Calvinismo, rivoluzione e radicalismo politico

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Calvinismo, rivoluzione e radicalismo politico
CULTURA,
CIVILTÀ
E
RELIGIOSITÀ
ipertesto
Calvinismo, rivoluzione
e radicalismo politico
F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010
Carlo II Stuart, figlio
del re decapitato nel
1649, fu richiamato
al potere dopo la morte
di Cromwell per
riportare la pace
in Inghilterra.
Gli avvenimenti inglesi
a cavallo della metà
del XVII secolo furono
un grande laboratorio
per la politica moderna:
le idee maturate in
quegli anni, infatti, non
andarono perdute ma
entrarono con forza
negli orientamenti
sociali e ideali dei secoli
successivi.
1
Calvinismo, rivoluzione e radicalismo politico
pare che il termine revolutio (derivato dal verbo revolvo) sia stato utilizzato per la prima
volta da sant’Agostino nella Città di Dio, composta tra il 413 e il 427. L’espressione, tuttavia, non era ancora applicata agli eventi politici, bensì alla concezione pitagorica della
trasmigrazione delle anime e, più in generale, al ciclo delle vicende umane e naturali. più
tardi, il termine fu usato da Dante e altri scrittori medievali, per descrivere il moto degli astri. Nel xvi secolo, Copernico confutò la concezione geocentrica, ma non rigettò
l’espressione ormai tradizionale utilizzata da tutti gli uomini dotti del suo tempo, che si
occupavano del moto dei corpi celesti. Anzi, il grande astronomo polacco intitolò proprio De revolutionibus orbium coelestium libri VI il suo capolavoro, che fu pubblicato postumo, nel 1543.
in italia, nel xiv secolo, il fiorentino Giovanni villani applicò precocemente il termine
volgare rivoluzione al mondo della politica; nel seicento, nella penisola, l’espressione era
ormai universalmente accettata e utilizzata nel senso di rivolgimento, cioè di radicale mutamento dell’assetto politico o del governo di uno stato. il termine, però, era ancora privo di significato progressivo, cioè di proiezione verso il futuro, verso una situazione nuova, ritenuta migliore del regime che veniva abbattuto e superato. pertanto, nel seicento inglese, in
un primo momento la parola revolution fu utilizzata per
indicare la restaurazione della monarchia nel 1660, e
non le vicende del vero e proprio processo rivoluzionario, designato piuttosto con espressioni dispregiative come guerra civile o grande ribellione.
Rivoluzione, dunque, a lungo ebbe un significato
molto simile a quello di riforma. entrambi i termini lasciavano trasparire una concezione premoderna, secondo la quale la perfezione si trovava nel passato, in un tempo remoto che poteva essere storico o addirittura mitico, ma che
comunque fungeva da elemento normativo, cioè
da punto di riferimento, in virtù della sua purezza o della sua giustizia. Lutero e gli altri riformatori non si presentavano come degli innovatori: anzi, gran parte del loro prestigio derivava
proprio dal fatto che proponevano un ritorno all’epoca perfetta e incontaminata della Chiesa delle origini. Allo stesso modo, in campo politico, la
maggior parte di coloro che, ai nostri occhi, appaiono come dei soggetti rivoluzionari, di fronte ai
propri contemporanei preferivano presentarsi come
i restauratori di un giusto regime che – funzionante nell’antichità – era stato cancellato e abolito in tempi successivi da usurpatori e tiranni. Così, mentre i Livellatori e vari altri sostenitori della repubblica giustificavano la
IPERTESTO A
La nascita graduale della terminologia politica
moderna
ipertesto
➔Il buon tempo
antico
UNITÀ VIII
➔L’idea di progresso
2
Calvinismo e rivoluzione
1
Riferimento
storiografico
pag. 7
LA RIVOLUZIONE INGLESE
loro opposizione a Carlo i e alla nobiltà, affermando che monarchia e feudalità erano inique
innovazioni introdotte dalla conquista normanna, gli scrittori che si posero a servizio di Carlo ii dichiararono che il ritorno degli stuart al potere poneva termine ad un lungo periodo
di caos e di follia, ripristinando il giusto ordine in Inghilterra.
Nel xvii secolo, chiunque facesse uso del termine rivoluzione contrapponeva un duro presente al buon tempo antico, che il gesto rivoluzionario si proponeva di riportare in vigore.
Nel caso della rivoluzione, si può dire che il significato più antico della parola – sinonimo,
in pratica, di orbita, di percorso circolare – per molto tempo non andò perduto: il gesto di
chi deponeva un tiranno era concepito come un ritorno alle origini, dopo che un ciclo si
era concluso ed una condizione positiva di partenza era stata finalmente ripristinata.
sotto questo profilo, la differenza tra la rivoluzione inglese del seicento e quella francese della fine del secolo seguente non potrebbe essere più netta e più marcata. Nel 1793,
infatti, a parigi fu introdotta una radicale riforma del calendario, che di fatto proclamava per l’umanità l’inizio di una nuova era. Non si guardava più al passato, ma al futuro,
in virtù di una nuova mentalità che in larga misura era frutto della rivoluzione scientifica introdotta da Galileo, obbligato a prendere atto degli errori della tradizione. per lo scienziato pisano, il passato remoto non poteva più essere in alcun modo un punto di riferimento: dal suo punto di vista, esso era solo una terra da abbandonare o un impaccio da
cui liberarsi, per guardare al futuro. introdotta in ambito scientifico, l’idea di progresso sarebbe poi stata ben presto trasferita a tutti gli altri campi dell’attività umana, e infine avrebbe investito la politica, dandole una nuova spinta propulsiva e trasformando il concetto
stesso di rivoluzione.
