il colore della nostalgia
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il colore della nostalgia
Libertà Edizioni Fabrizia Orisia Scipioni IL COLORE DELLA NOSTALGIA ROMANZO Libertà Edizioni Dedicato ai miei figli con tutto l’amore che posso Questo romanzo si è classificato primo tra gli editi al Premio Città di Fucecchio, premiato da Giulio Panzani e Nicla Moretti (anno 2007). L’autrice ha deciso di riproporlo: il racconto è lo stesso, ma arricchito con qualche considerazione e dettaglio rispetto alla versione originale. IL COLORE DELLA NOSTALGIA La sensibilità è il dono di soffrire: essere sensibili vuol dire camminare a piedi scalzi sui ciottoli acuminati della strada, passare con una ferita aperta al costato, in mezzo ad una folla che ti urta da ogni parte e da ogni parte ti dà gomitate. (Jules Tellier) Entrò trafelata, era tutto da rifare. Rileggendo la sera prima il racconto e le poesie, aveva deciso che non dovevano essere pubblicati. Parlavano troppo di lei, della sua sensibilità. Le soluzioni erano due, chiedere all’editore di strappare il contratto pagando la penale, oppure firmarsi con uno pseudonimo. La seconda ipotesi le stava meno bene, con o senza il suo nome era, in ogni modo, un donare la sua vita interiore ad altri e in questo momento non lo voleva. La sua grande generosità era finita. Quanto entusiasmo nella stesura, aveva già ideato titolo e copertina, carta lucida, il disegno di una giovane donna sdraiata nuda sulla sabbia. In tutti quegli anni non aveva mai dimenticato la copertina di Eutanasia di un amore di Saviane e, con alcuni cambiamenti soprattutto ai colori, ora voleva usarla; era andata a riguardarsela chieden- 11 dosi cosa l’avesse tanto colpita e solo in quel momento si accorse che le donne erano due, anzi la stessa, ma come sdoppiata. Le piacque ancor di più. Non avrebbe fatto mistero di quella musa, anzi, avrebbe, dopo più di vent’anni, avuto l’opportunità di mettere una nota ringraziando l’autore che aveva tanto amato. Lo associava a Pavese, per il concetto della disastrosa fine di un amore, quel sentimento del contrario, che tutti sanno non si può ridire. Non il dolore di perdere l’altro, ma il ritrovarsi nudi, la rivelazione del nostro nulla interiore. Dietro la figura della donna nuda, appena accennate, voleva ombre non identificabili, né uomini, né animali, né bambini, né piante, solo ombre. Le ombre con le quali da bambini ci si diverte a giocare vedendole allungarsi e accorciarsi, quelle provocate alla diminuzione della luminosità al corpo opaco posto tra la sorgente di luce e la zona illuminata. Laddove non giunge la luce del sole, fino a diventare oscurità e tenebre. Il particolare poco chiaro, che genera fraintendimenti, sospetti, timori o, semplicemente, le ombre del tramonto che rendono tutto più riposante, romantico e accettabile. La pelle della donna avrebbe dovuto avere il colore della nostalgia. Si fermò a pensare quale potesse essere il colore che meglio poteva identificarsi con la nostalgia, un rosa antico, un giallo cadmio chiaro o un rosso angelico. Per lei, i colori, avevano da sempre avuto un ruolo importante. 12 Per esempio non si trovava d’accordo nelle rappresentazioni nere dei sentimenti angoscianti, quali la paura o il dolore. Il dolore e la paura, e quanto altro, avevano mille sfumature, L’urlo di Munch ne era testimonianza. Munch non le piaceva: le paure del pittore norvegese la toccavano, era un paranoico, ossessionato dall’idea della morte, dalle malattie e dalle crisi nervose. Munch, che non rappresentava il mondo circostante, ma preferiva, con la sua arte, esprimere i propri sentimenti e i desideri più intimi, che usava l’eccesso per raggiungere la massima espressività. Munch andava a mettere il dito nella sua parte d’anima impaurita, ch’era meglio lasciare dov’era. La parte buia, le ombre. Via, via da tutto ciò, via verso la luce. Amava Klimt, con i suoi murales per l’università di Vienna che furono considerati pornografici. Valeria aveva provato a dipingere, ma i risultati non erano stati granché, però ugualmente studiava personalmente le copertine dei suoi libri. In quei giorni non aveva trovato risposta, nessun colore e tutti i colori le erano sembrati adatti a dire un sentimento tanto dolce intenso e struggente quanto la nostalgia. Ci avrebbe pensato con calma. Spesso le risposte non sono immediate come vorremmo, arrivano da sole, col tempo, e molte giungono quando ci sembra di non farcene più nulla. Valeria, la sua vita scoppiata in un giorno qualsiasi di molti anni prima. Lo psicologo non fu in grado di identificare una causa precisa: quattro bambini 13 piccoli, la casa, doveva essere solo stanchezza, ma lei sapeva che non si salta in aria per un motivo solo. Una bomba? Ma quella era stata l’esplosione di una polveriera. Provava momenti d’inquietudine estrema, che lasciavano poi il posto alla depressione, per poi ritornare a gioire. Come in un cerchio malvagio, vedeva il suo cervello su una giostra che mai si fermava e sempre più frequentemente, sentiva la voglia di riappropriarsene, coccolarlo teneramente, il desiderio di gridare che fermassero quel carosello infernale, ma nonostante tutto lo sbracciare, non riusciva a farsi vedere né sentire. Nessuno le prestava attenzione, neppure per sbaglio e allora accadeva che riuscisse a riprenderlo solo quando il Luna Park spegneva le luci e i giostrai andavano a casa, finalmente, nelle loro case mobili. E allora lei, silenziosa, con la faccia bagnata di lacrime andava a cercare, tra tutti gli altri, il cavallo dove la sua testa aveva viaggiato e girato fino ad ubriacarsi. La ritrovava sempre sullo stesso cavallo, stordito più che mai e indifferente ad ogni cura. Valeria aveva, con gli anni, maturato la consapevolezza che molte donne impostano la propria esistenza secondo canoni sociali preconfezionati, non osservando il gradiente personale che fin da bambine ci insegnano ad ignorare. Così sogniamo il principe azzurro, il castello, la prole, per entrare nella fiaba della vita. 14 Preferiva le favole con tanti animali, che nelle fiabe non sono previsti. Eppure, nei suoi anni doveva essere stata anche felice, ma non riusciva a ricordarsene. Quando entrava nel vortice della memoria incontrava i suoi figli piccoli, quei loro piedini che sembravano biscotti e ne avevano anche l’odore, la loro pipì che improvvisamente le scaldava le gambe mentre li teneva in braccio senza pannolino. I suoi bambini. La cosa più bella che la vita le avesse dato. Camminava con loro e la gente la guardava con ammirazione, si sentiva una Supermamma, erano bellissimi e bravissimi. Suo marito tanto fiero della bella famiglia e lei sempre col pancione e il cambio taglia ad ogni fine gravidanza, ma lui pareva non notarlo. Quando la vedeva triste, perché i jeans non si allacciavano nonostante lo sforzo di tirare la cerniera stendendosi sul letto, Fabio sapeva solo uscirne col pronunciare frasi che la innervosivano ulteriormente: “Mettiti a dieta”. A dieta. Doveva allattare. Era il suo adorato maglione peruviano a mancarle di più, con quel po’ po’ di tette che glielo aveva reso attillato e immettibile. Quando lo incontrava nell’armadio, sotto a tutti gli altri, lo guardava e, per consolarsi, si convinceva che, tanto, era troppo chiaro e non l’avrebbe potuto ugualmente indossare: i bambini l’avrebbero sporcato di pappa o di altro con le manine o di nero con le scarpine quando, stanchi di camminare, volevano stare in braccio. Ma prima o poi l’avrebbe rimesso. In realtà non lo rimise più. 15 Un giorno i figli stavano piangendo tutti insieme, ognuno per un motivo diverso e Valeria, dopo avere fatto qualche tentativo per riprendere il controllo della situazione, scoppiò in un pianto dirotto. I bambini allora per un attimo tacquero allibiti e confusi, ma la pausa fu breve, Alessandra, si lasciò prendere da una crisi di scoraggiamento totale e i tre fratellini la seguirono disperati, infine la bambina corse nell’armadio a prendere il maglione peruviano e lo portò alla mamma. Ora quel ricordo la faceva sorridere, i suoi bambini sul lettone intorno alla mamma demoralizzata, Alessandra, Riccardo e anche Giovanni e Francesco, i due gemelli, tutti e quattro lì a consolarla con baci, carezze e il famoso maglione. Quando arrivò Fabio, quella sera, non trovò la cena pronta ma l’intera famiglia addormentata, stavano vicini, rannicchiati come in una cuccia. Il tanto amato maglione peruviano resistette negli anni, e diventò d’Alessandra, poi di Riccardo e probabilmente l’avrebbero indossato anche i gemelli. Era stato, dunque, un ottimo acquisto. Fabio, il marito, un bell’uomo di sinistra, libero professionista, innamorato della bella famiglia più che della moglie, alla quale riconosceva intelligenza e originalità e di conseguenza n’era stato incuriosito. I punti di domanda al contrario, sono ami in cui le persone rimangono impigliate e Valeria era irrimediabilmente un punto di domanda, imprevedibile e spesso incomprensibile, anche a se stessa. 16 Se Fabio avesse previsto una vita coniugale con una persona tanto complicata, avrebbe scelto chi sposare con più applicazione. Con Valeria bisognava stare attenti a quello che si diceva, nulla cadeva per terra, ci si poteva solo illudere che una battuta, una frase uscita per sbaglio o un’espressione, fossero passate inosservate, poi, magari dopo mesi, lei arrivava a riprenderla, dopo avere verificato se dietro a quelle parole c’era stato un pensiero. Non lo faceva mai con rancore, ma piuttosto con ironia. Valeria, che aveva deciso di camminare tra lapidi d’amici perduti ma che lo faceva nella speranza che quei cadaveri non allungassero mai la mano per chiedere il suo aiuto, in tal caso non sarebbe riuscita ad andare avanti impietosa. Una vera e propria condanna quel suo guardare ogni situazione anche secondo il punto di vista altrui, magari trascurando il proprio: no che non c’era nata, lo era diventata, forse per una sorta di ricerca d’armonia a tutti i costi, o una difesa. Troppo impegnativo mantenersi coerenti. Troppo impegnativo prendere una posizione e perseguire senza ripensamenti. Fabio conobbe Valeria, carina, gioiosa, di un’ironia disarmante, era così completa per i suoi pochi anni, decisa e incontrollabile fin da allora. Entrava nelle vite come un piacevole tornado, era inevitabile frequentarla senza finire per assomigliarle almeno un po’. Non era certo una persona che passava inosservata, di cui ci si dimenticava. 17 “Facile vivere” e lo pensava e diceva con tanta convinzione da persuadere chiunque, e quando la si salutava per andarsene, tutto, davvero, sembrava più facile e luminoso. I complimenti ricevuti nella vita, erano capaci di darle ancora energia nei momenti bui, del resto poche persone avevano mosso dubbi sulle sue capacità, ma ora era lei a muoverne un sacco. Era una persona sempre intenta a capire, il pensiero lavorava in continuazione fino allo sfinimento e allora non generava più nulla, ma poi riprendeva il funzionamento ottimale grazie ad una lettura, una musica, un incontro stimolante, una preghiera. Ed ecco nel profondo dei meandri dei suoi pensieri tutto si rimetteva piacevolmente in moto e nessuno poteva raggiungerla più. Ma poi ancora e ancora. “Sovente, per divertirsi, i marinai Catturano degli albatri, vasti uccelli di mare, Che indolenti compagni di viaggio, seguono, la nave sugli abissi amari. Appena li hanno deposti sulle tavole, Questi re dell'azzurro, goffi e vergognosi, trascinano pietosamente, ai loro fianchi, le loro grandi, bianche ali, come fossero remi. Com'è intrigato, incapace, questo viaggiatore alato. Lui, poco addietro così bello, com'è brutto e ridicolo. Qualcuno, con la pipa, ne irrita il becco, L'altro, invece, mima zoppicando, l'infermo che volava. 18 Il Poeta è simile al principe dei nembi Che evita la tempesta e ride dell'arciere; Esule in terra, fra gli scherni, Con le sue ali da gigante, non riesce a volare.” Charles Baudelaire, L’albatros. Ecco che le stesse ali che tanto rendono potente e bello l’albatro, sono le stesse che gli impediscono la ripresa del volo una volta a terra. Ali troppo grandi rispetto al corpo, deve restare in cielo o posarsi laddove c’è spazio per allargarle. Certo, solo questione d’ali il malessere di molte persone, bisogna dunque decidere se accontentarsi di fare i passerotti: in fondo la felicità sta nelle piccole cose e un passerotto può essere molto felice. Ma allora, si nasce o si diventa? Chi lo può dire. Le grandi anime esistono e sono quelle che infine troveranno la pace, dopo un lungo e doloroso travaglio, Valeria si consolava credendo questo… ma non sempre ci riusciva. A volte, sentendo esperti parlare o leggendo, si fermava per non spiccare voli troppo alti, che poteva non riuscire a sostenere: e se fossero stati tutti matti? Compresa lei, che andava cercando la luce e Dio. Lei che chiedeva aiuto agli angeli. Valeria restava comunque una lottatrice, concreta, più forte di quanto lei stessa sapesse di essere. Le persone con forte personalità sono davvero in numero esiguo al mondo. Chi abbandona la lotta è un figlio di… L’uomo può essere artefice di grandi preoccupazioni. Ultimamente le capitava di guardare Fabio e di chiedersi cosa gli era successo, non lo ritrovava 19 più. Era cambiato, oppure più semplicemente lei aveva sposato un uomo che si era inventata. Ricevette una mail di Monica, erano state amiche, ma ultimamente si erano deluse l’un l’altra. Prima di leggere la mail ci pensò, non aveva voglia d’altri casini, magari Monica le avrebbe chiesto le motivazioni del suo comportamento, raccontato i suoi problemi. Poi pensò che Monica era sempre stata gentile. Cliccò sull’icona della bustina di malavoglia. “Cara Valeria, una volta si parlava delle difficoltà della vita, ti ricordi? Eravamo sedute al caffè in Piazza ed era una bella giornata di sole, ci stavamo godendo un aperitivo, sorseggiato pigramente tra uno stuzzichino e l'altro. Parlavamo di come, crescendo, si capisca che la vita non regala mai nulla, che tutto viene sempre pagato, prima o poi, con il dolore che la vita stessa, puntualissima, ci procura. In quella situazione, tu hai detto una cosa molto bella, che mi ha fatta riflettere a lungo e che ancora adesso ricordo. Mi hai detto che le difficoltà non servono solo a procurare dolore e frustrazione, ma sono utili anche per regalarci la consapevolezza che abbiamo tutte le risorse per riuscire a fronteggiarle e a superarle, per riuscire, alla fine, a dire: Sono ancora qui, più forte di prima; migliore di prima; più capace di prima nel saper riconoscere ed apprezzare anche le cose belle che la vita mi dà. Non dimenticare queste cose, che sono pensieri tuoi, nati dal tuo cuore e dalla tua ragione. Questo 20 periodo buio finirà, finirà presto, e tu dovrai essere pronta e disposta ad accorgertene e a saper assaporare il gusto dolce della ventata di aria pulita che inevitabilmente arriverà nella tua vita. Voglio ritrovare la Valeria che ho conosciuto, quella che era capace di regalare la luce della sua anima così bella, quella che era sempre pronta ad ascoltare e ad ascoltarsi, leggendo in fondo al cuore e capendone le ragioni profonde. Ho voglia di sentire una tua parola, o di leggere una tua lettera. Fatti sentire, Valeria. Qualche volta i problemi, se condivisi con un amico, diventano meno pesanti e più facili da superare. Spero che le mie parole siano giunte alla tua anima, e spero che tu abbia potuto leggere tra queste righe la testimonianza della mia amicizia. Non riesco a saperti così.”. Eccola lì. Rispose per educazione, era solo stanca… forse. La rincuorava sentire tanto amore da parte degli amici, che rispettavano i suoi silenzi, la sua non voglia di esserci. Ma suo marito dov’era? Già, tanto lui sapeva che ogni volta la depressione passava, è ciclica. Poi, la vedeva con i ragazzi, vitale e simpatica, di conseguenza non doveva stare così male. Ma lui dov’era, se quando lei sentiva dentro l’arrivo della ventata d’aria pulita di cui parlava Monica, la catturava come i marinai con l’albatro. 21 Se avesse avuto la conoscenza di quanto fosse abile a farla stare male, nei momenti in cui lei era pronta a riprendersi, l’avrebbe lasciata volare, libera e felice. Quei marinai non capivano, erano uomini, mancavano del grande mistero e dono della femminilità. Chi è nato libero può solo volare. E le donne quando volavo, volano davvero. Nessun analista era riuscito ad estrapolare l’insetto che si era infine insediato in lei, solo il marito, Fabio, ne capiva qualcosa più degli altri e proprio per questo riusciva ad approfittarsi di lei, oh no, non in modo chiaro e trasparente. Nemmeno se ne accorgeva di farlo. Valeria esprimeva poco i suoi reali stati d’animo, pur essendo una persona loquace e non era sempre dolce e tenera, ma pronta a mettersi in discussione, sì. Valeria non aveva una buona opinione degli uomini, non ne aveva mai conosciuti che valessero una vita, non capiva la dedizione totale d’alcune donne per loro, forse la causa andava ricercata nel fatto che nessun uomo era riuscito a stare al passo con la sua intelligenza atipica. Poteva essere stato solo un caso o sfortuna non incontrare l’altra metà della mela. Ma sì tutte storie, se l’umanità fosse stata ridotta a tante mele spaccate a metà, sarebbe stato impossibile trovare l’atra mezza: troppe le metà e troppo grande il mondo. Valeria non credeva al caso, ma a quello che la vita le metteva davanti, come in un processo della conoscenza e secondo lei, da ciò dipendevano le conseguenze. 22 L’esperienza porta ad una visione relativa. La realtà è una e tante insieme. Leva tutto quello che è inutile e resta la verità, forse. Ogni individuo può dunque avere una visione che non coincide con quella degli altri. Quello che Pirandello definisce sentimento del contrario. Lei a queste tre parole dava un altro significato. Nelle poesie Valeria, amava far emergere la sua vocazione di cogliere i molteplici e contrastanti aspetti della realtà, scindere e isolare le contraddizioni, così riusciva a mettere a nudo in modo ironico le convenzioni della vita societaria, senza risultare polemica, ognuno è libero. Temi dolenti della pena di vivere in un modo tanto duplice e beffardo. Nonostante questa sua capacità di ben centrare i pensieri, l’inquietudine, spesso, aveva la meglio comunque. Una persona intelligente sa scegliere i sentimenti che fanno stare bene, lei no, si auto flagellava, non a caso era nata il giorno in cui nacque Pascal. Dunque, tanta intelligenza era inutile. Se fosse nata scema sarebbe arrivata a migliori stati d’animo. L’intelligenza la metteva solo al servizio degli altri, trascurando se stessa. Ma solo perché la persona intelligente immagina nel suo profondo che rendere felici gli altri ricada su se stessi. Per sé cosa faceva, come usava la sua intelligenza, come sapeva sfruttarla per il suo interesse personale? Non lo sapeva. Non la usava, se non per scrivere. E anche la scrittura diventava la stessa cosa, il 23 servizio agli altri che ricade su se stessi. Un dare e avere, ecco cos’era l’intelligenza. Però dava grandi possibilità alla vita di spiegarsi e manifestarsi, fidandosi di Lei come di una potente divinità femminile alle prese con le persone che sceglieva, nel tentativo di vederle crescere. La vita aveva le sue creature predilette e per paradosso erano quelle che dovevano affrontare più difficoltà. La vita era più ingegnosa e capace che qualsiasi essere umano, povera gente che tende ad imporsi anche quando non sa come fare, quale il comportamento da adottare, la parola da dire, gente che si improvvisa anziché delegare la potente divinità, gente che non sa cogliere i segnali del cielo, lei si sentiva tra quelle, il volo degli uccelli le era arcano. Ciononostante, Valeria amava fermarsi, attuare la pausa del pensiero e dell’azione. Anche sotto lo stagno la vita sa muoversi, ma il più delle volte l’uomo è altrettanto abile a rovinare tutto. E come sempre i suoi pensieri prendevano il posto di quei volatili in cielo, perché non c’era unione tra quelle due donne di Saviane. Rideva, asserendo che al momento della sua nascita, tra gli angeli custodi doveva esserci stato un fuggi fuggi, ma poi, infine era rimasto il migliore, un bellissimo angelo bianco dalle grandi ali, che di tanto in tanto le faceva trovare piume in giro. Valeria era rimasta uguale a quando era bambina, la stessa simpatia, le stesse smorfie da protagonista con le mani sui fianchi che si mette chi è pronto alla sfida. 24 Il dolore non era riuscito a contaminare la sua essenza e quando andava a toccare la sua essenza, rimaneva perplessa. Non era stata un’infanzia facile, una pagina di nani cattivi e animaletti impietosi, tutti intorno ad una bimba e ad una nonna. Quante volte si era sentita il Ferruccio di sangue romagnolo, lo stesso apparente menefreghismo e la stessa passionalità nel difendere i propri affetti. La piccola Valeria non osava tentare fughe, sapeva che non ne sarebbe stata all’altezza, dunque imparava i compromessi e cercava la via d’uscita migliore, la più indolore, patteggiando con spiritelli, nani e animaletti malvagi, riuscendo così a tenere tranquilla la vecchia nonna che non si accorgeva di niente. In quella pagina sviluppò il suo bisogno di libertà da tutto e tutti, non sopportava gente inutile tra i piedi, eppure quando vennero gli anni in cui dovette impostare la sua vita futura, sbagliò, caricandola di persone, impegni, invadenze e sensibilità e, come in una pianta selvatica, i rami divennero talmente lunghi, forti e attorcigliati che quando se ne accorse il gioco era ormai fatto. Ma quando si sentiva in forma, ancora sperava e potava ancora. Si ripeteva nella mente, dieci volte e più, che un bravo cuoco sapeva allestire ottimi banchetti con gli ingredienti di cui disponeva, ma quante le volte in cui non si sentiva per niente un cuoco e tantomeno bravo, ma una sguattera della vita e allora tanto valeva lasciarsi andare, era tra l’altro più facile che cercare di fare meglio. Quando si sentiva così, piangeva e si commiserava, con la totale incom- 25 prensione della famiglia, ma poco dopo uno dei miracoli della vita si ripeteva, tornava sorridente e vitale ancora una volta. Per lei, pianti e disperazioni, erano solo coccole a quella bimba su quella vecchia pagina. Un giorno di molti anni prima, il professore di chimica le predisse il successo e un’altra insegnante, la Vasari, la invitò in un biglietto, che le consegnò al termine dell’esame di maturità, a non cambiare con gli anni, a non diventare mai meno combattiva. Una parola! Ma macchine da guerra si nasce, non si diventa. Valeria assumeva dosi massicce di ferro da tutta la vita, il suo fisico ne era carente, indicativo del fatto che non era nata macchina da guerra. Fin da ragazzina era un vulcano in eruzione, un pozzo di San Patrizio, la caverna che il santo avrebbe attraversato, giungendo ad intravedere, dopo le pene del purgatorio e dell’inferno, anche il paradiso. Un giorno, era con i due gemelli in una caffetteria di Corso Vercelli, stava mettendo nelle manine dei bambini delle paste alla crema, si sentì osservata e girandosi vide una distinta vecchina. Si rioccupò dei bambini, la crema usciva ad ogni loro morso e andava ad impiastricciare faccia e mani fino a cadere anche a terra., aveva fatto una stupidata scegliendo quei dolci, erano troppo ripieni. Porca miseria, che pasticcio. Sentì insistente lo sguardo della donnina su di sé, di nuovo si voltò per guardarla. Ne incontrò gli occhi verdi e li riconobbe, nonostante l’età li avessero resi molto più piccoli di allora. Era il mistero dello sguardo, quel- 26 lo che riesce ad oltrepassare: “Signora maestra!” disse sorpresa e incredula. “Valeria” la salutò la signora con un sorriso dolcissimo. Un abbraccio. L’incontro di due anime. Lasciò che i bambini si sporcassero, ci avrebbe pensato dopo. Era la sua prima maestra, quanti anni erano trascorsi senza rivedersi mai. Si erano riconosciute e questo era bellissimo. Si sedettero allo stesso tavolo ridendo dei ricordi, i bambini sembrava sentissero nell’aria che dovevano alla mamma quel momento di silenzio e del resto glielo concedevano volentieri, gustandosi finalmente come volevano la loro pasta alla crema, leccandola dove stava per cadere e facendola cadere con indifferenza dove non riuscivano a bloccarla e laddove cadeva la crema andavano con i piedi a spalmarla facendone disegni con la punta della scarpa. Valeria e la maestra si scambiarono il numero di telefono ripromettendosi di incontrarsi presto. Valeria l’accompagnò alla porta della pasticceria e l’aiutò a scendere i due gradini, subito tornò dai suoi bambini e la guardò dalla vetrina allontanarsi. Traballava, reggendosi al bastone. Che bel bastone, aveva notato il pomello d’argento lavorato che serviva anche da porta pillole. Ricordò il gusto, che tanto naturale sorgeva in quella donna, per le cose belle. Pensò a quell’intelligenza, rimasta lucida e centrata, forse era il risultato di una vita senza figli e marito. Una vita semplice in cui si può scegliere se e chi fronteggiare e anche di cambiare tutto, senza dover rendere conto che a se stessi. 