M. Paoletti, Selinunte nei resoconti del Grand Tour
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M. Paoletti, Selinunte nei resoconti del Grand Tour
7** SEMINARI E CONVEGNI Laboratorio di Storia, Archeologia e Topografia del Mondo Antico Atti delle quinte giornate internazionali di studi sull’area elima e la Sicilia occidentale nel contesto mediterraneo Erice, 12-15 ottobre 2003 Workshop «G. Nenci» diretto da Carmine Ampolo Guerra e pace in Sicilia e nel Mediterraneo antico (viii-iii sec. a.C.) Arte, prassi e teoria della pace e della guerra vol. II EDIZIONI DELLA NORMALE Redazione a cura di Chiara Michelini © 2006 Scuola Normale Superiore Pisa isbn 88-7642-210-2 Abbreviazioni Autori antichi Sono state adottate, di norma, le abbreviazioni dell’Oxford Classical Dictionary, Oxford-New York 19963 o del dizionario di H.G. Liddell, R. Scott, Oxford 19689, ad eccezione dei seguenti casi: Aristoph., Demosth., Diod., Hesych., Moschion, Plato, Ps. Hipp., Strabo, Tim. Opere generali AE = L’Annèe épigraphique, Paris 1888BMC = Catalogue of the Greek Coins in the British Museum. BTCGI = Bibliografia Topografica della Colonizzazione Greca in Italia e nelle Isole Tirreniche (fondata da G. Nenci e G. Vallet, diretta da C. Ampolo), PisaRoma 1977-1994, Pisa-Roma-Napoli 1996BullEp = Bulletin Épigraphique, pub. in Revue des Études Grecques. CEG = P.H. Hansen, Carmina Epigraphica Graeca, Berlin-NewYork 19831989, I-II. CID = Corpus des inscriptions de Delphes, Paris 1977CIG = Corpus Inscriptionum Graecarum, Berlin 1828-1877, I-IV. CIL = Corpus Inscriptionum Latinarum, Berlin 1863CIS = Corpus Inscriptionum Semiticarum, Paris 1881DGE = E. Schwyzer, Dialectorum Graecarum exempla epigraphica potiora, Lipsiae 19233. EAA = Enciclopedia dell’Arte Antica, Classica ed Orientale, Roma 1958FGrHist = F. Jacoby, Die Fragmente der griechischen Historiker, Berlin 1923GGM = C. Müller, Geographi Graeci Minores, Parisiis 1855-1861. IDélos = Inscriptions de Délos, Paris 1926-1972, I-VII. IG = Inscriptiones Graecae consilio et auctoritate Academiae Litterarum Regiae Borussicae editae, Berolini 1873IGASMG = R. Arena, Iscrizioni greche arcaiche di Sicilia e Magna Grecia, I-V, 1989- (I2 1996). IGCH = M.Thompson, O. Mrkholm, C.M. Kraay (eds.), An Inventory of Greek Coin Hoards, New York 1973. IGDGG = L. Dubois, Inscriptions grecques dialectales de Grand Grèce, Génève 1995-2002, I-II. IGDS = L. Dubois, Inscriptions grecques dialectales de Sicile: contribution à l’étude du vocabulaire grec colonial, Rome 1989. ILLRP = A. Degrassi, Inscriptiones Latinae Liberae Rei Publicae, Firenze 19571963, I-II; 19652, I-II. Abbreviazioni ILS = H. Dessau, Inscriptiones Latinae Selectae, Berlin 1892-1916. Inscr. Ital. = Inscriptiones Italiae, Roma 1931IvO = W. Dittenberger, K. Purgold, Inschriften von Olympia, Berlin 1896. LIMC = Lexicon Iconographicum Mythologie Classicae, Zürich-München 1981LSAG2 = L. Jeffery, The Local Scripts of Archaic Greece. A Study of the Origin of the Greek Alphabet and its Development from the Eighth to the Fifth Centuries B.C., revised edition with a supplement by A.W. Johnston, Oxford 1990. LSJ = H.G. Liddell, R. Scott, Greek-English Lexicon, Oxford 19689 [reprint of the 9th ed. (1925-1940) with a new supplement edited by E.A. Barber and others]. OMS = L. Robert, Opera Minora Selecta, Amsterdam 1969-1990, I-VII. PGM = K. Preisendanz et al. (hrsgg.), Papiri Graecae Magicae. Die griechischen Zauberpapyri, Stuttgart 1973-19742, I-II. PMG = D.L. Page (ed.), Poetae Melici Graeci, Oxford 1962. POxy. = B.P. Grenfell, A.S. Hunt (eds.),The Oxyrhynchus papyri, London 1898RE = G. Wissowa (hrsg.), Paulys Real-Encyclopädie der klassischen Altertums wissenschaft (neue bearb.), Stuttgart-München 1893-1972. SEG = Supplementum Epigraphicum Graecum, 1923SGDI = F. Bechtel et al., Sammlung der Griechischen Dialekt-Inschriften (hsrg. von H. Collitz), Göttingen, 1884-1915, I-IV. Syll.2 = W. Dittemberger, Sylloge Inscriptionum Graecarum, Lipsiae 189819012, I-III. Syll.3 = W. Dittemberger, Sylloge Inscriptionum Graecarum, Leipzig 191519243, I-IV. TLE = M. Pallottino, Testimonia linguae etruscae, Firenze 1954; 19682. TLG = Thesaurus Linguae Graecae (electronic resource), Irvine, University of California, 1999. TrGF = B. Snell, R. Kannicht, S. Radt (eds.), Tragicorum Graecorum Fragmenta, Göttingen 1971-1985, I-IV; 19862, I. Periodici Sono state adottate, di norma, le abbreviazioni dell’Année Philologique, ad eccezione delle seguenti e dei titoli riportati per esteso: AMuGS = Antike Münzen und Geschnittene Steine. ArchMed = Archeologia Medievale. ASSir = Archivio Storico Siracusano. BCASicilia = Beni Culturali ed Ambientali. Sicilia. BollArch = Bollettino di Archeologia. GiornScPompei = Giornale degli Scavi di Pompei. JAT = Journal of Ancient Topography. Rivista di Topografia Antica. JbHambKuSamml = Jahrbuch der Hamburger Kunstsammlungen. JbZMusMainz = Jahrbuch des Römisch-Germanischen Zentralmuseums Mainz. XI Abbreviazioni IncidAnt = Incidenza dell’Antico: dialoghi di storia greca. OpArch = Opuscula archaeologica ed. Inst. Rom. Regni Suaeciae. QuadAMessina = Quaderni dell’Istituto di Archeologia della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Messina. QuadIstLingUrbino = Quaderni dell’Istituto di Linguistica dell’Università di Urbino. QuadMusSalinas = Quaderni del Museo Archeologico Regionale «A. Salinas». SicA = Sicilia Archeologica. Selinunte nei resoconti del Grand Tour 1. L’architettura dorica e l’ispirazione artistica: Goethe in Sicilia (1787) Abbandonando la Sicilia, ormai già a bordo della nave che da Messina lo avrebbe riportato a Napoli, un viaggiatore tedesco annotava nel diario, sotto la data del 13 maggio 1787, le ultime impressioni del suo soggiorno: «Fui di nuovo sorpreso dalla spiacevole sensazione del mal di mare, non mitigata questa volta, come durante la prima traversata, dalla comodità della cabina privata. […] Ripresi la mia posizione orizzontale, mentre Kniep [sc. il suo compagno, di cui dirò fra poco] si prendeva cura di fornirmi vino rosso e pane. In una situazione simile, tutto il nostro viaggio attraverso la Sicilia non mi appariva certo dipinto dei colori più seducenti. Tutto sommato non avevamo veduto nient’altro che i vani sforzi degli uomini per resistere contro le violenze della natura, contro la perfidia maligna del tempo, contro il furore delle loro stesse discordie ed ostilità. Cartaginesi, Greci, Romani e non so quante altre razze dopo di loro hanno costruito e hanno distrutto. Selinunte è metodicamente devastata; per rovesciare i templi di Girgenti non sono bastati due millenni; poche ore, per non dire pochi minuti sono stati sufficienti per distruggere Catania e Messina». Siffatte considerazioni di un «pover’uomo – come egli si descrive – afflitto dal mal di mare e sballottato sovente tra i flutti della vita» possono apparirci assai banali. Ma non deve esser così. La lunga citazione è tratta dalla più celebre Italienische Reise e il «pover’uomo» altri non è che Wolfgang Goethe1, che nella primavera del 1787 aveva percorso la Sicilia in compagnia del pittore Kristoph Heinrich Kniep, un bravo artista conosciuto qualche tempo prima a Napoli2. Nel tour sull’isola, durato neppure un mese e mezzo, Goethe s’interessa di tutto3: conosce e incontra la più alta nobiltà palermitana, ricerca e colleziona minerali, visita tutte le principali antichità sulla scorta del Viaggio in Sicilia di Johann Hermann von Riedesel, un ‘libriccino’ da cui non si separa mai e che anzi porta sul petto – sono le sue parole – «come un breviario o un talismano»4. Osservatore sagace e attento dei costumi, scienziato e naturalista, ma anche pittore e disegnatore per diletto, egli è preso da infinita ammirazione per l’architettura greca, in primo luogo quella dorica, che si manifesterà ai suoi occhi come «un mondo magico, sublime, inafferrabile»5. Ecco dunque che Goethe da Palermo si reca a Segesta. La sua raffigurazione del «tempio non finito» che si erge in posizione singolare sulla collina, dinanzi a campagne coltivate e tuttavia disabitate, è accurata, degna di un competente e, in definitiva, migliore rispetto a quella dello stesso Riedesel. Ma una volta esauriti i necessari dettagli architettonici e aver menzionato i recenti restauri (grazie ai quali le condizioni dell’edificio erano sì migliorate, però anche vari pezzi architettonici erano andati perduti)6 non può che descrivere incantato le «miriadi di farfalle volteggianti intorno ai cardi fioriti», mentre «il vento fischiava tra le colonne come in una foresta, e certi uccelli grifagni roteavano sopra la carcassa del tempio, empiendo il cielo di stridi»7. Le altre antichità segestane non lo attraggono affatto, neppure il teatro, le cui «rovine sono insignificanti» e gli tolgono ogni voglia di proseguire nella visita. Il resoconto di quel sopralluogo del 20 aprile 1787 sul Monte Barbaro a Segesta si conclude perciò inaspettatamente con una disquisizione su lucertole, sanguisughe e lumache. Il naturalista ha il sopravvento sul poeta e l’antiquario8. Tre giorni dopo Goethe è ad Agrigento, entusiasta di un’architettura che non ha confronti altrove (se non a Paestum) e di un «paesaggio 632 Maurizio Paoletti tutt’all’intorno sempre più pittoresco»9. I templi attribuiti a Giunone Lacinia, alla Concordia, a Giove Olimpico, ad Ercole sono osservati uno ad uno, lungamente, individuando le loro caratteristiche e anche i restauri eseguiti a suo giudizio «senz’alcun gusto, riempiendo le lacune con certo gesso d’un biancore abbacinante» che contrasta visibilmente con la pietra antica. Tuttavia non si dà pena di rilevare con esattezza le dimensioni dei templi, anzi adotta un metodo sbrigativo e assai empirico, che non trova riscontro nell’opera dello stesso Riedesel, il suo