Azione - Settimanale di Migros Ticino Le pietre del Tamburini

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Azione - Settimanale di Migros Ticino Le pietre del Tamburini
Itinerario
Non è un itinerario vero e proprio, quello che vi propongo. Piuttosto uno stimolo all'andar per boschi
e valli alla scoperta di queste insolite incisioni rupestri. Ognuno si potrà sbizzarrire, programmando
la ricerca come meglio crede. Le pietre del Tamburini si possono trovare, anche se il compito non è
dei più facili, tutte in un giorno oppure in diverse occasioni.
Da Novaggio
Un suggerimento. Avventuratevi sul Sentiero delle meraviglie, un percorso tematico circolare, facile,
adatto alle famiglie, ben segnalato, che parte da Novaggio e che vi conduce attraverso un suggestivo
ambiente naturale, sui bordi della Magliasina, alla scoperta di svariate testimonianze di vita rurale.
Miniere, castelli, fornaci, muri a secco, mulini, che vi permetteranno di fare un tuffo nella storia del
nostro paese. E se vorrete, il tuffo lo potrete fare anche sotto la cascata del maglio di Aranno,
accanto ad una delle scritte del Tamburini.
Da Miglieglia
Un consiglio: prima di mettervi in marcia date un'occhiata alla chiesa di Santo Stefano al Colle, che
veglia dall'alto sul villaggio. L'edificio sacro, risalente al XII secolo, conserva il campanile romanico
e, al suo interno, un corpus di splendidi affreschi (fine XV- inizio XVI secolo), restaurati dallo studio
Alberti&Sironi di Maroggia tra il 2006 e il 2008. Quelli delle pareti laterali dell'abside rappresentano
gli Apostoli, «protagonisti» di un'antica tradizione, ancora in uso a Miglieglia: quella dell'apostolare.
Si tratta di un rito, a cui fanno ricorso le coppie che non riescono ad avere figli, oppure le gestanti
che temono per la salute (fisica o spirituale) del bambino che aspettano. Vengono accese 12 candele,
in corrispondenza della raffigurazione di ogni Apostolo, si celebra una messa e si recitano le litanie
dei santi implorando la grazia della gravidanza e il suo buon esito. L'Apostolo davanti al quale si
spegne l'ultima candela darà il nome al futuro neonato.
Partenza: 716 msm
Si lascia il paese sulla strada che sale accanto alla stazione di partenza della funivia e si seguono le
indicazioni per il Monte Lema. L'incisione del Borègh du Tamburin si trova nella valle del fiume
Bavòcc, in zona Frecc, a 796 sms. La pietra è di difficile localizzazione e chi vuole mettersi alla sua
ricerca deve sapersi muovere in terreni accidentati e orientarsi nei boschi. È utile un apparecchio
GPS.
Coordinate GPS: N46° 01.565' E8° 50.691'
Anche l'incisione dell'Alpe Boscone (948 sms) s'individua con qualche difficoltà, poiché la
vegetazione è cresciuta parecchio e il ruscello vicino al quale si trova la pietra è ormai sommerso
dalla boscaglia. All'altezza dell'ultima curva della strada agricola, prima che inizi un tratto da poco
rifatto con carreggiate in cemento, scendere sul greto e... guardarsi attorno.
Coordinate GPS: N46° 01.897' E8° 50.983'
Da lì si può continuare sul sentiero fino alla cima del Monte Lema (1621 sms), da cui si gode di una
straordinaria vista a 360 gradi.
Si può naturalmente fare il percorso inverso, tutto in discesa, salendo al Lema con la funivia.
Le pietre del Tamburini
Alla ricerca delle tracce lasciate da un eclettico e insigne malcantonese, vissuto a
cavallo fra '800 e '900, sui massi nei boschi della sua regione
/ 28.11.2016
di Romano Venziani, testo e immagini
Quando lo trovarono morto nella vasca da bagno, un giorno di agosto del 1941, qualcuno pensò che
quella sua fine fosse beffarda e paradossale.
Altri invece, più propensi a vedere il bicchiere mezzo pieno e il positivo nei fatti della vita, ritennero
che la Morte, benevola, avesse scelto di portarselo via proprio quando se ne stava piacevolmente
immerso nel suo elemento preferito: l’acqua.
Laggiù, nel fondo della valle della Magliasina, dove il sole arriva appena a graffiare il verde del
sottobosco, il fiume forma una cascata, che cade, spumeggiante, alimentando un’ampia pozza di
acqua cristallina. La conosce bene chi passa di lì seguendo il Sentiero delle Meraviglie e, dopo aver
visitato il vicino Maglio di Aranno, fa una pausa per rinfrescarsi, sedotto dall’atmosfera magica del
luogo.