27 In quel pensiero stava una probabile risposta, i suoi problemi non erano suoi, non era malata di nervi, la difficoltà era far fronte alle persone che la circondavano, in realtà la più normale di tutti probabilmente era proprio lei. Dapprima pensi di avere trovato un uomo che si prenderà, per sempre, cura di te, poi ti accorgi che sei tu a doverti occupare di lui. Nella fase che dovrebbe essere quella della maturità matrimoniale, capisci che oltre ad essere tu che ti devi, obbligatoriamente, occupare di lui, della casa, dei figli, dei conti che devono quadrare e di tutto quello che in gergo famigliare si chiamano grattacapi, sei pure sotto accusa perché lo castri, lo reprimi e le colpe sono tutte tue. Se poi, hai la fortuna di avere una figlia femmina, sicuro come il cielo, che rimarrai mortificata nello scoprire che qualunque cosa accada lei prenderà le difese del papà, sempre che non ci siano i suoi interessi personali di mezzo, dove la mamma è quella che ama di più. Eppure lo sai di essere vitale e gioiosa, ma ti senti come un gran sole con gli occhiali, una sciocca che non sa reagire. Che per quieto vivere ha imparato a tacere. Non sempre la pensava così, dipendeva dal suo stato d’animo e non da quello che succedeva intorno. Invece no, dipendeva proprio da quello che succedeva intorno, come piccole scintille che si staccavano dal fuoco del camino colpendola, il bruciore sulla pelle durava un istante, ma la tensione restava qualche minuto in più, per poi diventare esperienza, quella conoscenza che, con perizia, ti fa mettere la tua sedia a dondolo lontano dal camino, pur to- 28 gliendo in parte poesia e gusto, e anche la sedia la sposti cercando di non fare rumore per non infastidire, piano piano, per non urtare nessuno, perché tutto rimanga il più possibile in pace, perché solo così puoi gustare la tua lettura dondolandoti. 29 Siamo tutti prigionieri ma alcuni stanno in celle senza finestre, altri in celle con finestre. (Khalil Gibran) Arrivò l’editore. Non sembrava un uomo affermato, ma i soldi gli avevano, nel tempo, conferito una sorta di classe originale, che in fondo non guastava. Gli era andata bene pubblicando un saggio che aveva fatto scandalo, scritto a tavolino da alcune persone per decretare il successo di uno sconosciuto, ben inserito nella società. Il dottor Sacchi era proprio brutto, basso e grassetto, con i capelli sempre un po’ unti raccolti dietro la testa, quasi ostentasse anticonformismo. Il viso, troppo tondo, faceva da cornice all’espressione rasserenante. Gli occhi erano scuri, piccoli ed esageratamente vicini tra loro. Le sopracciglia talmente folte da sopravvivere in quello spazio dove il naso finiva, laddove Valeria amava accarezzarsi per riflettere. Il naso tradiva l’immagine da confraternita, ma solo i bambini l’avevano notato: “Mamma, che naso da strega che ha questo signore” avevano gridato. Valeria ne aveva dapprima sorriso con lui, celando l’imbarazzo e in seguito non aveva portato più con sé i bambini alla casa editrice. Indossava da sempre giacca grigia e jeans, 30 sembrava che non si fosse cambiato mai, la cintura di cuoio marrone, sempre la stessa e parecchio consumata, ma anche questo faceva parte del suo progetto personale. Non era una persona trasandata, solo fingeva di esserlo, chissà poi perché. Non l’aveva visto una volta con i capelli puliti, ma magari usava male il gel o soffriva di capelli grassi e non aveva mai trovato uno shampoo adatto. Lo guardò meglio e intravide la forfora, ecco perché indossava sempre giacche di color grigio. Pensò che ogni comportamento aveva le sue motivazioni. Lo guardò a lungo e le fece pena. Valeria era convinta che la vera ricchezza dei ricchi, fosse potersi permettere più opportunità, per esempio i migliori consulenti, ma più d’ogni altra cosa il permettersi di essere sempre se stessi. In ogni modo, il concetto che i ricchi potessero essere se stessi non era una realtà. Aveva conosciuto e frequentato molte famiglie benestanti, anche la sua lo era, e ogni volta rimaneva stupita dal fatto che più potevano essere individui autentici, non dovendo temere alcunché e più fingevano, nel loro ruolo un po’ snob o d’originali controcorrente, di chi pensa di essere continuamente sotto i riflettori. I ricchi sono importanti, altrimenti chi aiuterebbe i poveri? Non esisteva una regola. Aveva amici ricchi, veramente meritevoli, né pochi, né tanti, una giusta percentuale. Almeno in questo, l’umanità era ben distribuita. Del resto, essere autentici, non era tanto una scelta della persona, quanto una scelta divina. 31 L’uomo quale parte di un disegno più grande di lui. Basta! Basta pensare, arrivò alla conclusione: il dottor Sacchi si era comportato in modo corretto, era un uomo onesto e bravo nel vendere il suo prodotto, questo era tutto ciò che le importava; via dal loro rapporto di lavoro poteva fingere, essere vero, lavarsi e non lavarsi, persino mettersi le dita del naso. Non erano amici. “Dottor Sacchi” gli disse seguendolo nel suo ufficio, prima ancora di salutarlo. Tossì. In quel locale c’era sempre un odore disgustoso di sigarette. “Non voglio che la raccolta sia pubblicata, non mi chieda il perché”. Tossì di nuovo e lo vide accendere un’altra sigaretta, caspita quanto fumava, quella prima l’aveva spenta appena entrato e lei con quel puzzo stava soffocando, ma non sentiva la sua tosse? Che maleducato. Lui, abituato alle bizze della donna, tolse il cappotto, mise la valigetta di pelle nera su un tavolino posto vicino alla finestra, si sedette e avvicinò con una spinta di reni la poltrona alla scrivania, le rotelline, strisciando sul pavimento, fecero un rumore fastidioso: “Devo farla oliare.” Valeria per un attimo si sentì divertita, in uno di quei film, dove dietro la scrivania, c’è il detective un po’ strampalato ma molto, molto ferrato nel suo lavoro. Fumava e la guardava in silenzio. E lei, di tanto in tanto tossiva. Spense la sigaretta nel posacenere, schiacciando forte il mozzicone sul Colosseo. 32 Le dita e le unghie erano gialle di nicotina. Ne accese un’altra, Multifilter. Appoggiò i gomiti sul ripiano di legno chiaro, e incrociò le mani facendo schioccare più volte le dita. Prese a fissarla. Lei, sosteneva lo sguardo senza il minimo imbarazzo. Dopo una lunga pausa di riflessione, che durò qualche minuto, Sacchi si espresse: “Il timore del rischio. Quello che la psicologia definisce difesa” e subito Valeria ricominciò a pensare e a muoversi, prese l’orologio da tavolo in mano e lo girò dalla sua parte per vederne l’ora. Rispose con indifferenza: “Sia quel che sia, devo pagare una penale?” “Ma no, siamo amici. Terrò la raccolta per me, posso? O vuoi che te la renda?” “Ma scherza? Mi fa molto piacere che la voglia tenere” rispose Valeria sollevata. Sei mesi dopo suonò il telefono di casa Alessi: “Complimenti Vale, Difetti e virtù di un poeta, hai superato te stessa.” Ringraziò l’amica e appoggiò il ricevitore. Nessuna rabbia e nessun rancore, una sorta di rassegnazione; ancora una volta si era imbattuta in uno spietato folletto. Eppure era brutto come il peccato, come aveva potuto non accorgersene. In genere chi è brutto fuori lo è anche dentro, non vale la regola contraria. Nonostante gli anni, ancora non era in grado di riconoscere i brutti e i cattivi. I brutti gli facevano 33 sempre pena, come se bruttezza fosse sinonimo di povertà. A conti fatti, quando scriveva, lui le era tornato molto utile. Prese il secchio con l’acqua, c’erano i pavimenti da lavare. Qualche giorno dopo, prese contatto con lei il folletto, la chiamò sul cellulare: “Vale, un successo. Il quattro abbiamo la conferenza stampa.” Dentro lei, scoppiò un sorriso, stava diventando paranoica, se ora prestava il viso alla donna dipinta da Edward ne Il giorno dopo. Uno dei pochi dipinti raffinati di Eduard. Lei, Valeria, stesa su quel letto con il braccio penzoloni di chi dorme o si arrende. La sua faccia, consegnata al pittore che tanto le metteva paura, mai quanto Munch. Rise in silenzio, mentre il dottor Sacchi non smetteva di parlare, tolse il ricevitore dall’orecchio e andò a prendere una caramella alla liquirizia, le sue preferite. Era erotica quella donna, più di quella di Gervex, in cui la protagonista era nuda. Forte e ironico Munch nello stravolgere la situazione. Forse sarcastico, chissà, non lo aveva conosciuto personalmente e non poteva sapere lo spirito con cui era stata fatta quella copiatura. Rimise il ricevitore all’orecchio. Dal tono pareva che il dottor Sacchi stesse evolvendo al finale: “Sì, capisci Valeria, è una questione anche di mercato.” Anche o solo. 34 Valeria, senza alcun tono che facesse trasparire la delusione nei confronti di quello che credeva fosse un uomo molto brutto ma veramente onesto: “Certo. Non sto bene. Faccia lei. Mi motivi con la solita depressione dei poeti. Sarà intrigante: la scrittrice, dopo l’ultima sua opera è caduta nuovamente preda del male oscuro” e rise di nuovo silenziosamente masticando la sua mora e di nuovo si rivide nel quadro de Il giorno dopo, forse era mezza ubriaca. Però, che sensualità. Ubriaca di rapporti umani. Ubriaca di gente, di sguardi, di parole. Ubriaca di pensieri, di se stessa. “Bella trovata, geniale come sempre Valeria cara. Venderemo ancora di più. Le malattie nervose sanno d’emarginazione, il dropout intelligente e sensibile fa moda. Anche la depressione è un po’ dropout. Che dici? Poi, guarda, ci va proprio bene, nella prima pagina fai un’osservazione proprio inerente a questo. Ora non ho il libro sotto mano, ma mi pare tu dica… fammi pensare… che la nostra società è per la gran maggioranza composta di depressi e che secondo te siamo i poveri figli dell’illuminismo, che dovrebbero …” e parlava, parlava. Ora stava esagerando. Lo bloccò nei suoi sragionamenti: “Dottore, abbia pazienza, ho da fare. Dica e faccia quello che vuole, ma non mi rompa oltre le palle.” Sacchi non aveva capito niente, era un pazzo. L’imbecillità conta un numero veramente infinito d’iscritti, comunemente convinti di fare parte del clan opposto. 35 Prese una pausa, si sdraiò sul divano e non pensò. Prese il telecomando e si fermò a guardare un documentario sugli animali della foresta. Ricevette nei giorni seguenti le copie che le spettavano, niente a che vedere con i suoi gusti. La copertina era gialla con la scritta nera. Non si chiese se le piacesse o no, non le apparteneva. Il camino vide una gran fiammata. Guardò bruciare lentamente solo l’ultima pagina scritta e la lesse man mano che si consumava, come per magia, dall’alto al basso. Ma quale il prezzo della propria forza. Sotto la corazza non c’è più pelle. Via l’armatura piaghe, sangue e cicatrici. Mi siedo al bordo della branda sfatta Lenzuola, cuscini, odor di pelle marcia. È questo il prezzo della propria forza. La forza di un poeta è l’animo di un bimbo tra cocci di vetro e soli troppo caldi. Piedi che bruciano sull’asfalto rovente. Sudore e preghiera Paura e coraggio Rimetto l’armatura e vado. Guarda quel prato Oltre i calcinacci Chiedono poesia i fiori di campo. Faceva molto freddo a Milano e Valeria giocava a fare uscire il fumo dalla bocca, come amava fare con le amiche da bambina, quando durante 36 l’inverno giocavano alle signore emancipate, con finte sigarette di cioccolato tra le dita. Era andata da Yves Rocher a fare un po’ di scorte. Lungo la strada, un uomo le dedicò, un sorriso, un altro uno sguardo. Pensò di avere un’aria strana. Come mai l’avevano guardata? Si specchiò in una vetrina, le sembrava di essere a posto. Forse solo un po’ spettinata. Che stranezza quei due, che ci volessero provare? No impossibile. Probabilmente era accaduto altre volte che un uomo la notasse e lei non ci aveva fatto caso e ora cosa stava succedendo? Era alla ricerca di conferme, ogni sguardo le sembrava rivolto a lei e lo prendeva in considerazione, cosa del tutto particolare. Era lei che guardava gli altri, che si rendeva disponibile. Entrò in un bar, aspettava l’arrivo di Fabio, sarebbero tornati a casa insieme. Si fece servire cappuccio e brioche. Suonò il cellulare “Due minuti e sono da te.”, era lui. Avrebbe potuto impiegare anche più tempo ad arrivare, Valeria si stava piacevolmente perdendo in un quadro appeso alla parete, le richiamava la regia d’Almodovar, colore vuole colore, un mezzo busto di donna con vestito rosso scollato e alle spalle un attaccapanni dello stesso rosso. I seni della donna pareva volessero uscire dalla scollatura, le spalle scoperte davano coraggio ai seni, il viso era segnato da qualche ruga, i tratti anco- 37 ra decisi nonostante l’evidenza del passare degli anni e di una vita intensa. Entrò Fabio. Il solito bacino e “Cosa prendi” le chiese, senza notare che aveva davanti la tazza con il cappuccio, che si stava freddando e la brioche. “Un caffè” rispose lei, per dire meno parole possibili. Dovette staccare i pensieri e gli occhi dal quadro, per non dare l’impressione al marito che la sua attenzione fosse distratta dalle sensazioni che quel dipinto stava provocando in lei. Fabio bevve il suo caffè ristretto in un solo sorso, cominciò a raccontare del lavoro, chiese dei figli, lei partecipava al discorso, ma non riusciva a sconnettersi da quella sensualità. Si domandava se lei fosse stata in grado di trasmettere tanta sensualità. Se ci sarebbe mai riuscita. Si chiedeva quali fossero i motivi per i quali non ci avesse nemmeno mai provato. Il seno delle donne era una gran bella cosa, la prima parte femminile che gli uomini imparano ad apprezzare, poi le forme sinuose e accattivanti, i movimenti voluttuosi e provocanti, tutte priorità del sesso muliebre. Perché lei aveva sempre soffocato una tale potenzialità mostrandosi sempre pudica e sobria, un’intellettualoide tutta cervello? La natura non era stata avara, ma lei mai aveva osato mettere in mostra ciò per cui molte donne ricorrono al chirurgo. 38 Oh certo, ora gli anni e le gravidanze avevano lasciato le loro inesorabili impronte, ma lei non aveva mai, ma proprio mai, potuto conoscere la sensazione di provocare, se l’era vietato. Ripensò a quando, verso i vent’anni, un tipo incontrato al San Maurilio le propose di fare la valletta in un programma televisivo e a come, ora, detestasse la persona che allora prese il suo posto diventando conduttrice televisiva. Lei aveva rifiutato per paura di mettersi in qualche guaio e al suo posto avevano scelto un’altra. Normale. Ma adesso, ogni qualvolta che la vedeva sullo schermo girava canale. Aveva scelto di mettere avanti la sua testa, solo il cervello, e solo quello. Era stata proprio scema. Concluse incolpandone la bramosia degli uomini, tutti gran maiali, non andava incoraggiato il loro appetito. Era abilissima nel difendersi generalizzando. Ora, avrebbe voluto essere un’araba, le donne islamiche quando sono sole con il loro uomo si trasformano, tolgono veli e pudori, oppure una geisha o ancora meglio una menade danzante, sorrise dei suoi pensieri. Imiliana, un’amica sessuologa toscana conosciuta in campeggio, le confidò che verso il quarant’anni esce la “troia” che è in tutte le donne; aveva usato esattamente quell’espressione, lei si era dissociata all’istante quando glielo sentì dire. Ora si preoccupava della possibilità, ma sorrise di nuovo… e se n’avesse fatta uscire un po’ di più? Compiaciuta, guardò Fabio con aria di sfida. 39 S’immaginò menade, donna invasa dal furore, cultrice di Dionisio, scabrosa. Le menadi che belle, tanto ben rappresentate nelle sculture dello Scopa “Che dici Fabio, si dirà scopare per le sculture dello Scopa? Per le menadi? L’orgia prevedeva, al culmine dell’orgasmo, che le baccanti in preda al loro stato, sbranassero un cerbiatto.” Il marito fece una smorfia di disgusto, sentì solo del cerbiatto, assorto in altri pensieri, del resto Valeria era una donna da ascoltare per metà. Forse una donna delle Fiji sarebbe stata più adatta a lui, quantomeno lì non esistevano pentolini bruciati. Quante volte, Valeria avrebbe voluto essere una persona meno complicata, per sé e per gli altri, una sempliciotta, si vive meglio con i sempliciotti. Entrarono in casa, Valeria era felice di avere avuto quei pensieri erotici, quasi stesse uscendo, finalmente, un po’ della sua carnalità tra biscottini e letti rifatti e ancora penso fra sé… chissà, realizzare questi pensieri potrebbe essere davvero liberatorio. Pensò che tanto, a Fabio non avrebbe mai detto queste sue fantasie, mancava di confidenza. Più facile gridare e svergognarsi, che parlare d’erotismo e intimità. I ragazzi rientrarono, che confusione, lei ancora non riusciva ad abituarsi, le sue amiche si lamentavano del disordine lasciato dai figli, ma ne sentivano molto la mancanza quando non c’erano, la casa sembrava vuota, dicevano. Valeria usava affermare che i figli erano il capolavoro della sua vita, ma era 40 convinta che avrebbe potuto vivere molto bene anche senza. Che sollievo quando finalmente uscivano. Non per mancanza d’amore, ma i figli adolescenti erano una vera e propria frustrazione. A volte un vero e proprio dolore. I ragazzi non le lasciavano spazio, ma forse era un bene, visto gli ultimi pensieri che la sua mente aveva partorito. Valeria menade, che roba! Considerò che non stava uscendo “la troia” dei quarant’anni, quella citata dall’amica sessuologa, ma che stava diventando matta. Riempì la lavatrice, c’era sempre un mare di biancheria sporca, non faceva in tempo a stirarla che rivedeva il mucchio tale e quale. Poiché non aveva più intenzione di scrivere e c’era quel maledetto mutuo, aveva pensato di fare a meno della governante. Era stata di Fabio l’idea della casa in Toscana, acquistata senza consultarla e ora che se la pagasse. Aveva anche considerato di portare a casa dal ricovero suo padre, per ridurre il più possibile le spese, ma non sarebbe stato corretto per rispetto alla gioventù dei ragazzi, alla loro serenità. Gli anziani non avevano solo esperienza e poesia, come cantavano le canzoni d’autori sensibili al problema vecchiaia. Però, siccome la famiglia era anche la sua e non solo di suo marito, non se la sentiva di lasciare che tutto andasse completamente a ramengo e così, i soldi, che una volta erano destinati alla governante ora li dava ai ragazzi. 41 La solita vittima, avrebbero pensato loro, se avessero saputo di questo sacrificio. Scrivere romanzi e poesie non le produceva granché in denaro, solo troppo tempo da occupare, avrebbe dato qualche ripetizione e si sarebbe limitata a rispondere alla Posta del cuore della rivista. Poi insegnava alla scuola per stranieri, in qualche modo il denaro necessario sarebbe saltato fuori. Succede sempre così, basta non abbattersi e pensare che in fondo sono solo soldi. Stese, stirò i panni e pianse disperatamente sbucciando le cipolle che servivano per il sugo. Il profumo che fa venire fame si diffuse nella cucina e lei ripensò che nelle isole Fiji le donne non abbandonano mai un pentolino sul fuoco, credono che altrimenti gli spiriti maligni possano avvelenare il cibo. In quelle isole se una donna si allontana dai fornelli è considerata pronta per il manicomio, da noi sarebbe da manicomio quella che credesse a tale eventualità. Valeria decise che non esisteva una normalità, se non quella dedotta dalla media di un campione della cultura del posto. Questo concetto l’impaurì. Quindi, se il mondo occidentale non si fosse deciso a fare un bel dietrofront verso lo spirito e l’individualità sana, ci sarebbero stati grandi guai nel futuro dove la normalità, negli anni, sarebbe cambiata e il combattersi l’un l’altro per interesse personale sarebbe diventata la normale logica di vita. Se le persone che ancora riuscivano a vedere la verità si fossero arrese, sarebbe stato un bel casino. Normalità sarebbe diventata la tecnocrazia, con il suo predominio della tecnica, nelle basilari scelte 42 del quotidiano. Normalità, la conseguente crisi assiologica dell’uomo cosiddetto evoluto. Normalità l’organizzazione criminale, normalità che i ragazzi avessero il tacito consenso a crescere diventando ladri, con l’esempio dei potenti. Normalità che i poveri diventassero sempre più poveri e i ricchi sempre più ricchi. No, lei non ci stava. Ma Valeria non capiva niente di politica, quanto d’economia, certo non avrebbe potuto fare nulla per il mondo ma per quel piccolo pezzo che la circondava sì. Quindi, continuare ad educare i suoi figli nella giustizia e nella lealtà, nonostante gli attacchi che le muovevano. In quanto all’economia famigliare, anche quello era un problema, doveva rimanere ferma e… farcela! Ogni cosa, ogni gesto, erano per lei uno spunto per viaggiare nella mente. Girò con il mestolo di legno il sugo, abbassò la fiamma “Che profumino” sentì dire nella camera dei ragazzi. Andò al computer per leggere la posta, tutta pubblicità. Entrò nel forum che una volta amava frequentare con il nick, Amneris, la promessa sposa rifiutata da Radames, che invece amava la nera Aida. Radames morì sepolto vivo e tra quelle mura Aida si era nascosta per morire con lui; Amneris trascorse molto tempo a pregare su quei muri, ignara della presenza della rivale in amore. Almeno, così le sembrava di ricordare. E sempre si era chiesta se a qualcuno fosse mai balenata l’idea che Aida fosse lì, giacché nessuno la vide più, ma 43 forse pensarono che fosse fuggita per il gran dolore. Ma se era una schiava come poteva essere fuggita? E ogni volta concludeva questi pensieri dicendosi che forse non ricordava bene l’opera. “Mamma abbiamo fame, manca molto?” “No. Butto la pasta.” Spense il PC, nessun post che valesse la pena considerare, tornò ai suoi fornelli. La saggezza popolare attribuisce ai figli la capacità di mantenere unita la coppia, e quando i figli lasciano il nido vuoto? L’inquietudine spesso s’impadroniva di Valeria, i figli crescevano e lei doveva identificarsi in un nuovo ruolo, era stanca di scrivere, amava l’arte e conosceva gli uomini, li aveva conosciuti fin da piccola. Era inevitabile che la famiglia dovesse riformularsi, ma più di tutti lei. Gli altri sembravano in forma. Fabio continuava a lavorare, come se il mutuo non gli appartenesse e Valeria scoprì il lato incosciente di suo marito. Alessandra a volte carina ed altre arrogante da farle venire l’impulso di buttarla giù dalla finestra una volta per tutte, ma era il suo specchio, poteva solo cercare di capirla, quello che proprio non le riusciva accettare era quell’egoismo, ma da chi l’aveva preso? Lei e Fabio non erano così. Riccardo che era la persona più calma del mondo e, forse per questo, ogni tanto dava fuori da matto. Giovanni e Francesco che erano alla ricerca della loro affermazione personale. 