Prolusione ai Corsi - Universita` degli Studi di Messina
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Prolusione ai Corsi - Universita` degli Studi di Messina
Prolusione ai Corsi “L’ ORIGINE È LA DI S AN R AINERI MÈTA : RIPENSARE LA PENISOLA PER RIPROGETTARE P ROF. N ICOL A A RICÒ M ESSINA” Inaugurazione dell’Anno Accademico 2016-2017 Il logo dell’Università degli Studi di Messina raffigura un “atollo mediterraneo”. Nel 1929, in pieno ventennio, il Rettore Onorevole Professore Commendatore Gaetano Vinci – si legge nell’«Annuario della Regia Università di Messina per l’anno accademico 1928-29» – ha riconosciuto la opportunità di sostituire all’antico Diploma di Laurea di questa Regia Università, nel quale la parte decorativa era molto meschina e lo stemma dello Stato era quello in uso anteriormente all’avvento del Regime fascista, un nuovo Diploma di Laurea che non solo fosse degno dell’Ateneo, dal lato artistico, ma che rispecchiasse anche il carattere regionale siculo-calabro dell’Università. A tale scopo il Rettorato ha creduto necessario commettere ad un valente artista messinese, il Signor Santo Zanghì, l’esecuLogo attuale dell’Università degli zione di un bozzetto per la nuova Laurea, dandogli le opportune Studi di Messina. direttive. Per significare il carattere regionale siculo-calabro dell’Università che da quasi quattro secoli costituisce il massimo centro di studi per la Sicilia NordOrientale e per la Calabria, sono stati riprodotti nel nuovo Diploma, da un lato lo stemma di Messina, e dall’altro, uniti in un solo tondo, quelli delle tre Provincie calabre di Cosenza, Catanzaro e Reggio, nonché le sculture del Montorsoli raffiguranti Scilla e Cariddi. È stata anche riprodotta una medaglia antica tratta dagli Annali della città di Messina di Caio Domenico Gallo, nella quale è raffigurata la Città con le sue antiche torri, la falce del Porto, lo stretto e la costa calabra. Il primo diploma con il nuovo programma iconologico veniva prodotto in occasione della concessione del dottorato in giurisprudenza honoris causa al “quadrumviro” Michele Bianchi. Il disegno urbano – come abbiamo appreso – aveva tratto ispirazione dalla riproduzione di un sigillo senatorio, pubblicato e dispiegato nell’Apparato agli Annali della città di Messina, sin dalla prima edizione del 1756. L’analista Gallo spiegava di avere rinvenuto uno strumento concessorio del Senato messinese risalente al 31 agosto 1511 in cui appariva il sigillo senatorio raffigurante il prospetto della città e suo porto con intorno un verso leonino che dice: Hic sunt sculpta situs Messanae moenia litus. A noi tuttavia interessa, in questa sede, notare come in questa immagine fosse stato concepito un ragionamento territoriale impostato sul kanon della penisola di San Raineri. Infatti, la spirale con cui era stata distribuita la natura dei luoghi, insieme all’artificio insediativo della città, abbraccia e vincola a sé il rapporto terracqueo dello Stretto, la cui identità ha bisogno di ricorrere alla presenza della costa calabra, riconoscibile in basso al di là del mare. La scelta di questa icona è politicamente funzionale alla raccolta delle due sponde per l’importante estensione alla Calabria del Primo diploma di laurea honoris causa con il nuovo programma iconologico stabilito dal rettore Gaetano Vinci nel 1929. servizio universitario messinese, contro il Inaugurazione dell’Anno Accademico 2016-2017 rischio – emerso subito dopo il terremoto – di un accorpamento con l’Ateneo catanese. Un vigoroso efficientismo “littorio” – peraltro propugnato dal rettore del tempo – risuona nell’infanzia di una città che torna a vivere e che cerca di rilanciare quello che indubbiamente è il più importante servizio formativo per la preparazione delle future generazioni. Disegno di un sigillo raffigurante la città di Messina, pubblicato in C. D. Gallo, Apparato agli Annali della città di Messina, Messina 1756. La falce con cui si configura la penisola è il diapason dell’intera immagine: l’accordo armonico vibra dalla sua forma originaria per poi sviluppare in una spirale, quasi a lanciare la propria corsa verso la costa calabra. Due dettagli meritano di essere messi in evidenza nella grande sintesi territoriale: primo, la torre edificata sulla punta della penisola costituisce il baricentro del sistema terracqueo, il caposaldo da dove origina il grande vortice; secondo, l’unica altra costruzione ivi accennata è la sede dei frati Continenti che avevano ottenuto dalla città la concessione del