la gestione del rischio di cambio
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la gestione del rischio di cambio
UNIVERSITA’ POLITECNICA DELLE MARCHE FACOLTÀ DI ECONOMIA “GIORGIO FUÀ” Dottorato di Ricerca in Gestione nei Mercati Finanziari ed Assicurativi VII Ciclo – Nuova Serie Tesi di dottorato Internazionalizzazione e Finanza innovativa: un Trading System per la gestione del rischio di cambio. Supervisore: Tesi di Dottorato di: Prof.ssa Caterina Lucarelli Filippo Cossetti Coordinatore del Corso: Prof. GianMario Raggetti II Alla mia famiglia, la mia forza… III IV Indice Introduzione Capitolo I GLOBALIZZAZIONE E INTERNAZIONALIZZAZIONE 1.1.Globalizzazione 1 1.2 Internazionalizzazione delle imprese 6 1.3 L’Italia nell’economia internazionale: focus sull’export 25 1.4.Servizi finanziari per le imprese 20 1.4.1 Commercial banking 21 1.4.2 Investment banking: focus sulla gestione del rischio di cambio 29 Capitolo II LA GESTIONE DEL RISCHIO DI CAMBIO 2.1 Rischio di cambio ed export: i problemi per le PMI 35 2.2 Rischi per le imprese 40 2.3 La misurazione del rischio di cambio: la posizione valutaria 43 2.4 Gestione del rischio di cambio: gli strumenti finanziari 45 2.4.1 Strumenti finanziari: descrizione 46 2.4.2 Strumenti finanziari: strategie e gestione dinamica 62 2.5 Analisi Tecnica, Forex e Trading System 67 Capitolo III TRADING SYSTEM STRATEGY 3.1 Realizzazione strategia: medie mobili con filtro RSI 75 3.2 Test della strategia 79 3.3 Best strategy: analisi annualizzata 84 3.4 Test robustezza con i cambi principali 91 3.5 Simulazione 96 3.6 Sintesi risultati 105 3.7 Confronto strategie 108 3.8 Operatività a mercato 116 Conclusioni Bibliografia V VI Introduzione L’internazionalizzazione in campo aziendale può essere definita come lo sviluppo delle attività d’impresa in mercati differenti rispetto a quello nazionale: in quest’ottica, un’ impresa internazionalizzata è intesa come un’azienda capace di ottenere un vantaggio competitivo nel territorio nazionale e in grado di sfruttare tale vantaggio anche al di fuori dai confini domestici. Le teorie classiche nascono dall’osservazione del modus operandi delle multinazionali (Vernon, 1966) relegando l’internazionalizzazione delle piccole e medie imprese (PMI) ad un fenomeno di nicchia, scarsamente interessante e limitato alla semplice esportazione. Mancando una teoria dell’internazionalizzazione delle Pmi, per molto tempo si è identificata la PMI internazionale con l’impresa etnocentrica, ovvero un atteggiamento nei confronti dei mercati esteri caratterizzato da esportazioni limitate dirette a mercati “vicini” (sia geograficamente che culturalmente) che richiedessero adattamenti minimi ai prodotti originari (Perlmutter, 1969). Nel corso del tempo tale atteggiamento si è modificato ed evoluto, passando ad un approccio di graduale sviluppo nei mercati esteri, non più esclusivamente geografico ma caratterizzato da un crescente coinvolgimento organizzativo, strategico e finanziario (Johanson e Valhne, 1977). I processi di internazionalizzazione delle PMI Italiane sono stati approfonditi sia in ambito economico (Mariotti, 2000; Onida, 2004) che in quello aziendale (Varaldo, 2006) e con il tempo il dibattito si è spostato anche sul legame più o meno diretto con il fenomeno della “globalizzazione” (Benevolo e Caselli, 2009). L’internazionalizzazione si configura come una diretta conseguenza della globalizzazione, anche se vi è la tendenza comune ad attribuire lo stesso significato a tali processi; in realtà il termine “internazionalizzazione” viene usato con riferimento alle operazioni internazionali da parte delle PMI, mentre con “globalizzazione” si fa riferimento alla connettività internazionale dei mercati e l’interdipendenza delle economie nazionali che incidono fortemente sull’attività delle PMI (Ruigrok, 2000). La globalizzazione può essere definita come “il processo attraverso il quale i mercati e la produzione in paesi differenti stanno diventando sempre più interdipendenti, in seguito alle dinamiche di beni e sevizi, dei flussi di capitale e di tecnologia. Non si tratta di un fenomeno nuovo ma della continuazione di processi in atto già da tempo” (European Commission, 1997, pag. 45). Si arriva così alla creazione di un mercato unico, globale, dove i diversi segmenti di mercato - prima esclusivamente nazionali - si sono estesi su scala internazionale, o meglio, mondiale. Dunque, si assiste al “‘tentativo’, che gli attori economici (sfruttando l’enorme avanzamento delle tecnologie) stanno perseguendo per I unificare il mondo” (Eurispes, 1998, pag. 36). Tale processo di integrazione economica mondiale è sinteticamente caratterizzato dall’eliminazione di barriere commerciali con conseguente incremento delle opportunità (e della concorrenza) su scala internazionale: idealmente, L’impresa globale è quella che riesce a portare il proprio prodotto ovunque, in qualsiasi momento, per offrirlo in un mercato locale (Dunnin e Mucchielli, 2002). Esportare rappresenta il metodo più semplice, e solitamente il meno rischioso, per conquistare una posizione nel mercato globale; esso rappresenta inoltre la soluzione che richiede il minor impegno in termini di risorse, quindi la più adottata dal “tessuto economico-produttivo” italiano, caratterizzato e trainato prevalentemente da PMI (Silvestrelli, 2001). Tuttavia, occorre tener conto dei rischi connessi all’attività di esportazione, e più in generale di internazionalizzazione, quali: rischio politico (instabilità istituzionale); giuridico (inadeguatezza delle leggi a tutela dei diritti soggettivi); valutario (possibile blocco dei pagamenti); di cambio. Tra le problematiche appena elencate, il rischio di cambio ha un peso notevole, sia per la sua natura essenzialmente e puramente aleatoria - che ne rende difficoltose la valutazione e la gestione - sia per il peso che riveste nella redditività delle operazioni commerciali, e quindi in ultima analisi per l’appetibilità stessa di tali attività (Damodaran, 2008). La storia dell’euro insegna che il confronto tra due divise, anche di vaste aree economiche (Euro contro Dollaro, o contro Yen, ad esempio), non riduce la possibilità di ampi movimenti, sia favorevoli che sfavorevoli, in presenza di squilibri consistenti nelle rispettive bilance dei pagamenti. L’ingresso dell’Italia nell’Unione Monetaria Europea (UME) non ha, pertanto, messo tout court le aziende nazionali al sicuro dal rischio di oscillazione del tasso di cambio e quindi al rischio concreto di vedere erosi i profitti derivanti da un buon andamento dell’attività caratteristica a causa rilevanti perdite su cambi (Maiorino, 2006). La conoscenza e la corretta valutazione del rischio di cambio – attività presente e ben impostata nelle grandi imprese, dove il ruolo del Risk Manager viene separato dalle altre funzioni aziendali - viene invece trascurata nelle PMI, dove la funzione di tesoreria risulta accorpata con altre (tipicamente quella amministrativa) o addirittura è lo stesso imprenditore ad assumerne il controllo. Questa tendenza diffusa deriva dalla scarsa conoscenza dei rischi finanziari, la cui gestione potrebbe invece rivelarsi un fattore di successo al pari (se non di più) con altre funzioni aziendali quali Marketing, Ricerca & Sviluppo, produzione e vendita (Garioni, 2007). L’offerta di prodotti finanziari finalizzati alla copertura del rischio di cambio è vasta ed in continua evoluzione; il sistema bancario – di fianco a strumenti tradizionali – crea strumenti innovativi sempre più complessi (spesso il risultato della combinazione di altri strumenti finanziari) che richiedono risorse gestionali, conoscenze e abilità pratiche non II indifferenti. Cambi a termine, anticipi all’export, domestic currency swap, currency option sono solo alcuni esempi: ogni impresa deve pertanto fare un’attenta riflessione sulla natura e sull’entità dei rischi che corre, e scegliere una strategia che sia la migliore per le caratteristiche della propria gestione (Frenkel et al, 2005). Fatte queste premesse, la domanda che ci si pone in questo lavoro di ricerca è: come difendere i prezzi all’export, nel caso in cui l’Euro subisca apprezzamenti o deprezzamenti nei confronti delle altre valute? Verrà data la risposta a questa domanda focalizzando l’attenzione sull’analisi del rapporto Eur/Usd, che è la fonte principale del rischio di cambio per le imprese italiane1. La metodologia proposta – che consiste nell’utilizzo dell’analisi tecnica per la creazione di un Trading System finalizzato alla copertura del rischio di cambio si delinea come una soluzione innovativa non tanto nel criterio realizzativo, quanto nell’ambito di applicazione: nel trading privato e nelle società di gestione l’utilizzo di sistemi di trading e, più in generale dell’analisi tecnica, rappresenta la norma (Gehrig e Menkhoff, 2006), diverso è il discorso in ambito aziendale dove la maggior parte delle operazioni di copertura è rappresentata da forward, swap e opzioni, storicamente più vicine alle esigenze di rischio/rendimento delle imprese non finanziarie (Gallagher e Andrew, 2007). In questa sede si vuole dimostrare come una specifica conoscenza dei diversi strumenti a disposizione, accompagnata da una gestione professionale dei rischi aziendali, permetta di realizzare una strategia finalizzata al raggiungimento dell’obiettivo principale (hedging) e non solo. Attraverso implementazione di questa metodologia (Hedging + Trading System) qualsiasi impresa che esporti può quindi raggiungere uno o più di questi obiettivi: - annullare il rischio di cambio; - ottimizzare i flussi di cassa; - generare delle differenze positive su cambi. Il cambio spot, “prolungato” fino a scadenza, ha prezzi evidenziati dal mercato Forex, costi bassi e durata decisa dalle esigenze delle aziende e delle imprese; dunque, uno strumento estremamente flessibile. In breve, l’obiettivo di questo studio è quello di dimostrare come una soluzione “alternativa” a quelle offerte tradizionalmente dal sistema bancario, possa risultare la forma più moderna, più dinamica e trasparente di copertura del rischio di cambio. Il lavoro viene articolato in quattro capitoli. Nel primo capitolo, dopo un’introduzione del “fenomeno globalizzazione” e dei possibili effetti sul sistema economico, verranno affrontate le problematiche relative all’internazionalizzazione delle imprese italiane, ponendo l’attenzione su quello che è stato sviluppo e l’evoluzione del commercio con l’estero, le 1 Bank for International Settlements, Survey 2010 III strutture a sostegno dell’internazionalizzazione e i servizi finanziari a disposizione delle imprese. Nel secondo capitolo, il focus verrà rivolto alle problematiche inerenti il rischio di cambio, illustrando quali strumenti finanziari (innovativi e non) rappresentano le possibili scelte per l’impresa. Verrà effettuata una puntuale analisi di quelli che sono gli strumenti “tradizionali” e “innovativi” attualmente a disposizione delle imprese: un passaggio fondamentale per capire quali sono opportunità e rischi a cui le nostre aziende si espongono. Nel terzo capitolo l’attenzione sarà rivolta al mercato di riferimento oggetto della ricerca, il mercato valutario. Si analizzeranno le caratteristiche e l’operatività spot nel mercato Forex (Foreign Exchange Market) e verrà introdotta una descrizione teorica dello strumento che utilizzeremo per la realizzazione della strategia di copertura del rischio di cambio: il Trading System. Nel quarto capitolo verrà infine proposta e realizzata una strategia innovativa (Trading System + Hedging) basata sull’operatività Forex-spot - con riferimento al cambio EurUsd - e finalizzata alla copertura del rischio di cambio per le imprese che si internazionalizzano. Logica realizzativa, simulazioni, test di robustezza, operatività nel mercato reale e confronto con strumenti alternativi saranno i passaggi fondamentali per comprendere al meglio i pregi e i limiti di questa nuova strategia con l’obiettivo ultimo di dare un contributo alla ricerca nel settore. IV CAPITOLO I GLOBALIZZAZIONE E INTERNAZIONALIZZAZIONE 1.1 Globalizzazione. Al termine globalizzazione sono stati attribuiti significati molteplici, Acocella (2005) definisce questo fenomeno come “la crescita ad una scala tendenzialmente mondiale delle interrelazioni fra i diversi sistemi economici e sociali nazionali attraverso istituzioni economiche private. Una tale crescita è connessa con l’aumento degli scambi internazionali di merci, di capitale finanziario e di lavoro” (p. 8). Come ampiamente documentato in letteratura (Oman, 1996) gli aspetti che emergono dall’analisi del fenomeno sono rappresentati sia dalla mancanza di una chiara definizione del concetto (Thompson, 1999) sia dalla consapevolezza che, comunque, parliamo di un evento il cui processo evolutivo è iniziato già da tempo ed è in continuo divenire. Affermare che “la globalizzazione è un fenomeno caratteristico degli ultimi decenni e addirittura l’inizio di una nuova epoca storica è in generale possibile solo se ciò che è nuovo viene contrapposto a ciò che è stato finora. Se invece la globalizzazione viene considerata come il risultato dell’operare congiunto e del rafforzarsi reciproco di processi di lunga durata, allora in questo caso (e solo in questo) ci troviamo propriamente al centro di importanti questioni d’interpretazione storica” (Osterhammel e Petersson, 2005). Proprio a seguito di tale definizioni, possiamo ripercorrere brevemente le tappe storiche verso la globalizzazione: fino al 1750 abbiamo la fase di costruzione e consolidamento dei legami mondiali, successivamente (1750 – 1880) si parla di imperialismo, industrializzazione e libero commercio [1846-1880, nascita dell’economia mondiale; 1870-1914, prima ondata di globalizzazione]. Dal 1880 al 1945, capitalismo mondiale e crisi mondiali; 1945-1980, seconda ondata globalizzazione; 1980 ad oggi, terza ondata di globalizzazione (Dollar e Collier, 2003). Parliamo quindi di un fenomeno economico e sociale tale per cui le correlazioni, i legami e le dipendenze dei sistemi di tutti gli Stati aumentano in maniera esponenziale. A seguito delle definizioni date, è possibile individuare le principali caratteristiche di questo processo, sintetizzabili in primis dalla maggiore apertura del commercio internazionale, poi dalla liberalizzazione dei mercati - in particolare quello finanziario - ed infine dalla progressiva riduzione dell’intervento dello Stato nell’economia a favore del mercato (con riferimento a politiche di privatizzazione, di riduzione dei controlli su importazioni ed esportazioni, politiche monetarie, fiscali e di cambio finalizzate ad una maggiore stabilità economica) (Figini e Santarelli, 2002). Dunque, tale fenomeno produce effetti sia a livello macroeconomico - e parliamo di Istituzioni, mercati finanziari e mercato del lavoro - che a livello microeconomico (Aziende). Nel dettaglio, tanto più i mercati sono correlati tra loro - senza barriere per la circolazione di merci e capitali, con il conseguente incremento della concorrenza internazionale - tanto più le politiche economiche e monetarie dei singoli Governi nazionali potranno risultare inefficaci e quindi condurre a comportamenti poco collaborativi2 (Bojer e Drance, 1996). Per fronteggiare tali situazioni si programmano forum di discussione e incontri a livello mondiale al fine di determinare linee di azione condivise tra le nazioni per il raggiungimento di un obiettivo comune. La globalizzazione della finanza è una realtà per tutti gli attori dei mercati finanziari: tassi, valute e titoli azionari si confrontano in un mercato che, anche grazie alla tecnologia delle telecomunicazioni, è ormai completamente aperto. (Schmukler e Vesperoni, 2000). Tale “dissolvimento elettronico” dei confini comporta sicuramente molti vantaggi ma anche un incremento della complessità delle operazioni e delle problematiche di natura commerciale, fiscale e giuridica (Gianaris, 2001). Ogni attore del mercato globale, nella determinazione della propria strategia, deve tener conto di questa aumentata interrelazione: il numero di informazioni da elaborare per effettuare una scelta di mercato aumenta esponenzialmente all’aumentare della correlazione tra sistemi economici e finanziari quindi, dotarsi di un sistema informativo più che adeguato, risulta oggi un fattore fondamentale. E’ vasta la letteratura sui benefici e sui costi della globalizzazione finanziaria, soprattutto quella riferita ai mercati “maturi” (Brooks, 1999), meno quella relativa agli effetti della stessa per paesi in via di sviluppo: alcuni autori sostengono che la globalizzazione finanziaria riduca la stabilità macroeconomica nei paesi in via di sviluppo (Mishkin, 2006) e, anche se altri affermano il contrario (Kose et al, 2009), la globalizzazione risulta comunque un fattore chiave per stimolare riforme istituzionali che promuovano lo sviluppo finanziario e la crescita economica nei paesi in via di sviluppo3. Fugando i dubbi sul fatto che la globalizzazione finanziaria possa 2 Un esempio classico è rappresentato dal comportamento di un Paese che, al fine di attrarre gli investimenti diretti, decide di ridurre le imposte per i redditi delle imprese estere rendendo più conveniente la localizzazione delle aziende straniere sul proprio territorio. 3 I paesi avanzati possono ulteriormente alimentare questo processo sostenendo l'apertura dei loro mercati ai beni e servizi provenienti da i paesi emergenti. (Mishkin, 2007) 2 essere vantaggioso per i tali paesi, ci si chiede piuttosto come mai non sempre risulti efficace nel favorire lo sviluppo economico, e perché spesso porti a devastanti crisi finanziarie. Il problema non è quindi se la globalizzazione finanziaria è di per sé buono o cattiva, ma se può essere realizzata nel modo più opportuno (Mishkin, 2007). Analizzando il mercato del lavoro, si assiste al trasferimento delle produzioni industriali verso paesi che offrono un mercato del lavoro sicuramente più flessibile, ma con salari più bassi e - soprattutto nei paesi emergenti - a fronte di condizioni di sicurezza sociale peggiore (Stiglitz e Charlton, 2005; Knorringa e Pegler, 2006). Nelle economie avanzate il fenomeno più diffuso è rappresentato dal passaggio dalle produzioni industriali ed agricole al terziario e servizi: l’inevitabile riduzione della forza lavoro e la conseguente perdita del posto di lavoro determina molteplici effetti distorsivi come tensioni sociali, necessità di riqualificazione per un nuovo collocamento, sviluppo di strumenti di aiuto economico (Choi e Greenaway, 2001). Nelle economie più povere si assiste comunque ad un aumento del benessere delle popolazioni che possono trovare un impiego altrimenti difficilmente ottenibile, anche se la forte concorrenza fatica ad innescare il circolo virtuoso della crescita e l’atteggiamento prevalente è purtroppo quello che, grazie ai salari più bassi e alle peggiori condizioni sociali, tende a “sfruttare” tali economie (Bardhan et al, 2006). Dal punto di vista delle imprese, si è assistito ad un graduale espansione del mercato di interesse che ha portato a raggiungere, per molti beni o servizi, una dimensione globale (Mucchielli e Mayer, 2004). In alcuni casi tale ampliamento dimensionale si è presentato sotto forma di semplice “espatrio” delle produzioni (in primis per quelle a basso valore aggiunto) dai paesi maggiormente industrializzati a quelli in via di sviluppo, col chiaro intento di sfruttare una forza lavoro che le condizioni del mercato in quei luoghi rendono particolarmente conveniente (Reinert, 2004; Helpman et al, 2009; Amiti e Davis, 2008). In altri casi, invece, le imprese multinazionali hanno esteso le proprie attività attraverso l’apertura di stabilimenti in altri paesi, con l’obiettivo di produrre i propri beni in loco. L’internazionalizzazione, come vedremo nel dettaglio, rappresenta quindi un importante fattore di competitività per le imprese: attraverso la crescita “globale” si generano consistenti economie di scala, si riducono i costi, si aprono nuovi mercati scegliendo la localizzazione non solo in base a dinamiche di prezzo ma anche con riferimento ad aspetti fiscali, normativi, sindacali, ecc. (Wolf, 2004; Flores e Aguilera 2007). I risultati per i consumatori sono quelli di un generale abbassamento del costo di produzione dei beni e, dunque, del prezzo di mercato. I detrattori della globalizzazione mettono invece sotto accusa le multinazionali in quanto responsabili di creare disoccupazione nei paesi “di origine (dove dismettono attività industriali per “esportarle” all’estero) e di avere effetti negativi anche sulla crescita sociale 3 dei paesi poveri in quanto, attraverso la “leva salariale”, cercano di mantenere bassi i costi di produzione delle merci (Lafay, 2008). Tale obiettivo, è opinione condivisa, viene spesso raggiunto attraverso “ricatti morali” nei confronti dei Governi di quei paesi (Helpman et al, 2009). In sintesi, gli effetti sono certamente duplici: • da un lato l’economia globale comporta la diffusione del benessere a tutti gli attori del processo in atto, determinando una crescita globale e, seppur in tempi diversi, un aumento della ricchezza delle nazioni (Jagdish e Bhagwati 2004); • dall’altro la protezione dei diritti sociali - una certezza nei paesi occidentali - non si può considerare ancora tale nei paesi in via di sviluppo. Il rischio concreto è quello di ledere i diritti umani e politici dei paesi in via di sviluppo, dato che in essi la crescita economica spesso non si accompagna alla quella democratica (Stiglitz, 2006). Dunque, alla globalizzazione economica non si è affiancata una globalizzazione dei diritti sociali (Scholte, 2000; Mazzocchi e Villani, 2002): considerata da alcuni come l’emblema dell’efficienza dei meccanismi del libero mercato (Jagdish e Bhagwati 2004), osteggiata da altri come un evidente fenomeno di sfruttamento economico dei paesi ticchi nei confronti di quelli più poveri (Stiglitz, 2006); i consensi internazionali hanno comunque avviato virtuosismi tali da creare le basi per una loro futura diffusione. Come abbiamo già accennato, la fase attuale della globalizzazione è soltanto l’ultima di un processo - iniziato più di un secolo fa - che si compone di tre step, ciascuno dei quali presenta specifiche caratteristiche e diversi gradi di integrazione (Della Posta e Rossi, 2007). In questa sezione, dopo aver visto i contributi teorici del fenomeno globalizzazione, analizziamo alcuni dati focalizzando l’attenzione alla fase più recente. Negli ultimi venti anni c’è stata una crescita generalizzata a livello globale che ha coinvolto tutte le aree più importanti. Con riferimento al GDP, Europa, America latina ed Asia centrale sono state le aree con un maggiore incremento percentuale4. Dopo anni di forte espansione produttiva e di aumento dell’integrazione internazionale, le prospettive dell’economia mondiale si sono ridotte a seguito della crisi immobiliare scoppiata negli USA nel 2007 e propagatasi dal sistema finanziario a quello reale. Il biennio 2008-2010 è stato caratterizzato da una serie di interventi da parte degli Stati e delle autorità di politica monetaria, finalizzati a ridurre gli shock finanziari e garantire una ripresa del ciclo economico nel medio periodo. Tali manovre, (come possiamo vedere nella tabella 1) hanno determinato una sostanziale tenuta del Pil mondiale (-0,6% nel 2009, dati Fondo Monetario Internazionale). 4 World Development Indicators, Aprile 2010 4 Tab. 1 Prodotto Interno Lordo per aree e Paesi (variazioni in percentuale) Fonte: elaborazione ICE su dati FMI, World Economic Outlook, Aprile 2010 Si tratta di una ripresa a doppia velocità dove gli USA - nonostante abbiano rappresentato “la causa” degli squilibri globali - hanno fatto registrare una contrazione inferiore alla media mentre l’area euro ha avuto un vero e proprio tracollo del Pil, delle esportazioni e della domanda interna. Spostandoci verso le economie dell’Asia orientale, Cina ed India sono andate in controtendenza, mantenendo un ritmo di crescita positivo, grazie soprattutto alla tempestiva applicazione di misure anti-crisi che hanno garantito una stabilità interna accompagnata da un afflusso di capitali stranieri. Non si può fare lo stesso discorso per le economie dell’est Europa dove, chi per eccessiva dipendenza dal settore energetico (vedi Russia) chi per una eccessiva vulnerabilità del sistema bancario, hanno registrato decise contrazioni della crescita. L’area Africana e quella mediorientale, al contrario di quella sudamericana, nonostante il rallentamento rispetto al passato, hanno comunque mantenuto un tasso di crescita positivo. 5 1.2 Internazionalizzazione delle imprese Come visto nella sezione introduttiva, anche se vi è la comune tendenza ad attribuire lo stesso significato, l’internazionalizzazione può configurarsi come una diretta conseguenza della globalizzazione e, in ambito economico, tale terminologia viene usata con riferimento all’operatività internazionale da parte delle PMI (Ruigrok, 2000). Prima di entrare nel dettaglio, si cerca di comprendere come mai le imprese italiane dovrebbero avviare un processo di internazionalizzazione, ovvero quali sono le spinte verso la globalizzazione ed i rischi ad essa connessi (Dematte et al., 2008). Per quanto riguarda le “spinte”, da parte delle imprese esiste la consapevolezza dell’esistenza di differenze - tra i paesi e le aree del mondo in termini di costo dei fattori produttivi e di aumento della pressione competitiva (che le economie mature avvertono nei loro territori storici). Ad essa si aggiunge la volontà di aumentare le dimensioni delle attività caratterizzate dalla presenza di rilevanti economie di scala e la possibilità di attenuare gli alti e bassi del ciclo delle attività economiche interne (Mucchielli e Mayer, 2004). Con riferimento ai rischi per le imprese osserviamo come, in generale, si verifichi un incremento della pressione competitiva - determinata da una riduzione degli attriti spaziali e dei costi di transazione - che porta ad un aumento del numero di concorrenti e la conseguente maggior scelta per i clienti. Si effettua però un’importante distinzione tra i rischi connessi al processo di internazionalizzazione e quelli derivanti da una mancata internazionalizzazione. Nel primo caso l’azienda potrebbe non ottenere risultati economico/finanziari soddisfacenti, esaurire le risorse interne (umane e finanziarie), non riuscire ad ottenere finanziamenti per l’export, trascurare il mercato interno favorendo l’ingresso dei concorrenti o non riuscire a trovare un rappresentante locale adatto (aspetto pratico molto rilevante) (De Martino et al., 2006). Nel secondo, invece, con la mancata internazionalizzazione l’azienda potrebbe avere concorrenti stranieri che entrano nel mercato interno, perdere risorse umane a vantaggio di imprese globali che offrono migliori opportunità di carriera, avere concorrenti che traggono vantaggio dal processo di internazionalizzazione intrapreso, non disporre di ammortizzatori contro le oscillazioni dei cicli economici interni oppure disporre di limitate fonti di approvvigionamento di materie prime (Maiorino, 2006). Definiti i driver dell’internazionalizzazione, approfondiamo il discorso e – seguendo l’Uppsala model (Johanson e Valhne, 1977) – vediamo come questo processo nasce e gradualmente si evolve. Alla prima fase - spesso caratterizzata dalla semplice esportazione (principalmente verso mercati fisicamente più vicini) – seguono poi le fasi successive caratterizzate da un impegno (organizzativo ed in termini di investimenti) via via crescente. 