44 Restava comunque ben chiaro che quattro figli su quattro l’amavano, che due su quattro la sopportavano poco e che una su quattro non la reggeva proprio. Ma era forse una tecnica inconscia per staccarsi emotivamente da lei. Sperava che fosse così. Sperava che le cose prima o poi sarebbero cambiate e che i figli, una volta adulti, l’avrebbero vista, finalmente, come una persona. Ora doveva riuscire a tenere le famose distanze di sicurezza da loro e anche da Fabio, o sarebbe avvenuto il risucchio. Le volevano tutti bene, questo era indubbio, ma quanto questo fosse importante non riusciva a quantificarlo. Avrebbe voluto essere ferma come lo erano le mogli e i genitori di una volta. Aveva provato ad essere autoritaria ed era stata la volta che li aveva visti ridere a crepapelle di divertimento, convinti che Valeria fosse simpatica e scherzosa come pochi. Quando invece si arrabbiava con cognizione di causa, la casa intera s’improvvisava caserma. Anche il cane non si muoveva più. Del resto, mantenevano i vantaggi e le comodità che la famiglia dava loro, pensando che fossero diritti acquisiti e poi rivendicavano la completa autonomia. Altro che cuccioli… dei terroristi, bastava la parola sbagliata al momento sbagliato e se ne andavano sbattendo la porta, lasciando Valeria preoccupata fino a quando, finalmente, decidevano di rispondere al cellulare. Eppure erano tutti insostituibili. Quando la casa diventava il palco di quelle belle commedie che rendono onore a Napoli, i gemelli 45 allargavano gli occhi preoccupati e si allarmavano quando la mamma sentenziava che Alessandra e Riccardo avevano ricevuto un’educazione troppo libera. Valeria sapeva che i problemi coniugali si risolvono con la maturazione personale e non con il cambiamento del partner, almeno così aveva letto da qualche parte. Fabio non aveva problemi, era lei ad averne, diventava ogni giorno più lagnosa, la sua allegria diminuiva, l’entusiasmo aveva preso il treno per chissà dove. Non aveva progetti. Non aveva mai provato la noia, ma ora certi giorni rasentavano l’accidia, dalla sedia al divano, alla sedia. E poi, come un robot, gli obblighi di casa, senza il minimo entusiasmo. Si ricordò di avere il numero della vecchia maestra, erano passati altri anni da quando l’aveva incontrata l’ultima volta, chissà se il numero era lo stesso, chissà se era ancora viva. La chiamò: “Sono Valeria Luzzati. Disturbo?” “Valeria! Non disturbi per niente. Avrei voluto chiamarti io, ma mi ha sempre frenato il fatto che hai una vita piena d’impegni. Però ti ho seguita nella tua carriera di scrittrice. Anche l’ultimo libro è molto bello. A quando il prossimo?” “Come sta signora?” “Meglio che posso, solo qualche doloretto dovuto alla gioventù che avanza. E tu?” “Non tanto bene. Mi sento a pezzi.” “Cosa ti succede? Ho avuto subito, sentendoti, la sensazione di sentire la vocina triste.”. 46 Valeria sorrise amara. “Vuoi che ci vediamo tesoro?” propose la vecchia maestra. La chiamavano in tanti tesoro, anche la sua amica Pia. Tesoro era un’espressione tenera riservata all’infanzia, cosa portava lei ancora dietro da allora? Se stessa con la sua dolcezza, l’animo gentile. S’incontrarono il giorno dopo alla pasticceria di Corso Vercelli. La stessa in cui s’incontrarono la prima volta. La maestra coccolò Valeria con sorrisi e carezze, la fece sentire piccina e lei ne aveva necessità. Era stanca di fare la resistente, la forte, la battagliera, sentiva premere il forte desiderio di lasciarsi andare, come i guerrieri quando si tolgono armi e corazze di dosso. Libertà. “Oh Valeria, da bambina eri tanto allegra. Ma a tuo modo timida e riservata. Amavo guardare oltre nelle mie scolare e tu eri tutta da scoprire. Così semplice e complicata, sincera e bugiarda. Dolce e aggressiva. Sì mi piaceva scoprirti, eri alla pari di una tartarughina, ti infilavi completamente dentro il guscio appena percepivi nell’aria un attacco. Mi viene ancora da sorridere sai. Da lì dentro, per un po’, non ti tirava fuori nessuno. Non c’era verso. Decidevi tu quando farlo, indipendentemente da ciò che accadeva intorno. Solo allora ricompariva la tua bella testina, e ogni volta mi sorprendeva una tua nuova realtà. Potevi andare a chiedere scusa alla 47 compagna, anche se non avevi torto, oppure, al contrario avvicinarti a lei e sferrare lo schiaffo più forte che avevi a disposizione in quell’attimo. Per la seconda reazione ti dovevo sgridare e dare la nota.” “Quante note.” “Eri una ribelle. Dovevo intuire i tuoi pensieri di bimba originale, geniale direi. Timida, ma improvvisamente reagivi, non eri schiva, a volte timorosa e altre un concentrato di spavalderia, non chiedevi mai. Bisognava intuire i tuoi desideri.” Valeria rise di gusto, per un attimo riuscì a distrarsi da tutte le sue contorsioni mentali, lo fece nel rispetto di quella bambina che fu. Stava bene. “Ah, ah, mi ci rivedo sa, ora sono un po’ cambiata, ho quattro figli, due quasi adulti che rompono non poco le scatole. Tutti e quattro mi sfiniscono, ma li amo più della mia vita. Solo che in alcuni momenti credo fermamente che l’amore materno non esista. Arrivo a detestarli. Mi crede?” Allargò con la mano il collo del maglione dolcevita, come per prendere aria, le dava fastidio quel collo alto che pungeva. Fece un sospiro: “Poi mi basta una loro attenzione che volo come un’adolescente al suo primo amore.” Si stava commovendo, schiarì la gola e continuò come se stesse leggendo e il capitolo cambiasse: “Mio marito, Fabio, è un uomo meritevole, pur sempre uomo però.” Seguì una smorfietta a labbra strette ed espressione rassegnata e alzò le spalle in segno di menefreghismo obbligato. 48 La maestra, intanto, non le toglieva lo sguardo di dosso mentre reggeva il mento aguzzo con due dita della mano, tenendo il gomito appoggiato ben saldo al tavolino. “Maestra, però non mi guardi così, non è successo niente di grave.” “Ecco la tartaruga. Tesoro mio non ti sto attaccando.” “Lo so, ma non mi piace questo momento. Dai veniamone fuori.” “Pretendi troppo da una vecchia maestra. Non hai visto come mi muovo lentamente? Uscire… entrare… Fate presto a parlare voi giovani.” “Giovani, seeeeee…” Risero insieme. “Cara la mia maestra, sono arrivata alla mia età per non sapere cosa voglio, come se fosse finito il primo tempo della mia vita e ora fossi in attesa del copione per il secondo. Non ci capisco più niente, non so come continuare e se continuare. Quando sto male anche i miei ragazzi mi danno angoscia, cosa riserva loro la vita? Avranno sempre l’energia per vivere al meglio? Che e quante bastonate ha in riserbo la vita per loro?” La maestra aggrottò le sopraciglia e disse: “Tutto passa. Sono solo momenti. Fidati. Per quanto riguarda i tuoi ragazzi, credo che tu possa solamente accompagnarli con tutto il tuo amore, niente altro. Ci saranno giorni facili e luminosi e giorni difficili che toglieranno la pelle, ma è così per tutti, in tutto il mondo. Ma dimmi, dimmi tutto, siamo qui per questo. Dai, avvicinati, voglio darti una carezza ancora, su quella faccia da dolce strafotten- 49 te che ti porti dietro. Vieni qui. Sei sempre dispettosa?” Valeria allungò il viso verso lei, le veniva un po’ da piangere di tenerezza. “Forza tesoro, fuori dai denti, cosa non va?” Valeria taceva evitando d’incontrare lo sguardo saggio della sua interlocutrice. “Forza, butta fuori il rospo.” Nessuna parola. “Ah già, devo dirti anche io una cosa”disse ancora la signora maestra, levando il dito indice verso la tempia. Aprì la borsa forzando le due palline dorate dell’apertura a clip, come avevano le borse e i borsellini di tanti anni fa. “Fammi prendere il borsino” aggiunse. Tirò fuori un fogliettino ridotto piccolissimo dalle piegature, era ingiallito dal tempo, scritto con pennino, inchiostro e calamaio. Lo girò verso Valeria, in modo che leggesse. Valeria si stupì nel riconoscerlo dopo tutto quel tempo, era una dichiarazione d’amore che aveva fatto alla sua maestra e lei l’aveva conservata. “Non ci posso credere.” disse prendendo con delicatezza e gentilezza il bigliettino tra le mani. “Attenta è molto fragile e abbastanza malridotto da rompersi appena lo tocchi.” “Me lo ricordo. Ma guarda te la memoria che cos’è. Che roba. Me lo ricordo benissimo e ricordo anche alle sensazioni che provavo mentre scrivevo. La amavo e per lei mi sarei buttata nel fuoco.” Cercò di leggerlo e rise di cuore: 50 “Dio mio, ero già una scrittrice. Ho rispettato me stessa. E io che prego sempre il Signore di aiutarmi ad andare avanti nelle vie che, forse, non erano quelle destinate a me.” “E perché non erano destinate a te?” “Perché sto male. Sono stanca. Non ce la faccio più. Sono davvero sfinita. E se la stanchezza rende temerari, la stessa stanchezza rende fragili, toglie obiettività e serenità.” “Lasciati andare. Quando dici che non ce la fai più, non dirlo all’aria o agli altri, ma a te stessa, e fai che non sia una frase buttata lì. Sostituiscila con: ‘Adesso mi fermo’ o almeno cerca di cambiare qualche cosa, la vita è una, trattala bene. Cerca di divertirti un pochino, non si deve solo lavorare e risolvere i problemi. Magari vai a teatro con tuo marito una sera. Perché no. Vedrai che poi vivrai meglio. Oppure dedicati di più a te stessa, fai dei bei bagni caldi e massaggiati i piedi con delle belle creme profumate, vedrai i miracoli. E poi respira, respira bene, profondamente: è indispensabile.” Valeria sorrise, quante belle cose che le diceva, in tutta semplicità. Rimedi di una volta e ancora tanto attuali. Rimedi da vera signora. Valeria guardò l’orologio alla parete, poi quello al polso: “Oddio si è fatto tardi, i gemelli escono da scuola, devo scappare, è stato un piacere. Vuole che l’accompagni?” “No grazie. Prenderò un taxi.” Valeria non insistette. Baciò la vecchia maestra mentre si alzava in tutta fretta. 51 Fermarsi. Coccolarsi. Cambiare qualche cosa. Divertirsi. Non dimenticare di giocare, per trovare l’equilibrio giusto, per non spegnersi. L’esistenza ha bisogno di varietà. Farlo senza sensi di colpa per avere tralasciato di stirare, perché se non ci si cura, si va via e si rischia di non tornare. Solo stando bene si possono assolvere i compiti con piacere. Trarre piacere per godere della vita. E se si è stanchi la vita non si gode, su questo non ci piove. Anche il fiore più profumato perde fragranza. 52 L’ultimo progresso della ragione è di riconoscere che c’è un’infinità di cose che la sorpassano: essa non è che una debole cosa se non giunge a conoscere questo. (Blaise Pascal) Fabio Alessi era un bell’uomo, laureato alla Statale. Il suo aspetto, come il vino, era migliorato negli anni. Aveva una cultura generale sorprendente, ciononostante non stava attento a Valeria, che aveva bisogno di condividere con lui i propri sentimenti, le proprie emozioni, la propria vita. Quando Valeria lo vide con la chitarra sulla spalla, lo seguì e si fermò ad ascoltarlo mentre cantava per pochi amici, le era sembrato Cat Stevens… It’s not time, to make a change… Father and Song era rimasta la loro canzone ma non la acoltavano più da anni, riposto tra tutti gli altri, sullo scaffale della grande libreria, c’era anche quel Long Playing: lo stereo stava lì, perennemente in attesa, funzionante come allora, sopravvissuto alla tecnologia. Fabio aveva vissuto il sessantotto come attivista politico ed ora, come molti sessantottini, viaggiava su un Mercedes E 220 Elegance, con tanto di navi- 53 gatore satellitare, televisore e frigorifero e amava il lusso, ma avrebbe potuto evitare di contrarre quel mutuo per un capriccio. Se ne rese conto. Non rimpiangeva i suoi vent’anni con la bicicletta e il sacco a pelo e non voleva tornare a quelle simpatiche avventure ritrovandosi a dormire sotto il cielo stellato, quindi rivendette in breve la sua casa dei sogni, dove nessuno della sua famiglia aveva messo piede. “Forse mia cara ti sei dimenticata di quando non avevo i soldi per cambiare le corde alla chitarra. La nostra generazione ha perso, tesoro mio, che tu voglia ammetterlo o no.” “Bene e se non vuoi non averne per le corde della chitarra di Riccardo, fammi il piacere di vendere quella benedetta casa.” Quella volta la ascoltò. La generazione dei sessantottini, ragazzi che avevano lottato per un mondo migliore, che avevano ottenuto numerosi successi, come la fine dell’autoritarismo ma anche, per fortuna, insuccessi sul piano politico. Valeria controbatteva che le nuove generazioni mancavano di voglia di lottare per colpa di quelli come lui, che avevano ceduto alle comodità, che si erano arresi al consumismo. Che avevano cambiato bandiera. Quelli che avevano tolto ai loro figli il sale della protesta, quel sapore che invece i loro padri gli avevano consegnato in eredità, raccontando della Resistenza del popolo italiano, della Liberazione. Quando, con ancora la pelle d’oca, dicevano delle barricate costituite da mobili e materassi, dei secchi 54 d’acqua bollente che tiravano addosso agli tedeschi e tutto per che cosa? Per i loro ideali di libertà. Certamente nessuno si augurava che i giovani d’oggi rivivessero quelle impiccagioni, ma nemmeno che avessero una vita tanto piatta e senza alcuna responsabilità di essere nati. Come dato di fatto, i suicidi tra i giovani erano in continuo aumento, in contrapposizione alla voglia di vivere di chi sa di poter morire da un momento all’altro, di chi sa di avere una missione da portare avanti e di non aver tempo per perdersi in inutili pensieri di autolesionismo. Doveva pur esserci la via di mezzo. I testi trattano la Resistenza come un pezzo di storia fine a se stesso, senza trasmettere entusiasmo, riconoscenza e affetto per quegli eroi. Ora i ragazzi hanno il tacito consenso al potere. Le loro proteste, tranne rare eccezioni, sono fatte per perdere giorni di scuola e cosa fanno? Restano a casa a dormire. Noia imperat. Cosa pensano i ragazzi mentre si fanno le canne o stanno ore e ore davanti ai videogiochi o alla televisione? Forse a niente. Quanta energia avremmo potuto dare a questa generazione se solo avessimo continuato a credere nella giustizia, nella solidarietà. Quello che per i vecchi è porto, per i giovani è naufragio. Plutarco. Grazie a Dio c’è ancora lo sport che evita di arricchire la massa di gente abulica. È sempre più urgente il risveglio. Vivere la responsabilità di essere al mondo. L’immaturo possesso del denaro e tutto quello che ha occupato il posto di quello che eravamo. Abbiamo fatto un gran casino, noi dell’armata Brancaleone. E questa nuova genera- 55 zione ha sonno, ha sonno! Noi abbiamo sonno. Quanto li amo, poveri ragazzi. Solo pochi ce la faranno, solo i più forti. Fabio sospirò di pace, avrebbe voluto dirle che la colpa non era dei sessantottini e tantomeno dei libri di storia, ma delle mamme, ma preferì finirla lì, pochi minuti e iniziava una partita. Questa generazione, la loro, aveva fatto abbastanza morti tra i giovani e come madri avevano fallito. Ringraziò Dio, giusto in tempo per poter vedere la nazionale. Che sua moglie andasse pure avanti a pensare a bassa voce. E così fu. Dante: come le pecorelle escon dal chiuso… e ciò che fa la prima le altre fanno… e l’perché non sanno. Ecco cosa c’è. È venuto a mancare il conatus endogeno allo spirito umano di indagare, di scervellarsi su quello che è scappato dalla mano. La capacità di vagliare le diverse soluzioni al problema, senza stare ad aspettare un deus ex machina che dia la soluzione più facile, meno impegnativa. C’è l’urgenza d’imparare a cercare un oltre. Ulisse: fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e conoscenza. Siddharta il suchende, colui che cerca, che si libera dalle catene che altri hanno creato, ribellandosi alla società ma di più a se stesso, trovando solo così la vera essenza della vita. Ecco perché sto così male, non so rassegnarmi e nello stesso tempo non so dove devo andare. Cosa devo fare? Spero che questa mia vita non finisca in un suicidio come per un sacco di scrittori. Il dottor 56 Sacchi farebbe i soldi, che scoop. La gabbia della vita: in giovinezza ci si sta lontano, poi, quasi con rassegnazione, ci si entra con i nostri stessi piedi e solo noi possiamo chiuderne la porta. E la chiudiamo, mettiamo la chiave in tasca, dimenticando il luogo dove l’abbiamo riposta, magari diventando matti nel cercarla. Eppure, ci diciamo, l’avevo messa in un posto preciso, per non perderla. Poi, solo qualcuno, un giorno, mettendo per caso la mano in quella tasca la trova ed esce. Oh basta pensare o impazzisco. Penso davvero troppo e spesso inutilmente, se l’inutilmente esiste”. Si sporse nel corridoio, vide il marito stravaccato sul divano, i piedi sul tavolino, la sigaretta in una mano e un bicchierino da liquore nell’altra “Fabio, hai voglia di fare il caffè?” era fedele come un cane, testarda come un mulo e dispettosa come una scimmia. Valeria al contrario di Fabio, ripensava alla sua gioventù con molta dolcezza, perché era nostalgica di natura, Fabio ne era convinto. Aveva idealizzato quelle giacche appese negli armadi per indossare gli eskimo color verde con tanto di lunghe sciarpe, i fazzoletti rossi annodati al collo che erano andati a sostituire le cravatte. I bei maglioni girocollo e le ragazze che avevano rinunciato a trucco e tacchi. I libretti rossi di Mao infilati in tasca. Le borse a tracolla che si riempivano con articoli di Sartre e Marcuse. E la guerra in Vietnam, i problemi della classe operaia, e Bob Dylan, Joan Baez, Phil Ochs. I dintorni della Statale con i primi 57 graffiti. L’occupazione di Lettere e Legge. I ragazzi del Berchet. Quel giovane alto, magro e barbuto, che si chiamava Mario Capanna, leader del Movimento studentesco e parlamentare negli anni '80. Tutto a fanculo? Guardava i suoi figli ed era, in fondo, convinta di avere fatto un buon lavoro. Non erano amebe. Quando c’era di meglio da fare non stavano davanti alla televisione o alla Play Station. Per loro quelle cose erano un passatempo, un relax da usare. Erano ragazzi che mettevano grande entusiasmo in tutte le cose che facevano, anche perché facevano solo quelle che volevano, o forse no, anche lei, come i suoi genitori prima di lei, aveva dei pregiudizi. Ma solo forse. Guardando i suoi ragazzi quando erano felici e in procinto di realizzare un progetto, le veniva spontaneo accusare la vita di aver risucchiato nei suoi coetanei l’entusiasmo della giovinezza, quando l’interesse e l’impegno scatenavano la gioia della passione, quando l’intelligenza e l’obiettività rendevano aperte le porte agli insegnamenti del mondo. Pensò ad alta voce, mentre stava svuotando la lavatrice: “E se vuoi proprio saperlo mi manca anche il bel sedere che avevo allora.” A lui non mancava nemmeno quello. Oddio, Fabio l’aveva sentita, stava rispondendole dalla sala ad alta voce per far che anche lei sentisse: 58 “Vedi che vieni dalla mia, non ti mancano i soldi, puoi porre rimedio. Trovati un bravo chirurgo.” “Non ci mancano i soldi? E il mutuo miliardario della casa in Toscana, dove, tra l’altro, non siamo nemmeno più andati?” “Vendila.” Era pazzesco come risolveva tutto così. Cominciò a controllare che alcune macchie che aveva notato sui panni fossero venute vie, guardò fuori dalla finestra, pioveva ancora. Stese i panni sui fili in bagno. Meglio tacere quando ci si parla da pianeti diversi, Venere e Marte come bagno e salotto: la voce arriva contraffatta e, come nel gioco del telefono senza fili, l’ultima parola è sempre diversa da quella iniziale. Discutere era l’unico modo che avevano per relazionarsi con trasporto e di tanto in tanto era meglio accedere a quello, che cadere nella noia assoluta pronta a prendere il sopravvento, trasformandosi poi in vuoto interiore, in solitudine e paura. Entrarono nella casa di riposo, ogni volta per Valeria era una bastonata al cuore, ma non c’era soluzione, suo padre aveva bisogno di assistenza clinica, di cure continue e attenzione medica. Avevano provato a gestirlo a casa, ma delle badanti non potevano dire che male, forse erano stati solo sfortunati. Certo era che il papà, fino ad allora persona sobria e seria, credeva di essere diventato John Wayne. Anche la demenza aveva fatto il suo ingresso con tanta violenza sulla povera Valeria, che non riconosceva più suo padre ma in termini differenti da co- 59 me lui non riconosceva più lei. Furono anni durissimi, i più difficili in assoluto, oltre la fatica fisica c’era l’impoverimento psicologico, la solita frustrazione dell’impotenza. Infermieri che si alternavano a ripulire e medicare le piaghe, quando non lo faceva Fabio. Infine imparò anche Valeria a farlo, ma poi il padre si rifiutava di collaborare, gridava, le inveiva contro con parolacce di ogni sorta, e Valeria cominciò a girare per case di riposo, strutture per anziani, ma ne usciva ogni volta più disperata, in colpa e in lacrime. Pensava a sua madre, a quanto sarebbe