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Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004 Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00 L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum Anno CLIV n. 38 (46.580) POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt Città del Vaticano domenica 16 febbraio 2014 . Papa Francesco invita a pregare per il continente, specialmente per la Repubblica Centroafricana e il Sud Sudan Una Chiesa in stato permanente di missione La pace negata all’Africa Tra le piaghe dell’uomo di oggi Le Nazioni Unite denunciano atrocità sui bambini e feroci violenze sulle popolazioni civili di GUALTIERO BASSETTI L’invito rivolto da Papa Francesco, con un tweet sabato 15 febbraio, a pregare per la pace in Africa, specialmente nella Repubblica Centroafricana e in Sud Sudan, viene a ricordare il progressivo degenerare di tragedie che coinvolgono milioni di persone. La pace negata all’Africa, non solo nei due Paesi citati — gli ultimi in ordine di tempo a essere sprofondati nella guerra civile — si traduce in orrori quotidiani su bambini e vecchi, donne e uomini. La pace negata è aumento del sottosviluppo, furto anche di speranza per il continente dalla popolazione più giovane. Anche nelle ultime ore sono giunte dai due Paesi notizie sconfortanti e in alcuni casi sconvolgenti. In Sud Sudan non si consolida il cessate il fuoco tra le forze del Governo del presidente Salva Kiir Mayardit e quelle ribelli che fanno riferimento all’ex vice presidente Rijek Machar, mentre degenera di ora in ora la condizione di quasi un milione di sfollati provocati dal conflitto esploso due mesi fa. La Repubblica Centroafricana sprofonda in orrori ripetuti, senza che le violenze siano ancora arginate dalle truppe internazionali, quelle della Misca, la missione africana forte di seimila uomini, e quelle di Parigi che ieri ha inviato altri quattrocento soldati, portando il suo contingente a duemila effettivi. L’Unicef ha denunciato ieri la ferocia abbattutasi su decine di bambini decapitati U Uomini e donne all’aeroporto di Bangui in attesa della distribuzione del cibo (Afp) e mutilati, in una guerra civile divenuta sempre più aspra da quasi un anno, dopo il colpo di Stato del marzo scorso, quando il presidente François Bozizé fu rovesciato dagli ex ribelli della Seleka. La denuncia ha seguito di poche ore la scoperta nella capitale Bangui di una dozzina di corpi senza vita in una fossa comune nei pressi di una caserma che fino a poche settimane fa era servita da base alle milizie della Seleka, originariamente una coalizione di oppositori di Bozizé senza particolari connotazioni confessionali, ma da tempo formata in maggioranza da combattenti stranieri, in massima parte di matrice fondamentalista islamica, provenienti soprattutto da Sudan e Ciad. Alle violenze della Seleka sono seguite quelle delle milizie conosciute come antibalaka (ba- Conclusa senza esito la seconda tornata dei colloqui a Ginevra Siria sempre più insanguinata Combattimenti nei sobborghi di Damasco (Reuters) L’Onu preoccupata per le violenze Migliaia di studenti protestano in Venezuela y(7HA3J1*QSSKKM( +&!"!?!=!.! CARACAS, 15. Migliaia di studenti universitari hanno partecipato a Caracas a una marcia diretta alla sede dell’Organizzazione degli Stati americani (Osa) per chiedere la liberazione dei loro compagni arrestati. La marcia, dove si sono registrati nuovi scontri, giunge dopo che mercoledì tre persone sono morte e 66 sono rimaste ferite in scontri fra studenti e polizia. Gli Appello dei presuli del Venezuela dopo le sanguinose manifestazioni di protesta Il dialogo è la chiave di volta PAGINA 7 no dei passaggi cruciali del messaggio di Papa Francesco per l’imminente quaresima è indubbiamente la distinzione tra povertà e miseria. La povertà — scrive il vescovo di Roma — è sempre un atteggiamento evangelico: è quella di Cristo, che «si è fatto povero per arricchirci con la sua povertà»; è, in altre parole, il suo modo di amarci, «il suo farsi carne, il suo prendere su di sé le nostre debolezze, i nostri peccati, comunicandoci la misericordia infinita di D io». Tutt’altro è invece la miseria, che non coincide con la povertà, e della quale secondo il Papa si possono individuare almeno tre diverse tipologie: accanto alla miseria materiale vi è infatti quella morale a cui si combina, inestricabilmente, la miseria spirituale. Alla privazione materiale si intrecciano dunque sia una mancanza etica sia l’assenza di Dio. Ognuna è in relazione con l’altra. E tutte hanno un deficit di verità, nonostante l’amore sconfinato di Cristo verso l’uomo. A tale stato di miseria, da sempre, la Chiesa offre il suo servizio «per guarire queste piaghe che deturpano il volto dell’umanità» sottolinea il vescovo di Roma. Piaghe di vario genere, che spesso si trovano in penombra, senza venire alla luce, e che invece evidenziano la drammatica fragilità, se non addirittura l’imbarbarimento, della società odierna. Richiamo solo due fenomeni inquietanti — e ovviamente se ne potrebbero aggiungere moltissimi — che riguardano oggi l’Italia e che possono essere, però, facilmente riferiti al mondo intero. Innanzi tutto, l’ormai endemica disoccupazione giovanile: secondo l’Istat, ci sarebbero più di due milioni di giovani, soprattutto donne, che non lavorano e non studiano. Ed è il dato peggiore dal 1977 a oggi. In secondo luogo, la ludopatia, cioè il gioco d’azzardo patologico, che riguarderebbe addirittura un milione e mezzo di italiani, i quali negli ultimi sei anni vi avrebbero dilapidato l’enorme cifra di oltre duecento miliardi di euro. studenti hanno diffuso foto e video delle violenze contro i manifestanti da parte della polizia e di gruppi armati vicini al Governo. L’alto commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti umani ha espresso la sua preoccupazione per la situazione in Venezuela e ha chiesto al Governo di garantire un’inchiesta imparziale sugli scontri di mercoledì scorso a Caracas e di non mettere a repentaglio la libertà di manifestare il dissenso e di informare liberamente su quanto sta avvenendo nel Paese. Rupert Colville, delegato regionale dell’agenzia Onu, ha detto che i responsabili delle violenze «devono essere processati e condannati dopo una inchiesta imparziale» e che esiste «preoccupazione per le notizie di attacchi di uomini armati che agiscono con totale impunità contro i manifestanti». DAMASCO, 15. Sono finora 48 i morti accertati, compresi tre bambini, e 150 i feriti per l’esplosione, ieri, di un’autobomba contro la moschea del villaggio siriano di Al Yaduda, nella provincia meridionale di Derā, quella dove scoppiò tre anni fa la rivolta armata contro il Governo del presidente Bashar Al Assad. La vettura carica di esplosivo è stata fatta saltare in aria durante la preghiera islamica del venerdì, quando la moschea era particolarmente gremita. La strage è avvenuta poche ore dopo la conclusione, senza esito, della seconda tornata negoziale della conferenza Ginevra 2. Sempre ieri, Valerie Amos, la responsabile dell’Ocha, l’ufficio dell’Onu per il coordinamento degli interventi umanitari, ha lanciato un appello al Consiglio di sicurezza affinché approvi una risoluzione che imponga a Damasco di consentire un maggiore accesso umanitario in Siria. Il vice ministro degli Esteri siriano, Faysal Miqdad, ha risposto parlando di alcune affermazioni inaccettabili da parte di Amos, la quale a suo giudizio «non riconosce che in Siria c’è il terrorismo e ci sono organizzazioni terroristiche che ostacolano la circolazione delle merci e l’assistenza umanitaria in tante zone del Paese». Una bozza di risoluzione in merito è in preparazione da parte di diversi Paesi, ma la Russia ha già annunciato il veto sostenendo che il testo mirerebbe ad aprire la strada a operazioni militari contro il Governo di Damasco. Sulla questione è intervenuto anche il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, annunciando nuove iniziative per esercitare pressioni a questo scopo su Damasco. Obama, che ha incontrato ieri in California re Abdullah II bin Hussein di Giordania, ha ammesso di non attendere una soluzione della crisi nel breve termine, ma ha aggiunto che gli Stati Uniti continueranno a riflettere su come influire sulle strategie delle parti all’interno del Paese. Al tempo stesso, il presidente statunitense ha sottolineato l’importanza di sostenere la Giordania nello sforzo di assistere i rifugiati siriani. laka significa «machete» in lingua locale sango), contro i musulmani. Di una nuvola oscura di atrocità di massa e pulizia etnica che sovrasta il Paese, ha parlato ieri il segretario generale dell’Onu, Ban Kimoon, che porterà martedì prossimo in Consiglio di Sicurezza le sue raccomandazioni per contenere le violenze e cercare di porre fine alla crisi. «Linciaggi, mutilazioni, orrendi atti di violenza spargono il terrore: tutti gli abitanti musulmani e cristiani, sono colpiti ma di recente ci sono stati attacchi su vasta scala in città come Bouali, Boyali, Bossemble dove non è stato possibile inviare caschi blu» ha denunciato Ban Kimoon. Appello alla comunità internazionale dell’arcivescovo di Bangui L’ombra del genocidio PAGINA 6 Udienza del Papa al presidente della Repubblica di Cipro Questi dati non sono solo numeri in mano a economisti o psicologi. Sono spie di un disagio e di un malessere profondi. Segnali inequivocabili non soltanto di uno sradicamento esistenziale, ma di uno stato di stagnazione sociale e di immobilismo, la cui causa primaria va rintracciata nell’evidente incrinatura del patto generazionale tra giovani e adulti. È la lacerazione di quello scambio fondativo tra le generazioni che è condizione imprescindibile di sussistenza per la stabilità della società. Come non capire che dietro queste statistiche terribili si celano, non tanto e non solo dati socioeconomici, ma soprattutto un drammatico vuoto esistenziale e una funesta rottura antropologica nel rapporto di scambio tra genitori e figli? In questo contesto il messaggio del Papa rappresenta uno stimolo importantissimo per la Chiesa e per l’intera società contemporanea. Innanzi tutto perché esorta a vivere la quaresima in pienezza, senza ipocrisie e infingimenti, come un cammino autentico di conversione e di purificazione verso il mistero della risurrezione di Cristo. Un messaggio forte per superare i deserti della mondanità, della religiosità che si ammanta di buone intenzioni, della politica che strumentalizza la fede fino a trasformarla in un’ideologia e della tentazione ricorrente del potere e del carrierismo. Inoltre, al di là di ogni semplificante lettura sociologica, questo messaggio di Papa Francesco è una grande riflessione d’amore sull’uomo. Sia per chi risiede al centro del mondo, nell’agio e nel benessere, ma ha perso l’anelito a guardare verso il cielo e nel profondo nel proprio cuore. Sia per chi vive nelle periferie, nelle villas miserias o nelle banlieues, nei ranchitos o negli slums, a cui manca tutto, che ha smarrito ogni speranza e che non conosce — e forse non ha mai conosciuto — la gioia del Vangelo. A questo uomo sofferente, così apparentemente diverso ma anche così drammaticamente simile, la Chiesa oggi non può che donarsi totalmente, in uno «stato permanente di missione». NOSTRE INFORMAZIONI Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza: Sua Beatitudine Gregorios III Laham, Patriarca di Antiochia dei Greco-Melkiti (Siria); le Loro Eminenze Reverendissime i Signori Cardinali: — Odilo Pedro Scherer, Arcivescovo di São Paulo (Brasile); — Andrea Cordero Lanza di Montezemolo, Arciprete emerito della Basilica Papale di San Paolo fuori le Mura. Nella mattina di sabato 15 febbraio Papa Francesco ha ricevuto, nel Palazzo apostolico vaticano il presidente della Repubblica di Cipro, Nicos Anastasiades, che successivamente si è incontrato con l’arcivescovo Pietro Parolin, segretario di Stato, accompagnato dall’arcivescovo Dominique Mamberti, segretario per i Rapporti con gli Stati. Nel corso dei cordiali colloqui, attestanti i buoni rapporti esistenti fra la Santa Sede e la Repubblica di Cipro, sono stati passati in rassegna alcuni argomenti di comune interesse, quali il ruolo positivo della religione nella società e la tutela del di- ritto alla libertà religiosa. Non si è mancato, inoltre, di rilevare con compiacimento la ripresa dei colloqui finalizzati a elaborare una soluzione condivisa per il superamento dell’attuale situazione dell’isola. Si è espressa, infine, preoccupazione per i conflitti e l’instabilità politica che interessano la regione del vicino e Medio Oriente, comportando gravi sofferenze alle popolazioni civili, con l’auspicio che le comunità cristiane nei vari Paesi possano continuare a dare il loro contributo alla costruzione di un futuro di benessere materiale e spirituale. Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza Sua Eccellenza il Signor Nicos Anastasiades, Presidente della Repubblica di Cipro, con la Consorte, e Seguito. Nomina di Vescovo Ausiliare Il Santo Padre ha nominato Ausiliare del Vicario Apostolico di Reyes (Bolivia) il Reverendo Padre Waldo Rubén Barrinuevo Ramírez, C.Ss.R., già Vicario Provinciale e Parroco, assegnandogli la sede titolare vescovile di Vulturara. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 2 domenica 16 febbraio 2014 Mentre sta per scadere l’ultimatum del Governo per lo sgombero degli edifici pubblici occupati Lunedì visita dell’alto rappresentante per gli Affari esteri e la Politica di sicurezza dell’Ue Rilasciati in Ucraina i manifestanti arrestati Ancora proteste in Bosnia ed Erzegovina KIEV, 15. Tutti i 234 manifestanti antigovernativi detenuti nelle ultime settimane in Ucraina sono stati scarcerati. Ma la tensione resta alta a Kiev: l’opposizione che da giorni picchetta molti edifici pubblici non è soddisfatta. Perché questo passaggio — argomentano i manifestanti — non significa ancora che tutti siano liberi: non pochi restano infatti ai domiciliari, e le inchieste della giustizia ucraina pendono sulle loro teste come spade di Damocle pronte a trafiggerli se i palazzi occupati non saranno sgomberati entro lunedì prossimo, giorno in cui scade una sorta di ultimatum lanciato dal Governo per l’applicazione definitiva della contestata legge d’amnistia. La mossa delle autorità — annunciata ieri dal procuratore generale, Viktor Pshonka — mira comunque a stemperare le tensioni in un Paese che rischia di sprofondare nel baratro della guerra civile. Uno spettro che sta logorando la Repubblica ex sovietica da ormai quasi tre mesi. Rostislav Pavlenko, un deputato dell’opposizione, ha accusato le autorità di aver solo «cambiato le misure restrittive» sottolineando che molte «persone sono state scarcerate, ma sono agli arresti domiciliari, e questo significa che i loro diritti sono limitati e che le inchieste penali continuano a pendere sopra le loro teste. Questa non è un’amnistia vera, non è la risposta alle richieste dell’opposizione». Del resto, l’amnistia non è ancora stata applicata formalmente, anche se il procuratore generale Pshonka ha assicurato che se i manifestanti libereranno le strade e gli edifici come previsto dalle condizioni poste dal testo approvato in Parlamento dalla maggioranza, le inchieste contro di loro saranno chiuse nel giro di un mese. L’opposizione comunque continua a premere sul Governo e ha già annunciato l’ennesima manifestazione di massa per domani. Nel frattempo però i manifestanti si sono detti disposti a sbloccare in parte e riaprire al traffico via Grushevski: la strada di Kiev che porta ai palazzi del potere e dove almeno quattro persone hanno perso la vita nei disordini delle settimane scorse. La crisi ucraina continua ad avere pesanti ripercussioni anche nei rap- Dimostranti antigovernativi in piazza a Kiev (Reuters) porti tra il Cremlino e l’O ccidente. Mosca, che è critica nei confronti dell’Unione europea, non appare tuttavia a sua volta esente dal tentativo di riportare Kiev sotto la propria influenza, e negli ultimi mesi ha fatto di tutto per scongiurare — finora con successo — la firma di un accordo di associazione tra Ucraina e Ue. Ignorando apparentemente i Nessuna alleanza delle forze d’opposizione in Costa d’Avorio YAMOUSSOUKRO, 15. Non c’è stata l’alleanza tra le diverse forze politiche d’opposizione in Costa d’Avorio annunciata per questa settimana dal Fronte popolare ivoriano (Fpi), il partito dell’ex presidente Laurent Gbagbo. Si è infatti concluso ieri con un nulla di fatto il quarto incontro tra la direzione dell’Fpi e i vertici di una decina di altre formazioni politiche di opposizione. Negli ultimi mesi si sono moltiplicati i contatti tra il leader dell’Fpi, Pascal Affi Nguessan, e gli altri partiti minori con l’intento di coalizzarsi contro il presidente Alassane Ouattara. Diversi osservatori locali avevano definito poco chiare le motivazioni e i criteri all’origine del tentativo dell’Fpi di unificare l’opposizione. Questa è attualmente è divisa in due blocchi: da una parte appunto l’Fpi e dall’altra 11 gruppi minori riuniti in un organismo chiamato Quadro permanente di dialogo diretto, cinque dei quali hanno rifiutato un’alleanza organica con l’Fpi. Quest’ultimo, comunque, ha riallacciato di recente un dialogo diretto con il Governo dopo mesi di tensioni, sulla scia del rigurgito di guerra civile, costato almeno tremila morti, seguito tra l’autunno 2010 e la primavera 2011 al rifiuto di Gbagbo di riconoscere la vittoria di Ouattara nelle presidenziali. L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt 00120 Città del Vaticano [email protected] http://www.osservatoreromano.va rimproveri di Mosca, la cancelliera tedesca, Angela Merkel, riceverà martedì prossimo a Berlino due dei leader dell’opposizione di Kiev, Vitali Klitschko e Arseni Iatseniuk, per discutere della situazione nel Paese. Lasciando escluso — come spesso accade — solo il capo del partito ultranazionalista Svoboda, Oleg Tiaghnibok. SARAJEVO, 15. Alcune centinaia di persone manifestano anche oggi a Sarajevo, davanti alla sede della presidenza bosniaca, dove il traffico è bloccato, ma senza incidenti di rilievo. Si tratta per lo più di operai di aziende locali, privatizzate e poi fallite o ridotte sull’orlo del fallimento. Come riferiscono i media nella capitale, per lunedì prossimo è atteso l’arrivo a Sarajevo dell’alto rappresentante per gli Affari esteri e la Politica di sicurezza dell’Unione europea, Catherine Ashton, e del commissario Ue all’Allargamento, Štefan Füle, intenzionati a mediare nel duro braccio di ferro fra politici e manifestanti, che chiedono le dimissioni in blocco dell’intero Governo della Federazione croato-musulmana, una delle due entità che, con la Republika Srpska (entità a maggioranza serba), compongono la Bosnia ed Erzegovina. La scintilla che ha scatenato le proteste di piazza è stata il fallimento di ben cinque fabbriche a Tuzla, un tempo principale polo industriale del Paese balcanico. Intanto, il consiglio cantonale di Tuzla ha approvato all’unanimità l’abolizione della normativa di legge, diffusa in tutto il Paese, secondo cui i parlamentari e i funzionari percepiscono lo stipendio per un anno intero dopo la scadenza del mandato. Proteste di manifestanti a Sarajevo (Reuters) Offensiva dell’esercito congolese contro la milizia ugandese Adf-Nalu Rapporti di esperti ne suggeriscono la proroga Nuovi e sanguinosi combattimenti in Nord Kivu L’Onu valuta l’embargo sulle armi in Somalia KINSHASA, 15. Almeno 230 ribelli ugandesi delle Forze alleate democratiche - Esercito nazionale per la liberazione dell’Uganda (Adf-Nalu) sono stati uccisi dall’esercito congolese in Nord Kivu. Il bilancio dell’operazione Sokola (pulire in lingua locale), lanciata lo scorso 16 gennaio e tuttora in corso, è stato comunicato dal Governo di Kinshasa, secondo il quale nell’operazione, ancora in corso, hanno perso la vita 22 soldati e altri 68 sono stati feriti. La fuga dei miliziani delle AdfNalu nella confinante provincia Orientale congolese ha rallentato l’andamento dell’operazione. Tuttavia, l’esercito ha sostenuto ieri di aver ripreso, con gli ultimi e sanguinosi combattimenti, il controllo di tutti i grandi bastioni della ribellione ugandese nel territorio di Beni. «Da quando è cominciata l’operazione, possiamo dire che siamo già arrivati ai tre quarti del lavoro. Abbiano ripreso con successo Nadwi, Mwalika, Chuchubo, Makoyova I e II» ha detto a Radio Okapi, l’emittente della Monusco, la missione dell’Onu, il colonnello Olivier Hamuli, il portavoce dell’esercito in Nord Kivu. Secondo Hamuli, questo dovrebbe consentire di riaprire in tempi brevi la strada che ricollega Mbau a Kamango, zona che sarà successivamente rastrellata dai militari. Dopo la sconfitta militare della ribellione interna del Movimento del 23 marzo, le Adf-Nalu sono in cima alla lista dei gruppi armati da sradicare dal Nord Kivu, insieme con gli hutu rwandesi delle Forze di liberazione del Rwanda, riparati in territorio congolese dopo il genocidio dei tutsi nel Paese confinante nel 1994. Sempre ieri, la Monusco ha comunicato la scoperta in tre villaggi della zona di fosse comuni con corpi che riportano segni di machete. Un’inchiesta è stata aperta per identificare il gruppo responsabile dei massacri. Fonti locali della società civile hanno inoltre denunciato rapimenti, attacchi ai danni dei civili, saccheggi di villaggi. Soldati dell’esercito congolese (Reuters) NEW YORK, 15. Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite si appresta a discutere sull’eventuale rimozione dell’embargo sulle armi in Somalia, sollecitata dal Governo di Mogadiscio, che la ritiene indispensabile per garantire la sicurezza. Poco meno di un anno fa, nel marzo 2013, il Consiglio di sicurezza aveva allentato l’embargo, appunto per un anno, per consentire di mettere l’esercito somalo in condizione di ristabilire l’autorita governativa nelle zone dove sono tuttora attivi i ribelli islamici di al Shabaab. L’embargo era stato imposto dalla comunità internazionale fin dal 1992, quando con la caduta del dittatore Mohamed Siad Barre era incominciato il lungo periodo di guerra civile in Somalia che, con diverse fasi e intensità variabile, si protrae dunque da oltre un ventennio e che non può dirsi ancora concluso. Una conferma della decisione del Consiglio di sicurezza di allentare l’embargo era data per quasi certa da molti osservatori fino a pochi giorni fa. Ieri, però, l’agenzia di Stampa France Presse ha dato notizia di un rapporto consegnato da esperti dell’Onu che suggerisce di agire in direzione opposta. Nel rapporto, del quale la France Presse è entrata in possesso, si afferma infatti che l’allentamento dell’embargo ha prodotto come primo risultato un aumento del traffico d’armi in Somalia, a causa di quelli che vengono definiti abusi sistematici da parte dei diversi clan somali. Già un anno fa, diverse organizzazioni internazionali per la difesa dei diritti umani avevano denunciato tale pericolo, nonostante le assicurazioni del Governo di Mogadiscio che le armi non sarebbero finite in mani sbagliate. A causa del deterioramento della situazione politica I caschi blu restano in Burundi BUJUMBURA, 15. A causa del deterioramento della situazione politica e dell’instabilità nel Burundi, il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha prorogato fino al 31 dicembre il mandato della sua missione politica nel Paese africano, in scadenza oggi. I 15 Stati membri dell’organismo delle Nazioni Unite hanno inoltre dato il via libera a una missione di osservazione elettorale, incaricata di monitorare organizzazione, svolgimento e scrutinio delle elezioni generali del 2015. Il voto è considerato dagli analisti un test cruciale per la stabilità e medio e lungo termine. Nel testo approvato dal Consiglio vengono evidenziati i progressi importanti che hanno permesso al Paese di superare le grandi sfide del dopoguerra, ma anche dinamiche politiche negative che potrebbero vanificare le conquiste ottenute. Al centro dell’aspro contenzioso politico ci sono la recente riforma agraria, la revisione della Costituzione e la possibilità di un terzo man- GIOVANNI MARIA VIAN direttore responsabile TIPO GRAFIA VATICANA EDITRICE L’OSSERVATORE ROMANO Carlo Di Cicco don Sergio Pellini S.D.B. vicedirettore Piero Di Domenicantonio caporedattore Gaetano Vallini segretario di redazione direttore generale dato per il presidente, Pierre Nkurunziza, in carica dal 2005. Gli esperti dell’Onu hanno altresì avvertito che la scena politica nel Paese dei Grandi Laghi è polarizzata tra il Governo, «che utilizza la sua maggioranza in Parlamento per varare leggi che restringono lo spazio politico», e le «minacce dell’opposizione» nei confronti dell’Esecutivo. Minimizzando i problemi, per mesi il Governo di Bujumbura si è fermamente opposto al rinnovo del- Servizio vaticano: [email protected] Servizio internazionale: [email protected] Servizio culturale: [email protected] Servizio religioso: [email protected] Segreteria di redazione telefono 06 698 83461, 06 698 84442 fax 06 698 83675 [email protected] Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998 [email protected] www.photo.va la missione Onu, premendo, invece, per un suo ritiro in tempi stretti. Frattanto, Prosper Bazombanza, esponente di spicco del principale partito di opposizione tutsi Uprona, è stato eletto dal Parlamento bicamerale come nuovo primo vice presidente. Ha ottenuto 82 voti su 84. L’elezione di Bazombanza — già governatore della provincia centrale di Mwaro dal 2002 al 2005 — è stata poi confermata dalla maggioranza assoluta dei 33 senatori. Tariffe di abbonamento Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198 Europa: € 410; $ 605 Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665 America Nord, Oceania: € 500; $ 740 Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30): telefono 06 698 99480, 06 698 99483 fax 06 69885164, 06 698 82818, [email protected] [email protected] Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675 Confermati i finanziamenti dell’Fmi alla Guinea NEW YORk, 15. Il Fondo monetario internazionale (Fmi) ha annunciato ieri lo sblocco di una nuova rata di finanziamenti alla Guinea. L’Fmi definisce soddisfacenti i risultati finora ottenuti nell’ambito del suo programma di aiuto finanziario avviato un anno fa. Questo nonostante la crisi sociale e politica nel Paese africano, che ha avuto ripercussioni pesanti sul piano economico, in un Paese già dal reddito medio bassissimo, di appena un dollaro al giorno per più della metà della popolazione. Un comunicato dell’Fmi ricorda infatti che l’economia della Guinea ha attraversato un periodo difficile, riflettendo la situazione sociale e politica e una forte contrazione degli investimenti nel settore minerario. Secondo l’Fmi, la crescita economica della Guinea è stata nel 2013 del 2,5 per cento, contro il 4,5 per cento previsto. Il comunicato sottolinea però che l’inflazione è molto diminuita, pur restando oltre il 10 per cento. La cifra comunicata dal Fondo monetario internazionale per questa nuova rata è di 28,2 milioni di dollari. Il totale previsto, al termine del programma triennale stabilito dall’Fmi, è di 112,8 milioni di dollari. Concessionaria di pubblicità Il Sole 24 Ore S.p.A System Comunicazione Pubblicitaria Aziende promotrici della diffusione de «L’Osservatore Romano» Intesa San Paolo Alfonso Dell’Erario, direttore generale Romano Ruosi, vicedirettore generale Ospedale Pediatrico Bambino Gesù Sede legale Via Monte Rosa 91, 20149 Milano telefono 02 30221/3003, fax 02 30223214 Società Cattolica di Assicurazione [email protected] Banca Carige Credito Valtellinese L’OSSERVATORE ROMANO domenica 16 febbraio 2014 Costruttivi i colloqui di Kerry a Pechino PECHINO, 15. Il segretario di Stato americano, John Kerry, ha definito ieri costruttivo l’incontro che ha avuto a Pechino con il presidente cinese, Xi Jinping. Si è trattato, ha affermato Kerry, di discussioni «molto costruttive, molto positive» che hanno consentito di «esaminare nel dettaglio alcune sfide poste dalla Corea del Nord». Il capo della diplomazia di Washington ha sollecitato Pechino a non minacciare la stabilità della regione collaudando in modo unilaterale la nuova zona di difesa aerea sul Mar della Cina orientale. L’area, infatti, si estende sopra le isole contese con il Giappone e, pur non affermandone formalmente la sovranità, le autorità cinesi hanno previsto che gli aerei che la sorvolano si identifichino e mantengano costantemente le comunicazioni con Pechino. «Abbiamo messo in chiaro — ha spiegato Kerry — che un’iniziativa unilaterale, non annunciata e non graduale potrebbe costituire una sfida ai popoli di quella regione e, in ogni caso, alla stabilità dell’area». Dal canto suo, Xi Jinping ha promesso l’impegno di Pechino per costruire un nuovo modello di relazioni bilaterali. «La Cina — ha detto il presidente cinese — è fermamente impegnata a costruire un nuovo modello delle relazioni bilaterali insieme alla parte statunitense e continuerà a rafforzare il dialogo, aumentare la fiducia reciproca e la cooperazione e gestire correttamente le differenze nel nuovo anno, in modo da andare avanti con lo sviluppo sano e duraturo dei legami». Anche se resta lontana la prospettiva di un incontro dei due presidenti Segnali di disgelo tra Cina e Taiwan Le delegazioni di Cina e Taiwan al tavolo delle trattative a Nanchino (Reuters) PECHINO, 15. La Cina ritiene «non appropriato» un incontro tra il presidente, Xi Jinping, e la sua controparte di Taiwan, Ma Ying Jeou, durante il prossimo vertice dell’Apec, che si terrà a ottobre a Pechino. Lo ha dichiarato durante una conferenza stampa a Taipei il ministro taiwanese per i Rapporti bilaterali, Wang Yu Chi, rientrato in patria dopo i tre giorni di colloqui di Nanchino con la controparte cinese, Zhang Zhijun. Nella giornata di ieri, ha spiegato Wang alla stampa, non si sarebbe arrivati a un accordo per fare incontrare i due presidenti all’Apec. I colloqui di Nanchino sono stati comunque visti dagli Dimostranti e polizia si scontrano al Cairo Attentato terroristico in Bahrein MANAMA, 15. Un poliziotto è morto e un altro è rimasto ferito in seguito a un attentato dinamitardo avvenuto ieri sera in Bahrein, dove erano in corso manifestazioni di piazza per commemorare il terzo anniversario della rivolta della maggioranza sciita contro la monarchia, espressione della minoranza sunnita. Secondo quanto riferito dal ministero dell’Interno, un attentato di matrice terroristica ha colpito i due agenti mentre stavano controllando i dimostranti a Dair, villaggio sciita situato pochi chilometri a nordest della capitale Manama. Qualche ora prima nella località di Dahi era stato attaccato un pullman della polizia, che era rimasto lievemente danneggiato. osservatori come un momento dall’alto valore simbolico nei rapporti tra Cina e Taiwan, che già dal 1992 hanno allacciato rapporti informali a livello commerciale. Pechino e Taipei si sono