➔Medioevo: il potere
riguarda i principi
➔Concezione
individualistica
e verticistica
La nuova concezione progressista si precisò nel corso del settecento, per opera dell’illuminismo, un movimento decisamente critico nei confronti della tradizione e, quindi, spesso
polemico verso la superstizione, il dogmatismo e la religione. È molto problematico sostenere che il movimento riformatore sia stato un fattore determinante e decisivo, nella nascita
di questo nuovo spirito critico, animato dal razionalismo e più preoccupato della felicità umana sulla terra, piuttosto che della salvezza ultraterrena. Assai più convincente, invece, appare la tesi di quegli storici che insistono sul ruolo svolto dal calvinismo nella nascita del
radicalismo politico moderno, cioè nella genesi di una nuova mentalità rivoluzionaria (nel
senso moderno del termine) di una modalità di concepire l’azione politica, e più in generale la relazione tra governanti e governati, molto diversa rispetto al passato.
Nella concezione medievale, gli uomini comuni erano tendenzialmente inattivi e passivi,
in ambito politico; il governo era una faccenda che riguardava solo una piccola élite, comprendente il re (sovrano per grazia di Dio, e dunque responsabile solo di fronte a Lui del
proprio operato) e l’alta nobiltà. È vero che, nell’italia dei comuni e delle città, spesso incontriamo duri scontri politici e ribellioni; in linea di massima, però, si trattò di attività
molto diverse da quelle dell’età moderna, in quanto le fazioni si coagulavano intorno agli
interessi di una o più famiglie, e non in virtù di un’idea o di un progetto ideologico.
Lo scontro tra potere spirituale e temporale nacque dal tentativo del pontefice di sostituirsi
ai sovrani come soggetti di decisione politica, e solo in occasione della crociata si ebbe
un vasto sforzo di mobilitazione popolare, per altro diretta dal clero. per il resto, in linea
di massima, nel Medioevo l’azione politica d’opposizione si espresse nella cospirazione e
nell’assassinio politico (se condotta da soggetti di alto livello sociale), oppure nella rivolta
disorganizzata e disperata, da parte dei contadini o dei ceti più poveri delle città.
Nel Cinquecento, Machiavelli ebbe il coraggio di laicizzare il potere e di concepirlo come
una faccenda puramente umana, come uno scontro tutto mondano e terreno, in cui la
forza e l’astuzia contavano ben più della giustizia; eppure, per lo meno nel Principe, la gestione del potere e la lotta per conservarlo non riguarda i cittadini (o meglio, i sudditi), ma solo il governante, che in pratica si comporta da individuo in competizione con
altri singoli soggetti, siano essi suoi pari (cioè principi come lui) o suoi subordinati.
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ipertesto
➔Uomini senza
padrone
➔Determinazione
e tenacia
IPERTESTO A
A questa concezione individualistica e verticistica della politica, il calvinismo contrappose
per la prima volta una nuova modalità di azione e di organizzazione. innanzi tutto, i seguaci della riforma che andava diffondendosi da Ginevra si organizzarono in
gruppi di resistenza o di pressione, determinati a riorganizzare la società e lo stato secondo precisi progetti, che a loro giudizio coincidevano con la volontà di Dio espressa nella Bibbia. in virtù dell’elezione divina, i calvinisti consideravano se stessi come
dei santi, predestinati alla futura salvezza eterna; ma, in questo mondo, essi pensavano di dover essere soggetti attivi, dei protagonisti dello scontro politico, e non dei semplici sudditi chiamati sempre e comunque ad obbedire alla volontà del principe. A maggior ragione, era respinto come assurdo il parallelo che frequentemente veniva istituito tra il re e il padre di famiglia, alla cui autorità i sudditi dovevano obbedienza,
nella loro qualità di figli devoti e rispettosi. La famiglia, così cara agli uomini del Medioevo, passava in secondo piano, agli occhi dei calvinisti, che ora trovavano i propri
fratelli solo nei compagni di fede.
Uomini liberi da qualsiasi vincolo familiare o gerarchico (uomini senza padrone, li chiamò
il filosofo inglese omas Hobbes), i calvinisti si aggregarono in nome di un progetto comune di radicale riorganizzazione della società. Nel Cinquecento e nel seicento, tale progetto è ancora espresso in termini e categorie religiose, ma può essere considerato come il prototipo delle grandi aggregazioni ideologiche rivoluzionarie del settecento, dell’ottocento e del Novecento. in comune con i giacobini della rivoluzione francese, e forse, ancor più, con i bolscevichi guidati da Lenin (di cui, secondo alcuni studiosi,
i calvinisti sono i prototipi), i santi rivoluzionari riformati hanno la determinazione, la
passione, la tenacia e la disciplina. L’inflessibilità delle loro convinzioni e la sistematicità
dei loro sforzi rende queste nuove ribellioni molto più difficili da domare, rispetto alle
rivolte contadine o cittadine dettate solo dalla miseria e dalla disperazione, cioè non sostenute da una precisa certezza (religiosa, nel Cinque-seicento, ideologica nei secoli seguenti).