6 Nel dettaglio, i quattro stadi del modello sono: 1. esportazione indiretta: nessuna attività di esportazione regolare: le attività di export (prevalentemente casuali) avvengono su iniziativa dell’importatore estero. Ci può essere anche l’iniziativa da parte dell’imprenditore nazionale, che però si rivolge a produttori stranieri che offrono prodotti complementari o a trading company; 2. esportazione diretta: attraverso agenti e distributori esteri, o comunque rappresentanti indipendenti; 3. realizzazione di una filiale commerciale estera; 4. investimenti diretti in unità produttive e/o distributive. I principali ostacoli all’internazionalizzazione, che possono rendere più o meno difficoltoso tale processo, sono rappresentati dalla limitatezza delle risorse e dalla a mancanza di informazioni e conoscenze. Possiamo vedere le fasi nella tabella due che segue. Tab. 2 Le fasi del processo Fonte: Maccalini- Denicola, Economia e Gestione della PMI, (2007) Tale approccio, concentrando il focus sul graduale coinvolgimento organizzativo, strategico e finanziario (e attribuendo un’importanza minore all’ampiezza geografica del raggio d’azione) si configura in un crescente impegno oltre confine che porta l’impresa da una presenza “occasionale” sui mercati esteri ad una sempre più stabile attraverso un processo nel tempo nel quale informazioni ed esperienza (con riferimento ai mercati serviti) crescono contemporaneamente e contribuiscono ad accrescere e a rafforzare le strutture dedicate alla gestione dell’attività sempre più internazionalizzata (Blomstermo e Sharma, 2003). Analizziamo ora le principali forme di internazionalizzazione intraprese dalle aziende in risposta alle sfide poste dalla globalizzazione (Flores e Aguilera, 2007). Si è visto come le imprese, perlomeno nelle fasi iniziali del processo, adottino approcci più limitati al mercato globale: esportare rappresenta il metodo più ovvio e solitamente il meno rischioso per conquistare una posizione nel mercato globale, configurandosi come la soluzione che - 7 richiedendo un minor impegno in termini di risorse - più si adatta al “tessuto economicoproduttivo” italiano, caratterizzato e trainato prevalentemente da PMI (Silvestrelli, 2001). La scelta di esportare risponde all’esigenza di espandere il proprio mercato di riferimento cercando nuovi clienti in mercati esteri ed il vantaggio principale è quindi rappresentato dalla possibilità di estendere il mercato dell’impresa con un limitato impiego di risorse e con un rischio contenuto. Esistono comunque anche degli ostacoli e dei limiti (Pepe e Zucchella, 2009): - presenza di barriere commerciali che potrebbero rendere i prodotti dell’azienda esportatrice poco competitivi sui mercati locali o addirittura rendere non conveniente questa scelta; - costi di trasporto elevati; - impossibilità di monitorare direttamente la clientela locale e, conseguentemente, la difficoltà per l’impresa nell’adattare i propri prodotti e la strategia di comunicazione alla realtà locale. E’ utile distinguere le forme di internazionalizzazione in base alla finalità perseguita e evidenziando però che nella realtà gli scopi che l’impresa si prefigge possono essere molteplici e combinati tra loro - in generale possiamo distinguere tra scelte di internazionalizzazione finalizzate alla penetrazione nel mercato estero e scelte dettate dalla ricerca di una riduzione dei costi di produzione. Detto questo, si intende analizzare nel dettaglio le diverse forme di internazionalizzazione che, seguendo una classificazione generalmente condivisa (tra gli altri, Buckley e Ghauri, 1999; Silvestrelli, 2008), possono essere suddivise in due ampie categorie: • le scelte di cooperazione; • l’Investimento Diretto all’Estero. Scelte di cooperazione Esistono forme di internazionalizzazione nelle quali il trasferimento di beni e servizi può avvenire attraverso una relazione indiretta. Le scelte di cooperazione si basano su partnership con soggetti terzi e accordi non equity (ovvero che non comportano l’assunzione di partecipazioni nel capitale azionario di altre imprese) e sono comprese in questa categoria gli accordi stipulati per fini commerciali, produttivi e tecnologici (Gramatica, 2002). Negli accordi commerciali il trasferimento di beni e servizi all’estero avviene indirettamente, attraverso la stipulazione di accordi con soggetti terzi specializzati nella distribuzione dei 8 prodotti5. Appare evidente come questa specifica scelta rappresenti una forma di internazionalizzazione più “evoluta” rispetto alla semplice esportazione tuttavia, così facendo, l’impresa perde il controllo diretto delle vendite sul mercato e si assume il rischio di possibili comportamenti opportunistici dei partner. La forma più semplice di accordi commerciali prevede la concessione della rappresentanza dell’azienda ad un agente che vende sul mercato locale in nome e per conto dell’impresa. Un’altra strategia di diffusione attraverso soggetti terzi si ha quando l’impresa si affida ad un concessionario o ad un distributore che possiede l’esclusiva su un particolare mercato: in questo caso il trasferimento dei prodotti all’estero e la vendita avviene tramite un intermediario commerciale che possiede una rete di vendita già sviluppata e conosce bene la realtà del mercato locale (Villanacci, 2010). Un’altra opzione praticabile dall’impresa è quella del franchising attraverso il quale si concede ad un distributore, dietro compenso, lo sfruttamento del marchio e del know-how commerciale dell’impresa. I vantaggi del franchising, oltre allo sfruttamento della maggiore conoscenza del mercato locale da parte del partner, risiedono principalmente nella riduzione dei costi fissi e nella maggiore ripartizione del rischio (tra impresa che si internazionalizza e soggetto estero). Tuttavia il problema di monitorare il partner per evitare comportamenti opportunistici diventa particolarmente importante perché l’impresa non solo deve assicurarsi che il soggetto estero distribuisca efficacemente i prodotti, ma anche che non metta a rischio la reputazione del marchio che ha il permesso di sfruttare (Konigsberg, 2008). Oltre ad accordi commerciali le imprese possono scegliere di stipulare accordi a fini produttivi: la crescente competizione internazionale incentiva le imprese alla ricerca dei risparmi sui costi di produzione attraverso l’esternalizzazione di fasi della catena del valore o, al limite, dell’intero processo produttivo (Caroli, 2007). Una strategia sempre più diffusa tra le imprese è l’outsourcing di beni e servizi: tale pratica consiste nell’esternalizzazione di parte o dell’intera produzione a un subfornitore estero. I beni o servizi commissionati al partner estero vengono poi venduti dall’impresa o incorporati nella produzione del bene finale. Generalmente l’accordo di subfornitura viene realizzato dall’impresa al fine di delocalizzare attività a basso valore aggiunto che utilizzano intensivamente il lavoro, sfruttando la relazione con un partner localizzato in un paese con bassi costi della manodopera. Tali accordi possono anche comportare il trasferimento al partner di conoscenze, tecnologia e assistenza tecnica al fine di ottenere un prodotto con le caratteristiche desiderate (Feenstra e Taylor, 2008). Negli accordi a fini produttivi un aspetto rilevante riguarda le barriere commerciali ed i costi di trasporto: se le barriere commerciali sono elevate o se i beni implicano costi di trasporto elevati, la subfornitura può rivelarsi poco vantaggiosa o addirittura impraticabile e potrebbe 5 Dinamiche competitive, “Cambiare per crescere: la performance dell’Italia nel contesto internazionale”, Centro Studi Confindustria, Aprile 2008 9 perciò essere preferibile un investimento diretto per la produzione e la distribuzione in loco dei prodotti. Nei paesi dell’Unione europea è previsto un regime doganale agevolato per favorire le imprese che decidono di delocalizzare parte della produzione: il traffico di perfezionamento passivo (TPP). Definito come una particolare modalità di subfornitura in cui il terzista non solo lavora secondo gli standard posti per contratto dall’impresa committente, ma utilizza materie prime e semilavorati di proprietà dell’impresa che li esternalizza. Al momento della reimportazione in patria, i semilavorati o i beni finali prodotti dal partner godono di un trattamento doganale agevolato6 (Sanguigni, 2002). Esiste infine una tipologia di accordi rappresentata dai patti per il trasferimento di tecnologie e conoscenze ad un partner estero: è una scelta indicata nel caso in cui per le caratteristiche del prodotto o per la presenza di barriere commerciali è necessario produrre in loco, senza tuttavia realizzare investimenti diretti all’estero. Questo tipo di accordo, generalmente, prevede il trasferimento di attività intangibili al fine di rendere possibile la produzione di determinati beni e la prestazione di servizi, cui spesso si accompagna la vendita di macchinari e beni strumentali (Mastrelia, 2010). Gli accordi di trasferimento di tecnologie possono assumere diverse forme contrattuali, ricordiamo qui il contratto di licenza, in cui l’impresa concede al partner l’uso di un brevetto ricevendo in cambio il pagamento di royalties, e il contratto di cessione dove invece l’impresa aliena il brevetto di cui è proprietaria, perdendo però ogni diritto all’uso dello stesso. Non di rado il trasferimento di tecnologie e conoscenze si accompagna alla cessione di beni strumentali, impianti e macchinari: una forma molto diffusa è il contratto “chiavi in mano” che accompagna alla vendita dei mezzi di produzione il trasferimento delle conoscenze necessarie all’uso e alla manutenzione (Foglio, 2005). Il perfezionamento di questa tipologia di contratti da parte dell’impresa risponde all’esigenza di avvicinarsi al mercato estero con un limitato impiego di risorse finanziarie, garantendosi un introito certo derivato dalle royalties o dai pagamenti per l’acquisto di brevetti. Spesso le imprese si rivolgono a partner di paesi meno sviluppati dove la tecnologia, ormai obsoleta in madrepatria, può essere ancora sfruttata vantaggiosamente; in questo modo si avvicina ai mercati esteri sia come primo passo verso una presenza più diretta in futuro, sia per raggiungere mercati che non sono sufficientemente rilevanti da giustificare una politica di investimento diretto. Gli aspetti negativi dei contratti di trasferimento di tecnologie e conoscenze riguardano principalmente il rischio di dissipazione delle conoscenze dell’impresa e il massiccio impiego di risorse tecniche nella fase di passaggio delle informazioni (Conti, 2005). 6 La temporanea esportazione di merci comunitarie di ogni specie e origine, materie prime o semilavorati, al di fuori del territorio doganale dell’Unione Europea (UE), effettuata allo scopo di sottoporle a determinate trasformazioni (perfezionamento) e successivamente reimportate in esenzione (totale o parziale) dei dazi all’importazione. Il beneficio è dato dal prelievo della tariffa sul solo valore delle lavorazioni svolte nel paese perfezionatore, e non sull’intero valore del prodotto (che include anche i semilavorati). 10 Gli investimenti diretti esteri Per Investimento Diretto Estero (IDE), si intende l’acquisizione di quote di capitale di rischio di altre imprese7. Gli IDE sono definiti come l’investimento in almeno il 10% del capitale sociale in azioni ordinarie di un’impresa estera, al fine di istaurare un interesse duraturo e una relazione di lungo periodo, con l’obiettivo di esercitare una significativa influenza sul management dell’impresa partecipata (Navaretti e Venables, 2004). I vantaggi derivano principalmente dalla presenza diretta sul mercato locale – sia essa finalizzata a scopi commerciali o produttivi – ma, al contempo, implica un impegno finanziario e manageriale importante e costi derivanti dalla dispersione geografica dell’attività8. Una prima caratterizzazione del comportamento dell’impresa riguarda la modalità di entrata nel mercato: l’impresa può scegliere se inserirsi nel contesto imprenditoriale di un paese estero mediante (Randaccio, 1999): - la costituzione di un’impresa con uno o più partner esteri (joint venture), - fusioni ed acquisizioni di imprese locali; - un investimento ex-novo (greenfield). La Joint Venture è un accordo di collaborazione con due o più imprese, pur mantenendo la propria indipendenza giuridica, collaborano per la realizzazione di un progetto di natura industriale o commerciale, che vede l’utilizzo comune delle risorse portate da ciascuna imprese partecipante e, al tempo stesso, la condivisione dei rischi legati all’investimento stesso. Tale accordo può portare alla costituzione di un nuovo soggetto in cui nessuno dei contraenti possiede il totale controllo, oppure limitarsi all’uso coordinato di parti delle imprese investitrici al fine di lavorare su un progetto comune, senza la costituzione di un soggetto terzo (Maglio, 2002). Il vantaggio della Joint Venture risiede nella possibilità di investire direttamente sul mercato, ottenendo quindi un controllo non mediato, ma al contempo condividere i rischi dell’operazione con il partner. Se poi la Joint Venture è costituita con un partner locale, essa permette di sfruttare i vantaggi derivanti dalla maggior conoscenza della realtà locale e i contatti dell’impresa partner con fornitori e clienti (Glover e Wasserman, 2003). 7 Maggiore impegno dell’impresa è implicito in forme di internazionalizzazione cosiddette equity, ovvero che implicano una partecipazione dell’impresa al capitale di rischio di un’azienda straniera. 8 Una semplice interpretazione della decisione di un’impresa di compiere IDE è offerta dal paradigma di Dunning: un’impresa decide di realizzare IDE se sussistono contemporaneamente tre tipi di vantaggi: vantaggi di proprietà, derivanti da particolari conoscenze dell’impresa, sia sotto il profilo tecnologico che organizzativo; vantaggi di organizzazione, ovvero benefici connessi all’operare su un determinato mercato estero; vantaggi di internalizzazione, ovvero l’impresa riceve dei benefici dal mantenere al suo interno una particolare fase della catena del valore. 11 Tuttavia, oltre al rischio dei comportamenti opportunistici e di inadempienze contrattuali, come accade per tutte le forme di internazionalizzazione che implicano il perfezionamento di un accordo, un grosso limite è rappresentato dalla mancanza di indipendenza nella gestione dell’operazione oggetto del contratto. Le fusioni e le acquisizioni di imprese già esistenti sul mercato locale rappresentano la modalità di entrata più diffusa tra le aziende che si internazionalizzano (Hunt, 2009). Rispetto all’investimento greenfield, la decisione di entrare direttamente sul mercato mediante fusione o acquisizione permette un ingresso in tempi più rapidi e inoltre rende possibile approfittare del patrimonio di conoscenze, tecnologie, licenze di produzione, reti di fornitori e di clienti del soggetto preesistente. (Gregoriou e Renneboog, 2007) L’investimento greenfield, al contrario, richiede generalmente tempi più lunghi e una conoscenza sufficientemente approfondita del contesto giuridico e delle consuetudini locali, al fine di ottenere tutti i permessi necessari alla costruzione di un nuovo insediamento commerciale o produttivo (Van Tulder e Van Der Zwart, 2006). Gli IDE possono essere differenziati anche in base alle attività svolte e alle finalità perseguite. Distinguiamo tra IDE realizzati a fini commerciali, che mirano ad ottenere una presenza stabile sul mercato che si intende servire (attraverso la costituzione di un ufficio commerciale, di un punto vendita o di una filiale commerciale) e IDE realizzati a fini produttivi a loro volta suddivisi in IDE verticali (delocalizzazione di una particolare fase del processo produttivo nel paese estero al fine di risparmiare sui costi di produzione) e IDE orizzontali (che invece implicano la “duplicazione” in un paese estero di una particolare fase della catena del valore o dell’intero processo produttivo) (Federico, 2006). Si può concludere che la produzione in loco, certamente più onerosa per l’impresa rispetto alle esportazioni di beni, permette però di mantenere una posizione privilegiata sul mercato consentendo di monitorare da vicino le dinamiche evolutive, adeguando i prodotti alle esigenze della clientela locale e controllando il comportamento dei concorrenti sul mercato (Prescott e Swartz, 2003). Lo schema in figura 1 sintetizza al meglio quanto finora detto. 12 Fig. 1 Strategie di entrata in un mercato-paese estero: uno schema semplificato Fonte: Silvestrelli, 2008, International Marketing Mix, pag. 33 Si analizzano in questa sede alcuni dati per avere un riscontro quantitativo di quanto visto finora. A seguito dell’instabilità del sistema finanziario, nel 2008 si è registrata una forte contrazione dei flussi degli Investimenti diretti esteri9, ma non solo: c’è stata infatti una flessione generalizzata di tutte le voci10 ed in primis quelle di Merger and Acquisition (M&A). Tale situazione ha condizionato le scelte delle imprese che hanno preferito rimandare i progetti di espansione privilegiando forme alternative e meno “impegnative” quali Joint venture, cessioni di licenze e outsourcing. Oltre al calo delle attività brownfield11, anche i processi di disinvestimento hanno contribuito all’andamento degli IDE. Quando un’impresa decide di vendere una controllata o comunque disinvestire dall’estero per reinvestire nel territorio nazionale, si produce uno squilibrio nella bilancia dei pagamenti del paese ospitante: nella tabella 3 si evidenzia come gli Stati Uniti risultino i principali beneficiari dei flussi di entrata, seguiti da Francia, Cina e Regno Unito. Solo ventiduesima l’Italia. 9 Unctad (2009), “World Investment Report”. Equity, reinvestimenti e altri flussi di capitale. 11 Nella composizione degli IDE è importante distinguere tra investimenti greenfield (ovvero l’avvio ex novo di attività non esistenti sul territorio) e investimenti brownfield (consistenti invece nell’acquisizione di attività preesistenti). 10 13 Tab. 3 Investimenti diretti esteri in entrata: principali paesi beneficiari (valori in miliardi di dollari a prezzi correnti) Fonte: elaborazione ICE su dati Unctad Con riferimento ai flussi in uscita, invece, l’Italia occupa il quattordicesimo posto mentre USA, Francia e Germania rappresentano i principali paesi investitori (Tab, 4). Tab. 4 Investimenti diretti esteri in uscita: principali paesi investitori (valori in miliardi di dollari a prezzi correnti) 14 Non si evidenziano grosse differenze tra economie emergenti ed avanzate: queste ultime scontano in primis il crollo del sistema statunitense dove le attività di equity hanno gradualmente abbandonato il mercato direzionando i flussi verso le economie domestiche. E’ poi interessante analizzare l’andamento degli scambi internazionali e degli investimenti diretti nel corso dell’ultimo decennio12: assistiamo ad una crescita costante, anno dopo anno per beni, servizi e IDE, fino ad arrivare al 2009 anno in cui si registrato un crollo generalizzato. Con riferimento all’Italia, nel paragrafo successivo concentreremo l’analisi sul suo ruolo nel contesto internazionale e il focus sarà diretto, in particolare, sul discorso export. 1.3 L’Italia nell’economia internazionale: focus sull’export Come visto in precedenza, nonostante il graduale aumento dell’integrazione internazionale, le prospettive dell’economia mondiale si sono ridotte a seguito della crisi dei subprime scoppiata negli USA nel 2007 e propagatasi dal sistema finanziario a quello reale; tale situazione ha determinato un deciso calo della produzione (soprattutto nei paesi avanzati) e un deciso crollo degli scambi internazionali. Nei periodi di recessione una riduzione degli scambi di beni e servizi è “fisiologica”, ma il crollo del 2009 ha determinato la debacle più marcata degli ultimi 80 anni (-11,3% in media d’anno) colpendo simultaneamente tutti i paesi, avanzati e non. Nella seconda parte del 2009 il commercio mondiale è ripartito e i volumi di interscambio, seppure aumentati, sono comunque rimasti al di sotto dei valori massimi dell’anno precedente13. Fig. 2 Produzione e commercio mondiali (variazioni percentuali in volume) Fonte: elaborazioni ICE su dati FMI 12 13 Elaborazioni ICE su dati OMEC per il commercio di beni e servizi e Unctad per gli investimenti diretti esteri Rapporto ICE 2009-2010: L’Italia nell’Economia Internazionale. 15 Dopo l’estate, complice il miglioramento della congiuntura negli USA, è iniziato un periodo in cui la valuta americana si è rafforzata sia rispetto all’Euro (il cambio EurUsd, come possiamo vedere in fig. 4, è passato da 1.50 a 1.18 nei 6 mesi successivi) che alle valute dei paesi esportatori di materie energetiche. Si è verificato un deciso aumento della domanda di titoli statunitensi che, complice l’incertezza dei mercati, hanno assunto la funzione di “bene rifugio” al contrario dell’Euro che, complice la debolezza della ripresa e le notizie relative alla difficile sostenibilità disavanzi pubblici, è invece stato oggetto di forti attacchi speculativi. Fig. 3 Andamento EurUsd (novembre 2009 - maggio 2010) Fonte: elaborazione propria su dati ActivTrades: frequenza settimanale Per l’Unione Europea il contraccolpo della crisi è stato molto più forte rispetto ad altre aree geografiche: domanda interna, occupazione ed esportazioni si sono ridotte drasticamente in quasi tutti i paesi dell’unione, accompagnati da un deterioramento della finanza pubblica a causa degli interventi di sostegno al sistema finanziario duramente colpito dalla crisi. Il crollo dell’Euro rispetto al Dollaro ha però determinato un miglioramento della competitività delle imprese europee e quindi una ripresa della domanda – seppur modesta - nel corso del 2010. Seguendo un percorso “parallelo” a quello della maggior parte dei paesi dell’area euro, l’economia italiana ha superato la fase critica ed il PIL ha ripreso a crescere, anche se molto lentamente a causa di una decisa caduta degli investimenti fissi lordi (-12%) e delle esportazioni di beni e servizi (-19%, molto più vistoso rispetto al -14,5% delle importazioni). Questi dati, accompagnati dalla ripresa dei prezzi delle materie prime importate e di una dinamica delle esportazioni inferiore a quella delle importazioni, ha portato il saldo commerciale dell’Italia a peggiorare nel corso del 2010. Risulta comunque positiva l’uscita degli ultimi dati della Commissione Ue (settembre 2010) che, per il 2010, ha rialzato le stime di crescita dell'Italia all'1,1% (rispetto alla previsione di maggio dello 0,8%). Sempre secondo il rapporto “la ripresa dell'economia viene giudicata ‘moderata’ e sarà trainata principalmente dal settore industriale grazie al rilancio delle 16 esportazioni dopo il collasso verificatosi nel 2009”. Nel terzo trimestre, secondo la Commissione europea, il Pil crescerà dello 0,5%, nel quarto dello 0,2%.14 Nel paragrafo precedente abbiamo visto l’importanza delle esportazioni in ambito internazionale e, nello specifico, in un contesto imprenditoriale come quello italiano. Partendo dall’analisi di alcuni dati a livello mondiale notiamo come, a seguito della crisi, si sia verificata una caduta dell’export generalizzata, con ripercussioni più o meno evidenti nelle diverse aree geografiche. Tale situazione non ha comunque impedito alla Cina di conquistare il primo posto nella classifica export del 2009, sopra Germania e Stati Uniti.15 L’Italia , seppur con una performance molto negativa (-24%) mantiene il settimo posto. Anche nei servizi, grazie soprattutto al miglioramento della qualità delle telecomunicazioni internazionali e, soprattutto, dall’elevata disponibilità di lavoratori qualificati a basso costo, alcuni paesi in via di sviluppo si sono affermati tra i principali esportatori dei cd business process outsourcing (Marchetti, 2009) . Nel 2009 le prime quattro posizioni soano comunque rimaste invariate (Stati Uniti, Regno Unito, Germania e Francia) mentre l’Italia mantiene stabilmente l’ottava posizione16. Concentriamo ora l’attenzione proprio sulla situazione del nostro paese, per il quale l’export riveste un’importanza fondamentale, analizzando nel dettaglio i dati contenuti nella decima “Indagine sulle imprese manifatturiere”. Nel 2007 (su un campione di 5.137 imprese) il 62% ha venduto i propri prodotti all’estero mentre soltanto il 7% ha sfruttato le possibili alternative (viste precedentemente) aprendo una filiale produttiva o commerciale oltreconfine.17 La presenza all’estero è maggiore nei paesi europei e la quota di fatturato totale ottenuto dall’export è pari a circa il 30%. La presenza è giustificata dalla maggiore omogeneità normativa, dai minori costi di trasporto e dalla dall’assenza di barriere commerciali.18 La Germania risulta essere il primo paese destinatario delle esportazioni italiane, seguiti da Francia, Stati Uniti, Spagna, e Regno Unito (Tab 9). Come vedremo nel proseguo del lavoro, gli Stati Uniti con 17.110 milioni di Euro rappresentano il principale paese extra-Ue per i nostri esportatori e qui (ma non solo, visto che il dollaro rappresenta la moneta principale (nell’ambito delle transazioni internazionali19) sorge la problematica legata al rischio di cambio per le imprese italiane. 14 Sia nel primo che nel secondo trimestre dell'anno, il Pil è cresciuto di 0,4%.. I primi venti esportatori mondiali di merci. Elaborazione ICE su dati FMI 16 I primi venti esportatori mondiali di servizi commerciali. Elaborazione ICE su dati FMI 17 Modalità di internazionalizzazione delle imprese. Elaborazione ICE su dati dell’indagine Unicredit 18 Quota del fatturato dalle esportazioni. Elaborazioni su dati dell'indagine Unicredit 19 Bank for International Settlements, Survey 2010 15 17 Tab. 5 I primi venti paesi di destinazione delle esportazioni italiane. Fonte: elaborazione ICE su dati ISTAT Individuati i principali paesi di destinazione delle esportazioni italiane, analizziamo le quote nel dettaglio (Tab 10) Anche qui notiamo come – con riferimento al rischio di cambio - gli Stati Uniti rappresentino il mercato principale, insieme a Cina e Giappone. Tab. 6 Dimensione dei mercati e quote delle esportazioni italiane. (a prezzi correnti) Fonte: elaborazione ICE su dati FMI-DOTS e, per Taiwan, Taiwan Directorate General of Customs Per completezza è importante sottolineare che siamo di fronte ad una realtà imprenditoriale con caratteristiche specifiche: le imprese sono prevalentemente piccole e medie (nel settore 18 manifatturiero oltre il 90% delle aziende non supera i 19 dipendenti20) e proprio a causa delle ridotte dimensioni hanno bisogno di sostegno nel loro processo di internazionalizzazione: tale supporto è garantito da un sistema di istituzioni e strumenti pubblici che, soprattutto negli ultimi tempi, è stato oggetto di importanti riforme finalizzate ad accrescerne la fruibilità da parte delle Pmi. In estrema sintesi (non è questo l’obiettivo principale del presente lavoro) possiamo dire che esistono tre principali tipologie di strumenti : • Strumenti di sostegno diretto alle esportazioni (gestito da SACE e Simest); • Strumenti di sostegno diretto agli IDE (gestito da Simest) • Strumenti di sostegno indiretto. La tabella 11 riassume quanto appena detto, indicando gli strumenti nel dettaglio. Tab. 7 Strumenti di sostegno all’internazionalizzazione delle imprese italiane Fonte: elaborazione propria. Conclusa questa panoramica, prima con la letteratura e poi con i dati, procediamo con una breve analisi dei servizi finanziari (letteratura e aspetti tecnici) per poi entrare nel cuore del lavoro introducendo la gestione del rischio di cambio. 20 cfr. ISTAT, Struttura e competitività del sistema delle imprese industriali e di servizi, 2004 19 1.4 Servizi finanziari per le Imprese Abbiamo visto come le imprese adottino, perlomeno nelle fasi iniziali del processo di internazionalizzazione, approcci più limitati al mercato globale, rappresentati in primis dalla focalizzazione sull’export che rappresenta - soprattutto per le PMI - il metodo più naturale, economico e solitamente anche il meno rischioso per conquistare una posizione nel mercato globale. Vediamo ora come il sistema del credito in generale, e le banche nello specifico (attraverso il Corporate Banking) supporta l’attività delle PMI italiane in termini di servizi, sostegno e realizzazione di prodotti finanziari dedicati. Da un punto di vista microeconomico al Corporate Banking è associata una peculiare ed autonoma unità organizzativa della banca, caratterizzata da profili strategici, assetti strutturali, politiche gestionali e profili professionali distinti da quelli caratterizzanti le altre aree della banca (es. Retail Banking per la clientela individuale, Institutional Banking per Enti Pubblici ed Intermediari Finanziari, Private Banking per clientela ad alto valore aggiunto). Per quanto attiene alle tipologie di prodotti e servizi finanziari offerti nell’ambito del corporate banking, all’interno di questa area operativa è possibile individuare due macro aree di business: il Commercial Banking e l’Investiment Banking (Padoan, 2001). Alla prima area operativa fanno capo tutti i prodotti e servizi frutto dell’attività di intermediazione creditizia tipica della banca, consistente nella raccolta del risparmio presso il pubblico e nell’esercizio del credito (art. 10 D.Lgs. 385/93, T.U.) Alla seconda area appartengono invece tutti quei prodotti e servizi, a contenuto non tipicamente creditizio, finalizzati al soddisfacimento di esigenze finanziarie complesse, non riconducibili cioè ai fabbisogni finanziari strumentali al regolare svolgimento dell’attività ordinaria d’impresa (Capizzi, 2007) Fig. 4 Corporate Banking CORPORATE BANKING Commercial Banking Investment Banking Risk Management Cash Management Corporate Finance Advisory Corporate Lending Capital Markets Merchant Banking Project Finance Asset Management Fonte: elaborazione propria 20 1.4.1 Commercial Banking A questa area operativa fanno capo tutti i prodotti e servizi frutto dell’attività di intermediazione creditizia tipica della banca, consistente nella raccolta del risparmio presso il pubblico e nell’esercizio del credito (art. 10 D.Lgs. 385/93, T.U.). Seguendo lo schema precedentemente proposto (Fig 4), individuiamo due macro aree che analizzeremo nel dettaglio: Cash management e Corporate Lending. Cash Management Tra i prodotti e servizi tipici della raccolta del risparmio è possibile trovare, accanto agli strumenti tipicamente utilizzati dalla clientela privata21, strumenti specificamente rivolti alle imprese con l’obiettivo di consentire loro un’ottimizzazione della gestione della tesoreria (bonifici, MAV, RiBa, RID). Nel caso di transazioni con controparti estere, il cui regolamento comporta problematiche più complesse da gestire rispetto al regolamento delle transazioni domestiche, la banca mette a disposizione delle imprese una serie aggiuntiva di strumenti e servizi di pagamento, quali: • rimesse documentarie; • lettere di credito; • operazioni di countertrade; • gestione dei trasferimenti monetari sull’estero. La rimessa documentaria (o incasso contro documenti), è un operazione tramite la quale un esportatore autorizza la sua banca a raccogliere una somma dovuta, o l’accettazione di un effetto di credito da un acquirente, contro la rimessa di documenti. Essa riguarda i documenti commerciali (fatture, documenti di trasporto, atti della proprietà, ecc…) accompagnati o meno dai documenti finanziari (bill of exchange, promissory note, assegni o altri strumenti simili per ottenere il pagamento di una somma di denaro) (Garioni, 2007). La stand-by letter of credit rappresenta un impegno che la banca emittente prende nei confronti del beneficiario nel caso in cui vi sia, da parte di quest’ultimo, la richiesta di rimborso22. Nel caso l’importatore non onorasse il proprio impegno di pagamento tale forma tecnica mantiene comunque la stessa efficacia di un normale credito documentario23 (Schaffer, 2008). 21 Assegno bancario o circolare e le carte di pagamento. E’ uno strumento molto più flessibile rispetto al credito documentario considerando che il pagamento della merce viene realizzato al di fuori della stessa stand-by letter of credit, di solito a mezzo di bonifico bancario. 23 Merci e documenti partono insieme, evitando in tal modo che i beni possano essere gravati da spese di sosta e magazzinaggio a destinazione, cosa che può accadere invece nel credito documentario dove la documentazione può subire dei ritardi di parecchi giorni, o addirittura settimane impedendo così all’importatore di sdoganare la merce. 