stata contrariata da una tale decisione. Ma non vedeva altra soluzione. Ogni giorno vedeva suo padre peggiorare e avere sempre meno dignità. Era lei che lo imboccava, lo accompagnava in bagno, lo lavava come riusciva e come poteva. Era lei che si svegliava la notte perché lui aveva fatto un brutto sogno. Era lei che cercava di calmare i ragazzi quando non sopportavano che il nonno la trattasse così male e le tirasse dietro persino i piatti. Ma era malato, non era in sé. Fino a quando approdò in una struttura che le sembrò più famigliare e carina. Ciononostante i primi mesi dovette fare ancora tantissimi conti con questa decisione, pur sapendo che era la migliore per tutti. Ci stette malissimo, Fabio non capì. A lui pareva assurdo che rischiasse la depressione per una cosa che era stata risolta nel miglior dei modi. Ma Fabio era un uomo. 60 In verità lui aveva ragione, e piano piano, pur se non completamente, Valeria accettò la cosa, e tutto si mise abbastanza in linea. Abbastanza. In effetti, papà era sempre ben pulito, mangiava molto bene, dagli gnocchi ai ravioli, alle lasagne e le sue patologie erano sempre sotto osservazione. Il personale era preparato e gentile e la direttrice era una donna straordinaria che amava quel lavoro all’inverosimile. Stava molto meglio che a casa, dove l’intera famiglia aveva dovuto farsi zerbino del personale che lo accudiva, perché pareva che oltre il denaro, le persone che erano passate di lì volessero farli impazzire, fossero pagate per farli diventare matti. Valeria imputava tali comportamenti alla sua troppa disponibilità che si era da subito rivelata una politica sbagliata. Del resto, quello che capitava al nonno non era una disgrazia, ma il ciclo della vita. “Ciao Papà, devo andare” gli disse dandogli un bacio e accarezzandole la testa calva. “Quando vieni ancora?” le chiese lui “Perché io sto bene solo quando sto con te.” “Vengo sabato o domenica, lo sai. E anche io sto bene solo quando sto con te.” “Oggi che giorno è?” “Domenica.” “E devo aspettare tutto questo tempo prima di rivederti?” “Passa in fretta papà.” E pensare che le aveva dato lui quell’input culturale che si era portata dietro e aveva sviluppato negli anni, quell’eleganza di modi e comportamenti. La 61 dignità. Era stato lui a fare tanto amare la storia romana e greca a suo figlio Riccardo e lui a regalare la macchina ad Alessandra, ancora prima che avesse la patente. E ancora lui a fare conoscere l’Opera a Fabio. Un uomo preciso, tutto d’un pezzo, senza paura di dire le cose. Ecco, questo lato l’aveva lasciato in eredità ai gemelli, che poco se l’erano goduto. Mi spezzo ma non mi piego, ecco chi era suo padre, l’uomo più tenace che avesse conosciuto. “Dai, vado, ciao papà.” “Ciao amore mio.” “Fai il bravo.” “Ma quando vengo a casa?” “Quando riuscirai a camminare con il bastone.” Non era vero e lo sapevano entrambi, sarebbe rimasto così, steso sul letto, ormai per sempre. Però erano tornati a volersi bene, si erano perdonati. Il papà era sereno. Quanto male si sente dentro certe volte, ma un male silenzioso, un dolore cupo, di gola, che solo angoscia può diventare e null’altro. Poi, si pensa ai giovani costretti su carrozzine, a giovani malati e madri disperate e si relativizza, si va avanti a camminare respirando a pieni polmoni l’aria del mare. Fabio aveva conservato, anche se quegli anni non li ricordava come tempo di grazia, l’aspetto da eterno studente: occhialini tondi, capelli un po’ lunghi e pizzetto da intellettuale di sinistra. Nessuno riesce a rinnegare completamente il proprio passato. 62 Alle ultime elezioni aveva votato Berlusconi, senza dare alcun peso alle parole d’accusa rivolte dalla moglie al Premier. Valeria di politica capiva poco e niente, non era possibile contraddirla senza finire per litigare, Valeria era solo un’idealista senza cognizione di causa. E così Fabio lasciava correre, allora Riccardo interveniva, era molto ferrato in storia e politica, anche lui puro e sognatore come la mamma, ma con dati di fatto storici e non, che mettevano a tacere Fabio, che lo faceva però con tono di sufficienza, mentendo, per comodità, anche a se stesso. Valeria non si era mai occupata veramente di politica, ma gli ultimi eventi, le ingiustizie che vedeva aumentare ogni giorno, i falsi buonismi dei potenti, la loro magnanimità verso un popolo che ci cascava, non la lasciavano indifferente. Il suo senso di giustizia e onestà, veniva fuori come acqua da una spugna troppo zuppa. Non si era laureata, aveva dato solo qualche esame a Giurisprudenza, per poi demordere sotto l’azione vitale d’altri desideri da realizzare. Non era stata una buona scelta, ora che si sentiva fremere dentro, all’idea che gli avvocati più bravi erano quelli con parcelle più alte e quelli con parcelle più alte erano destinati solo a chi se li poteva permettere. E alla radio avevano pure detto che un bravo avvocato è vero che costa di più e per spedire una lettera vuole mille euro, ma ti risolve il problema, mentre quello che si accontenta di cento, non sa come muoversi e nessuno lo ascolta. 63 E hanno anche il coraggio di dirlo e se una persona non ha quei mille euro? Incredibile pensare che chi ha ragione debba difendersi da chi ha torto e spendere soldi e magari vedersi accollare tutte le spese processuali, perché l’altro non paga. Ma lei cosa poteva fare? C’erano i panni da stirare. Fabio era diventato un affermato ginecologo, riceveva le pazienti nel suo studio in centro, con muri di proprietà, color rosa, in style veneziano, aria condizionata e mobilio in arte povera d’epoca. Appesi alle pareti quadri importanti. Di povero, per gratificare il compagno squattrinato che tanto bene impersonava ai tempi, aveva l’arredamento, style povero e costosissimo: vecchi mobili pagati due soldi o nemmeno ai contadini, che felici accettavano in cambio una cucina americana in formica. Sul pavimento, nella stanza dove visitava, c’era un gran tappeto orientale, di quelli i cui i fili vengono annodati dalle manine dei bambini, perché le mani degli adulti sono troppo grandi per certi lavori. Gli occhi non potevano evitare di notare tanto buon gusto, anche quelli di Valeria, che apprezzava e disprezzava allo stesso tempo, lei non avrebbe fatto certi acquisti, ma ognuno era libero. Nulla in contrario se a Pasqua il marito mangiava agnellino, ma doveva comprarselo e cucinarselo. E mentre Alessandra e i gemelli non rimanevano indifferenti alla mattanza che la mamma ogni anno denunciava, Riccardo si faceva grandi scorpacciate di agnello, piselli e uova insieme a suo padre. Tre milioni e mezzo di agnellini da latte macellati solo in Italia, per la Pasqua… ma loro due andava- 64 no avanti a mangiare e guai a fare smorfie, ci sarebbe stato il rischio del litigio di Pasqua. Valeria e Fabio erano in sala, seduti sul divano, abbracciati, i ragazzi andavano avanti e indietro togliendo loro la visuale del televisore. Poi, finalmente, tre uscirono, rimase solo Alessandra. Stavano guardando con interesse una videocassetta, un documentario che raccontava la civiltà Maya. Improvvisamente Fabio cominciò: “A volte penso alle persone come ad un insieme di tubi, vene, arterie, esofago.” Valeria non si mosse, ascoltava con attenzione chiedendosi dove stesse andando a parare suo marito. Ripensò alle ultime immagini viste, non c’entravano nulla con i tubi. “Un insieme di tubi” continuò Fabio dopo un secondo di riflessione “che in parte consapevolmente riempiamo e svuotiamo. Pensa un po’. Basta che uno solo di questi tubi, anche il più piccolo, smetta di funzionare perché il robottino vada in tilt.” Si sfiorò una narice e proseguì, camminando su e giù, come se stesse dettando una lettera ad una dattilografa: “Tubi e tubi. Che storia. L’esofago, le vene, l’intestino e tutto il resto, compresi i genitali. Non ci avevi mai pensato Valeria? Tubi, siamo un insieme di tubi.” Valeria rise, la voce fuori campo stava ancora parlando dei rapporti sessuali dei Maya. Aveva capito da dove era arrivato quel pensiero. 65 “No, veramente no. Non so come mai, ma questa osservazione mi era sfuggita” e rise nuovamente prendendo in mano il telecomando. Abbassò l’audio e continuò a guardare le immagini distrattamente. Fabio stava parlando di qualcosa che non fosse lavoro e famiglia, stava parlando con lei senza polemizzare, solo per il gusto di dire. Per puro piacere e andava incoraggiato. Le si sedette di nuovo accanto e Valeria appoggiò la testa sulla sua spalla e si mise ancor più comoda. Il documentario avrebbero continuato a vederlo in un altro momento. Pensò di spegnere, ma non lo fece, per timore d’interrompere l’incantesimo. Alzò lo sguardo per guardarlo meglio negli occhi mentre stava analizzando l’argomento con gran serietà e tono competente, non lo vedeva così preso da un pensiero da tanto tempo. “E tu guarda cosa fanno gli esseri umani per riempire un tubo con un altro tubo.” “Il sesso ah ah! Qui ti volevo” e rise di cuore nel sentire suo marito, quasi fosse stato uno scienziato alle prese con una nuova scoperta. “Vale, dai. Non ridere che m’incazzo. Solo a te posso fare certe confidenze e tu ti metti a ridere come una scema.” “Ma dai. Confidenze! Non mi sembra che sia una cosa da prendere con tutta questa serietà. È divertente. Vera, ma divertente, ci si può anche ridere sopra o no?!”, la spostò irritato e si alzò dal divano per andare a prendere le sigarette. “Ne vuoi una?” le domandò. 66 “Non fumo più da anni” rispose lei senza inoltrarsi nel disinteresse che Fabio le dimostrava in molti casi, anche quando scriveva; la magia era bell’e che finita. Capitava, che Fabio le mostrasse attenzione, ma di brevissima durata e solo se era lei a chiederglielo espressamente, ma lo sentiva scalpitare con tanta voglia di andarsene da un’altra parte. Ci rimaneva male, ma del resto nemmeno lei restava con lui a guardare le partite. Era solo che avevano interessi diversi, nulla degno di nota. La verità è che una donna si sposa convinta di avere trovato un uomo che si occuperà di lei e invece accade l’opposto, sarà lei a doversene prendere cura. Che fregatura, ma la donna è nata per essere madre. Accese la sigaretta. “Ok ne ho un’altra da dirti, una cosa che vorrei fare. Cambio storia. Ne ho un’altra pronta. Questa è seria. Ascoltami bene. E senza ridere se no esco a fare un giro” e le sorrise. Valeria si schiarì la voce per assumere un tono più serio e cercò un’espressione adatta, che non andasse ad indispettirlo nemmeno per sbaglio. “Sono pronta. Dai parti.” “Vale, secondo te quella che viviamo è l’epoca della perdita dei valori o sono cambiati?” “Ho un’idea tutta mia, ma parla tu” sapeva che tanto la sua risposta non gli sarebbe interessata. Fabio proseguì: “Pensavo…” e aspirò il fumo guardando che la sigaretta fosse bene accesa “che m’interesserebbe 67 proporre la lista dei valori di Milton. Si chiamava Milton giusto?” “Non lo so. Non ricordo questa cosa. Che cos’è? E proporla a chi?” “Ma come non lo sai. Vedi che riesci a smorzarmi ogni iniziativa. Proporla a chi? Alle persone! Che domanda, a chi dovrei proporla agli animali? Mi piacerebbe verificare una cosa. Da ragazzi, quando si faceva il test dei valori per gioco, non trovavo mai chi li mettesse nell’ordine in cui li mettevo io. Vorrei vedere se con la maturità ci si allinea.” “Con l’età ci si pialla” puntualizzò amaramente lei. “Anzi Vale, dovresti farmi un piacere. Prova a recuperarmela.” “Ma cosa? Non so nemmeno di cosa si tratta “ rispose Valeria divertita. “La lista dei valori. Ce l’avrai pure tra tutti i tuoi libri, no.” Valeria, nel sentirlo tanto concentrato non si era trattenuta più ed era scoppiata a ridere: “Ma tu sei due volte matto. Ma dove vuoi che vada a prendere una lista dei valori.” “Dai smettila, tu riesci a trovare sempre tutto. E poi finiscila col prendermi in giro, non mi piace. Mi dai sui nervi.” “Meglio ridere che piangere” rispose, e giù a ridere ancora di più. Rideva perché era felice, perché in quel momento stava bene. Sentiva di amarlo e aveva voglia di ridere di niente. Quel po’di leggerezza che bastava a vederla volare. Ad un tratto, Fabio l’aveva guardata senza parlare più ed era arrivata Alessandra: 68 “Mamma finiscila. Ha ragione papà. Non è bello come lo prendi in giro. Non sei l’intelligente di questa famiglia e lui lo stupido”. Lui, difeso da Alessandra, si era sentito forte: “È un’ora che continua a prendermi in giro.” “Giuro che non stavo prendendoti in giro, Si stava scherzando insieme. Ma non ti stavo prendendo in giro, stavo scherzando. Giuro. Mi stavo divertendo.” “Solo tu, come sempre” concluse la figlia seccata. Valeria ne uscì mortificata, incompresa, facendosi anche un esame di coscienza non trovava alcuna pecca nel suo comportamento, nessuna cattiveria. Fu costretta a rientrare di corsa nella sua struttura quotidiana, quella di una donna che cercava di rassegnarsi a vivere in pace. Ecco un’altra delle loro separazioni, scherzavano in modo diverso, si offendevano per cose diverse, lei non aveva riso di lui, non l’aveva mai fatto e mai si sarebbe permessa, rideva con lui. O almeno così aveva creduto. Si fece seria e cercò di dare una spiegazione, sforzandosi di tenere la coda tra le gambe, dominandosi: “Scusami Fabio, dai, ti ascolto. È che non sono più abituata alle tue confessioni e poi sono così rari i momenti in cui mi scoppia la gioia, che quando arrivano vorrei goderne a fondo ed esagero.” “Esattamente, esageri. Esageri sempre!” gridò Alessandra da camera sua. Avrebbe voluto andare da lei per darle della cretina e dirle che non aveva capito niente di sua madre nemmeno questa volta. 69 Preferì continuare, buttando nel cesto immaginario di vimini, che sempre portava con sé, quel momento, quell’umore. Non aveva voglia di arrabbiarsi. Gli anni passavano e lei sentiva di non voler sprecare tempo, ciononostante la mortificazione c’era. Stava solo ridendo felice. “Tutto questo mi è piaciuto, credi, mi è piaciuto molto. Mi sono divertita, credevo che ti stesse facendo piacere vedermi felice, una volta tanto. Sono spesso lagnosa e vedermi ridere con le lacrime agli occhi dovrebbe farti felice. Forse non ho calcolato che tu non sei autoironico quanto me, scusa.” Si alzò e gli andò vicino, gli passò la mano sulla schiena, in segno di rassicurazione. E ancora sorrise, ripensando, immaginando, ma senza lacrime, un sorrisino, giusto per non darla vinta al malumore. “Fabio, vuoi che cerchiamo ora quella lista dei valori che dicevi?” “No, lascia stare non m’interessa più.” Forse era solo un’impressione sua sentire marito e figlia dall’altra parte della barricata, contro. “Fanculo”, pensò tra i denti, come faceva suo figlio Riccardo, i loro “fanculo” tra i denti erano famosissimi per chiunque li conoscesse. Pensò triste che sarebbe passata anche quella mortificazione, qualche ora o anche meno e tutto si sarebbe ricomposto nella normalità della sua famiglia. Andò in bagno e tornò poco dopo pettinata: “Vado a trovare il nonno.” “Aspetta mamma, vengo con te” disse Alessandra. 70 Avrebbe preferito andarci sola, questa volta, avrebbe preferito piangere. Si erano sposati per allegria e ora si chiedevano senza dirselo, dove fosse mai finita. Si tarpavano a vicenda, quasi fosse diventata la loro compulsione. Gli impegni di lavoro erano certamente stati una concausa di questo allontanamento. Non era esattamente un allontanamento, ma un andare a stuzzicarsi, cercare la reazione dell’altro quale modo sopravissuto per continuare a relazionarsi, per non lasciare che la loro lunga storia morisse. Già, il boccheggiare di un amore che non voleva morire e allora eccolo aprire e chiudere la bocca, respirando affannosamente. Su una cosa i trovavano ancora d’accordo: erano veramente pochi i matrimoni finiti per delle ragioni accettabili. Fabio era spesso fuori casa e Valeria sempre più frequentemente si sentiva stanca e avvilita, ma lui non riusciva a prenderla seriamente e tantomeno a capirla, erano una gran bella famiglia, cosa poteva mancarle. Lui in sala a vedere lo sport e lei a letto a guardare un film. Ormai erano abituati così. Però non si tradivano. Valeria andava a dormire all’ora delle galline. Era rimasta alla nanna dopo Carosello. Poi i bambini erano cresciuti e lei si era sentita sola. Pensava troppo, e la storia si concludeva così, male che fosse andata c’erano sempre Prozac e psicologi. 71 Quante le volte che lui la invitava a riprendere quel farmaco miracoloso. Dieci giorni e la pillola della felicità faceva effetto. Non si era mai, ma proprio mai, messo in discussione. Al limite, quando la depressione bussava alla porta le stava più vicino. Allora le cose andavano meglio. A detta di tutti era un santo, solo la sorella di Fabio non lo vedeva come il santo della situazione, lo conosceva molto bene: era sotto certi aspetti una persona meravigliosa, ma il suo maggior difetto andava a rovinare tutto quello che lo circondava, Valeria compresa. Fabio viveva con troppa leggerezza situazioni che potevano portare a grandi disastri. Era nato per fare il gran signore su una spiaggia di Bahia. Quando nel matrimonio non ci si riconosce più, spaventa trovarsi davanti all’altro, domandarsi se chi hai di fronte è cambiato negli anni o se è sempre stato così e non lo sapevi. Mettere in dubbio la sincerità, sentirsi ingannati. Il problema è definire dove cominci tu e dove l’altro. La linea di confine, illusoria o tangibile. Il sé, come qualcosa che non è mai esistito. Una piccola scintilla nell’universo, che si sente l’universo intero e vorrebbe che tutto le girasse intorno, a suo piacimento. Tunström. La poesia era il suo lavoro, ed era inevitabile che le condizionasse la vita. 72 Il tuo amore e il mio non sembrano simili Da direzioni diverse, alla stessa spiaggia, giungiamo a nuoto. A volte ciò che tu vedi non è ciò che io vedo e ciò che prendo non è ciò che tu dai quando sali a riva Ma succede. A volte il tuo amore e il mio possono incontrarsi, come adesso. Io so da dove vieni e so che sei qui. Sappiamo che questo funziona.. Ecco quale poteva essere il segreto, rispettarsi nelle diversità, nelle differenti attese e visioni della vita, che non sarebbe stato un sopportarsi oltre il limite, ma accettarsi, senza cercare nell’altro il proprio specchio per poterlo amare e amare se stessi tramite lui. La purezza dell’amore. Valeria non si sentiva più tanto forte e pura, la vita era riuscita con i suoi continui attacchi a inquinarla. Il matrimonio, un viaggio insieme, con tutte le difficoltà e le gioie che poteva portare con sé. Era stupido ed edonistico aspettarsi da Fabio quello che Fabio mai avrebbe potuto dare. L’importante era non fare calare la stima, via quella, niente sarebbe più valso la pena. In realtà tra loro c’era un amore profondo, la miscela ben dosata d’amicizia, rispetto e passione. 73 In verità passione non molta, in genere è il primo pilastro a formarsi e il primo a traballare, resta la mutualità del bisogno. Negli ultimi tempi, non c’era più nemmeno quella. La mutualità. Le lenzuola bianche di bucato, conservavano il loro profumo per più tempo. Non andava più bene niente. “Tutto a schifio” avrebbe detto il loro fruttivendolo. “Quando i frutti e le verdure diventano da buttare… hai voglia fare minestroni e macedonie… togli di qui, metti di là…” e avrebbe colorato il parlare con i suoi gesti caratteristici e l’espressione semplice che riusciva a catturare e divertire. Che l’amore avesse la faccia del loro fruttivendolo? Forse sì. Valeria rise, immaginando quanto gli uomini si fossero potuti sbagliare nel dare un volto all’amore. Bello, erotico, passionale. I greci per primi, e invece l’amore aveva la faccia del loro fruttivendolo. A proposito, la frutta era finita. Infilò le scarpe da ginnastica per scendere a comprarla. Intravide il fruttivendolo da lontano che sistemava la frutta sul banco, le venne da ridere. E se lui era Amore o Cupido, che si volesse dire, chi era dunque Psiche? La salumiera, bella grassotta e con le guance sempre colorite. Ah, giusto, avrebbe comprato anche del prosciutto cotto. Entrò prima in salumeria, il profumo di prosciutto la inebriò. Aveva fame. 74 Poche cose avevano un profumo invitante come il prosciutto cotto. L’infanzia di Fabio era stata serena, tre fratelli, lui coccolato da una madre straordinaria; sono le donne a formare gli uomini, li educano in modo che poi mirino ad avere il sopravvento sulle donne stesse. Certamente, queste madri lo fanno in modo del tutto inconsapevole, meccanico, istintivo, frutto di secoli e secoli di cultura, non conoscono altri sistemi. Ma lo fanno. Fabio era senza dubbio uno degli uomini migliori che Valeria avesse incontrato, ciononostante era pur sempre un uomo e per giunta latino. Non era un pensiero dettato da un momento di rabbia, nemmeno ironico o sarcastico, ma lucido e con cognizione di causa. Quando si trattava della propria famiglia, Fabio era sempre stato molto tollerante, ma negli ultimi anni era cambiato. I quattro ragazzi avevano l’equilibrio del padre ma la bella sregolatezza istrionica della mamma, senza però arrivare agli eccessi di Valeria. Quando Fabio era in casa vigevano delle regole, non sopportava le cene da vagabondi, la maleducazione alimentare, la mancanza di rispetto, le parolacce e non per ultimo la carenza nei doveri coniugali. Ebbe due amori prima di Valeria, uno che gli scivolò addosso, l’altro con una compagna d’università di cui si era innamorato con molta passione, ma che lasciò a causa di un tradimento con un comune amico, un tale che ci provò anche con Valeria, ma che cascò male. Valeria era diventata, fin da bam- 75 bina, molto competente nel capire le intenzione del genere umano. Quella volta non ebbe nessun dubbio sul come comportarsi. Quando annusava nell’aria attacchi a suo marito, diventava glaciale, tanto da congelare un orso polare o un pinguino. Le foche erano esenti da ogni congelamento, già soffrivano di loro con i massacri ai loro piccoli. Fabio era prodigo, usava il denaro con molta leggerezza, tanto ne guadagnava e tanto ne spendeva, lo elargiva con gran facilità anche ai figli e questo lato del suo carattere andava spesso a scontrarsi con Valeria, che infine, per non litigare stava zitta. Aveva grandi passioni, il golf, Lincoln e la musica classica. “Abramo Lincoln, che uomo! Con il proclama dell’ottocentosessantatre abolì la schiavitù.” Da buon padre amava ricordare i punti salienti della vita di un uomo che non si era arreso mai definitivamente: “Prendete esempio, pensate che a trentun anni fallì nel mondo degli affari, per due volte perse le elezioni, gli morì la donna che amava e a trentasei ebbe il famoso crollo psicologico, ma poi a cinquantuno divenne presidente degli States. Presidente capite? E scusate se è poco” e ogni volta, con il tono di chi lo pensa per la prima volta, proponeva di appendere in casa un’immagine ma tutti fingevano di non sentire. “Che palle… comincia.” dicevano a bassa voce a turno i figli, cercando di fuggire pian pianino, perché quando papà cominciava, era capace di non 76 smettere più e diceva sempre le stesse identiche cose. “Aspettate, deve ancora finire.” “Grazie Alessandra” e riprendeva fiero e con tono solenne da storico: “Edison. Che uomo anche lui. Che grande insegnamento di vita ci ha lasciato. Edison, pensate a Edison… durante l’invenzione della lampadina, sapete cosa diceva?” “Ecco un altro modo in cui non si fa” toccava a Francesco questa battuta. “Bravo, vedo che quando parlo mi ascolti. Mai sentirsi dei falliti.” Per poi non dire di quando si metteva in poltrona nel suo studio e sembrava il nonno: era dal padre di Valeria che aveva imparato ad amare la lirica, insieme avevano ascoltato le opere più belle. Così, la testa appoggiata all’alto schienale, in stato d’oblio, ad ascoltare i Notturni di Chopin, oppure le Quattro stagioni del Prete Rosso, come amava chiamare confidenzialmente Vivaldi. Tutti dovevano stare in silenzio, possibilmente anche fermi e se passavano dalla porta dello studio il passo doveva essere felpato. “Ma secondo te il papà si fa le canne?” si domandavano i due ragazzi più grandi ridendo. La casa si animava, improvvisamente, di pantere rosa che parlavano bisbigliando, fino a quando non potendone più iniziavano: “Mamma hai visto le mie scarpe?” “Sono nella scarpiera.” “Mamma hai comprato lo yogurt?” “Certo.” “Dove lo trovo?” “In frigorifero.” 