terreno nel 1291 con il patto di costruire fanarium quod dicitur luminare per segnalare il luogo della terraferma o l’approdo portuale ai marinai periclitantes in mari. Forse è questa presenza, certo già edificata nel secolo successivo, a indurre erroneamente il rettore Vinci in una attribuzione cronologica al secolo XIV. In realtà questa stessa tipologia di rappresentazione, dove la penisola di San Raineri assumeva un ruolo determinante nella raffigurazione del territorio urbano, veniva riprodotta – questa volta senza incertezze nell’attribuzione cronologica – in una miniatura di un codice dei primi anni del secolo XVI, conservato presso la Biblioteca Nazionale di Roma, a corredo di un poemetto in esametri latini dal titolo De laudibus Messanae, composto da un autore che si firmava ricorrendo allo pseudonimo di Callimaco Siculo. Nell’opera poetica, pure accennando alle più importanti città siciliane, il letterato riservava a Messina il maggior numero di versi per descriverne la magnificenza e la cultura, ben note sia per le antiche origini della città, fondata nell’VIII secolo a.C., sia per la sua storia intessuta con quella di Roma. Sono importanti le affinità e le divergenze che corrono tra la miniatura e il sigillo pubblicato dal Gallo. Anche se è facile notare una cultura iconica del tutto differente e soprattutto una maggiore complessità nella rappresentazione cinquecentesca, il confronto tra le due figurazioni consente di istruire ipotesi interpretative che attraversano la città dai primi anni del Cinquecento fino al 1929 e che trovano la falce sempre come origine dei ragionamenti progettuali. Il primo segno che bisogna prendere in considerazione è quello della penisola di San Raineri che anche qui, muovendo dalla sua dimensione portuale raggiunge, con andamento a spirale, la punta della Sicilia. Questo movimento è funzionale sia a giustificare sul piano della causalità (crono)logica il luogo dell’insediamento, sia a stiparvi un’intera metropoli mediterranea all’alba del secolo che sarà do- Miniatura raffigurante la città di Messina in A. Callimaco Siculo, Rhegina, primi anni secolo XVI, Biblioteca Nazionale di Roma. Inaugurazione dell’Anno Accademico 2016-2017 minato dalla politica mediterranea di Carlo V e di Filippo II. L’atollo inoltre perviene alla più autentica rievocazione di quel processo originato da un evento sublime: quello squarcio tellurico che dalla zolla continentale aveva generato Sicilia, isole Eolie e – per questa figurazione – lo stesso profilo di Messina. Vi traluce un esordio divino: quell’accordo tra Gea e Poseidon condotto alle estreme conseguenze del duplice isolamento: il porto-città, già distaccato dalla terraferma, si libera adesso dall’Isola e si pone – intermedio diadema marino – tra le coste, navigandovi in mezzo, quasi a dichiarare la propria equidistante autonomia. Nel sigillo non è traccia alcuna di questo importante tema. Nel rileggere la miniatura con attenzione, è opportuno concentrare ancora una volta l’attenzione sul braccio di San Raineri. Permane deserto, autentico territorio peninsulare delimitato dal mare e da due capisaldi architettonici di inequivocabile retaggio medievale: il Palazzo Reale, di origini bizantine e, nell’estrema punta, non più la torre-fortezza riferita dal sigillo, ma il cenobio basiliano consacrato a San Salvatore, potente sede dell’Archimandrita, che deve obbedienza direttamente al Papa e non al vescovato della città. Il suo rigoroso isolamento intende mostrare il principio antagonista con cui interpretare la politica del territorio urbano. Qui è proprio il Cenobio a indicare il baricentro dell’intero sistema insediato, assumendone un equilibrato dominio. Ma è intenzionale a questo equilibrio dichiarare preliminarmente il ruolo di un sito opposto alla città, posto contro. La volontà di non confonderlo con il groviglio urbano è palese: comunica con tutta la rappresentazione territoriale attraverso un formidabile vincolo spaziale oppure consente contatti attraverso il percorso di terra, che la miniatura mostra chiaramente usurato; il corpo a corpo con la città è affidato a un filtro di sicurezza nell’ubicazione del Palazzo Reale. La Falce dunque offre la misura della sintesi rappresentativa ma si dichiara in territorio estraneo alle politiche urbane. La metropoli, invece, appare affollata, repleta di edifici – in due pergamene greche del 1172 è definita megalopoli – ed è costretta, per le sue importanti dimensioni, a occupare l’intera restante superficie della miniatura. Nel