dette d’accordo sulla necessità di istituire regolari uffici di comunicazione tra i due lati dello stretto. L’incontro è il frutto di anni di sforzi per migliorare le relazioni bilaterali, anche se la Cina vede Taiwan come una «regione ribelle da ricongiungere alla madrepatria». Lunedì ci sarà un’altra missione in Cina di Lien Chan, presidente onorario del Kuomintang, il Miliziani di Al Qaeda evasi nello Yemen Verso un’intesa da tre miliardi di dollari tra Egitto e Russia IL CAIRO, 15. Un bambino di dodici anni è rimasto ucciso negli scontri nella provincia di Minya, a sud del Cairo, tra forze di sicurezza egiziane e sostenitori del deposto presidente Mohammed Mursi. Lo hanno denunciato testimoni come riporta l’agenzia di stampa Anadolu. Secondo la ricostruzione, il bambino, Arafa Saudi, era sul balcone della sua casa nella città di Samalout quando è stato raggiunto da proiettili a pallini esplosi durante le proteste. Una fonte della sicurezza, interpellata dalla Anadolu, ha accusato i manifestanti di essere responsabili per la morte del bambino, affermando che le forze di sicurezza hanno utilizzato «solo» lacrimogeni per disperdere i dimostranti. Altre due persone sono morte negli scontri con la polizia a Damietta. Almeno 23 dimostranti sono stati arrestati. Si è conclusa intanto la visita a Mosca del ministro della Difesa El Sissi, giunto nella capitale russa pagina 3 con il collega degli Esteri, Nabil Fahmy. Una visita che potrebbe segnare un nuovo inizio nei rapporti tra l’Egitto e Mosca nel campo della cooperazione militare. Durante l’incontro poi, riferiscono fonti di stampa, il presidente russo, Vladimir Putin, avrebbe dato il suo appoggio alla candidatura del ministro della Difesa e capo delle forze armate, il maresciallo Abdel Fattah El Sissi, a nuovo capo dello Stato. Nel corso della missione si è poi discusso dell’acquisto di armi russe da parte del Cairo per una cifra che ammonterebbe a circa 3 miliardi di dollari. L’acquisto verrebbe finanziato dall’Arabia Saudita e dagli Emirati Arabi Uniti. Le due parti — secondo quanto ha riferito una fonte governativa di Mosca — hanno già siglato o firmato contratti per l’acquisto da parte del Cairo di caccia Mig-29, sistemi di difesa aerea e costiera, elicotteri Mi-35 e armi di minori dimensioni. SAN’A, 15. È caccia all’uomo nello Yemen, dove ieri trenta detenuti, tra i quali diciannove fiancheggiatori di Al Qaeda, sono evasi dal carcere di San’a. La fuga dei detenuti è stata provocata dall’esplosione di un’autobomba, che ha fatto crollare un muro dell’edificio. Subito dopo, un gruppo di uomini armati ha attaccato le guardie carcerarie, consentendo ai trenta detenuti (sui circa 5.000 che si trovano nella struttura) di evadere. Un portavoce del Governo ha detto all’agenzia ufficiale Saba che si tratta di terroristi. Le forze dell’ordine hanno avviato una vasta operazione per catturare i fuggiaschi. Il portavoce ha incolpato dell’assalto al carcere i terroristi di Al Qaeda nella penisola araba. Durante l’operazione sono rimasti uccisi sette agenti e tre assalitori. Già in ottobre, le forze di sicurezza avevano impedito un tentativo di evasione da un altro carcere di San’a. partito nazionalista uscito sconfitto nel 1949 dalla guerra civile contro le forze guidate da Mao Zedong. Lien è anche a capo dell’associazione per lo sviluppo di rapporti pacifici tra Cina e Taiwan. Il presidente onorario del Kuomintang aveva già incontrato il predecessore di Xi, Hu Jintao, nel 2005, e lo stesso Xi a Pechino, lo scorso anno. Da quando nel 2008 è stato eletto presidente a Tiawain il filocinese Ma, sono stati firmati tra le due parti diciannove accordi, che hanno reso possibile, tra l’altro, l’aumento dei voli tra Cina e Taiwan e reso più facili le transazioni bancarie. Tensione tra Afghanistan e Nato KABUL, 15. Dopo gli Stati Uniti, la Nato: l’Afghanistan si trova ora a dovere arginare le severe critiche dell’Alleanza atlantica in merito alla decisione di Kabul, presa in questi giorni, di liberare 65 talebani detenuti nelle carceri afghane. Si tratta dell’ennesima scarcerazione di miliziani nell’arco di qualche settimana. Gli Stati Uniti non hanno certo nascosto il loro malcontento, sottolineando in particolare che i talebani liberati sono «molto pericolosi», avendo colpito in passato, con attacchi mirati, obiettivi statunitensi. E sulla stessa lunghezza d’onda si è posta la Nato, rilevando che così facendo l’Afghanistan va indietro, vanificando i progressi fin qui compiuti, invece che avanti. Ecco allora che Kabul rischia di trovarsi, nel panorama della politica internazionale, sempre più isolata. Mentre, infatti, si va sempre più estendendo il solco tra Washington e Kabul, anche con la Nato i dissapori cominciano a manifestarsi con una certa evidenza. A mettere in evidenza la frattura fra gli intelocutori è stato, e conti- nua a essere, il mancato accordo sulla sicurezza per il dopo 2014, quando sarà stato completato il ritiro del contingente internazionale. Gli Stati Uniti premono perché la firma dell’intesa sia posta subito, mentre il presidente afghano, Hamid Karzai, intende firmare l’accordo solo dopo le presidenziali del prossimo 5 aprile. In questa diatriba recentemente si è inserita anche la Nato: il segretario generale, Anders Fogh Rasmussen, ha sottolineato che l’accordo è nel pieno interesse dell’Afghanistan e, di conseguenza, il rinvio della firma non può che nuocere alla causa di Kabul. Di fronte all’intransigenza di Karzai sta dunque prendendo sempre più corpo l’ipotesi di mettere in campo l’opzione zero: ovvero, dopo il 2014 Wasghington non lascerà sul territorio afghano nessun soldato, neppure con compiti logistici. Verrebbe quindi accantonato l’originario piano di dispiegare un robusto nucleo di militari statunitensi per rendere meno traumatico il passaggio delle consegne alle forze locali. Manifestazione di protesta a Tripoli e Bengasi slative per un nuovo periodo di transizione di 18 mesi. La Libia si appresta a celebrare il terzo anniversario della rivolta contro Gheddafi. Ma la primavera libica non è mai sbocciata e il Paese resta in preda all’instabilità, alle violenze, alle infiltrazioni qaediste e alle lotte di potere. Con lo spettro di un colpo di Stato, che ieri ha avvolto la capitale, poi smentito dalle autorità di Tripoli. «La situazione a Tripoli è sotto controllo» ha detto il premier, Ali Zeidan, che ha ordinato l’arresto del generale Haftar. «Non fa più parte dell’esercito» ha aggiunto, spiegando che gli era già stato chiesto di ritirarsi in pensione. Si è trattato, ha ribadito il premier libico, del «disperato tentativo di alcune persone» di impedire al popolo libico di raggiungere «la libertà e la democrazia». BANGKOK, 15. Rimane molto tesa la situazione a Bangkok, capitale della Thailandia, dove da settimane i manifestanti assediano le sedi degli uffici governativi per chiedere le dimissioni della premier, Yingluck Shinawatra. Ieri è stato sgomberato dalla polizia in modo pacifico il presidio della protesta più vicino al palazzo del Governo, rendendo così possibile un ritorno al funzionamento della importante struttura pubblica. Da tempo, gli incontri di Gabinetto si tengono nella sede del ministero della Difesa, di cui la premier è pure responsabile. Ma altri edifici sono ancora sotto il controllo dei manifestanti antigovernativi. A rendere più urgente una soluzione alla crisi, la possibilità che si attui una saldatura tra i dimostranti e i risicoltori, pronti a scendere in piazza lunedì contro il Governo, accusato di non avere rispettato i tempi di pagamento del riso consegnato ai magazzini statali. Un avvertimento è arrivato da Daicharn Mata, uno dei leader degli agricoltori di tutte le 77 province del Paese asiatico. Daicharn ha però dichiarato che il movimento degli agricoltori non ha intenti politici. «Se saremo pagati torneremo a casa immediatamente» ha infatti precisato a un’emittente televisiva. Daicharn ha ricordato le condizioni drammatiche di molti agricoltori, costretti a vendere i loro beni e a ricorrere a usurai per potersi sfamare. Lunedì, ha confermato, i risicoltori cercheranno un incontro con la premier nel tentativo di trovare una soluzione. Insieme con Washington l’Alleanza atlantica critica Kabul per il mancato accordo sulla sicurezza La Libia resta in preda all’instabilità dopo lo spettro di un colpo di Stato TRIPOLI, 15. Migliaia di persone hanno manifestato ieri a Tripoli e a Bengasi contro il prolungamento del mandato del Congresso generale nazionale (il Parlamento), scaduto il 7 febbraio. Il Congresso aveva deciso di prolungare il proprio mandato fino a dicembre 2014, nonostante l’opposizione di una parte della popolazione che lo accusa di non essere in grado di ristabilire l’ordine e di mettere fine all’anarchia e alla violenza delle milizie armate. Il Congresso ha anche adottato una Road Map che prevede elezioni generali alla fine dell’anno se la Commissione costituzionale — che verrà eletta il prossimo 20 febbraio — riuscirà ad adottare un progetto di Costituzione in quattro mesi. Se la Costituente non riuscirà a rispettare tale scadenza, il Congresso organizzerà subito elezioni presidenziali e legi- I risicoltori thailandesi pronti a marciare su Bangkok Dimostranti nel centro di Tripoli (Afp) E in tutto questo scenario rimane come costante minaccia la presenza talebana. I miliziani, sottolineano gli analisti, potrebbero trarre vantaggio da una situazione così fluida e incerta per rilanciare su vasta scala la loro azione destabilizzante fatta di attacchi e imboscate. E anche oggi sul territorio afghano si sono registrate nuove violenze. Un attentatore suicida si è lanciato contro un automezzo militare, nel distretto di Khanabad, nella provincia settentrionale di Kunduz: due civili sono morti e altri otto sono rimasti feriti. Riforma della giustizia in Turchia ANKARA, 15. Il Parlamento turco ha approvato oggi il disegno di legge sulla riforma della giustizia, che mira a rafforzare il controllo della magistratura da parte del Governo. Lo riferisce la Cnn turca. La proposta era stata presentata dal partito islamico Akp del primo ministro, Recep Tayyip Erdoğan, che ha la maggioranza assoluta in Parlamento. Il progetto prevede di sottoporre il Consiglio supremo dei giudici e dei procuratori (il Csm turco) all’autorità del ministro della Giustizia. Secondo l’opposizione, la legge mira a insabbiare le inchieste aperte per corruzione contro diverse personalità politiche. Intanto, riferisce la stampa turca, i nuovi magistrati cui sono state affidate le inchieste anticorruzione dopo la rimozione dei pm titolari delle indagini iniziali, hanno ordinato la rimessa in libertà — in attesa del processo — di nove dei 52 accusati arrestati a dicembre. Fra le persone liberate c’è anche l’ex amministratore delegato della banca pubblica Halkbank, Süleyman Aslan, considerato dagli inquirenti un elemento importante della rete di corruzione legata al presunto traffico illegale di oro fra Turchia e Iran. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 4 domenica 16 febbraio 2014 Nei quadri di El Greco La grande bellezza di ANTONIO CAÑIZARES LLOVERA ono già iniziate le celebrazioni per commemorare il quarto centenario della morte di El Greco. Né la persona, né di conseguenza l’opera di El Greco possono essere separate dalla sua dimensione religiosa. Tutto in lui riflette la grandezza di un uomo spirituale con uno speciale tocco divino, capace di percepire e di plasmare, nei tratti ampi o nella stesura dei colori della sua S singolare pittura, la Suprema Bellezza, abisso infinito di armonia ineguagliabile e sovrana. In tutta la sua opera, grande e unica, rispecchiò la parte più profonda della sua anima, immagine del Creatore che la plasmò con il delicato tocco dei suoi “pennelli divini”. In essa appare sempre lo spirito sublime che ha contemplato e penetrato il Mistero, ne ha colto lo spessore e lo ha espresso con tutta l’elevazione dell’arte che scaturisce dal profondo dell’essere illuminato da questa espe- rienza che trascende lo sguardo suCome uomo dalla radicata cristiaperficiale, incapace di scalare le alte nità, e figlio del suo tempo, El Grevette dello spirito. El Greco si è im- co riflette, indivisibilmente, l’uomo, merso, con naturalezza e insieme ve- per il quale mostra una viva e singorità, nella profondità del Vangelo, lare passione. Chi non vede questa nel mistero dell’incarnazione di Dio passione nella Sepoltura del conte di fatto uomo per gli uomini e offertosi Orgaz, o nella Spoliazione di Cristo, o per loro sulla croce, o nella vittoria nell’Apostolato della sacrestia della sulla morte, così nemica dell’uomo, cattedrale toledana, o nel San Giuche la sua opera esprime con tanta seppe della stessa cattedrale? Le mabellezza e drammaticità insieme. Attraverso l’armonia di forme e colori Così, con una fede cristiana profondamente radisgorga una forza cata, ben formata e capace che non soggioga ma sostiene di rendere conto della sua verità, El Greco, in tutta la E dal centro del nostro essere sua opera pittorica, mostra appare una libertà più grande realtà fondamentali della fede e insegna, parla agli ignoranti e ai semplici dei misteri ni, gli occhi, i volti, il movimento dei più abissali, catechizza, eleva, porta corpi dei personaggi, tutto, tutta la alla contemplazione, alla meraviglia, sua opera, è espressione di come egli alla venerazione, alla preghiera nella vede l’uomo e il suo dramma: l’uosupplica e nella lode; rende conto mo che soffre e che ama, che vive il della fede e della speranza e mostra dramma dell’esistenza, il suo anelito la sinfonia e l’armonia della loro bel- di felicità, l’uomo caro a Dio, da Lui lezza, il loro radicamento e la loro espressione nella parte più viva e più genuina dell’essere umano. El Greco lo fece nel suo momento storico, ma la sua arte continua a parlare ancora oggi, con vivissima attualità, come in passato, perché a contare in essa non è la circostanza o il momento effimero che passa presto; esprime anzi realtà imperiture e lo fa a partire dal linguaggio Pubblichiamo in una nostra della “punta dell’anima”, come ditraduzione un articolo del rebbero i nostri mistici spagnoli. cardinale prefetto della Parla con i pennelli e i colori da Congregazione per il culto quel profondo centro dell’anima dodivino e la disciplina dei ve ogni uomo intende se stesso e si sacramenti, arcivescovo emerito sente coinvolto, a qualunque generadi Toledo, pubblicato su «La Razón» del 6 febbraio. zione appartenga. Nel quarto centenario della morte «San Giovanni evangelista e San Francesco» (1600 circa, particolare) Gli insediamenti dei benedettini e degli olivetani nel cuore di Roma tra di MARIA ANTONIA NO CCO XV Pianificazione territoriale Nel cuore di Roma tra i Fori e le pendici del Campidoglio si concentrano rilevanti testimonianze storiche, artistiche e architettoni- manufatti del XV-XVIII secolo illustranti che relative a santa Francesca Romana e san l’esperienza materiale e spirituale della santa Bernardo Tolomei. La religiosa romana ave- romana è collegato alla basilica e al monava fondato nel 1425 le oblate di Tor de’ stero di Santa Francesca Romana al Palatino, ovvero la sede ufficiale degli olivetani di Specchi, caratterizzate da un profondo legaBernardo Tolomei a Roma. Anch’essa conme con i valori della spiritualità benedettina serva importanti testimonianze a commemoe analogamente Bernardo Tolomei nei primi rare le azioni dei tre santi. decenni del IV secolo aveva dato vita, a