1970.08.05 - Comunità dell`Isolotto
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1970.08.05 - Comunità dell`Isolotto
05.08.1970. Enzo è caduto ed è all’ospedale. L’avv. M. Gentili presenta un libro. BA056 (inizio della registrazione al giro 328 della prima parte della bobina). (Interventi di. Sergio Gomiti, avv. Marcello Gentili, Osvaldo Lozzi) Sergio G.: …grazie. Alcuni domandano, mi hanno detto: “Dicci un poco come sta Enzo”. Dunque io però prima ancora vorrei dire alcune cose, cioè a dire questo: molta gente è andata a trovarlo, però sinceramente forse oggi (piccola parte di registrazione interrotta forse per un difetto del nastro magnetico) …ieri sera ero lì vicino a Livorno e venni via subito insomma, perché non me la sentivo di stare fuori e allora ieri sera, subito, si decise questo. Quindi abbiate un po’ di pazienza se qualcuno va lì e trova qualcuno che gli afa una parte che può essere anche una partaccia. Un po’ la colpa è mia. Quando venni qua ieri sera, mi resi un po’ conto del giro che c’era e allora, sia al portiere, sia a quelle persone che sono lì o che gli fanno la nottata oppure stanno lì fuori nel corridoio gli ho detto: “Guardate, non fate passare nessuno, soprattutto non fate passare nessuno che venga di fuori: né preti, né monache, né frati, nessuno perché, a un certo momento, tutti avevano la possibilità di venirci a trovare quando s’era vivi e si stava bene, non si ha davvero bisogno che vengano a trovarci quando si sta male. Se aspettano che noi si crepi per venire a fare il funerale, stanno a casa sua. Noi la gente si va a trovarla volentieri soprattutto quando sta bene e non quando uno sta male. Allora già stamani mattina sono venuti alcuni preti di Firenze e sono stati messi molto gentilmente alla porta dicendo loro: “Guardate, non è possibile”. Quindi può darsi che qualcuno di voi sia andato là e gli abbiano detto: “Guardate: hanno detto in famiglia che non si deve passare”. In realtà per questi giorni, almeno nei primi giorni non è il caso di andare su. Magari uno può andare lì, chiede notizie, ma andar su in camera, a un certo momento, veramente può essere una cosa che gli dà un po’ noia. Stasera io ci sono stato verso le sei e mezzo e stava benino. Soltanto ha quelle costole che sono rotte e chi ha esperienza di questo lo sa che le costole fanno molto male, fanno dolore. Non è nulla di grave, però sono dolorose. Quindi fra il caldo, la smania e il dolore che uno sente, uno si innervosisce, vede la gente, vorrebbe parlare perché gli dispiace a non parlare, d’altra parte a parlare a un certo momento dà noia perché uno sente male, gli viene un colpo di tosse, gli scuote tutto il torace. Quindi in questi momenti qui, in questi primi giorni, se qualcuno vuole andare giù dal portiere oppure su a qualche persona che c’è a domandare notizie ci va però, ecco, andare dentro, ora, almeno in questi primi giorni, andare lì in camera, secondo me, poi lo capite bene anche voi, secondo me, non è opportuno perché gli si aggrava praticamente il male che c’è. Stasera era molto più calmo. Per fortuna, anche per fortuna, c’è lì, si è molto rasserenato, perché c’è un medico, un dottore a cui praticamente Enzo ha fatto scuola quando era al Liceo Scientifico, sono molto amici e quindi.. è un ragazzo che lui praticamente ha tenuto a scuola e oggi è medico, è lì in corsia, è un ragazzo molto aperto, un medico che gli vuole molto bene e quindi lo imbocca, gli dà da mangiare, gli dà la minestrina, ecco. Ride ed è tutto contento di questo. Non c’è da preoccuparsi. Questa come prima cosa da dirvi. Quindi stasera io ho visto che la cosa è molto serena, molto tranquilla. Nei giorni prossimi, se, come si spera, si sente meglio, gli passa questo dolore che sente costantemente, allora si può andare anche su, stare lì a trovarlo. Però io dicevo: se qualcuno vuole andare – anche oggi c’è andata molta gente, ieri lo stesso – però o lo domandate al portiere oppure salite su lì a domandarlo a quello che sta lì a fargli la nottata o che durante il giorno gli dà un po’ da bere, eccetera, però possibilmente, anche se uno ne ha voglia, ne ha voglia, ne ha voglia, non entrate dentro perché gli dà noia. Questa come prima cosa. La seconda cosa è questa, mi pare: bisogna rendersi conto un po’ tutti, e non soltanto noi che ci si sta di casa insieme, ma anche voi, tutti quanti insieme, che praticamente anche noi ci s’ha dei limiti molto grossi, cioè a dire a un certo momento si fanno le cose, ci vengono chieste tante cose, magari si fanno o non si fanno ma bisogna rendersi conto che ci s’ha dei limiti che, andare oltre i quali, vuol dire ammazzarsi insomma, vuol dire che a un certo momento può succedere quello che è successo lunedì sera. Cioè a dire bisogna noi stessi essere un pochino più, come si potrebbe dire?, equilibrati in questo, rischiare un po’ meno. Però tutti quanti insieme, siccome le responsabilità sono molto grosse e sono responsabilità comuni, bisognerà prendere coscienza tutti quanti insieme, cioè a dire non possiamo noi mettere