maestro ideale. Misura infatti un grande triglifo del tempio di Giove a braccia aperte e poi entra diritto in piedi nella scanalatura di una sua colonna10. Si comporta insomma né più né meno come un pittore, il quale si ritrae in primo piano oppure aggiunge qualche figurina umana necessaria a suggerire la grandiosità delle rovine che sta disegnando. Insomma la minuta precisione e la pedanteria antiquaria sono estranee a Goethe o gli appaiono del tutto superflue. Soprattutto egli è affascinato dai monumenti agrigentini quando si stagliano intatti nel paesaggio nonostante il logorio dei secoli, mentre i ruderi giganteschi lo sgomentano, impedendo a lui e al suo amico pittore Kniep di tentare anche un qualsiasi schizzo. Come scrive il 25 aprile: «Ogni forma d’arte è scomparsa sotto l’ingombro di tante macerie»11. Si esercita piuttosto davanti la tomba di Terone, che disegna a penna, a tratti rapidi e nervosi, con mano sicura12. Saprà riconciliarsi con le rovine solo grazie alle colonne atterrate del tempio di Ercole, che ritrae ad acquarello, senza mostrare alcun interesse archeologico o documentario13 (figg. 380-381). Quelle colonne e quei blocchi sommersi dai cespugli e dall’erba – in una parola, dalla natura – sono per lui un’improvvisa fonte d’ispirazione artistica e poetica, ma non sono in grado di suggerirgli altro. Sul finire del Settecento e più ancora agli albori del secolo successivo, Segesta ed Agrigento erano due tappe fondamentali per ogni europeo colto, per ogni viaggiatore che insoddisfatto di concludere il suo Grand Tour a Napoli si avventurasse oltre Paestum, con l’obiettivo dichiarato di conoscere e toccare quasi con mano l’architettura templare greca laddove sopravviveva fuori della Grecia stessa14. Reduce da Paestum che lo aveva letteralmente «sbalordito» (23 marzo 1787)15, e dove vorrà tornare eccezionalmente una seconda volta, subito dopo la Sicilia (17 maggio) giudicando il tempio di Nettuno visto là come il più bello in assoluto e superiore anche a quelli siciliani16, Goethe segue un itinerario di viaggio che è ormai frequentato da molti stranieri. Per raggiungere Agrigento attraversa l’intera Sicilia occidentale, sostando per una notte dapprima a Castelvetrano e poi a Sciacca. È un percorso obbligato dalla topografia dei luoghi e dalle strade, che lo porta molto vicino a Selinunte. Ma nel tour siciliano di Goethe non c’è il tempo e – aggiungo – neppure il desiderio di vedere le colossali rovine di quella città. Le ispirate parole di Riedesel non sono sufficienti per invogliarlo ad una deviazione dal suo itinerario (per comodità adotto la traduzione del Viaggio in Sicilia di Riedesel pubblicata a Palermo nel 1821): «Lungi dodici miglia da Mazzara ed otto da Castelvetrano, sulle spiagge del mare si veggono le rovine di tre tempj che presentano ai curiosi gli avanzi dell’antica Selinus e che si chiamano in Sicilia Pileri di Castelvetrano. Essi, dopo il tempio di Giove Olimpio di Girgenti, sono i più grandi edificj di una simile antichità, di cui ancora restano vestigj così ben conservati; di fatto sebbene interamente abbattuti, possonsi assai ben riconoscere l’architettura, la grandezza, e le proporzioni di queste enormi masse»17. A riprova di ciò Riedesel offre di ciascuno la descrizione e le principali misure, lamentando che la loro incompletezza è dovuta al fatto che essi erano divenuti nel tempo una comoda cava di pietra e che perfino un ponte sul Belice era stato costruito con quei blocchi. L’autopsia, le notizie raccolte in loco che talora sfumano in dicerie e il ricorso alle fonti classiche – in questo caso a Virgilio che ricorda la palmosa Selinus18– fanno assumere a Riedesel, che secondo un’indovinata definizione fu ‘amico di Winckelmann, mentore di Goethe e diplomatico di Federico il Grande’, anche il ruolo di un moderno periegeta19. Ed effettivamente la narrazione odeporica settecentesca del tour in Magna 633 Selinunte nei resoconti del Grand Tour Grecia e Sicilia sembra avere tra i suoi modelli, talora incosciamente talora un po’ meno, proprio la letteratura periegetica sulla Grecia. In estrema sintesi: Pausania. Ma le rovine monumentali dei tre templi, accatastate sul pianoro orientale di Selinunte, non hanno particolare attrattiva per Goethe, mosso sì da incontenibile passione per l’architettura dorica, ma proteso soprattutto ad afferrarne i principi teorici ispiratori e le loro possibili applicazioni20. Come si è detto anche recentemente «il Meridione d’Italia fu, per esplicito riconoscimento dei protagonisti tedeschi del grand tour, insieme la palestra e l’utopia, l’enciclopedia e la propedeutica dell’architettura moderna»21. 2. Il silenzio su Selinunte: il disinteresse dello scozzese Brydone (1770) e del trentino Pilati (1775) Selinunte è perciò assente nella Italienische Reise di Goethe, perché per apprendere il dorico in Sicilia bisognava andare a scuola dove i templi greci erano ancora in piedi: Agrigento e Segesta. Schiacciata tra questi due esempi insuperabili e più facilmente raggiungibili, completamente disabitata ed eccentrica rispetto ai consueti itinerari di viaggio in Sicilia, Selinunte faticherà a lungo prima di imporsi all’attenzione di travellers e touristes. Né si deve trascurare quale fosse il carattere e quali fossero gli scopi che accomunavano tra loro ogni Kavalierstour e ogni Bildungreise dei giovani nobili europei e dei letterati al seguito – una formula di viaggio fortunatissima, che muterà aspetto solo alla fine del Settecento con l’irrompere di Napoleone in Italia –22. Lo scozzese Patrick Brydone, quando nel 1770 visita la Sicilia, privilegia le informazioni naturalistiche sull’isola – in primo luogo l’Etna, la geologia e il paesaggio siciliano – e si dimentica spesso dei suoi monumenti greci. Per questo motivo trova sufficiente recarsi nella sola Agrigento, dove osserva le celebri antichità in maniera piuttosto superficiale e convenzionale23. Assai diversa è la sua attenzione per la città di Girgenti, le cui «case sono misere, le strade sporche, tortuose e strette»24 e per la popolazione locale che – ecclesiastici, ospiti e commensali compresi – è ritratta in sanguigni quadretti e umoristiche descrizioni che richiamano lo stile irriverente, e perfino sarcastico, di un suo famoso conterraneo inglese, il pittore William Hogarth25. È dunque naturale che Brydone, quando riparte da Agrigento, ignori la non lontana Selinunte e tiri dritto per Palermo fervente di vita mondana, dove si troverà perfettamente a suo agio. Non si discosta da questo ‘cliché’ neppure il trentino Carlantonio Pilati, giudice e riformatore illuminista, certamente massone, che nel 1775 visitò la Sicilia e la descrisse nelle Lettere pubblicate l’anno seguente (e, poi, più volte riedite a testimoniare il loro successo)26; egli fu uno dei tanti filosofi eclettici e girovaghi cui ben si addice – nel secolo dei lumi – la patente di ‘viaggiatore filosofo’27. Nel suo viaggio lungo la costa meridionale della Sicilia, Pilati fa tappa ad Agrigento prima di proseguire in direzione di Palermo. Ma anch’egli preferisce ricordare Sciacca, «patria del famoso Agatocle» e poi Mazara «celebre per la sua bombagia» piuttosto che Selinunte28. D’altra parte, è evidente che la maggioranza dei viaggiatori non ha la sensibilità e il gusto di Riedesel né è alla ricerca del mondo greco classico o del suo mito: come scrive un giovane e ricco patrizio di Amburgo, che visitò la Calabria e la Sicilia negli stessi anni lasciando un dettagliatissimo diario – sono i Briefe über Kalabrien und Sizilien di Johann Heinrich Bartels editi tra il 1787 e il 1792 –, le rovine e i templi non sono che «todten Monumenten»29. Un giudizio sorprendente e inatteso in una persona colta, «fantasiosa e romantica»30, che ama la ‘nobile semplicità’ greca e che nel suo diario dedica un’amplissima descrizione alla topografia dell’antica Siracusa (XXV Brief) e un’altra ancor più minuziosa e lunga ai monumenti di Agrigento, ricca di digressioni storiche (XXIX-XXX Briefe). 3. La riscoperta di Selinunte nella ‘Terra dei pulici’: Fazello lettore di Diodoro (1558) I ripetuti silenzi su Selinunte sono perciò la riprova che i suoi templi, benché comparabili a quel- 634 Maurizio Paoletti li agrigentini, dovevano attendere l’avvento dei voyages pittoresques per essere inseriti nei percorsi canonici del tour siciliano, così come nei loro resoconti a stampa diffusi e circolanti per tutt’Europa. Naturalmente, vi erano state delle eccezioni anche di grande rilievo – l’olandese Jacques-Philippe D’Orville ad esempio –, ma nella sua opera intitolata Sicula e pubblicata solo postuma nel 1764, un vero grande trattato sulla Sicilia antica comprendente rudera e insieme numismata, Selinunte entra quasi d’ufficio31. Ogni erudito e letterato, avendo dimestichezza con le fonti storiche, era consapevole infatti del suo ruolo e della sua fama. La riscoperta di Selinunte in età moderna, come tutti sanno, ha un nome e anche una data. Il nome è quello di Tommaso Fazello, che nel suo De rebus siculis consegna ai lettori non soltanto la soluzione ad un problema topografico controverso – Selinunte era identificata erroneamente con Mazara –, ma anche l’ora esatta in cui, dopo una notte insonne sui libri, venne a capo di esso: era poco prima dell’alba del 22 settembre 155132. Dobbiamo guardare con benevola indulgenza al moto di gioia di questo predicatore domenicano, che percorre in lungo e in largo il tratto di costa siciliana per tre anni e poi, leggendo lo storico Diodoro, intuisce che l’antica città distrutta dai Cartaginesi andava ricercata in un sito inospitale, chiamato localmente ‘Terra dei pulici’. L’elenco di quanto egli vede è prezioso e la sua descrizione delle rovine selinuntine farà da guida prima a Philipp Clüver, autore della celeberrima opera antiquaria sulla Sicilia antiqua33 e in seguito a D’Orville. 