22 21 Il countertrade è uno strumento di scambio commerciale utilizzato nel commercio internazionale e definito “in compensazione”. Diffuso prevalentemente nei rapporti con i paesi ricchi di materie prime ma poveri di risorse valutarie, è comunque poco conosciuto dalle imprese italiane. Tale operazione va a buon fine quando permette all’esportatore di guadagnare quote di mercato estero: è importante, in tal senso, conoscere le caratteristiche del Pese importatore, la presenza di eventuali restrizioni ai flussi valutari, l’esistenza di incentivi del governo locale e la burocrazia del paese in esame (Ceccacci e Rigato, 2007). Con riferimento alla gestione dei trasferimenti monetari sull’estero, tali servizi non necessariamente sono erogati a fronte di una transazione commerciale sottostante, dato che possono consentire alle imprese la creazione di una provvista all’estero strumentale, ad esempio, alla realizzazione di investimenti strutturali, all’apertura di reti distributive o al regolamento di transazioni commerciali future su conti off-shore24. Corporate Lending Per quanto riguarda lo svolgimento delle attività creditizie, consistenti nell’erogazione di capitale di debito alle imprese ai fini del soddisfacimento dei loro fabbisogni di investimento – secondo modalità di rimborso e remunerazione predefinite contrattualmente – esiste un’ampia e variegata offerta predisposta dal sistema bancario. Possiamo distinguere da un lato i crediti cosiddetti monetari, ossia tutti quegli strumenti di finanziamento che si traducono immediatamente in uscite monetarie per la banca concedente (seppure in funzione delle diverse scelte effettuate dalle imprese in relazione alla percentuale di utilizzo dell’ammontare del fido accordato) e dall’altro i crediti non monetari i quali comportano, almeno in prima battuta, l’impegno della banca all’adempimento delle condizioni contrattuali vantate dalla propria clientela nei confronti dei soggetti terzi. L’argomento è vasto, l’approccio utilizzato in questa sede è prevalentemente orientato alla preliminare comprensione di tutte le tematiche che ruotano intorno al rischio di cambio, e tra esse non può mancare la descrizione – seppur sintetica – dei servizi finanziari per le imprese. Per una maggiore comprensione della classificazione di tali servizi si intende seguire lo schema proposto in figura 5. 24 E’ importante la capacità della banca di operare con professionalità e competenza, nel pieno rispetto delle vigenti normative internazionali in tema di trasferimento di capitali, offrendo soluzioni spesso personalizzate in funzione delle specifiche esigenze. 22 Fig. 5 Corporate Lending Fonte: elaborazione propria Crediti MONETARI Dopo la classificazione tra crediti monetari e non monetari, all’interno dei primi individuiamo tutti quegli strumenti di finanziamento che si traducono immediatamente in uscite monetarie per la banca concedente (Anderloni et al. 2009) e, secondo una classificazione “temporale”, facciamo un un’ulteriore distinzione tra crediti Monetari BT e Crediti Monetari M/LT. Crediti Monetari BT I crediti monetari tipici sono rappresentati dalle linee di credito a breve termine, anche definiti “autoliquidanti” in quanto non vengono rimborsati direttamente dall’impresa affidata, ma da un altro soggetto, tipicamente il cliente della medesima che ha effettuato un acquisto con pagamento dilazionato. Esistono due grandi categorie di crediti a breve termine: pro-solvendo (non comportano l’assunzione del rischio di credito da parte della banca) e pro-soluto (liberano l’impresa finanziata dal rischio di insolvenza dei propri debitori, trasferendo lo stesso in capo alla banca concedente). Nel primo caso, le principali forme tecniche sono rappresentate dall’apertura di credito in conto corrente, dall’anticipo salvo buon fine, dallo sconto effetti, dall’anticipazione su merci e dal credito per elasticità di cassa. Nel secondo, l’ottimizzazione della tesoreria aziendale avviene attraverso la forma tecnica del factoring (Esposito, 2003). Il focus di questa ricerca è però diretto all’internazionalizzazione delle imprese, dunque, si individuano i crediti monetari a BT in ambito internazionale. 23 Con riferimento all’attività di lending, è possibile individuare alcune tipologie specifiche di strumenti finanziari a breve termine messi a disposizione dalla banca per supportare i processi di internazionalizzazione delle imprese. In particolare parliamo di: • Forfaiting • Factoring internazionale. Il forfaiting rappresenta una “tecnica finanziaria” che consente di smobilizzare i crediti derivanti da operazioni di export e caratterizzati da una forma di pagamento dilazionato nel medio termine. L’operazione si configura come una cessione di titoli di credito, rappresentati da cambiali tratte internazionali (bills of exchange), lettere di credito o cambiali pagherò (promissory notes) ad una finanziaria (forfaiter), contro anticipazione del corrispettivo in denaro. Lo sconto degli effetti può essere pro-soluto o pro-solvendo. Nell’ordinamento giuridico italiano l’operazione di forfaiting non ha una sua regolamentazione specifica ed è stato assimilato alla disciplina della cessione del credito25 (Levi, 2005). Il Factoring in ambito Internazionale è una forma tecnica che mira a proteggere l’esportatore dal rischio di mancato pagamento, rappresenta un metodo per finanziare operazioni commerciali internazionali e si realizza attraverso il trasferimento dei debiti di un esportatore ad una società di factoring che si incarica del recupero dello stesso26. Tale società offre un servizio finanziario completo che include il trattamento amministrativo delle fatture prodotte, la gestione del conto dei clienti (vigilando sulle raccolte), la copertura del rischio di mancato pagamento27, il finanziamento totale o parziale dei debiti (generalmente accordato nella forma di credito in contanti) e - nell’ambito della copertura del rischio di cambio - la possibilità di ottenere anticipi sulla valuta delle fatture (Cremona, 2006). 25 In realtà non è del tutto assimilabile ad essa visto che nel forfaiting la clausola without recourse e la sua particolare fissazione del prezzo, sono elementi che - rispetto alla generica cessione dei crediti - rendono atipico il contratto e la sua causa. 26 L’esportatore, per essere pagato, è obbligato a consegnare tutte le fatture (escluse le fatture pagate in contanti) che possiede riguardo ai suoi clienti: la maggior parte di queste fatture sono relative a beni di consumo o infrastrutture leggere, dove il credito è mediamente accordato per brevi scadenze. L’esportatore non può fare una selezione di queste fatture, la società di factoring è poco disposta a sostenere solo i rischi peggiori e si riserva il diritto di rifiutare le fatture che ritiene troppo “rischiose” (in generale tende comunque a trasferire il suo rischio ad una società di assicurazione di credito). 27 Se il debitore dimostra di essere insolvente, la società di factoring pagherà la somma della fattura all’esportatore addebitandola sui propri fondi: non può comunque assicurare una copertura illimitata quindi, dopo un’analisi di solvibilità, fisserà un limite coperto dall’assicurazione per ogni debitore 24 Crediti Monetari M/LT Qualora il fabbisogno di investimento da finanziare fosse caratterizzato da un ciclo di lenta riconversione in entrate monetarie (immobilizzazioni, infrastrutture), le imprese devono far riferimento alla categoria di strumenti di finanziamento a M/LT (crediti monetari M/LT). Tra le forme tecniche tipiche citiamo innanzitutto i mutui e, in secondo luogo, un’ampia gamma di strumenti alternativi: linee di credito revolving, stand-by, evergreen, step-up (Caparvi, 2006). Le differenze fondamentali sono riconducibili alla diversa flessibilità delle stesse con riferimento a modalità previste per il rimborso, la possibilità di utilizzo più o meno parziale del fido concesso o di ripristino dello stesso e il rinnovo automatico alla scadenza.28 Differenti sono invece le caratteristiche del Leasing Finanziario, un contratto atipico che rappresenta una forma di finanziamento a M/LT alternativa alle tradizionali linee di credito bancarie, con la differenza che nel leasing l’intermediario finanziario mette a disposizione della clientela corporate direttamente il bene oggetto dell’operazione anziché i capitali necessari per acquisirne la proprietà. Si passa ora all’analisi dei crediti monetari a M/LT in ambito internazionale: tra gli strumenti di finanziamento specificamente disegnati per favorire l’attività svolta dalle imprese sui mercati esteri (Ceccacci e Rigato, 2007), facciamo riferimento a: • credito acquirente • credito fornitore • forfaiting • leasing internazionale. Con il termine buyer’s credit (credito acquirente) si indica un finanziamento concesso da una banca ad un importatore estero la cui erogazione è stata promossa da un esportatore italiano. Nonostante tale finanziamento vada a beneficio dell’acquirente estero si annovera questa operazione tra i crediti all’esportazione perché ha l’effetto di sostenere l’esportatore italiano nella conclusione di contratti che 28 In tempi recenti hanno trovato diffusione forme di finanziamento in grado di far affluire alle imprese capitale di debito più rischioso rispetto a quello ordinario: è questo il caso delle linee di credito mezzanino (una forma di finanziamento in grado di far affluire alle imprese capitale di debito con lo scopo di supportare programmi di sviluppo in fase di crescita) e dei prestiti subordinati e comunque tutte quelle linee di credito che incorporano meccanismi di remunerazione per il finanziatore “ancorati” alla performance dell’azienda affidata. Un’ulteriore tipologia di strumenti di finanziamento è costituita dai finanziamenti agevolati, ossia dei prestiti erogati a valere su stanziamenti istituiti con appositi provvedimenti normativi in ambito nazionale o comunitario (i cosiddetti “fondi strutturali”) allo scopo di raggiungere obiettivi specifici come, ad esempio, lo sviluppo di un determinato settore di attività economica o di una particolare area geografica. Tra i finanziamenti agevolati, poi, rientrano a pieno titolo anche i prestiti partecipativi, i quali prevedono la concessione di un finanziamento agevolato a medio termine, caratterizzato dalla presenza di un contributo ad abbattimento degli interessi, a fronte di un impegno degli azionisti a ricapitalizzare l’azienda. 25 altrimenti non potrebbero essere stipulati. L’iniziativa per l’operazione, dunque, viene assunta da un’impresa che, per riuscire a collocare i propri prodotti sui mercati internazionali, ha la necessità di reperire una banca disposta a finanziare il suo cliente. Il ricorso a tale operazione avviene generalmente in due casi: quando il venditore è riluttante o impossibilitato a finanziare egli stesso l’importatore estero con dilazioni di pagamento e quando l’importatore estero ha difficoltà a reperire altrimenti i fondi per il regolamento immediato della transazione commerciale. Il buyer’s credit implica generalmente il coinvolgimento di quattro operatori29: l’esportatore, l’importatore, la banca finanziatrice (italiana) e la banca garante (estera). Frequentemente tali operazioni nascono da accordi tra governi per promuovere il potenziamento delle esportazioni e lo sviluppo del commercio internazionale (Garioni, 2007). Il credito fornitore nasce attraverso il rilascio da parte dell’acquirente estero di una serie di effetti30 emessi a favore dell’esportatore (tipicamente pagherò cambiari) oppure mediante l’emissione da parte dell’esportatore stesso di effetti accettati dall’importatore (cambiali o tratte accettate). In genere tali operazioni si inseriscono nell’ambito di programmi governativi a medio termine di supporto agli scambi, i quali prevedono che i finanziamenti possano venir offerti a condizioni agevolate e in abbinamento sia a prodotti assicurativi del rischio politico e commerciale (ad asempio, le garanzie assicurative della SACE), sia a contributi finanziari tesi a favorire lo smobilizzo del credito commerciale (ad esempio, gli interventi agevolativi della SIMEST) (Pischedda, 2007). Abbiamo già visto il Forfaiting nella trattazione dei crediti monetari a BT, procediamo quindi con una particolare forma di leasing finanziario, il leasing internazionale, caratterizzata dal fatto che almeno una delle tre parti coinvolte (produttore, locatore, locatario) è di nazionalità estera. La meccanica dell’operazione di leasing internazionale è identica a quella del leasing finanziario tradizionale. La fattispecie più semplice è quella in cui il solo produttore è straniero (in questo caso la società di leasing si trova semplicemente a dover importare il bene o i beni oggetto del contratto) mentre intervengono alcune complicazioni operative quando il locatore e il locatario appartengono a due paesi diversi (differente disciplina giuridica del leasing, diverse norme fiscali e valutarie a cui le due parti sono soggette, maggiori difficoltà di valutare il grado di solvibilità del potenziale utilizzatore, rischio paese, 29 Gli operatori che tipicamente ricorrono al credito acquirente sono imprese esportatrici di beni strumentali che riforniscono paesi ad economia debole, ad esempio in Europa dell’Est o Sud America, caratterizzati da problemi di liquidità di divisa estera. 30 Questi effetti, rappresentativi del credito, vengono di solito depositati presso la banca del fornitore con l’istruzione di consegnarli a quest’ultimo su presentazione di idonea documentazione che dimostri l’esecuzione dei propri obblighi contrattuali. Il fornitore, una volta in possesso degli effetti cambiari può decidere se trattenerli fino alla scadenza oppure scontarli i prima (tutti o in parte). 26 ecc.): tutto ciò si traduce in un aumento dell’onerosità dell’operazione in questione. Nel nostro paese le società di leasing che danno in locazione ad operatori stranieri beni prodotti in Italia possono beneficiare della copertura assicurativa della SACE31 e ciò, naturalmente, avvantaggia anche il fornitore italiano stimolando in tal modo le nostre esportazioni di beni strumentali verso i mercati stranieri (Gurusamy 2009). Crediti NON MONETARI In aggiunta all’offerta di crediti monetari gli istituti di credito sono in grado di erogare all’impresa crediti non monetari, i quali non comportano – almeno inizialmente – un’uscita di cassa, quanto piuttosto l’assunzione o la garanzia di un’obbligazione nei confronti della controparte verso cui l’impresa affidata è debitrice. La categoria più tipica di tali strumenti finanziari è rappresentata dai crediti di firma i quali consentono di soddisfare in prima istanza - un bisogno differente dai crediti monetari, vale a dire quello di limitazione e copertura dei rischi cui sono esposte le controparti dell’impresa affidata (tali operazioni non comportano dunque per la banca un esborso monetario nei confronti dei propri debitori). Da un punto di vista tecnico è possibile distinguere garanzie reali (pegno, ipoteca) dalle garanzie personali le quali, a loro volta, possono essere di natura cambiaria (accettazione, avallo, conferma di effetti cambiari) o non cambiari (Caselli, 2003). Soffermandosi sugli strumenti di garanzia messi specificamente a punto per soddisfare le imprese che hanno avviato processi di internazionalizzazione, è possibile identificare le seguenti tipologie di crediti non monetari: • il credito documentario; • il confirming; • le garanzie bancarie internazionali. Il credito documentario è l’impegno di una banca a pagare l’esportatore alla ricezione dei documenti, che dimostrano che le merci sono state spedite o che i servizi sono stati effettuati. Successivamente questi documenti saranno consegnati dalla banca all’acquirente in modo che questi possa prendere possesso delle merci in cambio del pagamento. Con questa tecnica il venditore ha a disposizione il pagamento relativo alle sue merci non appena ha spedito le stesse e ha mandato alla sua banca i documenti commerciali e di trasporto richiesti32. Aspetto fondamentale del credito documentario è la sua totale estraneità al contratto di vendita sottostante: tutte le parti in causa devono pertanto far riferimento 31 Per i rischi di mancata riscossione dei canoni dovuta a cause politiche e/o commerciali, alle differenze di cambio o al deperimento del bene. 32 I soggetti interessati in questa tecnica di pagamento sono: l’ordinante (compratore/importatore), la banca emittente (banca dell’ordinante, emittente del credito), la banca notificatrice/confermante (banca che riceve il credito da notificare o confermare), il beneficiario (venditore/esportatore). 27 esclusivamente ai documenti e non alle merci, ai servizi o ad altre prestazioni cui i documenti possano riferirsi (Di Meo, 2008). Con il confirming l’esportatore ottiene da un intermediario finanziario denominato confirming house, l’impegno a effettuare il pagamento della fornitura per conto dell’importatore. L’erogazione di tale pagamento avviene in contanti, al momento del ricevimento dei documenti di spedizione. La confirming house concede un credito all’importatore e, nel contempo, offre all’esportatore una garanzia contro ogni rischio di insolvenza. I soggetti coinvolti nell’operazione sono essenzialmente tre: l’importatore, l’esportatore e la confirming house. I costi sono più elevati rispetto al credito documentario33, in quanto la confirming house offre - oltre alla certezza dell’eliminazione di ogni rischio d’insolvenza - anche una serie di servizi aggiuntivi quali il reperimento della controparte, lo svolgimento delle pratiche per lo sdoganamento, ecc. Rimane comunque, un’operazione raramente ricorrente nel nostro paese (Mott, 2008). Grazie alle garanzie bancarie Internazionali un soggetto ha la certezza che, nel caso in cui la controparte risulti inadempiente, un terzo (la banca) provvederà a pagare dietro semplice richiesta una somma predeterminata. La banca assume, quindi, i cd “impegni di firma” che si presentano sotto svariate forme contrattuali: crediti documentari, accettazioni bancarie, fideiussioni, depositi cauzionali, garanzie autonome. Il vantaggio principale di queste ultime è proprio quello di rendere certo ed immediato il pagamento esentando il creditore dall’onere delle prova con riferimento alla fondatezza delle proprie richieste (Gramatica, 2002). Sempre avendo come riferimento lo schema in figura 4, proseguiamo la trattazione dei servizi finanziari per le imprese con riferimento, stavolta, alla “macro-area” investment banking, propedeutica ed indispensabile per l’approfondimento dell’argomento oggetto di tale lavoro di ricerca: il rischio di cambio. 33 Il costo dell’operazione si concretizza, oltre che negli interessi sul finanziamento che vengono posti a carico dell’importatore, in una “commissione di conferma” la cui entità dipende da fattori quali il rischio d’insolvenza, la durata del credito, il rischio paese dello stato dell’importatore, ecc. 28 1.4.2 Investment Banking: focus sulla gestione del Rischio di Cambio. A questa seconda area operativa appartengono tutti quei prodotti e servizi, a contenuto non tipicamente creditizio, finalizzati al soddisfacimento di esigenze finanziarie complesse, non riconducibili cioè ai fabbisogni finanziari strumentali al regolare svolgimento dell’attività ordinaria d’impresa. Facendo riferimento alla letteratura consolidata in materia (Oriani, 2006) è possibile scomporre il settore dei servizi di investment banking in una serie di aree d’affari così sintetizzate: 1) Asset Management; 2) Corporate Finance; 3) Advisory; 4) Capital Markets; 5) Merchant Banking; 6) Project Finance; 7) Risk Management. Si vuole enfatizzare la natura non creditizia dell’attività svolta dalla banca, evidenziando il suo ruolo fondamentale di advisor e ribadendo che la concessione di credito rappresenta solo uno degli elementi che costituiscono il complesso dei servizi inerenti l’Investment Banking. Procediamo all’analisi puntuale soffermando l’attenzione, come nel paragrafo precedente, all’ambito internazionale. 1) Asset Management In tale area è possibile far confluire sia i servizi di gestione su base individuale di patrimoni – siano essi mobiliari o immobiliare, personali o aziendali – sia i servizi di gestione su base collettiva degli investimenti. Vi rientrano poi, a pieno titolo, anche i servizi di trading e di consulenza (finanziaria, fiscale e legale) inerenti l’attività di gestione in senso stretto. In ambito internazionale: con riferimento alle imprese che abbiano intrapreso sentieri di internazionalizzazione, in molti casi si presenta la necessità di ricorrere a questa tipologia di servizi sia per la gestione di temporanei surplus di liquidità a disposizione delle imprese esportatrici, sia per la gestione degli assets immobiliari conseguenti all’adozione di forme di internazionalizzazione avanzate34. Si pensi poi a tutta una serie di servizi di asset management finalizzata a garantire un’adeguata protezione al patrimonio delle imprese impegnate nella costituzione di società miste con partner esteri e che implicano l’attivazione di forti sinergie con i servizi tipici delle aree di investment banking: creazione di investment trust, servizi di gestione integrata delle attività/passività aziendali a livello di gruppo, realizzazione di 34 Come, ad esempio, la realizzazione di investimenti diretti all’estero di tipo produttivo. 29 trasformazioni societarie, operazioni di spin-off di leasing immobiliare o di leveraged buy-out (Hughes, 2005). 2) Corporate Finance. Tale area include quegli interventi e quelle operazioni poste in essere al fine di ottimizzare le esigenze finanziarie delle imprese. Si tratta di interventi non strutturali allo svolgimento dell’attività ordinaria d’impresa che perseguono obiettivi di particolare criticità e rilevanza strategica, quali: - crescita dell’azienda per linee esterne, l’ingresso in nuovi mercati, il ridimensionamento dell’attività produttiva e la focalizzazione su specifiche aree di business; - il riassetto della compagine societaria al fine di gestire conflitti tra i soci o problemi di successione generazionale alla guida delle imprese; - la realizzazione di alleanze con partner esteri; - la definizione di un piano di ristrutturazione per riportare in bonis aziende in crisi. Spesso la maggior parte di tali interventi produce delle modificazioni profonde e permanenti sulla struttura proprietaria delle imprese (Ross, 2006). In ambito internazionale: il processo di internazionalizzazione, richiedendo strategie di sviluppo dimensionale da attuarsi in tempi rapidi - anche attraverso concentrazioni societarie, partnership, fusioni e acquisizioni - rappresenta un terreno fertile per la domanda al sistema bancario di servizi assistenziali riconducibili all’attività di corporate finance. 3) Advisory Area rappresentata dall’attività consulenziale offerta alle imprese. Tale consulenza riguarda molteplici aspetti: assistenza rivolta all’ottimizzazione della struttura del passivo, assistenza in sede di formulazione e implementazione dei piani strategici, predisposizione di analisi di mercato, consulenza legale e in materia di tax planning, assistenza ai fini della predisposizione di business plan e assistenza nella richieste per l’ottenimento di finanziamenti agevolati. In ambito internazionale: è soprattutto lo sviluppo delle attività oltre confine che stimola le imprese a ricercare il supporto della banca in qualità di advisor: - consulenza strategica attraverso la realizzazione di analisi di settore, la definizione di piani d’ingresso in nuovi paesi, la ricerca di contatti con potenziali partner esteri; - assistenza e supporto – oltre che garanzie – a quelle imprese che debbano partecipare a gare internazionali; 30 - altri servizi: raccolta informazioni, organizzazione di missioni all’estero e partecipazioni a fiere internazionali, supporto nella gestione della documentazione relativa alle transazioni, assistenza in fase negoziale, assistenza nei rapporti con le autorità locali, assistenza per il recupero crediti, monitoraggio controparte. 4) Capital Markets L’area della finanza mobiliare include tutti quei prodotti e servizi finalizzati ad agevolare l’accesso delle imprese al mercato dei capitali. E’ possibile individuare due distinti segmenti di operatività: - servizi di Mercato Primario, cui fanno capo l’origination (raccolta delle informazioni e analisi delle imprese), l’organizzazione, la sottoscrizione e il collocamento di dei valori mobiliari di nuova emissione; - servizi di Mercato Secondario, concernente la compravendita – tramite attività di brokerage, dealing o market making – di valori mobiliari già in circolazione. In ambito internazionale: le aziende, avvalendosi dei servizi di finanza mobiliare, possono attuare specifiche strategie di internazionalizzazione e di ingresso in nuovi mercati. Alcuni obiettivi: - quotazione su Borse estere per incrementare visibilità e reputazione in mercati su cui si desidera allargare il proprio raggio d’azione; - Acquisto di valori mobiliari denominati in valuta - per ammontari e scadenze predefinite - finalizzato a politiche di gestione del rischio di cambio; - disinvestimento e riconfigurazione della base azionaria di un’impresa attraverso la formazione di strutture proprietarie caratterizzate dalla presenza di investitori internazionali e quindi particolarmente adatte ad operare in scenari di accentuata globalizzazione dell’economia reale (Fabozzi e Modigliani, 2003). 5) Merchant Banking Consiste nell’offerta di servizi di finanziamento alle imprese secondo forme e modalità alternative rispetto alla tradizionale attività di lending. In questo caso l’intermediario si propone come partner finanziario dell’impresa cliente attraverso l’assunzione di una partecipazione temporanea nel capitale di rischio della medesima con l’obiettivo di ottenere una plusvalenza in conto capitale attraverso il successivo smobilizzo. In ambito internazionale: l’attività di Merchant Banking assume rilevanza in tutti quei casi in cui la penetrazione sui mercati esteri renda conveniente la costituzione di società miste con partner esteri. In tal caso l’intermediario finanziario domestico – assumendo una sua quota – può contribuire nel migliorare la percezione di stabilità da parte del mercato, aumentare lo standing creditizio (con conseguenti vantaggi in termini di reperimento e 31 onerosità delle risorse finanziarie) e rafforzare il potere negoziale della controparte domestica (Machiraju, 2007). Con riferimento al contesto italiano: qualora la società mista veda all’interno della propria struttura azionaria - la presenza di SIMEST, la medesima diventa idonea a beneficiare di appositi contributi agevolativi in conto interessi, a fronte dei finanziamenti concessi all’impresa investitrice italiana da banche domestiche o estere. 6) Project Finance. Si tratta di operazioni finanziarie particolarmente complesse tramite le quali è possibile realizzare investimenti infrastrutturali e investimenti in beni strumentali di ingenti dimensioni. La specificità dell’operazione consiste nel fatto che il progetto d’investimento viene isolato - da un punto di vista sia societario, sia gestionale sia finanziario - dal complesso delle altre attività dei soggetti promotori dell’iniziativa (sponsor) attraverso la creazione di un veicolo societario ad hoc denominato Special Pourpose Vehicle o società-progetto. Il vero tratto distintivo consiste nella limitata (o nulla) possibilità da parte delle banche di rivalersi sulle imprese sponsor (Fight, 2006). In ambito internazionale: molte imprese attive sui mercati esteri partecipano (in qualità di sponsor, di costruttori, di gestori o di fornitori) ad operazioni finalizzate alla realizzazione e gestione di grandi impianti produttivi od opere pubbliche e, per questo stesso motivo, rappresentano un segmento di clientela particolarmente interessante per le divisioni delle banche dedite all’offerta di servizi strumentali alla realizzazione di investimenti tramite il project finance. 7) Risk Management. Il Risk Management rappresenta l’insieme degli strumenti, delle metodologie e delle azioni attraverso le quali si misura o si stima il rischio e il relativo sviluppo di strategie per governarlo. Si tratta quindi di un approccio che permette, attraverso passaggi successivi, di identificare, valutare e monitorare i rischi legati ad una specifica attività. Tale area contiene tutti quei prodotti e servizi finalizzati all’individuazione, misurazione e alla copertura dei rischi, finanziari e non, cui sono esposte le imprese nello svolgimento della propria attività tipica (Frenkel et al, 2005) In ambito internazionale: Tra i principali prodotti che possono essere messi a disposizione dalle banche alle imprese per la copertura dei rischi derivanti dall’internazionalizzazione è possibile individuare: • contratti derivati: per la copertura del rischio di credito e regolamento, del rischio di cambio, di tasso, di inflazione, di prezzo dei valori mobiliari e delle commodities: parliamo quindi di: futures, swap, options, forward contracts. 32 • contratti negoziabili - con appositi intermediari finanziari, enti pubblici o organismi sopranazionali - per la gestione dei rischi commerciali ed industriali e la copertura del rischio paese. • polizze assicurative, stipulate con controparti private o pubbliche, come strumenti di Risk Management a disposizione delle imprese E’ importante sottolineare il fatto che il risk management presuppone un approccio di tipo consulenziale da parte dell’intermediario, orientato non tanto alla “vendita del prodotto” quanto alla risoluzione di un problema complesso da parte della clientela imprese. Questo lavoro si propone di andare ad approfondire le tematiche contenute in questa area, trovando - con riferimento alla gestione del rischio di cambio - delle soluzioni alternative agli strumenti tradizionalmente offerti e, nello specifico, attraverso l’utilizzo di strategie innovative realizzate mediante l’elaborazione di Trading System operativi in un mercato alternativo come il Forex (Foreign Exchange). Nell’accezione tradizionale, coprire una particolare posizione in valuta significa avere un ammontare analogo in valuta estera tale che un cambiamento del tasso di cambio contro di questa è bilanciato esattamente dal guadagno/perdita sulla valuta estera. Oltre ai metodi tradizionali come Forwards e finanziamenti in valuta, ne esistono di nuovi ed efficienti quali Domestic Currency Swap, Opzioni e Gestione dinamica sul Forex Spot. Il Mercato dei derivati resta in generale meno trasparente e difficilmente gestibile, soprattutto da parte delle PMI così come la copertura sui tassi o sulle valute con swap strutturati di cui non si capisce il funzionamento. La gestione del rischio di cambio attraverso opzioni o con strumenti complessi può essere quindi un’opportunità, ma rappresenta soprattutto un grande costo per valutare il quale con esattezza servono software che calcolino tutti i parametri. La gestione dinamica della copertura del rischio di cambio con negoziazione di valuta spot rappresenta invece una forma moderna, economica e trasparente di copertura di tale rischio: il cambio spot, rollato fino a scadenza, ha prezzi evidenziati dal mercato Forex, costi bassi e durata decisa dalle esigenze delle aziende e delle imprese. Nel prossimo capitolo approfondiremo le offerte “tradizionali” per poi avere una chiara percezione dell’alternativa proposta nel capitolo successivo. 