le persone in condizione (tale) che a un certo momento gli succedono cose di quel genere. Se a Enzo gli è successo questo lunedì sera gli è successo perché domenica sera c’è stato questo gruppo, domenica mattina, eccetera, insomma poi il mal di testa, a un certo momento un’altra persona che è all’ospedale, come è andato a trovare tutti, vuole andare a trovare anche quella… e per fortuna non ha portato dietro un ragazzino come spesso fa. Piglia Giuseppe o Giorgio o Gigi. Così: “Vado fuori in lambretta vieni fuori con me”. C’era anche da trovarsi… un ragazzo che è dietro non si sa mai cosa possa succedere. Anche questo è un discorso che si riprenderà però fino da ora bisogna pensarci. Certe responsabilità che ci sono e che sono responsabilità comuni bisogna stare molto attenti a buttarle sulle spalle di uno o di due, di uno, di uno solo che a un certo momento deve portare tutto questo carico e uno non ce la fa perché non si ha più vent’anni. Bisogna rendersi conto anche di questo. Quando si venne noi quindici anni fa all’Isolotto Enzo ce ne aveva ventisette, ventott’anni, io ce ne avevo ventisette. Ora ce ne s’ha quaranta, quarantatré. Direte: ma quarant’anni sono nulla! Veramente certe cose pesano. Non ci abbiamo più l’energia che si poteva avere quindici anni fa. Quindi bisogna anche a questa cosa ripensarci e diverse cosette, che oggi praticamente ricadono sulle spalle di Enzo, bisogna cercare di alleviarle perché non è giusto mettere le persone in questa condizione. Questo discorso poi andrà rifatto prima di settembre quando si ricomincerà a rivedersi tutti quanti insieme sia per il Notiziario, sia qui per le Baracche, sia per tutte le cose, per il giro che c’è in casa. Insomma per tutte queste cose qua bisognerà rivedersi un pochino e cercare di limitare un po’ e non spendere tutte queste energie perché a un certo momento uno spende finché può poi non ne ha più, perde… gli piglia una mancanza, va in terra e ringraziamo Iddio che quello campa ancora perché poteva andare anche peggio. Quindi questa è un’altra cosa. Poi, in particolare, riguardo a Enzo, almeno personalmente, non ho altre cose da dire. Vi dicevo che è un po’ agitato ma questo dipende un po’ dal dolore, dal colpo che ha avuto, però complicazioni almeno fino a stasera non ce ne sono. Lui mi ha detto: “Stasera saluta tutti, lì, alle baracche”. Domenica mattina si ci ritrova ugualmente in piazza per la Messa. Anzi, proprio (per) domenica mattina c’era una persona che voleva stasera dire qualcosa, non so… c ‘è una persona che dovrebbe fare il cinquantesimo di matrimonio. In do’ l’è!? Ah! Vieni, vieni. (applausi). Voce maschile: Io desidererei di celebrare il cinquantesimo di matrimonio. Dunque io sono un Pelacchi. Se c’è qualche vecchio qui, qualche vecchio, io avevo il caffè davanti alla chiesa di Legnaia. Ce n’è punti vecchi che lo sanno? Se c’è dei fascisti vecchi lo sanno di certo perché bussavano col manganello. Dunque sono conosciuto, sono un vecchio di questi posti. Avevo il caffè davanti alla chiesa di Legnaia. Insomma per tante cose mi toccò andar via perché sono stato un perseguitato. Insomma io ora sono amante di questa Comunità e chiedo il 16 di agosto di fare una celebrazione del cinquantesimo di matrimonio. (applausi). Non ho altro da dire però desidererei presto perché dopo si va a fare il pranzo: subito all’entrata alle undici. Se siete contenti io sono contentissimo di essere con voialtri. Si va a Boscorotondo, là, sopra a Montaione a fare il desinare. (dall’assemblea ci sono proposte sia per l’orario che per il momento della Messa in cui fare il ricordo del cinquantesimo, ma le parole non si capiscono). Facciamo in codesta maniera, in modo da essere, sì, lassù alle una. Allora siamo d’accordo e vi ringrazio tutti. Sergio G.: Allora il 16 vero? Il 16. Quindi praticamente quest’altra domenica. C’è il 15 e il 16. Sono due feste: l’Assunta che viene di sabato e poi il 16 che è domenica. Allora lui ci chiedeva di fare questa celebrazione del cinquantesimo di matrimonio la domenica, il 16. Non domenica ora ma domenica quest’altra. Allora io pensavo questo: di non spostare la Messa alle dieci e mezzo o alle dieci anche perché è molto difficile, ora come ora, raggiungere la gente che è fuori. Cioè a dire se noi dovessimo spostare la Messa dovremmo farlo sapere un po’ a tutti perché c’è della gente che magari che sono dell’Isolotto, che vengono alla Messa. Sono in ferie però la domenica pigliano la macchina e vengono ugualmente all’Isolotto. Quindi se noi la si dice alle undici, a un quarto a mezzogiorno si finisce, all’una loro sono bell’e dove devono andare. Quindi io pensavo di non spostare nulla. Se mai una cosa. Si può fare questo: voi donne che siete un pochino più pratiche di queste cose, ci si vede un momentino dopo la Messa del 15 per l’Assunta, chi c’è, e si fissa un po’ se qualcuno porta due piante verdi lì per fare la cosina un po’ perbenino. Allora d’accordo: per il 16 si fa la celebrazione delle nozze d’oro di loro. E potrebbe anche darsi che il 