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L’OSSERVATORE ROMANO
GIORNALE QUOTIDIANO
Unicuique suum
Anno CLIV n. 38 (46.580)
POLITICO RELIGIOSO
Non praevalebunt
Città del Vaticano
domenica 16 febbraio 2014
.
Papa Francesco invita a pregare per il continente, specialmente per la Repubblica Centroafricana e il Sud Sudan
Una Chiesa in stato permanente di missione
La pace negata all’Africa
Tra le piaghe
dell’uomo di oggi
Le Nazioni Unite denunciano atrocità sui bambini e feroci violenze sulle popolazioni civili
di GUALTIERO BASSETTI
L’invito rivolto da Papa Francesco,
con un tweet sabato 15 febbraio, a
pregare per la pace in Africa, specialmente nella Repubblica Centroafricana e in Sud Sudan, viene a ricordare il progressivo degenerare di
tragedie che coinvolgono milioni di
persone. La pace negata all’Africa,
non solo nei due Paesi citati — gli
ultimi in ordine di tempo a essere
sprofondati nella guerra civile — si
traduce in orrori quotidiani su bambini e vecchi, donne e uomini. La
pace negata è aumento del sottosviluppo, furto anche di speranza per il
continente dalla popolazione più
giovane.
Anche nelle ultime ore sono giunte dai due Paesi notizie sconfortanti
e in alcuni casi sconvolgenti. In Sud
Sudan non si consolida il cessate il
fuoco tra le forze del Governo del
presidente Salva Kiir Mayardit e
quelle ribelli che fanno riferimento
all’ex vice presidente Rijek Machar,
mentre degenera di ora in ora la
condizione di quasi un milione di
sfollati provocati dal conflitto esploso due mesi fa.
La Repubblica Centroafricana
sprofonda in orrori ripetuti, senza
che le violenze siano ancora arginate
dalle truppe internazionali, quelle
della Misca, la missione africana forte di seimila uomini, e quelle di Parigi che ieri ha inviato altri quattrocento soldati, portando il suo contingente a duemila effettivi. L’Unicef
ha denunciato ieri la ferocia abbattutasi su decine di bambini decapitati
U
Uomini e donne all’aeroporto di Bangui in attesa della distribuzione del cibo (Afp)
e mutilati, in una guerra civile divenuta sempre più aspra da quasi un
anno, dopo il colpo di Stato del
marzo scorso, quando il presidente
François Bozizé fu rovesciato dagli
ex ribelli della Seleka. La denuncia
ha seguito di poche ore la scoperta
nella capitale Bangui di una dozzina
di corpi senza vita in una fossa comune nei pressi di una caserma che
fino a poche settimane fa era servita
da base alle milizie della Seleka, originariamente una coalizione di oppositori di Bozizé senza particolari
connotazioni confessionali, ma da
tempo formata in maggioranza da
combattenti stranieri, in massima
parte di matrice fondamentalista
islamica, provenienti soprattutto da
Sudan e Ciad. Alle violenze della
Seleka sono seguite quelle delle milizie conosciute come antibalaka (ba-
Conclusa senza esito la seconda tornata dei colloqui a Ginevra
Siria sempre più insanguinata
Combattimenti nei sobborghi di Damasco (Reuters)
L’Onu preoccupata per le violenze
Migliaia di studenti
protestano in Venezuela
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CARACAS, 15. Migliaia di studenti
universitari hanno partecipato a
Caracas a una marcia diretta alla
sede dell’Organizzazione degli
Stati americani (Osa) per chiedere
la liberazione dei loro compagni
arrestati. La marcia, dove si sono
registrati nuovi scontri, giunge dopo che mercoledì tre persone sono
morte e 66 sono rimaste ferite in
scontri fra studenti e polizia. Gli
Appello dei presuli del Venezuela
dopo le sanguinose manifestazioni
di protesta
Il dialogo
è la chiave di volta
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no dei passaggi cruciali del
messaggio di Papa Francesco per l’imminente quaresima è indubbiamente la distinzione tra povertà e miseria. La povertà — scrive il vescovo di Roma — è
sempre un atteggiamento evangelico: è quella di Cristo, che «si è fatto povero per arricchirci con la sua
povertà»; è, in altre parole, il suo
modo di amarci, «il suo farsi carne,
il suo prendere su di sé le nostre
debolezze, i nostri peccati, comunicandoci la misericordia infinita di
D io».
Tutt’altro è invece la miseria, che
non coincide con la povertà, e della quale secondo il Papa si possono
individuare almeno tre diverse tipologie: accanto alla miseria materiale vi è infatti quella morale a cui
si combina, inestricabilmente, la
miseria spirituale. Alla privazione
materiale si intrecciano dunque sia
una mancanza etica sia l’assenza di
Dio. Ognuna è in relazione con
l’altra. E tutte hanno un deficit di
verità, nonostante l’amore sconfinato di Cristo verso l’uomo. A tale
stato di miseria, da sempre, la
Chiesa offre il suo servizio «per
guarire queste piaghe che deturpano il volto dell’umanità» sottolinea
il vescovo di Roma.
Piaghe di vario genere, che spesso si trovano in penombra, senza
venire alla luce, e che invece evidenziano la drammatica fragilità, se
non addirittura l’imbarbarimento,
della società odierna. Richiamo solo due fenomeni inquietanti — e
ovviamente se ne potrebbero aggiungere moltissimi — che riguardano oggi l’Italia e che possono essere, però, facilmente riferiti al
mondo intero. Innanzi tutto, l’ormai endemica disoccupazione giovanile: secondo l’Istat, ci sarebbero
più di due milioni di giovani, soprattutto donne, che non lavorano
e non studiano. Ed è il dato peggiore dal 1977 a oggi. In secondo
luogo, la ludopatia, cioè il gioco
d’azzardo patologico, che riguarderebbe addirittura un milione e
mezzo di italiani, i quali negli ultimi sei anni vi avrebbero dilapidato
l’enorme cifra di oltre duecento miliardi di euro.
studenti hanno diffuso foto e video delle violenze contro i manifestanti da parte della polizia e di
gruppi armati vicini al Governo.
L’alto commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti umani ha
espresso la sua preoccupazione
per la situazione in Venezuela e
ha chiesto al Governo di garantire
un’inchiesta imparziale sugli scontri di mercoledì scorso a Caracas e
di non mettere a repentaglio la libertà di manifestare il dissenso e
di informare liberamente su quanto sta avvenendo nel Paese.
Rupert Colville, delegato regionale dell’agenzia Onu, ha detto che
i responsabili delle violenze «devono essere processati e condannati dopo una inchiesta imparziale» e che esiste «preoccupazione
per le notizie di attacchi di uomini armati che agiscono con totale
impunità contro i manifestanti».
DAMASCO, 15. Sono finora 48 i morti accertati, compresi tre bambini, e
150 i feriti per l’esplosione, ieri, di
un’autobomba contro la moschea
del villaggio siriano di Al Yaduda,
nella provincia meridionale di Derā,
quella dove scoppiò tre anni fa la
rivolta armata contro il Governo
del presidente Bashar Al Assad. La
vettura carica di esplosivo è stata
fatta saltare in aria durante la preghiera islamica del venerdì, quando
la moschea era particolarmente gremita.
La strage è avvenuta poche ore
dopo la conclusione, senza esito,
della seconda tornata negoziale della conferenza Ginevra 2. Sempre ieri, Valerie Amos, la responsabile
dell’Ocha, l’ufficio dell’Onu per il
coordinamento
degli
interventi
umanitari, ha lanciato un appello al
Consiglio di sicurezza affinché approvi una risoluzione che imponga
a Damasco di consentire un maggiore accesso umanitario in Siria. Il
vice ministro degli Esteri siriano,
Faysal Miqdad, ha risposto parlando di alcune affermazioni inaccettabili da parte di Amos, la quale a
suo giudizio «non riconosce che in
Siria c’è il terrorismo e ci sono organizzazioni terroristiche che ostacolano la circolazione delle merci e
l’assistenza umanitaria in tante zone
del Paese». Una bozza di risoluzione in merito è in preparazione da
parte di diversi Paesi, ma la Russia
ha già annunciato il veto sostenendo che il testo mirerebbe ad aprire
la strada a operazioni militari contro il Governo di Damasco.
Sulla questione è intervenuto anche il presidente degli Stati Uniti,
Barack Obama, annunciando nuove
iniziative per esercitare pressioni a
questo scopo su Damasco. Obama,
che ha incontrato ieri in California
re Abdullah II bin Hussein di Giordania, ha ammesso di non attendere una soluzione della crisi nel breve termine, ma ha aggiunto che gli
Stati Uniti continueranno a riflettere su come influire sulle strategie
delle parti all’interno del Paese. Al
tempo stesso, il presidente statunitense ha sottolineato l’importanza
di sostenere la Giordania nello sforzo di assistere i rifugiati siriani.
laka significa «machete» in lingua
locale sango), contro i musulmani.
Di una nuvola oscura di atrocità
di massa e pulizia etnica che sovrasta il Paese, ha parlato ieri il segretario generale dell’Onu, Ban Kimoon, che porterà martedì prossimo
in Consiglio di Sicurezza le sue raccomandazioni per contenere le violenze e cercare di porre fine alla crisi. «Linciaggi, mutilazioni, orrendi
atti di violenza spargono il terrore:
tutti gli abitanti musulmani e cristiani, sono colpiti ma di recente ci sono stati attacchi su vasta scala in città come Bouali, Boyali, Bossemble
dove non è stato possibile inviare caschi blu» ha denunciato Ban Kimoon.
Appello alla comunità internazionale
dell’arcivescovo di Bangui
L’ombra
del genocidio
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Udienza del Papa al presidente
della Repubblica di Cipro
Questi dati non sono solo numeri in mano a economisti o psicologi. Sono spie di un disagio e di un
malessere profondi. Segnali inequivocabili non soltanto di uno sradicamento esistenziale, ma di uno
stato di stagnazione sociale e di
immobilismo, la cui causa primaria
va rintracciata nell’evidente incrinatura del patto generazionale tra
giovani e adulti. È la lacerazione di
quello scambio fondativo tra le generazioni che è condizione imprescindibile di sussistenza per la stabilità della società. Come non capire che dietro queste statistiche terribili si celano, non tanto e non solo dati socioeconomici, ma soprattutto un drammatico vuoto esistenziale e una funesta rottura antropologica nel rapporto di scambio tra
genitori e figli?
In questo contesto il messaggio
del Papa rappresenta uno stimolo
importantissimo per la Chiesa e
per l’intera società contemporanea.
Innanzi tutto perché esorta a vivere
la quaresima in pienezza, senza
ipocrisie e infingimenti, come un
cammino autentico di conversione
e di purificazione verso il mistero
della risurrezione di Cristo. Un
messaggio forte per superare i deserti della mondanità, della religiosità che si ammanta di buone intenzioni, della politica che strumentalizza la fede fino a trasformarla in un’ideologia e della tentazione ricorrente del potere e del
carrierismo.
Inoltre, al di là di ogni semplificante lettura sociologica, questo
messaggio di Papa Francesco è una
grande riflessione d’amore sull’uomo. Sia per chi risiede al centro
del mondo, nell’agio e nel benessere, ma ha perso l’anelito a guardare
verso il cielo e nel profondo nel
proprio cuore. Sia per chi vive nelle periferie, nelle villas miserias o
nelle banlieues, nei ranchitos o negli
slums, a cui manca tutto, che ha
smarrito ogni speranza e che non
conosce — e forse non ha mai conosciuto — la gioia del Vangelo. A
questo uomo sofferente, così apparentemente diverso ma anche così
drammaticamente simile, la Chiesa
oggi non può che donarsi totalmente, in uno «stato permanente
di missione».
NOSTRE
INFORMAZIONI
Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza:
Sua Beatitudine Gregorios III
Laham, Patriarca di Antiochia
dei Greco-Melkiti (Siria);
le Loro Eminenze Reverendissime i Signori Cardinali:
— Odilo Pedro Scherer, Arcivescovo di São Paulo (Brasile);
— Andrea Cordero Lanza di
Montezemolo, Arciprete emerito della Basilica Papale di San
Paolo fuori le Mura.
Nella mattina di sabato 15 febbraio
Papa Francesco ha ricevuto, nel Palazzo apostolico vaticano il presidente della Repubblica di Cipro,
Nicos Anastasiades, che successivamente si è incontrato con l’arcivescovo Pietro Parolin, segretario di
Stato, accompagnato dall’arcivescovo Dominique Mamberti, segretario
per i Rapporti con gli Stati.
Nel corso dei cordiali colloqui,
attestanti i buoni rapporti esistenti
fra la Santa Sede e la Repubblica di
Cipro, sono stati passati in rassegna
alcuni argomenti di comune interesse, quali il ruolo positivo della religione nella società e la tutela del di-
ritto alla libertà religiosa. Non si è
mancato, inoltre, di rilevare con
compiacimento la ripresa dei colloqui finalizzati a elaborare una soluzione condivisa per il superamento
dell’attuale situazione dell’isola.
Si è espressa, infine, preoccupazione per i conflitti e l’instabilità
politica che interessano la regione
del vicino e Medio Oriente, comportando gravi sofferenze alle popolazioni civili, con l’auspicio che le
comunità cristiane nei vari Paesi
possano continuare a dare il loro
contributo alla costruzione di un futuro di benessere materiale e spirituale.
Il Santo Padre ha ricevuto
questa mattina in udienza Sua
Eccellenza il Signor Nicos Anastasiades, Presidente della Repubblica di Cipro, con la Consorte, e Seguito.
Nomina
di Vescovo Ausiliare
Il Santo Padre ha nominato
Ausiliare del Vicario Apostolico
di Reyes (Bolivia) il Reverendo
Padre Waldo Rubén Barrinuevo
Ramírez, C.Ss.R., già Vicario
Provinciale e Parroco, assegnandogli la sede titolare vescovile
di Vulturara.
L’OSSERVATORE ROMANO
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domenica 16 febbraio 2014
Mentre sta per scadere l’ultimatum del Governo per lo sgombero degli edifici pubblici occupati
Lunedì visita dell’alto rappresentante per gli Affari esteri e la Politica di sicurezza dell’Ue
Rilasciati in Ucraina
i manifestanti arrestati
Ancora proteste
in Bosnia ed Erzegovina
KIEV, 15. Tutti i 234 manifestanti antigovernativi detenuti nelle ultime
settimane in Ucraina sono stati scarcerati. Ma la tensione resta alta a
Kiev: l’opposizione che da giorni
picchetta molti edifici pubblici non
è soddisfatta. Perché questo passaggio — argomentano i manifestanti —
non significa ancora che tutti siano
liberi: non pochi restano infatti ai
domiciliari, e le inchieste della giustizia ucraina pendono sulle loro teste come spade di Damocle pronte a
trafiggerli se i palazzi occupati non
saranno sgomberati entro lunedì
prossimo, giorno in cui scade una
sorta di ultimatum lanciato dal Governo per l’applicazione definitiva
della contestata legge d’amnistia.
La mossa delle autorità — annunciata ieri dal procuratore generale,
Viktor Pshonka — mira comunque a
stemperare le tensioni in un Paese
che rischia di sprofondare nel baratro della guerra civile. Uno spettro
che sta logorando la Repubblica ex
sovietica da ormai quasi tre mesi.
Rostislav Pavlenko, un deputato
dell’opposizione, ha accusato le autorità di aver solo «cambiato le misure restrittive» sottolineando che
molte «persone sono state scarcerate, ma sono agli arresti domiciliari, e
questo significa che i loro diritti sono limitati e che le inchieste penali
continuano a pendere sopra le loro
teste. Questa non è un’amnistia vera, non è la risposta alle richieste
dell’opposizione». Del resto, l’amnistia non è ancora stata applicata formalmente, anche se il procuratore
generale Pshonka ha assicurato che
se i manifestanti libereranno le strade e gli edifici come previsto dalle
condizioni poste dal testo approvato
in Parlamento dalla maggioranza, le
inchieste contro di loro saranno
chiuse nel giro di un mese.
L’opposizione comunque continua a premere sul Governo e ha già
annunciato l’ennesima manifestazione di massa per domani. Nel
frattempo però i manifestanti si
sono detti disposti a sbloccare in
parte e riaprire al traffico via
Grushevski: la strada di Kiev che
porta ai palazzi del potere e dove
almeno quattro persone hanno perso la vita nei disordini delle settimane scorse.