77 Allora Fabio si alzava, a volte sorridendo e altre seccato, sostituiva il suo cd con uno di Sting e tutto rientrava nella normalità di casa Alessi. A modo suo, Fabio sapeva essere simpatico. Aveva gli occhi vivaci, nerissimi e luminosi, sembravano presi in prestito da un ismaelita. Probabilmente, la sua leggerezza nell’affrontare alcuni lati della vita, era dovuta al credersi infallibile, a volte lo era veramente, riusciva nelle missioni impossibili. Da bambino, un giorno, raccolse un passero caduto dal nido, le previsioni degli adulti sulle sorti del volatile erano funeste. Dopo qualche giorno il passerotto riuscì a volare via dal palmo della sua mano e lui sembrò a tutti i presenti Gesù quando soffiò sull’uccellino d’argilla, nonostante il sabato ebraico. “Gesù era un ribelle meraviglioso” gli disse un giorno sua figlia. “E anche tu papà.” Valeria, che era presente, pensò tra sé che aveva dato modo alla sua Alessandra di idealizzare troppo il padre. Fabio aveva delle gravi lacune nel progettare la vita, mancava totalmente di previdenza, tutti in famiglia erano un po’ troppo fatalisti, Valeria se ne rendeva conto e si sforzava di non sottomettersi al corso degli eventi senza cercare di modificarli; era certamente vero che la vita fosse Entità Intelligente ma, aiutati che Dio ti aiuta: e Valeria aveva la necessità di tenere tutto sotto controllo, forse per togliere fatica a Dio. 78 Comunque, questo papà per Alessandra, era la persona più meritevole della terra, l’unica che poteva avere la sua completa stima e fiducia, l’aveva scritto nei suoi temi, ogni volta che si era presentata l’occasione, fin da bambina. E pensare che Fabio, a differenza di Valeria, su certe cose era molto intransigente, aveva dato l’assoluto divieto per piercing e tatuaggi, per esempio. Una volta Alessandra arrivò a casa con un tatuaggio e un’altra con il piercing, la mamma diventava importante solo in quei momenti, almeno così dava l’impressione che fosse. Il papà faceva scenate e musi lunghi e Valeria in disparte lo minacciava, con il suo modo di dare contro, poche parole che andavano a segno, senza diritto di replica. Era sempre stata dalla parte dei ragazzi, li sosteneva, si fidava di loro, anche dei loro errori, certamente esagerando, senza però perderli mai di vista. Era una madre vigile, presente, spesso invadente senza accorgersene e solo per vederli felici e partecipare al massimo alle loro vite. Alessandra era una figlia di cui andare orgogliosa, ma sapeva diventare acida e sgradevole anche alla persona che l’amava di più al mondo, Valeria. “Mamma, taci, perché come parli mi dai sui nervi. È più forte di me. Qualunque cosa tu dica, già mi fai incazzare. E quel che è peggio è che riesci ad innervosirmi persino tacendo…” Mah. Grazie al cielo, anche Fabio aveva qualche contrasto da genitore, ma solo con Riccardo, che amava 79 la madre in modo totale e in modo totale la capiva e sosteneva. Quando il figlio manifestò apertamente che il gioco del golf l’aveva stancato e che non sarebbe più andato al club, apriti cielo, quella sera solo i gemelli finirono di cenare. Con gli altri due figli, Giovanni e Francesco, forse perché ancora erano piccoli, andavano tutti abbastanza d'accordo, a parte le lagne di Giovanni eternamente insoddisfatto e il carattere capriccioso e volubile di Francesco che quando s’impuntava su qualche cosa, riusciva a tirare lisa l’intera famiglia, fino a quando la mamma, il papà o uno dei fratelli, a turno, pur di ripristinare la pace tra le mura, l’accontentava, per poi incolpare gli altri membri di viziarlo troppo. Ma ora anche i gemelli stavano crescendo e queste scenate erano sempre meno frequenti, due caratteri completamente diversi, Giovanni riservato e un po’ musone, Francesco chiacchierone fino allo sfinimento. “Sembrano ministro degli interni e quello degli esteri” amava scherzare Fabio. “Mi piacciono tanto così, sono bellissimi” diceva Valeria con un sorriso dolce di mamma. 80 Amico mio non temere: Non c’è trappola che valga per chi è munito d’ali. (Libro dei proverbi) Nel mese di marzo Fabio avrebbe voluto partecipare ad un congresso sulle patologie ostetriche, si teneva a Vienna. Pensò di proporre alla famiglia un breve soggiorno di due giorni nella città austriaca. Valeria era andata da ragazza con amici, ma ci sarebbe tornata volentieri. I ragazzi accettarono la proposta con entusiasmo. “Ok, allora si parte, ma vi avviso subito” disse Valeria: “io visiterò l’Osterreichishe Gallerie, voglio assolutamente vedermi i quadri di Klimt!” Arrivarono a Vienna nel primissimo pomeriggio, il tempo non prometteva granché, presero alloggio in albergo nel sobborgo di Brigittenan, lungo il Danubio. Dopo essersi rinfrescati e cambiati d’abito i ragazzi si diressero al Prater in taxi, Fabio andò a vedere dove si trovava la sede del convegno e Valeria, con tanto di manuale tra le mani, raggiunse la galleria dov’erano esposti i dipinti del suo pittore preferito, Gustav Klimt. Prima di entrare andò in una caffetteria a bere un the e a gustare una fetta di Sachertorte. Valeria amava fare le cose da sola. Guardò 81 l’orologio, era in orario tenendo fede alle indicazioni riportare sulle pagine della brochure. Vide, seduto al tavolino a fianco, un giovane confrontare l’ora con quella scritta sul catalogo, pensò che anch’egli dovesse essere diretto alla stessa sua meta. Uscirono dal locale quasi contemporaneamente e attraversarono la strada gomito a gomito, la circostanza imbarazzò un tantino Valeria, ma non si dette retta. Cose che capitano. Una volta alla biglietteria lei pagò il biglietto per prima e nel girarsi urtò involontariamente il giovane uomo incontrandone lo sguardo: “Scusi” dissero insieme e sorrisero dell’inconveniente e del fatto di essere entrambi italiani. Che caso. Valeria vide il sorriso più cordiale che le fosse mai capitato di incontrare in uno sconosciuto. “È sola!” disse l’uomo. “Sì, la compagnia mi toglie concentrazione” rispose pronta e pensò che fosse uno dei soliti bellocci della serie l’uomo che non deve chiedere mai. Iniziò il percorso consigliato. Davanti a lei gli schizzi, gli studi usciti dalle mani dell’artista, pittura e grafica, opere diverse l’una dall’altra che parevano bloccare l’attimo da consegnare ai posteri. Trasparivano gli insegnamenti di Makart. Proseguì felice. Non c’era più Valeria Luzzati ma una donna Klimt, la mente in estasi, volava sempre più in alto, si posava su un quadro e riprendeva il volo. 82 Il fiore all’occhiello degli austriaci, pietre miliari dell’arte della fine del secolo. Tutto questo era lì davvero, a pochi metri da lei, avrebbe potuto toccare ma ebbe un’idea meno pericolosa. S’assicurò che nessuno la vedesse e improvvisò dei passi di danza seguiti da due giravolte a braccia aperte. Era felice, stentava a crederci, davanti a lei Adele Bloch Bauer, il contrasto di colori caldi e freddi, il largo cappello nero. La bocca semiaperta e i folti sopraccigli e s’impegnò seriamente a rifarne l’espressione, il verso. I ritratti delle donne, la figura umana, l’uomo accogliente, i paesaggi, tutti soggetti usati da Klimt. Arrivò l’inquietante Judith, vista dal vero sembrava quasi un fotomontaggio, l’oblio scelto, voluto per sedurre, il viso accuratamente troppo squadrato, l’oro sullo sfondo e sul collo ricordavano le origini dell’artista, famiglia d’artisti orafi. Judith, la bellissima e pia vedova ebraica, che per salvare il suo popolo ammaliò Oloferne per poi decapitarlo. Per Valeria era come bere dopo tanta arsura, pensò di fare un altro volteggio, ma questa volta si trattenne per dignità. Il bacio, il quadro più famoso, quanta delicatezza nelle mani dell’uomo che tengono il viso abbandonato di lei; stava per dire a voce alta una cosa, ma sentì le sue parole uscire da un’altra bocca: “Dal vivo è tutt’altra cosa!”. Sentì una mano sulla spalla, subito si irrigidì, era l’uomo della caffetteria. Era arrivato a rovinarle tutto. 83 “Mi perdoni signora, ma se lei ha bisogno di contemplare in solitudine, io l’ho di condividere quello che vedo. Quindi come vede, a Dio piacendo, siamo pari.” Valeria era pronta a farsi pirata, bandana alla Jack Sparrow e pugnale tra i denti, ma la sensazione non era di trovarsi davanti a un cretino. Continuarono insieme, il particolare che sfuggiva a uno veniva ripreso dall’altro. Il giovane era alle spalle di Valeria, stavano guardando il ritratto di Fritza, quando lui le strinse il braccio: “Bellissima!”. Valeria levò il braccio di scatto, pronta questa volta ad avere una reazione legittima: ma come si permetteva, ma per chi l’aveva presa? Si girò verso il tipo: “Il solito uomo” disse seccata. Il giovane, senza distogliere neppure per un attimo lo sguardo dal quadro, commentò l’uscita fuori luogo di Valeria: “Mi meraviglio di lei. È vero che ha tratti maschili, ma è il ritratto di Fritza Riedler. Come può non conoscerla? Guardi, guardi quanta femminilità nell’abito, nelle braccia, e che magnifiche mani ha.” Valeria si sentì sciocca ma di più si sentì offesa per non essere stata lei la destinataria del complimento. L’Osterreichshe Gallerie annunciò la chiusura. Appena fuori dal museo: “Ha mai visto la Salomè?” chiese l’uomo. “No” rispose lei. 84 “Allora andiamo a vederla insieme al Museo d’Arte moderna di Venezia”. Valeria era costernata dai modi così diretti di questa persona, non sapeva quale atteggiamento tenere, come comportarsi. Quest’uomo, di cui non conosceva altro che l’aspetto e l’amore per l’arte, dava tutto per scontato, si sentì indignata. “Questa settimana non ho tempo, ma la prossima, quando rientro a Milano faremo in modo di andare. Allora per venerdì prossimo non prenda impegni che andiamo a Venezia.” Valeria non aveva parole, si sentiva una delle donne immortalate in quei dipinti. Ma questo come faceva ad essere così. Non si domandava nemmeno per un attimo se lei fosse una madre di famiglia? O dava per scontato che fosse una single. “Allora. Cosa c’è che non va” la riprese come per svegliarla un po’ fuori. “Ah, no mi scusi. Sì. Va bene!” rispose, incredula nell’ascoltarsi. “Bene, allora alle sette di venerdì prossimo alla rotonda della Besana”, salutò con un gesto della mano e andò via. Rientrò per prima in albergo, si guardò allo specchio, fece qualche smorfia, cercò un soliloquio ma non riuscì neppure a pensare. Il giorno dopo andò con i ragazzi a fare il giro turistico della città, un tour organizzato in pullman, la cattedrale di Santo Stefano, il parco del Prater, il Danubio, il porto fluviale, San Michele, la scuola di equitazione spagnola e il teatro dell’Opera. 85 La sera Fabio li raggiunse in una vecchia osteria del popoloso sobborgo Leopoldstadt. “Papà, restiamo ancora qualche giorno?” chiese Giovanni. “No tesoro mio, ho un cesareo programmato.”. “Siamo stati bene, è stato bello, accontentiamoci” disse la mamma. “Chi s’accontenta gode così così!” canticchiò Riccardo sulle note di Ligabue. Era un bellissimo ragazzo, lo chiamavano il Nazareno, per la forte somiglianza col Cristo, amava il reggae, Bob Marley e la musica nera. Valeria cercava di fare chiarezza dentro di sé, ripensava a quell’incontro, non riusciva a credere che non fosse frutto della sua fervente immaginazione. E ancor meno poteva credere che l’avrebbe rivisto a Milano. Roba da pazzi. Roba da pazza. 86 Perché piangono e perché gridano di gioia? Essi credono di essere e non sono. Perché non posso affezionarmi a quello che nasce e a quello che muore? Perché non posso amare altro che l’invisibile, che nasce e non muore mai, ma che è sempre? (Platone) Il giovedì sera la famiglia era riunita per la cena. “Domani vado a Venezia a vedere la Salomè di Klimt. Vado sola” disse senza levare gli occhi dal pane che stava tagliando. “ Il treno è alle sei”. Valeria non sapeva mentire, non l’aveva mai fatto e non trovava il motivo per cui ora lo stesse facendo; sperò che i gesti non la tradissero, in fondo nessuno avrebbe mosso obiezione anche se avesse detto la verità. “Come mai?” chiese Alessandra mentre imburrava una fetta di pane. “Perché ho voglia di vedere un po’ di quadri belli ed è una vita che mi preme vedere la Salomè.” Alessandra la guardò stranita: “Non lo sapevo.” “Cosa non sapevi?” “Che ti premesse vedere la Salomè.” 87 Subito Valeria ebbe paura di scomporsi, effettivamente non aveva mai pensato di andare a vederla, e temette di venire scoperta. Cercò faticosamente di cambiare argomento, senza riuscire perché i figli ritornavano su questa novità della mamma indipendente, mostrando con mimica esagerata degli occhi non poca perplessità. “Mamma, ma perché ci vai sola?” chiese Francesco. “Se vuoi veniamo con te” aggiunse Riccardo. “Bambini, caspita, siete grandi, se il Signore avesse voluto che non ci lasciassimo mai, ci avrebbe fatto attaccati.” I gemelli proseguirono a fare colazione silenziosi, facendo bocche e smorfie di stupore. La mamma andava sola a Venezia. Boh. “Mamma vuoi che venga io?” chiese Alessandra. “Beh ma ragazzi, non è che sono un’invalida bisognosa di assistenza.” “Lo sappiamo, ma hai sempre portato almeno uno di noi con te, persino quando ti muovevi per lavoro e giravi editori per contratti. Persino con passeggini e carrozzina, permetterai che questo cambiamento imponga una pur minima reazione da parte nostra.”. Caspita e adesso? Come avrebbe fatto ad avvisare quello là, dirgli che la famiglia non voleva che andasse e che lei non intendeva litigare per questa cosa? Ma, quando stava perdendo le speranze e stava dicendosi che il tipo avrebbe aspettato invano, che magari nemmeno avrebbe presenziato 88 all’appuntamento, che nemmeno sapeva chi fosse, insomma, proprio mentre era decisa a rinunciare con un bel: “Chi se ne frega e un non importa”, Fabio s’offrì dapprima di accompagnarla, poi disse di andare tranquilla che ai ragazzi ci avrebbe pensato lui. Riccardo tenne il viso abbassato sul tavolo ma guardò la mamma tra le sopracciglia, come per scrutarla e Valeria ebbe timore che quel suo figlio capisse. Ma cosa c’era da capire? Niente. Anzi ora avrebbe detto la verità e basta, che non sarebbe andata sola ma con una persona che aveva conosciuto a Vienna e che amava Klimt come lei. E se poi avessero chiesto chi fosse? Come avrebbe fatto a dire “un uomo”. Meglio stare zitta e far finta di niente. La notte non riuscì a chiudere occhio e appena vide dallo spiraglio della persiana che stava facendo giorno si alzò, non voleva che la vedessero, si sentiva una ladra, ma di che cosa poi? Alle sei era già sull’auto diretta al luogo dell’appuntamento, si guardò nello specchietto per darsi gli ultimi ritocchi ai capelli, arrivò con molto anticipo e allora tirò fuori il rossetto e se lo rimise. Parcheggiò e sentì un clacson suonare, il suo amico era già lì ad aspettarla. O Maria! Mise il mazzo di chiavi nella taschina interna della borsetta, chiuse la cerniera per non perderlo e cercando di mantenere la calma andò verso l’auto grigia. Salì a bordo, si sedette sul sedile anteriore a 89 fianco del guidatore, non fece in tempo a salutare né ad essere salutata. L’auto partì. Imboccarono la tangenziale per Venezia, nessuno rompeva il silenzio, non ce n’era bisogno. Valeria si chiedeva nel contempo, se fosse diventata matta di suo o se qualcuno l’avesse inserita nell’esperimento di qualche scienziato pazzo che l’avesse trasportata a sua insaputa nell’irrealtà. The Truman show. Si convinse che era lì, che era lei e che aveva scelto di fare una gita con una persona gradevole che condivideva con lei la passione per un artista, punto e basta. Si toccò giocherellando gli orecchini di perla che aveva indosso, i più belli e preziosi che avesse. Ma cosa andava cercando? Se era tutto così normale, perché era arrivata a mentire alla sua famiglia? “Beh, solo in parte!”pensava giustificandosi. Ora, nel silenzio, la mente dirottava su un unico pensiero: e se fossero stati coinvolti in un brutto incidente? Non era pentita di trovarsi lì, forse, solo, non sapeva sentirsi felice. Non riusciva ad entrare appieno nel benessere, andava sempre ad attingere a quella tazza d’acqua stantia, acqua vecchia e ormai sporca, anziché gustare l’altra pulita e profumata d’aromi. Eppure le aveva entrambe dentro di sé. Salomè, in tutta la sua bellezza, sembrava stesse aspettando loro per consegnare finalmente la testa del Battista dopo tanti anni ai depositari della nuova epoca. 90 Quella testa che sembrava scivolare, veniva ripresa dall’avida mano per i capelli. Quando uscirono dal museo la giornata si era fatta uggiosa, sembrava minacciare il temporale. “Cosa facciamo?” disse lui. “Andiamo a mangiare “ si rispose. Avevano veramente poco da dirsi, eppure Valeria mai in vita sua era stata a corto di argomenti; il viaggio da Milano a Venezia non era stato interrotto nemmeno dal suono dell’autoradio. All’interno del museo discussero l’opera e una volta fuori, la decisione di cercare un ristorante col tacito consenso di Valeria, che davanti a quell’uomo stentava a riconoscersi. Nessuno dei due sembrava dispiacersi delle non parole, stava tutto al suo posto, così. Cominciò a piovere, lui si coprì la testa con la giacca e cercò di avvolgere Valeria affinché non si bagnasse. Si fermò davanti a un ristorante, non gli piaceva, proseguì nella ricerca, con lei sempre sotto la giacca. La pioggia scendeva leggera, rumoreggiando ritmicamente sull’asfalto, come in una danza in punta di piedi delle spinacine della Scala. Arrivarono in Riva degli Schiavoni, passarono davanti al mitico Hotel Danieli e, per un attimo, Valeria sperò che la invitasse ad entrare. Imboccarono una laterale del Ponte della Pietà ed entrarono al Covo. Chiese un tavolo per due. Valeria ordinò castraure di Sant’Erasmo in tecia, assicurandosi che fossero gli apicali della pianta e non carciofini di piccole dimensioni. Lui ne rimase colpito. 91 Arrivò il cameriere con il Verdicchio, l’acqua naturale e subito dopo la portata per Valeria e il risotto di secoe dei gondolieri, per lui, quel piatto in cui i pezzetti di carne restano attaccati alle ossa. “Signora” disse “io mi chiamo Roberto.” “Valeria Luzzati, piacere.” “La scrittrice?” “Ex. E tu che fai nella vita?” “Dipingo.” “Sei un pittore. Che bello.” Il locale era piccolo, raccolto, ben curato, opere originali di Boetti, Schifano e Ceccobelli appese alle pareti. Solo di tanto in tanto, Valeria, durante quel pranzo, dovette appoggiare i piedi per terra per non lasciarsi travolgere dai sogni. Seguì il silenzio, ancora quel silenzio voluto che nulla cela se non benessere e pace, come se ogni parola diventasse troppo. “Che ora abbiamo fatto?” si chiese il giovane guardando l’orologio. “Le tre “ si rispose. Bevvero il caffè, pagarono, su richiesta di Valeria ognuno la sua parte e uscirono. Il cassiere consegnò in mano a Roberto un biglietto da visita: il ristorante disponeva nelle immediate vicinanze di un piccolo appartamento uso foresteria, arredato con mobili d’epoca. Lo infilò nella tasca della giacca. Avrebbe potuto tornargli utile. Aveva smesso di piovere. Si avviarono al vaporetto per raggiungere il parcheggio. 92 Era già buio quando Valeria rientrò a casa. La famiglia aveva cenato e lo capì dalla tavola apparecchiata di piatti sporchi. Andò in sala, i ragazzi erano intenti a guardare per l’ennesima volta Matrix, il marito stava guardando una partita nell’altra sala o più probabilmente dormiva. Prima ancora che potesse salutare, Alessandra l’azzittì prima con un cenno della mano come per levare una mosca di torno e poi: “Mamma, silenzio… è la parte più bella, Morfeus sta perdendo identità.” Riccardo guardò veloce se la mamma se ne fosse risentita, ma di più se non avesse l’espressione di chi torna da un’avventura amorosa. La trovò bella e pulita come sempre. Sua madre non era tipo da fare queste cose. “Ciao mamma” le disse. “Ciao Riccardo.” Certo che ci era rimasta male per il comportamento di Alessandra, non riusciva ad abituarsi ad essere trattata in quel modo. Ma taceva per non dover discutere ogni volta. Avrebbe potuto mettere in pausa il videoregistratore e chiederle come fosse andata la gita, se la Salomè era valsa la pena, come si fosse trovata da sola, dove avesse pranzato, cosa avesse fatto, detto, pensato, interessarsi a lei, ma niente di niente. A loro se lei si fosse divertita o meno non importava, a loro importava solo quello che poteva dare. “Ti sei divertita mamma?” si sentì chiedere in quel momento dalla ragazza. “Sì” rispose, ma preferì chiudere veloce perché si sentiva la coscienza sporca: “va bene tesori belli, 93 allora vado a letto. Buona notte, ma non fate tardi che domani mattina si va a scuola.” Avrebbe voluto chiedere come era andata la giornata, ma fa niente. Andò in bagno dopo avere controllato che suo marito dormisse, aprì il rubinetto della vasca, la riempì di acqua e sciolse dentro essenze di pino e di agrumi. Un bel bagno rilassante era quello che ci voleva, la ciliegina sulla torta di una giornata fantastica. Andò a letto, abbracciò la schiena del marito e si addormentò contenta. Non le mancava proprio niente. 