16 ci sia anche Enzo. Certo… vieni, vieni! (qualcuno deve aver chiesto di fare un intervento ma sembra che al momento rimandi l’intervento). Io ho qui una lettera…ho qui una lettera che vi volevo leggere. Guarda c’è il microfono che non funziona bene… Aldo D.S. Dunque si tratta di questo: lì in corsia insieme a Enzo c’è ricoverato uno che viene da Cagliari. È lì con la moglie e la moglie non sa dove andare, poveretta, e dice che dorme al dormitorio pubblico la note, perché non sa dove andare. Tutto il giorno sta lì con lui. Ora si tratta di questo: c’è la solita storia del sangue. Io speravo che ci fosse il Bellosi ma mi hanno detto che è in ferie e dovrebbero operare domani l’altro. Ci vorrebbe almeno due persone che donassero il sangue per lui. Io non lo posso fare perché è un mese e mezzo nemmeno che l’ho dato e non me lo accettano (dal mezzo o dal fondo della baracca qualcuno propone qualcosa). Ho capito. Il gruppo non ha importanza tanto lo scambiano loro. Allora uno è il Lozzi. Ci vai te Lozzi? E un altro? Ora vi do il nome così andate lì a San Giovanni di Dio. Bisognerebbe andarci domani, domani in giornata: domani mattina o domani pomeriggio anche, sì. Va bene! Sergio G. Dunque hanno scritto una lettera quelli che vennero qui la domenica 19 di luglio da Vispa, su dall’Alta Italia, con quel prete che disse Messa in piazza. Dunque oggi io, lì da Enzo, ho visto anche un telegramma che gli ha mandato il Tramontani da Campiano insieme a quella gente che venne domenica scorsa. L’hanno saputo attraverso i giornali e quindi gli hanno… no, il Tramontani quello che venne con quelle venti persone di Campiano di Ravenna, che disse la Messa in piazza. Enzo Tramontani è un prete in gamba e anche la gente con cui venne sono gente molto in gamba. Questi invece sono quelli che vennero quindici giorni fa, cioè ventuno giorni fa, sì, da Savona. E questa lettera dice: “Amici…”. È una parrocchia, la parrocchia della Madonna della Pace a Vispa. Dice: “Amici dell’Isolotto, abbiamo preso tempo per riflettere sull’incontro avuto con voi domenica 19. Il viaggio di ritorno, infatti, e l’assemblea tenuta martedì 21 sono stati dedicati da noi alla discussione, a volte anche animata, su ciò che abbiamo visto e udito. A proposito abbiamo ritardato a spedirvi queste righe proprio perché non ci fossero dettate solo dall’entusiasmo delle prime impressioni. Ci siamo accorti invece di essere ritornati veramente più consapevoli della necessità di aprirci agli altri, soprattutto ai più poveri e ai più umili con la volontà di agire a qualunque rischio. Di questo forse eravamo già convinti prima della nostra visita a Firenze ma ci mancava il coraggio e la spinta per non accettare i compromessi che troppo speso caratterizzano la nostra buona borghesia. Non sappiamo come manifestarvi la nostra riconoscenza per la sincera ospitalità che ci avete concesso e per la carica che ci avete dato stando direttamente a contatto con voi che avete vissuto e vivete esperienze di testimonianza evangelica. Possiamo dirvi sempre che vi comprendiamo, che vi stimiamo e che vi difendiamo. Aspettiamo la vostra visita per continuare il discorso incominciato”. E poi hanno formato: Elsa, Andreina, Angelo, Anna, eccetera, le persone praticamente che voi avete ospitato nelle vostre famiglie a pranzo e con le quali avete parlato. Ecco questo gruppo, con quel prete di Savona, i quali un po’ così si pongono gli stessi problemi. E vi dicevo di quelli di Campiano che hanno scritto anche loro questo telegramma che ho appena intravisto. Enzo lo aveva dietro la testa e l’ho letto un po’ di sbircio perché non ci arrivavo a tirarlo fuori e l’ho lasciato in pace. L’ho letto di traverso. Ho visto: Enzo Tramontani e Comunità ma…non ce la facevo a chiapparlo senza dargli noia e allora l’ho lasciato stare lì e non l’ho preso. Poi si è domandato notizie, io oggi ho telefonato giù a Conversano però non sono riuscito a parlare con Vincenzo. Le cose, a quanto sembra, non è che si mettano molto bene, cioè a dire praticamente si è visto questo: con questo prete e con quella gente di laggiù la Curia romana si è dimostrata molto più rigida e molto più alla maniera forte che non con noi. Certo era prevedibile perché nel Sud…, finché succedono nel Centro Italia o nel Nord, insomma ormai le cose sono così smosse che di dove passa la nave passa anche il navicello, però se queste questioni cominciano a succedere anche nel Sud, dove c’è una oppressione molto più grossa, logicamente, per chi tiene il potere, questo è molto più pericoloso che non in altre zone e quindi hanno la possibilità insomma di agire in maniera molto più rigida, molto più forte di quello che non abbiamo fatto con noi. In fin dei conti Conversano era una cosa che aveva una sua dimensione direi anche molto piccola: Vincenzo è un ragazzo, come lo avete visto voi, anche così, semplice, buono, insomma anche bocco a un certo momento, ecco. Noi siamo un po’ più smaliziti. Ecco con lui invece sono stati più duri, più cattivi che con noi. Allora qui punto