SieLe strutture citate sono inoltre da porre in na, alla congregazione di Santa Maria di relazione con altre due chiese, al pari delle Monte Oliveto od olivetani, diramazione prime, geograficamente disposte tra il Foro e della Regola di san Benedetto da Norcia. il Campo Vaccino: il Santissimo Nome di L’accentramento in questa parte della città Maria alla Colonna Traiana (anticamente dedi edifici di culto, alloggi per il clero e sedi dicata a san Bernardo di Chiaravalle) e la ex di rappresentanza, incluse le innumerevoli e chiesa di Santa Maria Liberatrice, ora Santa pregiate opere d’arte in essi contenute, appartenenti all’ordine benedettino-olivetano è tale da far ipotizzare un collegamento planimetrico programmatico tra le diverse strutture. Se tale convergenza topografica può apparire dapprima una circostanza del tutto occasionale, in realtà essa trova conferma nella matrice comune della committenza di oblate e olivetani, ai quali è possibile far risalire molti degli interventi architettonici e artistici nell’area: un vero e proprio quartier generale con il monastero e la chiesa di Santa Maria Nova (l’attuale Santa Francesca Romana) da una parte, la fabbrica di Tor de’ Specchi dall’altra Giosuè Meli, «Santa Francesca Romana e l’Angelo» con il monastero e le due (Roma, chiesa di Santa Francesca Romana, XIX secolo) chiese annesse della Santissima Annunziata e Santa Maria de Curte (meglio nota nelle fonti Maria Antiqua. L’associazione tra olivetanicome Cappella di sotto), il complesso con benedettini e la chiesa del Santissimo Nome Santa Maria Liberatrice (demolita tra il 1899 di Maria è certo più contenuta rispetto ai ed il 1900 per fare emergere il sottostante due casi precedenti ma non per questo meno edificio di età bizantina di Santa Maria An- significativa: essa fu eretta difatti nel luogo tiqua) e, in parte, il Santissimo Nome di su cui sorgeva l’antica chiesa e confraternita di Sancti Bernardi ad Columnan Traiani diMaria nei pressi della Colonna Traiana. Sul portale del monastero che si affaccia strutta nel 1748; è probabile che proprio in lungo la via del Teatro di Marcello, dimora tale circostanza i cistercensi, del ramo benedelle oblate che secondo la regola benedetti- dettino, avessero stabilito di rievocare l’antina scandivano la loro esistenza tra virtù e ca dedicazione, consacrando un altare a Bercarità, tra contemplazione e dedizione al nardo di Chiaravalle, santo titolare cui era prossimo, si può ammirare un affresco del particolarmente legato Bernardo Tolomei. Proprio per la profonda devozione verso XVIII secolo, con La Madonna e il Bambino tra i santi Benedetto e Francesca Romana se- l’abate cistercense egli avrebbe sostituito il guita dall’angelo. L’opera attribuita al pittore proprio nome di battesimo, Giovanni, in tardobarocco Nicolò Ricciolini rievoca, ben- Bernardo. Per ciò che concerne il legame ché in cattivo stato di conservazione, i due con Santa Maria Liberatrice al Foro Romasanti che unitamente a san Bernardo Tolo- no, va ricordato che sulle rovine dell’antica chiesa di Santa Maria Antiqua era sorto anmei rappresentano i pilastri dell’ordine. L’intero edificio di Tor de’ Specchi inglo- ticamente un monastero che ospitava monaci bante anche le due chiesette su citate con il e monache benedettine (soprannominate consistente repertorio di dipinti, affreschi e Santuccie); a esso fu annessa in seguito una piccola cappella dedicata appunto a Maria Liberatrice che conservava anche il titolo dell’originaria chiesa di Santa Maria Antiqua. Durante gli interventi di demolizione della chiesa, le oblate si erano preoccupate del trasporto di marmi e di altri reperti storici nel monastero di Tor de’ Specchi e inoltre, tra il 1748 e il 1749 suor Anna Amidei, presidente delle oblate, aveva deciso di adornare con affreschi, stucchi, marmi e con dipinti dei pittori Lorenzo Gramiccia, Sebastiano Ceccarini ed Étienne Parrocel, la cappella consacrata a Francesca Romana in quella chiesa. Le fonti narrano che in entrambe le chiese era intervenuto anche Nicolò Ricciolini, il medesimo autore dell’affresco sul portale di Tor de’ Specchi: nella prima cappella a sinistra del Santissimo Nome di Maria aveva realizzato la bella tela con L’Apparizione della Vergine a san Bernardo mentre in Santa Maria Liberatrice viene citato in collaborazione con il padre Michelangelo che, a sua volta, avrebbe altresì licenziato delle opere per il Monastero. Nicolò è inoltre associato a Francesca Romana anche per la ristrutturazione della cappella che le era stata dedicata tra il 1611 e il 1612, in seguito alla canonizzazione, in San Bartolomeo all’Isola Tiberina, non lontano da Tor de’ Specchi. Filippo Titi narra che Nicolò aveva restaurato gli affreschi, di esito mediocre, di Antonio Carracci, autore delle scenette raffiguranti episodi della vita della Santa, ed in seguito avrebbe anche dovuto ridecorare ex novo la cappella, ma il progetto non fu mai portato a termine. Nel XVI secolo, con il concorso di nuove seguaci era nata l’esigenza di affiancare nuove strutture al monastero originario delle oblate; pertanto le religiose avevano ottenuto da Benedetto XIV la chiesa che affacciava su Campo Vaccino, vincolata alla sede di Tor de’ Specchi nel 1550, e anche un terreno contiguo su cui le osservanti avrebbero innalzato un edificio moderno. Da esso si dipartivano due strade, la via di San Teodoro e la via della Consolazione, che oltre a collegare Santa Maria Liberatrice (con la nuova struttura) al Colosseo avevano inoltre la funzione di raccordo poiché avrebbero dovuto «unirla alla sua antica sorella, la chiesa Antoniazzo Romano, di S. F. Romana»; tale e amato ed elevato, l’uomo salvato e chiamato a partecipare della sua gloria. Nella sua arte si riflette bene l’idea che «la gloria di Dio è l’uomo che vive» (sant’Ireneo di Lione). Tutta la sua opera manifesta l’uomo, mostra com’è entrato nella profondità dell’umano; ma non come lo vedrebbe il pagano o il mero umanista. C’è una notevole differenza: è quella che gli dà la visione di fede, che lo porta a guardare con uno sguardo proprio. Dietro i volti o i corpi, le mani o gli occhi, i colori o le pieghe delle vesti o il movimento dei corpi, c’è la verità che professa la sua fede al di sopra dell’uomo. Tale fe«Spoliazione di Cristo» (1577-1579 circa) de, chiaramente cristiana e cristocentrica e, proprio per questo, profondamente an- la grazia, e la bellezza ci rimanda a tropologica, umana, è la chiave fon- qualcosa di “estraneo”, di cui non damentale per addentrarsi e immer- possiamo disporre, e che tuttavia ci gersi nella ricchezza e nella grandez- attrae rasserenandoci e riconciliandoza di El Greco. Le sue opere, come ci. Là, attraverso la bellezza, sgorga altre nate dalla fede cristiana, sono una forza che non schiaccia né sogopere che non sono state spogliate — gioga, ma che sostiene. Là appare né si possono spogliare — della loro una libertà raccolta su uno sfondo aura; ancora non sono diventate, e da dove sgorga instancabilmente una non vogliamo né permettiamo che lo libertà più grande che ci libera dal diventino, per le loro qualità esteti- centro del nostro essere. Là, sopratche formali, un puro e semplice og- tutto, si fa strada la comunicazione getto del piacere, dell’erudizione de- del dono divino e dell’amore che in gli esperti, della curiosità distratta esso ci comunica; là si apre la spedei visitatori in mostre e musei. ranza e là si delinea il futuro di Laddove si trovano il sacro e il un’umanità nuova e di un’umanità credente, la bellezza è il fulgore del- con un futuro. XVIII secolo mana e ai santi dell’ordine, Bernardo Tolomei e Benedetto. In definitiva, un siffatto complesso di elementi — gli olivetani con le chiese e i monatestimonianza di Romolo Artioli, del 1900, steri appartenenti all’ordine e anche la precontribuisce ad avvalorare la proposta di senza ricorrente di alcuni artisti che gravitauna pianificata convergenza topografica tra vano intorno a tale apparato, come i pittori le diverse sedi dell’ordine benedettino-olive- Nicolò e Michelangelo Ricciolini, Lorenzo tano in Roma. Gramiccia e Sebastiano Ceccarini — si può Su tale percorso inoltre si snodava, nei sespiegare attraverso la strategia adottata concoli passati, la processione che accompagnava l’urna con le spoglie di “Ceccolella” (il giuntamente da oblate e olivetani per glorifivezzeggiativo attribuito a Francesca Roma- care i propri santi fondatori (Benedetto, na) attraverso il Campidoglio tra le due Francesca Romana e Bernardo Tolomei) anchiese a lei dedicate: il monastero di Tor de’ che attraverso una pianificazione e gestione Specchi e la basilica di Santa Maria Nova. del territorio: in particolar modo di quella Tuttavia ciò non significa che in altre aree regione, situata nel cuore della Roma antica, della città non vi fossero altri luoghi di culto che ancora custodiva le tracce dell’esistenza dedicati alla santa, in particolare, anche da terrena e degli eccezionali insegnamenti della advocata urbis. Nella stessa area inoltre L’accentramento tra i Fori e il Campidoglio gli olivetani di Santa Maria Nova mettevano in di edifici di culto e sedi di rappresentanza pratica e divulgavano con è tale da far ipotizzare amorevole religiosità e spirito caritatevole gli amuna programmazione nella disposizione maestramenti di Bernardo delle diverse strutture Tolomei. Beatificato il 25 novembre del 1644 attradifferenti ordini religiosi: negli anni tra il verso un Breve Pontificio della Sacra Con1614 ed il 1616, in seguito alla canonizzazio- gregazione dei Riti con decreto di Urbano ne del 1604, i padri trinitari avevano infatti VIII che ne riconosceva il culto ab immemoraeretto sulla strada Felice, l’attuale via Sistina, bili, il senese entrava pertanto di diritto, asun’altra chiesetta in suo onore poi demolita sieme a san Benedetto e a santa Francesca nel 1930 e co-titolata ai santi Giovanni Ne- Romana, nella pratica di culto e di diffusiopomuceno e Venceslao, ma di fatto è parti- ne iconografica promossa dall’Ordine qualcolarmente qui, in seno alla città più antica, che tempo prima della canonizzazione della che si concentravano gli edifici sacri e le santa romana (29 maggio 1608) e rinvigorita opere più rilevanti consacrate alla devota ro- in occasione della beatificazione del senese, che sarebbe poi stato canonizzato da Benedetto XVI il 26 aprile del 2009. Nella produzione di immagini che si approntavano per la dedicazione di altari, cappelle e chiese appartenenti agli olivetani, la rappresentazione di Francesca si associa di fatto a quella della Vergine Maria, di san Benedetto e del beato Bernardo Tolomei, abituali protettori della comunità religiosa di Monte Oliveto, come si può notare in particolare nella rappresentazione sul portale di Tor de’ Specchi e anche più diffusamente in numerose opere, tra tele e affreschi, presenti nella chiesa e nel monastero di Santa Francesca Romana che custodisce al suo interno una vera e propria pinacoteca a illustrare e celebrare le imprese dei tre campioni «Storie di Santa Francesca Romana» (Roma, monastero di Tor de’ Specchi, 1468) dell’ordine. L’OSSERVATORE ROMANO domenica 16 febbraio 2014 pagina 5 Cent’anni dopo la pubblicazione di «Dubliners» Quanti luoghi comuni su James Joyce di ENRICO REGGIANI er l’eredità culturale e letteraria di James Joyce (1882-1941) l’inizio del terzo millennio è stato scoppiettante e persino vulcanico. Lo dimostrano molte circostanze inconfutabili. Quando nel 2004 Stephen Joyce, nipote dello scrittore ed erede universale dei diritti d’autore derivati dalle sue opere, cercò inutilmente di impedirne la pubblica lettura durante le celebrazioni di ReJoyce Dublin P James Joyce 2004, il Parlamento irlandese approvò un disegno di legge che lo consentiva. Quando il 13 gennaio 2012 venne definitivamente disinnescato questo annoso impedimento col passaggio dei capolavori joyciani nel pubblico dominio, l’editoria italiana (ma non solo) non si fece trovare impreparata e sfornò nell’arco di pochi mesi nuove edizioni apprezzabili (su tutte, la versione dell’Ulisse a cura di Enrico Terrinoni, pubblicata da La raccolta di racconti uscì presso l’editore londinese Grant Ma solo dopo una sequenza interminabile di ben quindici rifiuti Newton Compton) e altre più scontate e talora semplicemente rifritte. Altrettanto, ovviamente, fecero le case editrici straniere con una miriade di iniziative di vario profilo e livello, tra le quali spicca nel 2013 la pubblicazione di Finn’s Hotel, dieci inedite little epics apparse per i raffinatissimi tipi di Ithys Press con un’introduzione dell’autorevolissimo Seamus Deane, ora tra i prestigiosi ispiratori del Keough-Naughton institute for Irish Studies presso la statunitense e cattolica University of Notre Dame. Il 2014 sarà un ennesimo annus mirabilis nell’esperienza contemporanea dell’eredità joyciana. Non c’è partita con il 1914 joyciano per altri pur illuminanti eventi della cultura letteraria anglofona in quello stesso anno, sia che si tratti, ad esempio, della prima rappresentazione teatrale in inglese del Pygmalion di Shaw, dell’uscita dell’antologia imagista curata da Ezra Pound o dell’edizione londinese dei racconti di The Prussian Officer and Other Stories. Sorge, tuttavia, spontaneo il seguente interrogativo: un altro centenario saprà anche offrire efficaci occasioni di approfondimento e di revisione rispetto a modalità di approccio inadeguate e ad interpretazioni spesso sclerotizzate, ideologizzate e, comunque, non più sostenibili? Proprio cent’anni fa, infatti, nel 1914, oltre ad alcune puntate di A Portrait of the Artist as a Young Man — che appariranno sulla rivista letteraria The Egoist da febbraio di quell’anno, per poi vedere la luce in forma di libro nel 1916 — uscì presso l’editore londinese Grant Richards, dopo una sequela apparentemente interminabile di quindici rifiuti, Dubliners. Questa raccolta di quindici racconti, scritti tra il 1904 ed il 1907, che costituisce con ogni probabilità l’unica e abituale esperienza joyciana dell’italico lettore medio, resta troppo spesso incatenata a una giovanile rimembranza scolastica e ad alcuni stereotipi interpretativi solo di rado superati da una più matura fruizione testuale (quella che pare non sfiorare mai Ulysses, la cui lettura è assai di frequente più snobisticamente sbandierata che praticata). Tra i più duri a morire di tali stereotipi, quelli che dipingono Joyce come ultramodernista nemico della tradizione letteraria, come individualista restio ai confronti di qualsivoglia comunità, come cosmopolita irridente le proprie radici nazionali, come ateo nemico di ogni esperienza religiosa, e così via. Eppure Joyce esplicitò chiaramente in più occasioni ciò che lo mosse nella creazione delle sue quindici stories dublinesi. Lo fece, ad esempio, in un celebre passo di una lettera all’editore Grant Richards (1906) che offre numerosi antidoti contro i tenaci stereotipi interpretativi di cui si è detto sopra: «La mia intenzione era scrivere un capitolo della storia morale del mio Paese: ho scelto Dublino come scena Richards perché quella città mi sembrava il centro della paralisi». Visto che in letteratura le parole sono pietre e che anche quelle di Joyce proiettano ricoeurianamente il suo “paradigma della condizione carnale e finita dell’uomo”, vanno ascoltate con cura e rispetto per almeno tre ragioni: perché, se si tratta di un capitolo, vuol dire che esiste un libro che lo contiene insieme alla tradizione di altre analoghe rappresentazioni