La crisi ucraina continua ad avere
pesanti ripercussioni anche nei rap-
Dimostranti antigovernativi in piazza a Kiev (Reuters)
porti tra il Cremlino e l’O ccidente.
Mosca, che è critica nei confronti
dell’Unione europea, non appare
tuttavia a sua volta esente dal tentativo di riportare Kiev sotto la propria influenza, e negli ultimi mesi
ha fatto di tutto per scongiurare —
finora con successo — la firma di un
accordo di associazione tra Ucraina
e Ue. Ignorando apparentemente i
Nessuna alleanza
delle forze
d’opposizione
in Costa d’Avorio
YAMOUSSOUKRO, 15. Non c’è stata
l’alleanza tra le diverse forze politiche d’opposizione in Costa d’Avorio
annunciata per questa settimana dal
Fronte popolare ivoriano (Fpi), il
partito dell’ex presidente Laurent
Gbagbo. Si è infatti concluso ieri
con un nulla di fatto il quarto incontro tra la direzione dell’Fpi e i
vertici di una decina di altre formazioni politiche di opposizione. Negli ultimi mesi si sono moltiplicati i
contatti tra il leader dell’Fpi, Pascal
Affi Nguessan, e gli altri partiti minori con l’intento di coalizzarsi contro il presidente Alassane Ouattara.
Diversi osservatori locali avevano
definito poco chiare le motivazioni
e i criteri all’origine del tentativo
dell’Fpi di unificare l’opposizione.
Questa è attualmente è divisa in
due blocchi: da una parte appunto
l’Fpi e dall’altra 11 gruppi minori
riuniti in un organismo chiamato
Quadro permanente di dialogo diretto, cinque dei quali hanno rifiutato un’alleanza organica con l’Fpi.
Quest’ultimo, comunque, ha riallacciato di recente un dialogo diretto
con il Governo dopo mesi di tensioni, sulla scia del rigurgito di guerra
civile, costato almeno tremila morti,
seguito tra l’autunno 2010 e la primavera 2011 al rifiuto di Gbagbo di
riconoscere la vittoria di Ouattara
nelle presidenziali.
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rimproveri di Mosca, la cancelliera
tedesca, Angela Merkel, riceverà
martedì prossimo a Berlino due dei
leader dell’opposizione di Kiev, Vitali Klitschko e Arseni Iatseniuk,
per discutere della situazione nel
Paese. Lasciando escluso — come
spesso accade — solo il capo del
partito ultranazionalista Svoboda,
Oleg Tiaghnibok.
SARAJEVO, 15. Alcune centinaia di persone manifestano anche oggi a Sarajevo, davanti alla sede della presidenza
bosniaca, dove il traffico è bloccato,
ma senza incidenti di rilievo. Si tratta
per lo più di operai di aziende locali,
privatizzate e poi fallite o ridotte
sull’orlo del fallimento.
Come riferiscono i media nella capitale, per lunedì prossimo è atteso
l’arrivo a Sarajevo dell’alto rappresentante per gli Affari esteri e la Politica
di sicurezza dell’Unione europea,
Catherine Ashton, e del commissario
Ue all’Allargamento, Štefan Füle, intenzionati a mediare nel duro braccio
di ferro fra politici e manifestanti, che
chiedono le dimissioni in blocco
dell’intero Governo della Federazione
croato-musulmana, una delle due entità che, con la Republika Srpska (entità a maggioranza serba), compongono
la Bosnia ed Erzegovina. La scintilla
che ha scatenato le proteste di piazza
è stata il fallimento di ben cinque fabbriche a Tuzla, un tempo principale
polo industriale del Paese balcanico.
Intanto, il consiglio cantonale di
Tuzla ha approvato all’unanimità
l’abolizione della normativa di legge,
diffusa in tutto il Paese, secondo cui i
parlamentari e i funzionari percepiscono lo stipendio per un anno intero
dopo la scadenza del mandato.
Proteste di manifestanti a Sarajevo (Reuters)
Offensiva dell’esercito congolese contro la milizia ugandese Adf-Nalu
Rapporti di esperti ne suggeriscono la proroga
Nuovi e sanguinosi combattimenti
in Nord Kivu
L’Onu valuta l’embargo
sulle armi in Somalia
KINSHASA, 15. Almeno 230 ribelli
ugandesi delle Forze alleate democratiche - Esercito nazionale per la
liberazione dell’Uganda (Adf-Nalu)
sono stati uccisi dall’esercito congolese in Nord Kivu. Il bilancio
dell’operazione Sokola (pulire in
lingua locale), lanciata lo scorso 16
gennaio e tuttora in corso, è stato
comunicato dal Governo di Kinshasa, secondo il quale nell’operazione,
ancora in corso, hanno perso la vita
22 soldati e altri 68 sono stati feriti.
La fuga dei miliziani delle AdfNalu nella confinante provincia
Orientale congolese ha rallentato
l’andamento dell’operazione. Tuttavia, l’esercito ha sostenuto ieri di
aver ripreso, con gli ultimi e sanguinosi combattimenti, il controllo di
tutti i grandi bastioni della ribellione ugandese nel territorio di Beni.
«Da quando è cominciata l’operazione, possiamo dire che siamo già
arrivati ai tre quarti del lavoro. Abbiano ripreso con successo Nadwi,
Mwalika, Chuchubo, Makoyova I e
II» ha detto a Radio Okapi, l’emittente della Monusco, la missione
dell’Onu, il colonnello Olivier
Hamuli, il portavoce dell’esercito in
Nord Kivu. Secondo Hamuli, questo dovrebbe consentire di riaprire
in tempi brevi la strada che ricollega Mbau a Kamango, zona che sarà
successivamente rastrellata dai militari.
Dopo la sconfitta militare della
ribellione interna del Movimento
del 23 marzo, le Adf-Nalu sono in
cima alla lista dei gruppi armati da
sradicare dal Nord Kivu, insieme
con gli hutu rwandesi delle Forze di
liberazione del Rwanda, riparati in
territorio congolese dopo il genocidio dei tutsi nel Paese confinante
nel 1994.
Sempre ieri, la Monusco ha comunicato la scoperta in tre villaggi
della zona di fosse comuni con corpi che riportano segni di machete.
Un’inchiesta è stata aperta per
identificare il gruppo responsabile
dei massacri. Fonti locali della società civile hanno inoltre denunciato rapimenti, attacchi ai danni dei
civili, saccheggi di villaggi.
Soldati dell’esercito congolese (Reuters)
NEW YORK, 15. Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite si appresta a discutere sull’eventuale rimozione dell’embargo sulle armi in
Somalia, sollecitata dal Governo di
Mogadiscio, che la ritiene indispensabile per garantire la sicurezza. Poco meno di un anno fa, nel
marzo 2013, il Consiglio di sicurezza aveva allentato l’embargo, appunto per un anno, per consentire
di mettere l’esercito somalo in condizione di ristabilire l’autorita governativa nelle zone dove sono tuttora attivi i ribelli islamici di al
Shabaab. L’embargo era stato imposto dalla comunità internazionale fin dal 1992, quando con la caduta del dittatore Mohamed Siad
Barre era incominciato il lungo periodo di guerra civile in Somalia
che, con diverse fasi e intensità variabile, si protrae dunque da oltre
un ventennio e che non può dirsi
ancora concluso.
Una conferma della decisione
del Consiglio di sicurezza di allentare l’embargo era data per quasi
certa da molti osservatori fino a
pochi giorni fa. Ieri, però, l’agenzia di Stampa France Presse ha dato notizia di un rapporto consegnato da esperti dell’Onu che suggerisce di agire in direzione opposta. Nel rapporto, del quale la
France Presse è entrata in possesso,
si afferma infatti che l’allentamento
dell’embargo ha prodotto come
primo risultato un aumento del
traffico d’armi in Somalia, a causa
di quelli che vengono definiti abusi
sistematici da parte dei diversi clan
somali. Già un anno fa, diverse organizzazioni internazionali per la
difesa dei diritti umani avevano denunciato tale pericolo, nonostante
le assicurazioni del Governo di
Mogadiscio che le armi non sarebbero finite in mani sbagliate.
A causa del deterioramento della situazione politica
I caschi blu restano in Burundi
BUJUMBURA, 15. A causa del deterioramento della situazione politica e
dell’instabilità nel Burundi, il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha prorogato fino al 31 dicembre il mandato
della sua missione politica nel Paese
africano, in scadenza oggi.
I 15 Stati membri dell’organismo
delle Nazioni Unite hanno inoltre
dato il via libera a una missione di
osservazione elettorale, incaricata di
monitorare organizzazione, svolgimento e scrutinio delle elezioni generali del 2015. Il voto è considerato
dagli analisti un test cruciale per la
stabilità e medio e lungo termine.
Nel testo approvato dal Consiglio
vengono evidenziati i progressi importanti che hanno permesso al Paese di superare le grandi sfide del dopoguerra, ma anche dinamiche politiche negative che potrebbero vanificare le conquiste ottenute.
Al centro dell’aspro contenzioso
politico ci sono la recente riforma
agraria, la revisione della Costituzione e la possibilità di un terzo man-
GIOVANNI MARIA VIAN
direttore responsabile
TIPO GRAFIA VATICANA
EDITRICE L’OSSERVATORE ROMANO
Carlo Di Cicco
don Sergio Pellini S.D.B.
vicedirettore
Piero Di Domenicantonio
caporedattore
Gaetano Vallini
segretario di redazione
direttore generale
dato per il presidente, Pierre
Nkurunziza, in carica dal 2005.
Gli esperti dell’Onu hanno altresì
avvertito che la scena politica nel
Paese dei Grandi Laghi è polarizzata tra il Governo, «che utilizza la
sua maggioranza in Parlamento per
varare leggi che restringono lo spazio politico», e le «minacce dell’opposizione» nei confronti dell’Esecutivo.
Minimizzando i problemi, per
mesi il Governo di Bujumbura si è
fermamente opposto al rinnovo del-
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la missione Onu, premendo, invece,
per un suo ritiro in tempi stretti.
Frattanto, Prosper Bazombanza,
esponente di spicco del principale
partito di opposizione tutsi Uprona,
è stato eletto dal Parlamento bicamerale come nuovo primo vice presidente. Ha ottenuto 82 voti su 84.
L’elezione di Bazombanza — già governatore della provincia centrale di
Mwaro dal 2002 al 2005 — è stata
poi confermata dalla maggioranza
assoluta dei 33 senatori.
Tariffe di abbonamento
Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198
Europa: € 410; $ 605
Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665
America Nord, Oceania: € 500; $ 740
Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30):
telefono 06 698 99480, 06 698 99483
fax 06 69885164, 06 698 82818,
[email protected] [email protected]
Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675
Confermati
i finanziamenti
dell’Fmi
alla Guinea
NEW YORk, 15. Il Fondo monetario internazionale (Fmi) ha annunciato ieri lo sblocco di una
nuova rata di finanziamenti alla
Guinea. L’Fmi definisce soddisfacenti i risultati finora ottenuti
nell’ambito del suo programma
di aiuto finanziario avviato un
anno fa. Questo nonostante la
crisi sociale e politica nel Paese
africano, che ha avuto ripercussioni pesanti sul piano economico, in un Paese già dal reddito
medio bassissimo, di appena un
dollaro al giorno per più della
metà della popolazione. Un comunicato dell’Fmi ricorda infatti
che l’economia della Guinea ha
attraversato un periodo difficile,
riflettendo la situazione sociale e
politica e una forte contrazione
degli investimenti nel settore minerario. Secondo l’Fmi, la crescita economica della Guinea è
stata nel 2013 del 2,5 per cento,
contro il 4,5 per cento previsto.
Il comunicato sottolinea però
che l’inflazione è molto diminuita, pur restando oltre il 10 per
cento. La cifra comunicata dal
Fondo monetario internazionale
per questa nuova rata è di 28,2
milioni di dollari. Il totale previsto, al termine del programma
triennale stabilito dall’Fmi, è di
112,8 milioni di dollari.
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Il Sole 24 Ore S.p.A
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L’OSSERVATORE ROMANO
domenica 16 febbraio 2014
Costruttivi
i colloqui
di Kerry
a Pechino
PECHINO, 15. Il segretario di Stato americano, John Kerry, ha definito ieri costruttivo l’incontro
che ha avuto a Pechino con il
presidente cinese, Xi Jinping. Si è
trattato, ha affermato Kerry, di
discussioni «molto costruttive,
molto positive» che hanno consentito di «esaminare nel dettaglio alcune sfide poste dalla Corea del Nord».
Il capo della diplomazia di
Washington ha sollecitato Pechino a non minacciare la stabilità
della regione collaudando in modo unilaterale la nuova zona di
difesa aerea sul Mar della Cina
orientale. L’area, infatti, si estende sopra le isole contese con il
Giappone e, pur non affermandone formalmente la sovranità, le
autorità cinesi hanno previsto che
gli aerei che la sorvolano si identifichino e mantengano costantemente le comunicazioni con Pechino. «Abbiamo messo in chiaro
— ha spiegato Kerry — che un’iniziativa unilaterale, non annunciata e non graduale potrebbe costituire una sfida ai popoli di quella
regione e, in ogni caso, alla stabilità dell’area».
Dal canto suo, Xi Jinping ha
promesso l’impegno di Pechino
per costruire un nuovo modello
di relazioni bilaterali. «La Cina —
ha detto il presidente cinese — è
fermamente impegnata a costruire
un nuovo modello delle relazioni
bilaterali insieme alla parte statunitense e continuerà a rafforzare il
dialogo, aumentare la fiducia reciproca e la cooperazione e gestire
correttamente le differenze nel
nuovo anno, in modo da andare
avanti con lo sviluppo sano e duraturo dei legami».
Anche se resta lontana la prospettiva di un incontro dei due presidenti
Segnali di disgelo tra Cina e Taiwan
Le delegazioni di Cina e Taiwan al tavolo delle trattative a Nanchino (Reuters)
PECHINO, 15. La Cina ritiene «non appropriato»
un incontro tra il presidente, Xi Jinping, e la sua
controparte di Taiwan, Ma Ying Jeou, durante il
prossimo vertice dell’Apec, che si terrà a ottobre a
Pechino. Lo ha dichiarato durante una conferenza
stampa a Taipei il ministro taiwanese per i Rapporti bilaterali, Wang Yu Chi, rientrato in patria
dopo i tre giorni di colloqui di Nanchino con la
controparte cinese, Zhang Zhijun.
Nella giornata di ieri, ha spiegato Wang alla
stampa, non si sarebbe arrivati a un accordo per
fare incontrare i due presidenti all’Apec. I colloqui di Nanchino sono stati comunque visti dagli
Dimostranti e polizia
si scontrano al Cairo
Attentato
terroristico
in Bahrein
MANAMA, 15. Un poliziotto è
morto e un altro è rimasto ferito
in seguito a un attentato dinamitardo avvenuto ieri sera in
Bahrein, dove erano in corso
manifestazioni di piazza per
commemorare il terzo anniversario della rivolta della maggioranza sciita contro la monarchia,
espressione della minoranza
sunnita. Secondo quanto riferito
dal ministero dell’Interno, un
attentato di matrice terroristica
ha colpito i due agenti mentre
stavano controllando i dimostranti a Dair, villaggio sciita situato pochi chilometri a nordest della capitale Manama.
Qualche ora prima nella località
di Dahi era stato attaccato un
pullman della polizia, che era rimasto lievemente danneggiato.
osservatori come un momento dall’alto valore
simbolico nei rapporti tra Cina e Taiwan, che già
dal 1992 hanno allacciato rapporti informali a livello commerciale.
Pechino e Taipei si sono dette d’accordo sulla
necessità di istituire regolari uffici di comunicazione tra i due lati dello stretto. L’incontro è il
frutto di anni di sforzi per migliorare le relazioni
bilaterali, anche se la Cina vede Taiwan come una
«regione ribelle da ricongiungere alla madrepatria».
Lunedì ci sarà un’altra missione in Cina di Lien
Chan, presidente onorario del Kuomintang, il
Miliziani
di Al Qaeda
evasi
nello Yemen
Verso un’intesa da tre miliardi di dollari tra Egitto e Russia
IL CAIRO, 15. Un bambino di dodici anni è rimasto ucciso negli scontri nella provincia di Minya, a sud
del Cairo, tra forze di sicurezza
egiziane e sostenitori del deposto
presidente Mohammed Mursi. Lo
hanno denunciato testimoni come
riporta l’agenzia di stampa Anadolu. Secondo la ricostruzione, il
bambino, Arafa Saudi, era sul balcone della sua casa nella città di
Samalout quando è stato raggiunto
da proiettili a pallini esplosi durante le proteste. Una fonte della sicurezza, interpellata dalla Anadolu,
ha accusato i manifestanti di essere
responsabili per la morte del bambino, affermando che le forze di sicurezza hanno utilizzato «solo» lacrimogeni per disperdere i dimostranti. Altre due persone sono
morte negli scontri con la polizia a
Damietta. Almeno 23 dimostranti
sono stati arrestati.