Di fianco alla cascata, su una roccia liscia come una pietra tombale s’intravvede una scritta incisa a
caratteri cubitali: «Il bagno è salute e vigore - Saper nuotare è un dovere» e, sotto, a siglare quella
strana massima rupestre, «A. Tamburini». Ovvero Angelo Tamburini.
Carneade, chi era costui? Chiederete voi. È presto detto, anche se vale la pena soffermarsi un po’ di
più sulla figura di questo insigne malcantonese.
Angelo Tamburini nasce a Miglieglia nel 1867, in un Malcantone rurale e depresso, che pur
generando a profusione artisti e menti geniali spedisce i suoi figli a far fortuna all’estero. Lui invece
rimane, o almeno, non si allontana di molto.
È un ragazzo intelligente e precoce e non tarda a dimostrarlo.
Nel 1881, appena quattordicenne, in soli sei mesi (invece dei due anni regolari), porta a termine la
cosiddetta «Scuola Normale» di Locarno e diventa insegnante a Cadenazzo, dove deve vedersela con
una sessantina di alunni delle classi miste. Se la cava egregiamente, il giovane Tamburini, e per quel
suo lavoro di docente guadagna cinquecento franchi all’anno. Quella sua prima esperienza gli
lascerà attaccata alla pelle una profonda passione per il mondo della scuola e dei giovani, alla cui
educazione dedicherà tutta la vita.
Angelo è un personaggio poliedrico, che non si limita alla sua missione pedagogica. È anche uomo
politico (deputato in Gran Consiglio per il partito liberale, promotore del raggruppamento terreni,
precursore della fusione dei comuni) e scrittore: pubblica libri di testo e manuali agricoli e, da
attento studioso dei più disparati campi dello scibile umano, scrive testi sull’alpinismo e la
montagna, opuscoli contro l’alcolismo come piaga sociale e pamphlet in difesa degli animali e della
natura.
È uno di quegli uomini tutto d’un pezzo, il Tamburini, legato alla terra e a chi la lavora. È un legame
forte, questo, che gli viene dal padre fornaciaio e contadino, e che lo accompagnerà per tutta la vita
improntando ogni sua attività.
L’amore per la terra e per la natura, lo porterà a percorrere in lungo e in largo il territorio che l’ha
visto nascere e in cui lascerà dei «segni» che lo ricordano.
Ed è appunto attraverso questi «segni», che l’ho conosciuto.
«Non mi sento un ricercatore, uno specialista. Mi considero piuttosto un “localizzatore di reperti”,
che riferisce a ricercatori e specialisti quello che vede». A parlare così è Marco Casari, a cui devo la
scoperta e l’«incontro» con Angelo Tamburini. I reperti a cui Marco fa allusione, in questo caso, sono
delle pietre. Blocchi granitici di varie dimensioni, nascosti nei boschi del Malcantone o bagnati dagli
spruzzi dei torrenti, che alimentano l’intricata rete idrica di quest’angolo di Ticino.
Su quelle pietre, el Tamburin ha lasciato le sue massime lapidarie, è il caso di dirlo, che inneggiano
alla natura e all’acqua, quell’elemento liquido che tanto lo affascina.
Poco sopra Miglieglia, sulle pendici del monte Lema, c’è una valle angusta e selvaggia, disegnata dal
riale di Bavòcc, che si fa strada gorgogliando tra le rocce e la vegetazione rigogliosa. Ne risalgo per
un breve tratto il corso, guidato da Marco, il «localizzatore», che ad un certo punto mi indica
qualcosa oltre un intrico di rami.
«Quello è il borègh du Tamburin» mi dice, il gorgo di Tamburini. Il fiume in quel punto interrompe il
suo veloce defluire e forma una pozza, dove l’acqua si riposa e descrive un lento ondeggiare
circolare che cattura riflessi di cielo.
Qui, Angelo Tamburini veniva a fare il bagno, ad immergersi in quell’acqua che tanto amava,
elemento primordiale, purificatore, fonte di rinascita. « Acqua chiara e tranquilla sul tuo margine io
seggo e sono felice 1912» si può leggere, lì accanto, su un grande masso animato da un baluginare
di ombre e di luci.
Il borègh du Tamburin oggi è profondo solo qualche spanna, riempito dal pietrisco portato da tante
piene, che hanno lasciato tutt’attorno anche i resti scheletriti di alberi conficcati nella ghiaia.
Torniamo sui nostri passi e riprendiamo il cammino, questa volta più agevole, sul sentiero che sale
verso il Lema.