4. Le «vastae ruinae» dei templi e la chiesetta del kastron bizantino: Selinunte nei Sicula di D’Orville (1764) Nonostante i limiti che gli vanno riconosciuti – l’uso del latino, l’erudizione sovrabbondante e talora fine a se stessa –, D’Orville ha il merito d’aver portato una ventata nuova nel panorama culturale europeo del Settecento34. Infatti egli adotta consapevolmente un metodo nuovo: la conoscenza diretta dei monumenti che soltanto un viaggio può garantire. L’importanza assunta dall’autopsia e dalla ricerca topografica, applicate come principio e non come surrogato delle fonti storiche e letterarie, trova la sua migliore dimostrazione proprio nel caso di Selinunte. Questa consapevolezza è presente già nella Prefazione ai Sicula di D’Orville; ma è soprattutto G. Vallet a sottolineare il valore paradigmatico di quest’esempio nella sua bella ricerca su L’antiquité e les antiquités nei racconti di viaggio del Settecento35. D’Orville infatti menziona il circuito murario della città, le sue porte e una torre di difesa; si preoccupa di segnalare le informazioni del Fazello che non trovano un riscontro diretto; richiama l’attenzione sui resti di una chiesa osservati all’interno di uno dei templi cittadini (forse il tempio C). La notizia è quanto mai significativa, perché il «rotundum et fornicatum opus» prova certamente la presenza di una chiesetta bizantina, che fu demolita con l’avvio degli scavi moderni. La testimonianza di D’Orville ripropone la questione sulle fasi di rioccupazione del sito di Selinunte e sulla loro cronologia – questione che è resa piuttosto spinosa dalla lacunosità di documentazione. Già Jole Bovio Marconi si pronunciò giustamente per l’«inconsistenza di una Selinunte romana»36, ma l’interrogativo è piuttosto un altro: come interpretare le costruzioni riconosciute in diversi settori dell’acropoli selinuntina, in particolare nella zona dei templi C e D. L’insediamento messo in luce all’epoca degli scavi diretti da Francesco Saverio Cavallari fu un agglomerato sicuramente di modesta entità: è descritto infatti nei termini di «miserabili abituri, intrusi in quel sito e costruiti con i detriti di quel tempio» e ancora assegnando loro la definizione di «casipole» costruite in un’«epoca barbara»37. Vicino furono scoperte alcune tombe di cronologia piuttosto incerta, sebbene contrassegnate da croci greche o latine; da qui proviene infine la nota lucerna trilicne di bronzo sormontata da un grande disco traforato con il monogramma cristologico e l’iscrizione Deo gratias38. Né va dimenticata l’epigrafe funeraria del diacono Ausanius rinvenuta ancora in situ sulla tomba, a breve distanza dai templi sulla collina orientale39. Le successive ricerche condotte 635 Selinunte nei resoconti del Grand Tour da Ettore Gabrici hanno fornito altri dati che confermano la tipologia di questo abitato o piccolo villaggio tardoantico e bizantino che sopravvisse (ma è probabile una qualche soluzione di continuità) fino ad epoca araba cessando poi di esistere definitivamente poco dopo la metà del XIII sec.40. La chiesa però non la si spiega senza il kastron bizantino che fu realizzato sopra i basamenti dei templi A e O con blocchi architettonici presi sul posto, probabilmente nel VI sec. d.C., e che ebbe un’importante funzione di controllo e difesa dell’altura di Selinunte e del mare antistante41. Da questa digressione dovrebbe emergere come i Sicula di D’Orville, oltre a rivestire un notevole interesse per la topografia selinuntina, si pongono in una posizione nettamente distinta, sebbene non scollegata, rispetto agli altri resoconti di viaggio relativi al Grand Tour. 5. La sensibilità dell’artista, la visione dell’architetto: dai rilievi di Hoüel (1776-1778) alle ricostruzioni di Hittorff (1823-1824) D’Orville ha un altro grande merito nei confronti di Selinunte. Per la prima volta sono pubblicate e dunque circolano in Europa incisioni che raffigurano, come recita la didascalia, «trium templorum Selinuntiorum vastae ruinae»42 (fig. 382). Alle vedute con l’ammasso caotico delle rovine si accompagnano le piante degli edifici. Naturalmente le ricostruzioni planimetriche sono infedeli e, ai nostri occhi, si prestano immediatamente a fondate critiche. Ma potremmo dire il dado è tratto; e d’ora in poi saranno sempre più numerose le riproduzioni dal vero dei templi selinuntini. Disegni e schizzi che si tradurranno in quadri; rilievi architettonici che nel breve volgere di anni si trasformeranno in splendide ricostruzioni sia delle piante che dell’elevato. Il pensiero corre subito alle gouaches di Jean Hoüel realizzate all’epoca del suo secondo soggiorno in Sicilia (1776-1778), attraenti e piacevoli per l’uso dei colori acquarellati, e al tempo stesso sorvegliatissime nella resa di ogni dettaglio architettonico: non fa differenza che si tratti delle ruines disperse sul pianoro o della non lontana carrière – le cave di Cusa – con gli enormi rocchi di colonna semilavorati che gli antichi scalpellini avevano abbandonato interrompendo il lavoro43. Come altri viaggiatori prima e dopo di lui, anche Hoüel alloggerà nella «Torre de Pullici» (o «de’ Pulici» che accoglie un piccolo corpo di guardia contro le incursioni barbaresche, adattandosi ad una vita frugale e non priva di inconvenienti sui quali egli sa distendere un velo di ironia o di filosofica sopportazione. Infatti Hoüel è un artista che «dipinge e medita sulle rovine» – così egli dice di sé –, ma anche un letterato che, per venire incontro alla naturale curiosità del lettore, alterna le massime filosofiche («ogni maniera di vivere è buona, quando si sta con l’oggetto della propria passione») con il ricordo del pericoloso episodio capitatogli a Castelvetrano. Qui solo l’intervento del parroco lo aveva salvato dal rischio d’essere preso per uno stregone e dunque d’essere «lapidato, braccato, inprigionato o fatto a pezzi»44. Dai rilievi accurati e dalle gouaches nascono le preziose incisioni all’‘acquatinta’ del suo Voyage pittoresque, che dell’antica città di Selinunte restituiscono una descrizione oggettiva, ma non immobile, grazie all’abile scelta di raffigurare in primo piano qualche contadino, dei mulattieri con le loro bestie da soma, e perfino un aratore al lavoro45. I monumenti selinuntini però dominano in ogni caso la scena e non scadono mai al ruolo di quinta scenografica o di semplice veduta pittoresca: infatti ciascuno dei tre templi è illustrato con realistica precisione, quindi è commentato con pari minuzia tecnica. Hoüel ha la non comune capacità di assommare le doti dell’antiquario e dell’architetto a quelle dell’artista46. Per questo motivo si preoccupa di eseguire una pianta topografica di Selinunte, la prima in assoluto47. Ma soprattutto, rivelando il suo «culto dell’oggettività»48, disegna sul posto in maniera estremanente esatta con riga e compasso, per ottenere del tempio più imponente la pianta cui poter aggiungere vari dettagli architettonici e la sua ricostruzione dell’elevato49. Questa visione da architetto e questo metodo rigoroso, aprendo la strada alle nuove ricerche 636 Maurizio Paoletti sul terreno, troveranno più tardi la loro naturale evoluzione nelle tavole coloratissime di Jakob Ignaz Hittorff, fautore della policromia dei templi antichi50 (figg. 385-386, 388-392). Sebbene l’Architecture antique de la Sicile sia pubblicata (postuma) solo nel 1870, quando l’epoca del Grand Tour è ormai lontana e definitivamente conclusa, non vi è dubbio che il viaggio in Sicilia (1823-1824) di Hittorff – che sostò a Selinunte ben cinque settimane accompagnato dal suo allievo ed amico Karl Ludwig W. Zanth – si ispirasse a quella tradizione settecentesca. 6. I disegni e gli acquerelli di Hackert: la comitiva dell’antiquario e collezionista R. Payne Knight (1777) Precursore di questi disegnatori paesaggisti e ruinistes, una vera schiera mossa dallo stimolo e dalla moda dei voyages pittoresques, si dimostrò Jakob Philipp Hackert, un artista che una volta stabilitosi in Italia lavorò molto per la Corte di Napoli e per una committenza altolocata51. Hackert giunse in Sicilia nel 1777 in compagnia di un altro pittore inglese, Charles Gore: ambedue erano al seguito di un celebre antiquario e connoisseur, Richard Payne Knight, che tenne un diario del viaggio poi pubblicato da Goethe52. Lo scopo dichiarato era quello di eseguire schizzi preparatori e acquarelli da utilizzare poi per quadri di ‘paesaggi realistici’ – cioè vedute fedeli alla topografia dei luoghi, che si opponevano ai ‘paesaggi ideali’ –: questo programma di lavoro era all’epoca piuttosto comune. È interessante notare però, come rispetto alle vedute di Paestum, Agrigento o di Segesta, assai più consuete e in definitiva conosciute, Hackert scelga di cimentarsi con il tema delle rovine, dando origine ad un’intera serie di raffigurazioni. A Selinunte la piccola compagnia di cui fa parte Hackert giunge ai primi di maggio di quell’anno: «Siamo arrivati alle rovine di Selinunte, dove abbiamo preso alloggio in una piccola torre di guardia, unico luogo abitabile in quella che un tempo fu una grande città. Abbiamo trovato qui sei magnifici templi, tutti completamente abbattuti»53. I disegni a seppia e gli acquarelli ritraggono le rovine nel loro insieme e poi ancora alcuni dettagli panoramici con enormi monconi di colonne e blocchi ammassati disordinatamente54 (figg. 383, 387). La caducità delle sorti umane è evidente al pari del sopravvento che su di esse ha la natura: quasi traduzione lirica per immagini del pessimismo filosofico manifestato da Goethe. Nel medesimo periodo Selinunte è meta di molti altri viaggiatori stranieri, che quasi mai hanno l’occasione d’incontrarsi tra loro. L’équipe di architetti