Si è conclusa intanto la visita a
Mosca del ministro della Difesa El
Sissi, giunto nella capitale russa
pagina 3
con il collega degli Esteri, Nabil
Fahmy. Una visita che potrebbe segnare un nuovo inizio nei rapporti
tra l’Egitto e Mosca nel campo della cooperazione militare. Durante
l’incontro poi, riferiscono fonti di
stampa, il presidente russo, Vladimir Putin, avrebbe dato il suo appoggio alla candidatura del ministro della Difesa e capo delle forze
armate, il maresciallo Abdel Fattah
El Sissi, a nuovo capo dello Stato.
Nel corso della missione si è poi
discusso dell’acquisto di armi russe
da parte del Cairo per una cifra
che ammonterebbe a circa 3 miliardi di dollari. L’acquisto verrebbe
finanziato dall’Arabia Saudita e dagli Emirati Arabi Uniti. Le due
parti — secondo quanto ha riferito
una fonte governativa di Mosca —
hanno già siglato o firmato contratti per l’acquisto da parte del
Cairo di caccia Mig-29, sistemi di
difesa aerea e costiera, elicotteri
Mi-35 e armi di minori dimensioni.
SAN’A, 15. È caccia all’uomo nello
Yemen, dove ieri trenta detenuti,
tra i quali diciannove fiancheggiatori di Al Qaeda, sono evasi dal
carcere di San’a. La fuga dei detenuti è stata provocata dall’esplosione di un’autobomba, che
ha fatto crollare un muro dell’edificio. Subito dopo, un gruppo di
uomini armati ha attaccato le
guardie carcerarie, consentendo ai
trenta detenuti (sui circa 5.000
che si trovano nella struttura) di
evadere. Un portavoce del Governo ha detto all’agenzia ufficiale
Saba che si tratta di terroristi. Le
forze dell’ordine hanno avviato
una vasta operazione per catturare i fuggiaschi. Il portavoce ha
incolpato dell’assalto al carcere i
terroristi di Al Qaeda nella penisola araba. Durante l’operazione
sono rimasti uccisi sette agenti e
tre assalitori. Già in ottobre, le
forze di sicurezza avevano impedito un tentativo di evasione da
un altro carcere di San’a.
partito nazionalista uscito sconfitto nel 1949 dalla
guerra civile contro le forze guidate da Mao
Zedong. Lien è anche a capo dell’associazione per
lo sviluppo di rapporti pacifici tra Cina e Taiwan.
Il presidente onorario del Kuomintang aveva
già incontrato il predecessore di Xi, Hu Jintao,
nel 2005, e lo stesso Xi a Pechino, lo scorso
anno.
Da quando nel 2008 è stato eletto presidente a
Tiawain il filocinese Ma, sono stati firmati tra le
due parti diciannove accordi, che hanno reso
possibile, tra l’altro, l’aumento dei voli tra Cina e
Taiwan e reso più facili le transazioni bancarie.
Tensione tra Afghanistan e Nato
KABUL, 15. Dopo gli Stati Uniti, la
Nato: l’Afghanistan si trova ora a
dovere arginare le severe critiche
dell’Alleanza atlantica in merito alla
decisione di Kabul, presa in questi
giorni, di liberare 65 talebani detenuti nelle carceri afghane. Si tratta
dell’ennesima scarcerazione di miliziani nell’arco di qualche settimana.
Gli Stati Uniti non hanno certo nascosto il loro malcontento, sottolineando in particolare che i talebani
liberati sono «molto pericolosi»,
avendo colpito in passato, con attacchi mirati, obiettivi statunitensi. E
sulla stessa lunghezza d’onda si è
posta la Nato, rilevando che così facendo l’Afghanistan va indietro, vanificando i progressi fin qui compiuti, invece che avanti.
Ecco allora che Kabul rischia di
trovarsi, nel panorama della politica
internazionale, sempre più isolata.
Mentre, infatti, si va sempre più
estendendo il solco tra Washington
e Kabul, anche con la Nato i dissapori cominciano a manifestarsi con
una certa evidenza.
A mettere in evidenza la frattura
fra gli intelocutori è stato, e conti-
nua a essere, il mancato accordo sulla sicurezza per il dopo 2014, quando sarà stato completato il ritiro del
contingente internazionale. Gli Stati
Uniti premono perché la firma
dell’intesa sia posta subito, mentre il
presidente afghano, Hamid Karzai,
intende firmare l’accordo solo dopo
le presidenziali del prossimo 5 aprile.
In questa diatriba recentemente si è
inserita anche la Nato: il segretario
generale, Anders Fogh Rasmussen,
ha sottolineato che l’accordo è nel
pieno interesse dell’Afghanistan e, di
conseguenza, il rinvio della firma
non può che nuocere alla causa di
Kabul.
Di fronte all’intransigenza di Karzai sta dunque prendendo sempre
più corpo l’ipotesi di mettere in
campo l’opzione zero: ovvero, dopo
il 2014 Wasghington non lascerà sul
territorio afghano nessun soldato,
neppure con compiti logistici. Verrebbe quindi accantonato l’originario
piano di dispiegare un robusto nucleo di militari statunitensi per rendere meno traumatico il passaggio
delle consegne alle forze locali.
Manifestazione di protesta a Tripoli e Bengasi
slative per un nuovo periodo di transizione di 18 mesi.
La Libia si appresta a celebrare il
terzo anniversario della rivolta contro
Gheddafi. Ma la primavera libica non
è mai sbocciata e il Paese resta in preda all’instabilità, alle violenze, alle infiltrazioni qaediste e alle lotte di potere. Con lo spettro di un colpo di Stato, che ieri ha avvolto la capitale, poi
smentito dalle autorità di Tripoli. «La
situazione a Tripoli è sotto controllo»
ha detto il premier, Ali Zeidan, che
ha ordinato l’arresto del generale
Haftar. «Non fa più parte dell’esercito» ha aggiunto, spiegando che gli
era già stato chiesto di ritirarsi in
pensione. Si è trattato, ha ribadito il
premier libico, del «disperato tentativo di alcune persone» di impedire al
popolo libico di raggiungere «la libertà e la democrazia».
BANGKOK, 15. Rimane molto tesa
la situazione a Bangkok, capitale
della Thailandia, dove da settimane i manifestanti assediano le sedi
degli uffici governativi per chiedere le dimissioni della premier,
Yingluck Shinawatra.
Ieri è stato sgomberato dalla
polizia in modo pacifico il presidio della protesta più vicino al
palazzo del Governo, rendendo
così possibile un ritorno al funzionamento
della
importante
struttura pubblica. Da tempo, gli
incontri di Gabinetto si tengono
nella sede del ministero della Difesa, di cui la premier è pure responsabile. Ma altri edifici sono
ancora sotto il controllo dei manifestanti antigovernativi.
A rendere più urgente una soluzione alla crisi, la possibilità
che si attui una saldatura tra i dimostranti e i risicoltori, pronti a
scendere in piazza lunedì contro
il Governo, accusato di non avere
rispettato i tempi di pagamento
del riso consegnato ai magazzini
statali. Un avvertimento è arrivato da Daicharn Mata, uno dei
leader degli agricoltori di tutte le
77 province del Paese asiatico.
Daicharn ha però dichiarato che
il movimento degli agricoltori
non ha intenti politici. «Se saremo pagati torneremo a casa immediatamente» ha infatti precisato a un’emittente televisiva.
Daicharn ha ricordato le condizioni drammatiche di molti agricoltori, costretti a vendere i loro
beni e a ricorrere a usurai per potersi sfamare. Lunedì, ha confermato, i risicoltori cercheranno un
incontro con la premier nel tentativo di trovare una soluzione.
Insieme con Washington l’Alleanza atlantica critica Kabul per il mancato accordo sulla sicurezza
La Libia resta in preda all’instabilità dopo lo spettro di un colpo di Stato
TRIPOLI, 15. Migliaia di persone hanno manifestato ieri a Tripoli e a Bengasi contro il prolungamento del
mandato del Congresso generale nazionale (il Parlamento), scaduto il 7
febbraio. Il Congresso aveva deciso di
prolungare il proprio mandato fino a
dicembre 2014, nonostante l’opposizione di una parte della popolazione
che lo accusa di non essere in grado
di ristabilire l’ordine e di mettere fine
all’anarchia e alla violenza delle milizie armate. Il Congresso ha anche
adottato una Road Map che prevede
elezioni generali alla fine dell’anno se
la Commissione costituzionale — che
verrà eletta il prossimo 20 febbraio —
riuscirà ad adottare un progetto di
Costituzione in quattro mesi. Se la
Costituente non riuscirà a rispettare
tale scadenza, il Congresso organizzerà subito elezioni presidenziali e legi-
I risicoltori
thailandesi
pronti a marciare
su Bangkok
Dimostranti nel centro di Tripoli (Afp)
E in tutto questo scenario rimane
come costante minaccia la presenza
talebana. I miliziani, sottolineano gli
analisti, potrebbero trarre vantaggio
da una situazione così fluida e incerta per rilanciare su vasta scala la loro
azione destabilizzante fatta di attacchi e imboscate. E anche oggi sul
territorio afghano si sono registrate
nuove violenze. Un attentatore suicida si è lanciato contro un automezzo
militare, nel distretto di Khanabad,
nella provincia settentrionale di
Kunduz: due civili sono morti e altri
otto sono rimasti feriti.
Riforma
della giustizia
in Turchia
ANKARA, 15. Il Parlamento turco
ha approvato oggi il disegno di
legge sulla riforma della giustizia,
che mira a rafforzare il controllo
della magistratura da parte del
Governo. Lo riferisce la Cnn turca. La proposta era stata presentata dal partito islamico Akp del
primo ministro, Recep Tayyip
Erdoğan, che ha la maggioranza
assoluta in Parlamento.
Il progetto prevede di sottoporre il Consiglio supremo dei giudici e dei procuratori (il Csm turco)
all’autorità del ministro della Giustizia. Secondo l’opposizione, la
legge mira a insabbiare le inchieste aperte per corruzione contro
diverse personalità politiche.
Intanto, riferisce la stampa turca, i nuovi magistrati cui sono
state affidate le inchieste anticorruzione dopo la rimozione dei
pm titolari delle indagini iniziali,
hanno ordinato la rimessa in libertà — in attesa del processo —
di nove dei 52 accusati arrestati a
dicembre. Fra le persone liberate
c’è anche l’ex amministratore delegato della banca pubblica Halkbank, Süleyman Aslan, considerato dagli inquirenti un elemento
importante della rete di corruzione legata al presunto traffico illegale di oro fra Turchia e Iran.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 4
domenica 16 febbraio 2014
Nei quadri di El Greco
La grande bellezza
di ANTONIO CAÑIZARES LLOVERA
ono già iniziate le celebrazioni per commemorare il
quarto centenario della
morte di El Greco. Né la
persona, né di conseguenza l’opera di El Greco possono essere separate dalla sua dimensione religiosa. Tutto in lui riflette la grandezza di un uomo spirituale con uno
speciale tocco divino, capace di percepire e di plasmare, nei tratti ampi
o nella stesura dei colori della sua
S
singolare pittura, la Suprema Bellezza, abisso infinito di armonia ineguagliabile e sovrana. In tutta la sua
opera, grande e unica, rispecchiò la
parte più profonda della sua anima,
immagine del Creatore che la plasmò con il delicato tocco dei suoi
“pennelli divini”. In essa appare
sempre lo spirito sublime che ha
contemplato e penetrato il Mistero,
ne ha colto lo spessore e lo ha
espresso con tutta l’elevazione
dell’arte che scaturisce dal profondo
dell’essere illuminato da questa espe-
rienza che trascende lo sguardo suCome uomo dalla radicata cristiaperficiale, incapace di scalare le alte nità, e figlio del suo tempo, El Grevette dello spirito. El Greco si è im- co riflette, indivisibilmente, l’uomo,
merso, con naturalezza e insieme ve- per il quale mostra una viva e singorità, nella profondità del Vangelo, lare passione. Chi non vede questa
nel mistero dell’incarnazione di Dio passione nella Sepoltura del conte di
fatto uomo per gli uomini e offertosi Orgaz, o nella Spoliazione di Cristo, o
per loro sulla croce, o nella vittoria nell’Apostolato della sacrestia della
sulla morte, così nemica dell’uomo, cattedrale toledana, o nel San Giuche la sua opera esprime con tanta seppe della stessa cattedrale? Le mabellezza e drammaticità insieme.
Attraverso l’armonia di forme e colori
Così, con una fede cristiana profondamente radisgorga una forza
cata, ben formata e capace
che non soggioga ma sostiene
di rendere conto della sua
verità, El Greco, in tutta la
E dal centro del nostro essere
sua opera pittorica, mostra
appare una libertà più grande
realtà fondamentali della
fede e insegna, parla agli
ignoranti e ai semplici dei misteri ni, gli occhi, i volti, il movimento dei
più abissali, catechizza, eleva, porta corpi dei personaggi, tutto, tutta la
alla contemplazione, alla meraviglia, sua opera, è espressione di come egli
alla venerazione, alla preghiera nella vede l’uomo e il suo dramma: l’uosupplica e nella lode; rende conto mo che soffre e che ama, che vive il
della fede e della speranza e mostra dramma dell’esistenza, il suo anelito
la sinfonia e l’armonia della loro bel- di felicità, l’uomo caro a Dio, da Lui
lezza, il loro radicamento e la loro
espressione nella parte più viva e più
genuina dell’essere umano.
El Greco lo fece nel suo momento
storico, ma la sua arte continua a
parlare ancora oggi, con vivissima
attualità, come in passato, perché a
contare in essa non è la circostanza
o il momento effimero che passa
presto; esprime anzi realtà imperiture e lo fa a partire dal linguaggio
Pubblichiamo in una nostra
della “punta dell’anima”, come ditraduzione un articolo del
rebbero i nostri mistici spagnoli.
cardinale prefetto della
Parla con i pennelli e i colori da
Congregazione per il culto
quel profondo centro dell’anima dodivino e la disciplina dei
ve ogni uomo intende se stesso e si
sacramenti, arcivescovo emerito
sente coinvolto, a qualunque generadi Toledo, pubblicato su «La
Razón» del 6 febbraio.
zione appartenga.
Nel quarto
centenario
della morte
«San Giovanni evangelista e San Francesco» (1600 circa, particolare)
Gli insediamenti dei benedettini e degli olivetani nel cuore di Roma tra
di MARIA ANTONIA NO CCO
XV
Pianificazione territoriale
Nel cuore di Roma tra i Fori e le pendici del
Campidoglio si concentrano rilevanti testimonianze storiche, artistiche e architettoni- manufatti del XV-XVIII secolo illustranti
che relative a santa Francesca Romana e san l’esperienza materiale e spirituale della santa
Bernardo Tolomei. La religiosa romana ave- romana è collegato alla basilica e al monava fondato nel 1425 le oblate di Tor de’ stero di Santa Francesca Romana al Palatino, ovvero la sede ufficiale degli olivetani di
Specchi, caratterizzate da un profondo legaBernardo Tolomei a Roma. Anch’essa conme con i valori della spiritualità benedettina serva importanti testimonianze a commemoe analogamente Bernardo Tolomei nei primi rare le azioni dei tre santi.
decenni del IV secolo aveva dato vita, a SieLe strutture citate sono inoltre da porre in
na, alla congregazione di Santa Maria di relazione con altre due chiese, al pari delle
Monte Oliveto od olivetani, diramazione prime, geograficamente disposte tra il Foro e
della Regola di san Benedetto da Norcia.
il Campo Vaccino: il Santissimo Nome di
L’accentramento in questa parte della città Maria alla Colonna Traiana (anticamente dedi edifici di culto, alloggi per il clero e sedi dicata a san Bernardo di Chiaravalle) e la ex
di rappresentanza, incluse le innumerevoli e chiesa di Santa Maria Liberatrice, ora Santa
pregiate opere d’arte in
essi contenute, appartenenti all’ordine benedettino-olivetano è tale da far
ipotizzare un collegamento planimetrico programmatico tra le diverse
strutture. Se tale convergenza topografica può
apparire dapprima una
circostanza del tutto occasionale, in realtà essa
trova conferma nella matrice comune della committenza di oblate e olivetani, ai quali è possibile
far risalire molti degli interventi architettonici e
artistici nell’area: un vero
e proprio quartier generale con il monastero e la
chiesa di Santa Maria
Nova (l’attuale Santa
Francesca Romana) da
una parte, la fabbrica di
Tor de’ Specchi dall’altra
Giosuè Meli, «Santa Francesca Romana e l’Angelo»
con il monastero e le due
(Roma, chiesa di Santa Francesca Romana, XIX secolo)
chiese annesse della Santissima Annunziata e Santa Maria de Curte (meglio nota nelle fonti Maria Antiqua. L’associazione tra olivetanicome Cappella di sotto), il complesso con benedettini e la chiesa del Santissimo Nome
Santa Maria Liberatrice (demolita tra il 1899 di Maria è certo più contenuta rispetto ai
ed il 1900 per fare emergere il sottostante due casi precedenti ma non per questo meno
edificio di età bizantina di Santa Maria An- significativa: essa fu eretta difatti nel luogo
tiqua) e, in parte, il Santissimo Nome di su cui sorgeva l’antica chiesa e confraternita
di Sancti Bernardi ad Columnan Traiani diMaria nei pressi della Colonna Traiana.