94 Voi siete gli archi da cui i figli, le vostre frecce vive, sono scoccati lontano. L’arciere vede il bersaglio sul sentiero infinito, e con la forza vi tende, affinché le sue frecce vadano rapide e lontane. In gioia siate tesi nelle mani dell’Arciere, poiché come ama il volo della freccia, così l’immobilità dell’arco. (Khalil Gibran) La mattina seguente la sveglia suonò alle sette, Fabio si alzò per primo, si preparò per uscire e accese la macchina del caffè. Valeria, intanto, rigirandosi nel letto pensava. Fabio era una brava persona, a volte non lo sopportava, ma è normale tra coniugi, o più esattamente è normale in una famiglia. Una famiglia senza conflitti non è una vera famiglia. Qualcosa tra loro però era assente e non sapeva a chi dare la colpa di questo, a nessuno, semplicemente quel qualcosa non c’era e mai ci sarebbe stato, lo aveva saputo da sempre. Non ci si può dare la passione. Non avevano le stesse passioni, tutto qui. E ciò arrivava a far nette divisioni di pensiero, nette separazioni nei loro momenti comuni. 95 A lei non interessava niente dei suoi interventi e delle pazienti e a lui meno che nulla dei suoi libri, del suo amore per l’arte. Fabio, nei musei si rompeva le scatole almeno quanto lei davanti a una partita di pallone, per non parlare di quando raccontava delle gravide e dei cesarei. Avevano però molte cose in comune ugualmente: amavano la natura, la casa, la buona cucina, le buone letture, i bei film e i figli. Si tolse le coperte di dosso, accarezzò il cane, che felice di sentirla alzare le corse incontro scodinzolando. Povero cane, l’avevano tanto voluto e avevano tutti tanto insistito e adesso nessuno lo guardava più, se non lei. Pensò che avrebbe dovuto anche passare a trovare suo padre. Raggiunse suo marito in cucina, la giornata cominciava. “Uella, ciao bella, hai dormito bene? Com’è andata ieri la gita? Noi tutto bene.” Un altro che non le dava nemmeno il tempo di rispondere. Ma tanto, era lì solo il corpo, mente e anima erano ancora tra le lenzuola. Apparecchiò la tavola per la colazione, si sedette, il marito versò il caffè. In verità l’anima di Valeria era da quel giovane, era nel quadro di Klimt, in quel bel ristorante e a Venezia. “È stato tutto molto bello” rispose sognante. 96 Col tempo le cose erano cambiate, non era riuscito a fare di Valeria esattamente la moglie che aveva in mente, in parte si era rassegnato, solo che a volte si faceva scappare parole che lasciavano trasparire la verità. “Bene, Vale. È stato tutto bello anche senza di noi o perché noi non c’eravamo?” “Non lo so. È stato tutto molto bello” rispose lei con tono inattaccabile. Bevvero il caffè e chiamarono i ragazzi per la colazione. Un altro giorno stava per incominciare. “Riccardo, ho visto che hai segnato sul calendario l’interrogazione di diritto, hai studiato?” chiese Alessandra al fratello. “È difficile, non riesco e l’insegnante non fa niente per invogliarmi. Ale, è difficile diritto, veramente.” Il padre li interruppe: “Difficile è solo quello che non si studia. Cosa dovrebbe fare secondo te la tua insegnante? Avanti dillo visto che tu hai la soluzione per tutto.” “Ma papà!” lo rimproverò Alessandra. Valeria alzò gli occhi al cielo, incominciava bene la giornata. Riccardo lasciò la colazione a metà e Alessandra si alzò coi modi di chi vuole comunicare alle persone presenti che ne ha piene le palle di quella famiglia. Fabio picchiò la sedia sul pavimento accusando Riccardo di essere un lazzarone e Alessandra una maleducata. Valeria, silenziosa e tacendo proseguiva con la colazione. 97 Arrivarono i gemelli stropicciandosi gli occhi con le mani a pugno: “Cosa sta succedendo?” chiese Giovanni, mentre Francesco cercava di aprire gli occhi con fatica per la luce improvvisa che aveva trovato in cucina, uscendo dal buio della cameretta. “Niente” disse Valeria “tornate a letto, potete dormire ancora venti minuti.” Quando in cucina rimasero soli, Valeria si alzò a preparare la colazione per i gemelli, prese il pancarré dal mobile, lo mise sul tostapane, preparò la marmellata, il burro e mise a scaldare il latte. Prese una fetta di pancarré ancora e la diede al cane. “È inutile che stai zitta. Dovresti essere più severa con loro.” Ma Valeria non dava alcuna soddisfazione e fu allora che prendendo la sua roba Fabio se ne uscì di casa, ma prima di sentire il pesante botto della porta blindata sbattere, tutti lo sentirono gridare, certamente anche i vicini: “Niente. Mi chiedo cosa conto in questa casa. Tolgo il disturbo. Buona giornata a tutti!” e Fabio uscì. Ma vaffanculo, pensò Valeria tra i denti: “ Francesco! Giovanni! Venite che è pronta la colazione.” I due bambini arrivarono: “Mamma ma si può sapere cosa è successo?” “Ma niente, una famiglia, non è una democrazia. Tutto qui.” I due bambini si accontentarono di avere avuto una risposta, anche se non avevano capito. 98 Poi, Valeria andò in camera da Riccardo, si sedette sul letto: “Riccardo ascoltami, tu resta tranquillo, come va, va. E che sarà un quattro in più… tu fai del tuo meglio e poi vedremo.” Riccardo non alzò neppure lo sguardo, continuando a preparare lo zaino, il volto accigliato, quell’espressione che lo rendeva ancor più bello già da bambino, quando si arrabbiava e incrociava le braccia forte, come se fossero le barre di un passaggio a livello chiuso. Quando tutti furono pronti scesero nel cortile, Valeria li accompagnò con l’auto a scuola. Lasciati zaini e ragazzi, stava per fare manovra per riprendere la via di casa, quando si sentì chiamare, era Riccardo che correva verso la macchina; Valeria guardò sui sedili posteriori, cosa aveva dimenticato o perso questa volta? Invece lui aprì la portiera e avvicinò il viso a quello della mamma: “Mamma, tu hai la virtù di essere più intelligente di quanto sembri. Ti voglio bene!” le sferrò un bacio superveloce sulla guancia e corse via, voltandosi a salutarla con la mano e un sorriso. Lo guardò salire le scale dell’edificio, anche da dietro era bello come il sole. Era vero, lo sapeva, i suoi figli l’amavano da morire, perché era certa di una cosa inconfutabile: era stata il loro primo amore. Era doloroso pensare che un giorno, nemmeno tanto lontano, avrebbero cominciato ad accusarla, a trattarla male, a crederla la nemica numero uno da annientare, ma sapeva che sarebbe stato così. La 99 dura legge del doversi separare da chi ti ha dato la vita. Riccardo non era una persona che manifestava pensieri ed emozioni, fu felice della sua ritrovata serenità. Riusciva a capire anche Fabio che, nonostante la sua preparazione, riusciva a comportarsi da perfetto imbecille e sempre nelle circostanze nelle quali era meno richiesto che lo facesse. Con quella sua uscita non avrebbe risolto, di certo, la preparazione di Riccardo per quell’interrogazione, non quella mattina. Però aveva ragione ad accusarla di essere una madre troppo permissiva. Ma cosa doveva fare, era la sua natura essere permissiva, non solo con i suoi figli, ma con tutto il mondo, sperava sempre nella coscienza di ognuno, nell’intelligenza e nel buonsenso altrui. Detto questo, Fabio quella mattina era stato indubbiamente cretino. Accese la radio. In fondo capita a tutti di essere imbecilli, le donne invecchiano, gli uomini rimbambiscono e lei e Fabio non facevano eccezione. Pensò di essere una donna felice, una regina, pensò ai suoi figli, alla gioia di vederli crescere, cambiare ogni giorno, pensò a quando la chiamavano e non con il suo nome ma con la parola più dolce del mondo; a quando, come aquiloni grondanti di pioggia arrivavano ad asciugarsi da lei; ai loro no; all’amore che sarebbe continuato in loro anche dopo, quando li avrebbe dovuti lasciare alla vita, al senso di solitudine che avrebbero provato quando sarebbe morta, senza poter più intervenire a conso- 100 larli, a cercare di non farli soffrire troppo per un amico che li aveva traditi, per un brutto risultato, per il papà che li sgridava. “Oh beh” pensò “non ci sarà più nemmeno Fabio” e rise per questa sua particolarità di passare dal dramma alla commedia nello stesso pensiero. Pensò a suo padre, a quanto gli sarebbe mancato quando sarebbe morto e ormai l’età c’era. Suo padre, quell’uomo che gli aveva trasmesso la tenacia, il coraggio e l’allegria e che ora la aspettava in ogni istante alla casa di riposo e che, quando la vedeva le faceva dichiarazioni d’amore e ogni volta le diceva, quando arrivava: “S’eri drè spetatt!” Sì, l’aspettava sempre e sempre a lei pensava. Valeria avrebbe dato anni di vita per trascorrere anche un solo giorno con suo padre, quello di una volta, forte e coraggioso, che cantava e ballava per esorcizzare il dolore, quello che diceva che la vita era bellissima. Come eravamo felici quando non sapevamo di esserlo. E su questi pensieri smise di sentirsi la donna felice di poco prima. Suo padre: una sega che le passava avanti e indietro nella carne. Nella tristezza, nella malinconia dei saggi, nasce l’esigenza di entusiasmo, di passione, di distogliersi dal dolore, dagli impegni, dalla fatica di vivere. Un nuovo amore, forse, avrebbe risanato quella parte malata che sentiva dentro. Le avrebbe garantito vigore. 101 No, non un nuovo amore che uccidesse l’attuale per diventarne la copia, non sopportava il percorso amoroso, incontro, conoscenza, amicizia, rispetto e infine, eccoli uno seduto sul water mentre l’altro lava i denti. Alessandra diceva che la confidenza porta lo schifo, aveva ragione. Già che schifo, pensò e rise da sola. C’era già un bel sole, la radio trasmetteva una vecchia canzone di De Andrè. Valeria guidava e cantava tornando a casa. 102 Niente ti turbi, niente ti sgomenti, tutto passa. (Santa Teresina) Da qualche giorno, quando suonava il cellulare, Fabio rispondeva di corsa eccitato, usando un tono simpatico ed accattivante. Mai come allora l’avevano visto continuare a guardare il display, per vedere se c’erano chiamate perse o messaggi. Mai aveva usato il cellulare per mandare messaggi e ora, mentre lo faceva, sorrideva inebetito. Portava il telefonino con sé persino in bagno. Valeria lo guardava perplessa, ma senza alcun dubbio sulla fedeltà di suo marito, anche perché, pur ponendo il caso che avesse una storia, non era così sciocco da manifestarla apertamente, non con quegli atteggiamenti da ragazzino innamorato. I ragazzi ci fecero caso sì e no. Ma una mattina, stirando una camicia, Valeria vide del rossetto, controllò meglio, sì era proprio rossetto. Ripensò a Fabio durante gli ultimi giorni, a quell’aria idiota che aveva sempre sul viso e poi sempre allegro, tutto andava bene, dalla pasta scotta ai brutti voti di Riccardo, ai gemelli che litigavano ad Alessandra che rientrava tardi senza avvisare. Ecco perché. 103 Riguardò la camicia, il rossetto e con un lancio la buttò contro il muro da isterica: “No, no e poi no. Scoprirlo in un modo così banale no!” Stentava a credere, aveva avuto molta fiducia in suo marito e odiava tutto ciò che fosse banale. “Stronzo maledetto stronzo! E pensare a quante volte io, in nome dei voti matrimoniali, ho rinunciato al piacere di un bell’innamoramento. Di una magnifica scopata! Stronzo, stronzo schifoso. Ah ma vedrai, vedrai come te la farò pagare. Non sai chi è tua moglie, brutto verme schifoso. E poi con quattro figli. Bastardo!” Il cane la guardava con il muso piegato verso sinistra e poi cambiava e lo metteva sulla destra, senza spostare una zampa, il corpo immobile mentre la sua padrona gridava e sembrava fare cose molto strane, mai viste. La seguì quando, tutta nervosa, andò al telefono. Alzò il ricevitore imbestialita, compose il numero privato e prima ancora che Fabio rispondesse, lo investì come una furia. “Oh, ma hai l’amante? Ma sei scemo?” Lui riattaccò immediatamente il ricevitore. “Ma allora è scemo veramente! “ disse sbalordita. Dopo circa un’ora, che bastò a Valeria per riprendere a fumare dopo sette anni, entrò Fabio, la testa bassa di chi viene scoperto. Valeria gli si avvicinò, ma lui cercò di scansarla dirigendosi verso il ripostiglio. Lei lo seguì e lo vide liberare una valigia dalle scatole appoggiate sopra. 104 A voce bassa, quasi in un sussurro e senza alzare lo sguardo le disse, con tono completamente dimesso da colpevole: “Hai ragione, non ho scuse. Mi dispiace Vale. Mi dispiace da matti. Mi ammazzerei.” “Oh, ripigliati. Sei scemo davvero eh! Cosa dici?” “Dico che me ne vado, non ho scuse, hai ragione, su tutto.” “Ochei, fermiamoci, ascoltami. Tu sei diventato matto. Dove vuoi andare? E poi così. Decidere nel giro di un’ora. A meno che, tu sappia già dove andare. Dove c’è una che ti aspetta, per esempio. E a me non pensi? Cosa dirò ai ragazzi quando tornando non ti vedranno rientrare? Ah, ma certo che a me non pensi, altrimenti ti saresti fatto qualche scrupolo, prima di fare il pirlone innamorato. Quello che arriva a cinquant’anni per riprendersi l’adolescenza.” La voce di Valeria si faceva sempre più alta e nervosa: “Ma sei davvero così innamorato da fare una scelta simile? Sembra quasi che non aspettassi altro che io me ne accorgessi. E sì, proprio così, da vero codardo quale sei. Ma ora ti chiedo, in nome del buonsenso famigliare, di stare calmo, di non fare cazzate, perché, se non lo sai, quello che accade è successo per sempre. Non c’è spugna che cancelli la vita giù spesa. Resti comunque una gran merda! Ma ora pensiamo ai ragazzi, perché loro mi interessano più di te e delle tue cazzate. Guarda, guarda, mi tremano persino le mani. Pazzesco. Non ci posso credere e invece sì che ci devo credere, vero brutto stronzo?!” 105 Fabio intanto aveva aperto la valigia sul letto senza proferir parola, Valeria la richiuse con un pugno forte e deciso. Lui continuava a rimanere in silenzio colpevole. “Fabio, cazzo, parla, per l’amor del cielo rientra in te. Dimmi qualche cosa. Guarda e credimi” cercò il respiro e la calma: “son ben disposta” proseguì. “Guardami, non sento dolore e nemmeno rabbia, sono solo un po’ incredula, non me l’aspettavo. Anzi mi sembra di girare un film.” Sentiva che i nervi le stavano cedendo, cercò pace camminando intorno al letto, ma non la trovò e allora si avvicinò a lui, senza smettere mai di gridare e sempre più forte, ripetendo le stesse due tre frasi in continuazione, fino a quando gli fu così vicina da sferrargli un cazzotto in piena faccia. Fabio si toccò il labbro, guardò la mano, aveva del sangue, corse in bagno, mentre Valeria correva insieme a lui, spaventata di quello che aveva fatto. Capì i criminali, che criminali non erano. Anche lei avrebbe potuto dare una coltellata a suo marito invece del pugno, se solo in quel momento avesse avuto un coltello tra le mani. Lo guardava riflesso nello specchio. Lo odiava. Lo disprezzava. Che schifo! “Vale, amore, hai ragione, hai tutte le ragioni del mondo, dammene un altro se vuoi, lo merito. Ammazzami se vuoi, perché non voglio che i ragazzi sappiano mai quello che ho fatto e di chi mi sono innamorato: digli quello che vuoi, anche che sono morto.” 106 Valeria era fuori di sé, attonita, sbalordita, spaventata, cosa stava accadendo? Pensò di salvare il salvabile, di esserci. “Il mondo è pieno di coppie separate. Ti chiedo di prendere tempo, di non lasciarmi sola a dare spiegazioni ai ragazzi. Non ce la posso fare. È tanti anni che siamo vicini, forse troppi. Il tuo è un colpo di testa. A questa età può succedere. Anche io di tanto in tanto penso che vorrei farti le corna, ma poi non lo faccio. Sai quante corna si è fatta la gente. Passa” e parlava, parlava, parlava. “Direi di discutere con calma, per affrontare al meglio questa situazione. Io non l’ho mai fatto, eppure l’occasione l’ho avuta. Anzi, più di una” continuò sorridendo “però i miei figli sono sempre stati un grande freno. Il loro onore. Però Fabio, può capitare, lo capisco. Dai siediti e parliamone. Ci si può anche separare, il mondo è pieno di persone che l’hanno fatto. E che sarai mai!” “Valeria, io amo questa persona come non ho mai amato nemmeno te.” Valeria ingoiò il rospo, per prendere tempo. “Valeria, è un trans.” E Valeria a questo punto non resse più e cadde sulla poltrona. Uomini. Era suo marito, lo conosceva da venticinque anni. Nulla da ridire contro i trans, esistono e vivono come le altre creature, ma che suo marito si fosse innamorato di uno di loro, la lasciava senza parole e senza pensieri. Chiese a Fabio di andare a farle un caffè, perché si sentiva collassare. 107 Lui l’assecondò silenzioso. “Fabio, dimmi che tra un po’ suona la sveglia, dimmelo.” “Vorrei poterlo fare Valeria, ma non è così.” Seguì un mutismo che lei non riconosceva in quella che era ancora la loro casa. Una casa nella quale anche i muri parlavano e buttavano fuori casino e amore. E un vetro uscì dal pavimento, un lato oscuro della casa, come era stato possibile che nessuno si fosse mai accorto che esisteva quella fessura nel pavimento dalla quale stava salendo un vetro e questo vetro si alzava sempre più, fino ad arrivare al soffitto per separare Valeria e Fabio completamente, e tutto diventava sordo, solo, vuoto, indifendibile. Fabio le porse la tazza di caffè, per un momento furono come in un fotogramma, poi il movimento lento, sfuocato, senza contorni, senza personalità fino a quando, la tazza picchiò contro il vetro, cadde e si ruppe, il caffè sporcò il tappeto. Fabio uscì . Si era fatto tardi per andare via di casa, lo stavano aspettando in ospedale. Andava davvero in ospedale o era una bugia, perché chi tradisce sa mentire. O forse stava andando a fare l’amore con lui? Con il trans. No, non riusciva neppure ad immaginare, non poteva, nel rispetto di se stessa e di tutti quegli anni insieme. Che pena! Nel rispetto di suo padre, che aveva sempre tanto amato quel genero così serio e che definiva una persona perbene. Una persona perbene non pianta lì una famiglia per vivere nuove emozioni, una persona perbene si 108 controlla, sa gestire le sue emozioni e sa che ci sono delle priorità. L’onestà prima di tutto. L’onestà. E pensò che anche lei non lo era stata, nascondendo di dire del suo compagno di gita a Venezia. Ormai si era calmata, in fondo, pensò, siamo tutti un po’ stronzi, chi più e chi meno. Rimasta sola, finalmente, scoppio in un pianto dirotto che non riusciva a controllare, pensava ai suoi figli, a quanto erano stati felici quando non lo sapevano. Qualunque compromesso per tutelare la serenità dei suoi quattro cuccioli. E anche del cane che in realtà amavano tutti molto, era un cane tranquillo che non richiedeva attenzioni. Tutto qui. Lo guardò e lo vide accucciarsi ai suoi piedi, aveva capito tutto. Si abbassò, ancora piangendo per accarezzarlo, per trovare conforto e il cane gli leccò la faccia piena di lacrime e si leccò i baffi. Arrivarono i ragazzi. “Mamma, non ci crederai, ho preso otto in italiano, un tema sulla felicità, mi sono fatto fare la fotocopia per fartelo leggere” disse Riccardo appena la vide. “Bravissimo “ rispose lei cercando di mostrare entusiasmo. “Mamma, cosa hai fatto da mangiare?” chiese Giovanni. “Spaghetti con pomodoro e basilico e di secondo frittelline di zucchine.” “Mmmm, buone, quelle che piacciono a me!” 109 Si sedettero a tavola, nessuno di loro aveva avuto modo di vedere la faccia di Valeria, perché aveva accuratamente evitato di guardarli. Alessandra, che nel presagire era un mago, arrivò dopo essersi lavata le mani: “Mamma, ma cos’è successo?” “Quando?” “Stamattina” “Niente.” “Boh, c’è una strana atmosfera in casa.” Le scivolò lo sguardo sul tappeto sporco di caffè e si fermò a riflettere, poi aggiunse: “Qualcuno si è fatto male?” “No, perché?” “Ho visto della garza fuori dall’armadietto dei medicinali. Mamma” le chiese finalmente incontrandone il viso: “mamma, ma hai pianto?” “Ma no, mi fanno male i denti e ho provato a mettere dell’argilla, per quello c’è fuori la garza.” Alessandra si accontentò della risposta anche perché non vedeva cosa altro sarebbe potuto succedere in casa sua. Verso il tardo pomeriggio i figli uscirono per fare le loro cose, chi in palestra, chi in piscina e chi da un amico e arrivò Fabio. Sembrava avesse ripreso colore, tono e testa, fin quando la fece accomodare sulla poltrona per parlare, le si sedette di fronte e incominciò “Vorrei che tu conoscessi Maria.” Lo guardò seria e sempre più incredula: “Pure il nome della Madonna!” disse. “Eh beh, si chiamava Mario.” 110 “Fabio, ascoltami molto bene, non pensi di avere bisogno di aiuto? Di un bravo psicologo che ti aiuti a pensare, a chiarirti le idee.” “Valeria, ti prego, fammi contento. Vorrei che tu la conoscessi.” Incredibile, ci si sposa pensando che un uomo si prenderà cura di noi e ci ritroviamo a doverci prendere cura noi di lui per il resto della vita. Alzò lo sguardo per cercare suo marito, per trovarlo, ma davanti a sé vedeva un quinto figlio. Si passò la mano tra i capelli: “Senti, non credi di pretendere troppo dalla donna che hai di fronte?” “La donna che ho di fronte è mia moglie, non dimenticartelo.” Valeria non fece in tempo a replicare e nemmeno a pensare una risposta. Era un film. Un sogno. Un incubo. Un momento di follia, di delirio. Suonò il campanello: “E adesso chi è?” ma vide Fabio correre ad aprire felice, tornò con una donna, bella distinta, raffinata, chi era questa nuova ospite mai vista prima? Un’altra, da come lui le teneva la mano. “Bene vi presento” disse Fabio indagando lo sguardo della moglie: “questa, Valeria, è una mia collega patologa.” Non l’aveva nemmeno chiamata Vale come faceva da sempre: Valeria; ecco che iniziava a prendere le distanze e però aveva bisogno del suo consenso, il consenso della mamma. 111 “Piacere Maria” disse la bella donna allungando la mano. Valeria stava crollando, ma sospirò e ricambiò. Era completamente diversa da come l’aveva immaginata, ma del resto, non aveva nemmeno avuto il tempo di farlo. “E adesso?” chiese a Fabio. “Adesso cosa? Niente, volevo che le mie due donne si conoscessero, quella uscente e quella entrante.” Maria rise, Valeria no, forse perché quella uscente era lei e non trovava per niente divertente quella battuta ma ugualmente disse la sua: “Bene, allora presentiamoci, conosciamoci e brindiamo, deve esserci dello spumante in frigorifero.” “Così mi piaci Valeria, dolce e accogliente come sempre. Vuoi che lo vada a prendere Maria? Ti piace lo spumante?” “No grazie, sai che bevo solo francese.” “No, pare che non lo sappia” disse Valeria stizzita “ma sa invece di avere quattro figli, due ancora piccoli.” “Certo, Fabio ne parla in continuazione.” “ Ma che bravo papà.” Era stato vero fino a quando aveva incontrato lei; nonostante le sgridate a volte fuori posto, aveva dato ai suoi figli sempre tanto amore e la priorità. “E anche di lei parla spesso, dice che è una donna speciale.” “Maria, ora che la conosci non puoi obiettare. Ma dimmi tu quale altra moglie ti accoglierebbe offrendoti lo spumante come ha fatto lei. La mia Valeria, la madre dei miei figli.” 