà essere emanato se non trascorsi otto giorni
da tale contestazione, nel corso dei quali il lavoratore potrà presentare le sue giustificazioni. Se il provvedimento non verrà emanato
entro gli otto giorni successivi tali giustificazioni si riterranno accolte." Chiarimento a verbale. "Ai fini di quanto stabilito dal comma 4 del
presente articolo gli otto giorni entro i quali il provvedimento deve essere emanato sono successivi allo scadere dei primi otto e quindi
entro sedici giorni dalla contestazione. Il provvedimento deve essere emanato entro sedici giorni dalla contestazione anche nel caso in cui
il lavoratore non presenti alcuna giustificazione"
CCNL Terziario e servizi-Confcommercio - Art. 219. Normativa provvedimenti disciplinari - "L'eventuale adozione del provvedimento
disciplinare dovrà essere comunicata al lavoratore con lettera raccomandata entro 15 giorni dalla scadenza del termine assegnato al
lavoratore stesso per presentare le sue controdeduzioni. Per esigenze dovute a difficoltà nella fase di valutazione delle
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Normalmente i contratti collettivi precisano il termine iniziale di decorrenza individuandolo sia nella
data di effettiva presentazione delle giustificazioni sia in quella di scadenza del termine fissato per
la presentazione delle controdeduzioni.
Entro il termine variamente previsto il licenziamento dovrò essere “comminato” (nella maggioranza
dei casi) “emanato” o “adottato”.
L’utilizzazione della terminologia di cui sopra fa ritenere la sufficienza dell’esercizio del potere
disciplinare entro il termine previsto senza necessità che il provvedimento venga anche
comunicato al lavoratore entro il termine. Laddove si parla di “comunicazione con lettera
raccomandata” del licenziamento (come nel CCNL Turismo confterziario) si deve egualmente
ritenere che il licenziamento sia tempestivo se spedito entro il termine. Diversamente si
collegherebbe la decadenza dal potere disciplinare ad un adempimento connesso al fatto del terzo
(le poste). La tesi è, però, controversa valutandosi per contro la maggiore tutela specificamente
accordata, in questo caso, dalla contrattazione collettiva.
La conseguenza del licenziamento intempestivo è per lo più prevista dalla contrattazione collettiva
che deduce l’accoglimento delle giustificazioni (con decadenza dal potere disciplinare).
Alcuni contratti prevedono espressamente la possibilità di proroga da parte del datore di lavoro del
termine per esigenze dovute alla difficoltà nella fase di valutazione (proroga da comunicarsi per
iscritto al lavoratore). Laddove tale proroga non sia prevista o non ricorrano le ragioni di proroga
tipizzate si deve ritenere l’improrogabilità del termine.
La Cassazione si pronunciata sul punto in una occasione statuendo che “Le garanzie di difesa del
lavoratore apprestate dalla norma dell'art. 7, comma quinto, della legge n. 300 del 1970 possono
essere arricchite e accentuate dalla contrattazione collettiva con la previsione di un termine finale
per l'adozione del provvedimento disciplinare e con l'attribuzione del significato di accettazione
delle giustificazioni alla inerzia del datore di lavoro protratta per un certo tempo dopo che il
lavoratore abbia provveduto ad esporre le sue giustificazioni; se poi viene dedotto in giudizio che il
termine negoziale ha reso eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti del datore di lavoro, la
valutazione circa la validità del termine stesso a norma dell'art. 2965 cod. civ. va compiuta non in
controdeduzioni e di decisione nel merito, il termine di cui sopra può essere prorogato di 30 giorni, purché l'azienda ne dia preventiva
comunicazione scritta al lavoratore interessato."
CCNL Turismo Confterziario - Art. 1J 8 - Normativa provvedimenti disciplinari. "L'eventuale adozione del provvedimento disciplinare
dovrà essere comunicata al lavoratore con lettera raccomandata entro 15 giorni dalla scadenza del termine assegnato al lavoratore
stesso per presentare le sue controdeduzioni. Per esigenze dovute a difficoltà nella fase di valutazione delle controdeduzioni e di
decisione nel merito, il termine di cui sopra può essere prorogato di 30 giorni, purché l'azienda ne dia preventiva comunicazione scritta
al lavoratore interessato".
CCNL Calzature industria - Art. 69 - Procedura per i provvedimenti disciplinari. "Se il provvedimento non verrà emanato entro 6 giorni
successivi alla presentazione delle controdeduzioni, le stesse si riterranno accolte
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termini astratti con riferimento alla sua maggiore o minore brevità, bensì avendo riguardo al singolo
soggetto onerato e alle specifiche circostanze di fatto” ( Cass.3608/98) 9
Va evidenziato che la contrattazione collettiva talvolta integra il procedimento disciplinare anche in
altre fasi del procedimento disciplinare stabilendo, ad esempio, la specifica modalità di
comunicazione della contestazione (raccomandata per il lavoratori dipendenti di aziende di
produzione cinematografica e raccomandata con ricevuta di ritorno per i dipendenti dei consorzi di
bonifica).