dispiegarsi dei suoi volumi architettonici, colà addensati, si riconoscono: il Duomo, il Castello di Matagrifone, una chiesa a pianta centrale di ascendenza bizantina, le torri delle mura portuali. A est e a ovest, distaccate, sono la Calabria e la Sicilia e tra le loro coste è il mare, solcato da diversi navigli, a chiarire e confermare che l’atollo non è vincolato a nessuna idea di terraferma. Dracma argentea raffigurante il porto di Zankle, dritto, fine secolo VI a. C. Il tema dell’atollo per la rappresentazione di Messina, aveva avuto in verità ben lontane origini in una dracma argentea di fine VI secolo a.C., dove un delfino, proveniente dalla Punta del Due mari, per citare lo straordinario Horcynus Orca di Stefano D’Arrigo, penetra l’ansa portuale, mostrando il primo insediamento dal lato del dorso e la deserta falce dal lato opposto. Lo stesso territorio terracqueo aveva ispirato un altro documento eccezionale: intorno alla metà del Cinquecento veniva ricoperto in marocchino istoriato un codice membranaceo del secolo precedente, le cui figurazioni costituiscono un prezioso unicum nella storia della legatura. Delle due immagini quella che in questa sede interessa commentare viene prodotta per il piatto anteriore dove ritorna l’“atollo” in nuova edizione. La città si è appropriata di nuove propaggini territoriali – soprattutto nel quadrante inferiore di sinistra – ma non intende Inaugurazione dell’Anno Accademico 2016-2017 abbandonare la figura dell’“atollo”. Nei quadranti superiori, ritornano infatti, al confine delle mura settentrionali e meridionali, due piccoli spicchi che non sono mare, che non sono terra. Ciò che in questa immagine bisogna distinguere, a differenza della miniatura, è la marginalità della presenza religiosa. È prevalente storia laica quella riprodotta nel piatto cinquecentesco: a dichiararlo è la sostituzione del monastero basiliano con una torre militare a pianta quadrata sulla punta della penisola che riecheggia sicuramente, senza tuttavia rappresentarla, quella progettata da Montorsoli. L’imponente torre e la sua bandiera sono ubicate intenzionalmente in modo da stabilire un controllo territoriale sullo Stretto. L’estensione settentrionale della città viene, per così dire, “accartocciata”, con un ravvicinamento alla penisola di San Raineri affinché le due torri di guardia possano guardarsi e comunicare. Nello sviluppo della rappresentazione, la città, cinta da Incisione a freddo su marocchino raffigumura, è divenuta una semplice icona di riferimento e sembra rane il territorio della città di Messina, inutile tentare di riconoscervi episodi architettonici dominanti metà secolo XVI, Biblioteca Nazionale di perché il tema di questa sintesi iconica è soltanto la politica Napoli. territoriale governata e governabile dalla Falce. Non meraviglia che quasi un secolo prima, ma con ben altra cultura iconologica, Antonello da Messina dipingesse una Crocifissione, oggi conservata al Muzeul de Arta di Bucarest, in cui è dipinto uno sfondo paesaggistico che propone, ancora più chiaramente, la forzatura territoriale panottica tra il braccio di San Raineri e la punta dell’Isola, con addirittura un tratto della costa tirrenica e le isole Eolie, che – come sappiamo – sono del tutto esterne alla stazione ottica ubicata nella città di Messina. Forse è con questo dipinto che la falce diviene strumento ideologico dello spazio, parametro geografico utilizzato per ispirare ragionamenti progettuali a servizio del territorio. Antonello da Messina, Crocifissione, particolare, Muzeul de Arta, Bucarest. È certo comunque che finalmente, dopo secoli di coercizioni imposte all’uso pubblico dell’area falcata, grazie ai vari cantieri “militari” che vi si costruiscono nel Cinquecento – il castello del Salvatore, la Torre della Lanterna, i baluardi orientali di San Giorgio e San Giovanni, l’arsenale tra San Salvatore e la Lanterna – i Messinesi comincino a frequentare quelle contrade. E con essi anche il Viceré Marco Antonio Colonna che, ispirato dalla natura di quei luoghi decideva nel 1581 di realizzare un Parco (nel Brazo di Santo Raineri) la cui esecuzione avrebbe forse modificato la storia della penisola, se una tremenda sciroccata non avesse inghiottito le opere murarie già realizzate sul litorale, inducendo a rinunciare all’iniziativa. Inaugurazione dell’Anno Accademico 2016-2017 A conferma della fruizione urbana dell’area sono alcuni dipinti del secolo XVII che, nel ritrarre la città, non mancano di riprodurre carrozze e