112 “Abbiate pazienza e un po’ di buongusto, i complimenti non costano niente e se fate così per comprarmi, non ne avete bisogno. Voglio essere sincera con questa tua amica, con te non mi interessa nemmeno più. Mi hai talmente sconvolta Fabio, che ho davanti a me uno sconosciuto. Ma di questo parleremo quando resteremo soli, se non ti dispiace. Vorrei invece dire a questa persona, Mario o Maria che sia, che mai mi sarei aspettata che mio marito venisse sedotto da un trans, perché non deve essere stato facile” ma improvvisamente tacque, non si rendeva nemmeno più conto di cosa stesse dicendo, non riusciva a tenere il filo del discorso, si sentiva male, aveva bisogno di stendersi sul letto. “Scusate, se ora vuoi accompagnare l’ospite alla porta, perché mi sto sentendo male e ho bisogno di stendermi.” Le girava la testa. Maria tolse gli occhiali: “Valeria mi ascolti, io e suo marito, se può consolarla, non abbiamo mai avuto rapporti sessuali completi. Ci vogliamo bene, poi vedremo. La prego però di una cosa, poi me ne vado, non dica a nessuno la mia identità, sono venuta via dal mio paese e a Milano nessuno sa nulla, tutti mi credono una donna a tutti gli effetti.” “Ok. Ci conti” e aggiunse, reggendosi appena in piedi: “anche io le chiedo una cosa, che i miei figli non sappiano mai, e lo ripeto affinché capiate bene tutti e due. I miei figli, non devono venire mai a conoscenza di questa cosa, letto o non letto, non me ne frega. I miei ragazzi non devono sapere. E non dite che c’è nulla di grave, per me lo è.” 113 Arrivò in quel mentre Alessandra: “Ciao, posso stare con voi? Ciao Maria, tutto bene?” Ma Alessandra allora la conosceva già e magari anche gli altri. “Mamma non stai bene?” “Ho la pressione a terra, vado a stendermi.” Ma guarda un po’ cosa doveva capitarmi, ‘sto Mario o Maria che sia. “Mamma, mi ha chiamato Elena vado da lei.” “Sì vai, meglio.” Sentì Fabio accompagnare l’ospite alla porta. Provò pena per loro, per questa situazione. Poi sentì Fabio arrivare da lei: “Vale, ascolta” le si sedette accanto sul letto: “io e Maria abbiamo deciso che per ora lasceremo tutto come sta. Anche perché non me la sento ancora di interrompere i miei progetti famigliari.” “Ma quali progetti?” E Valeria aspettò ad occhi chiusi una risposta che ci mise un momento ad arrivare. “Le vacanze per esempio.” “Ma tu ti droghi! Comunque va bene, Fabio, va bene così e adesso se riesci, abbi la decenza di tacere. Non ero pronta a un tale esame.” Lo vide alzarsi dal letto e andarsene. L’aveva vista stare male e davanti a questa cosa, come sempre. Lui girava i tacchi e se ne andava, lasciandola sola. Valeria non doveva stare male, mai. Lui non riusciva a vederla stare male e allora faceva finta di non vedere e, appunto, girava i tacchi. 114 Lo richiamò: “Come mai Alessandra conosce quella persona?”. “L’ha vista una volta che è passata in ospedale a salutarmi, ma tranquilla, sai com’è Alessandra, lei da del tu a tutti.” 115 Nascere, vivere e morire, ecco le cose che sappiamo, e le sappiamo non già per le cause, bensì per l’esperienza continua degli effetti: ma il come ed il perché di ogni cosa stanno e staranno in eterno nella mente imperscrutabile dell’universo. (Ugo Foscolo) Con chi avrebbe potuto parlarne, con chi sfogarsi. Con nessuno, primo perché doveva proteggere i suoi ragazzi e poi perché Fabio era il loro padre e non voleva che finisse alla berlina, tirandoseli dietro inevitabilmente; già immaginava il vociferare degli amici, il padre gay, no, non era facile. Era amica di Fabio, gli voleva bene, anche se era completamente impazzito. La mente sembrava partorire, abortire, concepire di nuovo, e poi ripartorire, i pensieri nascevano, diventavano convinzioni per morire un istante dopo. L’unica idea che cominciò a prender forma e delinearsi, era la possibilità di un trasferimento. Andare in un posto dove nessuno li conoscesse. Per Fabio sarebbe stato impossibile, impensabile, il lavoro, il suo studio ben avviato da tanti anni, dovere ricominciare da zero a cinquant’anni suonati. Difficile ma non impossibile, quante le persone che lo fanno ogni giorno, un affare andato male, un in- 116 vestimento sbagliato, una malattia, un incidente ed eccole a doversi tirare su le maniche, girare pagina, fregarsene e ricominciare da quello zero. Ma nel caso di Fabio, non avrebbe avuto lo stesso senso di chi si trova senza nulla nelle mani, dopo una vita di lavoro. Fabio, Fabio, Fabio, ma cosa le era successo? Avrebbe potuto iniziare a proporre ai ragazzi il cambiamento di città, qualche motivazione l’avrebbe trovata, ma dove sarebbero potuti andare, in che termini, quale spiegazione plausibile. Che situazione da folli. Un incubo. E poi c’era il nonno, suo padre, che l’aspettava ogni domenica alla casa di riposo, che viveva solo per quell’incontro. Avrebbe dovuto trasferire anche lui, trovare un’altra struttura decente e ricominciare l’iter dell’ambientamento, infermiere nuove, nuova organizzazione, nuovi spazi. No, non si poteva. A meno di trovare una città abbastanza vicina da poterlo raggiungere la domenica, ma se poi avesse avuto bisogno in un’urgenza? Povero papà. Un colpo di testa in una famiglia coinvolge tutti, proprio tutti. Nessuno esente, tutti presenti. Era ormai troppo stanca per pensare e decise che basta, sarebbe rimasta a vedere, avrebbe lasciato fare alla vita. Quella sera pregò: “Padre, non so proprio cosa fare, metto tutto nelle tue mani”, fece fatica ma infine si addormentò sfinita. 117 La mattina quando si svegliò, pensò di avere sognato ogni cosa, non era possibile che stesse accadendo una cosa simile alla sua famiglia e il dubbio continuò fino a quando entrò in sala: i fiori che Maria le aveva portato erano lì, belli, freschi e colorati, proprio come il giorno prima. Si prese la testa tra le mani e costrinse i piedi a camminare. Doveva andare avanti. Inerzia e poi ripartenza. Funziona così. Un incubo è una cosa piacevole al risveglio, quando ci si rende conto di quanto si è fortunati e allora si inizia la giornata con uno spirito migliore. Alleggeriti. Non era vero, non era vero, che gioia. Questa di Valeria, invece era realtà. Iniziarono le vacanze scolastiche, i gemelli erano stati promossi, Alessandra si era diplomata e iscritta all’università, Riccardo invece era stato bocciato. Quando Valeria andò dalla coordinatrice a ritirare la pagella si sentì dire: “Ma lei adesso arriva? Non l’abbiamo vista tutto l’anno e adesso si presenta. Mi dica allora, cosa vuole sapere da me?” Valeria avrebbe voluto scaricare tutta la rabbia su quella stupida: “Cosa voglio sapere da lei? Come sta sua madre voglio sapere, oh imbecille! Ma lei sa cosa sta succedendo in casa mia? Ma lei cosa ne può sapere di mio figlio, che mi sta descrivendo come un lazzarone maleducato, perché ha la cresta rossa e gialla sopra la testa. Ma lei, brutta stronza di merda, ha provato a rapportarsi con lui, per tirare fuori la persona meravigliosa che è? Lei sa insegnare? O si limita a rispecchiarsi negli alunni diligenti che le 118 danno soddisfazione. E sa perché non sono venuta? Perché credevo che la scuola mi chiamasse se ci fossero stati problemi. Perché non mi piace venire a chiacchierare del più e del meno, perché non ho tempo per venire se le cose vanno bene, perché mio figlio non mi ha detto la verità, ma lo difenderò ugualmente davanti a un’arrogante faccia di culo come la sua”, invece si limitò ad essere un genitore dignitoso, educato, trattenuto, come tutti i genitori si sentono davanti ad un insegnante, nel tentativo di relazionarsi, usando ogni loro risorsa per non mettere in cattiva luce il proprio figlio. E allora la mamma diventa una parte di figlio e il figlio una parte di madre, com’è nel ventre, dai secoli dei secoli. Insieme ancora una volta ora come allora. Insieme. Io e te, piccolo mio, e ti proteggerò, ti aiuterò a uscire da ogni guaio accollandomelo e standoci più male di te, facendo spesso il tuo bene e a volte un disastro, ma sono tua madre e le madri non sono Dio come tu credi, le madri sono imperfette, il loro amore lo è. Perdonami cucciolo mio, se non so trovare le parole giuste, se non so dirti di no, se ti amo troppo, se sei la mia vita e non so lasciarti vivere la tua. E non si tratta di separazione fisica, di appartamento con gli amici, ma di distacco vero, ognuno per conto suo a continuare a vivere. Non ce la posso fare. Ci sarò sempre a colorare i tuoi muri, a spargere fiori dove cammini, a medicarti le ferite cercando di non farti troppo male. Oh, piccolo mio, perdona i danni che ho fatto, uno solo però è irreversibile, che io sia tua madre. 119 Sto male ogni volta che ti vedo preoccupato, infelice, e rido quando sento il tuo cuore ridere di gioia. Stamattina ho capito una cosa, che in questa tua età, arrivi a punire te per punire me, fai l’insoddisfatto per non darmi soddisfazione. L’altro giorno mi hai gridato, che gli uccellini volano via dal nido, e quando ti ho detto che io sono uno di quei genitori che li spingono fuori a volare, tu hai ribattuto che sì, lo faccio, ma prima aggancio il guinzaglietto. Viva la tua cresta alta, dritta, rossa e gialla, perché io so. E mi rimanda agli anni in cui portavamo i pantaloni di tre taglie in più della nostra, i maglioni larghissimi che ci facevano sembrare dei bagonghi, ma ci sentivamo belli e felici. E mio padre rideva. Il tuo nonno. Una persona meravigliosa, te la ricordi? Beh Riccardo chi arriva da un ceppo saldo come il tuo non può che dare buona pianta. E ti ricordi Riccardo, la nonna, la mamma del tuo papà quando ti faceva i panini? Perché per lei nutrire era questo e non andare ad indagare nel nutrimento della psiche, per lei era importante prepararvi i ghiaccioli con le fragole fresche e quelle polpettine che vi piacevano tanto, e trascorrere il tempo sferruzzando con i ferri e l’uncinetto per voi, perché per lei rendere felice era dedicarsi con semplicità. È incredibile quanto tua zia, la sorella di papà, le somigli, nonostante i suoi sforzi giovanili per essere diversa. Lei, una donna in carriera che ancora sferruzza e si dedica e sembra che ti dia oro quando arriva a tavola con la grande terrina ricolma di pasta e broccoli. Sì, cucciolo mio, è davvero incredibile, vedere che più il tempo passa e più si ritorna nel ventre, in una strana e assurda simbiosi 120 che non appare ma che è. Non so ancora, dopo anni, come visse tuo padre la morte di sua madre, non ne parlò più, ma so che ogni sera la prega. Rido pensando a tua sorella da piccina, a quella volta che le si sfilò il palloncino dal piccolo braccio e lei, disperata, guardandolo mentre andava verso il cielo, mi diede una piccola spinta e mi gridò: “Prendilo mamma.” Fabio, stranamente, non si era arrabbiato per la bocciatura, ma aveva commentato, che una bocciatura nella vita non può che far bene; incredibile detto da lui, ma già, lui era tutto preso dal suo nuovo amico, compagno, amico, fidanzata e in questa sua felicità tutto prendeva forme diverse da prima, anche la bocciatura di un figlio. Sarebbero ugualmente andati alle Tremiti? I giorni si rivelarono faticosi come previsto, questa storia di Fabio la ammazzava. Riusciva a fare la normale con i figli, con la gente, con lui, ma quando restava sola in casa si sentiva una vecchia di cento anni. Quando rimaneva sola, la testa si inchiodava a quel pensiero: per quanto tempo ancora i figli non sarebbero venuti a scoprire che il loro padre era gay? Si sedette sul divano, il cane corse ad accucciarsi ai suoi piedi, si abbassò ad accarezzarlo e sentì le dita bruciare, guardò le mani e si accorse che aveva mangiato le unghie fino a vedere quel po’ di carne subito sotto la pelle. Andò in bagno, lo specchio le restituì la sua immagine, era la stessa di prima, di quando era felice e serena ma non lo sapeva. 121 Non era possibile che la faccia fosse rimasta uguale, dunque o era già infelice prima o non era disperata adesso. Aveva visto amiche tradite, distrutte dal dolore, ma forse per lei era passato ancora poco tempo, il peggio doveva ancora arrivare. Pensò di chiamare la vecchia maestra al telefono, passò in rassegna la rubrica nome per nome, nessuna amica per quanto fidata poteva venire a conoscenza di quanto stava accadendo in casa sua, a lei e a suo marito, ai suoi figli, al suo cane. Povero cane, tu capisci tutto, pensò. E il cane corse da lei e le fece le feste. Questo era un segreto, di quelli che nemmeno l’aria avrebbe dovuto venire a sapere. Perché le persone, prima o poi, se li lasciano scappare i segreti, le confidenze, non per cattiveria, nemmeno per spettegolare, così, escono fuori e basta, da soli e Fabio non meritava questo, né lei, né i suoi figli, né il loro cane. Rise pensando che aveva messo dentro, da dover proteggere, anche il cane, ma l’aveva fatto proprio per far vincere l’ironia in barba a questa cosa che, bene inteso, non era una disgrazia. Pensò a Pia, la sua cara compagna di scuola, lei voleva bene a tutta la famiglia e dunque sì, era lei la persona adatta con la quale sfogarsi. Pia sì, lei era la migliore in questi casi. Certo che raccontare questa cosa al telefono o scriverla via e-mail non era l’ideale, sarebbe bastato un hacker sgangherato o un’interferenza telefonica perché altri sapessero, poteva persino avere il tele- 122 fono sotto controllo, visto il lavoro di Fabio e gli scandali delle cliniche. Non lasciava scoperta nessuna possibilità, ma compose ugualmente il numero di Pia, rispose la segreteria telefonica, era la voce della sua amica, ma parlava in tedesco, pensò di lasciare un messaggio, ma no, avrebbe riprovato più tardi, a Berlino, avevano orari diversi di lavoro. Era di nuovo domenica, rientrò Fabio con il giornale. “A che ora vai da tuo padre?” “Nel pomeriggio, preferisco, perché la domenica pomeriggio il personale è ridotto e poi vanno i parenti a trovare gli ospiti e so che lui ci può restare male non vedendomi.” “Allora io nel pomeriggio porto al tennis i gemelli.” Nonostante l’amante, e lei non credeva che non ci andasse a letto, non trascurava le abitudini famigliari, in questo era stato davvero bravo. Forse aveva scelto un uomo perché era stanco di uteri e uteri e uteri. Lo guardò infilare le ciabatte e mettersi comodo, non le sembrava un gay. Ma pensò che la parte maschile della coppia gay non è femminea, così aveva sentito dire da Renato, il suo amico d’infanzia che infine batteva in Viale Regina Margherita, con la parrucca bionda e la minigonna. Renato, che bella persona era, ma non avrebbe saputo come fare a rintracciarlo. Ricordò quel pezzo di giovinezza, quando andavano insieme in un bar di gay in Piazzale Corvetto. 123 Un mondo nuovo, poliziotti, padri di famiglia, impiegati e vigili, muratori e quanto altro. C’era una scala e là sotto si incontravano per fare sesso. Ricordò che un giorno un bisex che faceva il poliziotto le si avvicinò e Renato, con tutte le sue movenze esagerate, subito andò a chiarire col tipo che Valeria no, la dovevano lasciare stare, perché lei non era dei loro. Bello Renato, così preso in giro ma così amato. E ricordò di quella volta che lo incontrò disperato, pareva che lo avessero riconosciuto fare una rapina, robe da pazzi. Nemmeno era possibile immaginare Renato che saltava il bancone della banca e assaltava, puntando una pistola alla tempia l’impiegato. Fu prosciolto dalle accuse dopo anni, lui si guadagnava da mangiare prostituendosi. Era davvero intelligente quel suo amico, aveva solo fatto scelte diverse. Nei ricordi di Valeria, Renato era di cero una delle persone che, nella sua scala delle persone perbene, occupava uno dei primi posti. E sorrise quando lo pensò ragazzino, quando decise di manifestare apertamente la sua omosessualità, e lo fece iniziando per gioco: “Non ti graffio perché è da donna, non ti picchio perché è da uomo, ma ti odio, ti odio, ti odio…” Bello Renato, e quanti ricordi le passarono dentro. Era nato alla Trecca Renato, che allora era periferia di Milano, in fondo a Viale Zama, fatto di case minime ora demolite. Renato era molto elegante, una persona di buongusto. 124 Lo ricordò bambino, quando la mamma dal balcone dell’ultimo piano gridava il suo nome perché l’ora dei giochi era finita. E piano piano, passeggiando nei pensieri e nei ricordi, riprovò quella sensazione di disagio, di chi non sa come deve comportarsi, che lei ebbe, davanti ai primi amici omosessuali che Renato le portava a conoscere, lo vedeva finalmente felice. Ripensò a suo padre che non voleva li frequentasse, forse per timore che diventasse lesbica o più facilmente per l’onore della famiglia. Una volta andò con Renato in un locale in Via de Castiglia, con lei era andata anche l’Enrica e si sentì molto tradizionale e all’antica, molto vicina a suo padre, ma non nella rigidità del giudizio. Infornò la parmigiana e prese il giornale, iniziò a sfogliarlo distrattamente e le cadde lo sguardo sul necrologio della sua vecchia maestra, lo rilesse per rispetto, ma a malincuore non si sentì partecipe e capì in quello stesso momento, che anche se lo specchio le ridava la sua faccia ed esternamente nulla andava a dimostrare il suo strazio, un pezzo di lei era morto, era morta la bimba, la piccola Valeria, portando nella tomba, con sé, la sua piccola Ninetta, la bambina dai capelli bianchi, con il maglioncino a righe rosa e azzurre fatto a maglia dalla nonna e con quei bei pantaloncini corti rosa. Ninetta aveva portato con sé, sotto terra, lo stupore vivace dell’infanzia e probabilmente anche la fortuna degli ingenui. 125 E la vita, aveva lasciato lì sulla sedia una donna, a leggere il giornale e al posto di Ninetta un austero giullare, che grazie al cielo ogni tanto dormiva. Aspettò che come d’abitudine Fabio arrivasse con l’aperitivo della domenica e solo dopo averlo bevuto, si ritirò in camera. “Pronto Pia, sono Valeria.” “Amica mia, che piacere.” “Ho bisogno di te.” “Cos’è successo?” Seguì una pausa breve: “Alessandra, sta preparando la maturità, porta Freud per filosofia, riusciresti a reperire del materiale sulla sua vita?” “Ma non l’ha già data la maturità?” “Sì, ma questa ricerca è per l’accesso all’Università.” “Valeria. Come mai chiedi questa cosa a me, sapendo quanto detesto la filosofia. Sai bene che penso sia mera farneticazione.”. Valeria capì di essere più scentrata di quanto credesse di essere, nonostante lo specchio non lo riflettesse affatto. Cercò allora di arrampicarsi sui vetri: “Ma dai, scherzo, avevo solo nostalgia di te.” “Vieni a trovarmi Valeria, quando vuoi, tutto bene a casa? Fabio, i ragazzi, tutto bene?” “Sì, sì tutto bene.” La conversazione si protrasse parlando del più e del meno, dell’uguale mai. Valeria fu abbastanza brava a divertire il discorso, per evitare calcolo di somme. 126 Pia era rimasta lucida, obiettiva, mirata e intelligente da far paura, non aveva neuroni decapitati dai figli. Conviveva da molti anni con un tedesco docente di economia o giù di lì, e la loro unione era una buona unione, ben riuscita. Ognuno dei due, negli anni, aveva mantenuto la sua individualità, amici diversi, distinti interessi. “Una bottiglia e due bicchieri, come dice Gibran, non come a casa mia, tutti che bevono dallo stesso bicchiere e guarda un po’, sempre il mio.” Pia, da quel di Berlino, si ripromise di seguire meglio questa sua amica, di essere più presente nella sua vita, perché l’aveva sentita strana, un po’ persa, poteva esse solo stanchezza. Si ripromise di fare un salto in Italia, appena fosse stato possibile. 127 A chi possiede tutto manca qualcosa: qualcuno che gli dica la verità. (Proverbio spagnolo) Alessandra era assorta nell’immagine di studentessa universitaria e a calarsi in quei panni. I gemelli andavano in piscina ogni giorno con gli amici e Riccardo si svegliava tardi e trascorreva i suoi pomeriggi in giro in moto o in camera sua ad ascoltare musica o a dipingere. Fabio era sempre più allegro e sereno e aveva assunto abitudini diverse, come non rientrare a pranzo. Il rapporto matrimoniale era in stand-by. Valeria decise che quel pomeriggio sarebbe uscita, pensò di chiamare qualche amica, ma preferì restare sola. Prese il tram e andò alla Rinascente, passeggiò in Galleria con il passo lento di chi non ha altro da fare. Arrivò al toro e incurante della gente attorno, mise il tallone e fece la giravolta sui testicoli del toro, portava fortuna; per non cedere a una sorta di imbarazzo, cercò la confidenza di una persona qualunque vicino a lei: “ A Firenze c’è il naso del maialino e a Milano i testicoli del toro.”, un barbone che la sentì, subito la 128 corresse gridando che non sapeva bene le cose, che a Firenze l’è un cinghiale e non un maiale. Valeria rimase sorpresa e divertita e si avvicinò a quel bellissimo uomo dagli occhi di mare e la barba lunga e bianca incolta: “Lei è di Firenze?” “Sì.” “Adoro Firenze” disse lei che voleva fare amicizia: “da ragazza avevo anche un fidanzato a San Mauro a Signa. Si chiamava Pierluigi, sì Pierluigi Vezzosi, lo conobbi a Riccione.” “Uno solo? Un ci credo!” Valeria rise. Effettivamente aveva ragione lui, Pierluigi però, era quello che ricordava con più trasporto, quel ragazzino le era piaciuto un sacco. Cominciarono col parlare di Firenze e arrivarono a parlare di quadri, fino a che Valeria gli propose di andare a cena insieme, lui accettò molto volentieri e lei avvisò casa: “Come mai non torni mamma? Non c’è nemmeno il papà.” “Perché ho incontrato un’amica e resto con lei” fece un po’ fatica a non lasciarsi impietosire da Giovanni, ma caspita, non poteva sempre e solo esserci per loro e mai per se stessa e sentirsi in colpa ogni volta che decideva di fare una cosa divertente. Quindi rimase con il barbone e buttò, nel cestone immaginario a fianco a lei, i pensieri che potevano in qualche modo rovinare la serata. Ci avrebbe pensato poi, senza lasciarsi prendere dall’ansia. Un’ansia molto ma molto simile a quella di prestazione. 129 Entrarono in un elegante ristorante del centro dove i camerieri conoscevano bene sia lei sia suo marito e vide le loro facce imbarazzate. Uno le si avvicinò: “Buonasera signora Alessi. Il signore è con lei?” chiese riferendosi al barbone con la speranza che Valeria dicesse che no, che la stava disturbando, che potevano buttarlo pure fuori. “Sì, il signore è con me. Un tavolo per due, grazie.” Il silenzio intorno a loro, le luci soffuse, le belle tovaglie rosa e i fiori nel vasetto al centro del tavolo. Notò che, come lei del resto, il barbone non era a disagio, ma ad un certo punto, lo vide rivolgersi all’attento pubblico, sentendosi gli occhi addosso: “Tranquilli signori. Non sono un barbone, ma un attore che sta recitando al Manzoni.” Valeria rise sotto il tovagliolo. “Se fosse un attore non avrebbe questo odore” gli disse. “Sarebbe una bella idea che i profumi e gli odori facessero parte della scena” rispose lui, divertito dall’affermazione spontanea della sua signora. Intorno le persone cominciarono a bisbigliare i loro dubbi. Trascorsero una serata fantastica, non parlarono delle loro vite, come nostalgici amici, ma di vita. Si rivelò un uomo colto e intelligente. “Avere un pensiero non significa pensare. Il pensiero va, ma può non arrivare a niente, pensare è desiderio di arrivare.” Valeria era affascinata, con lui si sentiva libera. Liberi di pensare, di dire, di esprimersi, di aiutarsi a pensare uno con l’altro. 