interrogativo: come mai? È perché sentono che quelle cose, laggiù nel Sud, se si muovono, cominciano a diventare pericolose in maniera forse molto più grossa di quello che potrebbe essere la pericolosità che si costituisce noi. Un’altra cosa avevo da dire ed è questa: un fatto questo organizzativo. Per domenica ancora Donatello c’è col camion però dal 15, 16 e poi la domenica successiva praticamente Donatello va fuori con la famiglia e quindi il camion non è a disposizione. Allora bisognerebbe vedere un pochino, o stasera o domenica prossima quando ci si trova alla Messa, oppure in settimana, vedere un po’ se si trova qualcuno – non so si potrebbe risentire il Sasi o il suo figliolo – per portare le sedie la domenica mattina, portarle in piazza e poi riportarle qua perché veramente noi si dice: le si possono portare anche a mano. Però è un po’ dura: due seggiole per uno, fare il formicaio insomma che parte dalle baracche, ciascuno col suo chicco che va a portarlo in piazza e poi il viaggio di ritorno. Se ci riesce di trovare qualcuno che abbia una vespa o un camioncino che ci possa assicurare questo servizio magari ci si impegna, come si è fatto con Donatello, a essere lì a caricarlo e poi scaricarlo qui alle Baracche. Se voi avete, se qualcuno ha in mente qualcosa e ha questa disponibilità, se già ce l’ha in mente, sarebbe il caso lo dicesse subito così non si perde tempo, altrimenti bisognerà durante la settimana pensarci e poi domenica prossima o mercoledì essere sicuri che ci sia qualcuno con cui si possa portare le sedie e la roba che è necessaria là per la Messa in piazza. Io altre cose… c’è Marcello, il Gentili stasera, è quaggiù, è venuto giù a Firenze. Se Marcello ci vuole dire qualche cosa non lo so. Vieni, vieni! Dicci qualcosa! Tu ci racconti che cosa succede a Milano. Avete scritto un libro, avete fatto un lavoraccio lassù, eccetera. Vai, dicci qualche cosa! Marcello G.: Dunque c’è questo libro e mi auguro che molti di voi conoscano. Il libro è… nessuno lo conosce? Meglio così. Così ve lo fo conoscere io. È la Chiesa di Sant’Ambrogio. La Chiesa di Sant’Ambrogio è la diocesi di Milano naturalmente. “Lettera ad un Vescovo”. È fatto con una sfacciata imitazione alla “Lettera ad una professoressa” della Scuola di Barbiana, quindi con uno stile semplice, immediato. Se voi saltate la prefazione, che è un discorso teologico fatto a un teologo, tutto il resto vi accorgerete che è roba buona. È roba che può servire veramente anche a voi. È forse la prima volta, che io sappia, che si fa un discorso di critica, completo su una diocesi. Si incomincia con le varie strutture della diocesi e le esamina una ad una. Comincia quindi con i Seminari: tutte le regole assurde dei Seminari, come ci si accorge del perché vengono fuori spesso questi preti che tengono delle prediche che purtroppo non ci riguardano, pur volendo farci del bene e pur volendo rivolgersi invece un discorso che ci riguarda. Purtroppo il discorso è spesso estraneo. Conoscendo il meccanismo del Seminario, si vede perché questo succede. Poi passa alle parrocchie, alle parrocchie da un miliardo, alle parrocchie ricche: c’è l’elenco delle tariffe, ci sono decine, decine, decine di nomi, di fatti, di persone. Non c’è nessuno citato in via indiretta, in via generica. È tutto ben preciso. C’è l’Azione Cattolica, c’è Gioventù Studentesca, le varie, alcune epurazioni che sono avvenute. C’è infine il contatto che non c’è e si documenta come non c’è tra il Vescovo e il mondo del lavoro. Insomma per una diocesi diversa dalla vostra come Milano c’è una analisi del perché della estraneità del Vescovo e dei sui preti dal popolo. E mi pare una indagine molto interessante, ripeto, in una forma che interessa la gente perché si vuole che la gente abbia questo libro come strumento per andare avanti. Non c’è purtroppo una soluzione positiva, cioè non c’è nulla di che cosa si vorrebbe mettere come Chiesa al posto di questa gerarchia criticata. Però mi pare positivo anche questo: che non ci sia nulla. Anzitutto perché le formule non servono, non bastano. Le formule sono quelle studiate nei gabinetti teologici, con poche critiche al sistema da cui emergerebbe tutto. Sappiamo invece che ci vorrebbe un’esperienza popolare, paziente, lunga ed anche discontinua, anche con le sue contraddizioni. Ecco perché il libro non ha una parte costruttiva ma la parte costruttiva è affidata alla gente che porti avanti questo discorso. C’è, fra le comunità che avrebbero partecipato, anche la Redazione di Momento, che è la rivista che dirigo io. Qui vorrei fare un atto di modestia, cioè non abbiamo purtroppo partecipato a questo lavoro, sarebbe stato bellissimo ma non è così. l’abbiamo tenuto a battesimo se volete ma non vi abbiamo posto mano. Abbiamo visto le bozze, abbiamo fatto delle osservazioni sulle bozze e quindi un po’ troppo tardi. Ecco perché il libro può servire anche a dei non milanesi, anche a dei fiorentini. Quanto invece al mio ruolo solito nella Comunità al processo: per adesso non c’è proprio