e disegnatori ingaggiata dall’Abate di Saint-Non per il suo Voyage percorre la Sicilia e ne documenta le antichità; ma nella pubblicazione (che vedrà la luce parecchi anni dopo) la descrizione delle rovine di Selinunte dovuta alla penna di DominiqueVivant Denon è piuttosto «superficiale» ed è accompagnata da poche incisioni «piacevoli e tuttavia di una fantasia pittoresca»55. Da questo giudizio, anche se autorevole, credo tuttavia si possa dissentire, perché il Voyage […] ou Description des Royaumes de Naples et de Sicile stampato ormai alla vigilia della Rivoluzione, tra il 1781 e il 178656, registra fedelmente il nuovo gusto estetico, secondo il quale l’antiquaria e il bon goût nelle arti non si sottraggono all’influenza del pittoresco57. Per questo motivo, mentre le incisioni offrono le indispensabili vedute panoramiche di Selinunte (ma anche illustrano, più in dettaglio, il tempio creduto di ‘Giove Olimpico’ e le vicine cave di Cusa), il racconto odeporico alterna le informazioni erudite alle osservazioni naturalistiche e geologiche, le notizie storiche e topografiche alle divagazioni più curiose – ad esempio sulle pulci che, tormentando la comitiva, confermano il triste nome dato a quella località («i Pilleri» o «Terra de’ Pulci»)58. In definitiva, se l’architetto della missione è incaricato di misurare, rilevare, disegnare i monumenti selinuntini – attività cui si applica con diligenza preparando un vero e proprio album59 –, Saint-Non non trascura mai l’altro suo proposito, che è quello d’intrattenere piacevolmente il lettore. Assai più interessante risulta, però, il resoconto che troviamo nel diario redatto da Henry Swinburne (il viaggio avvenne nel 1777-1780), soprattutto se facciamo nostro il giudizio che «i due peripli sono profondamente diversi, prevalendo nel 637 Selinunte nei resoconti del Grand Tour Saint-Non (e in Denon, che ne fu l’artefice principale) la ricerca del mondo classico e una disposizione protoromantica e roussoiana per la natura e l’‘homme naturel’, mentre Swinburne rivela un’attenzione costante per la realtà che lo circonda»60. La visita di Swinburne a Selinunte avvenne in pieno inverno, appena sette mesi dopo quella del tedesco Hackert, tra il 27 e il 28 dicembre 1777: «È l’insieme di rovine più straordinario d’Europa. Sparsi in numerosi giganteschi cumuli con molte colonne ancora erette, questi resti da lontano fanno pensare ad una grande città con una profusione di guglie. I miei servi li presero per tali e si rallegrarono al pensiero della città straordinaria a cui stavamo avvicinandoci. Nulla avrebbe potuto superare la loro delusione quando, raggiunta la cima della collina, trovarono silenzio e desolazione»61. A parte la descrizione dei singoli templi esatta per quanto possibile, e corredata di misure, la nota ricorrente è quella del rapporto impari tra gli uomini e la natura: «È difficile attribuire una tale devastazione soltanto alla malvagità umana e chiunque osservi questi massi enormi, sparsi in qua e là per la pianura, deve per forza accusare la natura»62. È questo un topos o un motivo conduttore presente con particolare insistenza nei racconti dei viaggiatori a Selinunte e che si protrae ben oltre la fine del Settecento. Ma al tempo stesso comincia a manifestarsi anche un sorprendente disinteresse verso le antichità della Sicilia, un distacco dapprima quasi sotterraneo, poi sempre più manifesto e soprattutto consapevole. È una prospettiva inaspettata e nuova, che ovviamente tarderà a prevalere o per meglio dire non prevarrà mai, ma che rivela una divaricazione tra l’antiquaria e la storia dell’arte antica63. Nulla è più indicativo di due citazioni che ho selezionato a mo’ di conclusione per questa mia lettura interpretativa dei resoconti del Grand Tour. 7. Le rovine «non insegnano nulla» e sono inutili per gli artisti: Pindemonte a Selinunte (1779) La prima è tratta dal viaggio di Ippolito Pindemonte che all’età di 26 anni, nel 1779, fu in Sicilia visitando Siracusa, Catania, e poi secondo il classico itinerario – taccio delle tappe minori – anche ad Agrigento, Segesta e Selinunte64. In una sua lettera chiaramente rivolta ad un vasto pubblico Pindemonte, amico di Foscolo che gli dedicherà i Sepolcri e compositore di un poema sullo stesso tema – tralascio la questione letteraria –, non esitava a scrivere: «Riguardo ai tempj di Selinunte, non son che ruine, le quali non insegnano nulla: ruine però così grandi, che meritano d’essere vedute; ma altro è, che una cosa piaccia al curioso, altro che sia necessaria all’artista»65. Tale presa di posizione suscita non poca meraviglia, perché si oppone ai racconti ammirati di molti viaggiatori contemporanei ed è contraddetta dagli accurati disegni e dagli acquarelli dei pittori che li accompagnavano. In realtà, il giudizio negativo su Selinunte registra e porta allo scoperto un atteggiamento di cui Pindemonte è soltanto un interprete precoce. Infatti, anche la visita a Siracusa lo lascia insoddisfatto e indifferente, le antichità di Catania non gli sembrano offrire «nulla di singolare», e perfino il teatro di Taormina non gli pare «sia di quella importanza, che comunemente si dice». Giunto poi ad Agrigento, con l’eccezione del sarcofago romano con scene di Fedra nella Cattedrale e del «sepolcro di Terone» che è «degno di considerazione» soltanto per il suo duplice ordine architettonico, tutto il resto non l’attrae particolarmente. La ragione apparente e più superficiale sta nel fatto che, a suo giudizio, i templi dorici di Agrigento come quello di Segesta sono «somigliantissimi» ai templi di «Pesto», e dunque per chi voglia indagare l’architettura greca è sufficiente vedere Paestum senza spingersi fino in Sicilia. Ma la ragione profonda è bene un’altra, come emerge più avanti nella lettera: «Altro non veggo ora nella Sicilia, che mi sembri sia per un Architetto di qualche importanza […] Nè io dico, che la Sicilia non meriti d’esser veduta, e considerata; dico, che per un Architetto ciò non importa […] dovendosi notare, che moltissime cose importanti non sono per un Architetto, come lo sono per un Antiquario, volendo quegli l’antico insieme, ed il bello, e questi contentandosi dell’antico». È evidente che Pindemonte si fa por- 638 Maurizio Paoletti tavoce della nota querelle tra la scienza antiquaria e la storia dell’arte. L’applicazione di questo principio – la mancata fusione tra i due elementi, il bello e l’antico –, lo porta così a sminuire l’interesse e il valore di Selinunte nella convinzione che i grandiosi templi dorici abbattuti, smembrati e dispersi al suolo, possano stimolare ormai soltanto la curiosità antiquaria. Si dovrà attendere la fortunata scoperta delle prime metope tra le rovine dell’Heraion selinuntino (Tempio E) nel 1823, perché questo giudizio troppo sommario fosse ribaltato66. Ebbene, oltrepassando le sempre più numerose descrizioni di Selinunte redatte nell’Ottocento, ecco che il tema delle rovine – come un filo rosso –, involontariamente riecheggiando Swinburne e Pindemonte, riappare un secolo più tardi nel ‘Viaggio in Sicilia’ di Guy de Maupassant, pubblicato nel 1890 (ma il viaggio avvenne 5 anni prima)67: «Selinunte è un enorme mucchio di colonne crollate, cadute ora allineate e affiancate come soldati morti, ora precipitate in maniera caotica. […] Quest’ammasso informe di pietre non può interessare che gli archeologi o le anime poetiche, commosse da tutte le tracce del passato»68. Maupassant non lo dice o piuttosto non vuole ricordarlo ai suoi lettori, ma lo sa e forse lo ha visto con i suoi occhi: sono gli anni dei nuovi scavi dopo le metope, è l’inizio della rinascita archeologica. Le rovine di Selinunte si animano e riprendono a vivere. intrapreso con Goethe (Kruft 1970, 201-327; Klauss 1992, 47-51 e 53 note 3-31), perché egli fu un artista privo di ambizione e di successo, un pittore «di second’ordine che produsse una sorta di arte di consumo, un numero sterminato di vedute che vendeva a prezzi modici ai viaggiatori» – l’appropriata definizione è di Kruft 1992, 27-46 (con bibl.). Trapiantatosi a Napoli, dove trascorse buona parte della sua vita e morì nel 1825, Kniep partecipò all’edizione della celebre raccolta di «ancient vases» di Sir William Hamilton (Tischbein 17911794); di questa collaborazione forse occasionale è prova l’incisione raffigurante lo scoprimento di una tomba con un ricco corredo vascolare vicino Nola, alla presenza dello stesso Hamilton e della sua Lady, con la quale si apre la sontuosa pubblicazione curata da Wilhem Tischbein (sulla vicenda del disegno originale firmato «C.H. Kniep delin. Napoli 1790» e oggi perduto vd. Greifenhagen 1963, 86 e note 2-5 con figg. 2-3; cfr. Looking 1991, tav. antiporta). Dalle numerose citazioni nella Italienische Reise – a partire dal 23 marzo 1787, data della visita a Paestum, e per tutta la durata del viaggio – emerge con chiarezza che Goethe assunse Kniep in qualità di disegnatore stipendiato, secondo una formula usuale all’epoca; l’accordo prevedeva l’esecuzione di schizzi e disegni, a matita e a penna, seguita dalla loro rielaborazione anche a distanza di tempo. Durante la spedizione Kniep mostrò le sue doti di «infaticabile gregario» eseguendo con tecnica precisa e quasi calligrafica, di propria iniziativa o su richiesta del suo più illustre compagno di viaggio, un gran numero di opere (Mancini 1992, 30-32 e note 69-75; De Seta 2005, 114-115 e 118 note 24-28 con bibliografia). Tralasciando ovviamente i paesaggi siciliani tratteggiati spesso con tocco delicato, assumono un notevole interesse antiquario le vedute e i dettagli dei monumenti (ad esempio Maurizio Paoletti Segesta con il tempio e il monte Barbaro, le rovine dei templi e la tomba di Terone ad Agrigento, il teatro romano di Taormina). Cfr. il catalogo completo dell’opera grafica, specialmente disegni su taccuino, in Kruft 1970, 310-319 e la breve esemplificazione presentata in I maestri 1992 (Kniep, nn. 1-13). 