130 L’animo generosamente crea, sviluppa e dona, senza remore e timori. “Cara Valeria “ disse infine lui congedandosi: “chi si somiglia si piglia!” e la lasciò. Avrebbe voluto abbracciarlo, baciarlo, magari trascorrere il resto della serata e anche la notte con lui, avrebbe voluto dirgli di non lasciarla sola, che erano mesi che non stava così bene, ma non trovò neppure il coraggio di allungargli la mano. Si diresse verso la metropolitana in Duomo, vide Vittorio Emanuele a cavallo, che da sempre sta fermo lì, come se aspettasse che prima o poi la Madonnina si decidesse a scendere e a scappare con lui. Aveva ragione il barbone, in lei aleggiava lo spirito di una clochard, come in suo figlio Riccardo, rise. Una domanda la distolse dalle sue considerazioni: “Cosa fai in giro a quest’ora?” Non poteva crederci, Roberto, il pittore. Velocemente realizzò che ora avrebbe dovuto avvisare la famiglia che sarebbe stata a dormire da un’amica che aveva incontrato per caso. Sarebbero andati in una stanza d’albergo e immaginò la passione esplodere, i baci, le scene. “Valeria, sono di corsa, ci vediamo presto, ti telefono. Ti chiami Luzzati giusto? Ho la macchina in divieto, ti ho vista scendere le scale della metro e ti sono corso dietro, ma non vorrei che me la portassero via col carro attrezzi.”. Non la lasciava mai parlare. “Roberto, aspetta un secondo” cercò di fermarlo: “non sono in elenco. 131 Lui, pronto tirò fuori dal portafoglio un biglietto da visita sgualcito, glielo diede e corse via gridando “Chiama quando vuoi!”. Valeria salì sulla carrozza della metropolitana riguardando il biglietto da visita, contenta di poterlo rintracciare quando l’avesse desiderato, era contenta, contenta di tutto. La sua anima ancora, sapeva avere la meglio sull’ego. Girando la chiave nella toppa, pensò che se avesse raccontato la storia di suo marito a Roberto o anche al barbone, sarebbero riusciti a tranquillizzarla, ma non l’avrebbe fatto con nessuno, perché era una cosa troppo grossa. E se lo avesse chiamato subito? In casa tutti stavano dormendo, si sentiva Fabio russare. No, avrebbe dato l’impressione di non aspettare altro. Non importava, che pensasse quel che volesse. Si chiuse in bagno e digitò il numero sul cellulare, trovò strano che le avesse dato il numero del fisso e non quello del cellulare. “Mamma” si sentì chiamare da Riccardo: “sei arrivata?” “Sì tesoro.” Andò a letto rimandando la telefonata al giorno seguente. “Pronto” rispose lui e lei sentì il sangue diventare acqua, poi una vampata fino all’ultimo capello. Era innamorata. “Ciao, sei Roberto?” 132 “Si presenti prima lei!” e da questa risposta a Valeria sembrò che il bel sogno d’amore, stesse già sfumando, perché un tono così arrogante le faceva passare subito la poesia, ma non aveva altri a disposizione per sognare un po’. E doveva sognare, voleva farlo, sentiva dentro l’urgenza per non cadere, per continuare a crederci. “Sono Valeria.” “Che Valeria?” ma era chiaro che l’avesse riconosciuta. “Quella di Klimt.” “Ah, ma ci siamo visti ieri, cosa vuoi?” Che gran maleducato, la voglia di buttare giù il telefono c’era, ma non poteva permetterselo, voleva sentirsi viva, felice, voleva amare. “Volevo solo salutarti.” “Beh allora chiamami domani alle dieci e mi raccomando, ne prima ne dopo.” Nel cuore di Valeria l’impulso di una parolaccia, nella sua testa la considerazione che fosse un cretino, ma mise giù felicissima, la storia iniziava. E il giorno dopo lo chiamò alle dieci e un quarto, per non sembrare ansiosa. Roberto la rimproverò del ritardo, lei ancora una volta avrebbe voluto interrompere la comunicazione con quell’arrogante maleducato, ma rimase al telefono, pur non avendo niente da dire. Sentiva la necessità di averlo vicino, di avere un amore. Spostò la tenda blu, guardò fuori dalla finestra: “Hai visto come piove?” Parlarono di cose delle quali non fregava niente né a lui né a lei, e si salutarono ripromettendosi di trascorrere quanto prima una giornata insieme, alla 133 prima mostra interessante che si sarebbe presentata nei dintorni. Provava la sensazione di tradire Fabio e i ragazzi, perché la madonna certe cose non le fa. Ma chi aveva iniziato? Chi era stato a lasciarla sola? Quindi non le importava niente, in lei era ormai chiara la percezione che il gioco pericoloso fosse iniziato, finalmente aveva trovato il coraggio di entrare nel labirinto che tante volte evitò, e con la coscienza pulita. Avrebbe potuto uscirne, era ancora in tempo, oppure andare avanti e rischiare di perdersi. Scelse il rischio per ritrovare entusiasmo e gioia. 134 Un musicista deve fare musica, un pittore deve dipingere, un poeta deve scrivere, se vogliono essere davvero in pace con se stessi. (Abraham A. Maslow) La Vecchia Saggia, colei che sa, è dentro l’anima della donna e preme per uscire, l’aveva letto anni fa su un libro, che la trovò in un periodo d’inquietudine che poi come sempre passò, come ogni fonte di luce è più luminosa del buio, come ogni colore è più chiaro del nero. Ma ora, erano arrivati di nuovo i giorni della Que Sabe, colei che sa, colei che cerca di liberare la psiche-anima della donna. Si resta per troppo tempo in panni non nostri e viene il momento prima o poi di rimetterli, di riconoscerli guardandosi allo specchio, toccandosi il viso, le mani, i fianchi. Il momento di usare la coniugazione magica “Yo me voy!” La famiglia ci sarebbe rimasta un po’ male, avrebbe cercato di rimetterla a cuccia con ricatti emotivi, ma poi sarebbe passato, come tutto passa, sempre. 135 Erano persone dai molti interessi e questo li avrebbe aiutati a riemergere. Doveva andarsene, per non arrivare a lasciarli per sempre o in alternativa essere infelice a vita. Andarsene assumeva il senso di prendersi il suo spazio, cercare una nuova passione, trascorrere fuori casa più tempo e non solo per andare alla casa di riposo a trovare suo padre. Andare, partire, fare una bella vacanza da sola. Del resto suo marito era tutto assorto in questa storia da pazzi. I ragazzi stavano benissimo. Ancora una ventina di giorni e sarebbero andati alle Tremiti e al rientro, riposata, avrebbe deciso cosa fare della sua vita, cercato di capire quello che la Vecchia Saggia le chiedeva. Era ben disposta anche a trovare un altro uomo, un nuovo amore, quel giro di boa che riporta giovinezza sul viso, nel corpo, nella mente. L’entusiasmo di sentirsi di nuovo viva. Pensò a Roberto, le piaceva molto, anche fisicamente, sentiva che era il corpo giusto per lei, insieme avrebbero fatto sesso sfrenato, non sesso porco, solo sfrenato, un sesso pieno di desiderio vero e di ricerca di completamento e già ne sentiva il calore, l’odore, il caldo delle lenzuola che sarebbero state. Santo Iddio, ma Valeria non era l’Emma Bovary di Flaubert, tantomeno l’Anna Karenina, non ne aveva la stoffa, ma quante volte, aprendo l’armadio le aveva trovate a turno, pronte ad entrare in lei, ben vestite, ben truccate e allegre: le sorridevano maliziosamente certe di trovare la terza, ma Valeria ogni volta era riuscita ad assumere un sorriso sardo- 136 nico e a sbattere loro le ante sulla faccia, solo così per un po’ se ne sarebbero state lì buone buone, a consolarsi l’un l’altra. Forse Emma aveva anche pianto per il comportamento di Valeria, chissà. Ciononostante, Valeria sentiva eccome le pulsioni in lei, pulsioni che non riusciva a soffocare completamente, la donna, la femmina, il mammifero e l’individuo, la stella che vuol rendersi conto di brillare veramente di luce propria, piano piano tutte queste sensazioni avevano preso contorni e consapevolezza e il primo passo era stato fatto. Intanto una decisione l’aveva presa, sarebbe andata a passeggio con Anna ed Emma, che liberazione. Mentre beata stava fantasticando, scegliendo a discapito degli abiti più austeri di Anna, quelli francesi dell’Ottocento con pizzi e merletti e un grande cappello in testa con tanto di fiocco che lo legava sotto il mento, entrò il marito: “Vestiti e fai veloce, Francesco è al pronto soccorso, è caduto in bicicletta mentre passava una macchina”. Valeria in un attimo si ritrovò nell’atrio delle scale e sulla strada e sulla macchina. Non pensava a niente, non riusciva, la testa se ne stava andando via, in altre dimensioni sconosciute. Il cervello non si faceva afferrare, come un motore che gira a vuoto facendo un rumore assordante. Entrarono insieme in ospedale, Fabio correva troppo veloce per riuscire a stargli dietro, ma finalmente arrivarono. La barella lasciata tra le altre sul lato del corridoio: “Ciao mamma” e il cuore di Valeria si ritrovò a battere nel corpo del suo piccolo. 137 Erano soli al mondo, lei, lui e nessuno. “Cos’è successo?” chiese Fabio. A lei non gliene fregava niente di quello che era successo, le interessava che il suo bambino fosse lì seduto a guardarla. “Mi bruciano le ginocchia e anche i gomiti, guarda qui che spelatura, mi fa un male bestia questa mano…” e fece un verso di estrema sofferenza strizzando gli occhi e inspirando dai denti la saliva. Arrivò il medico con le radiografie in mano, potevano stare tranquilli e portare Francesco a casa. Solo il quel momento Valeria notò il ragazzo che aveva investito suo figlio, se ne stava in disparte: “Mi dispiace molto, ma è sceso dal marciapiede con un impennata, ha perso l’equilibrio e non ho fatto in tempo a schivarlo.” “Sì, Riccardo, tutto bene, non si è rotto niente. Tra poco arriviamo.” Uscirono dal pronto soccorso, Fabio e Valeria sorreggevano Francesco, che faceva un sacco di versi esagerando un po’: del resto era giusto così, era il suo momento di popolarità, le attenzioni erano tutte per lui, quelle attenzioni che in ogni famiglia numerosa non è facile ottenere e impossibile mantenere. Fabio e Valeria si sorrisero. “Scampato pericolo?” chiese il ragazzino. “Già, scampato pericolo” gli risposero insieme i genitori. “Ma certe cose non si fanno” dissero Valeria e Fabio contemporaneamente, facendo combaciare parole, pause e tono. E risero di questo. 138 A casa ricostruirono la dinamica dell’incidente, ancora una volta la distrazione di Francesco aveva avuto la meglio. Valeria telefonò all’autista per rassicurarlo, non era successo niente e non avrebbero sporto alcuna denuncia, pur se con un minimo di riserva. Non c’era mai pace in quella famiglia, la Que Sabe l’aveva previsto? Certo che no, pensò Valeria, che si era sentita ributtata in famiglia, lontana da ogni proposito di indipendenza, lontana dal suo amico barbone che l’aveva fatta riflettere e lontana da Roberto, lontana da Maria, da Anna, dai bei cappellini di Emma e lontana persino da suo padre e da Colei che sa. “Ci penserò domani “ si disse, sfinita ma felice ringraziando il Padre. Si avvicinò ai suoi quattro ragazzi e uno per volta li baciò, prese poi il faccino segnato di Francesco tra le mani: “Che paura mi hai fatto prendere” e Francesco fece una smorfietta nella quale c’era certamente una sfumatura di soddisfazione. Forse la Vecchia Saggia sapeva. Sì, sapeva e guardava, guardava e sapeva. 139 L’esistenza umana è quindi la ricerca di questo lago a cui placare la sete. (John R.R.Tolkien) La vacanza venne rimandata a causa del polso ingessato di Francesco e delle medicazioni. Riccardo andò al mare con un amico, Alessandra con le amiche e Giovanni partecipò a un campo estivo. Una sera, mentre Fabio e Francesco stavano giocando a domino, Valeria si ritirò in camera e decise di telefonare a Roberto, chissà se era rimasto a Milano. Componendo il numero, sorrideva. Il poster appeso alla parete con l’immagine dei suoi figli anziché frenarla la rassicurava. Finì di comporre il numero e rimase ad ascoltare il suono del telefono, era convinta che ogni casa ne avesse uno. Roberto riusciva a metterle pace, anche se era un bel po’ arrogante e pieno di sé. Decisero di incontrarsi in centro per bere un caffè. 140 Si diressero verso Via Formentini, dove Roberto viveva, in una mansarda che usava anche da studio. Aveva fatto bene a indossare la biancheria intima migliore che avesse. Quelle culottes di seta bianca l’avrebbero fatto impazzire. Gli uomini amano le culottes. E quel reggiseno così delizioso. Per un momento davanti a lei la faccia di Riccardo: “Che cazzo stai facendo mamma?!” Grazie al cielo era solo fantasia. Mandò via l’immagine di suo figlio, il più rigido dei quattro, e riprese la sua bella paginetta romantica accanto a questo uomo bellissimo che stava per diventare il suo uomo. Il suo amante. Finalmente. Libera di amare, di essere se stessa fino in fondo. Di volare leggera e ritrovare gioia, felicità, entusiasmo, giocosità, passione. Amore. Quanti colori, pennelli, tele. Il letto pareva una cosa messa lì in più, in disordine e questo le fece venire voglia di andarsene via, odiava i letti sfatti, le sapevano di trascuratezza, sporco, inciviltà. Non c’era cucina, probabilmente usava mangiare fuori, consumava tra una pennellata e l’altra qualche pasto acquistato in gastronomia o gli portava su qualcosa la portinaia. “Roberto, che occhiata mi ha dato la portinaia mentre passavamo. È innamorata di te?” Già, per quello che ne sapeva lei tutto poteva essere. Di lui non sapeva proprio niente di niente ed era per questo che era decisissima ad andarci a letto, a fare di tutto e di più in quel letto, che se però fosse 141 stato in ordine e con lenzuola pulite le avrebbe mosso più erotismo. Lenzuola fresche di bucato o meglio ancora nuove, l’avrebbero soddisfatta maggiormente. Le parve strano non provare imbarazzo, era lì sola con un uomo, con ‘sto letto a disposizione, tranquilla e a suo agio, pronta. Stava bene ed era invaghita di lui. Perfetto! “Quanti anni hai? “ gli chiese. “Ne compio trentasette il mese prossimo” e Valeria pensò che avrebbe dovuto cominciare a pensare che regalo fargli. “Però, trentasette, una bella cifra, ne dimostri meno.” “Lo so.” Lui si sedette sullo sgabello e lei per non rimanere in piedi impalata, con noncuranza provò a sedersi sul letto, anche perché non c’erano altre sedie otre quello sgabello. Lui stava zitto, mentre lo sguardo di Valeria scorreva sui quadri appoggiati a terra. Improvvisamente fu attratta dal ritratto di un viso che le ricordava qualcuno, si alzò per avvicinarsi a guardarlo meglio, mise una mano sulla bocca per lo stupore; poi, appena si riprese chiese chi fosse. “Bella vero? È una mia carissima amica.” “Come si chiama?” “Maria, è una patologa neonatale della Mangiagalli.” Valeria restò senza fiato, sentì improvvisamente il sangue scorrere gelato. “Ma la conosci bene?” 142 “Dipende cosa intendi. Direi di sì, la conosco bene.” “Ma è una donna o un uomo?” “Credo tu abbia dei problemi di identità sessuale, tesoro mio, Maria non ha assolutamente tratti maschili” e nel frattempo verificava guardando il suo quadro “anzi, è molto ma molto femminile. Capisco che tu possa avere avuto delle perplessità sul volto di Fritza Riedler a Vienna, ma su Maria no.” “La conosci da molto?” “Da una vita, siamo stati fidanzatini quando avevamo un quindici anni.” “E per quanto tempo è continuata questa relazione?” “Non mi ricordo, si andava all’oratorio insieme. Qualche giorno, un mesetto, non saperi dire. È passato troppo tempo.” “Quindi non ci sei mai stato a letto?” “Non ti pare di essere inopportuna?” “Ti prego rispondimi, è fondamentale per me saperlo.” “Ti pare che io possa non essere andato a letto con una donna così?” “Non fare giri di parole, rispondimi.” “Perché lo vuoi sapere?” “Fidati di me, non è morbosità, ci sei andato a letto?” “Sì, ma molti anni dopo, una decina di anni fa all’incirca.” “È una donna?” “Tu sei pazza. Certo che è una donna.” A questo punto, Valeria si era convinta e, passando per una persona folle, cambiò di botto l’argomento. 143 “Che belle queste violette” gli disse avvicinandosi alla finestra. “Le ho prese in montagna, senti il profumo.” Cos’erano andati lì a fare, per fare quello che stavano facendo potevano fermarsi in un bar, sarebbe stato meglio, visto che aveva sete e non le offriva niente da bere. Prese una violetta dal piccolo bicchiere da liquore posto sul davanzale. “Posso portarmela a casa?” chiese educatamente. Roberto annuì, sorridendo, mentre la guardava divertito, chiedendosi, ancor più divertito, cosa dovesse fare con quella donna, che non c’entrava niente con tutte le altre donne al mondo. “Sai bell’uomo cosa ti voglio dire? Che ho messo delle culottes bianche, nuovissime perché dovevo incontrarti. E che il mio sogno erotico è da sempre quello di trovarmi nella soffitta di un pittore, Brera, Montmartre, e farci l’amore tra quadri e pennelli, con questo odore forte ed eccitante di trementina e di colori a olio.” Roberto scoppiò a ridere come un pazzo, era davvero la donna più divertente tra tutte quelle che si erano innamorate di lui. “Allora bella donna, se vuoi, ci siamo” disse indicando l’ambiente intorno con il mento. Mantenendo gambe e braccia incrociate: “La soffitta, Brera e la scenografia adatta ai tuoi sogni erotici. Se vuoi… io son qui.”. Lei lo guardò pensando che fosse scemo, che certe cose mica si chiedono, ma lui proseguì nell’arringa finale, quale poi si rivelò: 144 “Ma io, per te, voglio essere l’amichissimo, perché tu come amante saresti un casino, non reggeresti che per pochi mesi. Mi piaci. La tua testa ben fatta, il tuo modo di essere e di porti, la persona perbene che sei. Mi piace stare con te. Mi piaci molto, più di quanto io piaccia a te, credo. Ma tu, costi troppo.” “Ma certo pittore, va benissimo così. Cerchiamo di mettere il coperchio sul cestone dei desideri e restiamo amici. Ma ti avviso, finiremmo comunque in un letto prima o poi” e Valeria rise di gusto. Roberto, che non l’aveva mai sentita ridere fino a quel momento, la trovò bellissima, lui desiderava ardentemente solo una cosa: non perderla. Ma sapeva nel suo profondo che l’avrebbe persa, come si perde quello che è nostro, perché in quel momento sapeva che Valeria era sua, solo sua, lontana dalla sua casa, da suo marito e anche dai suoi figli. Avrebbe potuto raccoglierla a quell’angolo di strada in cui si trovava e tenerla per sempre con sé, ma sapeva che non sarebbe stata una storia facile. Lei era dolcissima, intelligente, la donna fatta su misura per lui, e lui quel giorno scelse di lasciarla andare. “Scrittrice, a malincuore, sarò per te la Durendal per Orlando, l’Excalibur per Artù “ e Valeria riscoppiò a ridere, ma c’era amarezza in quella risata “Presuntuoso.” “Posso esserlo.” Valeria allora non rise più, venne fuori la parte di lei che come una schiacciasassi passava sull’arroganza, sulla presunzione, sulla poca umiltà della gente: cominciò a guardarsi distrattamente in- 145 torno, trovò un pennello, lo prese e si avvicinò a una tela che stava ad asciugare; Roberto studiava con attenzione ogni movimento, notando la gonna che stringeva sul sedere e ne delineava la rotondità, immaginando le culottes bianche, al posto di quegli schifosi perizoma che mai gli erano piaciuti. Immaginando di giocare sulla seta con le sue grandi mani. Valeria si abbassò all’altezza del quadro e col pennello distese meglio lo sfondo, i colori. Lui guardava attonito senza riuscire neppure a dirle di non farlo e, finito di stendere il colore rovinando il quadro, si rialzò. “Non ho bisogno di nessuna spada e poi, se vogliamo essere precisi, fu la spada di Lancillotto e non quella di Re Artù a salvare Ginevra dall’infamia.” Si pulì le mani sulla gonna, imbrattandola di colore, prese la porta ed uscì, sporcando la maniglia, lasciando le sue impronte. Roberto rimase solo e senza parole, dopo un po’ prese a lavorare, alzò quel quadro, era bellissimo, sembrava una fotografia scattata da una vettura in corsa. Sorrise, sentiva Valeria pulsare forte dentro. Era cosciente di quanto i suoi rapporti con le donne fossero effimeri, si sentiva sempre coinvolto da principio e poi, ogni volta si stancava e allora, pianto e stridor di denti per le povere amanti. Valeria non vedeva l’ora di arrivare a casa, affrettò il passo. 146 Ogni spirito serenamente equilibrato dovrebbe rallegrarsi non tanto di sapere qualcosa chiaramente, quanto nel sentire che vi è dell’altro, in quantità infinita che non può comprendere. (John Ruskin) Lesse la targa d’ottone sulla porta, era nuova, FAMIGLIA ALESSI. “Ho una gran bella famiglia” pensò. Entrò in casa, il marito stava cucinando e sul tavolo vide una camicia con un bottone in fase di attaccamento, il filo lungo e l’ago persi nella stoffa. “Spiegami, Fabio.” “Cosa?” chiese lui affaccendato. “Spiegami di Maria, perché hai fatto tutto quella messa in scena, quella commedia. Non è un trans, dunque?” “Dunque?” “Non so. Sei tu che mi devi delle spiegazioni.” “Sentivo che ti stavamo perdendo e così ho chiesto aiuto a una collega.” “Devo avere dei momenti miei Fabio, solo questo. Voi invece, tutti, ogni volta trovate il modo per travolgermi, per risucchiarmi. Per stravolgermi la vita. 147 Non posso continuare in questo modo, tutta la mia vita dipende da voi, da come state, da ciò che fate, da come mi trattate. Basta una vostra gentilezza, una cortesia per sentirmi felice. Vi ho dato la mia vita e voi in cambio mi date noncuranza, preoccupazioni e anche dolore, sì Fabio, anche dolore.” “Guarda che ti capisco, infatti voglio che tu stia bene con noi. Io e i ragazzi siamo diventati le tue sbarre ma nessuno di noi vuole questo. Nessuno di noi ti vuole infelice. E su questo converrai.” “Non lo so. Giuro che non lo so. A volte sembra di sì. Ma spiegami, perché un trans? Come ti è venuta questa idea di dirmi del trans?” “Improvvisamente, mentre stavamo litigando, quel giorno del pugno” Fabio cercò lo sguardo che conosceva: “per rendere più credibile che fosse una menzogna quando te l’avrei confessata.” Valeria sentì una gran tenerezza per quell’uomo, il suo consorte, quello che divideva la sorte con lei, il suo socio al cinquanta per cento nella vita. No che non sarebbe mai diventato grande, ma in fondo era con lui che voleva continuare la sua vita. Non riuscì ad abbracciarlo e a dirgli i suoi pensieri, non era mai stata abile in questo. Il cane arrivò scodinzolando, la guardò con infinito amore e lei ricambiò abbassandosi a quell’altezza e coprendolo di carezze e baci. 148 Mamma è l’altro nome di Dio sulla bocca dei nostri figli (Da fonte sconosciuta) Ieri, Alessandra era a casa nostra, stava leggendo alla sua bambina un libro che leggevo sempre a lei quando era il mio cucciolo. “Guarda mamma, c’è una violetta secca” ha detto la piccola “e ha lasciato delle macchiette sulla pagina e ha cancellato un pochino la scritta. Che peccato. È un peccato vero mamma? Ma mamma ma che colore è?” “Color nostalgia” ha risposto mia figlia guardandomi. No, non esiste il colore della nostalgia. 149 INDICE 11 I 30 II 53 III 81 IV 87 V 95 VI 103 VII 116 VIII 128 IX 135 X 140 XI 147 XII 149 XIII Seconda Edizione Giugno 2009