niente di nuovo dopo quella sentenza assolutamente assurda che conoscete e che vi ho commentato un mese fa. Non c’è più nessuna novità. La stampa ha dato qualche seguito alla notizia che la sentenza sarebbe nulla perché non è stata contestata agli imputati la circostanza della violenza per la quale poi siete stati tutti rinviarti a giudizio. Quindi questo io ho tenuto a metterlo, d’accordo con altri, a metterlo in rilievo perché la stampa pubblicasse che non solo è una sentenza ingiusta ma è una sentenza anche tecnicamente fragile e questo mi pare che sia giusto per noi. Vedremo poi al processo, decidendo tutti perché è affare di tutti e non soltanto affare degli avvocati, fino a che punto questo problema di nullità si debba portare avanti e fino a che punto invece non convenga accettare il processo così com’è. È una discussione non matura. Vorrei comunque, di fronte allo scoramento che può aver preso qualcuno perché siamo tutti contenti di andare avanti assieme, però ognuno ha i propri problemi, vorrei assicurare che l’applicazione dell’amnistia o quanto meno del condono è infinitamente probabile in grado di dibattimento. Questo per dire che è una battaglia da condursi fino in fondo nella quale però, a parte alcuni casi per cui ci batteremo particolarmente e con vigoria, non c’è un grosso pericolo personale che vi tenga in ansia, che debba farvi fare dei progetti diversi per il futuro per la vostra famiglia, per il modo con cui investite i soldi. Per fortuna questo non c’è. Il che non toglie perché il processo vada bene. Ah! non ci rimette nulla l’Isolotto, dice che ci investono ma che non investite nulla. Ha ragione lui! Comunque ve l’ho detto perché pareva, di fronte alla enorme ingiustizia morale della sentenza, che dovesse corrispondere anche un enorme danno personale per le famiglie. Per fortuna questo non è, il che non toglie che bisogna stare tutti uniti per far sì che questo danno si riduca o addirittura scompaia. Sergio G.: Io volevo fare una domanda. Senti Marcello, io codesto libro stamani, tu l’hai portato stasera, però stamani mattina è arrivato per espresso dall’editrice Laterza perché è la stessa editrice che ha pubblicato “Isolotto ‘54-‘69”. Allora ce l’hanno mandato, così gli autori e l’editore ce l’hanno mandato come omaggio. E allora gli ho dato una scorsa, ho letto un po’ la prefazione e poi dentro ho visto un po’ le analisi che ci sono. Dunque io ho notato questo: prima di tutto mi sembra importante perché Milano è una città grossa dove quello che succede si ripercuote anche un po’ nelle altre città d’Italia: è un città insomma in cui, da un punto di vista economico, per tante questioni ha molta influenza anche su resto d’Italia. Poi è la città da cui è venuto fuori praticamente Paolo VI che era arcivescovo di Milano. Poi, lì a Milano, c’è il Vescovo di ora che è Colombo, il quale è un po’ il teologo, sembra, del Papa. Ah! è Carlo?. In ogni modo ha una certa influenza. Quello che succede a Milano, dico, si ripercuote, per tanti motivi, un tutta l’Italia. Se la Chiesa milanese è legata in maniera forte a tutto quello che c’è di giro a Milano, è chiaro che di questo ne risente in particolare anche la Chiesa italiana che si lega sull’esempio della Chiesa milanese. Però ho notato una cosa ed è questa: mi sembra che in codesto libro manchi una dimensione che vada al di fuori della diocesi di Milano, cioè a dire i problemi, mi sembra, siano visti un pochino troppo in maniera, come si potrebbe dire, così, ecco, che riguardano soltanto il campione. Sì, ecco, è una provetta. Si tira fuori la provetta come quando si va a fare l’analisi del sangue. Ci tirano fuori il sangue e si dice: questo tizio nel sangue ha questo, questo e questo e allora la persona o sta bene o è malata. Però non mi sembra che sia l’unica cosa l’analisi del sangue per vedere se quella persona sta bene oppure è malata, almeno per trovare la cura per tutta quanta la persona. Quindi mi sembra che sia un pochino troppo riferita soltanto a Milano e non prenda come a esempio Milano ma per affrontare problemi molto più grossi anche al di fuori di Milano, problemi anche internazionali del mondo dei poveri. Tratta per esempio di tutta questa gente che c’è a Milano e che si fa per loro però non parla del mondo operaio in maniera generale, di quello che succede anche al di fuori d’Italia. Mi sembra che questi problemi non siano affrontati. E quindi in questo senso mi sembra un po’ limitato. E poi volevo domandare questo: siccome si tratta di una città che ha un certo peso sull’economia nazionale, per quello che può succedere in Italia, quali reazioni si sono avute alla pubblicazione di questo libro, perché ho visto anch’io e mi sono meravigliato perché qui c’è scritto il tale, il tale, il tale, monsignor tale, il Vescovo tale, nome e cognome, nipoti, bisnipoti, ogni cosa. Quali reazioni ha avuto in Milano la pubblicazione di documenti che riguardano fatti anche molto personali della gente? Marcello G.: Sul fatto che sia una indagine ristretta è vero, però è