33 34 CAPITOLO II LA GESTIONE DEL RISCHIO DI CAMBIO 2.1 Rischio di cambio ed Export: i problemi per le PMI Esistono problematiche che costituiscono (e hanno sempre costituito, negli ultimi quaranta anni almeno) il reframe di tutte le aziende che esportano (che, come abbiamo visto nel cap. I, rappresentano la maggioranza delle imprese italiane35) ma che non lasciano indifferenti neanche gli importatori. Le aziende devono essere competitive in un mercato internazionale anche e soprattutto quando la propria valuta nazionale (l’euro) continua a rivalutarsi nei confronti delle altre valute, dollaro in primis (situazione riscontrata fino ad agosto 2009 poi decisamente cambiata a seguito della crisi finanziaria internazionale). Diventa allora fondamentale gestire il rischio di cambio senza pesanti contraccolpi sul bilancio delle imprese. In ambito aziendale (così come altrove) è difficile puntare su un’unica alternativa (ad esempio, l’apprezzamento del cambio euro/dollaro) dato che nel mercato internazionale, e soprattutto nel mercato dei cambi, le variabili da prendere in considerazione sono infinite e in ogni istante quei trend che sembravano certi, vengono successivamente smentiti. L’obiettivo che ci si pone in questo lavoro di ricerca è quello di trovare una strategia efficace nel difendere i prezzi all’export in condizioni di mercato in cui la moneta unica si rafforzi nei confronti delle altre: l’analisi verrà limitata al solo rapporto Eur/Usd, che, come possiamo vedere in tabella 8, rappresenta il principale cambio di riferimento nelle contrattazioni a livello globale36, seguito da UsdJpy (USDollar/Yen) e UsdGbp (USDollar/Sterlina inglese). Cominciamo innanzitutto con il valutare l’entità del problema, affrontando alcuni luoghi comuni che - in parte - sono da sfatare. In economia internazionale viene generalmente individuata una correlazione inversa fra l’andamento del tasso di cambio e quello delle esportazioni (De Grauwe, 1988; Giovannini, 2002; Dominick, 2008): nel nostro specifico caso, un apprezzamento del cambio Eur/Usd, dovrebbe avere come principale 35 Secondo l’Istat, a metà 2010 l’export italiano è salito del 17,1% (massimo rialzo da aprile 2008), complessivamente, nella prima parte del 2010, le esportazioni hanno fatto registrare un +9,2%. L’aumento delle esportazioni è particolarmente forte verso i paesi Ue (+20,5% rispetto al +12,5% extra Ue). Al top l’export verso Regno Unito (+52,4%), Spagna (+25,5%) e Francia (+20,2%). Più contenuto, quello verso la Germania (+14,8%), che resta il principale partner commerciale italiano. Buono l’incremento delle vendite verso la Cina, dove la quota sul totale del nostro export passa dall'1,7% all'attuale 2,3% (la quota extra Ue cresce invece dal 5 al 6%). 36 Triennial Central Bank Survey of Foreign Exchange and Derivatives Market Activity in 2010. Bank for International Settlements. 35 conseguenza una minore competitività delle esportazioni dell’area euro e, viceversa, una maggiore competitività di quelle dell’area dollaro. Tab. 8 Global foreign exchange market turnover by currency pair Fonte: Bank for International Settlements, Survey 2010 Tali teorie devono però essere ponderate con altre variabili, altrimenti rischiano di essere scarsamente descrittive della realtà: nello specifico, alcune teorie che in passato37 sembravano automaticamente verificate (Tutino, 1988), devono essere analizzate con riferimento all’evoluzione dei mercati internazionali, caratterizzati da un cambiamento continuo ed imprevedibile. E proprio questa imprevedibilità fa si che le teorie tradizionali non spiegano come mai la Germania (con una valuta forte) rimanga il primo esportatore mondiale, oppure che gli Stati Uniti (con una valuta debole) abbiano registrato, negli ultimi anni, un enorme deficit della bilancia dei pagamenti38 o la stessa Italia che, in un anno come il 2006 (con l’euro fortemente rivalutato nei confronti del dollaro) ha usufruito dell’incremento dell’export per compensare una domanda interna stagnante. Dobbiamo quindi trovare altre ragioni che 37 In passato la correlazione descritta si è spesso verificata: ricordiamo ad esempio la crisi della lira degli anni 1992-1993, che costò cara al paese in termini di inflazione e di alti tassi d'interesse, ma permise un notevole recupero della nostra bilancia commerciale, grazie appunto al rilancio delle esportazioni. 38 Nettamente superiore a quello degli anni Settanta, che costrinse l’allora Presidente Nixon a sospendere la convertibilità del dollaro in oro, e pose fine agli accordi di Bretton Woods. 36 spieghino tali situazioni, e trovare delle soluzioni che aiutino le PMI a convivere con un euro mediamente più forte della valuta americana. Una prima motivazione può essere rappresentata dalla selezione delle imprese esportatrici avvenuta negli anni recenti: le imprese più deboli39 sono state gradualmente emarginate dal mercato a favore di concorrenti - spesso di paesi emergenti - difficilmente superabili soprattutto dal punto di vista dei prezzi (Adams et al, 2006). Un secondo punto riguarda la riqualificazione della specializzazione caratteristica del nostro export, che ha permesso alle nostre imprese di ritagliarsi segmenti di mercato nei quali la forza contrattuale prescinde dal fattore prezzo e punta sulla qualità e sul valore dell’immagine: e parliamo in primis di settori quali meccanica e dei macchinari industriali, ma anche in quelli più tradizionali del made in Italy (sistema casa, sistema moda, abbigliamento, agroalimentare). Tali strategie hanno permesso a molte imprese di difendere le quote di mercato riqualificando la propria produzione verso segmenti a più alto valore unitario40. Non dobbiamo però trascurare gli effetti positivi del “caro euro”, quali la diminuzione del costo della bolletta energetica (principale causa del nostro deficit nei conti con l’estero, considerando che i prezzi di petrolio e gas sono generalmente espressi in dollari), la riduzione dei costi di prodotti e semilavorati dall’estero e, non ultimo, la forza della moneta unica ha indirizzato molti importatori esteri (area Mediterraneo, Medio Oriente e dell'Europa orientale in primis) verso una fatturazione in euro anziché in dollari, permettendo alle imprese esportatrici italiane di ridurre i flussi di tesoreria soggetti a rischi di cambio. Quanto appena visto indica un rafforzamento dell’euro può rappresentare anche uno stimolo al cambiamento per le imprese e quindi non necessariamente un pericolo per la nostra economia (Bugamelli et al, 2008). Questo però non ci deve distogliere dal tema alla nostra attenzione in questa sede, ovvero, difendere i prezzi all’export, con un euro che, come possiamo vedere in figura 7, risulta storicamente più forte della valuta americana. Fig. 7 Andamento EurUsd 2002-2009 Fonte: elaborazione propria su dati ActivTrades: frequenza mensile 39 Quelle con minor valore aggiunto, inferiore capacità di innovazione di prodotto/sistema e scarsa capacità di definizione della propria collocazione sui mercati esteri. 40 Rapporto ICE 2009 – 2010: L’Italia nell’economia internazionale. 37 Dall’analisi grafica emergono diverse fasi nell’andamento storico del cambio EurUsd: una prima fase che vede l’euro man mano rafforzarsi fino al massimo di 1,36 (tendenza durata fino a tutto il 2004) alla quale fa seguito una seconda fase di deprezzamento della moneta unica (fino ad un minimo sotto quota 1,17, durata per quasi tutto il 2005). La terza fase, iniziata verso la fine del 2005 e terminata a luglio 2008, ha visto un nuovo apprezzamento dell’euro fino ad un massimo storico che ha superato il livello di 1,60. Questo incremento si ferma con la quarta fase che, iniziata in concomitanza della crisi economico finanziaria internazionale (luglio 2008), fa registrare un nuovo deprezzamento dell’euro fino a toccare un livello intorno a 1,23 nel novembre dello stesso anno. La quinta fase, fino ad Agosto 2009, vede invece un recupero della moneta unica fino a quota 1,51 (novembre 2009) ed un’ulteriore crollo, fino ai minimi di 1,18. Nell’ultima fase (fino a settembre 2010), si ha un deciso recupero dai minimi di maggio 2010. Le ultime fasi sono state molto violente, caratterizzate da un’alta volatilità e con una frequenza piuttosto elevata di ritracciamenti. Come si può osservare, dunque, si è passati dal minimo storico di 0,85 euro per dollaro (nei primi mesi del 2002) ad un massimo assoluto superiore a 1,60 (quarta fase) conseguenza di una crescita iniziata verso la fine del 2005 e terminata a luglio 2008. La fase successiva è quella attuale, con un calo dovuto alla crisi dei mercati finanziari che - esaltando le capacità del dollaro di attrarre investimenti (in qualità di “moneta rifugio”, insieme a JPY e CHF) – ha depresso temporaneamente il cambio EURUSD che poi, però, ha immediatamente recuperato tornando a valori precedenti allo scoppio della crisi. In passato l’Italia poteva incrementare la competitività dell’export attraverso la svalutazione della lira, ma a seguito dell’introduzione dell’euro questa via di uscita non è più utilizzabile e la naturale conseguenza è stata quella di una riduzione delle esportazioni verso le “aree dollaro”: il fenomeno ha colpito soprattutto le piccole aziende italiane che, non avendo i mezzi sufficienti per conservare un’immagine forte attraverso specifiche politiche di marketing, pubblicità e relazioni pubbliche, hanno incontrato enormi difficoltà nel mantenere la propria quota di mercato negli Stati Uniti (Mannelli, 2007). La situazione è alquanto diversa per le grandi aziende con un’immagine affermata (se pensiamo ad Armani, Prada, Gucci, ecc.) che, operando nel comparto dei beni di lusso, possono mantenere i prezzi elevati senza particolari conseguenze dato il target di riferimento dei potenziali acquirenti. Approfittando della debolezza del Dollaro diverse imprese italiane hanno percorso vie alternative all’export: alcune aziende, per esempio, hanno realizzato investimenti diretti con la finalità di fabbricare e continuare a vendere negli Stati Uniti a prezzi inferiori rispetto a quelli applicabili esportando dall’Italia. Tale tipologia di investimenti rappresenta però una via percorribile prevalentemente da aziende di medie-grandi dimensioni, dotate di sufficienti 38 capitali da investire: in Italia, invece, vi sono moltissime piccole imprese e l’accesso ai finanziamenti necessari per progetti di espansione aziendale risulta spesso difficoltosa (Silvestrelli, 2001). Il problema per l’Italia è quindi strutturale: negli USA un’azienda di successo, seppur piccola, viene aiutata nel processo di crescita attraverso l’apporto di capitali da parte di banche d’investimento che vedono nel progetto un possibile ritorno nel medio lungo termine (Dushnitsky e Lenox, 2006). In Italia il mercato dei capitali è sicuramente meno sviluppato, se a questo aggiungiamo l’esistenza di un sistema fiscale “opprimente” e la presenza di una burocrazia diffusa, comprendiamo come mai risulti difficoltoso l’afflusso di capitali stranieri. Da parte statunitense, nel periodo di forte deprezzamento della valuta americana, non si è manifestato alcun interesse a difendere il dollaro; questo è dovuto, almeno in parte, al fatto che la perdita di valore del dollaro ha aiutato notevolmente le aziende americane ad incrementare l’export limitando così l’impatto della concorrenza estera. Inoltre, nonostante la discesa del dollaro, non si è verificato un aumento altrettanto consistente del livello dei prezzi41 e questo perché - oltre alla variazione dei prezzi import ed export - ci sono altri fattori che rallentano l’aumento dei prezzi dei prodotti importati negli USA. Essi sono sintetizzabili in tre punti principali (Garioni, 2007): - il primo, valido nel breve termine, riguarda l’enorme diffusione del dollaro nella fatturazione del commercio internazionale42. Allo stato attuale rappresenta la moneta di riferimento anche se, nel lungo periodo, potrebbe perdere tale centralità negli scambi internazionali, e si parla addirittura di una sua sostituzione con una sorta di moneta globale, denominata SDR43. - il secondo, valido nel medio-lungo termine, è rappresentato dalla propensione, da parte degli esportatori stranieri, a mantenere stabili le quote di mercato conquistate negli Stati Uniti negli anni passati: tale interesse agisce come calmiere dei prezzi per un periodo piuttosto lungo perché i consumatori statunitensi - a fronte ad un aumento del costo dei prodotti importati a seguito del deprezzamento del dollaro - hanno maggiore facilità nel sostituire i prodotti importati con quelli fabbricati entro i confini nazionali viste le rilevanti dimensioni “geografiche” del mercato. 41 Uno studio della Federal Reserve mostra che tra gli anni 1975 e 2003 un declino dell’1% nel valore del Dollaro ha generato solo un aumento dello 0,42% nei prezzi dei prodotti importati e dal 1990 al 2003 questa percentuale è scesa allo 0,32%. Pertanto un deprezzamento del Dollaro aumenta in misura meno che proporzionale i prezzi dei prodotti importati e non genera molte difficoltà per i consumatori statunitensi. 42 Negli Stati Uniti il 99,8% delle esportazioni viene fatturato in dollari USA e così pure il 92,8% delle importazioni http://www.usaexportimport.com/ 43 Gli Special Drawing Rights (SDR) del Fondo Monetario Internazionale (diritti speciali di prelievo) sono una moneta sovranazionale varata nel 1969. Attualmente utilizzati solo come strumento contabile all'interno del Fondo e il suo valore è determinato da un paniere delle principali valute (dollaro, euro, yen e sterlina). Zhou Xiaochuan, governatore della Banca Centrale cinese ha più volte proposto di utilizzarli, con alcune sostanziali modifiche così da renderli al passo con i tempi, al posto del dollaro. 39 Infine bisogna considerare l’elevato costo della distribuzione negli Stati Uniti: oltre al - costo del prodotto importato, infatti, occorre prendere atto di una serie di servizi quali trasporto, immagazzinaggio, servizi di vendita all’ingrosso e al dettaglio: tali costi incidono in misura proporzionalmente molto superiore rispetto ad altri paesi. Tutto ciò determina una certa stabilità dei prezzi e delle importazioni e questo spiega come mai, in presenza di un deprezzamento del dollaro, l’aumento delle esportazioni statunitensi non sia sufficiente a colmare il deficit della bilancia commerciale. Le problematiche sono svariate: in questo lavoro si intende affrontare e sviluppare soprattutto quelle inerenti il secondo fattore: quando l’euro aumenta rispetto al dollaro gli esportatori italiani, come detto, vedono ridurre i rispettivi margini di profitto. L’incentivo a rinunciare a un aumento dei prezzi corrispondente al deprezzamento del dollaro al fine di mantenere i prezzi costanti nei confronti della concorrenza non si deve però tradurre in una perdita su cambi certa da parte dell’azienda. L’utilizzo di strategie di copertura contro il rischio di cambio deve diventare una skill delle imprese italiane per competere ancora di più nel mercato globale. Nello specifico, in alternativa (e non solo) ai tradizionali strumenti di copertura utilizzati, si intende sviluppare un sistema basato su Trading System e realizzato mediante l’operatività sul mercato spot delle valute. 2.2 Rischi per le imprese In Finanza il rischio è considerato come la probabilità di ottenere un rendimento diverso da quello atteso: inizialmente viene posto un obiettivo, un rendimento, un margine di profitto che potrà essere eroso, anche totalmente e negativamente, a danno dell’azienda44. Ma vediamo i diversi tipi di rischio ciascuno con le proprie caratteristiche (Gramatica, 2002): - rischio specifico: è quella tipologia di rischio originata dall’investimento in “specifici” strumenti finanziari, in assenza di un’opportuna diversificazione; - rischio sistematico: è il rischio collegato alla normale oscillazione del mercato e sta alla base di qualsiasi forma di investimento (a differenza del rischio specifico lo si calcola attraverso la volatilità, o meglio in termini di deviazione standard); - rischio del gestore: spesso coloro che gestiscono i portafogli dei risparmiatori cercano di fare meglio dell’indice di riferimento o benchmark (in questo caso la gestione è “attiva” e la bravura del gestore assume un ruolo di primo piano); 44 Nel 1994 due analisti della J.P. Morgan introdussero il concetto di VAR (Value at Risk) con l’obiettivo di sintetizzare in un unico numero il livello del Rischio Finanziario. Il VAR misura gli aspetti legati al rischio di mercato di un titolo: indica la perdita peggiore riscontrabile in condizioni di mercato normali, dato un certo livello di confidenza ed un intervallo di tempo. 40 - rischio di liquidità: è quella tipologia di rischio che caratterizza gli investimenti in mercati con scambi rarefatti. Nel mercato Forex ciò non riguarda cambi principali (Majors) per i quali, in qualsiasi momento, è possibile trovare la controparte senza il rischio di chiudere la posizione a prezzi fuori mercato. Nella parte dei nuovi tassi di cambio sviluppatesi solo in questi ultimi anni (relativi a di Stati minori), vi è un rischio di liquidità comunque limitato e non paragonabile a qualsiasi altro strumento finanziario essendo il Forex un mercato Over The Counter aperto 24 ore su 24. - Rischio di cambio: è presente quando vengono effettuati investimenti in una valuta diversa da quella nazionale. In tal caso, l’investimento – oltre a modificarsi per l’andamento del titolo sottostante – viene influenzato anche dalla variazione del tasso di cambio. Tale rischio, approfondito in seguito, non è assolutamente da sottovalutare45. Approfondiamo il discorso relativo al rischio di cambio, ricordando che l’introduzione dell’euro ha avuto una notevole importanza nel sistema monetario internazionale, soprattutto in quello degli Stati membri (Padoa Schioppa, 2004). Il mercato dei cambi, come vedremo nel dettaglio in seguito, è il più grande mercato al mondo dove vengono visualizzate e scambiate le diverse valute mondiali: risulta fondamentale conoscere e monitorare il valore delle valute nazionali in quanto le loro oscillazioni vanno a modificare il valore degli investimenti dell’azienda e quindi il risultato finale in termini di utile/perdita dal punto di vista contabile. Ogni giornata prevede una grande numerosità di dati economici: ogni dato ha una sua interpretazione e può essere un nuovo spunto per speculare ma anche per costruire un quadro di riferimento con cui giustificare i movimenti di medio e lungo periodo. Le variabili fondamentali che sono maggiormente seguite dal mercato Forex – e che approfondiremo in seguito – sono rappresentate dai tassi di interesse, tasso di inflazione, tasso di crescita del Pil e deficit commerciale. Ci soffermiamo sulla variabile economica che, presumibilmente, ha l’impatto maggiore (e più immediato) sui mercati valutari, azionari e obbligazionari: i tassi d’interesse. Normalmente accade che i mercati si muovano sulla base delle aspettative dei movimenti nei giorni antecedenti a cambiamenti dei tassi ufficiali, al punto da scontare quasi completamente le decisioni di politica monetaria al momento dell’uscita. Le reazioni sono di solito opposte sui mercati obbligazionari ed azionari: nei primi un aumento dei tassi determina una discesa delle quotazioni dei titoli a reddito fisso 45 Per esempio: consideriamo la salita dal 2002 al 2004 dei mercati finanziari americani (Dow Jones +26%) si può notare come, a parità di investimento, per un investitore americano a fine 2004 il gain sia stato pari all’incremento dell’indice (+26%), al contrario l’investitore europeo si è trovato di fronte ad un loss di quasi 5 punti percentuali, dovuta alla svalutazione del Dollaro (-31%). Questo semplice esempio evidenzia come il rischio di cambio incomba su tutte quelle imprese che lavorano con l’estero – importatori ed esportatori – che, come vedremo più avanti, sono coloro la cui gestione del rischio diventa fondamentale per la continuità ed espansione del core business aziendale. 41 perché la cedola fissa, per mantenere un rendimento competitivo adeguato al nuovo livello dei tassi, deve rapportarsi a quotazioni inferiori46. Nei secondi, invece, l’aumento dei tassi di interesse, oltre ad incidere negativamente sui bilanci delle imprese attraverso l’aumento degli oneri finanziari, fa propendere la massa degli investimenti verso i mercati obbligazionari che offrono maggiore rendimento con minore rischio. Ovviamente vale il contrario per un abbassamento dei tassi di interesse. Il mercato valutario guarda ad un aumento dei tassi come ad una maggiore entrata di flussi di capitali attratti da maggiori rendimenti, con conseguente apprezzamento della valuta di riferimento. Questi effetti possono essere compensati dall’uscita di capitali stranieri precedentemente investiti sull’azionario. Non esistono dati in grado di anticipare le decisioni sui tassi e il loro andamento dipende in primis dalle decisioni delle Banche Centrali di ogni paese: in quest’ottica, risultano importanti i discorsi delle Autorità Monetarie e i messaggi “anticipatori” in essi contenuti, utili per captare eventuali segnali dei prossimi movimenti (Rosa e Verga, 2007). Dunque, si può definire il rischio di cambio come l’insieme delle conseguenze che le variazioni di due o più divise possono avere sulle performance realizzate dall’impresa - in termini economici di gestione, di quote di mercato, di flussi di cassa – e, in definitiva, sull’utile aziendale. Le imprese che operano nell’import/export a fine anno incontrano dei problemi di sbilancio dovuto alle oscillazioni nel mercato valutario: risulta fondamentale, quindi, gestire il rischio di cambio per la salvaguardia della redditività operativa dell’azienda che può intervenire sia mediante un’adeguata gestione interna che attraverso l’utilizzo di opportuni strumenti di copertura. Nel prossimo paragrafo analizzeremo i principali strumenti a disposizione del gestore, non prima di aver visto come gli effetti di una variazione del cambio di riferimento possano incidere sulla performance delle’impresa; a seconda dello stile di commercio dell’azienda (Import/Export), infatti, il rischio di cambio sarà percepito in modo esattamente speculare47. Possiamo riassumerne gli effetti nella tabella a doppia entrata in tabella 9. Tab. 9 Effetti di una variazione del cambio di riferimento sull’impresa. Apprezzamento Deprezzamento valuta estera valuta estera Azienda Import o Titolari di crediti Negativo Positivo Azienda Export o Titolari di debiti Positivo Negativo Fonte: elaborazione propria 46 Essendo il tasso nominale espresso dalla cedola fissa, solo abbassando la quotazione abbiamo l’aumento del rendimento. Vale infatti la seguente regola: Rendimento = Tasso Nominale/Quotazione 47 Un deprezzamento della valuta estera, ad esempio, sarà positivo per un’azienda importatrice poiché consente alla stessa di pagare un ammontare in valuta nazionale inferiore rispetto a quello previsto all’emissione dell’ordine alla controparte estera, mentre l’azienda esportatrice avrà una minore entrata rispetto a quella prevista al momento dell’accettazione dell’ordine. Nel caso di un apprezzamento della valuta estera, invece, l’effetto sarà contrario. 42 Naturalmente gli effetti qui presentati considerano non solo la situazione originaria (crediti e debiti) ma anche le previsioni in ordine al futuro movimento dei tassi: da notare come le due posizioni siano antitetiche ed un apprezzamento come un deprezzamento viene percepito in modo opposto dalle due parti48. 2.3 La misurazione del rischio di cambio: la posizione valutaria La costruzione della posizione valutaria è una fase estremamente complessa e delicata ed è essenziale per la corretta gestione del rischio d’impresa: essa costituisce la base sulla quale il risk manager (figura presente nelle grandi imprese, meno nelle PMI) decide la strategia da adottare e la concreta misura delle operazioni da concludere (Chew, 2008). Una posizione valutaria mal calcolata è fonte di notevolissimi rischi perché, di fatto, fa assumere all’azienda delle posizioni sul mercato finanziario cui non corrispondono sottostanti operazioni commerciali, con la conseguenza che le operazioni finanziarie, anziché di copertura, risultano a tutti gli effetti di speculazione. La posizione valutaria (o posizione in cambi, o bilancia valutaria) è un sistema informativo che raccoglie tutte le informazioni riguardanti l’attività in divisa dell’azienda - utili ai fini della gestione finanziaria del rischio di cambio; in altre parole, è un prospetto dal quale si evince la posizione di rischio dell’impresa sulla base delle operazioni commerciali, finanziarie e di copertura. Risponde principalmente a tre ordini di esigenze: è il principale supporto decisionale per il risk manager, è un valido supporto per la pianificazione/redazione dei budget e per il controllo a consuntivo e, adeguatamente sintetizzata, è un’informativa utile sia al vertice aziendale (reporting) sia a soggetti esterni (società di revisione, banche, ecc.) (Gallagher e Andrew, 2007). Si procede allora alla realizzazione di una posizione valutaria corretta, completa e comprensibile: preliminare a tutto il processo di costruzione della posizione in cambi è la considerazione che dobbiamo fare sul concetto di “portfolio management”, che è la filosofia con la quale il rischio è calcolato e gestito (Sanwal, 2007). Risulta fondamentale comprendere che non esistono “n” operazioni distinte (commerciali, finanziarie, ecc.) con o senza relative coperture, ma un’unica posizione aziendale - generata da “n” atti di gestione - che sarà coperta in una percentuale che potrà andare dallo 0% al 100%. La logica con la quale l’azienda deve agire è perciò prevalentemente una logica di stock, piuttosto che di flusso: ogni periodo di riferimento (giorno, settimana, decade, mese, ecc.) avrà il suo importo di esposizione, il suo cambio di riferimento e la sua percentuale di copertura. Entrando nello 48 Ne è un esempio il rapido deprezzamento della moneta unica conseguente alla crisi sollevata dagli allarmi sui conti di alcuni paesi dell’Unione, Grecia in primis. La rapida discesa, sotto 1,20, ha determinato scenari profondamente diversi rispetto a pochi mesi prima, determinando vantaggi indiretti per chi, fino ad allora (importatori) aveva sofferto la forza dell’euro rispetto al dollaro. 43 specifico dell’iter da seguire per l’impostazione della posizione in cambi, possiamo individuare alcuni passaggi (Facile, 1996): - identificazione del tipo (o dei tipi) di rischio da gestire; - verifica dei dati di input, ossia dei collegamenti con i diversi archivi aziendali; - integrazione dei dati raccolti ed analizzati e strutturazione dei prospetti. Il primo passaggio è l’identificazione del tipo di rischio da valutare e gestire. Come detto, il rischio di cambio è in realtà riconducibile a tre distinti significati, ossia rischio transattivo, rischio economico, rischio competitivo. I rischi transattivo ed economico devono essere sicuramente inseriti nella posizione in cambi; dubbi sorgono in merito all’inserimento nella posizione valutaria anche del rischio competitivo, e ciò per motivi inerenti la natura stessa del rischio49. Il fatto che il rischio competitivo non rientri nella posizione in cambi non vuol dire che l’azienda non debba considerarlo, o tentare di gestirlo, ma vuole soltanto sottolineare che la sua gestione esula il campo d’azione del risk manager per divenire una tipica manifestazione della direzione strategica; gli andamenti dei cambi sono variabili del tutto stocastiche, risultato di una serie numerosissima di eventi casuali e di politiche preordinate impossibili da anticipare nel medio o lungo termine.50 La seconda tappa nel processo di costruzione della posizione valutaria riguarda la selezione, analisi e valutazione dei dati di input. In generale il rischio economico può essere ricavato da documenti quali il piano strategico aziendale (di medio/lungo termine), il budget periodale, il piano delle fonti e degli investimenti, le previsioni di vendita su listino e quelle di vendita su commessa. Il rischio transattivo è invece desumibile dal portafoglio ordini in evasione, dal portafoglio commesse in corso di lavorazione, dallo scadenziario clienti e da quello fornitori (che raggruppano, per scadenza, tutte le fatture rispettivamente emesse, o attive, e ricevute, o passive). Le informazioni sulle operazioni finanziarie o di copertura, infine, sono disponibili direttamente presso la Direzione Finanza. Come possiamo intuire, i dati di input sono forniti soprattutto da altre aree gestionali, soprattutto quelli non prettamente finanziarie: la Direzione Acquisti, la Direzione Commerciale (o Direzione Vendite), la Funzione Programmazione e Controllo di Gestione, ecc. Occorrerà perciò definire con queste le modalità e la periodicità di fornitura dei dati, e sottoporre alcuni di questi dati ad analisi e valutazione, concordando con le aree gestionali di cui sopra anche la prassi da seguire al 49 La durata è incerta, comunque a medio/lungo termine, le scadenze sono del tutto indefinite, così come indefiniti sono gli importi. Il profilo del rischio è inoltre non lineare, per cui sarebbe impossibile arrivare ad una quantificazione del rischio concretamente fruibile per il risk manager in sede di definizione di operazioni di copertura. Questo dato di fatto, unitamente ad altre considerazioni, dovrebbe spingere la Direzione Aziendale a propendere per una diversificazione geografica delle attività di acquisto e di vendita, ovviamente nella misura in cui ciò sia concretamente fattibile. 