3 Goethe 1982 [19872]; Id. 1987; Id. 2001; ma anche Id. 1948, II, 223-237 (commento). All’interno dell’Italienische Un particolare ringraziamento a Chiara Michelini e Monica De Cesare per il loro prezioso aiuto. Reise la pur breve tappa (dal 2 aprile al 15 maggio 1787) nell’isola, «ein unsäglich schönes Land», ebbe una notevole Goethe 1964, 314; cfr. Id. 1948, II, 161-163 («Messina, importanza per la sua maturazione letteraria ed artistica: cfr. e a bordo, 13 maggio 1787»), in particolare 163 e 236 (com- Alfero 1928, 334-355; Michéa 1945, 323-355; Sprengel mento). 1987, 158-179 sulla «Sicilia come mito» vista da Goethe in 1 Per la biografia vd. Poensgen 1927, 584-585. La noto- maniera ambivalente e bifronte, luogo da idillio ellenizzante rietà di K.H. Kniep è legata quasi esclusivamente al viaggio ma anche fonte di disagio e repulsione (l’architettura barocca, 2 639 Selinunte nei resoconti del Grand Tour la villa di Palagonia e perfino le rovine del tempio di Giove 8 Goethe aveva dato prova di atteggiamento non dissimile ad Agrigento suscitano in lui spiacevoli sensazioni); da ultimo perfino nel soggiorno a Roma, alternando la ricerca e lo stu- Goethe in Sicilia 1992. Non solo egli rimase affascinato dalla dio delle antichità con le osservazioni sulla morfogenesi delle bellezza del paesaggio naturale siciliano – «die Harmonie von piante, la geologia e il paesaggio della campagna romana, cfr. Himmel, Meer und Erde. Wer es gesehen hat, der hat es auf De Seta 1987, 15-16 (= Id. 1988, 27-28). Sul suo interesse sein ganzes Leben», vd. Goethe 1964, 231; cfr. Id. 1948, per la botanica alimentato nel corso del viaggio in Italia vd. II, 65 («Palermo, 3 aprile 1787») –, ma ricercò la fecondità Kuhn 1992, 87-96. e l’intensità delle suggestioni offerte da ogni testimonianza 9 Goethe 1964, 272-281; cfr. Id. 1948, II, 113-124 antica: nel suo giudizio infatti anche le monete, al pari del- («Girgenti, 23 aprile 1787» e giorni successivi), in parti- l’architettura e della scultura, contribuivano a rinvigorire colare 116 e 231-232 (commento). La visita ad Agrigento l’offuscato splendore delle città greche – perciò la collezione offre lo spunto a sentimenti in apparenza contrastanti – non numismatica del principe di Torremuzza esprime «ein unend- solo entusiasmo, ma anche una sorta di repulsione dinanzi a licher Frühling von Blüthen und Früchten der Kunst», vd. rovine troppo colossali, quelle del tempio di Giove – su cui Id. 1964, 249; cfr. Id. 1948, II, 86 («Palermo, giovedì 12 vd. le osservazioni di Cometa 1983, 17-19 e 44 note 23-26; aprile 1787») –. Sull’interesse manifestato verso le antichità riprese, con qualche modifica, in Id. 1999, 164-166 e 290 siciliane vd. in particolare Neutsch 1968-1969, 1-19 e tavv. note 22-26. Cfr. anche Fiorentini 1994, 19-22; Orlandini I-XII con ulteriore bibliografia; e naturalmente Cometa 1999, 1995, 124-125. passim. Altre stimolanti osservazioni in Placanica 1992, 10 Goethe mostra così di voler dare pratica attuazione a 538-547, relativamente al contrasto notato da Goethe tra il quanto già aveva dichiarato lo storico Diodoro descrivendo il passato glorioso e il presente pretenzioso dei suoi interlocutori tempio con accuratezza di misure e di dettagli: «nelle scana- siciliani, e in Salmeri 2001, 73-74 e 82 note 96-107, che lature [delle semicolonne esterne] potrebbe adattarsi como- sottolinea il ruolo della Sicilia quale nutrice di situazioni damente un corpo umano» (Diod., 13,82). Tale affermazione poetiche e «fantasma» della classicità. è ripresa pressoché alla lettera da molti viaggiatori: è signifi- È il celebre giudizio, divenuto quasi topico, di Goethe cativo infatti che Carlantonio Pilati nei suoi Voyages (1777) 1964, 277: «Aus frommer Scheu habe ich bisher den Namen (su cui infra) invece che dar spazio alle osservazioni personali nicht gennant des Mentors, auf den ich von Zeit zu Zeit hin- sulle straordinarie rovine che ha dinanzi preferisca riassumere blicke und hinhorche; es ist der treffliche von Riedesel, dessen la fonte antica, pur senza menzionarla mai: «La costruzione de’ Büchlein ich wie ein Brevier oder Talisman am Busen trage»; Tempj degli Agrigentini, e particolarmente di quello di Giove cfr. Id. 1948, II, 118 («Girgenti, 26 aprile 1787»). olimpico fa vedere qual era la magnificenza degli uomini di 4 Neutsch 1968-1969, 18; cfr. Chiarini 1988, 45-46 e quel tempo. Cotesto Tempio aveva trecento quaranta piedi 53 che, per l’ambito letterario, sottolinea come la ricezione di lunghezza, sessanta di larghezza, e cento e venti di altezza: dell’antico ebbe su Goethe l’effetto di una vera ‘rinascita’ egli era il più grande di tutti i Tempj di Sicilia. Le colonne di spirituale. fuori hanno venti piedi di giro, e siccome le sono scanalate, 5 Goethe 1964, 269-271; cfr. Id. 1948, II, 109-111 così un uomo potrebbe mettersi in una di queste scanalature» («Segesta, 20 aprile 1787»). Il restauro al tempio (1781) si (Pilati 1993, 79); sulla questione cfr. Ferrari 2001, 460-465; era reso necessario «per evitarsi la rovina, che minaccia a Id. 2005, 213-214. 6 momenti» – secondo il preoccupato giudizio di una relazione L’architettura dorica agrigentina, esempio di quella «ricerca (del 1 dicembre 1779, firmata dal Viceré di Sicilia), che prece- della grandiosità, nella quale consiste la vera magnificen- de l’inizio dei lavori –. È questo il primo intervento di cui si ha za» era divenuta celebre in ambito europeo dopo che J.J. notizia grazie ad alcuni documenti d’archivio (editi con ricco Winckelmann aveva pubblicato le sue Anmerkungen über die commento in Tusa 1984, 231-235, 241-242 Appendice 1-2 e Baukunst der alten Tempel zu Girgenti in Sicilien (1759), tradotte tav. 88). Goethe certamente, pur non menzionandola, aveva anche in francese ed in italiano: cfr. Winckelmann 1968, letto l’iscrizione celebrativa posta sull’architrave del pronao 174-185. Per un commento vd. specialmente Cometa 1983, che oggi è perduta: «Ferdinandi regis augustissimi providentia 7-12, 42-43 note 1-15 e 51-61 (in Appendice è il saggio di J.J. restitutum anno MDCCLXXXI». Winckelmann nella classica traduzione di Carlo Fea edita 7 Goethe 1964, 270; cfr. Id. 1948, II, 111. in Winckelmann 1831, 261-304 sotto il titolo Osservazioni 640 Maurizio Paoletti sull’architettura dell’antico tempio di Girgenti in Sicilia con note al celebre signor Winkelmann (sic). Traduzione dal francese del dello stesso Fea); ripreso in Cometa 1999, 155-158 e 288-289 Dot. Gaetano Sclafani, Palermo, dalla tipografia di Francesco note 1-14. Abbate qu. Dom. 1821 = [Riedesel] 1821, in particolare 15- Sulla complessità del rapporto intellettuale e spirituale tra 16 per il passo qui citato. Per la completa e dettagliata descri- Winckelmann e Goethe, che aspirava a presentarsi come zione delle rovine selinuntine vd. Id. 1965, 27-29; inoltre per «editore, esecutore testamentario e ideale continuatore» del una recente e più accessibile trad. Id. 1997, 39-41. primo vd. Fancelli 1993, 31-45, in particolare 37-44 e 39 per 18 Verg., Aen., 3,705; cfr. Cordano 1988, 756-757. la definizione qui adottata. 19 Cfr. Rehm 1951, 202-247, 358-362; nella raccolta è 11 Goethe 1964, 276; cfr. Id. 1948, II, 117. compreso anche il suo precedente contributo dal bel titolo 12 Sui disegni siciliani di Goethe vd. Klauss, 1992, 47-53, Johann Hermann von Riedesel, Freund Winckelmanns, Mentor specialmente 50 per quelli eseguiti ad Agrigento. Sulla tomba Goethes, Diplomat Friedrichs des Großen (1938). Per la biogra- di Terone, vd. Neutsch 1968-1969, 12 e tav. VII,1; Hecht fia di Riedesel e sul suo viaggio in Sicilia vd. K. Edschmid, 1982, 104 nota 73, e 238; I maestri 1992 (Goethe n. 35). Einleitung, in Riedesel 1939, 7-15; A. Schulz, Einführung 13 Neutsch 1968-1969, 12 e tav. VII,2. in von Riedesel 1965, 7-18; Di Paola 1992, 109-126; 14 Momigliano 1984, 121-122 [= Id. 1978, 12; Id. 1980, Fazio 1992, 85-88 e 105 note 20-35; Tuzet 1995, 37-40; M. 770]. Sull’immagine della Sicilia e la riscoperta della grecità Tropea, Introduzione. Un tranquillo viaggiatore illuminato, in nel Settecento vd. ora le importanti osservazioni di Salmeri Riedesel 1997, 9-24; Cometa 1999, 42, 47-50, 274-275 note 2001, 65-82; Id. 2005, 205-209 e 221. Cfr. ancora, da un’altra 140-143 e 150-161. Il migliore ritratto critico resta però, quel- prospettiva, Chevallier 1992, 401-435 che affronta la rece- lo fine e penetrante, di Osterkamp 1987/II, 194-213; con le zione dell’archeologia nei racconti di viaggio del XVIII sec. ulteriori osservazioni di Mertens 1993 sulla sua competenza in Sicilia in maniera talora acuta, ma insufficiente e troppo architettonica. preliminare. Infine sulla rappresentazione fortemente idealizzata della Goethe 1964, 218-220, in particolare 219: «der erste Sicilia intesa da Riedesel come «terra greca al di là di ogni cate- Eindruck konnte nur Erstaunen erregen»; cfr. Id. 1948, II, 49- goria temporale» vd. Salmeri 2001, 67-68 e 79-80 note 22-41. 15 53 («Napoli, venerdì 23 marzo 1787», in particolare 51. 16 Goethe 1964, 323-324, in particolare 323; cfr. Id. 1948, 171-174 («Napoli, 17 maggio 1787»), in particolare 172. 20 Neutsch 1968-1969, 11-12. 