letterarie; perché, se tale capitolo riguarda “il mio Paese”, significa che è data una comunità nazionale della quale vale la pena occuparsi e della quale Joyce si occuperà instancabilmente a modo suo, per tutta la sua vita e lungo tutta la sua parabola creativa; perché, se Dublino è la sineddoche urbana prescelta da Joyce per rappresentare il “mio Paese”, “nel mio specchio minuziosamente lucidato” (lettera, 1906), allora persi- Secondo un membro della presidenza dello Yad Vashem Palatucci resta Giusto tra le Nazioni David Cassuto, della presidenza dello Yad Vashem di Gerusalemme, replica alle accuse del Primo Levi Center di New York e si dice «convinto pienamente dell’eroismo e della grandezza del questore di Fiume, Giovanni Palatucci, e anche dello zio vescovo che lo aiutò a salvare gli ebrei». È quanto si legge in un articolo di Angelo Picariello pubblicato su «Avvenire» del 15 febbraio. «Non c’è nessuna novità, o presunta tale, che giustifichi un processo di revisione del riconoscimento di “Giusto fra le Nazioni” conferito a Giovanni Palatucci il 12 settembre 1990» afferma Cassuto in una lettera a Roberto Malini, storico e documentarista della Shoah, che gli aveva comunicato una sua intervista sul caso Palatucci rilasciata al portale Lo Schermo. Domande e risposte «convincono pienamente dell’eroismo e della grandezza dei Palatucci» commenta il membro della presidenza dello Yad Vashem, che associa nel giudizio la figura dello zio, monsignor Giuseppe Maria Palatucci, vescovo di Campagna, in provincia di Salerno, il quale partecipò all’opera di salvataggio «attraverso l’assistenza agli ebrei trattenuti nel campo di internamento del suo paese». no “l’anima di quella paralisi parziale [hemiplegia] o completa [paralysis] che molti considerano una città” precede qualunque ideologia cosmopolita, foss’anche solo per “lo speciale odore di corruzione che aleggia sulle mie storie” (come scrisse in alcune lettere del 1907). Le parole di Joyce vanno ascoltate con rispetto soprattutto — ed è forse questo lo stereotipo interpretativo più resistente e patologicamente recidivante — perché, se al venticinquenne cattolico irlandese James Joyce interessava scrivere «un capitolo della storia morale del mio Paese», non bisognerebbe eludere la questione della natura, delle radici e degli orizzonti di tale storia morale. Oggi, più in particolare, non se ne dovrebbe trascurare il rapporto — comunque lo si voglia aggettivare — con il cattolicesimo irlandese di quei giorni, possibilmente senza innescare pericolosi corto-circuiti tra ciò che ne dicono lo scrittore, il narratore ed i personaggi, senza interpretarli retrospettivamente sulla base di quanto si legge in opere successive e sen- za ricorrere ad armamentari critici ideologizzati e ormai spuntati. Restano, infatti, tuttora da verificare con reale acribia ermeneutica sia le matrici cattoliche di Dubliners, sia le loro innumerevoli tracce testuali, che Joyce dissemina nella sua rappresentazione della “settima città della Cristianità” e delle quali ogni lettura, anche la più distratta, non può che registrare e apprezzare l’irriducibile vitalità: tali sono, ad esempio, la sua contraddittoria popolazione di fedeli e di consacrati; il suo reticolo, moralmente intricato, di chiese, campanili, conventi, scuole, abitazioni; le sue pratiche devozionali, liturgiche, ecclesiali ed ecclesiastiche, talora improbabili ma talvolta sincere. Andrew Gibson nel 2006 e, nell’anno in corso, Enrico Terrinoni (Attraverso uno specchio oscuro. Irlanda e Inghilterra nell’Ulisse di James Joyce, Mantova, Universitas Studiorum, 2014, pagine 202, euro 14) hanno compiuto, tra gli altri, sforzi apprezzabili per riproporre l’identità irlandese di Joyce come fondamento del suo ruolo di intellettuale europeo e cosmopolita. Chi scrive auspica che il 2014 possa essere anche l’anno buono per valorizzare le peculiarità di Dubliners nel recepire il cattolicesimo romano che Joyce conobbe, senza confonderlo con quello odierno (Geert Lernout, 2010), le sue fundamental attitudes towards man (William York Tyndall, 1959) e le sue implicazioni in materia di social morality (Lee Oser, 2007). Francesco di Assisi e Ildegarda di Bingen Fiabe per grandi e per piccini dell’adulto che pure sta narrando una storia che, in altre forme, già conosceva. L’odore della bontà genera bontà, quello della fratellanza produce fratellanza, quello dell’amore crea amore. E poi non ci sono cattivi, solo uomini, donne e animali che hanno bisogno di sentire l’odore della bontà. Frugoni ha trasformato la storia di Francesco quel tanto che basta per comprenderla meglio, per adattarla a tempi che sembrano refrattari ai buoni sentimenti. L’ha davvero indirizzata solo ai bambini? Perché ci sono fiabe per bambini che è bene che leggano o rileggano i grandi. E questa è una di loro. Come lo è la storia di Ildegarda di Bingen, Ildegarda e la ricetta della creatività (Palermo, Rueballu, 2013, pagine 80, euro 16,50) di Daniela Maniscalco, illustrata da Chiara Carrer in cui si racconta ai più piccoli di una piccola monaca che entrò in convento a soli otto anni, sapeva prevedere il futuro, fu una straordinaria musicista e inventò persino una lingua per comunicare con le consorelle. Su Ildegarda sono state scritte molte biografie e molti importanti saggi per adulti. Al suo successo in libreria, ha contribuito certamente la decisione di Benedetto XVI Il lupo in un disegno di Felice Feltracco di nominarla dottore della Chiesa, oltre che si addormentò. E il vecchio lupo la sua fortissima immagine di lilo trovò solo e indifeso sul ghiac- bertà e cultura femminile. Di recio. «Gli girò intorno, e l’annusò. cente la lotta accanita di questa Sentì un odore magico, nuovissi- donna mistica, musicista, esperta mo. Non somigliava affatto al- di medicina alternativa, infaticabil’odore di carne e di sangue che le organizzatrice la cui vita è deditanto gli piaceva. Il lupo era sor- cata alla realizzazione piena del preso e sbalordito. All’improvviso disegno di Dio, è stata raccontata capì che Francesco non voleva uc- da Anna Lise Marstrand-Jugersen, ciderlo, come gli uomini che gli La sognatrice (Sonzogno, 2012). E tuttavia il libro di Daniela davano la caccia. Capì che Francesco gli avrebbe voluto bene. Si Maniscalco aggiunge qualcosa di sdraiò accanto a lui e lo riscaldò fresco e di inaspettato anche per col suo pelo». Da quel giorno chi quella storia la conosce e per stette insieme al frate, lo seguì Ildegarda nutre da tempo una sedappertutto obbediente e affettuo- greta devozione. La piccola Elisa si chiede: «Ma so, come un cane. Ma non è solo questo il lieto fi- è proprio vero che la storia della ne. C’è, infatti, una domanda che musica è popolata solo da musiciil bambino, prima impaurito, poi sti uomini?». È delusa e arrabbiata attento e incantato, fa inevitabil- perché lei vorrebbe fare la musicimente a chi gli narra la favola di sta e capisce che, se fino ad allora san Francesco e il lupo. Se il lupo non c’è riuscita nessuna donna, è seguì Francesco perché non pote- difficile che ci riesca lei. Poi incontra Ildegarda. La scova staccarsi dal suo odore, che odore era? Che cosa l’ha convinto pre in un misterioso e magico lia diventare mansueto e affettuoso bro medievale che la nonna le avee a dimenticare la cattiveria e il va proibito aprire e di sfogliare. sangue? «Era l’odore di un uomo Lei, invece, non sa resistere alla tentazione, disobbedisce e dal libuono», spiega il narratore. Il messaggio arriva diritto e cen- bro emerge la monaca con un abitra in pieno il cuore del piccolo, to lungo fino ai piedi, le scarpe a ma inevitabilmente anche quello punta e tante cose nuove e strane di RITANNA ARMENI La storia di san Francesco e il lupo si può raccontare ai bambini anche dalla parte del lupo. Lo fa Chiara Frugoni, storica medievista, una vita dedicata alla ricerca su Francesco e Chiara, nello splendido volume San Francesco e il lupo. Un’altra storia (Milano, Feltrinelli, 2013, pagine 32, euro 15), con illustrazioni di Felice Feltracco. Il lupo — racconta — non è cattivo, è solo vecchio, malato, è stato cacciato perché troppo debole dagli altri lupi più giovani e forti e ha bisogno di mangiare. Francesco lo cerca per parlargli, per convincerlo a non fare del male. Per questo il frate vagò tanto nei boschi, sotto la neve, finché esausto da raccontarle. Elisa è salva, può dire con orgoglio alla maestra: «Non è vero che tutte le donne medievali vivevano nei castelli e trascorrevano il tempo ricamando, o erano serve della gleba o coltivavano i campi, c’era anche una musicista famosissima, Ildegarda von Bingen che ha scritto centinaia di inni». Elisa conosce Ildegarda, deve conoscerla a fondo perché altrimenti la monaca non rientrerà nel libro e la storia senza di lei si fermerà. Per questo entra nel suo mondo fatto di musica, sensibilità, cultura, e soprattutto tantissima creatività in tutti i campi della conoscenza. Ildegarda insegna a Elisa che le idee sono dappertutto. «Possono nascere — conclude felice la bambina — guardando gli amici o la maestra, passeggiando, sfogliando dei libri. E la mia vita si è riempita di musica! Sento note dappertutto: il parabrezza in movimento suona una canzone, gli insetti in giardino ballano un valzer, la catena della mia bicicletta canta un allegro motivetto. Persino lo sfrigolio Ildegarda disegnata da Chiara Carrer delle uova nella padella calda produce dei suoni armoniosi. Basta saperli ascoltare». Basta ascoltare Ildegarda. Anche chi è adulto è preso da un inspiegabile entusiasmo. La cattura di Adolf Eichmann raccontata ai ragazzi La Storia nella sua complessità di GIULIA GALEOTTI Insegnando la storia a scuola, specie negli anni dell’obbligo, si corre spesso il rischio di presentare fatti, eventi, passaggi e snodi in compartimenti stagni. Come se, girando la pagina tra un capitolo e l’altro, avanzando di anni e attraversando frontiere, mancassero raccordi saldi, capaci di ripercorrere la tela che si dipana tra l’altro ieri e ieri, tra qui e lì. Per questo è interessante il romanzo per ragazzi di Neal Bascomb, Nazi Hunters (Firenze, Giunti, 2014, pagine 220, euro 9,90), che — ripercorrendo l’avventurosa cattura di Adolf Eichmann — racconta la Shoah, il problema del ritorno alla normalità per vincitori e vinti, vittime e carnefici, i complessi assetti edificati dalla guerra fredda, i rapporti di opportunità e calcolo tra Paesi, il confine tra memoria e ossessione, tra vendetta e giustizia. Sedici anni dopo essere svanito nel nulla, Adolf Eichmann viene rapito alla fermata di un autobus in Argen- tina da un gruppo scelto di agenti segreti. Trasportato di nascosto in Israele, sarà oggetto di uno dei processi più significativi contro criminali nazisti. Bascomb — giornalista e saggista autore del best seller per adulti Hunting Eichmann (2009) — racconta qui, a un pubblico di giovanissimi, come tutto ciò sia avvenuto: il sopravvissuto Simon Wiesenthal riapre il caso Eichmann, un argentino cieco e la figlia adolescente forniscono preziose informazioni, un gruppo di agenti segreti — tratteggiati con poche ma efficaci pennellate — parte da Israele per effettuare il rapimento. Attraverso l’avventuroso romanzo storico, il giovane lettore scopre aspetti meno noti della storia. La psicologia dei nazisti; il destino di molti gerarchi a fine guerra, e la complicità di tante autorità internazionali nella loro fuga all’estero; il disinteresse dei Paesi sulla caccia; l’impegno di Israele affinché l’Olocausto non venisse dimenticato; la fatica che è stata fatta per ricordare, e per tramandare. Per fare memoria. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 6 domenica 16 febbraio 2014 Ultimata dopo trent’anni la traduzione del testo sacro in lingua locale Appello alla comunità internazionale dell’arcivescovo di Bangui La Bibbia che parla al Benin Nella Repubblica Centroafricana l’ombra del genocidio di JEAN-BAPTISTE SOUROU Ci sono voluti ben trent’anni, tanta pazienza e molta perseveranza per vedere la Bibbia tradotta anche nella lingua fon. Il fon, proveniente principalmente dal centro-sud del Benin, oltre al francese che è la lingua ufficiale, è uno degli idiomi più popolari e più usati nel Paese africano, anche perché molti commercianti e lavoratori del sud che emigrano verso il nord portano con sé la loro lingua e la loro cultura. Senza dire, poi, che la maggior parte delle istituzioni statali di formazione, di educazione, di economia, di sviluppo e di cura fino a poco tempo fa avevano base nel sud del Paese, dove appunto domina il fon, per cui prima o poi, anche gli abitanti del nord erano in qualche modo “costretti” a impararlo. Il fon è anche la lingua liturgica in uso nelle diocesi di Cotonou e di Abomey. Per cui la si potrebbe davvero considerare come la seconda lingua per importanza dopo il francese. E visto che pochi parlano e leggono il francese, una traduzione in fon dei testi biblici era quanto mai attesa. Si capisce allora la gioia e l’entusiasmo delle migliaia di fedeli, religiose e religiosi, sacerdoti, autorità civili e militari venuti domenica 2 febbraio, solennità della Presentazione del Signore, nel palazzetto dello sport di Cotonou, dovè è stata presentata la prima versione della Bibbia in fon interamente tradotta in Benin da una squadra di biblisti di tutte le confessioni cristiane. Infatti, l’idea è partita dall’Alliance Biblique du Bénin che aveva già tradotto i testi sacri in altre lingue locali. Essa ha allora voluto unire tutte le Chiese e le comunità ecclesiali per avere una versione completa della Bibbia in fon, una versione interconfessionale. Secondo il progetto, ogni Chiesa e comunità ecclesiale doveva dare il suo contributo. Ma dopo cinque anni, niente o quasi nulla era stato fatto. Gli incontri si sono moltiplicati, in seguito. Ci è voluto allora coraggio, tanta motivazione e aiuto reciproco per superare le difficoltà. Gli scogli principali erano le espressioni proprie a ciascuna Chiesa e comunità, e il tempo necessario per la concessione degli imprimatur. Ma dopo trent’anni, la Bibbia in fon è una realtà. E tra i membri dell’équipe dei traduttori molti hanno confidato che «è stato bello aver lavorato con i fratelli delle altre Chiese». Il momento più bello, della cerimonia di domenica 2 febbraio è stato quando i volumi sono stati sco- perti dal rappresentante della Società bibblica olandese, assieme al pastore Daniel Hounzandji, direttore dell’Alleanza biblica del Benin, e da monsignor Clet Feliho, vescovo di Kandi e presidente della Commissione episcopale per l’ecumenismo. La Bibbia in fon è stata realizzata in lingua corrente, con un vocabolario e una grammatica semplici per facilitarne l’uso ai fedeli. Essa esiste in due versioni: una con i libri deuterocanonici e l’altra senza questi. «È una grande sfida che dovevamo affrontare. È una questione d’onore, di maturità per la Chiesa in Benin. La Parola ci è stata portata centocinquanta anni fa e non siamo stati capaci fin d’ora di tradurla nella nostra lingua. Non l’avevamo allora ancora ben accolta, al punto di appropiarcene, di tradurla nella nostra lingua», ha dichiarato il coordinatore dei lavori di traduzione per la Chiesa cattolica, padre Victor Noël Sogni. L’Alleanza biblica in Benin lavora per rendere la Parola di Dio accessibile a tutti, traducendola nelle lingue locali più popolari e si impegna anche a organizzare delle vere e proprie campagne di alfabetizzazione perché se la gente non sa leggere e scrivere, non serve a niente tradurre i