Poco oltre i 900 metri di quota, s’incontra l’alpe Boscone. Anche qui Angelo Tamburini ha lasciato un
suo «segno», affidandolo a una roccia levigata dal ruscello. «Dio protegge coloro che congiungono
alla forza la bontà» declama questa volta la pietra. E la frase, curiosamente, me ne richiama alla
mente un’altra, simile, che campeggia su una moltitudine di manifesti, cartoline, copertine di libri,
quaderni e Moleskine: «Bisogna essere duri senza mai perdere la tenerezza», affiancata
dall’immagine bicolore del suo autore: Ernesto Che Guevara.
«Anche se le massime sono sue, è difficile pensare che Angelo Tamburini, docente, granconsigliere e
scrittore, se ne sia andato in giro con mazzetta e scalpello a scolpirle sui sassi», riflette Marco,
«probabilmente qualcun altro l’ha fatto per lui».
Il sentiero riprende a salire, più ripido, in uno straordinario bosco di faggi. Alcuni sono immensi e
secolari, veri e propri monumenti pieni di vita che una natura generosa ci ha offerto in dono. «Le
piante hanno virtù di ingentilire ed educare gli animi e risvegliare in noi pensieri nobili e delicati»,
scriveva il Tamburini forse ammirando alberi come questi.
Dove il bosco inizia a diradarsi, sul costone che sale sotto la funivia, a una decina di metri dal
sentiero, un masso squadrato tramanda un altro messaggio: «Festa dell'albero. La foresta è sacra
1914-1915 A.T.».
In campo didattico il Tamburini è un «fervente innovatore», come lo definisce Plinio Grossi, curatore
della ristampa della Guida al Malcantone, che il maestro di Miglieglia aveva scritto con Antonio Galli
(1)
È l’inventore delle passeggiate scolastiche (1890), il promotore del disegno e del lavoro manuale
nelle scuole (2), l’iniziatore delle visite mediche ed oculistiche per gli alunni e l’ideatore della Festa
dell’Albero, che si tiene per la prima volta in Ticino nel marzo del 1914.
Per il professor Tamburini, la Festa dell’Albero «è destinata ad innalzare il lavoro e l’economia
domestica e rurale a dignità di mezzo educativo… questa festa sarà quella del popolo: il popolo tutto
comprenderà finalmente che la foresta è sacra, che un paese che disbosca muore e che la sanità, la
forza, la ricchezza, la felicità delle generazioni umane sono in gran parte conseguenza naturale e
diretta del rispetto che l’uomo ha della libera espansione della vita naturale».
E per lui, quella festa, celebrata per alcuni anni in tutto il Ticino, rappresenta il profondo amore che
egli nutre per la natura, i suoi esseri e le sue manifestazioni.
Angelo Tamburini muore il 9 di agosto del 1941. «A quei tempi, l’unico bagno che c’era in paese era
quello della mia zia al ristorante Centrale- mi aveva raccontato Armida Ryser Demarta, di Novaggio,
scrittrice di commedie e poesie dialettali, che aveva conosciuto Angelo Tamburini quando era una
ragazzina. Era un vecchio bagno, enorme, di ghisa. Il professor Tamburini era solito usarlo,
soprattutto l’inverno, e vi rimaneva a mollo per almeno un’ora. Un giorno, la zia, non vedendolo
comparire, si era preoccupata. È andata a vedere e lo ha trovato morto nella vasca».
Da allora, Angelo Tamburini riposa nel cimitero di Novaggio. Un ragazzino di marmo con un libro e
una rosa in mano (lo avevo descritto come «incredibilmente bianco» qualche anno fa, ma ora è
indubbiamente bisognoso di una salutare ripulita) veglia sulla sua tomba. Lì vicino, su di una parete
della Gesòra, la chiesa di Santa Maria di Carate, dedicata alla Beata Vergine del Carmelo, una lista
di otto massime. «Il maggior peso che sopporta la terra, è quello dell’uomo ignorante». È la mia
preferita.
Oggi, dell’eclettico personaggio malcantonese rimangono gli scritti, il nome di una via e le insolite
incisioni rupestri, che aspettano pazientemente chi le saprà trovare.
Note al testo
(1) Cfr. Plinio Grossi, Il Malcantone. Dalla guida Galli-Tamburini alle fotografie di Eugenio
Schmidhauser, Lugano, Edizioni Edelweiss, 1984. Pg.25
(2) «Vorrei , o Signori, che la nostra Confederazione facesse un po’ d’economia nei cannoni, nelle
baionette, nelle fortificazioni ed incoraggiasse il lavoro manuale e il miglioramento
dell’agricoltura» (conferenza tenuta a Lugano nel 1892)