21 Cometa 1999, VI. 22 Per l’inquadramento generale vd. Mozzillo 1964, 23-24, [J.H. von Riedesel], Reise durch Sizilien und 36-38, 55-57 e 76-80; De Seta 1982, 125-263, specialmente Großgriechenland, Zürich, bey Orell, Geßner, Füeßlin und 227-233; poi ripreso in Id. 1992/I, in particolare 199-201 e Comp, Zürich 1771 [= von Riedesel 1965]. La storia edi- note 5-14; Id. 1999, 15-24 e 151 (bibl.). Sul viaggio in Sicilia toriale dell’opera apparsa anonima, ma con una dedica a non si può prescindere ovviamente da Tuzet 1995; ma oltre Winckelmann, sembra testimoniare che essa era stata conce- alle pagine accattivanti di Mozzillo 1992/II, 253-324 e di pita per non essere diffusa e, almeno nell’intento originario, Cometa 1999 vd. ancora Beller 1992, 69-79 (su Goethe e le Sendschreiben dovevano avere un solo e illustre destinatario J.H. Bartels); De Seta 1992/II, 17-26; Fazio 1992, 81-107; (così Osterkamp 1987/II, 199). Il successo della relazione Monreale 1992, 127-143, in particolare 135 (F.M. Hessemer di viaggio di Riedesel, data alle stampe solo tre anni dopo la dinanzi alla maestosità dei templi di Agrigento nel soggiorno 17 morte di Winckelmann, fu certamente favorito dalla tradu- siciliano del 1829); Mozzillo 1992/I, 229-248; Dufour zione francese pubblicata sempre in Svizzera (Voyage en Sicile 1992, 465-473; e infine Quatriglio 2002, 41-89 e 156-159 et dans la Grande Grèce addressé par l’auteur a son Ami, Mr. (bibliografia). Winckelmann, traduit de l’Allemand, accompagné de notes du 23 P. Brydone, A Tour through Sicily and Malta in a Series of traducteur et d’autres additions interessantes, Lausanne, chez Fr. Letters to William Beckford. I-II, London, W. Strahan & Cadell, Grasset & Comp., 1773), cui se ne aggiunse un’altra inglese 1773 [= Brydone 1773]: l’opera non solo fu ripubblicata più (London 1773). Soltanto alcuni decenni più tardi si ebbe volte (Londra 1774; Dublino 1780, una seconda e una terza la traduzione italiana – però non dal tedesco! –, che ampliò edizione corrette) ma ebbe preste traduzioni in francese la circolazione dell’opera e ne consolidò la fama nell’isola: (Amsterdam 1775 e 1776; Neuchatel 1776; Francoforte 1793) Viaggio in Sicilia del signor barone di Riedesel diretto dall’autore e in tedesco (Colonia 1785). Alle antichità di Agrigento sono 641 Selinunte nei resoconti del Grand Tour dedicate le Lettere XVIII-XIX (Agrigento, 12 e 13 giugno) l’orecchio di Dioniso a Siracusa sono illustrati in maniera con una sommaria descrizione della Valle dei Templi e con generica (Pilati 1993, 75-76) –. In altre occasioni, invece, notizie storiche tratte da Diodoro Siculo oppure estrapolate egli rivela una maggiore attenzione e sensibilità verso l’arte dal Fazello, vd. Brydone 1773, I, 351-374; cfr. Id. 1968, 164 antica dando luogo a giudizi del tutto inattesi: riguardo alla per un breve riassunto. collezione dei Benedettini a Catania scrive «gli appartamenti Per la biografia e le notizie essenziali sul viaggio vd. Frosini del Gabinetto di cotesti Frati sono estremamente preziosi: fra 1968, 15-34; Ingamells 1997, 150 s.v. Brydone, Patrick; sulla un gran numero di rarità quelle, che mi recarono maggior pia- grande fortuna dell’opera che favorì in Europa la conoscenza cere, furono i vasi antichi di terra cotta, de’ quali ve n’ha più della Sicilia vd. Tuzet 1995, 41-53, specialmente 49 (B. di di trecento, che sono tutti bellissimi, sì per la forma, che per antichità «pare non ne capisca niente. Ad Agrigento rim- lo disegno delle figure, e per la loro nobile semplicità. A me piange solo i quadri di Zeusi»). Brydone era apparso poco pare, che gli antichi Siciliani abbiano in quest’arte sorpassato interessato all’archeologia, seppur non digiuno della stessa, già gli Etrusci, de’ quali furono, a quello che appare, gl’imitatori» a Isidoro La Lumia, uno dei primi a tracciare un acuto ritratto (Pilati 1993, 102-103). Anche le espressioni elogiative che dei viaggiatori stranieri in Sicilia nel loro rapporto con l’anti- egli rivolge all’opera di Winckelmann (Ferrari 2001, 417- chità classica (La Lumia 1876, 725-729, in particolare 725). 465) confermano il fascino esercitato su di lui dallo studio Vd. inoltre Mozzillo 1992/I, 229-235; Salmeri 2001, 65-67, dell’arte antica, pur se sempre mitigato dal rigore filologico e 69 e 79 note 1-16. dalla ricerca antiquaria. 24 Brydone 1773, 340 (Lettera XVII, Agrigento, 11 giu- gno); Id. 1968, 163. 27 Si tratta, in realtà, di un’autodefinizione dello stesso Pilati che intese nascondersi dietro questo pseudonimo nel Id. 1773, II, 3-12 (Lettera XVIII [sic], ma nelle successive dare alle stampe l’edizione italiana, anonima, delle Lettere edizioni e traduzioni Lettera XX, Agrigento 16 giugno); cfr. Id. scelte del signor *** viaggiatore filosofo tradotte dal tedesco, 1968, 165-171. Poschiavo, Per Giuseppe Ambrosioni, 1781; anch’essa fu pre- 25 C. Pilati, Voyages en differens Pays de l’Europe, en 1774, sto ristampata (Borrelli 1985, 407, nrr. 68-70, cfr. 431). Per 1775 & 1776, ou Lettres ecrites de l’Allemagne, de la Suisse, de una recente ma parziale edizione delle lettere, inviate come l’Italie, de Sicile et de Paris. I-II, La Haye, s.t., 1776: l’opera era uso ad un corrispondente fittizio, vd. Pilati 1993 che ebbe una storia editoriale particolarmente complessa, perché reca a conclusione un breve saggio su Paesaggio con rovine: la Pilati fu costretto a rivolgersi a varie stamperie – anonime Magna Grecia nell’alba dei lumi (Pagliero 1993, 149-163). 26 oppure olandesi, tedesche, svizzere – nel timore della censura. Sul problema vd. Borrelli 1985, 392 e 410 nrr. 89-90, 413 nr. 114 (traduzione inglese?), 414-415 nrr. 117, 121-128, cfr. 28 Pilati 1993, 81 (la citazione è tratta dalla Lettera IX datata «Palermo, 6 maggio 1775»). 29 J.H. Bartels, Briefe über Kalabrien und Sizilien. I-III, 433. Dai Voyages Pilati trasse qualche anno dopo un volume Göttingen, bei J.C. Dietrich, 1787-1792 (e per il I vol. anche di Lettere scelte pubblicato in Italia, su cui vd. infra. 17912). Per la citazione vd. Bartels 1789, 192. Sul carattere Carlantonio Pilati, che fu senz’altro una figura di spicco nel documentario delle notizie e le preferenze estetiche di Bartels, Settecento riformatore, ebbe un percorso intellettuale «da illu- che nel raccontare la Sicilia e i suoi monumenti si adegua alla minista a illuminato» secondo la definizione di Venturi, 1957, visione winckelmanniana vd. Fazio 1992, 92; Tuzet 1995, 233-243 (cfr. Id. 1962, 243-251); i molteplici aspetti della sua 118-127; Cometa 1999, 53-57 e 275-276 note 174-184. Sulla personalità di giurista, storico e letterato trentino nell’Europa sua «disposizione verso l’antico» insiste Salmeri 2001, 76 e 82 dei lumi sono trattati esaurientemente in Carlantonio Pilati note 126-128. 2005; Luzzi 2005, 689-740. Infaticabile viaggiatore per tutta 30 Tuzet 1995, 123. l’Europa, egli mantenne verso le antichità osservate in Italia 31 J.Ph. D’Orville, Sicula, quibus Siciliae Veteris Rudera, meridionale e specialmente in Sicilia l’atteggiamento non additis Antiquitatum tabulis illustrantur. I-II, Amstelaedami, dell’erudito o dell’antiquario, quanto piuttosto del philosophe apud Gerardum Tielenburg, 1764 [= D’Orville 1764, I, 64-77 interessato a conoscere ogni aspetto della penisola (ottime e tavv. 5-6]. riflessioni in Ferrari 2005, 195-216, in particolare 200-202). 32 Th. Fazellus, De rebus siculis decades duae, nunc primum Spesso la sua curiosità per i monumenti che andava visitan- in lucem editae, Panormi, apud Ioannem Matthaeum Maidam, do sembra circoscritta e limitata – ad esempio le Latomie e et Franciscum Carraram, 1558: sulle varie edizioni e ristampe 642 Maurizio Paoletti dell’opera che reca aggiunte e modifiche non trascurabili 36 Marconi-Bovio 1957, 70-78; cfr. le notizie censite in vd. De Rosalia 1990, 31-38; Canzanella 2003, 32-36. Bejor 1986, 512 nn. 474-476 s.vv. Castelvetrano, Selinunte Selinunte è ampiamente trattata nella Decade I, VI, iv «De (acropoli, Malophoros, contrada Triolo). Selinunte urbe, Terra Pulicorum hodie dicta», con la menzione 37 F.S. Cavallari in Fiorelli 1882, 325-331 e tavv. XIX-XX, delle fonti storiche, delle monete, delle epigrafi e special- in particolare 325 per la citazione; cfr. ancora in Id. 1884, 319- mente con il sostegno dell’autopsia (vd. Belvedere 2003, 325 e tavv. I-V, in particolare 320 e 324. 88-89). Per il metodo di lavoro vd. Uggeri 2003, 104-108. 38 F.S. Cavallari in Id. 1882, 327-328. La segnalazione Per il passo cui si fa cenno, narrato con ingenua vivacità, vd. di questa piccola necropoli è accolta anche nella recente Fazellus 1560, 148-149; e la traduzione di Fazello 1990, I, sintesi di Arcifa 1998, 68 fig. 1. Sulla lucerna di bronzo e sul 326 e nota 1. significato da assegnare all’espressione laudativa Deo gratias Ph. Cluverius, Sicilia antiqua, cum minoribus insulis, vd. A. Salinas in Fiorelli 1882, 332-336 e fig.; Salinas ei adjacentibus. Item, Sardinia et Corsica. Opus post omnium 1882, 126-132 [= Id. 1977, 56-57]; De Rossi 1882, 177-178 curas elaboratissimum, tabulis geographicis, aere expressis, illu- [= Id. 1883, 217]; Führer, Schultze 1907, 278-279 con nota stratum, Lugduni Batavorum, ex officina Elseviriana, 1619 238 e fig. 107; Pace 1949, 42-43 e nota 6 con fig. 19, 180 e poi inserita come primo tomo nell’Italia antiqua; opus post nota 1; Marconi-Bovio 1957, 74-75 e nota 11; specialmente omnium curas elaboratissimum; tabulis geographicis aere expressis Fallico 1971, 133, 139 e note 24-25, 144-146 con fig. 7 illustratum. Ejusdem Sicilia Sardinia et Corsica cum indice locu- (datazione entro il IV sec. d.C.); Cracco Ruggini 1984, 223; pletissimo, Lugduni Batavorum, ex officina Elseviriana, 1624 Wilson 1990, 272 e 441 nota 121 con fig. 234a; Bonacasa [= Cluverius 1619, I, 225-228 per la trattazione storico- Carra 1992, 28 e nota 11. 