50 La stabilità politica ed economica dei vari “sistemi-Paese”, l’andamento dei redditi e dell’inflazione nei diversi Stati, ecc., 44 verificarsi di certi eventi. Alcune problematiche direttamente connesse alla raccolta degli input sono rappresentate dalla periodicità di aggiornamento e dalla gestione del “roll-over”.51 Circa la questione dell’integrazione tra dati provenienti da funzioni diverse, con i software gestionali odierni non ci dovrebbero essere grandi problemi e comunque, nell’eventualità che ciò accadesse, è compito della Direzione Finanza raccordare i flussi affinché diventino fruibili. Consapevoli dei limiti e delle problematiche connesse con la costruzione della posizione valutaria, possiamo dire che, in estrema sintesi, essa deve riportare per ogni divisa ed in base alla lunghezza dell’aggregato temporale scelto, l’esposizione lorda dell’azienda, le operazioni di copertura attivate e la posizione netta (Head, 2007). La prima rappresenta l’esposizione derivante dall’attività di gestione dell’impresa e i dati che deve riportare sono: l’ammontare degli incassi e dei pagamenti per ogni scadenza, la loro differenza (o mismatching) che costituisce il vero ammontare di esposizione e, non ultimo, il cambio obiettivo (calcolato come media tra i cambi obiettivo delle diverse grandezze che formano l’esposizione per scadenza). Le operazioni di copertura attivate devono essere riportate indicando l’ammontare, il cambio di copertura (fisso nel caso di operazioni di outright, migliorabile nel caso di operazioni dinamiche) e la percentuale di copertura. Per differenza tra l’esposizione lorda e le coperture attivate per la stessa scadenza, infine, deve essere indicata la posizione netta, evidenziando la percentuale di esposizione rimasta scoperta. È necessario che sia riportata anche la posizione complessiva allo scopo di dare un metro di misura generalizzato del volume di rischio che l’azienda sviluppa, copre o lascia aperto. Il cambio obiettivo è un dato di eccezionale importanza per una buona posizione in cambi: per la singola esposizione è il cambio cui l’esposizione è valutata al momento della nascita, per ogni scadenza, invece, rappresenta il cambio medio delle posizioni aperte e non incrociate per quella scadenza. 2.4 Gestione del rischio di cambio: gli strumenti finanziari. In un sistema economico dinamico ed efficiente, la gestione del rischio di cambio è un nodo fondamentale per ogni azienda: l’obiettivo è quello di difendere il margine di profitto cercando allo stesso tempo di migliorarne il suo valore. La conoscenza e la corretta valutazione della gestione di tale tipologia di rischio rappresentano attività ben impostate nelle grandi imprese dove, vista la sua importanza, la figura del responsabile viene separata dalle altre funzioni aziendali (Madura, 2009). Nelle piccole e medie imprese, invece, la 51 Il roll-over è la sostituzione dei dati necessaria in seguito alla maturazione delle operazioni: il piano strategico si dovrebbe tradurre in budget, il budget in ordini, gli ordini in fatture e le fatture in incassi, o pagamenti. 45 funzione della tesoreria e Risk Management viene fusa con altre (tipicamente quella amministrativa) o addirittura è lo stesso imprenditore ad assumerne il controllo. Questa diffusa tendenza deriva dalla scarsa conoscenza dei rischi finanziari, la cui gestione potrebbe invece rivelarsi un fattore di successo al pari (se non di più) con altre funzioni aziendali quali marketing, ricerca & sviluppo, produzione e vendita (Garioni, 2007). Dunque, prima di approfondire le differenze fondamentali tra la gestione “statica” e quella “dinamica” (obiettivo principale del presente lavoro) vediamo i ragionamenti alla base della gestione del rischio di cambio. Il gestore finanziario deve inizialmente essere cosciente della presenza implicita di tale tipologia di rischio nella gestione aziendale, dei suoi molteplici aspetti e della natura delle sue cause. Occorre saper valutare i suoi effetti con riferimento alla durata del progetto aziendale, la redditività dello stesso, la stabilità patrimoniale e il livello di competitività. Tutti fattori essenziali per definire la strategia da intraprendere per una corretta gestione del rischio di cambio. Dividiamo la gestione in strategica, operativa e finanziaria (Hitt et al, 2009). La gestione strategica deve essere considerata nel momento in cui l’azienda pianifica le sue strategie ed i suoi obiettivi di fondo, andando a definire l’esposizione al rischio che essi possono fornire cercando di limitarne se non annullarne l’effetto. La gestione operativa e contrattuale riguarda prevalentemente le scelte di politica aziendale e, in alcuni casi, ha un carattere “tattico”, in base alle aspettative di movimento nel breve-medio periodo del tasso di cambio: le strategie, naturalmente, non possono essere modificate di continuo perché ciò tenderebbe a compromettere i rapporti con le controparti commerciali52. Le principali politiche utilizzate nella gestione operativa sono quelle di marketing, commerciali, di acquisti e di produzione. La gestione finanziaria negli ultimi anni ha avuto un forte sviluppo: vi è stata una crescita delle operazioni finanziarie nella copertura dal rischio di cambio, sia per la maggiore flessibilità e dinamicità di tale gestione che per la capacità di integrarsi con le tecniche di gestione interna (in realtà non sempre sufficienti) (Garioni, 2007). Approfondiremo i singoli strumenti nel paragrafo successivo. 2.4.1 Strumenti finanziari: descrizione Come detto, negli ultimi anni vi è stata una crescita delle operazioni finanziarie nella copertura dal rischio di cambio, sia per la maggiore flessibilità e dinamicità di tale gestione che per la capacità di integrarsi con le tecniche di gestione interna (Döhring, 2008). L’uso degli strumenti finanziari permette infatti all’impresa di creare una posizione di rischio 52 Un’eccezione può essere rappresentata da quell’impresa con una posizione forte in un mercato poco concorrenziale: in questo caso l’impresa può trasferire il rischio a fornitori e clienti attraverso l’aumento dei prezzi del listino andando a tutelarsi da un movimento sfavorevole della valuta di riferimento. 46 contraria a quella dell’esposizione con scadenza e importo uguali, garantendo un cambio fisso (o comunque un cambio minimo) a seconda della posizione import o export da coprire. L’offerta di prodotti finanziari è vasta ed in continua evoluzione tanto da essere arrivata a creare strumenti nuovi (a volte risultato della combinazione di altri strumenti) e sempre più complessi che richiedono notevoli risorse gestionali, conoscenze e abilità pratiche. Tali strumenti possono essere divisi a seconda dei seguenti criteri (Gupta, 2008): - - - in base alla tipologia di negoziazione: operazioni quotate in borse regolamentate operazioni in mercati Over The Counter (OTC); in base all’uscita di flussi di cassa iniziali: operazioni con margine iniziale di copertura (o premio); operazioni in cui non vi è un esborso iniziale. In base al cambio garantito dall’operazione: quelle in cui il cambio viene prefissato inizialmente; quelle a contenuto opzionale. Le strategie che le imprese possono adottare per coprirsi dal rischio di cambio, utilizzando esclusivamente strumenti finanziari, sono numerose: alcune di esse hanno un costo, di diversa entità, altre sono prive di costi vivi, ma nel contempo o sono prive di dinamicità oppure sono elastiche in misura limitata. In generale, si può enunciare una regola molto semplice: tanto più una strategia è sia dinamica che difensiva, ossia consente protezione in caso di andamenti sfavorevoli del mercato valutario e contemporaneamente di partecipare ai guadagni in caso di andamento favorevole, tanto più tale strategia sarà costosa. Viceversa, tanto meno la strategia sarà dinamica e/o difensiva, tanto meno sarà costosa. Strategie che non assicurino totalmente dal rischio, che assicurino la protezione entro certi limiti, che permettano di beneficiare di andamenti favorevoli solo in misura ridotta o addirittura nulla, sono strategie sicuramente più a buon mercato ma rappresentano tecniche pericolose oppure con un raggio di azione limitato. Ogni impresa deve pertanto fare un’attenta riflessione sulla natura e sull’entità dei rischi che corre e scegliere una strategia che sia la migliore per le caratteristiche della propria gestione. Dopo una rapida panoramica degli strumenti finanziari a disposizione dell’impresa (Tab. 10), si procede con l’analisi puntuale dei principali strumenti di copertura usati nella pratica aziendale, evidenziando in linea generale i loro vantaggi e svantaggi: - Cambi a termine - Gli anticipi all’export - Domestic currency - Currency option 47 Tab. 10 Strumenti finanziari per la copertura del rischio di cambio Mercato Regolamentato Over The Counter Future Opzioni valuta Opzioni su Future valuta Contratti a termine Swap Finanziamenti Opzioni valuta Senza uscita di cassa immediata Con uscita di cassa immediata Contratti a termine Finanziamenti in valuta Swap Partecipating Swap Opzioni valuta (premio) Opzioni su Future valuta (premio) Future (margine iniziale) Warrants valutari (premio) Operazioni a cambio prefissato Operazioni a contenuto opzionale Contratti a termine Future Swap Finanziamenti Opzioni in valuta Opzioni su future valuta Partecipating Swap Warrants valutari Fonte: Rielaborazione da G. Garioni (2005) Amministrazione & Finanza, Sez. II, Strumenti e operazioni. Cambi a termine Finora si è parlato del mercato dei cambi intendendo sempre transazioni “a pronti”, ossia al momento53. Oltre al cambio a pronti c’è il cambio a termine (o forward) che non è altro che un contratto in cui viene stabilito un cambio oggi per un’operazione futura. La prassi internazionale considera gli scambi spot di divisa contro divisa quelli liquidati il secondo giorno lavorativo Forex successivo a quello di contrattazione. Tutti gli scambi liquidati in data successiva a quella spot sono considerati contrattazioni outright, ossia “a termine” (Eales e Choudhry, 2003). Tecnicamente, quindi, un’operazione di compravendita a termine di divisa contro divisa è un’operazione con la quale le parti si accordano per scambiarsi, ad una certa data futura (posteriore alla normale valuta spot) una certa quantità di divisa contro una corrispondente quantità di un’altra divisa, calcolata applicando il tasso di cambio concordato tra le parti stesse. La negoziazione a termine è assimilabile ad un contratto future, in quanto le parti si impegnano ad effettuare lo scambio concordato per la data di 53 Le transazioni spot vanno normalmente in 2 giorni lavorativi successivi al giorno in cui la transazione è stata effettuata. La maggior parte degli speculatori per non aprire posizioni di lungo periodo operano sullo spot con il meccanismo del rollover, andando a chiudere le posizioni giorno dopo giorno. 48 liquidazione contrattata; a differenza dei future, però, tali negoziazioni sono “over the counter”, ossia, scambiate al di fuori dei mercati regolamentati. Con questo sistema, in sostanza, l’azienda fissa a priori il quantitativo di moneta nazionale da pagare o incassare in un certo futuro, eliminando di fatto il rischio di cambio. Il contratto a termine stabilisce per un determinato ammontare in valuta ad una data predeterminata futura, quale sarà il costo di acquisto (acquisto a termine) o quello di vendita (vendita a termine): il riscontro finale di tale operazione potrà essere positivo o negativo a seconda dell’evoluzione del mercato, ma sarà inverso all’esposizione aziendale rendendo neutra la posizione nei confronti del mercato. In definitiva, tale strumento permette di proteggersi da un andamento sfavorevole del mercato ma non di beneficiare di un’evoluzione positiva54. Matematicamente possiamo affermare che il cambio outright è calcolato partendo da quello spot ed applicando i c.d. “punti a termine” che derivano dal differenziale tra i tassi d’interesse delle due divise applicato per la durata della dilazione55. Esso è funzione di tre variabili: il cambio spot, i due tassi d’interesse applicati sulla valuta nazionale e il tempo. EUR/USD TERMINE = EUR/USD PRONTI * [1 + (i Usd – i Eur ) * GG ] / (36 * 100) A seconda del differenziale dei tassi i punti a termine possono essere sia positivi che negativi, e tanto maggiore sarà la loro differenza, tanto maggiori saranno i punti a termine. La stessa relazione vale in merito alla scadenza: tanto più lunga è l’operazione, tanto maggiore sarà l’effetto del differenziale dei tassi sul cambio a termine. Il cambio outright, come il domestic currency swap, è uno strumento molto usato dagli operatori, in quanto di facile comprensione e, soprattutto, privo di costo esplicito: la larga diffusione è dovuta anche alla considerazione che con la negoziazione a termine l’operatore copre con una certa facilità un’esposizione sottostante fissando immediatamente il cambio, ritenuto soddisfacente, ed eliminando i rischi ed il bisogno di seguire i mercati. Come si può vedere in tabella 11, si è in presenza di uno strumento molto utilizzato che copre una cospicua quota di mercato (il 12% nel 2010, contro l’1% dei currency swap, il 5% delle opzioni valutarie, il 37% della negoziazione spot ed il 44% relativo ai foreign exchange swap). Tuttavia il cambio outright ha nella sua rigidità il limite più importante. L’uso esteso del cambio a termine - con logica di matching rispetto alle posizioni sottostanti - consente la 54 Le scadenze del termine più usate sono generalmente da una settimana a 12 mesi, ma vi sono anche quelle di più lunga durata (5 anni), anche se non vengono quasi mai prese in considerazione, in quanto nel medio-lungo periodo tale strumento ha poco effetto pratico. 55 E’ tuttavia possibile che i tassi in base ai quali si calcola il cambio a termine si discostino dai tassi di mercato negoziabili al momento del calcolo, e ciò a causa delle aspettative sul futuro andamento dei diversi mercati monetari. 49 copertura dal rischio transattivo ma è assolutamente inefficiente dal punto di vista della copertura dal rischio economico56. Tab. 11 Outright Forward 1998-2010 (in billions of US dollars) Fonte: Triennal Central Bank, Survey 2010 Come detto in precedenza, questo strumento è privo di costi espliciti ma, nella pratica quotidiana, l’impresa che voglia negoziare a termine una divisa contro euro (o contro un’altra divisa) deve necessariamente rivolgersi ad una banca e, affinché l’operazione possa essere compiuta, l’azienda deve avere un’apposita linea di credito presso la banca stessa. Normalmente, come vedremo nel terzo capitolo, l’utilizzo del fido avviene come percentuale del valore dell’operazione, distinguendo tra operazioni a brevissimo (es. entro sei mesi) e operazioni a breve (oltre sei mesi, entro dodici mesi). In sintesi, il contratto a termine presenta sia svantaggi che vantaggi: tra i vantaggi riportiamo i minori costi rispetto ad opzioni e futures (sia per essere negoziati OTC che per la maggiore rigidità dello strumento), il fatto che non comporti uscite di cassa immediate per l’azienda (le commissioni vengono regolate alla scadenza del contratto) e che l’ammontare di valuta e la durata vengono liberamente decisi dal soggetto a seconda delle proprie esigenze. Tra gli svantaggi, in primis la sua rigidità57 (il tasso di cambio a termine non potrà più essere cambiato durante il periodo precedente la scadenza) e poi il fatto che sono negoziati su mercati OTC, ossia su mercati in cui non vi è la presenza di organi di garanzia nel rispetto del contratto. Riguardo il modo di contabilizzare le operazioni a termine, occorre preliminarmente fornire alcune informazioni valide anche per tutte le altre possibili operazioni di copertura che saranno presentate in seguito. Innanzi tutto, è opportuno distinguere le operazioni di copertura da quelle speculative;, distinzione rilevante anche dal punto di vista contabile e fiscale e che poggia sul Regolamento della Banca d’Italia del 16 gennaio 1993, non incompatibile con l’art. 103 bis del Tuir. 56 Con la conclusione di un’operazione a termine su un’esposizione prevista - ad esempio su un listino prezzi valido per un anno - l’impresa fissa a priori un cambio: tale scelta potrebbe creare un rischio competitivo nella misura in cui i clienti esteri, in seguito ad un’apprezzabile diminuzione del tasso di cambio, chiedano all’impresa di beneficiare di parte della discesa attraverso una riduzione del prezzo del prodotto. L’impresa che abbia coperto il listino con uno strumento rigido come il cambio a termine non potrà soddisfare tali richieste, a meno di non erodere il proprio margine di guadagno. 57 Vi sono clausole particolari che rendono tali strumenti più flessibili, come per esempio l’operazione denominata “Foreward with Optional exit” che è una combinazione di contratti a termine con opzioni con barriere (exit rate). 50 Sono considerate di copertura le operazioni per cui: 1. “esiste l’intento dell’impresa di ridurre o annullare un rischio di avverse variazioni dei tassi di cambio; 2. esiste un’elevata correlazione tra le caratteristiche tecnico-finanziarie (scadenze, ecc.) delle attività o passività coperte e quelle del contratto di copertura; 3. le condizioni di cui ai precedenti punti sono documentate da evidenze interne del soggetto che effettua l’operazione”. In generale, è possibile effettuare operazioni di copertura sia di specifici crediti o debiti in valuta, sia di posizioni nette in valuta, ossia di una pluralità di operazioni - anche di segno opposto - congiuntamente considerate. Gli eventuali costi derivanti dalle operazioni di copertura sono assimilabili a costi finanziari sostenuti per tutelarsi da un rischio e pertanto devono trovare accoglimento in conto economico secondo il principio della competenza, e quindi , per le operazioni in essere alla fine dell’esercizio, pro quota. Gli anticipi all’Export (Finanziamenti in valuta) Generalmente viene utilizzato da imprese export che hanno ricavi in valuta continuativi e con una certa stabilità temporale58: la prassi è quella di minimizzare i rischi richiedendo un finanziamento in valuta pari ad una percentuale dei ricavi possibili in un determinato periodo di riferimento (in genere dodici mesi). Tali finanziamenti rappresentano una forma di raccolta di disponibilità a breve termine, alternativa all’anticipo fatture su Italia, alle aperture di credito in conto corrente o allo sconto cambiario: la forma tecnica migliore è quella di un conto corrente valutario. Ciò che in genere fa gradire le operazioni di anticipo su operazioni commerciali è la considerazione che la banca entra nel vivo della vita dell’impresa, aumentando l’operatività nella gestione caratteristica, potendo proporre servizi aggiuntivi (cross selling) e acquisendo informazioni preziose sul reale giro d’affari dell’impresa stessa59. Gli anticipi su fatture all’export sono forme di finanziamento poco onerose e rappresentano uno strumento di copertura dal rischio di cambio quando vengano accesi nella stessa divisa del credito ed il loro controvalore a pronti sia immediatamente negoziato contro euro. In questo modo l’impresa avrà raggiunto un duplice obiettivo: disponibilità immediata 58 Tali forme di finanziamento all’esportazione sono definite anche credito fornitore o Supplier’s credit. 59 Un indicatore importante, rispetto alla correttezza commerciale ed allo stato di salute dell’impresa, la Banca lo ha dalla puntualità dei pagamenti dei clienti; infatti, se i crediti commerciali hanno una durata ragionevole e vengono pagati con regolarità, non solo la Banca lavora con maggiore tranquillità, ma assume implicitamente informazioni molto importanti sull’impresa cliente. Viceversa, ritardi cronici nelle riscossioni o la canalizzazione delle somme presso Banche diverse da quella creditrice, con necessità di giroconti per l’estinzione degli anticipi, sono segnali non confortanti quantomeno sulla correttezza dell’impresa, se non addirittura sullo stato di salute della stessa: ciò si tradurrà nella revoca del fido o in peggiori condizioni economiche sulle operazioni. 51 di liquidità e copertura dal rischio di cambio. Questi strumenti rappresentano forme di finanziamento autoliquidanti, nel senso che tendenzialmente si chiudono con l’incasso del credito e quindi nel momento in cui il debitore pagherà la fornitura (e lo farà nella stessa divisa in cui è stato emesso il documento di vendita) (CEDEC, 2007). Un aspetto di cui tener conto nell’analisi è la percentuale di anticipo accettata dalla banca, che normalmente varia in relazione al tipo di documento di cui l’impresa chiede l’anticipo. Infatti, possiamo tendenzialmente distinguere tre tipi di anticipo: l’anticipo su fatture, l’anticipo su ordini e l’anticipo su flussi (o ordini futuri). In generale, le banche erogano anticipi su fatture, a valere su affidamenti appositamente concessi alle imprese proprie clienti, per una quota delle fatture stesse (es. l’80%): le banche, dunque, anticipano le fatture solo per una quota (seppure ampiamente maggioritaria). Gli effetti sulla gestione del rischio di cambio della prassi di concessione di anticipi pro-quota sono evidenti: se l’impresa ottiene un anticipo per l’80% della fattura, per il 20% residuo continuerà ad avere un rischio di cambio. Il responsabile finanziario dell’impresa dovrà perciò valutare l’esposizione e decidere se mantenere scoperta la parte residua (attuando di conseguenza una copertura maggioritaria, ma parziale), coprire il residuo con strumenti diversi (matching con operazioni di segno opposto, cambi a termine, ecc.) oppure chiedere alla banca di ottenere un anticipo per il 100% della fattura, in deroga al principio generale comune a tutti gli istituti di credito. Gli anticipi su ordini sono operazioni concettualmente molto simili agli anticipi su fatture: la principale differenza è che alla base dell’anticipo non c’è una fattura già emessa verso un cliente, ma un ordine già concluso e non ancora fatturato. Usualmente, la percentuale di anticipazione che le banche consentono per operazioni di questo tipo è minore rispetto a quella dell’anticipo su fatture ed tale percentuale oscilla tra il 40% ed il 60%. L’anticipo su ordini può essere estinto al momento della fatturazione, e trasformarsi in anticipo su fatture. L’anticipo su flussi, infine, è una operazione con la quale l’impresa chiede alla banca di ottenere l’anticipazione su vendite previste60. Dal punto di vista della gestione del rischio di cambio con l’anticipo su flussi l’impresa si copre fin dal momento della redazione del budget (e del listino): pur essendo una possibilità interessante, la copertura offerta dagli anticipi è rigida e pertanto può non configurarsi come soluzione ottimale. Tuttavia, anche in considerazione del fatto che le banche che accettano l’anticipo su flussi normalmente concedono una parte minoritaria di anticipazione (30-50% dei flussi previsti, al massimo) tale prassi di fatto consente all’impresa di seguire l’andamento dell’operazione da coprire dalla sua previsione al suo incasso, come possiamo facilmente verificare con la tabella 12. 60 Alla base dell’operazione c’è pertanto un budget di vendita, normalmente suffragato da un tabulato con le vendite effettive dello stesso periodo dell’anno precedente 52 Tab. 12 Anticipi all’Export: fasi Fonte: elaborazione propria Il tipo di copertura offerto da strumenti quali gli anticipi su export - come già accennato in precedenza - non è dinamico, ma rigido, come nelle negoziazioni a termine. Infatti, nel momento in cui l’impresa ottiene l’erogazione del finanziamento e lo converte in euro al cambio spot del momento, cessa non solo il rischio di cambio, ma anche la possibilità di guadagnare da futuri andamenti favorevoli del mercato valutario. Tutte le considerazioni fatte, in proposito, in sede di analisi delle operazioni a termine, sono perfettamente applicabili anche per questo tipo di operazioni. Nelle operazioni di anticipo all’export non si ha cessione del credito e la banca anticipatrice non acquisisce il mandato ad incassare il credito (servizio che è invece comune negli anticipi domestici). Il fatto che non vi sia cessione del credito comporta, da un punto di vista contabile, che con l’anticipo non si ha l’azzeramento contabile del credito commerciale, quanto invece l’accensione di un debito verso la banca. Currency Swap Il Currency Swap (CS) è un contratto in base al quale le parti si impegnano a scambiarsi periodicamente, e fino ad una scadenza prefissata, i flussi di pagamenti in valuta e gli interessi maturati sui capitali iniziali. Come nel caso del cambio a termine, permette di fissare un cambio di acquisto o di vendita futura61. Andando ad analizzare le principali caratteristiche, esso è costituito da uno scambio iniziale di capitale nelle due valute diverse, da successivi scambi di flussi di pagamenti periodici (con relativi tassi di interesse) e, alla scadenza, dalla restituzione del capitale iniziale. Il cambio prefissato viene calcolato come nel caso del cambio a termine e la differenza tra le due parti sarà così determinata: (cambio prefissato – cambio spot del giorno della scadenza) * capitale nozionale La finalità che si persegue attraverso un Currency Swap è simile a quella di un contratto a termine, ovvero, lannullamento del rischio di cambio per le aziende che hanno un’esposizione in valuta. E’ importante sottolineare il fatto che in molti casi il capitale non viene scambiato, ma ha una funzione esclusivamente nozionale come nel caso dell’ Interest Rate Swap.62 61 In Italia è parzialmente diverso ed è noto come Domestic Currency Swap (DCS): tale strumento, sebbene presenti modalità di copertura del rischio di cambio equivalenti alla CS, è quotato con modalità diverse. 62 E’ un contratto che prevede lo scambio periodico, tra due operatori, di flussi di cassa aventi la natura di “interesse” calcolati sulla base dei tassi di interesse predefiniti e differenti e di un capitale teorico di riferimento. 53 Come precedentemente indicato, in Italia si è sviluppata soprattutto la tecnica del Domestic Currency Swap (DCS, letteralmente “scambio di divisa tra residenti”): si tratta di un contratto con cui due controparti, titolari l’una di una posizione debitoria, l’altra di una posizione creditoria, nella stessa valuta e sulle stesse scadenze: si annulla così il rischio di cambio derivante da tali posizioni senza modificare i rapporti con l’estero che ciascuna controparte esegue autonomamente sul mercato63. I meccanismi dei DCS prevedono la presenza di banche o intermediari finanziari che permettono di completare l’operazione, ovvero, il contratto non viene stipulato direttamente tra esportatore ed importatore ma tra l’esportatore, la banca e l’importatore 64. Altre forme di swap sono il callable swap (una combinazione tra un currency swap e un’opzione), il partecipating swap (attraverso l’integrazione di un costo predeterminato, si ottiene un piccolo guadagno in caso di andamento favorevole del cambio), lo swax (swap with anticipated exit, che non è altro che uno swap reso più flessibile dalla clausola di uscita anticipata di una delle due parti, in misura parziale o totale) (Kolb e Overdahl, 2009). Dopo questa panoramica, vediamo nel dettaglio il DCS, la cui definizione “ufficiale” è fornita dalla Banca d’Italia nel Regolamento del 16 gennaio 1995, punto 5.10, dedicato alle “operazioni fuori bilancio”. Secondo tale Regolamento il DCS è definibile come “… il contratto derivato con il quale le parti si impegnano a versare o a riscuotere ad una data prestabilita un importo determinato in base al differenziale del tasso di cambio contrattuale e di quello corrente alla data di scadenza dell’operazione …”. In pratica, il DCS è un contratto mediante il quale le parti si impegnano a regolare tra loro l’eventuale differenza tra il cambio del giorno di scadenza e il cambio c.d. contrattuale, su un capitale di riferimento, detto perciò capitale nozionale. L’operazione in esame fu ideata quando il mercato valutario era sottoposto a vincoli e restrizioni65, per cui lo scambio della divisa non era libero come invece è adesso; con il DCS era perciò possibile coprirsi dal rischio di cambio (o speculare sui cambi) senza essere costretti a movimentare la divisa: il movimento finanziario è infatti limitato al solo differenziale, ed avviene nella moneta di conto degli operatori. Al momento della stipula del contratto, in contabilità generale non si rileva alcuna scrittura: nel sistema dei conti d’ordine si rileverà l’impegno al cambio spot del giorno di stipula (ossia per un controvalore pari al 63 Dunque, vi è una compensazione economica delle posizioni debitorie e creditizie in valuta senza trasferimento dell’importo nominale iniziale (capitale nozionale), che costituisce esclusivamente il parametro su cui calcolare il differenziale tra il cambio del giorno di scadenza e il cambio contrattuale. La data di scadenza del contratto coincide in genere con la data in cui le parti confrontano il cambio stabilito con quello di mercato; normalmente si guarda al cambio di riferimento della BCE del giorno. 64 Tratto e rielaborato da www.forexmercatovalute.org È evidente che, cadute le barriere sull’operatività valutaria, la principale ragion d’essere del d.c.s. è venuta meno, ed oggi esso è una semplice alternativa alle negoziazioni a termine. 65 54 rapporto tra capitale nozionale e cambio spot) e il premio, ossia il differenziale tra il cambio contrattuale ed il cambio spot del giorno di stipula66. Le Currency Option Le currency option sono strumenti appartenenti alla grande famiglia delle opzioni finanziarie. La particolarità del sottostante fa però differire leggermente le opzioni su cambi dalle altre opzioni finanziarie rispetto al modello matematico di valutazione, che poi si andrà rapidamente ad analizzare. Innanzitutto, un’opzione è un contratto mediante il quale l’acquirente (holder), dietro pagamento di un prezzo, detto premio, acquista dal venditore (writer) il diritto di comprare (opzione call) o di vendere (opzione put) una certa attività sottostante (underlying), ad un certo prezzo (strike price) e ad una certa scadenza, o entro una certa scadenza (expiration date). In base al tipo di operazione, distinguiamo opzioni call (che danno il diritto di comprare il sottostante allo strike price) da opzioni put (che danno il diritto di vendere il sottostante allo strike price); riguardo il momento di esercizio, distinguiamo opzioni di tipo americano che danno la facoltà di esercitare il diritto in un qualsiasi momento tra la data di stipula (trade date) e quella di scadenza (expiration date) e opzioni di tipo europeo, esercitabili solo nel giorno dell’expiration date. Il valore di un’opzione è, di fatto, dato da due componenti, ossia il valore intrinseco (o d’esercizio) ed il valore del tempo; di conseguenza, a parità di valore intrinseco, tanto più un’opzione è lontana dalla scadenza, tanto maggiore sarà il suo valore complessivo. Un’altra considerazione importante risulta dal concetto di asimmetria delle opzioni, che distingue lo strumento in esame da tutti gli altri: con le opzioni, il compratore paga subito un prezzo, il premio, che sarà incassato dal venditore (o writer); il compratore acquisisce perciò il diritto di concludere una certa operazione ad una data futura, mentre il venditore si obbliga ad assoggettarsi alla volontà della controparte. Ovviamente, l’acquirente eserciterà tale diritto solo se ne avrà convenienza, mentre abbandonerà il diritto se non gli converrà esercitarlo. Si parla perciò di: - opzioni “in the money” (ITM), quando il compratore ha interesse ad esercitare il diritto (ad esempio se, in una opzione EurCall/UsdPut lo strike price - prezzo d’esercizio - è inferiore al cambio spot del giorno di scadenza); - opzioni “at the money” (ATM), quando l’esercizio del diritto è indifferente, essendo lo strike price allineato perfettamente al cambio di mercato; 66 Il tipo di copertura offerto dallo swap è rigido, esattamente come con le operazioni a termine con le quali il DCS – esclusa la scrittura contabile al momento della liquidazione - ha molti punti in comune. I principi contabili che sottendono la registrazione dello strumento in esame e quella dell’operazione commerciale sottostante sono perciò gli stessi, anche se le scritture differiscono nella fase dell’esecuzione dell’impegno. 