anche vero, se la mia ignoranza non mi tradisce, è una delle prime. Questa gente è il gruppo dell’ex San Ferdinando. Ora tre di voi sono andati e han tenuto un bellissimo dibattito al San Ferdinando. Io me lo ricordo perché il San Ferdinando era affollatissimo, entusiasta, desideroso di conoscere l’esperienza dell’Isolotto. Ora di questo gruppo facevano parte alcuni sociologi tra cui Capecchi che insegna sociologia a Firenze. Questi sociologi hanno incominciato a studiare la diocesi milanese, però, vedete, è facile dire che la diocesi non tenga conto delle esigenze dei poveri o che la diocesi non tenga conto delle esigenze di sacerdoti che stanno per essere formati o che la diocesi spenda troppo in questo o in quella chiesa. Questo è facile dirlo, è facile teorizzarlo per tutta Italia e anche fuori d’Italia, è difficile dirlo con nome, cognome e indirizzo, col numero di stanze, per esempio, di una canonica goduta dal parroco come si trova qui, col fretto di talune opere murarie relative alle chiese. Ora questa gente, che è partita dal nulla, non voleva arrivare ad una sintesi affrettata e quindi voleva mettere la Chiesa milanese di fronte non ad un discorso polemico ma a una catena di fatti difficilmente contestabili. Milano è la città dei fatti, che crede più ai fatti che alle persone, più alle opere, soprattutto da un punto di vista grossolano e materiale, che al sentimento. Quindi questi fatti sono particolarmente incisivi sulla mentalità milanese. Milano poi è un posto dove naturalmente l’industria ha una evoluzione e uno sviluppo tale che i rapporti tra Chiesa e Industria sono del tutto particolari. Li immagino perché non li conosco a fondo. Ed ecco che un libro simile a Milano ha una sua funzione ritengo, proprio perché non teorizza fuori dello sperimentato e non fa un passo che non sia documentato o perlomeno che non si cerchi di documentare con un nome, una persona, una pietra, dei miliardi spesi, delle situazioni, dei rapporti. Ecco perché è volutamente ristretto ma ecco perché forse è estremamente utile. Per quanto riguarda la reazione io non ne sono ancora al corrente perché il libro non è ancora in libreria o forse c’è in questi giorni. Io da domenica sera sono qui vicino a Firenze. So che nei circoli, nel circolo privato in cui se ne discuteva tra noi, il libro sembrava veramente enorme. C’era della gente che voleva, c’era un sacerdote che voleva togliere un capitolo perché riguardava la sua chiesa, mi ricordo benissimo. Era un sacerdote in perfetta buona fede. Diceva: la mia chiesa non è significativa perché è vero che c’è un bar con un barista pagato ma in fondo è giusto pagare il barista, e non capiva lui stesso l’importanza significativa che aveva la struttura stessa della sua chiesa. Quindi a me sembra che sì ha dei limiti in quanto che è ristretto a Milano, in quanto che è ristretto ai fatti di Milano. Ha un grande pregio: di non essere un libro di contestazione polemica ma di essere un libro di fatti in una città che i fatti li pesa fin troppo e quindi in una città dove un libro simile dovrà essere una specie di esplosivo, dovrà essere una specie di deterrente anche se però, al momento della mia partenza, non essendo ancora in edicola, non posso dire nulla. Sergio G.: Io sarei del parere che se qualcun altro vuol dire qualcosa venga qui e lo dica. In ogni modo stasera Marcello, ora non gli facciamo fare il viso roso, ma ci ha portato anche sua moglie che è la seconda volta. La prima volta è venuta in incognito però stasera è qua con noi e noi si saluta anche sua moglie perché Marcello e sua moglie per noi sono la tessa cosa quindi si saluta anche lei: ci fa molto piacere dette, lo dice. (applausi). Ecco se qualcun altro vuole dire qualcosa riguardo alle cose che si sono Osvaldo L.: Il mio è un po’ un fatto passionale. Io ieri sera ho saputo: mi riferisco a Enzo perché in questo momento ringrazio Gentili, il libro, tutti voi che avete parlato, una cosa molto interessante ma per me quello che interessa è la situazione di Enzo, eccetera, eccetera. Io ieri sera ho saputo la notizia: me lo ha detto Osvaldo in una officina meccanica. Io non lo sapevo perché non leggo La Nazione probabilmente. Non so se c’era su La Nazione. In ogni modo io non ho tempo di leggere. L’ho saputo ieri sera e mi è stato consigliato di non andare da Enzo. Ora io volevo dire questo: Chiedo scusa a tutti e a te Sergio in modo particolare. Dunque Enzo è di tutti, quindi io vorrei ad un certo momento dire questo: a me ieri sera mi è stato consigliato di non andare da Enzo perché se no ci va tutta la gente, avete dato disposizione perché non venga disturbato ed è giustissimo che non venga disturbato però una cosa è certa: ci sono da fare delle notti; io vorrei mettermi a disposizione di Enzo, dico a disposizione di Enzo, capito? Perché Enzo è anche una cosa mia, quindi non è una cosa di pochi. Io sono un po’ duro in questo e vi dico molto sinceramente che sono molto dispiaciuto perché a me è stato consigliato e poi so che c’è della gente che fa delle