Sul portale del monastero che si affaccia strutta nel 1748; è probabile che proprio in
lungo la via del Teatro di Marcello, dimora tale circostanza i cistercensi, del ramo benedelle oblate che secondo la regola benedetti- dettino, avessero stabilito di rievocare l’antina scandivano la loro esistenza tra virtù e ca dedicazione, consacrando un altare a Bercarità, tra contemplazione e dedizione al nardo di Chiaravalle, santo titolare cui era
prossimo, si può ammirare un affresco del particolarmente legato Bernardo Tolomei.
Proprio per la profonda devozione verso
XVIII secolo, con La Madonna e il Bambino
tra i santi Benedetto e Francesca Romana se- l’abate cistercense egli avrebbe sostituito il
guita dall’angelo. L’opera attribuita al pittore proprio nome di battesimo, Giovanni, in
tardobarocco Nicolò Ricciolini rievoca, ben- Bernardo. Per ciò che concerne il legame
ché in cattivo stato di conservazione, i due con Santa Maria Liberatrice al Foro Romasanti che unitamente a san Bernardo Tolo- no, va ricordato che sulle rovine dell’antica
chiesa di Santa Maria Antiqua era sorto anmei rappresentano i pilastri dell’ordine.
L’intero edificio di Tor de’ Specchi inglo- ticamente un monastero che ospitava monaci
bante anche le due chiesette su citate con il e monache benedettine (soprannominate
consistente repertorio di dipinti, affreschi e Santuccie); a esso fu annessa in seguito una
piccola cappella dedicata appunto a Maria
Liberatrice che conservava anche il titolo
dell’originaria chiesa di Santa Maria Antiqua.
Durante gli interventi di demolizione della chiesa, le oblate si erano preoccupate del
trasporto di marmi e di altri reperti storici
nel monastero di Tor de’ Specchi e inoltre,
tra il 1748 e il 1749 suor Anna Amidei, presidente delle oblate, aveva deciso di adornare
con affreschi, stucchi, marmi e con dipinti
dei pittori Lorenzo Gramiccia, Sebastiano
Ceccarini ed Étienne Parrocel, la cappella
consacrata a Francesca Romana in quella
chiesa. Le fonti narrano che in entrambe le
chiese era intervenuto anche Nicolò Ricciolini, il medesimo autore dell’affresco sul portale di Tor de’ Specchi: nella prima cappella
a sinistra del Santissimo Nome di Maria
aveva realizzato la bella tela con L’Apparizione della Vergine a san Bernardo mentre in
Santa Maria Liberatrice viene citato in collaborazione con il padre Michelangelo che, a
sua volta, avrebbe altresì licenziato delle
opere per il Monastero.
Nicolò è inoltre associato a Francesca Romana anche per la ristrutturazione della cappella che le era stata dedicata tra il 1611 e il
1612, in seguito alla canonizzazione, in San
Bartolomeo all’Isola Tiberina, non lontano
da Tor de’ Specchi. Filippo Titi narra che
Nicolò aveva restaurato gli affreschi, di esito
mediocre, di Antonio Carracci, autore delle
scenette raffiguranti episodi della vita della
Santa, ed in seguito avrebbe anche dovuto
ridecorare ex novo la
cappella, ma il progetto
non fu mai portato a
termine.
Nel XVI secolo, con il
concorso di nuove seguaci era nata l’esigenza
di
affiancare
nuove
strutture al monastero
originario delle oblate;
pertanto le religiose avevano ottenuto da Benedetto XIV la chiesa che
affacciava su Campo
Vaccino, vincolata alla
sede di Tor de’ Specchi
nel 1550, e anche un terreno contiguo su cui le
osservanti avrebbero innalzato un edificio moderno. Da esso si dipartivano due strade, la via
di San Teodoro e la via
della Consolazione, che
oltre a collegare Santa
Maria Liberatrice (con
la nuova struttura) al
Colosseo avevano inoltre la funzione di raccordo poiché avrebbero
dovuto «unirla alla sua
antica sorella, la chiesa
Antoniazzo Romano,
di S. F. Romana»; tale
e
amato ed elevato, l’uomo
salvato e chiamato a partecipare della sua gloria.
Nella sua arte si riflette bene l’idea che «la
gloria di Dio è l’uomo
che vive» (sant’Ireneo di
Lione). Tutta la sua opera manifesta l’uomo, mostra com’è entrato nella
profondità dell’umano;
ma non come lo vedrebbe il pagano o il mero
umanista. C’è una notevole differenza: è quella
che gli dà la visione di
fede, che lo porta a
guardare con uno sguardo proprio.
Dietro i volti o i corpi,
le mani o gli occhi, i colori o le pieghe delle vesti o il movimento dei
corpi, c’è la verità che
professa la sua fede al di
sopra dell’uomo. Tale fe«Spoliazione di Cristo» (1577-1579 circa)
de, chiaramente cristiana
e cristocentrica e, proprio per questo, profondamente an- la grazia, e la bellezza ci rimanda a
tropologica, umana, è la chiave fon- qualcosa di “estraneo”, di cui non
damentale per addentrarsi e immer- possiamo disporre, e che tuttavia ci
gersi nella ricchezza e nella grandez- attrae rasserenandoci e riconciliandoza di El Greco. Le sue opere, come ci. Là, attraverso la bellezza, sgorga
altre nate dalla fede cristiana, sono una forza che non schiaccia né sogopere che non sono state spogliate — gioga, ma che sostiene. Là appare
né si possono spogliare — della loro una libertà raccolta su uno sfondo
aura; ancora non sono diventate, e da dove sgorga instancabilmente una
non vogliamo né permettiamo che lo libertà più grande che ci libera dal
diventino, per le loro qualità esteti- centro del nostro essere. Là, sopratche formali, un puro e semplice og- tutto, si fa strada la comunicazione
getto del piacere, dell’erudizione de- del dono divino e dell’amore che in
gli esperti, della curiosità distratta esso ci comunica; là si apre la spedei visitatori in mostre e musei.
ranza e là si delinea il futuro di
Laddove si trovano il sacro e il un’umanità nuova e di un’umanità
credente, la bellezza è il fulgore del- con un futuro.
XVIII
secolo
mana e ai santi dell’ordine, Bernardo Tolomei e Benedetto.
In definitiva, un siffatto complesso di elementi — gli olivetani con le chiese e i monatestimonianza di Romolo Artioli, del 1900, steri appartenenti all’ordine e anche la precontribuisce ad avvalorare la proposta di senza ricorrente di alcuni artisti che gravitauna pianificata convergenza topografica tra vano intorno a tale apparato, come i pittori
le diverse sedi dell’ordine benedettino-olive- Nicolò e Michelangelo Ricciolini, Lorenzo
tano in Roma.
Gramiccia e Sebastiano Ceccarini — si può
Su tale percorso inoltre si snodava, nei sespiegare attraverso la strategia adottata concoli passati, la processione che accompagnava l’urna con le spoglie di “Ceccolella” (il giuntamente da oblate e olivetani per glorifivezzeggiativo attribuito a Francesca Roma- care i propri santi fondatori (Benedetto,
na) attraverso il Campidoglio tra le due Francesca Romana e Bernardo Tolomei) anchiese a lei dedicate: il monastero di Tor de’ che attraverso una pianificazione e gestione
Specchi e la basilica di Santa Maria Nova. del territorio: in particolar modo di quella
Tuttavia ciò non significa che in altre aree regione, situata nel cuore della Roma antica,
della città non vi fossero altri luoghi di culto che ancora custodiva le tracce dell’esistenza
dedicati alla santa, in particolare, anche da terrena e degli eccezionali insegnamenti della advocata urbis.
Nella stessa area inoltre
L’accentramento tra i Fori e il Campidoglio
gli olivetani di Santa Maria Nova mettevano in
di edifici di culto e sedi di rappresentanza
pratica e divulgavano con
è tale da far ipotizzare
amorevole religiosità e
spirito caritatevole gli amuna programmazione nella disposizione
maestramenti di Bernardo
delle diverse strutture
Tolomei. Beatificato il 25
novembre del 1644 attradifferenti ordini religiosi: negli anni tra il verso un Breve Pontificio della Sacra Con1614 ed il 1616, in seguito alla canonizzazio- gregazione dei Riti con decreto di Urbano
ne del 1604, i padri trinitari avevano infatti VIII che ne riconosceva il culto ab immemoraeretto sulla strada Felice, l’attuale via Sistina, bili, il senese entrava pertanto di diritto, asun’altra chiesetta in suo onore poi demolita sieme a san Benedetto e a santa Francesca
nel 1930 e co-titolata ai santi Giovanni Ne- Romana, nella pratica di culto e di diffusiopomuceno e Venceslao, ma di fatto è parti- ne iconografica promossa dall’Ordine qualcolarmente qui, in seno alla città più antica, che tempo prima della canonizzazione della
che si concentravano gli edifici sacri e le santa romana (29 maggio 1608) e rinvigorita
opere più rilevanti consacrate alla devota ro- in occasione della beatificazione del senese,
che sarebbe poi stato
canonizzato da Benedetto XVI il 26 aprile del
2009.
Nella produzione di
immagini che si approntavano per la dedicazione di altari, cappelle e
chiese appartenenti agli
olivetani, la rappresentazione di Francesca si associa di fatto a quella
della Vergine Maria, di
san Benedetto e del beato Bernardo Tolomei,
abituali protettori della
comunità religiosa di
Monte Oliveto, come si
può notare in particolare nella rappresentazione sul portale di Tor de’
Specchi e anche più diffusamente in numerose
opere, tra tele e affreschi, presenti nella chiesa e nel monastero di
Santa Francesca Romana che custodisce al suo
interno una vera e propria pinacoteca a illustrare e celebrare le imprese dei tre campioni
«Storie di Santa Francesca Romana» (Roma, monastero di Tor de’ Specchi, 1468)
dell’ordine.
L’OSSERVATORE ROMANO
domenica 16 febbraio 2014
pagina 5
Cent’anni dopo la pubblicazione di «Dubliners»
Quanti luoghi comuni
su James Joyce
di ENRICO REGGIANI
er l’eredità culturale e letteraria di James Joyce
(1882-1941) l’inizio del terzo millennio è stato scoppiettante e persino vulcanico. Lo dimostrano molte circostanze inconfutabili.
Quando nel 2004 Stephen Joyce,
nipote dello scrittore ed erede universale dei diritti d’autore derivati
dalle sue opere, cercò inutilmente di
impedirne la pubblica lettura durante le celebrazioni di ReJoyce Dublin
P
James Joyce
2004, il Parlamento irlandese approvò un disegno di legge che lo consentiva. Quando il 13 gennaio 2012
venne definitivamente disinnescato
questo annoso impedimento col passaggio dei capolavori joyciani nel
pubblico dominio, l’editoria italiana
(ma non solo) non si fece trovare
impreparata e sfornò nell’arco di pochi mesi nuove edizioni apprezzabili
(su tutte, la versione dell’Ulisse a cura di Enrico Terrinoni, pubblicata da
La raccolta di racconti uscì
presso l’editore londinese Grant
Ma solo dopo
una sequenza interminabile
di ben quindici rifiuti
Newton Compton) e altre più scontate e talora semplicemente rifritte.
Altrettanto, ovviamente, fecero le case editrici straniere con una miriade
di iniziative di vario profilo e livello,
tra le quali spicca nel 2013 la pubblicazione di Finn’s Hotel, dieci inedite
little epics apparse per i raffinatissimi
tipi di Ithys Press con un’introduzione dell’autorevolissimo Seamus
Deane, ora tra i prestigiosi ispiratori
del Keough-Naughton institute for
Irish Studies presso la statunitense e
cattolica University of Notre Dame.
Il 2014 sarà un ennesimo annus
mirabilis nell’esperienza contemporanea dell’eredità joyciana. Non c’è
partita con il 1914 joyciano per altri
pur illuminanti eventi della cultura
letteraria anglofona in quello stesso
anno, sia che si tratti, ad esempio,
della prima rappresentazione teatrale
in inglese del Pygmalion di Shaw,
dell’uscita dell’antologia imagista curata da Ezra Pound o dell’edizione
londinese dei racconti di The Prussian Officer and Other Stories.
Sorge, tuttavia, spontaneo il seguente interrogativo: un altro centenario saprà anche offrire efficaci occasioni di approfondimento e di revisione rispetto a modalità di approccio inadeguate e ad interpretazioni spesso sclerotizzate, ideologizzate e, comunque, non più sostenibili? Proprio cent’anni fa, infatti, nel
1914, oltre ad alcune puntate di A
Portrait of the Artist as a Young
Man — che appariranno sulla rivista letteraria The Egoist da
febbraio di quell’anno, per
poi vedere la luce in forma di libro nel 1916 —
uscì presso l’editore londinese Grant Richards,
dopo una sequela apparentemente interminabile di
quindici rifiuti, Dubliners.
Questa raccolta di quindici racconti, scritti tra il 1904 ed il 1907,
che costituisce con ogni probabilità
l’unica e abituale esperienza joyciana
dell’italico lettore medio, resta
troppo spesso incatenata a una
giovanile rimembranza scolastica e ad alcuni stereotipi
interpretativi solo di rado
superati da una più matura
fruizione testuale (quella
che pare non sfiorare mai
Ulysses, la cui lettura è assai
di frequente più snobisticamente sbandierata che praticata). Tra i più duri a morire di tali stereotipi, quelli
che dipingono Joyce come
ultramodernista nemico della tradizione letteraria, come individualista restio ai
confronti di qualsivoglia
comunità, come cosmopolita irridente le proprie radici nazionali, come ateo nemico di ogni esperienza religiosa, e così via.
Eppure Joyce esplicitò chiaramente in più occasioni ciò che lo mosse
nella creazione delle sue quindici
stories dublinesi. Lo fece, ad esempio, in un celebre passo di una lettera all’editore Grant Richards (1906)
che offre numerosi antidoti contro i
tenaci stereotipi interpretativi di cui
si è detto sopra: «La mia intenzione
era scrivere un capitolo
della storia morale del
mio Paese: ho scelto
Dublino come scena
Richards
perché quella città mi
sembrava il centro della paralisi».