55 - opzioni “out of the money” (OTM), quando il compratore non ha interesse ad esercitare l’opzione, essendo lo strike price peggiore rispetto al dato del mercato (nell’esempio di prima, se il cambio spot del mercato è inferiore allo strike dell’opzione). Le variabili da cui il valore dell’opzione dipende sono: • L’attività sottostante (underlying): nel caso delle opzioni su cambi l’attività sottostante è il tasso di cambio (es. Eur/Usd), e la contrattazione avviene per un certo importo, denominato in Eur ovvero nella divisa di contropartita67. Il cambio di mercato utilizzato per definire il pay-out di un’opzione è il cambio spot del giorno di scadenza tuttavia la contrattazione deve tenere conto del cambio outright per pari scadenza a quella dell’opzione, poiché l’equivalenza finanziaria non può prescindere dal fattore tempo68 (Bellanti, 1994). • Il prezzo d’esercizio (strike price): è ovviamente un tasso di cambio. La scelta dello strike price risulta fondamentale in quanto se si individua un valore molto lontano dal livello dell’outright (che è il parametro di riferimento che definisce l’opzione ATM al momento dell’acquisto) si negozierà o un’opzione ITM, in caso contrario si negozierà un’opzione OTM: tendenzialmente, converrà scegliere un prezzo d’esercizio non molto distante dal livello dell’outright69. • La data di scadenza (expiration date, o maturity date): corrisponde alla data in cui il compratore dovrà decidere se esercitare o meno l’opzione, che sarà regolata, in caso di esercizio, due giorni lavorativi forex dopo la data stessa. Gli operatori commerciali sono naturalmente portati a contrattare opzioni con una expiration date coincidente con la data del presunto incasso (o pagamento). • La volatilità del sottostante: con il termine volatilità si intende, con riferimento al pricing delle opzioni, lo scarto quadratico medio70: in realtà la volatilità è usualmente espressa in percentuale, per cui è più corretto parlare di coefficiente di variazione, 67 L’utilizzo dell’Eur come divisa di denominazione consente di ragionare “naturalmente”, ossia di fatto equipara le currency option a tutte le altre opzioni finanziarie, senza bisogno di “ribaltare” le considerazioni in ossequio alla particolarità del cambio certo per incerto 68 In altri termini, per verificare se, al momento della contrattazione, l’opzione è ITM, ATM o OTM occorre confrontare lo strike price con il cambio forward. Molti sistemi informativi calcolano automaticamente il cambio a termine, avendo come dati di input il cambio spot ed i tassi delle due divise. 69 L’opzione ITM è ottima dal punto di vista della copertura dal rischio, ma estremamente costosa, al contrario di quella OTM che pur avendo un costo basso, farà registrare un cambio di copertura (= cambio d’esercizio) peggiore rispetto a quello di un normale outright. 70 La radice quadrata della varianza, che è la media aritmetica dei quadrati degli scarti dei valori osservati dalla loro media. 56 ossia del rapporto tra scarto quadratico medio e media dei valori osservati.71 Aggiungiamo, per completezza, che la volatilità fornita dalle varie fonti di informazione (Reuters, Bloomberg, ecc.) è su base annua, viene definita volatilità storica e deve essere tradotta nell’intervallo temporale voluto. Tuttavia, nei prezzi delle opzioni, è importante non tanto la volatilità storica quanto quella implicita, ovvvero quella incorporata nel prezzo di un’opzione. Il valore di quest’ultima può discostarsi da quello storico perché chi fa il prezzo di un’opzione, cercando di agganciarsi ad una misura di volatilità coerente con l’attuale andamento del mercato valutario - e soprattutto con quello presumibile per il futuro - può avere un’aspettativa che si discosta dal passato e pertanto applica una misura di volatilità in accordo con tale aspettativa. • I tassi d’interesse “risk free”: i tassi d’interesse considerati sono quelli relativi ad operazioni di pari durata e prive di rischio. Per le opzioni su cambi, esistono due tassi d’interesse che impattano sul valore dell’opzione, uno per ciascuna delle due divise di contropartita. I tassi d’interesse, infatti, hanno due funzioni: servono sia per calcolare il cambio outright che per attualizzare il premio (il quale, essendo calcolato con riferimento alla data della scadenza, deve essere attualizzato perché è pagato subito). Nello schema di seguito riportato è possibile osservare l’influenza che i movimenti di valore delle diverse variabili hanno sul valore rispettivamente delle Eurcall e delle Eurput (Tab. 13). Tab. 13 Influenza dei movimenti delle variabili sul valore delle opzioni Fonte: elaborazione propria 71 Affermare che la volatilità trimestrale del cambio Eur/Usd è del 5% significa di fatto affermare che (assumendo come distribuzione di probabilità quella normale), con una probabilità del 68%, il cambio Eur/Usd nell’arco di tre mesi non si discosterà dal valore medio per più del 5% del suo valore. 57 La valutazione delle opzioni su cambi di tipo europeo è comunemente fatta secondo la formula di Garman-Kohlagen, una variante della più famosa formula di Black- Scholes. Al di là della complessità delle formule, la logica sottostante è tutto sommato semplice: il valore dell’opzione è dato dal probabile guadagno d’esercizio (pari, per le call, alla differenza tra cambio spot e strike price, e per le put alla differenza tra strike price e cambio spot); considerate la volatilità del sottostante e la vita residua (elementi che fanno incrementare le possibilità di guadagno), scontando il guadagno presunto fino al momento iniziale72 (quello della contrattazione). La scelta dell’opzione dipende, oltre che dalle necessità dell’impresa, anche dalle caratteristiche dell’opzione stessa: per questo ha senso introdurre l’analisi delle c.d. “greche”, parametri che descrivono il comportamento del valore dell’opzione rispetto ai mutamenti di valore delle variabili indipendenti. Vediamole in estrema sintesi: Il delta: è rappresentato dalla derivata prima del valore teorico dell’opzione rispetto al prezzo (cambio) del sottostante. In pratica, il delta identifica di quanto varia il valore dell’opzione al variare del cambio spot, ed è un parametro importantissimo in quanto definisce il c.d. “rapporto di copertura”, ossia la misura di quanto l’opzione copra l’esposizione sottostante. Il theta: è definibile come la derivata prima del valore dell’opzione rispetto al tempo, e definisce, in pratica, la misura in cui il valore dell’opzione si riduce man mano che si avvicina alla scadenza. Il vega: è la derivata prima del valore dell’opzione rispetto alla volatilità del sottostante, ed esprime la sensibilità dello strumento al cambiamento di tale parametro. Esistono altri indicatori relativi al pricing delle opzioni (come il gamma, derivata del delta rispetto al valore del cambio, ed il rho, derivata del valore rispetto ai tassi d’interesse), ma i più interessanti per la trattazione in esame rimangono il delta, il theta ed il vega (Hull, 2006). Come possiamo vedere nella tabella 14, siamo in presenza di uno strumento discretamente utilizzato che, nel 2010, ha coperto una quota di mercato pari al 5% del totale (rappresentato dal complesso degli strumenti in esame, quali currency swap, opzioni valutarie, foreign exchange swap e negoziazione spot). 72 In altre parole, è come se volessimo calcolare il guadagno atteso considerando la volatilità, la distribuzione di probabilità normale e la vita residua, e poi scontassimo tale guadagno atteso fino al momento della contrattazione, dato che il premio è pagato subito, mentre il guadagno atteso si otterrà solo alla scadenza. 58 Tab.14 Currency Options 1998-2010 (in billions of US dollars) Fonte: Triennal Central Bank, Survey 2010 Analizzate le caratteristiche, si può facilmente intuire perchè, per una strategie di copertura ottimale, l’azienda prediliga l’acquisto di opzioni (costo certo, eventuale perdita limitata ma eventuale guadagno illimitato) piuttosto che la vendita (incasso certo, guadagno limitato ma perdita potenzialmente illimitata). La particolarità delle opzioni fa sì che l’impresa non abbia bisogno di alcun fido per l’acquisto dello strumento - al contrario di quanto accade per le negoziazioni a termine – e quindi imprese in crisi, o in espansione, o per qualche motivo prive di fido bancario hanno nello strumento in esame una valida strategia alternativa. Con riferimento alla contabilizzazione delle opzioni, come nel caso delle compravendite a termine, dobbiamo distinguere tre momenti: - l’acquisto dell’opzione, - l’eventuale valutazione a fine anno - l’esercizio o l’abbandono dell’operazione. Al momento dell’acquisto, l’impresa registra il premio pagato. Tale premio non è rilevato come costo, ma come credito diverso: sarà in sede di valutazione di fine anno ed in sede di liquidazione che tale credito si tradurrà in un elemento reddituale negativo. A fine esercizio, in sede di redazione del bilancio, l’impresa dovrà valutare il premio pagato per l’acquisto dell’opzione e tale valutazione sarà fatta al minor valore tra il valore storico del premio (quello per cui è stato iscritto in contabilità) e il valore di mercato di un’opzione con pari caratteristiche. Dovrà inoltre valutare l’operazione coperta (o il gruppo di operazioni), ossia quella sottostante l’operazione di copertura (es. il credito commerciale in divisa). La valutazione dovrà essere fatta al più favorevole tra il cambio di fine anno e lo strike price. Al momento della scadenza dell’opzione, e dell’incasso del credito, l’esercizio o l’abbandono dipenderanno dall’andamento del mercato valutario. Si possono quindi verificare due scenari: nel primo impresa abbandona l’opzione, in quanto essa risulta OTM. È evidente che, in questo caso si realizza l’ipotesi migliore poiché significherebbe che il mercato valutario si è mosso favorevolmente all’azienda (rispetto alla posizione sottostante). L’impresa concluderà quindi la compravendita della divisa sul mercato valutario, al cambio del momento, e rileverà un utile per la differenza tra cambio di effettiva compravendita e cambio di iscrizione del 59 credito/debito in contabilità. Il secondo scenario vede invece l’impresa esercitare l’opzione, che scade ITM. La compravendita della divisa avverrà allo strike price. Il premio può essere o imputato a conto economico con scrittura separata, ovvero può essere portato in aumento del valore di carico dell’incasso/pagamento. Le opzioni esotiche: cenni Le opzioni possono essere divise in plain vanilla ed esotiche: la distinzione riguarda l’inserimento, nello strumento, di condizioni o clausole particolari. Le opzioni plain vanilla sono quelle “standard”, ossia senza alcuna condizione particolare o clausola aggiuntiva, mentre le opzioni esotiche sono quelle che prevedono condizioni addizionali che permettono di modificare il profilo di rischio/rendimento, e quindi il relativo valore. Le opzioni esotiche possono essere usate principalmente per due motivi: ridurre il premio, attraverso un peggioramento del profilo di rischio/rendimento oppure per realizzare un profilo di rischio/rendimento giudicato preferibile rispetto alle necessità dell’acquirente. Esponiamo ora brevemente le condizioni di esoticità più usate dagli operatori (Hull, 2006). Le famiglie di opzioni esotiche più comuni sono: - barrier option; - average option; - compound (e instaltment) option. Le barrier option sono opzioni che incorporano o una condizione sospensiva o una condizione risolutiva, ossia che fanno dipendere l’esistenza dell’opzione dal fatto che il tasso di cambio raggiunga o meno un certo livello predeterminato. Esistono due tipi di barriere: la knock-in è una clausola giuridicamente assimilabile ad una condizione sospensiva, con essa l’opzione diventa esercitabile solo se il tasso di cambio di mercato (cambio spot) raggiunge, in un qualsiasi momento durante la vita dello strumento, il livello di barriera. Nella clausola di knock-out invece, se il cambio in un qualsiasi momento della vita dell’opzione tocca il livello predefinito, la stessa cessa di esistere. Le barriere sono usate soprattutto per abbattere il costo delle opzioni: in quest’ottica il loro utilizzo è un mezzo semplice ed efficace; tuttavia, il loro uso deve essere ragionato, e non solo per il differente grado di rischiosità, ma anche per il fatto che tanto più la barriera è sfavorevole all’holder dell’opzione, tanto maggiore sarà l’effetto di diminuzione del premio da pagare. Le average option sono opzioni il cui sottostante non è il tasso di cambio puntuale del giorno di scadenza, ma una media dei tassi di cambio rilevati durante la vita dell’opzione stessa. In pratica il confronto non avviene tra il tasso di cambio del giorno di scadenza e lo 60 strike price, ma tra la media dei tassi di cambio rilevati sul mercato valutario (per esempio ad intervalli regolari pattuiti tra writer e holder) e lo strike price. Poiché la volatilità di una media è minore della volatilità di un dato puntuale, il costo di questo tipo di opzione è minore del costo delle classiche plain vanilla; tale caratteristica si adatta molto bene al caso in cui l’operatore (l’impresa) preveda una serie di incassi, o di pagamenti, a date diverse, magari non perfettamente conosciute (per esempio, per a copertura delle vendite previste in fase di budget). Le compound option, così come le instaltment option, sono opzioni su opzioni: il sottostante di questo strumento non è il tasso di cambio (puntuale o medio), ma un’opzione sul tasso di cambio. Il premio pagato rappresenta quindi il diritto di comprare, o vendere, una certa opzione call o put ad un certo prezzo. E’ bene chiarire un concetto: quanto più le opzioni sono distanti dal modello “standard”, tanto più opaco risulterà il premio, in quanto diversi potranno essere i criteri di valutazione adottati dagli intermediari73. Questo comporta, per gli operatori finali, una maggiore difficoltà nel tenere sotto controllo l’andamento del proprio profilo di rischio complessivo, ossia quello dato dalla somma del rischio originario e di quello derivante dall’opzione: tutte queste ragioni suggeriscono di limitare al massimo l’esoticità delle opzioni acquistate/vendute. Un’altra considerazione appare fondamentale: quanto più un’opzione è standard (protezione dal rischio senza vincoli a fronte di un guadagno potenzialmente illimitato), tanto più l’opzione sarà costosa. Di conseguenza, tutte le strategie che abbiamo visto potranno avere un costo generalmente compreso tra zero ed il costo delle opzioni plain vanilla, ma la regola che emerge chiaramente è che ad un basso costo corrisponde o una bassa protezione dal rischio o una partecipazione limitata ai potenziali guadagni74, mentre tanto maggiore sarà il costo quanto migliore il profilo rischio/rendimento. 73 Infatti, la valutazione delle opzioni esotiche è quasi sempre basata o sulla costruzione di un portafoglio equivalente, ovvero sul c.d. metodo Monte Carlo: ad ogni modo le variabili di cui tener conto crescono con la complessità dell’esoticità desiderata. 74 Nel caso delle compravendite a termine, a fronte di un costo nullo si hanno rischi nulli e guadagni potenziali nulli. 61 2.4.2 Strumenti finanziari: strategie e gestione dinamica L’impresa che intenda gestire in modo efficiente l’esposizione valutaria ha di fronte a sé principalmente due strade, peraltro percorribili anche in modo parallelo: utilizzare le leve operative ovvero quelle finanziarie. La distinzione tra leve operative e leve finanziarie è, concettualmente, semplice: sono operative tutte quelle misure gestionali che, prese per varie ragioni - tra cui magari anche a scopo di copertura - generano una modifica del profilo di esposizione dell’azienda verso il mercato valutario. Sono finanziarie le leve basate su strumenti finanziari, quali cambi a termine, swap, opzioni, finanziamenti in divisa, o altro (Romano, 2003). In generale, le leve operative sono scelte strategiche (e come tali difficilmente vengono attivate al solo scopo di gestione del rischio di cambio), hanno un orizzonte temporale lungo, modificano l’organizzazione stessa dell’impresa, hanno un effetto profondo sull’esposizione valutaria (ma spesso non perfettamente calcolabile) e hanno dei costi, diretti ed indiretti, ingenti e difficilmente stimabili. Viceversa, le leve finanziarie sono impostazioni specificamente adottate per la gestione del rischio di cambio, la loro durata è perfettamente adattabile alle necessità, non richiedono grossi sforzi organizzativi né l’adattamento della stessa struttura aziendale. Vanno a modificare, in modo calcolabile, il profilo aziendale, hanno un’efficacia ottima nel breve-medio termine (ma non nel lungo) e il loro costo è, proporzionalmente, minore e perfettamente quantificabile rispetto agli strumenti operativi. Probabilmente, se il management dell’impresa decide di internazionalizzare la propria attività, sarà possibile osservare l’adozione di un mix dei due tipi di gestione. Ciò che in questa sede interessa è la considerazione che mentre le leve operative sono leve strategiche e normalmente sono decise in sede di politica generale di gestione dell’impresa, le leve finanziarie sono, seppur decise anche esse come scelta strategica, lasciate alla concreta attivazione del direttore finanziario, ovvero al risk manager. La figura concretamente preposta alla gestione finanziaria del rischio deve operare sulla scorta dei vincoli posti dalla Direzione Aziendale, vincoli chiaramente definiti in accordo con i principi dell’unitaria gestione dell’impresa. Lo strumento che si utilizza per manifestare compiutamente tutti questi aspetti è un “mandato”, la cui formulazione può essere varia, ma che deve comunque contenere elementi quali l’approccio della Direzione verso il rischio di cambio (coprire sempre, tendenzialmente coprire, tendenzialmente non coprire, non coprire mai), il grado di dinamicità della gestione, ossia se la gestione deve essere passiva (cioè immutabile) ovvero adattiva alle condizioni tempo per tempo osservabili nel mercato, il limite quantitativo delle operazioni di copertura, l’autonomia di spesa per le strategie di copertura, l’elenco degli strumenti che il gestore può utilizzare, nella consapevolezza che ogni strumento 62 ha dei livelli di rischio (pensiamo alla vendita delle opzioni) e il sistema di misurazione, a consuntivo, delle performance (Lanzavecchia e Tagliavini, 2008). In generale, le misure gestionali che limitano il rischio di cambio sono tutte quelle che affiancano a vendite in divisa degli acquisti in divisa, e viceversa: è il matching valutario la via maestra per la copertura gestionale dal rischio (Favaro, 2007). Tale matching può anche essere “triangolare”, ossia riguardare acquisti fatti in una certa divisa e vendite concluse in una divisa diversa, ma il cui andamento sia fortemente correlato alla prima. Tutte le forme di matching triangolare sono però imperfette, in quanto il grado di correlazione non è mai assoluto75. Numerose sono le strategie che le imprese possono adottare per coprirsi dal rischio di cambio utilizzando strumenti finanziari: alcune di esse hanno un costo variabile, altre sono prive di costi vivi, ma nel contempo o sono prive di dinamicità oppure sono elastiche in misura limitata. Nella tabella 15 quantifichiamo – in miliardi di dollari - quali strumenti siano più utilizzati nel fronteggiare il rischio valutario. Tab.15 Global foreign Exchange market turnover by instrument (1) (Average daily turnover in April, in billions of US dollars) Fonte: Bank for International Settlements, Survey 2010. Il volume delle transazioni spot è in deciso aumento (quasi quattromila miliardi di dollari) mentre quello delle opzioni ha fatto registrare un leggero decremento rispetto al triennio precedente. Dai dati contenuti nella Triennial Central Bank Survey of Foreign Exchange and Derivatives Market Activity del 2010, una tipologia di strumenti molto diffusa rimane quella dei forwards con un volume più che raddoppiato rispetto al 2004. 75 Tuttavia, ogni impresa, per avere un matching valutario quasi completo, dovrebbe di fatto delocalizzare l’attività, ossia arrivare a sostenere la maggior parte dei costi nella stessa divisa in cui sono espresse le vendite, o comunque nella stessa divisa dell’area valutaria in cui sono indirizzate le vendite. 63 In generale, possiamo dare una regola molto semplice: tanto più una strategia è sia dinamica che difensiva, ossia consente protezione in caso di andamenti sfavorevoli del mercato valutario e contemporaneamente di partecipare ai guadagni in caso di andamento favorevole, tanto più tale strategia sarà costosa. Viceversa, tanto meno la strategia sarà dinamica e/o difensiva, tanto meno sarà onerosa per l’impresa. Strategie che non assicurino totalmente dal rischio, o che assicurino la protezione entro certi limiti, o strategie che permettano di beneficiare di andamenti favorevoli solo in misura ridotta, o addirittura nulla, sono strategie sicuramente più a buon mercato, ma sono anche tecniche pericolose oppure di respiro limitato. Ogni impresa deve pertanto fare un’attenta riflessione sulla natura e sull’entità dei rischi che corre, e scegliere una strategia che sia la migliore per le caratteristiche della propria gestione. Il Mercato dei derivati si presenta come poco trasparente e difficilmente gestibile: la copertura sui tassi o sulle valute con Swap strutturati di cui è difficile comprendere il funzionamento e tantomeno il costo sono altamente rischiosi, i contratti risultano onerosi e poco comprensibili soprattutto se si è una piccola realtà imprenditoriale che deve già fronteggiare gli interessi di un finanziamento. I derivati, se se utilizzati in modo opportuno servono a salvaguardare l’azienda dalle perdite perdite, non a causarle: secondo le stime della Banca d’Italia, un “esercito” di quasi 40 mila piccole e medie imprese ha stipulato contratti derivati per il semplice motivo di aver «frainteso» ciò che la propria banca gli ha proposto e venduto oltre il fido76. La gestione dinamica della copertura del rischio di cambio con negoziazione di valuta spot rappresenta la forma più moderna e trasparente di copertura di tale tipologia di rischio. Il cambio spot, prolungato fino a scadenza, ha prezzi evidenziati dal mercato Forex, costi bassi e durata decisa dalle esigenze delle aziende e delle imprese; dunque, uno strumento estremamente flessibile. Il rischio di cambio gestito rigidamente con opzioni, a termine o con strumenti complicati rappresenta invece un costo piuttosto elevato ed inoltre, per valutarlo con esattezza, serve un software che calcoli tutti i parametri. Operando sui mercati internazionali si generano dei flussi di valuta che vanno ad influire su variabili fondamentali quali fatturato e margine di profitto: la copertura del rischio di cambio diventa quindi un’attività estremamente importante che deve essere gestita in maniera estremamente professionale e dinamica. Un’attività che le tradizionali filiali bancarie difficilmente riescono a svolgere in modo rapido, economico ed efficace considerando che si tratta di un mercato over the counter (OTC), ovvero un mercato dove i prezzi del sono determinati dall’incrocio 76 L'Ufficio italiano cambi, su commissione della Banca dei regolamenti internazionali, ha condotto nel 2007 l'indagine triennale sul volume delle transazioni effettuate sui mercati dei cambi e derivati da 26 aziende di credito italiane e una filiale di banca estera. Le stime ottenute indicano che l'attività di queste istituzioni finanziarie nel settore dei cambi e dei prodotti derivati rappresenti rispettivamente ben l'82 e il 92% del totale. 64 tra domanda e offerta. Essendo Il forex un mercato non regolamentato (se non dagli accordi tra le parti), può quindi accadere che in uno stesso momento due controparti scambino un cross ad un prezzo diverso da altre due controparti; siamo quindi i presenza di un mercato dove gli spreads possono essere molto variabili ed appare “scontato” che il loro peso ricada sul cliente: è quindi fondamentale la ricerca di un operatore che sia “sul mercato” in modo professionale. Trovare l’intermediario giusto non è facile: secondo la Bank for International Settlements, il 32% del mercato forex è inglese, il 18% è americano e il restante 50% è frammentato77. Nella figura 7 vengono spiegati i flussi tra gli operatori del mercati dei cambi. Fig.7 Gli operatori nel mercato dei cambi Fonte: Salex L’azienda che voglia coprire l’esposizione in valuta relativa alla propria attività export si trova di fronte a due possibilità: rivolgersi alla piccola banca locale che a sua volta si rivolgerà alla grande banca nazionale che provvederà coprendosi presso una banca internazionale (di solito inglese o americana), oppure rivolgersi ai brokers che si rivolgono direttamente al mercato. I brokers possono gestire i flussi valutari della tesoreria effettuando delle operazioni di copertura (solitamente mediante proprie linee di gestione testate nel tempo), oppure mettere a disposizione della azienda una piattaforma di trading con la quale la stessa può fare tutte le operazioni direttamente sul mercato spot (da sola o con la consulenza del broker). La posizione poi verrà rollata di giorno in giorno senza costi ottenendo posizioni in valuta che si possono modificare in ogni momento sulla base delle specifiche esigenze aziendali: la possibilità di operare a margine (ossia senza dover impegnare il 100% del nominale intermediato) ed il rolling automatico della posizione aperta fanno delle piattaforme di negoziazione di valuta spot uno strumento molto efficace attraverso il quale si rendono operative anche le strategie di hedging più complesse. Come visto, l’approccio statico - ampiamente utilizzato dalle imprese con poca propensione al rischio - tende a limitare la gestione al solo rischio transattivo, attraverso 77 Bank for International Settlements, Survey 2007. 65 l’utilizzo di strumenti finanziari “classici” finalizzati a coprire i cambi obiettivo dei budget, dei listini prezzi e delle fatturazioni annullando ex-post il rischio di cambio e non preoccupandosi delle oscillazioni sul mercato valutario. Ma tale certezza permette da un lato la salvaguardia della redditività aziendale, ma dall’altra di non beneficiare di un eventuale evoluzione positiva del cambio di riferimento. Nell’approccio dinamico, invece, c’è la possibilità di modificare in ogni istante il profilo delle coperture e delle strategie aziendali: tale tipologia gestionale permette di modificare le strategie dopo eventuali shock nei prezzi dei tassi di cambio, aggiornando le variazioni delle percentuali di copertura a seconda della volatilità del mercato. Aumenta così l’orizzonte temporale di copertura permettendo di controllare non solo il rischio transattivo, ma anche quello economico e competitivo. Dunque, dopo aver descritto le diverse alternative, la scelta ricade sull’approccio dinamico il quale consente, in sintesi78, il raggiungimento dei seguenti obiettivi: 1. ottimizzazione dei flussi valutari; 2. approccio dinamico e non statico, tipico degli istituti di credito; 3. opportunità di ottenere plusvalenze e/o riduzione dei costi in caso di andamento a favore da parte del mercato; 4. capitale ridotto impiegato per la realizzazione del servizio (5% o 10% dell’importo oggetto di copertura); 5. risparmio di costi rispetto ai tradizionali servizi bancari; 6. operatività ventiquattro ore su ventiquattro e monitoraggio continuo; 7. massimizzazione dell’efficienza finanziaria aziendale. Dopo aver visto quali strumenti finanziari sono a disposizione dell’impresa, e quale rapporto rischio/elasticità ciascuno di essi fornisce, si intende approfondire l’analisi di uno strumento alternativo a quelli tradizionalmente a disposizione del risk manager: uno strumento che sfrutta un mix di operatività tradizionale (hedging) e innovativa (trading System sul Forex Spot) e che viene presentato in questo lavoro come soluzione intermedia tra il tradizionale (ma statico) Forward e le dinamiche (ma onerose e meno trasparenti) Opzioni Valutarie. Prima di analizzare il modello proposto vediamo più nel dettaglio il nostro mercato di riferimento, il Forex ed individuiamo gli elementi fondamentali nella realizzazione di un Trading System dinamico. 