DALLA POLITICA DEL PRINCIPE ALLE MODERNE AGGREGAZIONI RIVOLUZIONARIE
Situazione premoderna
(Medioevo)
Innovazioni introdotte
dai calvinisti (secoli XVI-XVII)
Innovazioni introdotte
dai rivoluzionari
dei secoli XVIII-XX
Concezione verticistica
della politica
Nascita di gruppi organizzati
di opposizione politica
Sviluppo di gruppi organizzati
di opposizione politica
Esortazione rivolta ai sudditi
in direzione della passività
e dell’obbedienza
Presentazione della rivolta
come comportamento legittimo
e doveroso
Presentazione della rivolta
come comportamento legittimo
e doveroso
Centralità della famiglia come
fattore di aggregazione politica
Religione come nuovo fattore
di aggregazione politica
Ideologia come nuovo fattore
di aggregazione politica
Rivolte disorganizzate,
dettate principalmente
dalla miseria e dalla disperazione
Ribellioni accompagnate
dalla volontà di riorganizzare
l’intera società secondo
un progetto divino
Rivoluzioni dettate dalla volontà
di riorganizzare l’intera società
secondo un progetto ideologico
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Calvinismo, rivoluzione e radicalismo politico
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ipertesto
Ugonotti e puritani a confronto
2
Riferimento
storiografico
pag. 9
➔Nobiltà feudale
francese
i calvinisti furono protagonisti di violenti conflitti politici nei paesi Bassi, in Francia
e in inghilterra. i puritani inglesi, tuttavia, furono molto più coerenti e radicali dei ribelli olandesi e degli ugonotti francesi. sul continente, infatti, molti di coloro che combatterono in nome della riforma giunsero a quella scelta solo per esclusione, cioè per
il fatto che si erano schierati contro il re di spagna (nei paesi Bassi) o contro i Guisa
(il più potente casato cattolico francese). inoltre, soprattutto in Francia, il calvinismo
si diffuse in modo capillare tra le grandi famiglie nobiliari, che non rinunciarono mai
alla guida del movimento protestante, a un tempo politico e religioso. La loro opposizione al sovrano non nasceva da una scelta di principio, o da un giudizio di valore sulla monarchia, direttamente collegati al loro nuovo credo. piuttosto, era una resisten-
UNITÀ VIII
Il radicalismo politico e religioso dei puritani
LA RIVOLUZIONE INGLESE
4
DOCUMENTI
Il passo seguente è tratto da un sermone che il pastore Thomas Mockey pronunciò a Londra nell’agosto 1642. Il testo è un tipico saggio di eloquenza calvinista radicale. L’Inghilterra è paragonata al
regno di Israele che, al tempo del re Achab e della regina Iesabel, era caduto nell’idolatria; di conseguenza, tematiche religiose e proposte politiche si mescolano e si alternano, senza soluzione di continuità. Il sermone è diretto ai deputati della Camera dei Comuni.
Vi sono altri problemi che molte migliaia di cittadini desiderano vedere risolti e che affidano alla vostra saggezza perché provveda anche alla loro soluzione. Innanzitutto, occorre
allontanare ministri incapaci e indegni, e sostituirli, in ogni congregazione, con pastori efficienti, pii, nonché provvedere alle loro necessità, giacché molti di loro, soprattutto in questi tempi tristi, si trovano a soffrire nelle ristrettezze, dovute anche alla loro mancanza di intraprendenza in questa sfera. Dovrete provvedere che i preti cattolici e i gesuiti siano
cacciati dall’Inghilterra; che i papisti non siano autorizzati a possedere armi, che i più autorevoli di loro siano posti sotto sorveglianza e che siano obbligati a osservare le leggi. Coloro che si sono macchiati di colpe nei confronti della chiesa e dello stato, chiunque siano,
gli Achab che si oppongono ai tentativi di Giosuè e di Israele, siano puniti come meritano
le loro colpe. L’idolatria e la superstizione, e soprattutto la messa cattolica, degna di ogni
biasimo, siano sradicate da questa nazione, perché non potrà esservi pace fino a quando
rimarrà presso di noi la prostituzione di Iesabel.