testi sacri. Il Consiglio ecumenico delle Chiese contro l’utilizzo dei droni Una seria minaccia per l’umanità GINEVRA, 15. Il Comitato esecutivo del Consiglio ecumenico delle Chiese (Cec o World Council of Churches) ha condannato l’uso dei droni o Unmanned Aerial Vehicles (gli aerei armati senza pilota comandati a distanza) poiché rappresentano «una seria minaccia per l’umanità e il diritto alla vita e creano pericolosi precedenti nelle relazioni tra gli Stati». Queste preoccupazioni sono state espresse nella dichiarazione conclusiva del comitato del Cec riunitosi nei giorni scorsi presso il Centro ecumenico di Bossey, in Svizzera. Nel comunicato viene sottolineato che l’uso della tecnologia Uav attualmente sta permettendo a Paesi come gli Stati Uniti, Israele, Russia e Regno Unito, ad andare verso sistemi sofisticati che danno la piena autonomia di combattimento a delle macchine telecomandate. L’uso dei droni, apparsi per la prima volta nella guerra dei Balcani, è andato via via aumentando in Afghanistan, Iraq, Yemen, Somalia e più recentemente in Pakistan. Il Comitato esecutivo del Consiglio ecumenico delle Chiese, pertanto, ha esortato i Governi a «rispettare e a riconoscere il dovere di proteggere il diritto alla vita dei loro cittadini e di opporsi alla violazione dei diritti umani», mentre ha invitato la comunità internazionale a «opporsi alle politiche e alle pratiche illegittime». Nella dichiarazione, inoltre, il Cec lancia un appello al Governo degli Stati Uniti affinché garantisca la giustizia alle vittime di attacchi con i droni e fornisca un accesso immediato ed efficace alle procedure di risarcimento e una protezione adeguata per la riabilitazione delle vittime degli attacchi. Lo scorso novembre anche l’arcivescovo Silvano Maria Tomasi, Rappresentante Permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite e altre Organizzazioni internazionali a Ginevra, in occasione dell’incontro annuale degli Stati Parte della Convenzione sull’interdizione e limitazione dell’uso di alcune armi convenzionali che possono produrre effetti traumatici eccessivi o indiscriminati (Ccw), ha espresso preoccupazione sull’utilizzo dei droni. «Negli ultimi anni — ha dichiarato l’ar- civescovo — l’uso di droni armati nei conflitti armati e in altre azioni ostili internazionali è aumentato in modo esponenziale. Per alcuni di coloro che prendono le decisioni, i fattori sociali, politici, economici e militari possono anche aver modificato l’equazione riguardo all’uso dei droni armati, ma le preoccupazioni etiche e umanitarie continuano a essere grandi e, di fatto, si sono fatte più pressanti con l’aumento del loro impiego». BANGUI, 15. Nella Repubblica Centroafricana il rischio che si arrivi al genocidio è imminente. Ne è fermamente convinto l’arcivescovo di Bangui, monsignor Dieudonné Nzapalainga, che in diverse occasioni ha lanciato un appello alla comunità internazionale e alle Nazioni Unite affinché si intervenga al più presto per fermare l’ondata di violenza nel Paese africano. «Con appena quattro-cinquemila soldati — ha spiegato il presule alla Fondazione di diritto pontificio, Aiuto alla Chiesa che Soffre (Acs) — è impossibile restaurare la pace nell’intero Paese. Per proteggere la popolazione servono più uomini. La crisi ha ormai raggiunto proporzioni drammatiche e in Centroafrica potrebbero regnare definitivamente il caos, l’anarchia e il disordine totale». Monsignor Nzapalainga ha raccontato di un suo recente viaggio a Bodango, un piccolo villaggio a 190 chilometri dalla capitale Bangui. Arrivato sul luogo, il presule si è reso conto che erano scomparsi circa duecento musulmani che abitavano il piccolo centro e ha chiesto ad alcuni militanti anti-balaka cosa fosse successo. «Mi hanno risposto che erano stati cacciati e si erano trasferiti nella capitale. Ma come potevano camminare per quasi duecento chilometri con donne, anziani e bambini? È chiaro che è andata diversamente». L’arcivescovo ha sottolineato come, a differenza di quanto diffuso dai media internazionali, gli anti-balaka — che in lingua sango significa anti-machete — non sono milizie cristiane. Un’estraneità più volte affermata dall’episcopato locale e ribadita nei giorni scorsi anche dal vescovo di Bangassou, monsignor Juan José Aguirre Muñoz. «Nessuna milizia cristiana — ha dichiarato il presule — sta uccidendo i musulmani in Centroafrica. Gli anti-balaka sono dei cittadini traumatizzati ed esaltati, che dopo aver subito per un anno violenze e soprusi da parte della Seleka, hanno deciso di vendicarsi riversando il proprio odio contro la coalizione e contro i centrafricani di fede islamica che l’hanno sostenuta». Intanto la popolazione continua a vivere nel terrore e ad assistere a scene che, ha sottolineato monsignor Nzapalainga, «ricordano il genocidio in Rwanda». L’arcivescovo si riferisce a quanto accaduto a Bohong, il piccolo villaggio cristiano a quindici chilometri da Bouar attaccato dalla Seleka l’estate scorsa. «Persone arse vive, case bruciate, teschi e ossa abbandonati tra le ceneri. Avevo visto simili crudeltà — ha raccontato — solo nei documentari sull’olocausto rwandese. Oggi, il diavolo vive nel nostro Paese e se nessuno tratterrà la sua mano, il maligno riuscirà a raggiungere il suo obiettivo: uccidere e distruggere». La presenza dei missionari è uno dei pochi aiuti rimasti ai centrafricani. «Loro hanno scelto di rimanere, non sono stati costretti. E nel coraggio di questi religiosi i centrafricani possono intravedere una luce nel buio della notte. Perché se i missionari sono ancora in Centrafrica, vuol dire che c’è ancora speranza». Secondo padre Federico Trinchero, missionario carmelitano scalzo, superiore e maestro degli studenti nel convento Notre Dame du Mont Carmel di Bangui, «la follia della guerra non ha risparmiato neppure le famiglie dei miei confratelli: a qualcuno è stato ucciso un parente, a qualcun altro è stata bruciata o saccheggiata la casa. Se i seleka, e chi li ha sostenuti, sono indubbiamente all’origine della situazione in cui ci troviamo — ha dichiarato a Fides — gli anti-balaka hanno dimostrato una violenza pari, se non superiore, a chi li ha preceduti e provocati. Gli anti-balaka, che non sono musulmani, non possono dirsi cristiani. Se lo erano, le loro azioni dicono il contrario. Più volte i vescovi hanno denunciato questa violenta reazione popolare, che i media hanno frettolosamente interpretato come cristiana. Ma, poiché non sono musulmani — continua — la confusione è stata inevitabile. Ci consola la consapevolezza che, sebbene tutto ciò sia una vergogna sono stati centinaia, forse migliaia, i musulmani che hanno trovato rifugio nelle parrocchie e nei conventi sparsi nel Paese, salvandosi letteralmente la vita. Ma l’esodo di questa minoranza è ormai cominciato. Tantissimi musulmani sono stati costretti a lasciare il Paese, pur essendo nati qui. A ciò si aggiunge un effetto collaterale che renderà ancora più difficile la già fragile economia centroafricana. Le poche attività commerciali erano infatti in mano ai musulmani. Il futuro del Centroafrica, anche quello economico, è quindi una vera incognita». Intanto, l’elezione del nuovo presidente della Repubblica Centroafricana, Cathérine Samba Panza, avvenuta il 20 gennaio scorso, ha dato un segnale di distensione poiché, a differenza di chi l’ha preceduta, gode del favore popolare. Lettera pastorale della conferenza episcopale in vista delle elezioni generali Il Sud Africa e il dono prezioso della democrazia PRETORIA, 15. «Venti anni di democrazia. Il popolo di Dio e tutti gli uomini di buona volontà» è il titolo della lettera pastorale diffusa nei giorni scorsi dalla Conferenza episcopale del Sud Africa in occasione del ventesimo anniversario dell’affermarsi della democrazia nel Paese e in vista delle elezioni generali che si terranno il 7 maggio. Il documento sottolinea il valore del processo democratico, definito dai vescovi “un tesoro”, grazie al quale si sono potuti promuovere «i diritti di tutti e restaurare la dignità della maggioranza della popolazione, negata dall’Apartheid». I presuli — riferisce Radio Vaticana — hanno inoltre elogiato «il miglioramento delle condizioni di vita della popolazione apportato dalla democrazia» e riscontrabile nello sviluppo delle infrastrutture e dei servizi forniti dallo Stato, così come nell’attenzione alla situazione sociale. Tuttavia, a due decenni dall’inizio del processo democratico, il Sud Africa — fanno notare i vescovi — non conta solo le luci, ma anche le ombre. «Molte persone vivono ancora in condizioni intollerabili», scrivono i presuli, denunciando lo scarso valore che viene dato alla vita umana, la presenza di atteggiamenti e comportamenti razzisti, «l’orrore degli abusi su minori e anziani, i rapimenti e le violenze domestiche». Di qui, l’esortazione a «ricostruire il Paese secondo i valori del Vangelo, lavorando tutti insieme allo sradicamento dei crimini, del traffico di droga e della tratta di esseri umani per rendere il Sud Africa ospitale e bandire così la xenofobia ed il razzismo». Due i principi ai quali fare riferimento, hanno affermato ancora i vescovi sudafricani, ovvero «trasparenza e responsabilità. Dobbiamo essere in grado — sostengono — di considerarci responsabili gli uni rispetto agli altri della nostra libertà e dell’uso delle risorse del nostro Paese». Altrettanto senso di responsabilità viene richiesto alle forze dell’ordine, affinché «combattano il crimine, agli insegnanti perché formino i loro alunni, ai genitori affinché amino e abbiano cura dei loro figli, e ai sacerdoti e religiosi affinché provvedano alla crescita spirituale della popolazione». Il tutto nell’ottica «della dignità e del rispetto reciproco». Il processo democratico, ribadisce ancora la Conferenza episcopale sudafricana, non riguarda solo i leader politici, ma «richiede il coinvolgimento di ciascuno affinché dia il suo contributo, anche grazie alle associazioni civili ed ecclesiali». Inoltre, in vista delle elezioni, i vescovi indicano, nella lettera, alcuni criteri in base ai quali i fedeli sono invitati a scegliere come votare: sacralità della vita e dignità di ogni essere umano; sostegno al matrimonio e alla famiglia; responsabilità sociale e rispetto del bene comune; equa condivisione delle risorse e della ricchezza; solidarietà con i poveri e gli emarginati. Il testo insiste in particolare su questo ultimo punto, invitando «a votare per i partiti le cui politiche siano autenticamente al servizio di tutti e in particolare dei più poveri e vulnerabili. Dobbiamo respingere ogni forma di avidità, di etnicità, di corruzione e di arricchimento illecito». Infine, i vescovi invitano a rendere grazie a Dio «per il prezioso dono della democrazia e a pregare per il Paese. Possano le scelte che facciamo portare speranza ai poveri, unità a tutto il nostro popolo e un futuro sicuro e pacifico per nostri figli». La Nigeria e i pregiudizi anticristiani ABUJA, 15. «Non dobbiamo essere fagocitati dalle imposizioni dispotiche di alcuni Governi o di alcune organizzazioni non governative che vogliono dettare le tendenze morali mondiali basate sui loro valori laicisti». È quanto ha dichiarato monsignor Ignatius Ayau Kaigama, arcivescovo di Jos e presidente della Conferenza episcopale della Nigeria, durante il seminario di lavoro dei medici e degli infermieri cattolici. Il presule — riferisce Fides — ha sottolineato che spesso le critiche alla posizione della Chiesa cattolica su tematiche relative alla difesa della vita e alla morale sessuale derivano da posizioni pregiudiziali, frutto della scarsa conoscenza degli insegnamenti cattolici. «La Chiesa — ha detto — è di frequente giudicata da persone alle quali non interessa conoscere quello in cui realmente crede. I pregiudizi hanno reso ciechi i critici della Chiesa, per cui molti di loro non sono in grado di essere obiettivi sulle tradizioni e sulle credenze dei cattolici. Senza un discernimento culturale o intellettuale corriamo il rischio di perdere i nostri valori». L’OSSERVATORE ROMANO domenica 16 febbraio 2014 pagina 7 Per l’arcivescovo di Cali va aperto un tavolo di negoziati anche con l’Eln Appello dei presuli del Venezuela dopo le sanguinose manifestazioni di protesta In Colombia la pace deve coinvolgere tutti Il dialogo è la chiave di volta BO GOTÁ, 15. Potrebbe avere effetti positivi l’eventuale coinvolgimento dell’Esercito di liberazione nazionale (Eln) nei negoziati di pace fra il Governo colombiano e le Forze armate rivoluzionarie (Farc) da tempo in corso a L’Avana. Ne è convinto l’arcivescovo di Cali, Darío de Jesús Monsalve Mejía, il quale alla stampa — secondo una nota inviata all’agenzia Fides — ha spiegato che in questi ultimi giorni sono apparsi elementi molto importanti da considerare. Il presule ha partecipato, come rappresentante della Conferenza episcopale colombiana, a diverse trattative per la liberazione dei rapiti dai guerriglieri dell’Eln e si è sempre espresso positivamente sui negoziati di pace: «Ho sentito che c’è disponibilità dalle parti. Il presidente della Repubblica Juan Manuel Santos è venuto a parlare con noi durante l’assemblea della Conferenza episcopale e ha ribadito la sua convinzione in questo dialogo». Per monsignor Monsalve Mejía, l’Esercito di liberazione nazionale avrebbe già definito alcuni punti per una possibile agenda di accordo, «soprattutto nel settore delle miniere, dell’energia e dell’ambiente. Credo sia essenziale — ha osservato — che l’Eln entri in questo processo di dialogo con un tavolo separato e che dovrebbe anche aumentare la partecipazione dei cittadini». Va letta alla luce di questi spiragli di pace l’iniziativa della Comunità di Sant’Egidio che ha lanciato un appello per il rilancio del dialogo fra Governo colombiano e gruppi guerriglieri. «I colombiani — si legge nel documento — si trovano di fronte a una storica svolta: mettere fine alla guerra una volta per tutte o continuare a soffrire per un conflitto sanguinoso che va avanti da 50 anni. In realtà tutti i colombiani, uomini e donne, bambini e anziani, ricchi e poveri, sono vittime di un conflitto che ha oltrepassato ogni limite. Accogliamo con favore il fatto che l’attuale governo e la guerriglia abbiano deciso di cercare formule di intesa per una soluzione negoziale a questo lungo e inutile scontro. Il dialogo è la via per porre fine al conflitto». La pace è possibile: «Ne è dimostrazione l’accordo raggiunto pochi giorni fa sul secondo punto dell’agenda a proposito della partecipazione politica. Siamo certi che l’amore per il Paese e per il suo futuro permetterà loro di trovare soluzioni giuste ed eque per risolvere i contrasti, riunire l’unica famiglia colombiana e offrire alle giovani generazioni il futuro che meritano». L’appello è stato sottoscritto da numerose personalità. La Chiesa e il dramma dei bambini soldato Una realtà invisibile MADRID, 15. «Nella milizia avevo tutto quello che volevo: ragazze, tabacco, alcol». A parlare è un congolese di 14 anni, che attualmente si trova in un centro salesiano per il reinserimento nella società civile. Si è lasciato alle spalle l’orrore delle armi. Ma ci sono ancora trecentomila bambini — si legge in un comunicato della procura missionaria salesiana di Madrid — che non hanno avuto la fortuna di essere liberati. Per le Nazioni Unite è da considerare un bambino soldato ciascuna persona sotto i 18 anni di età che fa parte di qualsiasi tipo di forze armate, regolari o irregolari, con qualsivoglia mansione. Non