78 Tratto e rielaborato da www.euroforex.com 66 2.5 Analisi Tecnica, Forex e Trading System La base di una strategia di successo per operare nei mercati è rappresentata da un approccio analitico: i due principali metodi sono l’analisi tecnica e l’analisi fondamentale. L’analisi tecnica, secondo J. Murphy, si identifica come “l’arte di identificare fin dall’inizio un movimento direzionale del mercato che ha una buona probabilità di continuare nel tempo”79 in altri termini, è lo studio dei prezzi partendo dall’analisi dei grafici. Le radici di questo approccio includono principi quali il trend dei prezzi, le convergenze e le divergenze, i livelli di supporti e resistenze e, infine, la certezza che i prezzi - rappresentando l’“accordo/disaccordo” tra i compratori ed i venditori - rappresentano l’unico vero termometro del mercato. L’analisi fondamentale, invece, è basata sulla teoria economica ed utilizza metodi statistici, econometrici e contabili: attraverso essa si individua il valore intrinseco delle azioni della società quotata in borsa, si confronta lo stesso col valore di mercato espresso in quel momento e si agisce di conseguenza in base alla quotazione (comprando se il titolo è sotto quotato o vendendo se è sopra quotato80). Secondo un approccio top-down81 l’analisi fondamentale inizia con al valutazione del contesto macroeconomico in cui l’azienda opera, passa successivamente ad analizzare le condizioni del settore specifico ed infine converge sull’analisi dell’impresa. Esistono diversi indicatori da valutare: tra i più importanti ed utilizzati troviamo il margine di profitto netto, il ROI (“Return On Investments”, o “indice di redditività della gestione caratteristica”, cioè il rapporto tra utile e capitale investito), il ROE (“Return On Equity” ovvero “Indice di redditività” cioè il rapporto tra utile netto e patrimonio netto), il rapporto prezzo/utili, i dividendi, il rapporto prezzo/patrimonio netto e molti altri. Sulla base di queste analisi è possibile determinare se il prezzo di mercato dell’azione è sopravvalutato, sottovalutato o valutato correttamente (fair value). L’analisi tecnica, al contrario, è più utilizzata come analisi “dinamica” dei mercati, caratterizzata da un monitoraggio costante del mercato (che può andare da time frame mensili fino a quelli ad un minuto o tick by tick, secondo le preferenze dell’operatore): sulla base di questi controlli, si può evidenziare quello che l’analisi fondamentale non coglie, ovvero le tendenze dei prezzi delle attività quotate conseguenti alle aspettative immediate degli operatori. Partendo dall’assunto secondo il quale “la storia si ripete” (in maniera simile, ma 79 Tratto e rielaborato da “Borsa: analisi tecnica vs Analisi fondamentale”, Tomasiello D. (2007) Secondo questo approccio, il mercato “prima o poi” correggerà la propria valutazione fino a rispecchiare il valore reale dell’azione: l’analisi fondamentale si rifà ad una matrice sia di tipo macroeconomica che di tipo microeconomica. 81 L’approccio top-down è quello che prevede una implementazione estensiva del sistema, il cui disegno originale esamina fin dall’inizio tutte le principali aree di interesse aziendale 80 67 non uguale), è quindi possibile valutare le pulsioni emotive degli investitori ed analizzarne i comportamenti per cavalcare i “trend”. Esiste dunque una dicotomia tra le due teorie, e numerose risultano le critiche che i sostenitori di una parte muovono verso l’altra: i “fondamentalisti” criticano la validità scientifica (che reputano inesistente) dell’analisi tecnica mentre i “technician” evidenziano la fragilità delle “certezze” fornite dai fondamentalisti: secondo questi ultimi, infatti, il mercato prima o poi si adeguerà al prezzo reale dell’azione che convergerà “naturalmente” verso il fair value. I technician si chiedono allora se - ammesso che tale assunto sia vero - quanto è lungo questo periodo di tempo. Numerosi sono gli esempi di successo dall’una e all’altra parte, su tutti ricordiamo Graham come caposcuola dell’analisi fondamentale e Appel come inventore del MACD (Moving Average Convergence Divergence, indicatore di momentum costruito utilizzando due medie mobili di velocità differente e molto utilizzato in analisi tecnica) ma rappresentano solo due delle numerose testimonianze presenti (Pring, 2002). Una corretta educazione finanziaria dell’investitore si dovrebbe basare su entrambe gli approcci: essere in grado di anticipare alcune valutazioni sull’andamento di mercato, sia dal punto di vista fondamentale che tecnico, vuol dire essere professionalmente pronto a percepire un trend sin dall’inizio riuscendo a mantenerlo nel lungo periodo attraverso successivi interventi mirati. Mercati poco liquidi, scambi rarefatti e scarsa possibilità di diversificare sono elementi che ostacolano l’attività dell’investitore, spingendolo nella ricerca di nuovi strumenti e nuovi mercati dove continuare ad operare, in ogni circostanza, con specifiche metodologie profittevoli. In questo contesto il mercato più interessante è sicuramente quello dei cambi: con i suoi quattromila miliardi di dollari quale ordine di grandezza delle transazioni giornaliere (Tab 16), il Forex si presenta come il più ampio mercato speculativo al mondo, un mercato che scorre sopra tutti gli altri, e ne fa da “contenitore”82, ventiquattro ore su ventiquattro. Tab. 16 Global Foreign Exchange Market Turnover (Daily averages in April, in billions of US Dollar) Fonte: Triennial Central Bank, Survey 2010 82 L’importanza del mercato Forex è data dal fatto che qualsiasi transazione economica che coinvolga due operatori di nazionalità diversa dovrà passare, prima o poi, attraverso l’acquisto e la vendita di valuta. 68 Il termine Forex sta a indicare il FOReign EXchange, ovvero “il mercato in cui vengono scambiate le diverse valute attraverso un tasso di cambio che rappresenta il meccanismo con cui si stabilisce il valore di una valuta in termini di un’altra”83. Tanto più l’economia di un paese e il suo mercato dei capitali sono sviluppati, tanto più la sua valuta sarà scambiata sul mercato forex. Esistono nella realtà due mercati paralleli delle valute: - il mercato OTC (Over the Counter), dove si concentrano il grosso dei volumi (l’85% dei volumi del Forex sono scambiati OTC, i principali attori sono le banche ed i Broker, il 90% degli scambi avviene a scopo speculativo84). - i mercati regolamentati. Nel mercato OTC vengono trattate le opzioni, il termine e lo spot85. La liquidità viene garantita da soggetti abilitati quali banche e broker, la negoziazione avviene tra le parti senza il filtro del mercato e non si parla di prezzi ufficiali86. Nei mercati regolamentati, invece, vengono trattati specifici strumenti finanziari - futures e le opzioni valutarie - dove la controparte di ogni agente è il mercato, le caratteristiche dei contratti sono standardizzate e i prezzi sono ufficiali (la clearing house garantisce il rispetto degli obblighi contrattuali). Gli attori del mercato Forex sono: - le banche e broker-dealer - i broker - le banche centrali. Le banche e i broker-dealer sono soggetti che operano sul Forex per conto proprio e per conto dei propri clienti i quali possono essere investitori, speculatori, esportatori o importatori. I broker non potendo operare per conto proprio, mettono in contatto i rispettivi clienti affinché abbiano luogo le transazioni. Le banche centrali intervengono invece sul mercato, acquistando e vendendo valuta, con l’obiettivo di raggiungere i propri scopi di politica monetaria87 Ogni giorno prevede l’uscita di un gran numero di dati economici: ogni dato deve essere interpretato e le variabili fondamentali che hanno un grosso impatto sull’andamento del mercato valutario sono: - i tassi d’interesse: più sono alti, maggiore sarà la convenienza nel detenere una specifica valuta (guadagno maggiore rispetto ad altre valute) e, di conseguenza, maggiore sarà il suo valore; 83 Definizione tratta da Finanzaediritto.it. Triennial Central Bank, Survey 2007 85 Tratto e rielaborato da www.saperinvestire.it 86 I prezzi ai quali si concludono le transazioni vengono immediatamente comunicati a circuiti internazionali informativi come Reuters o Bloomberg e istantaneamente diffusi in tutto il mondo. 87 Influenzando il tasso di cambio o limitandone la volatilità. 84 69 - il tasso di inflazione: se crescente porta ad un rialzo dei tassi di interesse ad un apprezzamento della valuta nel breve periodo, mentre nel lungo periodo si tenderà ad una situazione di stagnazione e inflazione (stagflazione); - il tasso di crescita del Pil: un Paese con un prodotto interno lordo crescente riceverà una maggiore richiesta di valuta nazionale provocando nel lungo periodo un innalzamento dei tassi; - il deficit commerciale: un Paese con un elevato deficit importa più di quanto esporti, in altri termini, acquista più valuta straniera ed il valore di quella nazionale tende a ridursi. Ovviamente l’impatto di alcuni dati e, soprattutto relativi a specifici Paesi, avrà un’incidenza maggiore rispetto ad altri e lo stesso discorso può essere applicato all’importanza del cambio o del cross in esame. Nel mercato delle valute, infatti, occorre distinguere cambi originali (EurUsd, UsdJpj, GbpUsd, NzdUsd, AudUsd, UsdCad, UsdChf) da cambi derivati, o cross (derivanti dall’incrocio di quelli originari). Tab. 17 Global foreign exchange market turnover by currency pair Fonte: Triennial Central Bank, Survey 2010 I cambi originari hanno un “peso specifico” maggiore e un loro movimento, in generale, condiziona il mercato valutario nel suo complesso. Il principale cambio di riferimento è EurUsd, il più liquido in assoluto, con un bid-ask spread (differenziale tra domanda e offerta) inferiore ai due pips e con un turnover giornaliero superiore mille miliardi di dollari (una 70 percentuale rilevante pari a circa i 30% del totale che, come si può vedere in Tab. XX, è pari a 3.981 miliardi di dollari). Come abbiamo visto, il Forex rappresenta un mercato molto efficiente, dove gli operatori possono attuare le proprie strategie senza incorrere in problematiche caratterizzanti mercati meno liquidi e meno trasparenti. Scelto il mercato di riferimento, si intende individuare quale sia la strategia più efficace. Come detto. esiste una dicotomia tra analisi fondamentale e analisi tecnica: è chiaro che, se in un’economia di mercato tutti gli operatori seguissero il medesimo procedimento, probabilmente tutti arriverebbero al medesimo risultato e se tale risultato fosse corretto, probabilmente i modelli macroeconomici basati sulle aspettative razionali avrebbero un’effettiva capacità previsiva. Si può dunque sintetizzare il concetto dicendo che l’analisi fondamentale - vista dal punto di vista del trader - costringe a “puntare tutto” su una singola idea88. Invece, al contrario di quanto suggerito dalla teoria, il mercato non si “adagia” sui prezzi correnti in attesa di qualche “shock casuale”, ma comincia a lavorare sulla base delle “aspettative delle aspettative89”: nella pratica quotidiana esiste asimmetria informativa, di metodi di analisi, di conclusioni e dunque di aspettative. L’analisi tecnica si configura come una serie di regole che devono aiutare il trader nelle sue scelte giorno per giorno e ci si può attendere che essa riesca là dove l’analisi fondamentale fallisce, o meglio, che un uso combinato delle due tecniche permetta di ottenere dei buoni risultati. L’analisi tecnica non ha un fondamento teorico ben definito e il suo principale punto di forza deriva dalla semplicità, dalla velocità di esecuzione e, soprattutto, dall’esperienza diretta dei trader. Nella sua accezione tradizionale l’analisi tecnica si basa sullo studio dei grafici, dei patterns di prezzo o di alcune tipologie di indicatori che si suppone possano avere capacità predittive (Fama e Blume, 1966). Il matematico francese Renè Thom ha evidenziato un’importante distinzione tra la capacità esplicativa e la capacità previsiva di un modello sostenendo la superiorità in senso scientifico dei modelli esplicativi su quelli previsivi e sottolineando che un modello esplicativo non deve obbligatoriamente essere un buon modello previsivo (Thom, 1991). Accettando questo tipo di argomentazione, la teoria fondamentale trova una sua specifica utilità in quanto spiega il funzionamento di un’economia, al contrario dell’analisi tecnica che non trova una sua collocazione offrendo poco sia in termini esplicativi 88 Ad esempio, se pensiamo che il dollaro salga, compreremo dollari in ogni caso anche, e specialmente, se il mercato fa scendere il cambio. Se l’analisi è corretta “prima o poi” la strategia andrà in profitto. E’ però possibile che nel frattempo, le perdite realizzate siano così forti da costringerci ad uscire dalle nostre posizioni (in forte perdita) prima di poter realizzare l’utile sperato. Questo è quanto accaduto nella realtà proprio nei confronti del dollaro: il suo andamento era sempre “troppo” diverso rispetto all'andamento atteso, con conseguenti accumulo di perdite anche da parte degli operatori migliori. Considerazioni ben peggiori verranno fatte nel caso in cui l’analisi si riveli, all’opposto, del tutto errata. 89 Per esprimersi nei termini del noto aforisma keynesiano del concorso di bellezza “quale sarà nei prossimi giorni la ragazza che gli altri penseranno essere la più bella”. 71 sia in termini previsivi: occorre quindi comprendere cosa può essere oggi offerto al trader/gestore data l’impossibilità di generare un modello previsivo affidabile. Questo lavoro si propone di esaminare i metodi di creazione e di analisi di un sistema di trading, nell’ambito di un processo di gestione finanziaria di rischi specifici. Il sistema di trading rappresenta la formalizzazione matematica di uno specifico approccio metodologico che può nascere dall’analisi tecnica, da quella fondamentale o da esperienze generate a seguito di un’operatività concreta sui mercati. I Trading System non hanno necessariamente né capacità esplicativa, né capacità previsiva dei prezzi: a differenza dell’analisi tecnica tradizionale, l’analisi dei trading system è però focalizzata sulla verifica e sull’efficacia delle performances passate. In altri termini, ciò che si ricerca è una capacità previsiva sulla performance del sistema piuttosto che sull’andamento dei prezzi (Weissman, 2005): un sistema così realizzato offre delle risposte concrete alla domanda “quando e quanto comprare/vendere” e prevede sempre la possibilità di errore fornendone una quantificazione. Arriviamo a definire un Trading System come una metodologia rigorosamente definita, che utilizza specifiche regole per decidere quando acquistare o quando vendere su un certo mercato (Van Vliet, 2007): l’obiettivo del sistema di trading è quello di generare una strategia che, per il Risk Manager, risulti profittevole nel breve ma soprattutto nel medio-lungo periodo. In questo lavoro ci si occupa specificatamente dei mercati delle valute e dei tassi di cambio, mercato nel quale l’applicazione dei Trading System produce le sue migliori performance, considerata la l’elevata liquidità e la velocità di negoziazione, soprattutto per i cross principali. La Figura 8 illustra e riassume un processo di analisi che vedremo applicato nel dettaglio nel capitolo successivo. L’analisi dei sistemi di trading prescinde da qualsiasi considerazione di tipo fondamentale così come da un uso troppo disinvolto dell’analisi tecnica (Taylor and Allen, 1992; Gehrig and Menkoff, 2006). Il fatto che il movimento dei prezzi sia o meno descritto da processi “random walk” piuttosto che da processi di tipo più complesso non è alla fine rilevante: la quotidianità dei mercati sembra suggerire che, a seconda dei momenti, esistono entrambe queste situazioni. L’investitore, o il gestore aziendale, piuttosto che il trader, si trovano a dover convivere con la concreta impossibilità di prevedere l’andamento futuro dei prezzi: in questa situazione di incertezza strutturale, l’obiettivo che ci siamo posti è quello di fornire qualche strumento di supporto decisionale che sia mirato alle effettive esigenze del gestore (realizzazione dell’obiettivo, nel presente lavoro, rappresentato dalla copertura del rischio di cambio), che mantenga certe caratteristiche di coerenza interna e che sia correttamente testato in tutti i suoi aspetti di profittabilità e rischio. Lo studio dei sistemi di trading automatizzato è in continua evoluzione e sarà sicuramente facilitato dalla crescente diffusione di tecnologie e di prodotti sempre più evoluti. 72 Fig. 8 La metodologia per la progettazione e l' analisi di un sistema di trading Selezione del mercato e dei dati Segnali di entrata Aggiustamento dei dati Disegno del Sistema di Trading Costi di Transazione Regole di Stop Loss/Profit Forward Testing MODIFICHE Valutazione dei Forward Testing OK ACCETTAZIONE Fonte: Rielaborazione propria da performancetrading.it Questo lavoro evidenzia e ribadisce come non sia né saggio né opportuno aspettarsi di trovare la “sfera di cristallo”: nessuno ottiene profitti dal mercato se non con costante lavoro, analisi approfondite ed una continua applicazione. La principale utilità nell’utilizzo dei sistemi di trading è quella di fornire al trader-gestore degli strumenti di riflessione sulla natura dei mercati, una visione diversa e alternativa di un certo tipo di trading e la capacità di analizzare seriamente e con salutare scetticismo idee proprie e altrui. Il sistema di trading, inoltre, può essere di grande aiuto nel gestire uno degli aspetti più difficili e stressanti che derivano da questo tipo di attività: le perdite. Tali sistemi, infatti, sono forzatamente “disciplinati” e seguono sempre le regole che si sono posti; perdite e profitti vengono trattati imparzialmente per ciò che sono, ovvero, eventi inevitabili e parte della strategia. Tutti i grandi operatori di mercato sono concordi nell’indicare che una delle cause principali di fallimento in questo mestiere va proprio ricercata nella mancanza di disciplina e nell’eccessivo coinvolgimento emotivo derivante soprattutto da una lunga serie di perdite (Weissman, 2005): se i trading system possono aiutare a superare queste problematiche, hanno già raggiunto gran parte del loro scopo. 73 74 CAPITOLO III TRADING SYSTEM STRATEGY 3.1. Realizzazione strategia: medie mobili con filtro RSI Questo lavoro si propone di dimostrare come la gestione dinamica della copertura del rischio di cambio con negoziazione di valuta spot - effettuata attraverso l’applicazione meccanica di una specifica strategia di trading - possa consentire di ottenere un saldo positivo tra utili/perdite nella complessiva strategia di hedging e un saldo positivo tra utili/perdite sui flussi. Si vuole evidenziare come le imprese italiane possano affrontare il rischio di cambio in modo non solo difensivo: la metodologia proposta si pone in alternativa all’offerta bancaria – vista nei capitoli precedenti – sia tradizionale (troppo difensiva) che innovativa (potenzialmente profittevole ma rischiosa e, soprattutto, poco trasparente). Attraverso implementazione della procedura in esame (Hedging + Trading System) qualsiasi impresa che esporti può potenzialmente raggiungere un triplice obiettivo: annullare il rischio di cambio, ottimizzare i flussi di cassa e generare delle differenze positive su cambi. Per il raggiungimento di tali risultati si è utilizzato i principi di analisi tecnica (Taylor e Allen, 1992; Gehrig and Menkhoff 2004), applicati in modo sistematico per l’ottenimento di una specifica performance. Preanalisi teorica Uno dei metodi più utilizzati in Analisi Tecnica è quello che prevede l’impiego della media mobile (Le Baron, 2000): essa è caratterizzata da uno specifico periodo di riferimento e, a seconda dell’ampiezza dello stesso, distingueremo tra medie veloci e lente. L’incrocio tra due medie mobili viene spesso impiegato per trarre dei segnali operativi e, più nel dettaglio, quando la media più veloce taglia dal basso verso l’alto quella più lenta si genera un segnale di acquisto, viceversa, quando la media mobile più lenta viene tagliata dall’alto verso il basso dalla media mobile più veloce si genera un segnale di vendita. Elaborazione del modello di Trading Ora che esiste una strategia astratta di Trading, si cerca di concretizzarla definendone i parametri di utilizzo. Nel nostro caso specifico dobbiamo: - definire il tipo di media; - definire il periodo delle medie da utilizzare; 75 - definire il time frame di riferimento; - scegliere il tasso di cambio su cui utilizzare la strategia. Per quanto riguarda il tipo di media, la scelta ricade sulle medie esponenziali in quanto seguono più da vicino l’effettiva serie storica dei prezzi, attribuendo maggiore importanza alle ultime quotazioni registrate rispetto alle precedenti.90 I periodi sotto osservazione, dai quali scaturirà la combinazione ottimale, sono quelli che più di frequente vengono utilizzati nell’operatività discrezionale. Tab. 18 Media mobile esponenziale: scelta dei periodi EMA 3 vs EMA 21 EMA 4 vs EMA 21 EMA 5 vs EMA 21 EMA 7 vs EMA 21 EMA 8 vs EMA 21 EMA 21 vs EMA 100 In base all’esperienza personale e ai principali riferimenti in materia (Weissman, 2005), per ottimizzare il Trading system si ritiene necessaria l’introduzione di un filtro che limiti i falsi segnali generati soprattutto nelle fasi laterali, dove solitamente una strategia basata sulle sole medie mobili riporta piccole ma numerose perdite. La scelta ricade sull’RSI, ovvero il Relative Strenght Index91 (indice di “forza relativa”), uno degli oscillatori più popolari dell’analisi tecnica. Presentando una banda di escursione costante, tra 0 e 100, è possibile individuare zone fisse in cui l’oscillatore si trovi in una situazione di estremo; saranno quindi considerate zone di “ipercomprato” quando l’oscillatore segnerà valori superiori a una certa soglia, mentre saremo in “ipervenduto” qualora segnasse valori inferiori ad un’altra predefinita. Ai fini dell’ottimizzazione del presente Trading System si è deciso di utilizzare un RSI a 14 periodi, definendo che quando il valore dell’indicatore sarà inferiore a 35 genererà un segnale di vendita e quando sarà superiore a 45 genererà un segnale di 90 La media mobile esponenziale cerca di risolvere il problema della reattività di una media mobile introducendo un sistema in grado di assegnare un valore proporzionalmente più elevato ai dati più recenti, assumendo che questi ultimi siano quelli più significativi e rappresentativi della reale evoluzione dei prezzi. Il risultato è una media mobile che, a parità di dominio temporale, risulta essere più reattiva rispetto a una media mobile semplice di pari lunghezza. 91 L’RSI è il famoso indicatore sviluppato da John Welles Wilder Jr. nel 1978 ed utilizzato per individuare le fasi di ipervenduto/ipercomprato di un titolo. Il Relative Strenght Index è un indicatore di momentum cioè misura la velocità di movimento dei prezzi ed oscilla su una scala da 0 a 100 Per il calcolo della media dei prezzi positivi si somma il complessivo delle variazioni positive nella fase interessata. Sono due le formule per il calcolo dell' RSI RSI= 100-100/(1+(Gp/Gn) - dove Gp indica il numero dei giorni positivi e Gn il numero dei giorni negativi RSI= 100-100/(1+(GpM/GnM) - dove GpM è la media dei giorni positivi GnM è la media dei giorni negativi L’oscillatore si troverà in fase di ipercomprato sopra i 70 punti ed ipervenduto sotto i 30 punti. Minore è il periodo in analisi e più l'RSI diventa sensibile. I migliori risultati si ottengono con il parametro time periods è normalmente settato tra i 5 e i 21 giorni e nel caso di titoli molto volatili può essere utile un settaggio delle bande a 80 e 20. Un segnale di acquisto si avrà con la perforazione della banda inferiore a 30 ed un segnale di vendita sopra i 70, le oscillazioni intermedie non danno nessun segnale di presa di posizione. 76 acquisto: in range, dunque, molto stretto che dovrebbe filtrare in maniera ottimale i falsi segnali derivanti dall’incrocio delle medie nelle fasi laterali. Inizialmente si elabora il modello di trading sul Time Frame più diffuso: quello di tipo orario, per il semplice motivo che time frame diversi - più brevi (troppo puntuali) o più lunghi (ad esempio nel giornaliero, potrebbero non coincidere per gli attori del trading che lavorano in fusi orari differenti) – non si considerano efficaci in questa fase di pre-analisi. Ovviamente il nostro tasso di cambio è l’EURUSD che, come visto nel capitolo precedente, fa registrare un turnover giornaliero superiore mille miliardi di dollari (una percentuale rilevante pari a circa i 30% del totale pari a 3.981 miliardi di dollari). Relativamente alla distribuzione per valuta, il ruolo del dollaro ha continuato a prevalere rispetto alle altre, ciò risulta evidente dalla tabella che segue (tabella 19). Tab. 19 Currency distribution of reported foreign Exchange market turnover Fonte: Triennal central Bank Survey, 2010 Si procede con la realizzazione della strategia stabilendo in che modo affrontare il mercato nel caso fossimo già esposti ed avessimo un segnale di incremento della nostra esposizione: nel modello si è deciso di rimanere sempre esposti per una quantità fissa e di non 77 incrementare tale quantità qualora si verificasse un segnale nella stessa direzione della nostra posizione (dunque, ignorare il nuovo segnale). Rimane centrale l’obiettivo del nostro lavoro, rappresentato dalla copertura e non dalla massimizzazione delle performance a fini speculativi. Qualora invece si verificasse un segnale contrario alla nostra posizione, la scelta è quella di chiudere tale posizione ed aprirne un’altra nella nuova direzione del segnale. A questo punto si va a definire l’algoritmo che stabilisce la procedura di acquisto e di vendita in termini concreti secondo il modello di trading appena elaborato. Quando costruiamo un algoritmo individuiamo un punto di ingresso e uno di uscita: nei sistemi di trading automatico il primo corrisponde sempre all’arrivo di un nuovo prezzo e l’uscita, o meglio la fine dell’algoritmo, può manifestarsi con un’operazione a mercato oppure con un nulla di fatto (segnale ignorato). Il diagramma (Fig. 1, Appendice I) necessita di qualche spiegazione. La prima cosa da fare è verificare che ci sia stato il taglio delle due medie: essendo impossibile che sullo stesso prezzo si verifichino simultaneamente due tagli delle medie, si può affermare che al verificarsi di un taglio e a seguito del superamento del filtro (RSI) avremo dunque o un segnale di acquisto o un segnale di vendita. Il passo successivo consiste nel verificare quale sia la nostra posizione sul mercato al momento del segnale: nel caso in cui non avessimo posizioni aperte sull’EURUSD potremmo procedere tranquillamente all’esecuzione del nostro segnale. Nel caso in cui fossimo in posizione (long/short) dobbiamo evitare di incrementare ulteriormente la nostra posizione (ignorare il segnale). Qualora fossimo precedentemente in posizione e si verificasse un segnale di verso opposto dovremmo prima chiudere gli ordini aperti e successivamente eseguire una nuova operazione a mercato. Per la realizzazione del Trading System si è utilizzato la piattaforma di Trading Metatrader e il relativo linguaggio di programmazione MQL492 (di derivazione C o C++) il quale permette di creare: 1. Expert Advisors: è un programma specifico per il trading automatico: per ordini di ingresso a mercato, ordini di stop, cancellare e rimpiazzare gli ordini e prendere i profitto; 2. Custom Indicators: è un programma che permette l’utilizzo delle funzioni per gli indicatori tecnici, ma non permette di automatizzare gli ordini. 3. Script: è un programma disegnato per la singola esecuzione. Diversamente dagli EA , gli scripts vengono eseguiti una volta sola (su richiesta dell’utente). Dopo aver realizzato il programma c’è la fase di compilazione: compilare un codice sorgente significa convertire il codice scritto nel linguaggio mql4 in linguaggio macchina. Metatrader 92 MQL4 sta per Metaquotes Language 4. Metaquotes è la ditta che ha creato tale potente linguaggio di programmazione al fine di rendere la Metatrader più competitiva rispetto alle altre piattaforme di trading. 78 ha il proprio compilatore chiamata MetaLang.exe attraverso il quale viene generato il codice del nostro Trading System (Tab. 1, Appendice I). E’ questo un passaggio indispensabile per arrivare, nella fase successiva, a realizzare uno script efficace attraverso il test e l’inserimento dei valori ottimali. 3.2 Strategy tests Si procede con la fase di testing, effettuata su sei diverse strategie iniziali. Per questa prima fase si è scelto di procedere testando le strategie sul time frame (TF) di riferimento, quello orario (H1) il più utilizzato nella realizzazione di strategie di trading (dettagli dei report e delle equity line in appendice, sez. II). Confronto tra: Ema3VsEma21_filter_rsi Ema4VsEma21_filter_rsi Ema5VsEma21_filter_rsi Ema7VsEma21_filter_rsi Ema8VsEma21_filter_rsi Ema21VsEma100_filter_rsi TS1 TS2 TS3 TS4 TS5 TS6 Individuazione best-strategies In base a specifici criteri selettivi, individuiamo tre delle sei strategie iniziali: quelle che ovviamente hanno performato meglio durante la prima fase di test. Una delle problematiche principali relative all’utilizzo di un trading system riguarda la sua ottimizzazione. Ottimizzare un trading system significa calibrare il modello in base alle caratteristiche (la più importante delle quali è sicuramente la volatilità) della serie storica, cioè del mercato su cui si intende operare. Gli indicatori più utilizzati per valutare il rendimento di un trading system si basano, altre che sulla performance realizzata, anche su altri parametri: la selezione del parametro da utilizzare nel trading reale deve quindi essere effettuata sulla base di considerazioni più approfondite. In particolare, gli elementi da tenere in evidenza sono alcuni indicatori come il Profit Factor (PF), il drawdown medio/massimo e l’andamento dell’equity line non tralasciando comunque altri valori quali la percentuale di operazioni vincenti sul totale, il numero consecutivo di operazioni chiuse in utile, i valori medi e massimi delle vincite e delle operazioni perdenti. I criteri selettivi utilizzati sono quelli più importanti nell’ambito della realizzazione di strategie di trading: 1. Profit Factor (PF): rapporto tra i profitti totali e le perdite totali generati dal trading system; 79 2. Drawdown medio (DDM): intensità della diminuzione del valore di un conto, sia in termini percentuali che in termini assoluti, misurato come differenza tra due picchi consecutivi (di max e di min) in una equity line93. 