Vogliamo che i cattivi consiglieri, coloro che suscitano e fomentano i torbidi, che vogliono
che il re sia tenuto lontano dal Parlamento (cosa che tutti i buoni sudditi non possono sentire senza gravi preoccupazioni) siano allontanati dalla sua persona. Si ponga immediatamente rimedio alla triste situazione dell’Irlanda, inviandole soccorsi: colà, come da noi, il sangue di molte migliaia di cittadini supplica il cielo chiedendo vendetta e implorando aiuto da
voi contro la forza del nemico. Bisogna che sia ristabilita la pace nel regno, che siano riconfermati i poteri e le prerogative del Parlamento, che siano assicurati la libertà e i diritti dei
cittadini. Posti di responsabilità dovranno essere affidati a persone degne, in modo che il
commercio sia riattivato per sovvenire alle necessità di migliaia di persone che languiscono
nella povertà. La benedetta opera della Riforma dovrà essere continuata con tutto l’impegno possibile, e portata a compimento. Le pratiche religiose superflue e le cerimonie dovranno essere abolite. La gerarchia ecclesiastica, quando si sarà dimostrato che è alla radice di molta parte del male della chiesa e dello stato, dovrà essere abolita, per cedere il Quali pratiche
posto a una forma di governo della chiesa conforme alla parola divina. Si ponga cura che i
religiose sono
sacramenti non vengano profanati da persone indegne, e tutti i cittadini privi delle nozioni
bollate con l’epiteto
necessarie dovranno essere istruiti nei dogmi fondamentali della vera religione protestante.
di idolatria e
I quadri di contenuto lascivo, le raffigurazioni, i cimeli e le reliquie dell’idolatria e della susuperstizione?
perstizione – e soprattutto i crocifissi sulle strade di campagna – dovranno essere eliminati,
Quale
anche in base a una disposizione in tal senso emanata dalla regina Elisabetta, in quanto
provvedimento
causa di superstizione, soprattutto, a motivo dell’ignoranza di molti, che ha occasione di riviene chiesto per i
velarsi in queste contrade in maniera particolare in occasione dei funerali.
vescovi della Chiesa
U. BoNANte, I puritani. I soldati della Bibbia, einaudi, torino 1975, pp. 94-96
anglicana?
F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010
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ipertesto
5
➔Esuli mariani
inglesi
➔Un modello
politico nuovo
Calvinismo, rivoluzione e radicalismo politico
za di tipo medievale, feudale, più simile all’opposizione dei baroni inglesi al tempo della Magna Charta, che alla politica radicale che, nel seicento, avrebbero adottato i puritani. i nobili ugonotti francesi rifiutavano gli sforzi centralizzatori della monarchia
e i suoi tentativi di rafforzare l’autorità regia, ma si appellavano alla tradizione e alla consuetudine, più che alla parola di Dio; in linea di principio, presentarono la loro guerra come un’azione puramente difensiva (contro l’arroganza dei Guisa o contro la tirannia
dei sovrani, che volevano trasformarsi in signori assoluti), non come un progetto rivoluzionario.
il discorso è molto diverso per i puritani inglesi, che forgiarono il loro pensiero in esilio
o in situazione di marginalità. in effetti, negli anni 1553-1558, Maria tudor (figlia di enrico viii) aveva tentato di restaurare il cattolicesimo in inghilterra e obbligato tutti i pastori calvinisti (primo fra tutti John Knox, il futuro riformatore della scozia) a emigrare
sul continente. i toni degli scritti di questi esuli mariani furono fin dall’inizio duri e sprezzanti nei confronti sia della regina in carica (cattolica) sia della Chiesa anglicana creata
da enrico viii e rilanciata come istituzione di stato da elisabetta, al momento della sua
ascesa al trono nel 1558. Certo, la nuova sovrana era giudicata migliore di Maria, bollata da epiteti sprezzanti come papista e sanguinaria. tuttavia questi esuli, sia durante la loro
permanenza a Ginevra sia dopo il loro rientro in patria (a partire dal 1558), sganciati dai
numerosi legami sociali che resero assai moderati i nobili olandesi o francesi, amarono presentarsi come dei messaggeri di Dio, simili ai profeti dell’Antico Testamento, inviati dal
signore per rimproverare l’idolatria degli israeliti. Maria la cattolica, elisabetta e, più tardi, Giacomo i furono spesso attaccati con enfasi e con passione: nei loro confronti non
c’era più alcun rispetto. Dato che i sovrani erano guardati come puri strumenti del demonio, non si pensò più di restaurare un sistema politico tradizionale, che il re aveva temporaneamente violato; al contrario, l’obiettivo divenne la costruzione di un nuovo e puro regno dei santi, sottomesso a Dio e alla sua volontà, privo di qualsiasi aggancio
con la tradizione. Come ha scritto lo storico americano M. Walzer, «questa non era una
lotta puramente difensiva; la denuncia del mondo da parte del profeta rendeva irrilevante
la difesa: che cosa era rimasto che potesse venir legittimamente difeso? il profeta aveva
invece preparato la scena per la trasformazione, per un attacco decisivo contro satana, per
imporre un nuovo ordine al mondo corrotto».