Visto che in letteratura le parole sono pietre e che anche quelle
di Joyce proiettano ricoeurianamente il suo “paradigma
della condizione carnale e finita
dell’uomo”, vanno ascoltate con cura
e rispetto per almeno tre ragioni:
perché, se si tratta di un capitolo,
vuol dire che esiste un libro che lo
contiene insieme alla tradizione di
altre analoghe rappresentazioni letterarie; perché, se tale capitolo riguarda “il mio Paese”, significa che è data una comunità nazionale della
quale vale la pena occuparsi e della
quale Joyce si occuperà instancabilmente a modo suo, per tutta la sua
vita e lungo tutta la sua parabola
creativa; perché, se Dublino è la sineddoche urbana prescelta da Joyce
per rappresentare il “mio Paese”,
“nel mio specchio minuziosamente
lucidato” (lettera, 1906), allora persi-
Secondo un membro della presidenza dello Yad Vashem
Palatucci resta Giusto tra le Nazioni
David Cassuto, della presidenza dello Yad Vashem di Gerusalemme, replica
alle accuse del Primo Levi Center di New York e si dice «convinto pienamente dell’eroismo e della grandezza del questore di Fiume, Giovanni Palatucci, e anche dello zio vescovo che lo aiutò a salvare gli ebrei». È quanto si
legge in un articolo di Angelo Picariello pubblicato su «Avvenire» del 15
febbraio. «Non c’è nessuna novità, o presunta tale, che giustifichi un processo di revisione del riconoscimento di “Giusto fra le Nazioni” conferito a
Giovanni Palatucci il 12 settembre 1990» afferma Cassuto in una lettera a
Roberto Malini, storico e documentarista della Shoah, che gli aveva comunicato una sua intervista sul caso Palatucci rilasciata al portale Lo Schermo.
Domande e risposte «convincono pienamente dell’eroismo e della grandezza
dei Palatucci» commenta il membro della presidenza dello Yad Vashem, che
associa nel giudizio la figura dello zio, monsignor Giuseppe Maria Palatucci, vescovo di Campagna, in provincia di Salerno, il quale partecipò all’opera di salvataggio «attraverso l’assistenza agli ebrei trattenuti nel campo di internamento del suo paese».
no “l’anima di quella paralisi parziale [hemiplegia] o completa [paralysis]
che molti considerano una città”
precede qualunque ideologia cosmopolita, foss’anche solo per “lo speciale odore di corruzione che aleggia
sulle mie storie” (come scrisse in alcune lettere del 1907).
Le parole di Joyce vanno ascoltate
con rispetto soprattutto — ed è forse
questo lo stereotipo interpretativo
più resistente e patologicamente recidivante — perché, se al venticinquenne cattolico irlandese James Joyce
interessava scrivere «un capitolo della storia morale del mio Paese», non
bisognerebbe eludere la questione
della natura, delle radici e degli orizzonti di tale storia morale.
Oggi, più in particolare, non se
ne dovrebbe trascurare il rapporto —
comunque lo si voglia aggettivare —
con il cattolicesimo irlandese di quei
giorni, possibilmente senza innescare
pericolosi corto-circuiti tra ciò che
ne dicono lo scrittore, il narratore ed
i personaggi, senza interpretarli retrospettivamente sulla base di quanto si legge in opere successive e sen-
za ricorrere ad armamentari critici
ideologizzati e ormai spuntati.
Restano, infatti, tuttora da verificare con reale acribia ermeneutica
sia le matrici cattoliche di Dubliners,
sia le loro innumerevoli tracce testuali, che Joyce dissemina nella sua
rappresentazione della “settima città
della Cristianità” e delle quali ogni
lettura, anche la più distratta, non
può che registrare e apprezzare l’irriducibile vitalità: tali sono, ad esempio, la sua contraddittoria popolazione di fedeli e di consacrati; il suo
reticolo, moralmente intricato, di
chiese, campanili, conventi, scuole,
abitazioni; le sue pratiche devozionali, liturgiche, ecclesiali ed ecclesiastiche, talora improbabili ma talvolta
sincere.
Andrew Gibson nel
2006 e, nell’anno in
corso, Enrico Terrinoni (Attraverso uno specchio oscuro. Irlanda e
Inghilterra nell’Ulisse di
James Joyce, Mantova,
Universitas
Studiorum, 2014, pagine
202, euro 14) hanno
compiuto, tra gli altri,
sforzi apprezzabili per
riproporre
l’identità
irlandese di Joyce come fondamento del
suo ruolo di intellettuale europeo e cosmopolita. Chi scrive
auspica che il 2014
possa essere anche
l’anno buono per valorizzare le
peculiarità di Dubliners nel recepire
il cattolicesimo romano che Joyce
conobbe, senza confonderlo con
quello odierno (Geert Lernout,
2010), le sue fundamental attitudes towards man (William York Tyndall,
1959) e le sue implicazioni in materia di social morality (Lee Oser,
2007).
Francesco di Assisi e Ildegarda di Bingen
Fiabe per grandi e per piccini
dell’adulto che pure sta narrando
una storia che, in altre forme, già
conosceva. L’odore della bontà genera bontà, quello della fratellanza
produce fratellanza, quello dell’amore crea amore. E poi non ci
sono cattivi, solo uomini, donne e
animali che hanno bisogno di sentire l’odore della bontà.
Frugoni ha trasformato la storia
di Francesco quel tanto che basta
per comprenderla meglio, per
adattarla a tempi che sembrano refrattari ai buoni sentimenti. L’ha
davvero indirizzata solo ai bambini? Perché ci sono fiabe per bambini che è bene che leggano o rileggano i grandi. E questa è una
di loro.
Come lo è la storia di Ildegarda
di Bingen, Ildegarda e la ricetta
della creatività (Palermo, Rueballu, 2013,
pagine 80, euro 16,50)
di Daniela Maniscalco, illustrata da Chiara Carrer in cui si racconta ai più piccoli di
una piccola monaca
che entrò in convento
a soli otto anni, sapeva prevedere il futuro,
fu una straordinaria
musicista e inventò
persino una lingua
per comunicare con le
consorelle.
Su Ildegarda sono
state scritte molte biografie e molti importanti saggi per adulti.
Al suo successo in libreria, ha contribuito
certamente la decisione di Benedetto XVI
Il lupo in un disegno di Felice Feltracco
di nominarla dottore
della Chiesa, oltre che
si addormentò. E il vecchio lupo la sua fortissima immagine di lilo trovò solo e indifeso sul ghiac- bertà e cultura femminile. Di recio. «Gli girò intorno, e l’annusò. cente la lotta accanita di questa
Sentì un odore magico, nuovissi- donna mistica, musicista, esperta
mo. Non somigliava affatto al- di medicina alternativa, infaticabil’odore di carne e di sangue che le organizzatrice la cui vita è deditanto gli piaceva. Il lupo era sor- cata alla realizzazione piena del
preso e sbalordito. All’improvviso disegno di Dio, è stata raccontata
capì che Francesco non voleva uc- da Anna Lise Marstrand-Jugersen,
ciderlo, come gli uomini che gli La sognatrice (Sonzogno, 2012).
E tuttavia il libro di Daniela
davano la caccia. Capì che Francesco gli avrebbe voluto bene. Si Maniscalco aggiunge qualcosa di
sdraiò accanto a lui e lo riscaldò fresco e di inaspettato anche per
col suo pelo». Da quel giorno chi quella storia la conosce e per
stette insieme al frate, lo seguì Ildegarda nutre da tempo una sedappertutto obbediente e affettuo- greta devozione.
La piccola Elisa si chiede: «Ma
so, come un cane.
Ma non è solo questo il lieto fi- è proprio vero che la storia della
ne. C’è, infatti, una domanda che musica è popolata solo da musiciil bambino, prima impaurito, poi sti uomini?». È delusa e arrabbiata
attento e incantato, fa inevitabil- perché lei vorrebbe fare la musicimente a chi gli narra la favola di sta e capisce che, se fino ad allora
san Francesco e il lupo. Se il lupo non c’è riuscita nessuna donna, è
seguì Francesco perché non pote- difficile che ci riesca lei.
Poi incontra Ildegarda. La scova staccarsi dal suo odore, che
odore era? Che cosa l’ha convinto pre in un misterioso e magico lia diventare mansueto e affettuoso bro medievale che la nonna le avee a dimenticare la cattiveria e il va proibito aprire e di sfogliare.
sangue? «Era l’odore di un uomo Lei, invece, non sa resistere alla
tentazione, disobbedisce e dal libuono», spiega il narratore.
Il messaggio arriva diritto e cen- bro emerge la monaca con un abitra in pieno il cuore del piccolo, to lungo fino ai piedi, le scarpe a
ma inevitabilmente anche quello punta e tante cose nuove e strane
di RITANNA ARMENI
La storia di san Francesco e il lupo si può raccontare ai bambini
anche dalla parte del lupo. Lo fa
Chiara Frugoni, storica medievista,
una vita dedicata alla ricerca su
Francesco e Chiara, nello splendido volume San Francesco e il lupo.
Un’altra storia (Milano, Feltrinelli,
2013, pagine 32, euro 15), con illustrazioni di Felice Feltracco.
Il lupo — racconta — non è cattivo, è solo vecchio, malato, è stato cacciato perché troppo debole
dagli altri lupi più giovani e forti
e ha bisogno di mangiare. Francesco lo cerca per parlargli, per convincerlo a non fare del male. Per
questo il frate vagò tanto nei boschi, sotto la neve, finché esausto
da raccontarle. Elisa è salva, può
dire con orgoglio alla maestra:
«Non è vero che tutte le donne
medievali vivevano nei castelli e
trascorrevano il tempo ricamando,
o erano serve della gleba o coltivavano i campi, c’era anche una musicista famosissima, Ildegarda von
Bingen che ha scritto centinaia di
inni».
Elisa conosce Ildegarda, deve
conoscerla a fondo perché altrimenti la monaca non rientrerà nel
libro e la storia senza di lei si fermerà. Per questo entra nel suo
mondo fatto di musica, sensibilità, cultura, e soprattutto tantissima creatività in tutti i campi della
conoscenza. Ildegarda insegna a
Elisa che le idee sono dappertutto. «Possono nascere — conclude felice la bambina — guardando
gli amici o la maestra, passeggiando, sfogliando dei libri. E la
mia vita si è riempita di musica!
Sento note dappertutto: il parabrezza in movimento suona una
canzone, gli insetti in giardino
ballano un valzer, la catena della
mia bicicletta canta un allegro
motivetto. Persino lo sfrigolio
Ildegarda disegnata da Chiara Carrer
delle uova nella padella calda
produce dei suoni armoniosi. Basta saperli ascoltare». Basta ascoltare Ildegarda. Anche chi è adulto è preso da un inspiegabile entusiasmo.
La cattura di Adolf Eichmann raccontata ai ragazzi
La Storia
nella sua complessità
di GIULIA GALEOTTI
Insegnando la storia a scuola,
specie negli anni dell’obbligo,
si corre spesso il rischio di
presentare fatti, eventi, passaggi e snodi in compartimenti stagni. Come se, girando la
pagina tra un capitolo e l’altro, avanzando di anni e attraversando frontiere, mancassero
raccordi saldi, capaci di ripercorrere la tela che si dipana tra l’altro ieri e ieri, tra qui
e lì.
Per questo è interessante il
romanzo per ragazzi di Neal
Bascomb, Nazi Hunters (Firenze, Giunti, 2014, pagine
220, euro 9,90), che — ripercorrendo l’avventurosa cattura
di Adolf Eichmann — racconta
la Shoah, il problema del ritorno alla normalità per vincitori e vinti, vittime e carnefici, i complessi assetti edificati
dalla guerra fredda, i rapporti
di opportunità e calcolo tra
Paesi, il confine tra memoria e
ossessione, tra vendetta e giustizia.
Sedici anni dopo essere svanito nel nulla, Adolf Eichmann viene rapito alla fermata di un autobus in Argen-
tina da un gruppo scelto di
agenti segreti. Trasportato di
nascosto in Israele, sarà oggetto di uno dei processi più
significativi contro criminali
nazisti. Bascomb — giornalista
e saggista autore del best seller per adulti Hunting Eichmann (2009) — racconta qui,
a un pubblico di giovanissimi,
come tutto ciò sia avvenuto: il
sopravvissuto Simon Wiesenthal riapre il caso Eichmann,
un argentino cieco e la figlia
adolescente forniscono preziose informazioni, un gruppo di
agenti segreti — tratteggiati
con poche ma efficaci pennellate — parte da Israele per effettuare il rapimento.
Attraverso l’avventuroso romanzo storico, il giovane lettore scopre aspetti meno noti
della storia. La psicologia dei
nazisti; il destino di molti gerarchi a fine guerra, e la complicità di tante autorità internazionali nella loro fuga
all’estero; il disinteresse dei
Paesi sulla caccia; l’impegno
di Israele affinché l’Olocausto
non venisse dimenticato; la fatica che è stata fatta per ricordare, e per tramandare. Per
fare memoria.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 6
domenica 16 febbraio 2014
Ultimata dopo trent’anni la traduzione del testo sacro in lingua locale
Appello alla comunità internazionale dell’arcivescovo di Bangui
La Bibbia
che parla al Benin
Nella Repubblica Centroafricana
l’ombra del genocidio
di JEAN-BAPTISTE SOUROU
Ci sono voluti ben trent’anni, tanta
pazienza e molta perseveranza per
vedere la Bibbia tradotta anche nella lingua fon. Il fon, proveniente
principalmente dal centro-sud del
Benin, oltre al francese che è la lingua ufficiale, è uno degli idiomi più
popolari e più usati nel Paese africano, anche perché molti commercianti e lavoratori del sud che emigrano
verso il nord portano con sé la loro
lingua e la loro cultura. Senza dire,
poi, che la maggior parte delle istituzioni statali di formazione, di
educazione, di economia, di sviluppo e di cura fino a poco tempo fa
avevano base nel sud del Paese, dove appunto domina il fon, per cui
prima o poi, anche gli abitanti del
nord erano in qualche modo “costretti” a impararlo.
Il fon è anche la lingua liturgica
in uso nelle diocesi di Cotonou e di
Abomey. Per cui la si potrebbe davvero considerare come la seconda
lingua per importanza dopo il francese. E visto che pochi parlano e
leggono il francese, una traduzione
in fon dei testi biblici era quanto
mai attesa.
Si capisce allora la gioia e l’entusiasmo delle migliaia di fedeli, religiose e religiosi, sacerdoti, autorità
civili e militari venuti domenica 2
febbraio, solennità della Presentazione del Signore, nel palazzetto
dello sport di Cotonou, dovè è stata
presentata la prima versione della
Bibbia in fon interamente tradotta
in Benin da una squadra di biblisti
di tutte le confessioni cristiane. Infatti, l’idea è partita dall’Alliance Biblique du Bénin che aveva già tradotto i testi sacri in altre lingue locali. Essa ha allora voluto unire tutte le Chiese e le comunità ecclesiali
per avere una versione completa
della Bibbia in fon, una versione interconfessionale.
Secondo il progetto, ogni Chiesa
e comunità ecclesiale doveva dare il
suo contributo. Ma dopo cinque anni, niente o quasi nulla era stato fatto. Gli incontri si sono moltiplicati,
in seguito. Ci è voluto allora coraggio, tanta motivazione e aiuto reciproco per superare le difficoltà. Gli
scogli principali erano le espressioni
proprie a ciascuna Chiesa e comunità, e il tempo necessario per la concessione degli imprimatur. Ma dopo
trent’anni, la Bibbia in fon è una
realtà. E tra i membri dell’équipe
dei traduttori molti hanno confidato
che «è stato bello aver lavorato con
i fratelli delle altre Chiese».
Il momento più bello, della cerimonia di domenica 2 febbraio è stato quando i volumi sono stati sco-
perti dal rappresentante della Società bibblica olandese, assieme al pastore Daniel Hounzandji, direttore
dell’Alleanza biblica del Benin, e da
monsignor Clet Feliho, vescovo di
Kandi e presidente della Commissione episcopale per l’ecumenismo.
La Bibbia in fon è stata realizzata
in lingua corrente, con un vocabolario e una grammatica semplici per
facilitarne l’uso ai fedeli. Essa esiste
in due versioni: una con i libri deuterocanonici e l’altra senza questi.
«È una grande sfida che dovevamo
affrontare. È una questione d’onore,
di maturità per la Chiesa in Benin.
La Parola ci è stata portata centocinquanta anni fa e non siamo stati
capaci fin d’ora di tradurla nella nostra lingua. Non l’avevamo allora
ancora ben accolta, al punto di appropiarcene, di tradurla nella nostra
lingua», ha dichiarato il coordinatore dei lavori di traduzione per la
Chiesa cattolica, padre Victor Noël
Sogni.
L’Alleanza biblica in Benin lavora
per rendere la Parola di Dio accessibile a tutti, traducendola nelle lingue locali più popolari e si impegna
anche a organizzare delle vere e
proprie campagne di alfabetizzazione perché se la gente non sa leggere
e scrivere, non serve a niente tradurre i testi sacri.