comitive che si spingono fino alla cappella di San Raineri realizzata all’interno della Torre della Lanterna. Nessun dubbio nell’attribuire al Teatro marittimo, cioè alla Palazzata, la nuova percezione dell’atollo in quel rapporto che muoveva alla dinamica ottica lungo il percorso dell’area portuale. Anonimo, Veduta della città di Messina, particolare, metà Originando dallo straordinario artificio architetsecolo XVII, Banca d’Italia, Messina. tonico, realizzato da Porta Reale fino al Palazzo Reale, la continuità della curva trova adesso nella penisola di terra una forza naturale, contenuta tra il mare portuale e quello dello Stretto. Questa prosecuzione anulare della Palazzata, dove la Natura cede all’artificio, è nella penisola bipartita in due tratti: dal baluardo di San Giorgio alla Lanterna e da questa al San Salvatore. Alla vigilia della rivolta antispagnola il fiammingo Willem Schellinks ce ne offre la suggestiva cadenza in un disegno del 1664. Giungevano, pochi anni dopo, nel 1678, gli esiti nefasti di quella rivolta e con essi l’amputazione del braccio dal territorio urbano con la costruzione della Cittadella avviata nel 1680. Da quella data la penisola, che pure con la sua presenza aveva determinato scelte fondamentali nella storia della città – tra cui vorrei ricordare la politica d’investimento sul porto operata dai Normanni nei secoli XI-XII e ribadita nei successivi; l’intero sistema di difesa militare del Cinquecento fondato sulla Falce come avamposto e barriera naturale; la straordinaria costruzione della Palazzata che si sostituisce alle mura sul porto perché può contare sul filtro della penisola – dalla costruzione della Cittadella dunque quel territorio diviene straniero alla città, peggio le diviene nemico: è frontiera invalicabile, è sentinella che vigila, è nello stesso tempo decadimento del traffico portuale. Anonimo, Veduta della città di Messina, metà secolo XVII, Banca d’Italia, Messina. Inaugurazione dell’Anno Accademico 2016-2017 A interrogarsi su un passato glorioso dell’origine urbana è il trentaseienne Filippo Juvarra che, in un disegno del 1714 intitolato Sito che la Natura [h]a formato del Porto di Messina e sua Prima abitazione, ubica due templi nella penisola per fissarne la sacralità e – molto più interessante – ne celebra il Mito disegnando, subito fuori di essa, una appendice mitologica: Toro, avendo rapito Europa, la sta conducendo a nuoto fino all’isola di Creta. Non è un caso pertanto, che dopo la costruzione della Cittadella i numerosi Jean van Essen, Veduta della città di Messina, seconda metà secolo viaggiatori del Grand Tour, di transito per XVII, collezione privata. Messina nel Sette e nell’Ottocento, ignorino la Falce, cui si può accedere solo dal mare, rimanendo interdetto l’accesso dalla città. L’amputazione urbana è motivo di grande disagio per la cittadinanza e alimenta un profondo disprezzo per l’imponente opera militare che, a differenza di un’ingente quantità di edilizia residenziale cittadina, non subisce danni significativi nel terremoto del 1783. Con le successive iniziative di soccorso, promosse dal governo borbonico, si annuncia anche l’istituzione del Porto Franco, nell’obiettivo del rilancio economico del porto e della città. Ma è con l’Unità d’Italia, nel secolo successivo, che si ritorna a sperare nell’uso urbano di quelle aree. C’è chi, come l’architetto Giacomo Fiore, vagheggia, con l’abbattimento della Cittadella e con il riuso di larga parte della penisola, il perfezionamento di un grande giardino sul mare: si avrebbero a disporre pel Popolo dei luoghi ameni – scrive – spaziosi, aperti con variati accessi ripartiti in località per ballo, per giochi, per arena o teatro diurno, con dei vestiboli per trattorie, fontane, ordinando ai lati dei boschetti di variati arbuscelli e di mirto con dei congegni a giochi d’altalena, di bindoli, di bersaglio. La sua utopia è destinata a dissolversi nello scontro tra lo Stato nascente e l’Amministrazione cittadina proprio sulla destinazione di quelle aree, assegnate perentoriamente alle funzioni militari. Tuttavia, con l’abbattimento del bastione Norimberga della Cittadella e con la costruzione di una strada di accesso alla penisola negli anni Sessanta dell’Ottocento, non solo i militari, ma anche i civili possono rivedere e fruire di quel circuito anulare che tanto aveva caratterizzato il sito terracqueo di Messina. Si costruisce infatti, subito dopo, il bacino di carenaggio e si trasforma il Lazzaretto in magazzino di carbone e petrolio