33 topografica su Selinunte]. Il testo del De rebus siculis è tenuto 39 CIL X, 7201; ILCV I2, 1206; e soprattutto Bivona 1970, presente anche quando non è citato in maniera esplicita: ma 59-61 n. 44 e tav. XXIX (con ampia bibliografia), che accetta già nella Praefatio ad Siculos Cluverius aveva espresso un giu- la datazione alla fine del IV o, con maggiore probabilità, nel dizio incondizionatamente ammirato sul Fazello e la sua opera, V sec. d.C. La lastra di tufo, pesante e spessa, è probabilmente esaltandone l’attendibilità topografica, lo scrupolo rigoroso e l’elemento superstite di una copertura tombale (con deposizio- l’«incredibilem diligentiam» (ibid., Praefatio [1-2]). ne in cassa a lastroni litici?). L’epitaffio – Ausanius / diaconus 34 M.G. Nicolosi, Introduzione in Swinburne 2000, XLVII e nota 152. / in pace vix(it) / annis LXV / depositus / VII idus Ian(uaria)s – è impaginato entro sottili linee-guida e preceduto da un Vallet 1992, 379-399, in particolare 386-392. La riquadro decorato da un motivo simbolico cristiano, semplice Praefatio rivolta «lectori erudito et benevolo» si deve a Pieter e assai comune: due colombe affrontate che sovrastano la Burmann il giovane (Petrus Burmannus secundus), che per giu- croce, cui sono appese le lettere A e „. Purtroppo scarse sono stificare la stampa dei Sicula avvenuta oltre un decennio dopo le notizie sul rinvenimento della lastra, avvenuto nel 1859 a la morte del suo autore (1751) si preoccupa di sottolinearne circa Km 1 ad Est della collina orientale, «nel fondo di Nicolò il carattere fortemente innovativo – oggi diremmo sul piano Triolo», forse nei pressi della stazione ferroviaria di Selinunte metodologico –, rievocando dettagliatamente le modalità del (Salinas 1876-1877, 481-483). Per un commento all’epigrafe viaggio di D’Orville: partito da Roma nell’inverno del 1727, vd. Salinas 1882, 126-132 [= Id. 1977, p. 55]; De Rossi 1882, dopo aver fatto tappa a Napoli, egli era giunto in Sicilia dove 177-178 [= Id. 1883, 217]; Grossi Gondi 1920, 140 (relativa- aveva osservato con somma accuratezza i «rudera» delle città, mente al termine diaconus); Pace 1949, 238 e nota 5; Garana descritto le «ruinae» dei teatri e i «plurima monumenta», 1961, 156; Cracco Ruggini 1984, 223; Ferrua 1989, 139 n. esaminato molte iscrizioni inedite, una straordinaria copia 517; Wilson 1990, 319. 35 di monete nonché poi ricercato «codices» manoscritti nelle 40 Per Gabrici 1923, 104-113 le poche monete romane in biblioteche e nei conventi, senza tralasciare perfino di veri- prevalenza tardo-imperiali rinvenute sull’acropoli sarebbero la ficare i racconti sulle favolose ossa dei Giganti (D’Orville prova di una rioccupazione modesta e quasi sporadica; a suo 1764, Praefatio, III-IV). E proprio Selinunte è, secondo lo stes- giudizio più esteso era il villaggio d’epoca bizantina e araba so Burmann, in grado di mostrare il valore di queste laboriose testimoniato da numerose abitazioni e da un cimitero di rito indagini in loco grazie alle quali le antichità divengono vero islamico, forse numericamente non piccolo, individuato a Sud documento storico (ibid., XVI-XVII). del Tempio C; su quest’ultimo vd. ora Bagnera, Pezzini 2004, 643 Selinunte nei resoconti del Grand Tour 247 e note 40-41. La definizione di «insignificanti rovine» 42 D’Orville 1764, I, tavv. 5-6. attribuita in Gabrici 1929, 63-65 alle «costruzioni romane 43 J. Hoüel, Voyage pittoresque des isles de Sicile, de Malta et della decadenza» rivela l’obiettivo dello scavo nel corso del de Lipari, où l’on traite des Antiquités qui s’y trouvent ancore; des quale le modeste strutture murarie erette con blocchi di reim- principaux Phénomènes que la Nature y offre; du Costume des piego legati da terra, senza l’uso di malta e d’intonaco, furono Habitans, & de quelques Usages. I-IV, Paris, de l’Imprimerie demolite e sacrificate per portare alla luce il sottostante livello de Monsieur, 1782-1787 [= Hoüel 1782-1787]; l’opera ebbe d’abitato ellenistico-punico. un’importante traduzione tedesca priva della maggior parte Assai diverso era stato appena pochi anni prima l’atteggia- delle incisioni (Gotha 1797-1801). Su Selinunte vd. Hoüel mento di Hulot, Fougères 1910, 130-144, che mostrano una 1782-1787, I, 23-29 e tavv. XVI-XXI; sulle cave di Cusa ibid., maggiore attenzione per le fasi tardoantica, bizantina ed araba 29-31 e tav. XXII]; cfr. i brevi estratti selinuntini in Hoüel dell’acropoli e che intrecciano le fonti antiquarie con le loro 1999, 21-23 e tavv.; Settecento siciliano 2002, 15-17 con fig. Per osservazioni sul sito nel tentativo di riconoscere l’evoluzione le osservazioni di Hoüel sull’estrazione dei blocchi e sul loro tra- cronologica delle rovine selinuntine. sporto dalle cave vd. Nenci 1979, 1415-1427 e tavv. LXI-LXXI. Sul villaggio bizantino e su quello arabo, ricordato anche da Per le essenziali notizie biografiche e il viaggio in Sicilia Idrisi, vd. Trasselli 1972, 45-53; Barone, Elia 1979, 33-34 di Hoüel vd. Vollmer 1924, 563-564; Hoüel 1990; Pinault e 56-58 note 95-101; Wilson 1990, 334-335 e 419 nota 44; Sørensen 1994, 119-135 che dà preziose anticipazioni sul- Maurici 1992, 23, 209 note 76-80 e fig. 2; Id. 2001, 185. l’inedito diario tenuto da Hoüel in Sicilia (19 quaderni oltre L’ultima fase di occupazione conclusasi poco dopo la metà del ad uno con note di lettura), di cui si conservano presso una XIII sec. registra purtroppo una totale carenza di elementi, vd. collezione privata appena la metà (quello relativo a Selinunte A. Salinas in Fiorelli 1884, 325 («maioliche medievali»); purtroppo è perduto); Tuzet 1995, 86-98; Conisbee 1998, Gabrici 1923, 105 («qualche frammento di maiolica araba») 799; Gringeri Pantano 2003 (ampia bibliografia). e 112; Hulot, Fougères 1910, 137 (datazione entro la fine 44 Hoüel 1782-1787, I, 25-26. del XII sec.); Marconi-Bovio 1957, 73; D’Angelo 1971, 45 Hoüel 1990, 26-31 nn. 4-6 da confrontare con Hoüel 23-26; Molinari 2002, 3336-337 con attendibile quadro; 1782-1787, I, tavv. XVIII, XX e XXII. Mertens 2003, 15-16 e note 79-80. Da diversi settori di 46 Mascoli Vallet 1992, 461-462 e 464 note 27-29; Selinunte provengono poi numerosi denari di Ruggero II 47 Hoüel 1782-1787, I, 24 e tav. XVI, di cui Hulot- (1102-1154), Tancredi (1189-1194), Manfredi (1256-1266) e Fougères 1910, 141 e nota 2 fraintendono, stranamente, altre monete sveve AE non decifrabili (Cultrera 1937, 179 la resa artistica del mare che s’infrange sulla spiaggia di e tav. VII; Tusa Cutroni 1958-1959, 308-312, 315; Tusa Selinunte. Cfr. Mertens 2003, 1 e note 7-8 con fig. 1. Cutroni 1968, 197, 201-202, 206, 210, 213, 217-218). 41 Sugli elementi che hanno permesso d’ipotizzare la pre- 48 Salmeri 2001, 71-72 e 81 note 73-75. 49 Hoüel 1782-1787, I, 28-29 e tav. XXI. Sul suo metodo senza di un kastron bizantino o, in alternativa, di un ribat isla- di lavoro Pinault 1995, 261-276; Tuzet 1995, 93; Cometa mico vd. Naselli 1972, 21-26; Maurici 1988-1989, 14 e 38 1999, 69-74 e 278 note 34-44 con figg. 19-23. note 29-30; Mertens 1989, 391-398, 272 e tav. 37; Maurici 50 Hittorff, Zanth 1870. Sulla figura e la formazione 1999, 33 e 89; Mertens 2003, 221-224 e figg. 331-338; di Hittorff che si vedeva come il «nuovo Ictino dell’archi- ma specialmente l’ampia analisi, prudente e condivisibile, tettura moderna» vd. Hammer 1968, 61-65 per Selinunte; di Molinari 2002, 327, 334-342 e 347 figg. 5-6. L’edificio Schneider 1977 e, in part., sul viaggio in Sicilia, I, 117-134 ecclesiale («chapelle byzantine») fu ipotizzato già da Hulot, e II, 81-92 note 84-140; Hittorff 1986, specialmente 17-20 Fougères 1910, 133 sulla base di D’Orville 1764, I, 69 (Hammer), 41-47 (Westfehling), 319-323 (Niemeyer), che menziona un «rotundum et fornicatum opus, ut aedis in 336-340; Cometa 1999, 197-213 e 294-297 note 43-88 con aede» esistente all’interno del tempio C (cfr. Fazellus 1560, figg. 46-49, 53, 61-64, 69-73 e passim. Sulle sue teorie relati- 147 con espressione, a mio giudizio, assai più ambigua). Sugli vamente alla policromia antica cfr. Parra 1990, 5-21. edifici cristiani di culto in Sicilia vd. Bonacasa Carra 1992, 51 De Seta 2005 (con bibliografia completa). Per le notizie 2-10 e note 6-54 con figg. 7-11, 17; Carra Bonacasa 1999, biografiche e il viaggio in Sicilia vd. Müller 1922, 412-414; 175-180 e note 19-23 con figg. 3-8 con l’elenco di 31 attesta- Krönig 1979, 363-377; Id. 1987; Ingamells 1997, 1056 s.v. zioni, ma non Selinunte. Hackert, Jakob Philipp; Negro Spinola 1998, 16-18; Cometa 644 Maurizio Paoletti 1999, 81-87 e 279-280 note 60-80; De Seta 2005, 21-23 e 79 note 49-54. 54 Il soggiorno a Selinunte fu piuttosto breve (7-8 maggio 1777), appena due giorni sufficienti però «um die Ruinen zu Tagebuch einer Reise nach Sicilien von Henry Knight edito in zeichnen und zu messen» (Goethe 1891, 184-185; Id. 1988, Philipp Hackert. Biographische Skizze meist nach dessen eigenem 215; cfr. Knight 1996, 42). Per il catalogo dei disegni e degli Aufsätzen entworfen von Goethe (1811) [= Goethe 1891, 151- acquarelli che illustrano le rovine dei templi E, F, G sulla 224]; cfr. Id. 1988, 197-236. Il diario mai dato alle stampe per collina orientale vd. Krönig 1987, 43-45 e 70-71 note 49-51 volontà dello stesso Knight, che inizialmente aveva progetta- con figg. 1, 29-33; e specialmente 75-79 (A. Disegni: Berlino to di farne un’edizione lussuosa corredata da numerose inci- 4; Düsseldorf 1; Londra 4-5; Schweinfurt 1; Wiesbaden (coll. sioni, è conservato nel Goethe-Schiller Archiv di Weimar, priv.) 1. B. Incisioni nr. 1. Cfr. ancora Id. 1979, 372-375 e note per il ms. originale vd. Knight 1996 (con ampio commento). 23-25 con figg. 11-15. 