notti e che è affaticata. Io sono un uomo e penso di poter fare delle notti anch’io per Enzo e vorrei che voi me lo diceste, perché io mi metto a disposizione ma non vorrei neanche mettermi diciamo così in graduatoria. Questo te lo dico con molta lealtà, con molta schiettezza. Io mi sento il dovere, la necessità, il bisogno di fare una notte per Enzo se c’è necessità piuttosto che lo faccia una donna, per esempio, stanca, eccetera, eccetera. Io ti chiedo scusa se ti dico questo ma bisogna che io parli così se no non farei parte della Comunità perché la mia è schiettezza sempre. Quindi io sono a vostra disposizione, sono a disposizione di Enzo. Tu sei stanco, la Luciana è stanca, c’è molta gente stanca, Enzo è stanco. Tu hai detto poc’anzi che lo abbiamo affaticato troppo. Comunque si è affaticato troppo forse per colpa nostra. Ecco allora i ti dico…eh! no! io ho sentito il tuo discorso. Allora io ti dico: siccome noi siamo della Comunità, voi, dovete essere voi che ci dovete aiutare perché quando tu mi dovessi telefonare, mi dovessi telefonare o comunque mi dovessi dire qualcosa, io sono mancato in questo tempo per ragioni di lavoro, per ragioni economiche, necessità economiche mi hanno portato ad allontanarmi ma io sono sempre qua. Ad un certo momento, volevo dirti, Sergio, che ci sono dei lavori da fare, da togliere a Enzo, non te li devi addebitare come te li sei addebitati. Tu ci hai addebitato che Enzo è affaticato per tutti noi. Ecco, allora noi vogliamo invece dire a te e a Enzo che noi vorremmo togliergli il lavoro perché lui si senta bene, perché lui possa con noi proseguire perché noi abbiamo bisogno di lui. Abbiamo bisogno di te, abbiamo bisogno di tutti e se uno è particolarmente affaticato e voi lo sapete, ecco, ci sono tutti gli amici della Comunità, siamo tanti, siamo sette, otto, diecimila, quelli che siamo, sono tutti a disposizione. Hai capito Sergio? Questo io te lo dico. Ti chiedo scusa perché tu sei stato un po’ duro prima quando ci hai in certo qual modo addebitato diciamo così delle responsabilità. Io non le ho. Ogni volta che voi mi avete chiamato e tutti noi qui ogni volta che ci avete chiamato, ogni volta che c’è stato bisogno di noi, noi siamo venuti, siamo corsi, in qualsiasi momento. Se tu, in modo particolare che vivi con Enzo, l’ha visto affaticato hai fatto male a non chiamare tutti noi, dico tutti noi a dire che Enzo era affaticato per dargli una mano. E allora molto probabilmente non sarebbe successo quello che è successo. In ogni modo io non voglio addebitare a nessuno però mi voglio anche sdebitare nei confronti della Comunità perché io non ho affaticato Enzo, se mai ci sono state delle circostanze particolari e io sono uno di quelli insieme a tutti quanti quelli che sono qui e quelli che sono fuori perché sono al mare, perché per necessità, eccetera, eccetera, siamo tutti qui sempre per la Comunità. La Comunità è una e non ce ne sono due. Hai capito? Quindi io, a titolo personale, ti dico che fin da adesso sono disponibile per la Comunità come sempre e per Enzo in modo particolare. (applausi). Sergio G.: Forse io pensavo che, siccome per fortuna in un certo modo, Enzo ha la sorella qui a Firenze, l’Adriana, che sta qui all’Isolotto, e forse una sorella.. ce l’ho anch’io le sorelle ma le mie stanno per conti suo. Adriana è molto vicina ad Enzo, lo capisce e poi pensa le stesse cose che pensa lui, quindi io pensavo che l’Adriana fosse la persona più capace di curarlo. Praticamente gli ha fatto da mamma fin da bambino, perché Enzo ha perso la mamma che aveva pochi mesi e quindi da mamma gliel’ha fatto l’Adriana, allora io pensavo che fosse lei la persona più adatta a stargli vicino e a tirarlo su e a curarlo un pochino. No, è vero! Dice: “Ma anche noi siamo tutte sorelle di Enzo, tutti fratelli di Enzo”. È vero, è vero anche questo, però ci vuole anche una persona che a un certo momento diriga un po’ le cose. Non si può arrivare un giorno che siamo cinquanta e magari il giorno dopo, poi, invece, non c’è nessuno. E allora forse, forse.. io penso questo: vuol dire che io stasera, ora quando si va via, telefono ad Adriana, glielo dico questo che per domenica magari, non so, se ci sarà necessità, ma io penso ormai no perché già stasera vi dicevo che stava molto meglio, quindi cominciava già a muovere un po’ di più le mani senza sentire tanto dolore alle costole quindi non si dovrebbe trattare di una cosa molto lunga. Se eventualmente c’è bisogno, senz’altro, ecco, noi non è che ci s’abbia, dico, riguardo, ritegno nei confronti di nessuno di voi. Voi donne potreste essere le nostre mamme o le nostre sorelle e quelli più piccini i nostri figlioli sicché non ci si sente a disagio nemmeno per le cose direi di stretta necessità. Veramente ecco non è che ci si vergogni di voi. A un certo momento si sa il bene che ci si vuole e quindi si passa sopra a tutte le bischeratelle che normalmente ci dividono. Quindi se c’è bisogno, senz’altro questo si fa. Io stamani mattina ci sono andato, tornai ieri sera, però