Il Consiglio ecumenico delle Chiese contro l’utilizzo dei droni
Una seria minaccia per l’umanità
GINEVRA, 15. Il Comitato esecutivo
del Consiglio ecumenico delle Chiese (Cec o World Council of Churches) ha condannato l’uso dei droni
o Unmanned Aerial Vehicles (gli aerei armati senza pilota comandati a
distanza)
poiché
rappresentano
«una seria minaccia per l’umanità e
il diritto alla vita e creano pericolosi
precedenti nelle relazioni tra gli
Stati».
Queste preoccupazioni sono state
espresse nella dichiarazione conclusiva del comitato del Cec riunitosi
nei giorni scorsi presso il Centro
ecumenico di Bossey, in Svizzera.
Nel comunicato viene sottolineato
che l’uso della tecnologia Uav attualmente sta permettendo a Paesi
come gli Stati Uniti, Israele, Russia
e Regno Unito, ad andare verso sistemi sofisticati che danno la piena
autonomia di combattimento a delle
macchine telecomandate. L’uso dei
droni, apparsi per la prima volta
nella guerra dei Balcani, è andato
via via aumentando in Afghanistan,
Iraq, Yemen, Somalia e più recentemente in Pakistan. Il Comitato esecutivo del Consiglio ecumenico delle Chiese, pertanto, ha esortato i
Governi a «rispettare e a riconoscere il dovere di proteggere il diritto
alla vita dei loro cittadini e di opporsi alla violazione dei diritti umani», mentre ha invitato la comunità
internazionale a «opporsi alle politiche e alle pratiche illegittime».
Nella dichiarazione, inoltre, il
Cec lancia un appello al Governo
degli Stati Uniti affinché garantisca
la giustizia alle vittime di attacchi
con i droni e fornisca un accesso
immediato ed efficace alle procedure di risarcimento e una protezione
adeguata per la riabilitazione delle
vittime degli attacchi.
Lo scorso novembre anche l’arcivescovo Silvano Maria Tomasi, Rappresentante Permanente della Santa
Sede presso le Nazioni Unite e altre
Organizzazioni internazionali a Ginevra, in occasione dell’incontro annuale degli Stati Parte della Convenzione sull’interdizione e limitazione dell’uso di alcune armi convenzionali che possono produrre effetti traumatici eccessivi o indiscriminati (Ccw), ha espresso preoccupazione sull’utilizzo dei droni. «Negli ultimi anni — ha dichiarato l’ar-
civescovo — l’uso di droni armati
nei conflitti armati e in altre azioni
ostili internazionali è aumentato in
modo esponenziale. Per alcuni di
coloro che prendono le decisioni, i
fattori sociali, politici, economici e
militari possono anche aver modificato l’equazione riguardo all’uso dei
droni armati, ma le preoccupazioni
etiche e umanitarie continuano a essere grandi e, di fatto, si sono fatte
più pressanti con l’aumento del loro
impiego».
BANGUI, 15. Nella Repubblica Centroafricana il rischio che si arrivi al
genocidio è imminente. Ne è fermamente convinto l’arcivescovo di
Bangui, monsignor Dieudonné Nzapalainga, che in diverse occasioni ha
lanciato un appello alla comunità
internazionale e alle Nazioni Unite
affinché si intervenga al più presto
per fermare l’ondata di violenza nel
Paese africano.
«Con appena quattro-cinquemila
soldati — ha spiegato il presule alla
Fondazione di diritto pontificio,
Aiuto alla Chiesa che Soffre (Acs) —
è impossibile restaurare la pace
nell’intero Paese. Per proteggere la
popolazione servono più uomini. La
crisi ha ormai raggiunto proporzioni
drammatiche e in Centroafrica potrebbero regnare definitivamente il
caos, l’anarchia e il disordine totale».
Monsignor Nzapalainga ha raccontato di un suo recente viaggio a
Bodango, un piccolo villaggio a 190
chilometri dalla capitale Bangui. Arrivato sul luogo, il presule si è reso
conto che erano scomparsi circa
duecento musulmani che abitavano
il piccolo centro e ha chiesto ad alcuni militanti anti-balaka cosa fosse
successo. «Mi hanno risposto che
erano stati cacciati e si erano trasferiti nella capitale. Ma come potevano camminare per quasi duecento
chilometri con donne, anziani e
bambini? È chiaro che è andata diversamente». L’arcivescovo ha sottolineato come, a differenza di quanto
diffuso dai media internazionali, gli
anti-balaka — che in lingua sango significa anti-machete — non sono milizie cristiane. Un’estraneità più volte affermata dall’episcopato locale e
ribadita nei giorni scorsi anche dal
vescovo di Bangassou, monsignor
Juan José Aguirre Muñoz. «Nessuna milizia cristiana — ha dichiarato
il presule — sta uccidendo i musulmani in Centroafrica. Gli anti-balaka sono dei cittadini traumatizzati
ed esaltati, che dopo aver subito per
un anno violenze e soprusi da parte
della Seleka, hanno deciso di vendicarsi riversando il proprio odio contro la coalizione e contro i centrafricani di fede islamica che l’hanno sostenuta».
Intanto la popolazione continua a
vivere nel terrore e ad assistere a
scene che, ha sottolineato monsignor Nzapalainga, «ricordano il genocidio in Rwanda». L’arcivescovo
si riferisce a quanto accaduto a
Bohong, il piccolo villaggio cristiano a quindici chilometri da Bouar
attaccato dalla Seleka l’estate scorsa.
«Persone arse vive, case bruciate, teschi e ossa abbandonati tra le ceneri. Avevo visto simili crudeltà — ha
raccontato — solo nei documentari
sull’olocausto rwandese. Oggi, il
diavolo vive nel nostro Paese e se
nessuno tratterrà la sua mano, il
maligno riuscirà a raggiungere il
suo obiettivo: uccidere e distruggere». La presenza dei missionari è
uno dei pochi aiuti rimasti ai centrafricani. «Loro hanno scelto di rimanere, non sono stati costretti. E
nel coraggio di questi religiosi i centrafricani possono intravedere una
luce nel buio della notte. Perché se i
missionari sono ancora in Centrafrica, vuol dire che c’è ancora
speranza».
Secondo padre Federico Trinchero, missionario carmelitano scalzo,
superiore e maestro degli studenti
nel convento Notre Dame du Mont
Carmel di Bangui, «la follia della
guerra non ha risparmiato neppure
le famiglie dei miei confratelli: a
qualcuno è stato ucciso un parente,
a qualcun altro è stata bruciata o
saccheggiata la casa. Se i seleka, e
chi li ha sostenuti, sono indubbiamente all’origine della situazione in
cui ci troviamo — ha dichiarato a Fides — gli anti-balaka hanno dimostrato una violenza pari, se non superiore, a chi li ha preceduti e provocati. Gli anti-balaka, che non sono musulmani, non possono dirsi
cristiani. Se lo erano, le loro azioni
dicono il contrario. Più volte i vescovi hanno denunciato questa violenta reazione popolare, che i media
hanno frettolosamente interpretato
come cristiana. Ma, poiché non sono musulmani — continua — la confusione è stata inevitabile. Ci consola la consapevolezza che, sebbene
tutto ciò sia una vergogna sono stati
centinaia, forse migliaia, i musulmani che hanno trovato rifugio nelle
parrocchie e nei conventi sparsi nel
Paese, salvandosi letteralmente la vita. Ma l’esodo di questa minoranza
è ormai cominciato. Tantissimi musulmani sono stati costretti a lasciare
il Paese, pur essendo nati qui. A ciò
si aggiunge un effetto collaterale
che renderà ancora più difficile la
già fragile economia centroafricana.
Le poche attività commerciali erano
infatti in mano ai musulmani. Il futuro del Centroafrica, anche quello
economico, è quindi una vera incognita».
Intanto, l’elezione del nuovo presidente della Repubblica Centroafricana, Cathérine Samba Panza, avvenuta il 20 gennaio scorso, ha dato
un segnale di distensione poiché, a
differenza di chi l’ha preceduta, gode del favore popolare.
Lettera pastorale della conferenza episcopale in vista delle elezioni generali
Il Sud Africa
e il dono prezioso della democrazia
PRETORIA, 15. «Venti anni di democrazia. Il popolo di Dio e tutti gli
uomini di buona volontà» è il titolo
della lettera pastorale diffusa nei
giorni scorsi dalla Conferenza episcopale del Sud Africa in occasione
del ventesimo anniversario dell’affermarsi della democrazia nel Paese
e in vista delle elezioni generali che
si terranno il 7 maggio.
Il documento sottolinea il valore
del processo democratico, definito
dai vescovi “un tesoro”, grazie al
quale si sono potuti promuovere «i
diritti di tutti e restaurare la dignità
della maggioranza della popolazione, negata dall’Apartheid».
I presuli — riferisce Radio Vaticana — hanno inoltre elogiato «il miglioramento delle condizioni di vita
della popolazione apportato dalla
democrazia» e riscontrabile nello
sviluppo delle infrastrutture e dei
servizi forniti dallo Stato, così come
nell’attenzione alla situazione sociale.
Tuttavia, a due decenni dall’inizio del processo democratico, il
Sud Africa — fanno notare i vescovi
— non conta solo le luci, ma anche
le ombre. «Molte persone vivono
ancora in condizioni intollerabili»,
scrivono i presuli, denunciando lo
scarso valore che viene dato alla vita umana, la presenza di atteggiamenti e comportamenti razzisti,
«l’orrore degli abusi su minori e anziani, i rapimenti e le violenze domestiche». Di qui, l’esortazione a
«ricostruire il Paese secondo i valori
del Vangelo, lavorando tutti insieme allo sradicamento dei crimini,
del traffico di droga e della tratta di
esseri umani per rendere il Sud
Africa ospitale e bandire così la xenofobia ed il razzismo».
Due i principi ai quali fare riferimento, hanno affermato ancora i
vescovi sudafricani, ovvero «trasparenza e responsabilità. Dobbiamo
essere in grado — sostengono — di
considerarci responsabili gli uni rispetto agli altri della nostra libertà
e dell’uso delle risorse del nostro
Paese».
Altrettanto senso di responsabilità viene richiesto alle forze dell’ordine, affinché «combattano il crimine, agli insegnanti perché formino i
loro alunni, ai genitori affinché
amino e abbiano cura dei loro figli,
e ai sacerdoti e religiosi affinché
provvedano alla crescita spirituale
della popolazione». Il tutto nell’ottica «della dignità e del rispetto reciproco». Il processo democratico,
ribadisce ancora la Conferenza episcopale sudafricana, non riguarda
solo i leader politici, ma «richiede
il coinvolgimento di ciascuno affinché dia il suo contributo, anche
grazie alle associazioni civili ed ecclesiali».
Inoltre, in vista delle elezioni, i
vescovi indicano, nella lettera, alcuni criteri in base ai quali i fedeli sono invitati a scegliere come votare:
sacralità della vita e dignità di ogni
essere umano; sostegno al matrimonio e alla famiglia; responsabilità
sociale e rispetto del bene comune;
equa condivisione delle risorse e
della ricchezza; solidarietà con i poveri e gli emarginati. Il testo insiste
in particolare su questo ultimo punto, invitando «a votare per i partiti
le cui politiche siano autenticamente al servizio di tutti e in particolare
dei più poveri e vulnerabili. Dobbiamo respingere ogni forma di avidità, di etnicità, di corruzione e di
arricchimento illecito».
Infine, i vescovi invitano a rendere grazie a Dio «per il prezioso dono della democrazia e a pregare per
il Paese. Possano le scelte che facciamo portare speranza ai poveri,
unità a tutto il nostro popolo e un
futuro sicuro e pacifico per nostri
figli».
La Nigeria
e i pregiudizi
anticristiani
ABUJA, 15. «Non dobbiamo essere
fagocitati dalle imposizioni dispotiche di alcuni Governi o di alcune organizzazioni non governative
che vogliono dettare le tendenze
morali mondiali basate sui loro
valori laicisti». È quanto ha dichiarato monsignor Ignatius Ayau
Kaigama, arcivescovo di Jos e presidente della Conferenza episcopale della Nigeria, durante il seminario di lavoro dei medici e degli
infermieri cattolici.
Il presule — riferisce Fides — ha
sottolineato che spesso le critiche
alla posizione della Chiesa cattolica su tematiche relative alla difesa
della vita e alla morale sessuale
derivano da posizioni pregiudiziali, frutto della scarsa conoscenza
degli insegnamenti cattolici. «La
Chiesa — ha detto — è di frequente giudicata da persone alle quali
non interessa conoscere quello in
cui realmente crede. I pregiudizi
hanno reso ciechi i critici della
Chiesa, per cui molti di loro non
sono in grado di essere obiettivi
sulle tradizioni e sulle credenze
dei cattolici. Senza un discernimento culturale o intellettuale corriamo il rischio di perdere i nostri
valori».
L’OSSERVATORE ROMANO
domenica 16 febbraio 2014
pagina 7
Per l’arcivescovo di Cali va aperto un tavolo di negoziati anche con l’Eln
Appello dei presuli del Venezuela dopo le sanguinose manifestazioni di protesta
In Colombia
la pace deve coinvolgere tutti
Il dialogo
è la chiave di volta
BO GOTÁ, 15. Potrebbe avere effetti
positivi l’eventuale coinvolgimento
dell’Esercito di liberazione nazionale (Eln) nei negoziati di pace fra il
Governo colombiano e le Forze armate rivoluzionarie (Farc) da tempo
in corso a L’Avana. Ne è convinto
l’arcivescovo di Cali, Darío de Jesús
Monsalve Mejía, il quale alla stampa — secondo una nota inviata
all’agenzia Fides — ha spiegato che
in questi ultimi giorni sono apparsi
elementi molto importanti da considerare. Il presule ha partecipato, come rappresentante della Conferenza
episcopale colombiana, a diverse
trattative per la liberazione dei rapiti dai guerriglieri dell’Eln e si è
sempre espresso positivamente sui
negoziati di pace: «Ho sentito che
c’è disponibilità dalle parti. Il presidente della Repubblica Juan Manuel Santos è venuto a parlare con
noi durante l’assemblea della Conferenza episcopale e ha ribadito la sua
convinzione in questo dialogo».
Per monsignor Monsalve Mejía,
l’Esercito di liberazione nazionale
avrebbe già definito alcuni punti
per una possibile agenda di accordo, «soprattutto nel settore delle
miniere, dell’energia e dell’ambiente. Credo sia essenziale — ha osservato — che l’Eln entri in questo processo di dialogo con un tavolo separato e che dovrebbe anche aumentare la partecipazione dei cittadini».
Va letta alla luce di questi spiragli
di pace l’iniziativa della Comunità
di Sant’Egidio che ha lanciato un
appello per il rilancio del dialogo
fra Governo colombiano e gruppi
guerriglieri. «I colombiani — si legge nel documento — si trovano di
fronte a una storica svolta: mettere
fine alla guerra una volta per tutte o
continuare a soffrire per un conflitto
sanguinoso che va avanti da 50 anni. In realtà tutti i colombiani, uomini e donne, bambini e anziani,
ricchi e poveri, sono vittime di un
conflitto che ha oltrepassato ogni limite. Accogliamo con favore il fatto
che l’attuale governo e la guerriglia
abbiano deciso di cercare formule di
intesa per una soluzione negoziale a
questo lungo e inutile scontro. Il
dialogo è la via per porre fine al
conflitto». La pace è possibile: «Ne
è dimostrazione l’accordo raggiunto
pochi giorni fa sul secondo punto
dell’agenda a proposito della partecipazione politica. Siamo certi che
l’amore per il Paese e per il suo futuro permetterà loro di trovare soluzioni giuste ed eque per risolvere i
contrasti, riunire l’unica famiglia colombiana e offrire alle giovani generazioni il futuro che meritano».
L’appello è stato sottoscritto da numerose personalità.
La Chiesa e il dramma dei bambini soldato
Una realtà invisibile
MADRID, 15. «Nella milizia avevo
tutto quello che volevo: ragazze, tabacco, alcol». A parlare è un congolese di 14 anni, che attualmente si
trova in un centro salesiano per il
reinserimento nella società civile. Si
è lasciato alle spalle l’orrore delle armi. Ma ci sono ancora trecentomila
bambini — si legge in un comunicato della procura missionaria salesiana di Madrid — che non hanno avuto la fortuna di essere liberati. Per le
Nazioni Unite è da considerare un
bambino soldato ciascuna persona
sotto i 18 anni di età che fa parte di
qualsiasi tipo di forze armate, regolari o irregolari, con qualsivoglia
mansione. Non si parla, quindi, soltanto di bambini che brandiscono le
armi, ma anche di cuochi, di facchini, di messaggeri e di ragazze reclutate per scopi sessuali. La relazione
dell’Assemblea generale del Consiglio di sicurezza dell’Onu del maggio 2013 indica che, allo stato attuale, cinquanta gruppi armati e otto
Governi reclutano o utilizzano i
bambini nei contesti di ostilità, senza contare quelli che sono integrati
nelle milizie a sostegno dei Governi.