IPERTESTO A
Il pastore calvinista John
Knox in un dipinto
del XIX secolo.
ipertesto
Verso la rivoluzione
UNITÀ VIII
Negli anni precedenti l’inizio della guerra civile, il contrasto esploso in inghilterra tra
monarchia e parlamento può essere almeno in parte considerato come una vicenda simile a quella continentale: da una parte, il duro confronto istituzionale assomiglia alla
lotta dei nobili ugonotti e olandesi contro la centralizzazione del potere, mentre dall’altra prefigura il rifiuto dell’assolutismo che avrebbe trovato uno dei suoi più chiari
episodi simbolici nella presa della Bastiglia. tuttavia, c’è una radicale differenza tra la
rivoluzione inglese del seicento e quella francese di un secolo e mezzo più tardi. infatti,
il grande movimento che esplose nel 1789 fu portato avanti in nome dei diritti dell’uomo
e del cittadino. La rivoluzione degli anni 1640-1660, invece, trovò alcuni dei suoi più
determinati sostenitori in uomini che non avevano a cuore in primo luogo i diritti umani o quelli della nazione, bensì i doveri nei confronti di Dio e la sua volontà. Fu in nome
di questa fondamentale istanza trascendente che si mossero i più ardenti tra i puritani,
determinati a combattere una monarchia e una Chiesa di stato che giudicavano demoniaca
e anticristiana.
rispetto al Cinquecento, incontriamo tra i puritani un’importantissima novità. Nel
xvi secolo, la maggior parte degli intellettuali calvinisti intransigenti inglesi era formata
da pastori (ministers) autodidatti. Nel Seicento, invece, crebbe rapidamente il numero dei laici devoti e ferventi; spesso, si trattava di studenti che frequentavano le prestigiose università di oxford e di Cambridge (si pensi a John Milton e a oliver Cromwell).
tra il 1629 e il 1640, quando i sovrani stuart perseguitarono il calvinismo, fra i 20 000
puritani che di nuovo (come al tempo della regina cattolica Maria) si diedero all’esilio,
troviamo un centinaio di intellettuali che avevano frequentato Cambridge e 32 che si erano formati a oxford.
il disprezzo nutrito da questi uomini verso la loro patria era identico a quello nutrito verso l’inghilterra dai loro predecessori. tuttavia, a differenza dei profeti-pastori del Cinquecento, i nuovi puritani laici decisero di non limitarsi alla denuncia, ma di passare all’azione. Ai loro occhi, la figura del re non aveva nulla di venerabile o di intoccabile; nella loro concezione, il cosmo, la natura e la società umana non erano un sistema armonico, basato su una serie di precise gerarchie, comprendenti gli angeli, il papa e il re, nei con-
LA RIVOLUZIONE INGLESE
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Lo scrittore inglese
John Milton
a colloquio con Oliver
Cromwell, in un dipinto
del 1872. I due furono
protagonisti indiscussi
della scena politica e
culturale inglese del
Seiecento.
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Riferimenti storiografici
1
Calvinismo e moderna mentalità critica
Il calvinismo svolse una straordinaria funzione storica in campo politico, al punto che gran parte degli sviluppi rivoluzionari moderni può essere considerata come un effetto di lunga durata delle
rivolte riformate e, soprattutto, della grande rivoluzione puritana inglese del Seicento. Secondo vari
storici, tuttavia, questo radicalismo politico non può essere automaticamente considerato come fondante anche della nuova mentalità illuminata e critica che si diffuse in Europa a partire dal tardo Seicento. Anzi, al contrario, il calvinismo spesso fu rigido e dogmatico, nel suo modo di avvicinarsi alla
realtà ed alla cultura.
È opinione comune che le origini della rivoluzione culturale dell’Europa moderna, non
meno che quella industriale, vadano cercate nella Riforma religiosa del XVI secolo, e che i
riformatori protestanti, vuoi direttamente con la loro teologia, vuoi indirettamente con le strutture sociali da essi create, abbiano spianato il cammino alla scienza e alla filosofia nuove del
XVII secolo, e in tal modo abbiano preparato la strada alla trasformazione del mondo. Senza
la Riforma protestante del XVI secolo, si sostiene, non ci sarebbe stato l’Illuminismo nel XVII:
senza Calvino non ci sarebbe stato Voltaire. […] La nuova scienza, la nuova filosofia, la nuova
storiografia, la nuova economia furono tutte opera dei protestanti radicali, tanto più progressivi quanto più erano radicali; e un eminente storico moderno non marxista, recensendo
una storia della Scozia moderna, può osservare incidentalmente, come se fosse una verità
lapalissiana che non ha bisogno di dimostrazione, che l’Illuminismo scozzese del XVIII secolo
e l’industrializzazione scozzese del XIX sarebbero stati inconcepibili in un paese episcopaliano [un paese la cui Chiesa fosse stata retta da vescovi, secondo il modello anglicano,
n.d.r.]. Quanto sarebbe semplice la storia se potessimo accettare questi comodi e approssimativi parametri di giudizio. Ma, purtroppo, non mi è possibile accettarli. È vero che la
nuova filosofia si affermò in Inghilterra verso la metà del Seicento, ed è anche vero che la
Scozia era presbiteriana nel Seicento e illuminista nel Settecento, ma prima di giungere alla
conclusione che un fatto discende dall’altro, che il post hoc si identifica con il propter hoc
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ipertesto
IPERTESTO A
7
Calvinismo, rivoluzione e radicalismo politico
fronti dei quali bisognava provare lo stesso rispetto che i figli devono al padre. tutto, nella loro logica semplice e rigorosa, era sottomesso a Dio, che non tollerava altre figure che
potessero oscurare anche solo minimamente la sua signoria.
il mondo non era un complesso retto dall’armonia, ma un caos brutale dominato da satana e da uomini decaduti e peccatori. Non c’era nulla da restaurare e da conservare: c’era solo da costruire da zero, da imporre l’ordine di Dio sulla terra.