non ci sono andato stanotte. Stamattina alle cinque ci sono andato e sono venuto via alle otto perché è venuta Adriana e poi sono tornato stasera una mezzoretta alle sette anche perché c’era questo e questo bisogna pure che ve lo dica: Enzo non voleva che io lo sapessi. Io praticamente domenica, dopo la Messa, andai via, andai ad Antignano. Avevo le ferie in questo periodo e sicché mi disse: “Guarda. giacché tu hai le ferie, vai via, vuol dire che dopo vado via un po’ io”. E allora domenica andai via. E allora quando mi telefonarono non volevano dirmelo, poi per disgrazia, per puro caso, ieri mattina successe che mi vidi con altri dell’Isolotto che erano a Cecina - e io ero a Antignano - e quindi me lo dissero. Allora a quel punto lì dissi: “Se anche avete deciso che io non venga però, che fo, a questo punto io vengo giù lo stesso, magari vengo giù a rendermi conto come stanno le cose e poi vuol dire, se le cose sono chiare, son serene, e poi in fin dei conti la gente dell’Isolotto sa fare benissimo anche senza noi preti perché siamo tutti responsabili alla stessa maniera, quindi è bene non essere noi, come realmente non lo siamo, a dirigere le cose ma tutti insieme le si decidono, io sono pronto a pigliare anche questi ultimi due giorni”. Quindi oggi gliel’ho detto, anzi lui stesso ma detto: “Ma perché tu sei venuto!? Tu non dovevi venire”. Ma dico io: “Ora tu pensa per te, io penso per me: insomma vuol dire che mi leverò di torno”. Allora io avevo stabilito già che domani mattina io sarei andato via. Ho già preparato ogni cosa per la Messa per domenica e quindi sabato sera ritorno. Quindi domani mattina vado via, sabato sera ritorno così domenica mattina… anche per non farlo sentire troppo di peso, se no sembra ch, se si ammala lui, tutti gli altri… già comincia a dire: “Ma insomma se mi ammalo io tutti gli altri ne risentono” quindi entra in crisi. Io gli ho detto: “Guarda, io mi levo di torno, così stai tranquillo te, sto tranquillo io, mi levo di torno e bell’e fatto. Domattina vado via però sabato sera, sono due giorni, ritorno lo stesso”. Però io non me la sentivo di andare via stasera, cioè di andar via oggi come lui voleva ma volevo stasera ritrovarmi insieme con voi per parlarne un pochino insieme, per vedersi u po’ in faccia, tranquillizzarsi a vicenda insomma e quindi anche la cosa che io ho detto dianzi riguardo alla fatica che grava su Enzo non era una cosa di cui volevo accusare qualcuno. Soltanto volevo dire che forse sarà il caso, ora, passato questo periodo di agosto, di rivederci un pochino insieme proprio su questo argomento, vedere, cioè a dire, che cosa si può fare veramente perché noi, ecco direi, nella nostra veste di preti che spesso si determina le cose, si scompaia sempre di più e si diventi un tutt’uno veramente insieme con tutti voi e quindi certe cose sempre di più le decidiamo insieme e sentiamo una responsabilità comune. Io volevo dire soltanto questo. Ecco, non volevo con questo fare un’accusa. Certo io mi rendo conto che per Enzo è molto difficile perché non so, Paolo lavora e la sera quando torna magari è stanco, e quindi lui (Enzo) può avere, a un certo momento, (riguardo). Uno che lavora e ha lavorato tutto il giorno, se anche si riposa un’ora, ha diritto di riposarsi un’ora. Io stesso vado a lavorare e quindi sento questo, mi sento quasi scusato a volte: c’è da fare qualcosa, e va a finire che cosa succede? Che Enzo che un impegno di lavoro fisso non ce l’ha, va a finire che le cascano addosso a lui. È questo il problema mio. Cioè a dire praticamente va a finire che noi che si lavora si fa meno di lui perché lavora più di noi perché non lavora. Lui si trova nella condizione psicologica di fare tutte le altre cose e quindi si stronca e noi a un certo punto.. non so se mi capite. E quindi è una situazione veramente un pochino difficile. Lui fa per levarlo a noi e praticamente forse noi si lavora meno di lui perché lui sta tutto il giorno qui: gente che viene, una storia e un’altra, i ragazzi che ci sono. Uno, quando è li a lavorare, lavora otto ore ma nessuno gli rompe le scatole altro che il capo reparto o il principale ma poi altri problemi, fino alle sei o le sette la sera non ci sono. Quello, che invece sta a casa tutto il giorno, ha mille preoccupazioni. Quando la sera si torna, se c’è da fare qualcosa, è chiaro che lui si sente in difficoltà magari a chiederlo a noi perché dice: “Poveracci! Hanno lavorato tutto il giorno, ora che tornano gli chiedo di fare questa cosa? Mi sono spiegato? Bisognerà, ecco, da pare nostra - non era un’accusa che facevo a voi ma qualcosa che riguardava anche me, anche Paolo – vedere un pochino come ci si può organizzare in maniera tale che tante cose, ecco, non vadano a cascare su quello che magari lavora più degli altri anche se non ha un impegno fisso di lavoro. Era questo che volevo dire. Allora ci si vede domenica alla Messa, alle undici, così si prega insieme. Bene! Allora buonanotte! (Termina la riunione e la registrazione dell’assemblea del 5 agosto 1970).