si parla, quindi, soltanto di bambini che brandiscono le armi, ma anche di cuochi, di facchini, di messaggeri e di ragazze reclutate per scopi sessuali. La relazione dell’Assemblea generale del Consiglio di sicurezza dell’Onu del maggio 2013 indica che, allo stato attuale, cinquanta gruppi armati e otto Governi reclutano o utilizzano i bambini nei contesti di ostilità, senza contare quelli che sono integrati nelle milizie a sostegno dei Governi. È abbastanza evidente che quando sorge un conflitto i minori sono una facile risorsa, «una forza militare molto economica — spiegano nel centro Don Bosco di Goma Ngangi, nella Repubblica Democratica del Congo — e obbediente. I bambini non pensano alle conseguenze delle loro azioni in guerra, mangiano poco e sono facili da sostituire». Ogni anno, migliaia di bambini, bambine e giovani vengono sradicati con violenza dalle loro case e trovano nella milizia una sorta di “famiglia”. Tra i motivi che spingono i bambini verso l’arruolamento ci sono la povertà, la disgregazione familiare, l’abbando- no scolastico, l’abuso, i sequestri. Il lavoro di riabilitazione non consiste solo nel curare le ferite attraverso il reinserimento nella società, come fa, ad esempio, l’opera Ciudad Don Bosco di Medellin, che nei suoi die- ci anni di vita ha riabilitato 280 bambini ex-guerriglieri; si tratta anche di lavorare sulla prevenzione, fornire ai minori e alle loro famiglie un’educazione integrale, fondata sull’amore e il rispetto. CARACAS, 15. La Chiesa in Venezuela condanna in maniera netta il clima di violenza che attraversa il Paese, ma chiede allo stesso tempo che il Governo ascolti la voce della protesta. È quanto ha ribadito il presidente dell’episcopato venezuelano, l’arcivescovo di Cumaná, Diego Rafael Padrón Sánchez, che, in particolare, ha stigmatizzato con decisione l’uccisione di tre manifestanti, avvenuta nel corso delle recenti proteste contro il Governo del presidente Nicolás Maduro. «Ciò che è accaduto è molto triste e va rifiutato», ha detto il presule. Una dichiarazione che ha preceduto di poche ore un comunicato diffuso dal consiglio di presidenza dell’episcopato dal titolo «Costruire la pace ed evitare la violenza», nel quale si esprime «profonda preoccupazione per il crescente clima di tensione», si «rifiuta ogni tipo di violenza», ribadendo al contempo «il diritto di protesta pacifica, così come il diritto alla libertà di espressione e di informazione», indicati come «valori sociali essenziali per l’esercizio di una vera democrazia». Mercoledì 12, come è noto, migliaia di venezuelani si erano riuniti in diverse zone della capitale per celebrare il duecentesimo anniversario della Battaglia della Vittoria, manifestazione che ricorda la guerra di indipendenza del Paese. Lo stesso giorno è stata celebrata anche la Giornata della Gioventù, per rendere omaggio ai giovani che sono morti durante il conflitto. La commemorazione è però diventata l’occasione per una protesta generale in difesa dei diritti umani, con l’accusa rivolta al presidente Maduro di reprimere le dimostrazioni contro il governo. I manifestanti criticavano l’uso delle armi da fuoco da parte della polizia e il ricorso alla legge antiterrorismo per fermare gli attivisti, violando così il diritto costituzionale alle proteste pacifiche. In merito a questi eventi, il presidente della Conferenza episcopale venezuelana ha affermato che questo «è il momento opportuno per tutti i venezuelani di riflettere e mobilitarsi a favore della pace». Infatti, «lo stato di violenza al quale siamo arrivati», spinge a rinnovare, «ancora una volta, un appello serio, molto forte, alla riconciliazione e al reciproco riconoscimento. Senza queste condizioni non vi sarà dialogo e dunque neanche pace». Per il presidente dell’episcopato venezuelano, «il dialogo è una chiave che apre le porte, che abbassa le tensioni e consente di trovare accordi e coincidenze tra tutti, che certamente ci sono». Secondo l’arcivescovo Padrón Sánchez, non seguire questa strada significa approfondire «la polarizzazione». Di qui anche la richiesta, rivolta allo stesso presidente Maduro, di «dare ascolto al popolo che protesta», perché «non possiamo avere un Governo che non ascolta la sua gente», ha sottolineato il presule, che è poi tornato a elencare i molti problemi del Pae- Nelle Filippine una campagna quaresimale in favore dei più poveri Digiunare per nutrire MANILA, 15. La quaresima può essere l’occasione per aiutare e sfamare gli almeno 250.000 bambini malnutriti che vivono in tutto l’arcipelago filippino. È quanto ha detto il cardinale arcivescovo di Manila, Luis Antonio G. Tagle, in vista del prossimo mercoledì delle Ceneri — giorno in cui la Chiesa tradizionalmente osserva il digiuno — perché il denaro risparmiato venga utilizzato in iniziative di solidarietà. In particolare, le parole del porporato si ricollegano all’iniziativa di Pondo ng Pinoy, ente caritativo fondato anni fa dal cardinale Gaudencio B. Rosales, attuale arcivescovo emerito di Manila, che ha lanciato una campagna di raccolta fondi, con l’obiettivo di raccogliere denaro sufficiente per sfamare almeno 250.000 bambini filippini. Soprannominata Fast2Feed (digiunare per nutrire), l’iniziativa si rivolge ai fedeli chiedendo loro di donare il denaro risparmiato per l’acquisto di cibo il prossimo 5 marzo, mercoledì delle Ceneri. In prima fila a promuovere il progetto vi è, appunto, il cardinale arcivescovo della capitale, il quale — come riferisce l’agenzia AsiaNews — ha invitato la comunità a donare fondi a favore dei bambini malnutriti. Particolare attenzione è dedicata ai minori che vivono nelle aree colpite da terremoti o dal passaggio del tifone Yolanda nel novembre scorso. Il cardinale Tagle, che presiede la fondazione Pondo ng Pinoy, chiamata a verificare l’attuazione del programma di aiuti Hapag Asa, ha sottolineato che almeno 50.000 dei 250.000 bambini sfamati con i fondi raccolti «provengono da aree segnate dalle calamità naturali». Per alleviare le sofferenze dei bambini malnutriti, Hapag Asa cerca di intensificare le campagne di raccolta fondi coinvolgendo le diocesi interessate. Il progetto riguarda bambini di età compresa fra i sei mesi e i dodici anni; essi ricevono una volta al giorno, per cinque giorni a settimana, generi alimentari e di conforto, per un totale di almeno sei mesi. Il co- sto semestrale è di 1.200 pesos (poco più di 26 dollari) per bambino. Oltre al cibo per i bambini, il programma fornisce anche nozioni e corsi ai genitori, per insegnare loro come nutrire al meglio i loro figli. Essi ricevono pure informazioni e competenze di base per poter ottenere un impiego o avviare un’attività propria. Istituito nel 2004 dall’allora arcivescovo di Manila, il Pondo ng Pinoy ha dato ai filippini l’opportunità di mettere a disposizione le proprie risorse in favore dei meno fortunati. Secondo gli ultimi rapporti, nell’anno fiscale 2012-2013, il programma ha raccolto un totale di 15,8 milioni di pesos, circa 280.000 euro. La maggior parte delle donazioni è giunta dalle parrocchie dell’area metropolitana di Manila, seguita da quelle di Malolos e Antipolos. L’iniziativa della Chiesa incoraggia la gente a donare 25 centesimi al giorno nelle varie parrocchie e scuole, ed è una prova continua della generosità del popolo filippino. se, peraltro già denunciati nel corso della plenaria dell’episcopato dello scorso gennaio: la situazione di crisi e di paura in cui vive la popolazione; la mancanza di generi alimentari, anche quelli minimi necessari; la corruzione e lo scontro polarizzato dei gruppi politici. Infine, monsignor Padrón Sánchez, che ha difeso la marcia dei giovani perché legittima e pacifica, ha denunciato l’esistenza di «piccolo gruppi violenti che occorre individuare, disarmare e arrestare». Il tema della violenza e della necessità di una aprire una fruttuosa stagione di dialogo tra Governo e opposizione era stato affrontato dall’episcopato anche nel corso della plenaria dello scorso mese di luglio. «Siamo tutti coinvolti — si legge nel documento dei vescovi — nel costruire il bene del Paese. E tutti dobbiamo risolvere i principali problemi, come l’insicurezza, e lavorare per tutto ciò che riguarda la qualità della vita». In quella occasione, i presuli avevano anche ricevuto la visita del ministro degli Interni e della Giustizia, Miguel Rodríguez Torres, al quale avevano assicurato, da A venti anni dalla morte La Francia ricorda il cardinale François Marty PARIGI, 15. Aveva una preoccupazione speciale per la gente delle “periferie”: il 24 dicembre 1970, mentre lo si attendeva per celebrare la messa di mezzanotte nella cattedrale di Notre-Dame, si attardò per condividere un piatto di maiale e crauti con ottocento senzatetto. Era di una gioiosa semplicità ma anche di una grande audacia missionaria. Amava telefonare direttamente ed era chiamato spesso da Paolo VI (che lo aveva creato cardinale il 28 aprile 1969) e poi da Giovanni Paolo II per essere consultato sulla situazione nella “sua” Chiesa. La Francia — riferisce il quotidiano «la Croix» nell’edizione di venerdì 14 febbraio — ricorda domani il ventesimo anniversario della morte del cardinale François Marty, avvenuta il 16 febbraio 1994, all’età di quasi 90 anni. Una morte tragica: a bordo della Citroën 2 cv che i fedeli parigini gli avevano regalato quando lasciò la guida dell’arcidiocesi, restò intrappolato in un passaggio a livello in località Monteils di Villefranche-de-Rouergue (vicino al convento dei domenicani dove viveva) e venne investito da un treno. Marty fu prelato della Mission de France, arcivescovo di Parigi dal 26 marzo 1968 al 31 gennaio 1981 e presidente della Conferenza episcopale dal 1969 al 1975. Celebre un suo appello alla pace e all’unità lanciato, il 25 maggio 1968, durante una trasmissione televisiva. Le Fraternità monastiche di Gerusalemme gli dedicheranno domani una giornata con conferenze e testimonianze, mentre il 14, 15 e 16 marzo Rodez (la diocesi dove nacque e dove è sepolto) ha organizzato un convegno dal titolo «François Marty e il concilio Vaticano II». parte della Chiesa cattolica, il desiderio di dare un contributo significativo al Plan Patria Segura e alla missione A Toda Vida Venezuela. «Abbiamo affrontato la questione della sicurezza, del recupero delle armi illegali, dei prigionieri e degli esiliati politici», spiegò allora il presidente dell’episcopato. Nel documento finale, i vescovi, inoltre, avevano fatto riferimento a una loro precedente dichiarazione del 17 aprile 2013, in occasione dei risultati elettorali presidenziali, a seguito dei quali scoppiarono disordini nel Paese con la morte di sette persone e numerosi arresti. «Esortiamo i leader politici e sociali — si legge in quella dichiarazione dell’aprile scorso — a non usare un linguaggio offensivo, denigratorio e provocatorio. Al fine di evitare scontri per le strade che spesso si traducono in violenza e talvolta nella morte di persone. Come cristiani siamo tenuti a stare dalla parte dei più deboli, dobbiamo perdonare e lottare per fare prevalere l’unione sulla divisione, l’amore sull’odio, la pace sulla violenza». A Tv2000 e RadioinBlu cambio al vertice ROMA, 15. Cambio al vertice di Tv2000 e RadioinBlu, rispettivamente emittente e radio promosse dalla Conferenza episcopale italiana (Cei): è stato infatti nominato ieri direttore ad interim monsignor Francesco Ceriotti, che sostituisce Dino Boffo, in carica dal 2010. Per lunghi anni monsignor Ceriotti ha diretto l’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali della Cei. Lutto nell’episcopato Monsignor Francisco José Arnáiz Zarandona, della Compagnia di Gesù, già vescovo ausiliare di Santo Domingo, nella Repubblica Dominicana, è morto nel pomeriggio di venerdì 14 febbraio. Nato il 9 marzo 1925 a Bilbao in Spagna, era entrato nella Compagnia di Gesù il 30 maggio 1941 e il 15 luglio 1955 era stato ordinato sacerdote. Quindi nel 1961 era arrivato nella Repubblica Dominicana. Il 2 dicembre 1988 era stato nominato vescovo titolare di Leges e ausiliare di Santo Domingo. Il 6 gennaio 1989 Giovanni Paolo II gli aveva conferito l’ordinazione episcopale. Il 31 luglio 2002 aveva rinunciato all’incarico pastorale. Le esequie di monsignor Arnáiz Zarandona saranno celebrate domenica 16 febbraio, alle ore 11, nella cattedrale di Santo Domingo. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 8 domenica 16 febbraio 2014 Iniziativa del Pontificio Consiglio per gli operatori sanitari Omelia del cardinale Filoni In Tanzania cure gratuite per i malati di aids Come piccoli alunni di Cristo Test & treat è il titolo del progetto quinquennale per la diagnosi e la cura gratuite dell’aids nella diocesi di Shinyanga, in Tanzania, presentato martedì scorso, 11 febbraio, a Dar es Salaam, in concomitanza con la ventiduesima giornata mondiale del malato. L’iniziativa, che coinvolgerà una popolazione di circa centoventimila persone, è scaturita dalla collaborazione tra la fondazione Il Buon Samaritano, che fa capo al Pontificio Consiglio per gli operatori sanitari, la Chiesa locale e una società biofarmaceutica statunitense. Ne abbiamo parlato con l’arcivescovo Zygmunt Zimowski, presidente del dicastero. Cosa è il progetto Test & treat? Da un punto di vista strettamente medico il progetto offrirà l’accesso gratuito alle analisi di laboratorio e, se sieropositivi, alle terapie antiretrovirali. Ciò sarà possibile presso quattro presidi sanitari che, già attivi nel territorio della diocesi di Shinyanga, saranno adeguatamente rafforzati e sostenuti: il centro sanitario di Ngokolo e i dispensari di Bugisi, Buhangija e Mija. Grazie alla collaborazione con l’azienda statunitense Gilead Sciences, saranno al contempo sviluppati programmi di formazione rivolti a diverse categorie di persone: per il personale sociale e sanitario si punterà a iniziative specialistiche, per le persone che accederanno al test si tratteranno temi morali e igienico-sanitari, per le comunità locali, anche delle zone rurali più remote, si approfondiranno infine gli aspetti educativi. Non mancherà, infine, il sostegno alle persone più deboli — a partire dagli orfani — che comprende il supporto nell’alimentazione dei bambini sieropositivi. Perché dare vita a un progetto di questo tipo? Tra le nostre principali direttrici di azione c’è il sostegno alle Chiese particolari, attraverso l’operatività e la rappresentatività istituzionale del Pontificio Consiglio. Il nostro impegno è pertanto di essere, sempre più e con sempre maggiore competenza, al servizio delle realtà locali che compongono la Chiesa universale. E ciò mediante un’accurata opera di divulgazione e l’ascolto e il sostegno ai vescovi, attraverso incontri realizzati in occasione delle loro visite ad limina o con missioni sul terreno. In proposito voglio ricordare con stima e amicizia monsignor Aloysius Balina, vescovo di Shinyanga — purtroppo scomparso poco più di un anno fa — che sia durante le sue missioni e le visite a Roma sia in Tanzania ha fortemente caldeggiato l’iniziativa. E desidero inoltre ringraziare monsignor Jean-Marie Mupendawatu, segretario del dicastero, che, in qualità di delegato della fondazione Il Buon Samaritano, ha effettuato diverse missioni a Shinyanga e ha molto contribuito alla concretizzazione del progetto. Ci sono altri progetti del dicastero che riguardano la realtà africana? Il Pontificio Consiglio, per quanto in modo decisamente limitato rispetto ai bisogni espressi, invia anche aiuti economici e promuove