I puritani si concepivano come gli eletti di Dio, scelti da Lui per questo fine; rigenerati dalla grazia, per mezzo della sua forza erano in grado di osservare i comandi della legge divina e di assumere con zelo la responsabilità di ricostruire l’intera struttura religiosa, sociale e politica, per renderla conforme ai precetti del signore. A livello simbolico, il
gesto più eloquente divenne pertanto il patto: una solenne dichiarazione pubblica con cui
un gruppo di eletti dichiarava di votarsi completamente alla lotta per il trionfo della volontà divina, contando non sulle proprie energie, ma sulla forza della grazia. Un’opposizione che muoveva da queste basi era molto difficile da pacificare; con chi ragionava in
questi termini, era pressoché impossibile trovare un accordo di negoziato e di compromesso. viceversa, i puritani non si sarebbero fermati davanti a nulla: non solo davanti all’uccisione del re, ma neppure di fronte al massacro degli insorti irlandesi, giudicati strumenti del demonio.
per certi versi, il radicalismo puritano assomiglia all’estremismo millenarista dei taboriti
e degli anabattisti; insieme a questi ultimi, pare legittimo individuare nei calvinisti più
intransigenti della rivoluzione inglese gli antesignani dei bolscevichi e di altri movimenti
estremi che hanno sconvolto il xx secolo, nella convinzione di essere pienamente legittimati a costruire su basi nuove un mondo affatto diverso da quello corrotto che finalmente
veniva cancellato e distrutto.
ipertesto
UNITÀ VIII
LA RIVOLUZIONE INGLESE
8
Ritratto del filosofo
inglese Francesco
Bacone.
[che un fenomeno verificatosi dopo un altro è
stato causato dal primo, per il solo fatto di essere
cronologicamente in successione ad esso,
n.d.r.], è essenziale sottoporre a verifica i nessi
dell’argomentazione. È davvero evidente che la
nuova filosofia non avrebbe trionfato in Inghilterra
dopo il 1650 se Carlo I avesse continuato a regnare? È davvero certo che la Scozia sarebbe rimasta arretrata, persino nel Settecento, se la
sua Chiesa avesse continuato ad essere governata da vescovi, come al tempo di Carlo I e di
Carlo II? […] Agli occhi di Bacone [Francesco Bacone, filosofo inglese vissuto tra il 1561 e il 1626,
n.d.r.], il regno di Giacomo I in Inghilterra appariva coincidere con un Rinascimento europeo
paragonabile soltanto con l’età dell’oro della Grecia e di Roma. Era un periodo in cui la letteratura
antica era stata riportata in vita, «le controversie
religiose che hanno tanto distratto gli uomini da
altre scienze» si erano fortunatamente spente, e
la pace, le scoperte geografiche e la nascita dell’arte della stampa avevano aperto prospettive di
progresso senza limiti. «Indubbiamente – scrisse
Bacone – quando considero la situazione esistente in questi tempi, in cui la cultura ha fatto la
sua terza visitazione, non posso non essere certo
che questo terzo periodo supererà di gran lunga
quello della cultura greca e romana, se soltanto
gli uomini sapranno valutare la loro forza e la
loro debolezza e comunicarsi reciprocamente la
luce dell’ingegno e non il fuoco del conflitto». Purtroppo, mentre la vita di Bacone stava per
spegnersi, il fuoco del conflitto divampò di nuovo. […]
A coloro i quali sostengono che le idee dell’Illuminismo europeo vennero forgiate nel fuoco
della rivoluzione ideologica e della guerra civile, si può rispondere – e gli illuministi lo avrebbero risposto essi stessi – che, al contrario, quelle idee vennero elaborate in momenti di pace
e di rapprochement [pacificazione, dialogo, n.d.r.] ideologico e che il loro sviluppo venne fermato o ritardato, non certo favorito, dai periodi intermedi di rivoluzione. La rivoluzione può
aver spostato il rapporto di forze politico o sociale, può essere stata necessaria, qua e là,
per salvaguardare le basi del progresso intellettuale. Questa è un’altra questione. Ma, sulla
sostanza stessa del pensiero, la rivoluzione non ebbe alcun effetto diretto riconoscibile. Le
nuove idee che vennero accumulandosi attraverso strade tortuose nel corso di due secoli
e che, alla fine, demolirono le vecchie ortodossie europee, nacquero, non tra le fiamme della
guerra o le lacerazioni dei conflitti civili – fiamme e lacerazioni che non suscitano un pensiero
nuovo ma, semmai, risospingono gli uomini su posizioni tradizionali, difensive, inducendoli
a ripetere vecchi slogan – bensì nel mite tepore della pace, nel cortese rapporto di una discussione internazionale libera e rispettosa.