È abbastanza evidente che quando
sorge un conflitto i minori sono una
facile risorsa, «una forza militare
molto economica — spiegano nel
centro Don Bosco di Goma Ngangi,
nella Repubblica Democratica del
Congo — e obbediente. I bambini
non pensano alle conseguenze delle
loro azioni in guerra, mangiano poco e sono facili da sostituire». Ogni
anno, migliaia di bambini, bambine
e giovani vengono sradicati con violenza dalle loro case e trovano nella
milizia una sorta di “famiglia”. Tra i
motivi che spingono i bambini verso
l’arruolamento ci sono la povertà, la
disgregazione familiare, l’abbando-
no scolastico, l’abuso, i sequestri. Il
lavoro di riabilitazione non consiste
solo nel curare le ferite attraverso il
reinserimento nella società, come fa,
ad esempio, l’opera Ciudad Don
Bosco di Medellin, che nei suoi die-
ci anni di vita ha riabilitato 280
bambini ex-guerriglieri; si tratta anche di lavorare sulla prevenzione,
fornire ai minori e alle loro famiglie
un’educazione integrale, fondata
sull’amore e il rispetto.
CARACAS, 15. La Chiesa in Venezuela condanna in maniera netta il clima di violenza che attraversa il Paese, ma chiede allo stesso tempo che
il Governo ascolti la voce della protesta. È quanto ha ribadito il presidente dell’episcopato venezuelano,
l’arcivescovo di Cumaná, Diego Rafael Padrón Sánchez, che, in particolare, ha stigmatizzato con decisione l’uccisione di tre manifestanti,
avvenuta nel corso delle recenti proteste contro il Governo del presidente Nicolás Maduro. «Ciò che è
accaduto è molto triste e va rifiutato», ha detto il presule. Una dichiarazione che ha preceduto di poche
ore un comunicato diffuso dal consiglio di presidenza dell’episcopato
dal titolo «Costruire la pace ed evitare la violenza», nel quale si esprime «profonda preoccupazione per il
crescente clima di tensione», si «rifiuta ogni tipo di violenza», ribadendo al contempo «il diritto di
protesta pacifica, così come il diritto
alla libertà di espressione e di informazione», indicati come «valori sociali essenziali per l’esercizio di una
vera democrazia».
Mercoledì 12, come è noto, migliaia di venezuelani si erano riuniti
in diverse zone della capitale per celebrare il duecentesimo anniversario
della Battaglia della Vittoria, manifestazione che ricorda la guerra di
indipendenza del Paese. Lo stesso
giorno è stata celebrata anche la
Giornata della Gioventù, per rendere omaggio ai giovani che sono
morti durante il conflitto. La commemorazione è però diventata l’occasione per una protesta generale in
difesa dei diritti umani, con l’accusa
rivolta al presidente Maduro di reprimere le dimostrazioni contro il
governo. I manifestanti criticavano
l’uso delle armi da fuoco da parte
della polizia e il ricorso alla legge
antiterrorismo per fermare gli attivisti, violando così il diritto costituzionale alle proteste pacifiche.
In merito a questi eventi, il presidente della Conferenza episcopale
venezuelana ha affermato che questo «è il momento opportuno per
tutti i venezuelani di riflettere e mobilitarsi a favore della pace». Infatti,
«lo stato di violenza al quale siamo
arrivati», spinge a rinnovare, «ancora una volta, un appello serio, molto forte, alla riconciliazione e al reciproco riconoscimento. Senza queste condizioni non vi sarà dialogo e
dunque neanche pace».
Per il presidente dell’episcopato
venezuelano, «il dialogo è una chiave che apre le porte, che abbassa le
tensioni e consente di trovare accordi e coincidenze tra tutti, che certamente ci sono». Secondo l’arcivescovo Padrón Sánchez, non seguire
questa strada significa approfondire
«la polarizzazione». Di qui anche la
richiesta, rivolta allo stesso presidente Maduro, di «dare ascolto al popolo che protesta», perché «non
possiamo avere un Governo che
non ascolta la sua gente», ha sottolineato il presule, che è poi tornato
a elencare i molti problemi del Pae-
Nelle Filippine una campagna quaresimale in favore dei più poveri
Digiunare per nutrire
MANILA, 15. La quaresima può essere l’occasione per aiutare e sfamare
gli almeno 250.000 bambini malnutriti che vivono in tutto l’arcipelago
filippino. È quanto ha detto il cardinale arcivescovo di Manila, Luis
Antonio G. Tagle, in vista del prossimo mercoledì delle Ceneri — giorno in cui la Chiesa tradizionalmente
osserva il digiuno — perché il denaro risparmiato venga utilizzato in
iniziative di solidarietà.
In particolare, le parole del porporato si ricollegano all’iniziativa di
Pondo ng Pinoy, ente caritativo fondato anni fa dal cardinale Gaudencio B. Rosales, attuale arcivescovo
emerito di Manila, che ha lanciato
una campagna di raccolta fondi,
con l’obiettivo di raccogliere denaro
sufficiente per sfamare almeno
250.000 bambini filippini. Soprannominata Fast2Feed (digiunare per
nutrire), l’iniziativa si rivolge ai fedeli chiedendo loro di donare il denaro risparmiato per l’acquisto di cibo il prossimo 5 marzo, mercoledì
delle Ceneri.
In prima fila a promuovere il progetto vi è, appunto, il cardinale arcivescovo della capitale, il quale — come riferisce l’agenzia AsiaNews —
ha invitato la comunità a donare
fondi a favore dei bambini malnutriti. Particolare attenzione è dedicata
ai minori che vivono nelle aree colpite da terremoti o dal passaggio
del tifone Yolanda nel novembre
scorso.
Il cardinale Tagle, che presiede la
fondazione Pondo ng Pinoy, chiamata a verificare l’attuazione del
programma di aiuti Hapag Asa, ha
sottolineato che almeno 50.000 dei
250.000 bambini sfamati con i fondi
raccolti «provengono da aree segnate dalle calamità naturali». Per alleviare le sofferenze dei bambini malnutriti, Hapag Asa cerca di intensificare le campagne di raccolta fondi
coinvolgendo le diocesi interessate.
Il progetto riguarda bambini di età
compresa fra i sei mesi e i dodici
anni; essi ricevono una volta al giorno, per cinque giorni a settimana,
generi alimentari e di conforto, per
un totale di almeno sei mesi. Il co-
sto semestrale è di 1.200 pesos (poco più di 26 dollari) per bambino.
Oltre al cibo per i bambini, il programma fornisce anche nozioni e
corsi ai genitori, per insegnare loro
come nutrire al meglio i loro figli.
Essi ricevono pure informazioni e
competenze di base per poter ottenere un impiego o avviare un’attività propria.
Istituito nel 2004 dall’allora arcivescovo di Manila, il Pondo ng Pinoy ha dato ai filippini l’opportunità di mettere a disposizione le proprie risorse in favore dei meno fortunati. Secondo gli ultimi rapporti,
nell’anno fiscale 2012-2013, il programma ha raccolto un totale di 15,8
milioni di pesos, circa 280.000 euro.
La maggior parte delle donazioni è
giunta dalle parrocchie dell’area metropolitana di Manila, seguita da
quelle di Malolos e Antipolos. L’iniziativa della Chiesa incoraggia la
gente a donare 25 centesimi al giorno nelle varie parrocchie e scuole,
ed è una prova continua della generosità del popolo filippino.
se, peraltro già denunciati nel corso
della plenaria dell’episcopato dello
scorso gennaio: la situazione di crisi
e di paura in cui vive la popolazione; la mancanza di generi alimentari, anche quelli minimi necessari; la
corruzione e lo scontro polarizzato
dei gruppi politici.
Infine, monsignor Padrón Sánchez, che ha difeso la marcia dei
giovani perché legittima e pacifica,
ha denunciato l’esistenza di «piccolo gruppi violenti che occorre individuare, disarmare e arrestare».
Il tema della violenza e della necessità di una aprire una fruttuosa
stagione di dialogo tra Governo e
opposizione era stato affrontato
dall’episcopato anche nel corso della plenaria dello scorso mese di luglio. «Siamo tutti coinvolti — si legge nel documento dei vescovi — nel
costruire il bene del Paese. E tutti
dobbiamo risolvere i principali problemi, come l’insicurezza, e lavorare
per tutto ciò che riguarda la qualità
della vita». In quella occasione, i
presuli avevano anche ricevuto la visita del ministro degli Interni e della Giustizia, Miguel Rodríguez Torres, al quale avevano assicurato, da
A venti anni dalla morte
La Francia ricorda
il cardinale
François Marty
PARIGI, 15. Aveva una preoccupazione speciale per la gente delle
“periferie”: il 24 dicembre 1970,
mentre lo si attendeva per celebrare la messa di mezzanotte nella cattedrale di Notre-Dame, si attardò
per condividere un piatto di maiale
e crauti con ottocento senzatetto.
Era di una gioiosa semplicità ma
anche di una grande audacia missionaria. Amava telefonare direttamente ed era chiamato spesso da
Paolo VI (che lo aveva creato cardinale il 28 aprile 1969) e poi da
Giovanni Paolo II per essere consultato sulla situazione nella “sua”
Chiesa. La Francia — riferisce il
quotidiano «la Croix» nell’edizione
di venerdì 14 febbraio — ricorda
domani il ventesimo anniversario
della morte del cardinale François
Marty, avvenuta il 16 febbraio 1994,
all’età di quasi 90 anni. Una morte
tragica: a bordo della Citroën 2 cv
che i fedeli parigini gli avevano regalato quando lasciò la guida
dell’arcidiocesi, restò intrappolato
in un passaggio a livello in località
Monteils di Villefranche-de-Rouergue (vicino al convento dei domenicani dove viveva) e venne investito da un treno. Marty fu prelato
della Mission de France, arcivescovo di Parigi dal 26 marzo 1968 al
31 gennaio 1981 e presidente della
Conferenza episcopale dal 1969 al
1975. Celebre un suo appello alla
pace e all’unità lanciato, il 25 maggio 1968, durante una trasmissione
televisiva. Le Fraternità monastiche
di Gerusalemme gli dedicheranno
domani una giornata con conferenze e testimonianze, mentre il 14, 15
e 16 marzo Rodez (la diocesi dove
nacque e dove è sepolto) ha organizzato un convegno dal titolo
«François Marty e il concilio Vaticano II».
parte della Chiesa cattolica, il desiderio di dare un contributo significativo al Plan Patria Segura e alla
missione A Toda Vida Venezuela.
«Abbiamo affrontato la questione
della sicurezza, del recupero delle
armi illegali, dei prigionieri e degli
esiliati politici», spiegò allora il presidente dell’episcopato.
Nel documento finale, i vescovi,
inoltre, avevano fatto riferimento a
una loro precedente dichiarazione
del 17 aprile 2013, in occasione dei
risultati elettorali presidenziali, a seguito dei quali scoppiarono disordini nel Paese con la morte di sette
persone e numerosi arresti. «Esortiamo i leader politici e sociali — si
legge
in
quella
dichiarazione
dell’aprile scorso — a non usare un
linguaggio offensivo, denigratorio e
provocatorio. Al fine di evitare
scontri per le strade che spesso si
traducono in violenza e talvolta nella morte di persone. Come cristiani
siamo tenuti a stare dalla parte dei
più deboli, dobbiamo perdonare e
lottare per fare prevalere l’unione
sulla divisione, l’amore sull’odio, la
pace sulla violenza».
A Tv2000
e RadioinBlu
cambio
al vertice
ROMA, 15. Cambio al vertice di
Tv2000 e RadioinBlu, rispettivamente emittente e radio promosse dalla Conferenza episcopale italiana (Cei): è stato infatti nominato ieri direttore ad interim monsignor Francesco Ceriotti, che sostituisce Dino Boffo, in carica dal 2010. Per lunghi anni monsignor Ceriotti ha
diretto l’Ufficio nazionale per le
comunicazioni sociali della Cei.
Lutto nell’episcopato
Monsignor Francisco José Arnáiz Zarandona, della Compagnia di Gesù, già vescovo ausiliare di Santo Domingo, nella
Repubblica Dominicana, è morto nel pomeriggio di venerdì 14
febbraio. Nato il 9 marzo 1925 a
Bilbao in Spagna, era entrato
nella Compagnia di Gesù il 30
maggio 1941 e il 15 luglio 1955
era stato ordinato sacerdote.
Quindi nel 1961 era arrivato nella Repubblica Dominicana. Il 2
dicembre 1988 era stato nominato vescovo titolare di Leges e
ausiliare di Santo Domingo. Il
6 gennaio 1989 Giovanni Paolo
II gli aveva conferito l’ordinazione episcopale. Il 31 luglio
2002 aveva rinunciato all’incarico pastorale. Le esequie di
monsignor Arnáiz Zarandona
saranno celebrate domenica 16
febbraio, alle ore 11, nella cattedrale di Santo Domingo.
L’OSSERVATORE ROMANO
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domenica 16 febbraio 2014
Iniziativa del Pontificio Consiglio per gli operatori sanitari
Omelia del cardinale Filoni
In Tanzania cure gratuite
per i malati di aids
Come piccoli
alunni
di Cristo
Test & treat è il titolo del progetto
quinquennale per la diagnosi e la
cura gratuite dell’aids nella diocesi
di Shinyanga, in Tanzania, presentato martedì scorso, 11 febbraio, a Dar
es Salaam, in concomitanza con la
ventiduesima giornata mondiale del
malato. L’iniziativa, che coinvolgerà
una popolazione di circa centoventimila persone, è scaturita dalla collaborazione tra la fondazione Il Buon
Samaritano, che fa capo al Pontificio Consiglio per gli operatori sanitari, la Chiesa locale e una società
biofarmaceutica statunitense. Ne abbiamo parlato con l’arcivescovo
Zygmunt Zimowski, presidente del
dicastero.
Cosa è il progetto Test & treat?
Da un punto di vista strettamente
medico il progetto offrirà l’accesso
gratuito alle analisi di laboratorio e,
se sieropositivi, alle terapie antiretrovirali. Ciò sarà possibile presso
quattro presidi sanitari che, già attivi nel territorio della diocesi di Shinyanga, saranno adeguatamente rafforzati e sostenuti: il centro sanitario
di Ngokolo e i dispensari di Bugisi,
Buhangija e Mija. Grazie alla collaborazione con l’azienda statunitense
Gilead Sciences, saranno al contempo sviluppati programmi di formazione rivolti a diverse categorie di
persone: per il personale sociale e
sanitario si punterà a iniziative specialistiche, per le persone che accederanno al test si tratteranno temi
morali e igienico-sanitari, per le comunità locali, anche delle zone rurali più remote, si approfondiranno
infine gli aspetti educativi. Non
mancherà, infine, il sostegno alle
persone più deboli — a partire dagli
orfani — che comprende il supporto
nell’alimentazione dei bambini sieropositivi.
Perché dare vita a un progetto di questo tipo?
Tra le nostre principali direttrici
di azione c’è il sostegno alle Chiese
particolari, attraverso l’operatività e
la rappresentatività istituzionale del
Pontificio Consiglio. Il nostro impegno è pertanto di essere, sempre più
e con sempre maggiore competenza,
al servizio delle realtà locali che
compongono la Chiesa universale. E
ciò mediante un’accurata opera di
divulgazione e l’ascolto e il sostegno
ai vescovi, attraverso incontri realizzati in occasione delle loro visite ad
limina o con missioni sul terreno. In
proposito voglio ricordare con stima
e amicizia monsignor Aloysius Balina, vescovo di Shinyanga — purtroppo scomparso poco più di un
anno fa — che sia durante le sue
missioni e le visite a Roma sia in
Tanzania ha fortemente caldeggiato
l’iniziativa. E desidero inoltre ringraziare monsignor Jean-Marie Mupendawatu, segretario del dicastero,
che, in qualità di delegato della fondazione Il Buon Samaritano, ha effettuato diverse missioni a Shinyanga e ha molto contribuito alla concretizzazione del progetto.
Ci sono altri progetti del dicastero che
riguardano la realtà africana?