7. Il doppio licenziamento
L’ipotesi del doppio licenziamento si realizza quando, impugnato tempestivamente il primo
licenziamento, ne intervenga un secondo per ragioni uguali o diverse.
La giurisprudenza della Cassazione ha ritenuto in passato che l'azione diretta ad invalidare il
licenziamento (privo di giusta causa o giustificato motivo) sia un'azione di annullamento (confortata
dal dato letterale del primo comma dell’art. 18 che parla di sentenza che Annulla il licenziamento) e
che pertanto fino all'eventuale sentenza di accoglimento il negozio produca regolarmente i suoi
effetti. In sostanza con il primo licenziamento il rapporto cessa di modo che il secondo
licenziamento, intimato in corso di causa e prima della sentenza di accoglimento, è privo di ogni
effetto. È vero che la sentenza di licenziamento ha efficacia retroattiva ex tunc eliminando gli effetti
prodotti dal negozio annullabile ma ciò non potrebbe ridere efficacia al secondo licenziamento:
perché la retroattività opererebbe “solo in relazione alla ricostituzione del rapporto e non anche alle
manifestazioni di volontà datoriali poste in essere quando il rapporto di lavoro era ormai estinto."
(Cass. civ., 5 aprile 2001, n. 5092; nello stesso senso, 20 settembre 2005, n. 18497).
La sentenza di annullamento avrebbe quindi natura costitutiva (con conseguente ordine di
reintegra del lavoratore) presupponendo un licenziamento affetto da un vizio ma produttivo di
effetti, quale l’estinzione del rapporto di lavoro, sino alla sua caducazione.
Più recentemente la Cassazione ha invece ritenuto che “Il licenziamento illegittimo non è idoneo
ad estinguere il rapporto al momento in cui è stato intimato, determinando unicamente una
sospensione della prestazione dedotta nel sinallagma, a causa del rifiuto del datore di ricevere la
stessa, e non esclude che il datore di lavoro possa rinnovare il licenziamento, in base ai medesimi
o a diversi motivi del precedente. Ne consegue che, nel caso in cui, dopo un primo licenziamento,
ne sia intervenuto un altro non tempestivamente impugnato, il giudice, chiamato a pronunciarsi
sulle conseguenze del primo licenziamento dichiarato illegittimo, deve limitarsi alla condanna al
risarcimento dei danni subiti dal lavoratore nel periodo corrente tra il primo ed il secondo
licenziamento e non può, invece, ordinare la reintegra nel posto di lavoro, essendosi il rapporto
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Art. 2965 c.c. “è nullo il patto con cui si stabiliscono termini di decadenza che rendono eccesivamente
difficile ad una delle parti l’esercizio del diritto”
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lavorativo ormai definitivamente estinto, per effetto della mancata impugnativa del secondo
provvedimento di recesso.” (Cass. 6055/08).
La Corte ha rilevato che il precedente orientamento si limita a considerare solamente l'aspetto
degli effetti caducatori sul citato dato testuale dell’art. 18 senza tenere conto del significato
complessivo della norma.
“La norma, infatti, prevede che nel caso di annullamento del recesso disposto dal giudice per
mancanza di giusta causa o giustificato motivo, scattino a favore del lavoratore una serie di
conseguenze favorevoli per il lavoratore (reintegrazione nel posto di lavoro, pagamento di
un'indennità pari alla retribuzione di fatto che sarebbe maturata tra il licenziamento e la
reintegrazione, versamento dei contributi previdenziali per il periodo tra licenziamento e
reintegrazione) che postulano che il rapporto medio tempore sia continuato, seppure solamente de
iure. In altre parole, non può negarsi che l'annullamento abbia natura costitutiva e che gli effetti
della pronunzia abbiano effetto ex tunc; tuttavia, esso interviene in una situazione in cui il rapporto
non è stato interrotto dal licenziamento (si veda in tal senso Corte cost. 14.1.86 n. 7)… Può
affermarsi, dunque, che il licenziamento illegittimo, intimato a lavoratori per i quali è applicabile la
tutela cosiddetta reale, determina solo un'interruzione di fatto del rapporto di lavoro, ma non incide
sulla sua continuità, assicurandone la copertura retributiva e previdenziale, di modo che "il recesso
illegittimo non può valere ad escludere la debenza, dei contributi previdenziali sulle retribuzioni
dovute al lavoratore reintegrato" (Cass. 1.3.05 n. 4261).La continuità e la permanenza del rapporto
giustifica l'irrogazione di un secondo licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, ove
basato su una nuova e diversa ragione giustificatrice, dal quale solamente, in mancanza di
tempestiva impugnazione, deriverà l'effetto estintivo del rapporto”.
Emanuela Fedele
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