per le nuove imbarcazioni, alle quali si guarda con speranza anche per progettare un adeguato approdo. Se, nello stesso periodo, la città continua a chiedere allo Stato la restituzione dell’area falcata e a non ottenerla, è anche vero che alcune F. Juvarra, Sito che la Natura [h]a formato del Porto di Messina e forme di riuso non militare vengono avPrima abitazione, disegno, 1714, Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino. viate tra il castello del Salvatore e la Cit- Inaugurazione dell’Anno Accademico 2016-2017 tadella, come ad esempio l’impiego del recinto del tiro al bersaglio per attività sportive tra cui il nascente football, che coinvolge anche un pubblico femminile, o il tennis e i tornei, decisamente inglesi, di paper-hunt (una caccia alla volpe tra cavalieri) cui partecipavano principalmente gli ufficiali del presidio. Altro uso delle aree di San Raineri nell’Ottocento è quello riservato alle tumulazioni, già in uso in occasione della peste del 1575, ma adesso destinato agli Inglesi e alle altre etnie che risiedono in città e praticano religioni differenti. Ancor prima del terremoto del 1908, all’inizio del nuovo secolo, i movimenti politici cittadini che si battevano, con il supporto degli imprenditori, per la riconsegna delle aree all’amministrazione cittadina, infrangevano il sogno di Giacomo Fiore con una richiesta in cui si mirava alla costituzione del porto franco, con importanti strutture per lo stoccaggio delle merci, insieme a una nuova zonizzazione industriale. L’idea semPianta della città di Messina, particolare, seconda brava vincente per il rilancio dell’economia al punto da metà secolo XIX, edizione Vallardi. essere assorbita dal successivo Piano urbanistico dell’ingegnere Borzì, il cui impegno maggiore intendeva ricostruire la città terremotata attraverso l’applicazione di leggi speciali. Ai militari che continuavano a utilizzare le loro aree pregiate, si aggiungevano, alterando l’ambiente, le aree da lottizzare per le attività produttive e le superfici da riservare per il porto franco: si formava cioè una sorta di “bronx mediterraneo”, alimentando peraltro una prassi molto pericolosa: quella di considerare l’intera area di San Raineri come periferia e frontiera urbana dove dare luogo agli insediamenti più impropri, come l’impianto di degassifica nel 1973 per rimuovere i sedimenti inquinanti dalle petroliere (cioè ripulire le navi in mare per inquinare l’attigua area di terraferma), l’inceneritore degli inizi degli anni Ottanta, il campo Rom di fine anni Ottanta. Nel novembre del 1953 era stato istituito l’Ente autonomo portuale di Messina, quello che circa venti anni dopo avrebbe realizzato l’opera di degassificazione delle petroliere; negli stessi primi anni Cinquanta si elaboravano i progetti per la perimetrazione e la definizione del porto franco: li propongo per offrire documenti loquaci di una perversione progettuale, non solo e non tanto avversa alla Cittadella, ma a quelle aree privilegiate con cui la natura aveva inteso doVeduta aerea della penisola di San Raineri, 2015, Google hearth. tare Messina. Inaugurazione dell’Anno Accademico 2016-2017 Nel 2001, per l’iniziativa congiunta di numerosi docenti dell’Università di Messina e di Reggio Calabria e con la collaborazione della Soprintendenza e dell’Avvocatura dello Stato si teneva una serie di seminari sul tema della penisola di San Raineri per ripercorrerne la storia analizzando lo stato in cui versava, le condizioni delle sue pregiate architetture, la normativa cui era sottoposta, gli strumenti urbanistici che vi erano applicati e la sua economia. L’anno successivo venivano pubbicate le risultanze di quei seminari in un volume dal titolo La penisola di San Raineri. Diaspora delProgetto per la delimitazione della Zona Franca nel porto di Messina, disegno, 1951. l’origine. Sono trascorsi circa quindici anni di iniziative, di occasioni mancate, di denunce, di delusioni ... ma oggi esiste un consorzio di istituzioni, tra cui la nostra Università, che ha firmato un patto per la Falce ed è pur vero che recentemente si è soppresso l’Ente Porto, che è in corso lo smantellamento dell’impianto di degassifica, che si è inaugurato un piccolo parco urbano laddove erano i Rom, che sta per essere demolito l’inceneritore, che è stato finanziato il recupero della Cittadella. È forse giunto il tempo di cominciare a credere che i nostri nipoti potranno passeggiare per la penisola di San Raineri. Porto di Messina. Zona Orientale e Zona Franca, disegno, 1951.