Il Pontificio Consiglio, per quanto in modo decisamente limitato rispetto ai bisogni espressi, invia anche aiuti economici e promuove
azioni e programmi proprio attraverso questa fondazione. Tra gli altri ricordiamo il progetto Africae
munus che, riunendo le facoltà di
medicina di sette atenei cattolici
africani, ha come obiettivo la costituzione di una rete di formazione a
carattere specialistico, settore gravemente carente nei Paesi subsaharia-
ni. Inoltre la predilezione di Papa
Francesco per i poveri e gli ammalati, per le persone sofferenti che portano nel proprio corpo i segni della
passione di Cristo, è per noi anche
un continuo richiamo ad agire in
termini di servizio alla Chiesa universale, senza per questo trascurare
la specificità culturale, sociale ed
economica di ciascuna Chiesa locale
e particolare.
Quali altre iniziative ha in cantiere il
Pontificio Consiglio?
Sulla base della programmazione
che abbiamo varato, le attività di
quest’anno non saranno certamente
da meno, né per qualità né per
quantità, rispetto allo scorso anno.
Tra i principali appuntamenti, nella
seconda metà di marzo, la sessione
plenaria del dicastero. Le persone
affette da disturbi del cosiddetto
“spettro autistico” saranno invece al
centro della ventinovesima conferenza internazionale, prevista come di
consueto nel mese di novembre. Un
momento decisamente straordinario
sarà la partecipazione alla messa di
canonizzazione del Pontefice che ha
voluto questo dicastero, Giovanni
Paolo II, il 27 aprile prossimo: un
evento atteso e da noi profondamente sentito, alla luce della testimonianza di santità resa da Papa
Wojtyła nella vita, nella malattia e
sino alla morte. Per la realizzazione
di tutte queste iniziative ci impegniamo, come questo dicastero ha
sempre fatto, cercando di tener sempre ben presente che questa istituzione non deve “autoalimentarsi”
bensì “alimentare” per quanto possibile il mondo della salute, i malati, i
sofferenti e coloro che ovunque se
ne prendono cura, in modo sia professionale sia volontario.
Appello del dicastero per i migranti e gli itineranti
Per un uso responsabile
dell’acqua
Favorire un uso razionale e responsabile dell’acqua, attraverso politiche adeguate e fornendo dotazioni
sufficienti. È l’appello lanciato dal
Pontificio Consiglio della pastorale
per i migranti e gli itineranti, in un
saluto rivolto ai partecipanti della
Borsa internazionale del turismo
(Bit), che si svolge dal 13 al 15 febbraio, alla Fiera di Milano.
Riprendendo il messaggio di Papa Francesco per la giornata mondiale della pace di quest’anno, il
cardinale Antonio Maria Vegliò e
l’arcivescovo Joseph Kalathiparambil — rispettivamente presidente e
segretario del dicastero — rinnovano
l’invito «a custodire e coltivare la
natura» anche per prevenire catastrofi provocate dall’incuria umana,
come dimostrano le drammatiche
conseguenze delle piogge che hanno colpito nei giorni scorsi alcuni
Paesi europei. Un appello dunque a
non preoccuparsi della gestione
dell’acqua solo quando «si lavora
per riparare i danni causati» da alluvioni e inondazioni.
Il porporato e il presule chiedono di compiere una lettura approfondita anche del messaggio che il
Pontificio Consiglio ha pubblicato
in occasione dell’ultima giornata
mondiale del turismo, celebrata il
27 settembre. In esso si riconosce
«l’importanza che l’acqua riveste
per il settore turistico»: infatti «sono milioni i turisti che scelgono come destinazione alcuni ecosistemi
di cui questo elemento è il tratto
più caratteristico». Al tempo stesso,
si legge nel testo, «l’acqua è anche
una risorsa per il settore turistico
ed è indispensabile, fra l’altro, per
il normale funzionamento degli alberghi, dei ristoranti e delle proposte di tempo libero».
Ciò mette davanti a un paradosso, notano il cardinale Vegliò e l’arcivescovo Kalathiparambil. Perché,
«se da una parte il turismo ha bisogno dell’acqua, dall’altra può farne
un uso inadeguato». In effetti, come afferma il messaggio del dicastero, «non c’è dubbio che il turismo abbia un ruolo fondamentale
nella tutela dell’ambiente, potendo
essere un suo grande alleato, ma
anche un feroce nemico».
La proposta del Pontificio Consiglio è quindi quella di promuovere
un «turismo sostenibile» che «garantisca il rispetto ambientale».
Vengono anche indicati tre ambiti
in cui lavorare per una efficace pastorale del turismo. Occorre, in primo luogo, contribuire a una riflessione etica sull’uso dell’acqua. Poi è
importante un approfondimento
teologico-spirituale, che faccia maturare negli uomini la consapevolezza di essere «non padroni» ma
«amministratori» di questo dono:
tema, questo, che Papa Francesco
«ha molto a cuore». Infine è necessario «favorire un cambiamento di
mentalità, atteggiamenti e azioni,
adottando uno stile di vita caratterizzato da sobrietà, autodisciplina,
responsabilità, prudenza e senso del
limite».
Domenica la visita pastorale alla parrocchia romana di San Tommaso apostolo
Papa Francesco all’Infernetto
di NICOLA GORI
Papa Francesco va all’Infernetto. Può
sembrare una battuta. In realtà, per
incontrare domenica pomeriggio, 16
febbraio, la comunità di San Tommaso apostolo il Pontefice si recherà
proprio all’Infernetto. Che non ha
niente a che fare con la «città dolente» di dantesca memoria — a fargli
da guida non ci sarà certo nessun
emulo di Virgilio — ma è più semplicemente il nome del quartiere della
periferia sud di Roma dove sorge la
parrocchia che riceverà la visita del
Santo Padre.
La zona deve il suo nome alla
presenza, un tempo, di carbonaie, i
cui fumi erano visibili dall’intera città. Di quell’immagine — questa sì
dal sapore vagamente dantesco —
non è rimasto niente, se non la presenza abbondante di acqua in fossi e
canali: una volta risorsa preziosa per
produrre carbone, ma adesso destinata a creare problemi e disagi a
ogni acquazzone, come testimoniano
gli allagamenti dei giorni scorsi.
Il termine “Infernetto” suscitò un
comprensibile disagio già al momento della costituzione della parrocchia. Infatti, nella bolla firmata nel
1964 dal cardinale Clemente Micara,
allora vicario del Papa per la diocesi
di Roma, quel territorio venne indicato più prudentemente con la denominazione di “Castel Fusano”. Per
scrollarsi di dosso un nome non certo beneaugurante per una parrocchia si era arrivati perfino a una raccolta di firme per dare un’altra denominazione al quartiere, mutuando
il nome dalla limitrofa tenuta di Castel Porziano.
Toponomastica a parte, bisogna
comunque riconoscere che non capita tutti i giorni a una parrocchia di
festeggiare il cinquantesimo di fondazione con la presenza del Papa
come ospite d’onore. Ne è contentissimo il parroco don Antonio d’Errico, che dal 2002 guida la comunità.
E lo sono anche i vice parroci don
Pierangelo Margiotta, ordinato lo
scorso aprile proprio da Papa Francesco, e don Antony Pinto, di nazionalità indiana, studente in teologia
biblica. Ma la gioia contagia naturalmente anche i sacerdoti che prestano servizio saltuariamente nella
parrocchia anche se non a tempo
pieno: don Francis Cigozie Onya,
cappellano delle case di riposo per
anziani presenti nel territorio, don
Philip Larrey, docente alla Pontificia
Università Lateranense, e don Luca
Caveada, alunno della Pontificia Accademia Ecclesiastica.
Il territorio, spiega il parroco, si
estende per circa tre chilometri di
lunghezza lungo il viale di Castel
Porziano. È un quartiere residenziale
dove, negli ultimi anni, sono state
costruite molte villette unifamiliari,
abitate in prevalenza da famiglie che
si sono trasferite dal centro della città verso questa zona proprio per la
sua vicinanza al mare e alla pineta.
La parrocchia, racconta don d’Errico, in questi anni ha avuto una crescita demografica impressionante, facendo di questo quartiere uno tra i
primi di Roma per numero di nascite. Le dimensioni della comunità
parlano da sole: gli abitanti del territorio parrocchiale sono oltre 20.000,
per un totale di più di 6.000 famiglie. «I battesimi amministrati nel
2013 sono stati 130 — dice — e i ragazzi che frequentano il catechismo
per la preparazione alla prima comunione sono più di 200, mentre
quelli che si preparano alla cresima
oltre 100. Tante coppie di fidanzati
che frequentano i corsi pre-matrimoniali, una volta sposati rimangono
ad abitare nel territorio parrocchiale». Dove sono presenti, tra l’altro,
dieci case di riposo che ospitano anziani provenienti dall’intera città.
Anche a queste persone la parrocchia assicura l’assistenza spirituale,
attraverso un cappellano e i ministri
straordinari della comunione.
Quando il primo parroco, don
Mellito Papi, dell’ordine benedettino
silvestrino, giunse a San Tommaso
apostolo, trovò poche famiglie. Nel
1976, con l’arrivo di don Romano
Esposito, che fu parroco fino al
1984, il quartiere iniziò a cambiare
fisionomia. La trasformazione continuò in maniera più marcata durante
il servizio pastorale dei due parroci
successivi: don Romano Avvantaggiato, che vi rimase fino al 1990, e
don Plinio Poncina, ritiratosi nel
settembre 2002. Attualmente la maggioranza degli abitanti appartiene al
ceto medio e medio-alto. «Non
mancano soprattutto in questi ultimi
anni — avverte don d’Errico — famiglie povere a causa della precarietà
del lavoro o della scarsa retribuzione
pensionistica». Così come sono presenti molti immigrati in cerca di lavoro, provenienti in prevalenza dallo
Sri Lanka e dalla Romania.
«La vita della comunità — tiene a
sottolineare il parroco — ruota attorno all’Eucaristia domenicale, alla catechesi di iniziazione cristiana e, in
diverse forme, degli adulti. Ci sono
esperienze di gruppi e movimenti,
come i neocatecumenali e carismatici». Proprio dal cammino neocatecumenale sono nate vocazioni di alcune famiglie missionarie oggi in Svezia, Costa d’Avorio e Belgio.
La realtà dei tanti immigrati senza
lavoro sollecita la carità. La parroc-
chia ha attivato un servizio di ascolto e una distribuzione settimanale di
viveri, abiti usati e prodotti per l’infanzia. A quanti ne beneficiano viene richiesta un’offerta simbolica in
modo da sensibilizzare nei confronti
dei più bisognosi. «Educare il povero che raggiunge la nostra comunità
a essere sensibile agli altri poveri
lontano da noi — sottolinea don
d’Errico — ci ha permesso di realizzare tanti progetti in terre di missione, fra cui la Repubblica Democratica del Congo dove opera una nostra
parrocchiana, Chiara Castellani».
Nel territorio parrocchiale è presente anche una scuola cattolica,
l’istituto Bambin Gesù, gestito dalla
congregazione delle suore di Santa
Maria Maddalena Postel. La frequentano circa 170 alunni divisi fra
scuola materna e primaria. Fanno
parte della galassia che ruota intorno alla parrocchia anche i gruppi di
preghiera di padre Pio da Pietrelcina
e il gruppo mariano. Significativa
l’attività del gruppo Pi-greco, che si
occupa dei movimenti religiosi alternativi e delle sette, e sostiene le famiglie alle prese con questo fenomeno.
Tante realtà e strutture non eliminano il rischio principale del quartiere, quello che il parroco definisce
la «periferia esistenziale» del luogo:
l’isolamento e la chiusura di molte
famiglie, che porta a «sperimentare
una certa insofferenza verso la collaborazione reciproca». Una delle
preoccupazioni di don d’Errico è
proprio la tendenza delle famiglie a
vivere nella solitudine delle proprie
case, a rifugiarsi in quell’ambiente
dopo le attività lavorative o la scuola. Il quartiere rischia di diventare
una specie di dormitorio che si risveglia solo nel fine settimana. Una
caratteristica del territorio, dovuta
alla rapida urbanizzazione, fa sì che
la gente si sposti da un luogo all’altro quasi solo con le auto. E questo
comporta che, senza l’accompagnamento dei genitori, i ragazzi non
hanno la possibilità di partecipare
alle attività parrocchiali.
Don d’Errico però è ottimista,
perché nota che la gente in maggioranza si mostra accogliente e aperta
alle necessità degli altri. La solidarietà non manca e gli abitanti rispondono volentieri alle iniziative
parrocchiali. È questa la realtà che
attende Papa Francesco per celebrare insieme con lui due date importanti: l’anniversario dell’inaugurazione della nuova chiesa, il 13 aprile, e
il cinquantesimo di istituzione, il 19
febbraio.
Mettersi alla scuola di Cristo per
tornare a essere «piccoli alunni e
ascoltare il Maestro»: è il suggerimento rivolto dal cardinale Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione
dei popoli, ai partecipanti della
plenaria della Congregazione per
l’educazione cattolica, in questi
giorni. Per loro il porporato ha
celebrato la messa nella cappella
del Pontificio Collegio Urbano
«dove — ha ricordato all’omelia —
migliaia di giovani si sono preparati al sacerdozio, alla vita pastorale e missionaria, nonché alla
propria formazione intellettuale
presso la nostra Pontificia Università Urbaniana».
Facendo riferimento ai lavori
della plenaria, il cardinale ha poi
auspicato che la Congregazione
per l’educazione cattolica possa
attingere dalla «sorgente eucaristica quell’energia spirituale così necessaria alla propria alta missione
di formazione della gioventù di
ogni ordine e grado». Il modello
a cui guardare in ambito educativo è sempre quello di Cristo maestro, il quale «con il suo dire, ci fa
star bene, perché parla dritto al
cuore e alla mente» e «ci tira fuori dall’inganno». È lui che «ci fa
conoscere dove alberga la radice
del male, lì dove si generano le
“cose cattive” che ci rendono impuri, e, secondo Agostino, rendono il cuore “inquieto” e attonito:
stoltezza, superbia, calunnia, invidia, dissolutezza, inganno, malvagità, avidità, adulterio, omicidio,
furto», ha detto il porporato riferendosi al brano evangelico di
Marco (7, 21-11).
Se un «palazzo» è costruito su
«queste colonne», ha ammonito,
«andrà in rovina». Al contrario, la
«casa» che si è «costruita la
sapienza di Dio, Cristo, la casa
dalle sette colonne teologali (fede,
speranza, carità) e cardinali (prudenza, giustizia, fortezza, temperanza), fondata sulla “roccia”, resterà».
Commentando il brano evangelico del giorno, nel quale Gesù
proclama la propria missione, il
cardinale Filoni ha fatto notare
che il Maestro distingue tra parola
di Dio e tradizione umana. «Una
distinzione attuale allora, così, se
non di più, oggi — ha commentato — se pensiamo al nostro intendere post-moderno, dove non di
rado la parola di Dio è negata e la
“tradizione umana” è sostituita da
un relativismo etico-filosofico»
che spinge a mettere al centro
«soggettivamente il proprio modo
di vedere, il proprio io e quanto
gli aggrada, piegando a volte nel
nostro mondo ecclesiale anche la
parola di Dio».
Nomina episcopale
in Bolivia
La nomina di oggi riguarda la
Chiesa in Bolivia.
Waldo Rubén
Barrinuevo Ramírez
ausiliare di Reyes
Nato il 9 settembre 1967, a
Oruro in Bolivia, nel 1989 è entrato nella congregazione del Santissimo Redentore. Ha emesso la
professione temporanea il 2 febbraio 1992 e quella solenne il 25
marzo 1996. Ha svolto gli studi filosofici e teologici presso il seminario di Cochabamba ed è stato
ordinato sacerdote il 25 ottobre
1997. Dopo l’ordinazione sacerdotale ha ricoperto i seguenti incarichi: membro dell’équipe missionaria a Santa Cruz de la Sierra e
consigliere straordinario della provincia (1997-2000); collaboratore
del maestro dei novizi a Oruro
(2000-2004); vicario provinciale e
maestro dei novizi (2004-2006);
parroco di Nuestra Señora de La
Paz a Cochabamba (2007-2009);
superiore dell’équipe missionaria a
Santa Cruz de la Sierra (20092010). Dal 2010 è alunno del collegio maggiore per i sacerdoti della congregazione del Santissimo
Redentore e studente a Roma,
presso la Pontificia Università
Gregoriana.