Dov’è mai dunque il ruolo svolto dal calvinismo: quel calvinismo, quel protestantesimo
radicale al quale si è voluto attribuire tanta importanza e che, l’ho ammesso, può vantare
qualche titolo? La risposta immediata è chiara. Non uno solo dei filosofi ai quali gli illuministi si richiamavano […] era un calvinista ortodosso. La dottrina di Calvino, per quanto possiamo vedere, non esercitò alcuna influenza diretta sulle idee matrici dell’Illuminismo.
Quale che sia il debito contratto dai filosofi settecenteschi verso le città, le università, le società calviniste, dobbiamo ancora scoprire la prova di un loro debito verso le Chiese o le
idee calviniste.
H. trevor-roper, Protestantesimo e trasformazione sociale, Laterza,
roma-Bari 1975, pp. 241-243, 250-251, trad. it. L. trevisANi
Secondo F. Bacone, che effetti negativi hanno avuto le controversie religiose?
Secondo H. Trevor-Roper, «fiamme e lacerazioni non suscitano un pensiero nuovo».
Anzi, che effetti negativi hanno provocato?
Quali momenti storici si sono rivelati più propizi per il progresso del pensiero europeo
in direzione dell’Illuminismo?
F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010
Calvinismo, liberalismo e politica radicale
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Calvinismo, rivoluzione e radicalismo politico
Che cosa stava dietro alla guerra dei santi? Due cose soprattutto: un violento antagonismo contro il mondo tradizionale e i modelli prevalenti di rapporti umani, e un’acuta e forse
irrealistica ansia per la malvagità umana e i pericoli del disordine sociale. I santi cercarono
di porre saldamente sul collo di tutta l’umanità il giogo di una nuova disciplina politica: impersonale e ideologica, non fondata sulla fedeltà o sul sentimento, non più aperta alla spontaneità di quanto lo fosse al caos e al crimine. Questa disciplina non doveva dipendere dall’autorità paternalistica dei re o dei signori, o dall’obbedienza di sudditi infantili e fiduciosi. I
puritani cercarono di renderla volontaria, come il contratto stesso, oggetto di una ostinazione
individuale e collettiva. Ma, volontaria o no, il suo tratto dominante era la repressione. Anche il liberalismo richiedeva tale sottomissione volontaria e autocontrollo, ma, in netto contrasto col puritanesimo, la sua politica era modellata da una straordinaria fiducia nella possibilità di acquisirli entrambi, da un saldo senso della ragionevolezza umana e della relativa
facilità con cui si poteva ottenere l’ordine. La fiducia liberale rendeva non necessarie la repressione e la lotta incessante contro il peccato; tendeva anche a rendere invisibile l’autocontrollo, cioè a dimenticare la sua dolorosa storia [gli sforzi che sono necessari per raggiungerlo, n.d.r.], e a presumerne ingenuamente l’esistenza. Il risultato fu che il liberalismo
non creò l’autocontrollo che richiedeva. Lo stato lockiano non era una istituzione disciplinata come la repubblica dei santi calvinista, ma si fondava piuttosto sulla presunta virtù politica dei suoi cittadini. Una delle tesi principali di questa conclusione è che […] i puritani conoscevano bene la peccaminosità umana e che Locke non aveva bisogno di conoscerla.
Questo riflette indubbiamente non soltanto temperamenti diversi, ma anche
esperienze diverse. L’esistenza stessa e la diffusione del puritanesimo negli anni precedenti la Rivoluzione dimostrano la presenza nella società
inglese di un acuto timore del disordine e della malvagità: un timore,
si è affermato prima, che era al servizio della trasformazione del
vecchio ordine politico e sociale. Il trionfo delle idee di Locke, d’altra parte, conferma il superamento dell’ansia, la comparsa di
santi e di cittadini per i quali il peccato non è più un problema.
La lotta contro il vecchio ordine sembrava ampiamente
vinta al tempo di Locke, e l’eccitazione, la confusione e i timori di quella lotta erano quasi dimenticati. I liberali lockiani
ritennero possibile fare a meno dei controlli religiosi, e anche
ideologici, nella società umana e considerarono scarsamente
attraenti l’entusiasmo e l’esser sempre pronti al combattimento. Ma questo soltanto perché tali controlli erano già stati
impiantati negli uomini. In un certo senso, quindi, il liberalismo
dipendeva dall’esistenza dei santi, di persone, cioè, sul cui
buon comportamento si poteva fare affidamento. Nel medesimo tempo, il carattere secolare e cortese del liberalismo fu determinato dal fatto che questi erano santi la cui bontà (socievolezza, decoro morale, o semplice rispettabilità) era autogarantita
e tranquilla, libera dall’atteggiamento inquieto e fanatico della devozione calvinista.