52 Knight è noto per aver scritto in età matura An Analitical Le vedute dell’architettura selinuntina rientrano nel pro- Inquiry into the Principles of Taste (1808), in cui si fa propu- getto propugnato da Hackert di reperire materiale utile per gnatore di teorie estetiche basate sul dato fisico-sensoriale e quadri con paesaggi realistici (cioè topograficamente fedeli in definitiva sull’occhio. Ma è passato alla storia anche – e secondo la moda settecentesca dell’Ansichtmalerei), da rea- forse soprattutto – per aver giudicato gli Elgin Marbles, ossia i lizzare in seguito secondo le richieste del mercato. In questa marmi del Partenone, privi di un serio valore estetico perché prospettiva, come evidenziano i successivi dipinti raffiguranti eseguiti sotto l’imperatore Adriano oppure, correggendo par- il tempio di Segesta o quelli di Agrigento, l’antichità diviene zialmente il tiro, scolpiti da «artigiani immeritevoli del nome una delle componenti della natura e non è paradossalmente di artisti» guidati forse da Fidia ma capaci di realizzare opere la natura a far da scenografia alle architetture superstiti (cfr. mediocri «concepite a solo fini architettonici» (per tutta la Mozzillo 1993, 7-10). storia e le citazioni vd. Pavan 1983, 289-290, 304-307 e 312314 note 4-7, 68-84). Sul suo metodo di lavoro che non prevedeva schizzi nel senso di studi spontanei, ma che al contrario agevolava la Sul viaggio in Sicilia e la biografia di Knight vd. The ‘ripetizione’ dei soggetti a distanza di tempo e, inoltre, sul suo Arrogant Connoisseur 1982, 1-18 (N. Penny), 19-31 (C. dettagliato listino dei prezzi che permetteva al cliente-com- Stumpf), 151-156 (Catalogue) e passim; Giardina 1992, 307- mittente di acquistare opere ‘prefabbricate’ o di richiedere un 316; Tuzet 1995, 19 e note 11-12 e passim; Rodgers 1996, soggetto di sua scelta, vd. le importanti riflessioni di Widner 149-150; Ingamells 1997, 583-584 s.v. Knight, Richard Payne; 1994, 56-57 e 66 note 161-177. Anche le vedute e i disegni Salmeri 2001, 70-71 e 81 note 61-67. dell’architettura greca in Sicilia sembrano perciò condizionate Sull’attività di Charles Gore, pittore e acquarellista dilet- da quest’ottica mercantile che accompagnò buona parte della tante, che durante il suo soggiorno nell’isola realizzò diversi carriera di Hackert, almeno a prestar fede alle critiche di disegni, vd. la breve biografia pubblicata dallo stesso Goethe alcuni contenporanei. in appendice al già citato Philipp Hackert. Biographische Skizze 55 Hulot, Fougères 1910, 141. (Goethe 1891, 331-340); Kurzwelly 1921, 397-398; spe- 56 J.-Cl. Richard Abbé de Saint-Non, Voyage pittoresque cialmente The Arrogant Connoisseur 1982, 151-156 nn. 103, ou Description des Royaumes de Naples et de Sicile. I-IV, Paris, 107-108, 111 con tav. 8 e tav. colori 1; Krönig 1987, 10-13 e Clousier, 1781-1786; l’opera ebbe una «nouvelle édition corri- 67-68 note 8-15 (con bibliografia); C. Stumpf, Introduction in gée, augmentée […] par P.-J. Charrin» (Paris 1829). Alla Sicilia Knight 1996, 7 fig. non num., 13 e 21 nota 14 con figg. 11, è dedicato il vol. IV, 1-2 [= de Saint-Non 1785-1786, 183-191 14-15, 18 e tavv. 1-2, 7, 9-10, 12, 15. e tavv. LXXV-LXXVIII relativamente a Selinunte]. Sul Voyage Goethe 1891, 179-185, in particolare 179-180: «und vd. Lamers 1995 con bibliografia completa (per le vedute di von da [sc. Castelvetrano] am selbigen Tage gelangten Selinunte specialmente 270-271 nn. 269-270a e figg.); inoltre wir zu den Ruinen von Selinus, wo wir in einem kleinen Tuzet 1995, 75-85; Mascoli Vallet 1992, 457-461 e 463- Wachtthurm einkehrten, der einzigen Wohnung an der 464 note 16-26; Salmeri 2001, 71 e 81 note 69-72 a proposito Stelle, wo sonst eine so mächtige Stadt gestanden. Hier fan- del pubblico aristocratico che decretò il successo dell’opera. den wir sechs prächtige Tempel, alle zu Boden geworfen»; Id. Un elegante ritratto di Saint-Non, che seppe elaborare 1988, 212-214, in particolare 212; cfr. Knight 1996, 39; ma e organizzare da Parigi un’impresa editoriale «ambitieuse et anche Krönig 1987, 44 e 71 nota 50. hasardeuse» – fonte di non poche querelles con i suoi finan- 53 645 Selinunte nei resoconti del Grand Tour ziatori e i suoi stessi collaboratori –, è offerto da Rosenberg 1995, 62-66 con un vivace ritratto di S. definito «essen- 1986, 7-60, in particolare 4 per la citazione. zialmente uno spirito serio» benché privo di fantasia, che Su Dominique-Vivant Denon che, dopo la rottura con si distacca dagli avventurosi «philosophes» del suo seco- Saint-Non, pubblicò autonomamente il proprio diario sici- lo; Ingamells 1997, 916-919 s.v. Swinburne, Henry, M.G. liano dapprima come appendice alla traduzione francese dei Nicolosi, Introduzione in Swinburne 2000, XIII-LIX (ampia Travellers di H. Swinburne (Paris 1785-1787) (su cui vd. bibliografia); Salmeri 2001, 70 e 81 note 56-60. infra), poi come volume a sé (Voyage en Sicile, Paris 1788) vd. Lelièvre 1995, 277-294, soprattutto 285-288; Reid 1999, 62-70, in particolare 69-70 nn. 8-10; Rosenberg 1999, 19-25; 62 Swinburne 1783-1785, II, 245 («27 dicembre»); cfr. Id. 2000, 45. 63 Anche Osterkamp 1987/I, 138-157 osserva acutamente e più in generale l’intero catalogo Dominique-Vivant Denon che per i viaggiatori tedeschi del Settecento l’immagine della 1999; Salmeri 2001, 72-73 e 81-82 note 76-95. Sicilia sta sotto il segno della «nostalgia della Grecia», mentre 57 Luciani 1993, 325-349, in particolare 327 e 334 (Selinunte). dai primi decenni dell’Ottocento in poi, per effetto anche delle nuove scoperte, i templi e gli altri monumenti greci perdono il de Saint-Non 1785-1786, 183 e 189. Non mancano loro fascino magico e non sono ammirati più come imperativi ovviamente anche le lamentele riguardo all’insopportabile architettonici. Se una data può indicare simbolicamente il umidità e al caldo afoso della «Terra de’ Pulci», dove imper- passaggio tra una visione classicistica della Sicilia, sublimata versa lo scirocco: un pretesto per sostenere che il clima, dai disegni architettonici di Karl Friedrich Schinkel, Leo von influendo sul coraggio e sullo spirito, è la «cause naturelle et Klenze e Jakob Hittorf, e un’archeologia più sobria, questa è il unique de la mollesse Orientale, ou de l’apathie Sicilienne». 1832: l’anno della morte di Goethe e insieme dell’avvio degli 58 59 Ibid., 185, 187, 189 e 191, ma specialmente tav. LXXIX, dove la pianta del tempio cd. di ‘Giove Olimpico’ e alcuni suoi dettagli architettonici (triglifo, cornice e capitello) sono inseriti nella «Tavola comparativa dei templi, dei teatri e di alcuni altri edifici antichi della Sicilia». scavi a Selinunte intrapresi dal Serradifalco. 64 Di Carlo 1955-1956, 141-176 (su cui vd. Evola 1957, 231-234); Cimmino 1968, 26. 65 La lunga epistola indirizzata da «Palermo, 17 settembre 1779» all’amico ed architetto Giannantonio Selva, divenuto 60 Mozzillo 1979, 89. celebre per aver realizzato qualche anno più tardi il teatro La 61 H. Swinburne, Travels in the Two Sicilies in the Years Fenice a Venezia, rientra in un piccolo carteggio – soltanto tre 1777, 1778, 1779, and 1780. I-II, London, printed for P. lettere – che fu pubblicato sulla rivista «Antologia Romana» Elmsly, 1783-1785 [= Id. 1783-1785]. Nel suo racconto il tra il giugno e il dicembre 1779. Il carteggio è stata riedito con paesaggio naturale assume caratteri pittoreschi – per fare un adeguato commento, ricco di molte osservazioni erudite, in esempio soltanto, il fiume Madiuni diviene «a clear romantic Di Carlo 1955-1956, 165-175, in particolare 171-172 per la stream» –, offrendo una cornice inimitabile ai templi greci. citazione. Per altre interessanti notizie sui legami intellettuali e La puntuale analisi architettonica delle rovine sollecita così il d’amicizia tra i due vd. Bassi 1936, 7 e 9; Cimmino 1968, 345. godimento estetico e il piacere della visione, si direbbe quasi 66 La vicenda degli scavi intrapresi dagli architetti inglesi estatica, da ripetere più volte, dall’alba al tramonto e perfino Samuel Angell e William Harris (1823) e proseguiti poi dalla al chiarore della luce lunare: vd. Id. 1783-1785, II, 242 e 246- Commissione di Antichità e Belle Arti della Sicilia (1831- 247 (Section XXXIV con data del «27 dicembre»): «The river 1832) è ricostruita sui documenti di prima mano da Marconi passes through a long line of hills, which exhibit the most 1994, 21-25 e 44-45 note 1-23; cfr. in Gabrici 1919-1920, extraordinary assemblage of ruins in Europe. […] I had laid a 119-126 e fig. 1 (scavi Villareale). plan of passing the night near these venerable relics of remote 67 G. de Maupassant, La vie errante, Paris 1890 su cui antiquity that I might have more leisure to examine them, Angelelli 2001, 104-105; per la genesi dell’opera vd. P. and also enjoy the pleasure of viewing them in all the tints Thomas, Avant-propos, in de Maupassant 1991, 6-15; Id. and shades cast upon them by the rays of departing day, the 2001 (in precedenza edito con un altro titolo = Id. 1997). beams of the moon, and the first dawn of the ensuing morning». Cfr. Id. 2000, 44 e 46. 68 Id. 1991, 82-83; Id. 2001, 50. Mentre a Selinunte le «ruines de temples géants» sono prive di forma e inoffensive Per la biografia di Swinburne e le tappe siciliane del suo «comme des soldats morts» ad Agrigento, che è visitata subito viaggio vd. Mozzillo 1979, 85-134 e figg. varie f.t.; Tuzet dopo, i templi «debout dans l’air» si stagliano contro «ce ciel 646 Maurizio Paoletti antique» suscitando una straordinaria e potente emozione che invita alla venerazione. Il contrasto è fortissimo e la divaricazione dei sentimenti dinanzi ad uno stesso passato, un Giano bifronte che può sembrare sparito nel nulla ma che talora diviene immortale, è davvero incolmabile. Bibliografia Alfero 1928 = G.A. Alfero, Goethe e la Sicilia, in «Nuova Antologia», s. VII, LXIII, 259, 1928, 334-355. Allgemeines Lexikon = U. Thieme, F. Becker (hrsgg.), Allgemaines Lexikon der bildenden Künstler von der Antike bis zur Gegenward, Leipzig 1907-1950. Angelelli 2001 = E. Angelelli, Francesi in Sicilia dall’Unità d’Italia al 1960. Bio-Bibliografia descrittiva, Moncalieri 2001 (Biblioteca del Viaggio in Italia, 60). Arcifa 1998 = L. 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