azioni e programmi proprio attraverso questa fondazione. Tra gli altri ricordiamo il progetto Africae munus che, riunendo le facoltà di medicina di sette atenei cattolici africani, ha come obiettivo la costituzione di una rete di formazione a carattere specialistico, settore gravemente carente nei Paesi subsaharia- ni. Inoltre la predilezione di Papa Francesco per i poveri e gli ammalati, per le persone sofferenti che portano nel proprio corpo i segni della passione di Cristo, è per noi anche un continuo richiamo ad agire in termini di servizio alla Chiesa universale, senza per questo trascurare la specificità culturale, sociale ed economica di ciascuna Chiesa locale e particolare. Quali altre iniziative ha in cantiere il Pontificio Consiglio? Sulla base della programmazione che abbiamo varato, le attività di quest’anno non saranno certamente da meno, né per qualità né per quantità, rispetto allo scorso anno. Tra i principali appuntamenti, nella seconda metà di marzo, la sessione plenaria del dicastero. Le persone affette da disturbi del cosiddetto “spettro autistico” saranno invece al centro della ventinovesima conferenza internazionale, prevista come di consueto nel mese di novembre. Un momento decisamente straordinario sarà la partecipazione alla messa di canonizzazione del Pontefice che ha voluto questo dicastero, Giovanni Paolo II, il 27 aprile prossimo: un evento atteso e da noi profondamente sentito, alla luce della testimonianza di santità resa da Papa Wojtyła nella vita, nella malattia e sino alla morte. Per la realizzazione di tutte queste iniziative ci impegniamo, come questo dicastero ha sempre fatto, cercando di tener sempre ben presente che questa istituzione non deve “autoalimentarsi” bensì “alimentare” per quanto possibile il mondo della salute, i malati, i sofferenti e coloro che ovunque se ne prendono cura, in modo sia professionale sia volontario. Appello del dicastero per i migranti e gli itineranti Per un uso responsabile dell’acqua Favorire un uso razionale e responsabile dell’acqua, attraverso politiche adeguate e fornendo dotazioni sufficienti. È l’appello lanciato dal Pontificio Consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti, in un saluto rivolto ai partecipanti della Borsa internazionale del turismo (Bit), che si svolge dal 13 al 15 febbraio, alla Fiera di Milano. Riprendendo il messaggio di Papa Francesco per la giornata mondiale della pace di quest’anno, il cardinale Antonio Maria Vegliò e l’arcivescovo Joseph Kalathiparambil — rispettivamente presidente e segretario del dicastero — rinnovano l’invito «a custodire e coltivare la natura» anche per prevenire catastrofi provocate dall’incuria umana, come dimostrano le drammatiche conseguenze delle piogge che hanno colpito nei giorni scorsi alcuni Paesi europei. Un appello dunque a non preoccuparsi della gestione dell’acqua solo quando «si lavora per riparare i danni causati» da alluvioni e inondazioni. Il porporato e il presule chiedono di compiere una lettura approfondita anche del messaggio che il Pontificio Consiglio ha pubblicato in occasione dell’ultima giornata mondiale del turismo, celebrata il 27 settembre. In esso si riconosce «l’importanza che l’acqua riveste per il settore turistico»: infatti «sono milioni i turisti che scelgono come destinazione alcuni ecosistemi di cui questo elemento è il tratto più caratteristico». Al tempo stesso, si legge nel testo, «l’acqua è anche una risorsa per il settore turistico ed è indispensabile, fra l’altro, per il normale funzionamento degli alberghi, dei ristoranti e delle proposte di tempo libero». Ciò mette davanti a un paradosso, notano il cardinale Vegliò e l’arcivescovo Kalathiparambil. Perché, «se da una parte il turismo ha bisogno dell’acqua, dall’altra può farne un uso inadeguato». In effetti, come afferma il messaggio del dicastero, «non c’è dubbio che il turismo abbia un ruolo fondamentale nella tutela dell’ambiente, potendo essere un suo grande alleato, ma anche un feroce nemico». La proposta del Pontificio Consiglio è quindi quella di promuovere un «turismo sostenibile» che «garantisca il rispetto ambientale». Vengono anche indicati tre ambiti in cui lavorare per una efficace pastorale del turismo. Occorre, in primo luogo, contribuire a una riflessione etica sull’uso dell’acqua. Poi è importante un approfondimento teologico-spirituale, che faccia maturare negli uomini la consapevolezza di essere «non padroni» ma «amministratori» di questo dono: tema, questo, che Papa Francesco «ha molto a cuore». Infine è necessario «favorire un cambiamento di mentalità, atteggiamenti e azioni, adottando uno stile di vita caratterizzato da sobrietà, autodisciplina, responsabilità, prudenza e senso del limite». Domenica la visita pastorale alla parrocchia romana di San Tommaso apostolo Papa Francesco all’Infernetto di NICOLA GORI Papa Francesco va all’Infernetto. Può sembrare una battuta. In realtà, per incontrare domenica pomeriggio, 16 febbraio, la comunità di San Tommaso apostolo il Pontefice si recherà proprio all’Infernetto. Che non ha niente a che fare con la «città dolente» di dantesca memoria — a fargli da guida non ci sarà certo nessun emulo di Virgilio — ma è più semplicemente il nome del quartiere della periferia sud di Roma dove sorge la parrocchia che riceverà la visita del Santo Padre. La zona deve il suo nome alla presenza, un tempo, di carbonaie, i cui fumi erano visibili dall’intera città. Di quell’immagine — questa sì dal sapore vagamente dantesco — non è rimasto niente, se non la presenza abbondante di acqua in fossi e canali: una volta risorsa preziosa per produrre carbone, ma adesso destinata a creare problemi e disagi a ogni acquazzone, come testimoniano gli allagamenti dei giorni scorsi. Il termine “Infernetto” suscitò un comprensibile disagio già al momento della costituzione della parrocchia. Infatti, nella bolla firmata nel 1964 dal cardinale Clemente Micara, allora vicario del Papa per la diocesi di Roma, quel territorio venne indicato più prudentemente con la denominazione di “Castel Fusano”. Per scrollarsi di dosso un nome non certo beneaugurante per una parrocchia si era arrivati perfino a una raccolta di firme per dare un’altra denominazione al quartiere, mutuando il nome dalla limitrofa tenuta di Castel Porziano. Toponomastica a parte, bisogna comunque riconoscere che non capita tutti i giorni a una parrocchia di festeggiare il cinquantesimo di fondazione con la presenza del Papa come ospite d’onore. Ne è contentissimo il parroco don Antonio d’Errico, che dal 2002 guida la comunità. E lo sono anche i vice parroci don Pierangelo Margiotta, ordinato lo scorso aprile proprio da Papa Francesco, e don Antony Pinto, di nazionalità indiana, studente in teologia biblica. Ma la gioia contagia naturalmente anche i sacerdoti che prestano servizio saltuariamente nella parrocchia anche se non a tempo pieno: don Francis Cigozie Onya, cappellano delle case di riposo per anziani presenti nel territorio, don Philip Larrey, docente alla Pontificia Università Lateranense, e don Luca Caveada, alunno della Pontificia Accademia Ecclesiastica. Il territorio, spiega il parroco, si estende per circa tre chilometri di lunghezza lungo il viale di Castel Porziano. È un quartiere residenziale dove, negli ultimi anni, sono state costruite molte villette unifamiliari, abitate in prevalenza da famiglie che si sono trasferite dal centro della città verso questa zona proprio per la sua vicinanza al mare e alla pineta. La parrocchia, racconta don d’Errico, in questi anni ha avuto una crescita demografica impressionante, facendo di questo quartiere uno tra i primi di Roma per numero di nascite. Le dimensioni della comunità parlano da sole: gli abitanti del territorio parrocchiale sono oltre 20.000, per un totale di più di 6.000 famiglie. «I battesimi amministrati nel 2013 sono stati 130 — dice — e i ragazzi che frequentano il catechismo per la preparazione alla prima comunione sono più di 200, mentre quelli che si preparano alla cresima oltre 100. Tante coppie di fidanzati che frequentano i corsi pre-matrimoniali, una volta sposati rimangono ad abitare nel territorio parrocchiale». Dove sono presenti, tra l’altro, dieci case di riposo che ospitano anziani provenienti dall’intera città. Anche a queste persone la parrocchia assicura l’assistenza spirituale, attraverso un cappellano e i ministri straordinari della comunione. Quando il primo parroco, don Mellito Papi, dell’ordine benedettino silvestrino, giunse a San Tommaso apostolo, trovò poche famiglie. Nel 1976, con l’arrivo di don Romano Esposito, che fu parroco fino al 1984, il quartiere iniziò a cambiare fisionomia. La trasformazione continuò in maniera più marcata durante il servizio pastorale dei due parroci successivi: don Romano Avvantaggiato, che vi rimase fino al 1990, e don Plinio Poncina, ritiratosi nel settembre 2002. Attualmente la maggioranza degli abitanti appartiene al ceto medio e medio-alto. «Non mancano soprattutto in questi ultimi anni — avverte don d’Errico — famiglie povere a causa della precarietà del lavoro o della scarsa retribuzione pensionistica». Così come sono presenti molti immigrati in cerca di lavoro, provenienti in prevalenza dallo Sri Lanka e dalla Romania. «La vita della comunità — tiene a sottolineare il parroco — ruota attorno all’Eucaristia domenicale, alla catechesi di iniziazione cristiana e, in diverse forme, degli adulti. Ci sono esperienze di gruppi e movimenti, come i neocatecumenali e carismatici». Proprio dal cammino neocatecumenale sono nate vocazioni di alcune famiglie missionarie oggi in Svezia, Costa d’Avorio e Belgio. La realtà dei tanti immigrati senza lavoro sollecita la carità. La parroc- chia ha attivato un servizio di ascolto e una distribuzione settimanale di viveri, abiti usati e prodotti per l’infanzia. A quanti ne beneficiano viene richiesta un’offerta simbolica in modo da sensibilizzare nei confronti dei più bisognosi. «Educare il povero che raggiunge la nostra comunità a essere sensibile agli altri poveri lontano da noi — sottolinea don d’Errico — ci ha permesso di realizzare tanti progetti in terre di missione, fra cui la Repubblica Democratica del Congo dove opera una nostra parrocchiana, Chiara Castellani». Nel territorio parrocchiale è presente anche una scuola cattolica, l’istituto Bambin Gesù, gestito dalla congregazione delle suore di Santa Maria Maddalena Postel. La frequentano circa 170 alunni divisi fra scuola materna e primaria. Fanno parte della galassia che ruota intorno alla parrocchia anche i gruppi di preghiera di padre Pio da Pietrelcina e il gruppo mariano. Significativa l’attività del gruppo Pi-greco, che si occupa dei movimenti religiosi alternativi e delle sette, e sostiene le famiglie alle prese con questo fenomeno. Tante realtà e strutture non eliminano il rischio principale del quartiere, quello che il parroco definisce la «periferia esistenziale» del luogo: l’isolamento e la chiusura di molte famiglie, che porta a «sperimentare una certa insofferenza verso la collaborazione reciproca». Una delle preoccupazioni di don d’Errico è proprio la tendenza delle famiglie a vivere nella solitudine delle proprie case, a rifugiarsi in quell’ambiente dopo le attività lavorative o la scuola. Il quartiere rischia di diventare una specie di dormitorio che si risveglia solo nel fine settimana. Una caratteristica del territorio, dovuta alla rapida urbanizzazione, fa sì che la gente si sposti da un luogo all’altro quasi solo con le auto. E questo comporta che, senza l’accompagnamento dei genitori, i ragazzi non hanno la possibilità di partecipare alle attività parrocchiali. Don d’Errico però è ottimista, perché nota che la gente in maggioranza si mostra accogliente e aperta alle necessità degli altri. La solidarietà non manca e gli abitanti rispondono volentieri alle iniziative parrocchiali. È questa la realtà che attende Papa Francesco per celebrare insieme con lui due date importanti: l’anniversario dell’inaugurazione della nuova chiesa, il 13 aprile, e il cinquantesimo di istituzione, il 19 febbraio. Mettersi alla scuola di Cristo per tornare a essere «piccoli alunni e ascoltare il Maestro»: è il suggerimento rivolto dal cardinale Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, ai partecipanti della plenaria della Congregazione per l’educazione cattolica, in questi giorni. Per loro il porporato ha celebrato la messa nella cappella del Pontificio Collegio Urbano «dove — ha ricordato all’omelia — migliaia di giovani si sono preparati al sacerdozio, alla vita pastorale e missionaria, nonché alla propria formazione intellettuale presso la nostra Pontificia Università Urbaniana». Facendo riferimento ai lavori della plenaria, il cardinale ha poi auspicato che la Congregazione per l’educazione cattolica possa attingere dalla «sorgente eucaristica quell’energia spirituale così necessaria alla propria alta missione di formazione della gioventù di ogni ordine e grado». Il modello a cui guardare in ambito educativo è sempre quello di Cristo maestro, il quale «con il suo dire, ci fa star bene, perché parla dritto al cuore e alla mente» e «ci tira fuori dall’inganno». È lui che «ci fa conoscere dove alberga la radice del male, lì dove si generano le “cose cattive” che ci rendono impuri, e, secondo Agostino, rendono il cuore “inquieto” e attonito: stoltezza, superbia, calunnia, invidia, dissolutezza, inganno, malvagità, avidità, adulterio, omicidio, furto», ha detto il porporato riferendosi al brano evangelico di Marco (7, 21-11). Se un «palazzo» è costruito su «queste colonne», ha ammonito, «andrà in rovina». Al contrario, la «casa» che si è «costruita la sapienza di Dio, Cristo, la casa dalle sette colonne teologali (fede, speranza, carità) e cardinali (prudenza, giustizia, fortezza, temperanza), fondata sulla “roccia”, resterà». Commentando il brano evangelico del giorno, nel quale Gesù proclama la propria missione, il cardinale Filoni ha fatto notare che il Maestro distingue tra parola di Dio e tradizione umana. «Una distinzione attuale allora, così, se non di più, oggi — ha commentato — se pensiamo al nostro intendere post-moderno, dove non di rado la parola di Dio è negata e la “tradizione umana” è sostituita da un relativismo etico-filosofico» che spinge a mettere al centro «soggettivamente il proprio modo di vedere, il proprio io e quanto gli aggrada, piegando a volte nel nostro mondo ecclesiale anche la parola di Dio». Nomina episcopale in Bolivia La nomina di oggi riguarda la Chiesa in Bolivia. Waldo Rubén Barrinuevo Ramírez ausiliare di Reyes Nato il 9 settembre 1967, a Oruro in Bolivia, nel 1989 è entrato nella congregazione del Santissimo Redentore. Ha emesso la professione temporanea il 2 febbraio 1992 e quella solenne il 25 marzo 1996. Ha svolto gli studi filosofici e teologici presso il seminario di Cochabamba ed è stato ordinato sacerdote il 25 ottobre 1997. Dopo l’ordinazione sacerdotale ha ricoperto i seguenti incarichi: membro dell’équipe missionaria a Santa Cruz de la Sierra e consigliere straordinario della provincia (1997-2000); collaboratore del maestro dei novizi a Oruro (2000-2004); vicario provinciale e maestro dei novizi (2004-2006); parroco di Nuestra Señora de La Paz a Cochabamba (2007-2009); superiore dell’équipe missionaria a Santa Cruz de la Sierra (20092010). Dal 2010 è alunno del collegio maggiore per i sacerdoti della congregazione del Santissimo Redentore e studente a Roma, presso la Pontificia Università Gregoriana.