È dunque questa la relazione del puritanesimo col mondo liberale:
forse è un rapporto di preparazione storica, ma assolutamente non un
contributo teorico. In realtà vi era molto da dimenticare e molto da lasciar cadere
prima che il santo potesse diventare un borghese liberale. Durante il grande periodo creativo del puritanesimo inglese la fede dei santi e la tollerante ragionevolezza dei liberali avevano poco in comune. […] Quando gli esseri umani cessarono di avere paura, o ne ebbero
meno, il puritanesimo divenne improvvisamente irrilevante. Alcuni elementi particolari del
sistema puritano vennero trasformati in modo da adattarsi alla nuova routine, altri elementi
furono dimenticati. Solo allora il santo divenne un uomo dalla condotta irreprensibile, prudente, rispettabile, mosso soltanto da un’ansia di routine e pronto a partecipare ad una società lockiana.
IPERTESTO A
Il puritanesimo svolse un ruolo importantissimo nella storia delle ideologie politiche in Europa. Tuttavia, esso non contribuì tanto allo sviluppo del liberalismo (elaborato a fine Seicento da John Locke,
che del calvinismo abbandonò il tradizionale pessimismo antropologico), bensì costituì il modello seguito più tardi dai movimenti radicali, determinati a cambiare l’assetto politico-sociale dei diversi Paesi (Francia, a fine Settecento, Russia, nel 1917 ecc.) in cui di volta in volta essi riuscirono a organizzarsi.
Ritratto di John Locke,
filosofo e uomo politico
inglese.
ipertesto
UNITÀ VIII
LA RIVOLUZIONE INGLESE
10
È ora possibile esporre un modello di politica radicale basato sulla storia dei puritani inglesi e sviluppato, almeno in parte, nei loro stessi termini. Tale modello può servire a rivelare gli aspetti cruciali del radicalismo in quanto fenomeni storici generali e a rendere possibile un paragone più sistematico tra puritani, giacobini e bolscevichi (e forse altri gruppi
ancora) di quanto non si sia cercato di fare finora.
1) Ad un certo punto nella transizione dall’una o dall’altra forma di società tradizionale
(feudale, gerarchica, patriarcale, corporativa) all’una od altra forma di società moderna, fa
la sua comparsa una squadra di estranei o diversi, che si considerano uomini eletti, santi e
che cercano un nuovo ordine e una disciplina impersonale e ideologica.
2) Questi uomini si distinguono dai loro simili per una straordinaria sicurezza di sé e audacia. […] In mezzo alla confusione del periodo di transizione, scoprono in se stessi una predestinazione, un senso saldo e non deviante dei loro scopi, la sicurezza del trionfo finale.
3) La squadra degli eletti affronta il mondo esistente come se fosse in guerra. i suoi membri interpretano gli sforzi e le tensioni del cambiamento sociale in termini di conflitto e di contesa. I santi percepiscono l’ostilità che monta tutto intorno a loro e si allenano e si preparano di conseguenza. Vigilano e calcolano continuamente le loro possibilità.
4) L’organizzazione degli eletti indica la natura del nuovo ordine a cui tendono, ma riflette
anche le necessità della lotta presente. Gli uomini aderiscono alla squadra sottoscrivendo
un patto che testimonia della loro fede. Il loro nuovo impegno è formale, impersonale e ideologico; esige che abbandonino le vecchie fedeltà non fondate sul giudizio e sulla volontà:
fedeltà alla famiglia, alla corporazione, al luogo di residenza, e anche al signore e al re. […]
La squadra degli eletti rimane esclusiva e di piccole dimensioni; ciascuno dei suoi membri
è dotato di elevate virtù e di autodisciplina. Anche dopo essere stati accettati come santi,
devono ancora dimostrare la loro pietas in ogni occasione possibile. Sono soggetti ad esame
e così, come una volta avrebbero potuto essere respinti, possono sempre essere purificati.
La tensione pia che i santi mantengono è quindi in vivo contrasto con l’apatia dei mondani,
sicuri e a loro agio nelle loro usanze e tradizioni. Entro la squadra degli eletti tutti gli uomini
sono uguali. La condizione sociale conta poco. I membri vengono misurati in base alla loro
pietas e al contributo che possono dare all’opera in corso.
5) L’esercizio della santità produce un nuovo tipo di politica. […] L’attività dei santi è metodica e sistematica. La politica diventa una specie di lavoro, e si chiede agli eletti di impegnarvisi per lunghi periodi di tempo. Sul lavoro devono reprimere tutti i sentimenti puramente
personali e comportarsi in modo disciplinato. Devono imparare a essere pazienti e a preoccuparsi dei dettagli. Soprattutto, devono lavorare duramente e con regolarità.
M. WALzer, La rivoluzione dei santi. Il puritanesimo alle origini del radicalismo politico, Claudiana, torino
1996, pp. 338-340, 353-355, trad. it. M. sBAFFi GirArDet
Spiega il significato delle seguenti espressioni, utilizzate per definire la nuova disciplina politica
tipica dei puritani: «impersonale e ideologica, non fondata sulla fedeltà o sul sentimento».
Quale rapporto esiste tra puritanesimo e liberalismo?
Quali dimensioni ha l’organizzazione radicale (il partito, in termini moderni)? È una
organizzazione politica di massa o di élite? Quali rischi comporta un’impostazione di questo
genere?
F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010