3. Profitto totale netto (PTN): profitto o perdita complessivo che si realizza in un certo periodo di tempo seguendo le indicazioni del sistema sotto analisi. Mentre il PF rappresenta il rapporto tra i profitti totali e le perdite totali generati dal trading system, il PTN si calcola come la differenza tra gli stessi valori. Tab. 19 Individuazione best strategies Strategia TS1 TS2 TS3 TS4 TS5 TS6 PTN 77,3% 63% 74,8% 69,2% 80,8% -7,3% PF 1,96% 1,64% 1,73% 1,53% 1,60% 0,97% DDM 3,87% 4,16% 3,82% 4,61% 4,58% 29,66% A seguito dell’analisi dei risultati ottenuti, vengono scelte le tre best strategies, rispettivamente: TS1 (H1), TS3 (H1) e TS5 (H1) Test best-strategies su diversi time frame (v. Appendice, sez. III) Tali strategie vengono testate sui diversi time frame (TF) - non più soltanto su quello più diffuso (H1) - al fine di individuare la strategia ed il TF migliore. Quindi, test su: TS1 (1 min – 5 min – 15 min – 30 min – 60 min – 240 min – daily) TS3 (1 min – 5 min – 15 min – 30 min – 60 min – 240 min – daily) TS5 (1 min – 5 min – 15 min – 30 min – 60 min – 240 min – daily) Scelta best-strategy e miglior time frame I risultati ottenuti evidenziano la scarsa performance della strategia in TF ridotti (1 min, 5 min, 15 min). Escludendo – causa numero eccessivamente ridotto di operazioni - anche il TF più ampio (Daily), il confronto si concentra sui tre TF di riferimento: 30, 60 e 240 minuti. Nella tabella che segue (20) possiamo vedere la sintesi dei risultati delle best strategies con riferimento ai tre time frame principali. 93 Riporta la massima perdita registrata nel corso del periodo di forward testing in termini di capitale. In altre parole si può dire che si tratta dell’ipotesi di “massima sfortuna” infatti risponde alla domanda “quanto si sarebbe perso del proprio capitale se si fosse cominciato ad effettuare operazioni proprio nel momento peggiore e si fosse terminato ancora nel momento peggiore?” 80 Tab. 20 Sintesi confronto 30 MIN 1 ORA 4 ORE PROFITTO NETTO MM 3-21 MM 5-21 MM 8-21 93.659 € 75.358 € 94.649 € 77.323 € 74.838 € 80.810 € 70.343 € 69.858 € 66.260 € PROFIT FACTOR MM 3-21 MM 5-21 MM 8-21 1,72 1,44 1,48 1,96 1,73 1,60 3,15 2,77 2,18 DRAWDOWN MEDIO MM 3-21 MM 5-21 MM 8-21 4.100 € 4.320 € 4.444 € 3.876 € 3.824 € 4.580 € 1.880 € 1.874 € 1.647 € DRAWDOWN ASSOLUTO MM 3-21 MM 5-21 MM 8-21 14,5% (28.495€) 16,4% (30.155 €) 16,9% (31.815 €) 20,4% (38.587 €) 17,2% (32.550 €) 14,4% (26.011 €) 19,9% (37.464 €) 19,4% (36.100 €) 19,9% (36.702 €) OPERAZIONI TOTALI MM 3-21 MM 5-21 MM 8-21 255 364 534 143 211 293 27 31 63 % OP. CON PROFITTO MM 3-21 MM 5-21 MM 8-21 46,67% (119) 46,15 % (168) 45,51% (243) 50,35 % (72) 48,34% (102) 43,69% (128) 55,56% (15) 51,61% (16) 49,21% (31) Obiettivo del lavoro è quello di individuare una strategia che permetta di salvaguardare l’azienda dalle imprevedibili oscillazione del cambio EurUsd: osservando il confronto si nota che - in base ai quali Profit Factor, Drawdown medio e Profitto Totale Netto - le strategie che lavorano con barre a quattro ore sono quelle meno “rischiose” (basso draw down medio)e, tra esse, la migliore sembra essere Ema3VsEma21_filter_rsi (TF 240) con un Profit Factor di 3,15. Ma anche gli altri TF della stessa strategia evidenziano caratteristiche interessanti, profittabilità in primis. Tra esse viene quindi individuata la best strategy, ovvero: TS5 Ciascun TF, per questa specifica strategia, ha dei pregi e dei difetti: Nel 30 minuti Æ Profitto netto massimo, ma elevato DD medio e basso PF Nel 60 minuti Æ Profitto netto buono, ma DD medio alto e DD assoluto molto alto. Nel 240 minuti Æ Profitto discreto, DD medio molto basso, Profit Factor Elevato. Proprio la ricerca di una strategia non specificatamente speculativa, ma coerente con le esigenze di copertura delle aziende che esportano, fa propendere la scelta verso la terza soluzione: TS5 (TF 240) 81 Siamo di fronte ad una strategia che, a fronte di un investimento iniziale di un lotto (100.000 €) ha ottenuto i risultati riportati in tabella 21. Tab. 21 Risultati best strategy PROFITTO NETTO PROFIT FACTOR DRAWDOWN MEDIO DRAWDOWN ASSOLUTO OPERAZIONI TOTALI % OPERAZIONI CON PROFITTO 70.3 % 3,15 1.888 Discreto, e cmq il più alto nel TF 240 Il più alto in assoluto Il più basso in assoluto nella strategia in esame 19,9% Alto, ma in linea con le altre strategie (37.464 €) 27 Il numero più basso, ottimo in ottica commissionale 55,56% Più della metà dei segnali d’ingresso (15) sono profittevoli: ottimo considerando un PF di 3,15 A questo punto si può definire l’algoritmo che stabilisce la procedura di acquisto e di vendita in termini concreti secondo il modello di trading appena elaborato. Il Trading System ha un punto di ingresso e uno di uscita: il primo corrisponde sempre all’arrivo di un nuovo prezzo mentre l’uscita (o meglio, la fine dell’algoritmo), può manifestarsi sia con un’operazione a mercato che con un nulla di fatto (segnale ignorato). Al verificarsi di un taglio tra le medie EMA 3 ed EMA 21 e a seguito del superamento del filtro (RSI) avremo dunque o un segnale di acquisto oppure un segnale di vendita. Il TF utilizzato è il 240 MIN e il cambio, ovviamente, EURUSD. Terminata la fase di pre testing ed individuato il valore delle medie mobili ed il TF migliore per le performance del nostro Trading System, si va a compilare il codice definitivo (Ema3VsEma21). Procediamo con la realizzazione dello script definitivo (v. Appendice, sez. IV) e del relativo Flow Chart (Fig. 9) 82 Fig. 9 94 Flow Chart94 Ema 3 vs Ema 21 In questa fase si utilizza “5” per indicare il valore relativo alla media veloce, “21” invece per la media lenta. 83 3.3 Best strategy: analisi annualizzata Si è dunque individuata la strategia migliore in ottica di copertura e il suo TF ottimale. Procediamo ora con l’analisi e vediamo nel dettaglio - prima per l’intero periodo, poi anno per anno - come si è comportata questa strategia cercando di individuarne le criticità (dettagli dei report, equity line e storico operazioni in appendice, sez. V) Fig. 10 Andamento EurUsd 2002-2009 Fonte: elaborazione propria Nell’intero periodo di riferimento (01/01/2002-18/08/2009) il Trading System ha operato entrando complessivamente 27 volte (15 volte in profitto e 12 in loss). Il dato molto positivo è rappresentato – oltre che dal numero relativamente basso di operazioni - dal Profit Factor, pari a 3,15. Esso riconosce alla strategia una capacità di garantire alle operazioni profittevoli un valore molto superiore (3 volte tanto) a quelle in perdita. Questo dato, unito al precedente (55,56% di operazioni in profit) sintetizza da solo la bontà del sistema. I segnali di ingresso sono pochi (basso costo commissionale per le imprese, che non si trovano davanti un sistema che annulla le buone performances a causa dei costi commissionali derivanti da un numero infinito di operazioni) e quelli profittevoli sono superiore – in numero ed importo – a quelli in perdita. Si procede ora nell’analisi anno per anno. TS5: 2002-2003 Nel periodo in esame si è registrato un Profit Factor davvero molto alto (12,8%) conseguenza di 4 operazioni profittevoli sulle 5 totali. Il Drawdown medio si è mantenuto molto basso, così come quello massimo. Significativo è il dato relativo alla media dei gain/loss delle operazioni: delle cinque operazioni totali, le quattro in profit hanno generato, in media, un profit del 5,6% contro l’unica perdita che percentualmente ha pesato poco più dell’1,7%. Il dato è davvero confortante visto che ’andamento del cambio - prevalentemente 84 crescente - in assenza di copertura avrebbe portato ad una sicura perdita nel conto economico all’azienda export (come vedremo più in dettaglio nella simulazione). Fig. 11 EurUsd 2002-2003 Fonte: elaborazione propria TS5: EurUsd 2003-2004 In questo periodo si è registrata una performance particolare: una sola operazione, profittevole. E’ questo un caso estremo, valido ed usufruibile solo per quelle aziende che hanno la pazienza, e soprattutto la fiducia, di aspettare il rendimento del trading System. Un qualsiasi operatore discrezionale, in questo caso, avrebbe probabilmente disinvestito dopo il gain potenziale della prima parte dell’anno (1.04 Æ 1,18). Numerosi studi di finanza comportamentale (Frankfurter e McGoun, 2002) confermano che in assenza di un trading system automatico, difficilmente la psiche umana riesce a reggere la situazione che stiamo descrivendo ovvero, la perdita in due mesi di quasi la totalità del profitto potenziale accumulato nei primi sei mesi dell’anno. Qui si vede l’efficienza del TS rispetto all’operatività discrezionale: la configurazione di uscita programmata non si è verificata (MM 5 incrocia al ribasso MM21 con RSI<35) e il sistema meccanico non esce, sopportando il drowdown massimo pari a circa il 10%. Tale attesa si rivela poi proficua, visto che poi il cambio riprende la corsa e chiude in rally sui massimi dell’anno. Complessivamente la performance annuale è stata di quasi il 24%. Fig. 12 EurUsd 2003-2004 Fonte: elaborazione propria 85 TS5: EurUsd 2004-2005 In questo primo periodo si è registrato un Profit Factor del 2,43% conseguenza di 2 operazioni profittevoli sulle 3 totali. E’ questa una situazione davvero interessante: a fronte di una incapacità di fare un numero di operazioni positive superiori a quelle negative, si è comunque registrato un profit derivante dal minor importo delle 3 operazioni sbagliate rispetto alle 2 in profit. In media ciascun’operazione in profitto ha reso il 7,2% contro le operazioni in perdita che hanno avuto un valore medio pari a circa il 2%. Il dato è davvero confortante visto che l’andamento crescente del cambio: come possiamo vedere dal grafico, infatti, da maggio a dicembre abbiamo avuto un massimo “Run Up”(massima escursione verso l’alto) di oltre 18 figure (1.800 pips) che - in assenza di copertura - avrebbe portato ad una perdita notevole in Conto Economico all’Azienda Export. Fig. 13 EurUsd 2004-2005 Fonte: elaborazione propria TS5: EurUsd 2005-2006 Nel 2005 assistiamo alla prima performance negativa del nostro TS: a fine anno registriamo un -8,9% frutto di nove operazioni totali di cui solo due in profit. Analizzando l’andamento grafico registriamo però il concomitante calo del cambio euro dollaro. Fig. 14 EurUsd 2005-2006 Fonte: elaborazione propria Questo significa che la funzione stabilizzatrice della nostra strategia ha comunque funzionato poiché, come vedremo nel dettaglio nella simulazione, il TS guadagna molto quando il 86 cambio sale e perde poco quando il cambio scende. Questo mix di soluzioni permette di stabilizzare i flussi di cassa dell’Azienda export e comunque di avere un risultato finale comunque positivo. TS5: EurUsd 2006-2007 Dopo la perdita del periodo precedente, il nostro Trading Sistem risponde molto bene realizzando una performance del 14,2%, frutto di 3 sole operazioni, una delle quali, però, in forte gain (+15,4%). In questo primo periodo si è registrato un Profit Factor davvero molto alto (12,3%). Il Drawdown medio si è mantenuto molto basso, così come quello massimo (4,42%). Anche qui, il dato è davvero confortante visto che l’andamento del cambio prevalentemente crescente - in assenza di copertura avrebbe portato ad un sicuro disequilibrio per i flussi di cassa dell’Azienda Export. Da gennaio a dicembre 2006 il cambio è passato da 1,18 a 1,34, un Run Up (parametro opposto al massimo Drawdown e fenomeno assolutamente da evitare per gli esportatori sprovvisti di copertura) di circa sedici figure (1.600 pips). Fig. 15 EurUsd 2006-2007 Fonte: elaborazione propria TS5: EurUsd 2007-2008 Altro rally del cambio ed altra perdita potenziale della nostra azienda export. In realtà assistiamo all’ennesima buona performance del nostro Trading System con un Profit Factor del 16,6% e un Profitto Totale Netto di quasi il 20%. Questo risultato è frutto di 5 operazioni complessive, delle quali solo una in perdita (minima, pari a circa l’1,2% contro il guadagno medio del 5,2% delle quattro operazioni in profit. Il Drawdown medio si è mantenuto molto basso, così come quello massimo (4,42%). L’andamento del cambio - esclusivamente crescente - in assenza di copertura avrebbe portato ad un sicuro disequilibrio per i flussi di cassa dell’azienda export considerando che da gennaio a dicembre 2007 il cambio è passato da 1,32 a 1,49. 87 Fig. 16 EurUsd 2007-2008 Fonte: elaborazione propria TS5: EurUsd 2008-2009 Nel 2008 assistiamo alla seconda performance negativa del nostro TS: a fine anno registriamo un -7,5% frutto di tre operazioni totali di cui solo una in profit. Analizzando l’andamento grafico notiamo come stavolta, a differenza dell’altra performance negativa, non si manifesta la caduta del cambio EurUsd (e quindi la funzione “stabilizzatrice” in conto economico). In effetti si verifica un deprezzamento dell’euro rispetto alla valuta americana (nel periodo Agosto-Novembre si è registrato un Drawdown massimo del 33%: si è passati da una quotazione 1,6037 del 15 Luglio 2008 a 1,2329 de del 28 ottobre 2008) ma se andiamo a registrare i valori del cambio ad inizio e fine anno notiamo un gap minimo, pari a circa quattro figure (1,44 Æ 1,40). La deludente performance della nostra strategia automatica di trading è dovuta fondamentalmente al forte incremento di volatilità (storicamente difficilmente prevedibile) che ha avuto il suo picco massimo proprio in corrispondenza dell’ultimo trimestre dell’anno. Fig. 17 EurUsd 2008-2009 Fonte: elaborazione propria Da sottolineare che in questo periodo molti TS sono saltati, a causa di setting statici elaborati in base ai periodi precedenti che non potevano prevedere la crisi e, in primis, il forte incremento di volatilità (passata dal 10% del periodo precedente al picco registrato nel mese 88 di dicembre pari al 34%). Come vedremo nel dettaglio nella simulazione, il TS nonostante la concomitante crisi globale dei mercati, riesce a limitare le perdite in virtù del fatto che riesce a guadagnare molto quando il cambio sale e perde poco quando il cambio scende. Questo mix di soluzioni permette di stabilizzare i flussi di cassa dell’azienda export e comunque di avere un risultato finale comunque accettabile. TS5: EurUsd 2009 Nel 2009 la volatilità si riduce, rimanendo comunque su livelli superiori alla media. Altra discesa e altro rally del cambio e potenziale perdita della nostra azienda export. In realtà assistiamo all’ennesima buona performance del nostro Trading System con un Profit Factor del 2,65% e un Profitto Totale Netto di quasi il 5,6%. Questo risultato è frutto di due operazioni positive sulle tre complessivamente fatte (al 18 Agosto 2009). Il Drawdown medio si è mantenuto molto alto, così come quello massimo (13%). L’andamento del cambio – prima decrescente, poi crescente – non ha comunque impedito alla strategia di performare positivamente. Fig. 18 EurUsd 2009 Fonte: elaborazione propria In sintesi, il TS ha ottenuto buone performance anche nell’analisi annuale. Il punto debole può essere rappresentato dal numero esiguo di operazioni che, anche se avvantaggia l’azienda/cliente sotto il profilo commissionale, non consente di ottenere buone performances nei movimenti di breve periodo del cambio Eur Usd. Ma, come già detto, è la copertura l’obiettivo fondamentale della nostra strategia, non la speculazione. La scelta viene comunque avvalorata dal fatto che il Trading System è riuscito ad ottenere rendimenti positivi in quasi tutte le situazione di mercato: crescente, laterale, con media volatilità e con bassa volatilità. Nell’unico anno in cui la strategia ha sottoperformato, eravamo in presenza di una situazione di mercato caratterizzata da alta volatilità e trend decrescente dell’euro (rafforzamento della valuta americana). Tale evidenza rappresenta un ottimo spunto di analisi e - visto che 89 l’obiettivo della ricerca è quello di trovare uno strumento di supporto all’impresa export risulta fondamentale comprendere quando questo finalità può essere perseguita e quando, invece, un utilizzo dello stesso al di fuori di determinate condizioni già “testate” possa invece configurarsi come ulteriore rischio per l’azienda. Fig. 19 EurUsd 2002-2009 Fonte: elaborazione propria Nella progettazione di una strategia di Trading, infatti, bisogna tener conto di tutte le possibili condizioni di mercato. Sinteticamente, il TS deve essere in grado di performare nelle quattro condizioni di mercato tipiche: 1. Alta direzionalità e alta volatilità 2. Alta direzionalità e bassa volatilità; 3. Alta volatilità e bassa direzionalità; 4. Bassa Volatilità e bassa direzionalità. 1. Alta direzionalità e alta volatilità: In questa fase sono richiesti T.S. ibridi che tengano conto sia del trend che del cambio di volatilità, i profitti sono veloci, ma altrettanto veloci possono essere le perdite. Gli stop-loss possono essere colpiti frequentemente mettendo a dura prova i nervi degli operatori che magari dopo aver chiuso in stop deve riaprire dopo poco ad un prezzo più alto. Anche i profitti possono essere ingenti e vanno gestiti con adeguati trailing-stop. 2. Alta direzionalità e bassa volatilità: è una condizione particolarmente profittevole per la maggior parte dei sistemi in quanto è possibile assistere ad incrementi e cali piuttosto lenti e progressivi nelle quotazioni. Difficilmente si presentano falsi segnali (incroci e medie MACD) mentre raramente si attivano i sistemi volatility break out. 3. Alta volatilità e bassa direzionalità: è possibile fare profitti rapidamente per poi vedere i prezzi tornare agli stessi livelli ante operazione. Anche le perdite possono essere molto veloci 90 e quindi è utile utilizzare indicatori molto reattivi (momentum): sono situazioni di mercato che solitamente non durano molto in quanto fotografano un nervosismo del mercato prima di trovare un nuovo equilibrio, quindi, una fase transitoria perché prima o poi una delle due forze (acquirenti – venditori) avrà la meglio sull’altra. 4. Bassa volatilità e bassa discrezionalità: non esistono strategie che possono produrre risultati: congestioni, fasi laterali e trading range sono movimenti poco decisi e che quindi non danno possibilità di realizzare profitti. E’ possibile sfruttare solo gli ampi canali leggermente inclinati. In questa fase sono fondamentali i filtri operativi che impediscono o limitano l’operatività, in attesa che il mercato diventi più dinamico. 3.4 Test robustezza con i cambi principali Verificata la validità del Trading System (TS) e la sua funzionalità in ogni situazione di mercato, procediamo con un ulteriore test per confermare la robustezza del nostro TS. Il sistema più utilizzato è quello di far “girare” il TS su cambi diversi: si sceglie di testare la nostra strategia sui cambi principali e su alcuni cambi derivati (cross). La robustezza è misurata dalla capacita del TS di generare profitto e mantenere un comportamento uniforme in condizioni differenti rispetto a quelle di test. Le condizioni differenti sono generate sia da diversi dati sia da settaggi differenti dei parametri di regolazione. Per variazioni contenute delle condizioni di test si devono avere variazioni contenute dei risultati. È importante ricercare sistemi stabili e robusti che garantiscano una maggiore continuità delle performance piuttosto che TS con risultati strabilianti su periodi storici con specifiche caratteristiche strutturali, ma del tutto incapaci di affrontare condizioni di mercato differenti. Non bisogna dimenticare, infatti, che il mercato futuro sarà certamente diverso da quello passato. La nostra strategia, testata prima su diversi TF, è stata poi applicata a sei diversi cambi, (quattro originali e due derivati) ottenendo risultati confortanti che ne avvalorano la robustezza (dettagli dei report e delle equity line in appendice, sez. VI) Cambi principali: Gbp/Usd - Nzd/Usd - Usd/Jpy - Aud/Usd GBPUSD Profitto totale netto Fattore di profitto (profit factor) Drawdown assoluto 44439.74 Profitto lordo 1.77 Ricompensa attesa 6045.64 Drawdown massimo 91 101886.54 Perdita lorda 1645.92 66478.02 (36.66%) -57446.80 Nel cambio GBP/USD il TS ottiene una discreta performance, con Profit Factor pari a 1,77 e un profilo totale netto del 44,5%. Meno buoni i dati sul Drawdown, alto sia in media (circa il 6%) che nel suo valore massimo (33,66). Fig. 20 GBPUSD Fonte: elaborazione propria NZDUSD Profitto totale netto Fattore di profitto (profit factor) Drawdown assoluto 19143.21 Profitto lordo 1.54 Ricompensa attesa 1512.87 Drawdown massimo 54363.41 Perdita lorda -35220.20 1126.07 32434.11 (24.29%) Nel cambio NZD/USD la strategia ottiene un Profitto totale Netto di quasi il 20%. Apprezzabile anche il Profit Factor (1,54) così come il drawdown assoluto (24%) e quello medio, molto basso. Fig. 21 NZDUSD Fonte: elaborazione propria USDJPY Profitto totale netto Fattore di profitto (profit factor) Drawdown assoluto -22613.92 Profitto lordo 0.53 Ricompensa attesa 33188.35 Drawdown massimo 25785.78 Perdita lorda -48399.70 -1330.23 38341.79 (36.46%) Nel cambio USD/JPY assistiamo invece ad una performance negativa: l’alta volatilità che solitamente caratterizza questo cambio ma anche l’andamento tendenzialmente opposto rispetto al nostro cambio di riferimento (EUR/USD) non consente al nostro Trading System di 92 realizzare un profitto. Nonostante le 10 operazioni in profit (sulle 17 complessive) a fine periodo assistiamo ad un loss del 22,6%, con il profit Factor a 0,53. Fig. 22 USDJPY Fonte: elaborazione propria I valori elevati del drawdown medio (33%) e massimo (oltre 36%) confermano la difficoltà ad operare su questo cross e soprattutto, con riferimento al cambio oggetto della nostra analisi, una ulteriore conferma che la trading system strategy, storicamente, non ottiene buone performances in presenza di una situazione di mercato caratterizzata da un’elevata volatilità. AUDUSD Profitto totale netto Fattore di profitto (profit factor) Drawdown assoluto 65143.46 Profitto lordo 16.61 Ricompensa attesa 1019.68 Drawdown massimo 69315.98 Perdita lorda -4172.52 2832.32 37224.80 (21.05%) Nel cambio AUD/USD il nostro TS ottiene una performance davvero interessanti che confermano la sua bontà soprattutto in un mercato crescente: Profitto Totale Netto del 65%, Profit Factor a 16,61 a fronte di un drawdawn medio e massimo molto contenuti. Questo cambio, fortemente correlato con l’andamento dell’EUR/USD rappresenta un ottimo test per la nostra strategia: 23 operazioni totali di cui 14 in profit con una media di circa il 5%. Fig. 23 AUDUSD Fonte: elaborazione propria 93 Visti i risultati dei test relativi ai cambi principali, procediamo ora con l’analisi dei cross derivati più importanti. Cross derivati: Eur/Jpy – Eur/Gbp. Fig. 23 EURJPY Profitto totale netto Fattore di profitto (profit factor) Drawdown assoluto 60419.68 Profitto lordo 2.40 Ricompensa attesa 3755.87 Drawdown massimo 103484.46 Perdita lorda -43064.78 1726.28 58091.53 (29.96%) Nel cross EUR/JPY i risultati ottenuti dalla nostra strategia sono più che buoni: +60% il profitto totale netto, con un Profit Factor di 2,40 un Drawdown medio relativamente basso e un DrawDown Massimo, invece, piuttosto importante (circa il 30%). Fig. 24 EURJPY Fonte: elaborazione propria EURGBP Profitto totale netto Fattore di profitto (profit factor) Drawdown assoluto 29238.72 Profitto lordo 3.75 Ricompensa attesa 2445.24 Drawdown massimo 39875.82 Perdita lorda -10637.10 1392.32 23371.21 (15.68%) Nel cross EUR/GBP i risultati sono interessanti: a fronte di un Profit Factor elevato (3,75) ci aspetteremmo un profitto totale netto sui massimi. In realtà il suo valore si attesta intorno al 30% (discreto) conseguenza soprattutto del basso rapporto W/L (Win/Loss). Fig. 25 USDGBP Fonte: elaborazione propria 94 In questo caso solo nove operazioni su ventuno hanno generato profitto, ma il profitto totale scaturisce dalla media notevolmente più elevata delle operazioni in profit (13%) rispetto a quelle in loss (4%). Anche il test sulla robustezza viene superato, con cinque risultati positivi su sei. Tale verifica conferma la bontà della strategia che si dimostra valida anche su altri cambi (con differenze rilevanti in termini di volume, volatilità, direzionalità) fugando i dubbi derivanti dal possibile eccessivo adattamento del Trading System allo specifico cambio di riferimento. L’overfitting va ridotte al minimo poiché espone il sistema al rischio di iper-ottimizzazione, un errore frequente di chi inizia a sviluppare sistemi. Si finisce cioè col trovare le frequenze che nel passato avrebbero generato i migliori segnali ma si tratta di frequenze troppo adattate e funzionali allo storico passato. Tab. 21 Sintesi risultati Cambio Profitto totale Netto (%) Profit Factor Drawdown Max (%) GBPUSD +44,44 1,77 36,66 NZDUSD +19,14 1,54 24,29 USDJPY - 22,6 0,53 36,46 AUDUSD +65,14 16,61 21,05 EURJPY +60,41 2,40 29,96 EURGBP +29,23 3,75 15,68 Fonte: elaborazione propria 95 3.5 Simulazione Una volta testata la robustezza del TS, validissimo anche sulla maggior parte degli altri cambi principali e derivati, valutiamo strategia da adottare in ambito copertura. Il Modello Export è dedicato a quei soggetti strutturalmente esposti all’indebolimento del dollaro (tipicamente aziende esportatrici ed investitori con assets denominati nella moneta americana). Scopo del modello è la stabilizzazione nel tempo dei flussi in valuta preservando le aziende da perdite su cambi in bilancio. Propedeutico all’inizio dell’operatività è l’assunzione di un grado di copertura pari al 50% del valore nominale dichiarato. Il modello necessita di 2 soli dati di input: 1. il valore nominale della copertura espresso in dollari; 2. il cambio di riferimento, che funge da benchmark. In base al cambio di riferimento ed alla volatilità storica95, vengono definiti il cambio inferiore e superiore ai quali corrispondono i livelli estremi del grado di copertura, indispensabili per la definizione di: - deposito iniziale, - leva da utilizzare de (0% - 40%) - eventuale utilizzo di stop-loss o strategie alternative. Tali dati risultano fondamentali per una corretta applicazione della strategia, soprattutto con riferimento all’importo iniziale da richiedere all’azienda come garanzia. Appare evidente, infatti, che in condizioni di bassa volatilità è possibile richiedere un importo molto ridotto e lasciar lavorare il sistema con una leva piuttosto elevata (quindi, esborso iniziale minimo). In caso contrario, ovviamente, il livello di rischiosità aumenta e sarà necessario richiedere un margine iniziale molto più alto, al fine di evitare stop loss o continui reintegri di liquidità da parte dell’azienda ad ogni sforamento dei livelli estremi. Analizziamo ora come si è comportato il cambio EurUsd nel periodo oggetto di analisi, procedendo nella valutazione delle performances del Trading System anno per anno (dettagli dei report, grafici e tabelle di sintesi in appendice, sez. VII). 95 Historical volatility: per calcolare quest'indicatore si deve innanzitutto scegliere il periodo (per esempio, gli ultimi 20 giorni). In seguito si calcolano le variazioni di ogni giorno su questo periodo e, successivamente, si calcola il logaritmo neperiano e la varianza di quest'insieme di valori (per estrapolazione otteniamo lo storico di volatilità in percentuale). Interpretazione: quando la volatilità é importante i cambiamenti di tendenza possono svolgersi al rialzo come al ribasso. 96 2002-2003 Nel periodo in esame, 2002-2003, si è verificato un forte apprezzamento dell’Euro rispetto al Dollaro (0,8908 Æ 1,0467). Il cambio, nell’arco dei dodici mesi, ha incrementato il suo valore di oltre quindici figure (1.500 pips). La volatilità si è mantenuta su livelli medi (intorno al 12%, leggermente inferiore rispetto ai valori del periodo immediatamente precedente). Dal report emerge chiaramente che il nostro TS ha lavorato molto bene, ottenendo una performance di quasi il 21% su base annua, con un Drawdown medio molto basso e quello massimo davvero a livelli minimi (L’importo a garanzia richiesto, considerando i valori più elevati del periodo precedente, si è rivelato più che sicuro [v. appendice, sez. VII]: la volatilità è rimasta sui livelli del periodo precedente e il massimo drawdown non ha superato il 5%). Quindi, se l’Azienda Export Spa il giorno 01/01/2002 emette una fattura a 12 mesi per un totale di $ 2.000.000 (con cambio a 0,8908) e scadenza il 31/12/2003 (con cambio a 1,0467) verrà generata una scrittura contabile nella quale si prevede un incasso di € 2.245.172,00. Qualsiasi cambio ci sarà il 31/12/2003, l’azienda dovrà registrare una differenza (positiva o negativa su cambi), in sintesi: SCENARI Senza copertura Con copertura TS DIFFERENZE NEGATIVE SU CAMBI 334.405,00 DIFFERENZE POSITIVE SU CAMBI 65.396,00 Tale situazione avrebbe portato un’azienda priva di copertura verso una perdita netta su cambi pari a quasi il 15% del potenziale incasso dalla controparte straniera (- 334.405 € nel nostro esempio, risultato della differenza tra il controvalore in euro al 31/12 e lo stesso ad inizio periodo: 1.910.767 - 2.245.172). Il mix di copertura adottato ha invece permesso di neutralizzare tale perdita e addirittura di incrementare le entrate, complessivamente, per un valore pari all’6,81 % (€ 65.396, risultato della differenza tra il controvalore in euro al 31/12 e la performance della Trading System Strategy: 12.305.396 - 2.245.172). 2003-2004 Nel periodo in esame, 2003-2004, si è verificato un ulteriore apprezzamento dell’euro rispetto al dollaro (1,0488 Æ 1,2588). Il cambio, nell’arco dei dodici mesi, ha incrementato il suo valore di oltre venti figure (2.000 pips). La volatilità si è mantenuta su livelli accettabili (intorno al 12%), in linea con i valori del periodo immediatamente precedente. Dal report emerge chiaramente che il nostro Trading System ha lavorato molto bene, ottenendo una 97 performance di quasi il 24% su base annua, con un Drawdown medio molto basso e quello massimo abbastanza contenuto. L’importo a garanzia richiesto si è rivelato più che sicuro: la volatilità è rimasta sui livelli del periodo precedente e il massimo drawdown, come detto, non ha superato il 10% [v. appendice, sez. VII]. Quindi, se l’Azienda Export Spa il giorno 01/01/2003 emette una fattura a 12 mesi per un totale di $ 2.000000 (con cambio a 1,0488) e scadenza il 31/12/2004 (con cambio a 1,2551) verrà generata una scrittura contabile nella quale si prevede un incasso di € 1.906.941,00. Qualsiasi cambio ci sarà il 31/12/2004, l’azienda dovrà registrare una differenza (positiva o negativa su cambi), in sintesi: SCENARI Senza copertura Con copertura TS DIFFERENZE NEGATIVE SU CAMBI 313.443,00 DIFFERENZE POSITIVE SU CAMBI 62.576,00 Tale situazione avrebbe portato un’azienda priva di copertura verso una perdita netta su cambi pari a quasi il 17% del potenziale incasso dalla controparte statunitense (-313.443 €, risultato della differenza tra il controvalore in euro al 31/12 e lo stesso ad inizio periodo: 1.593.498- 1.906.941). Il mix di copertura adottato ha invece permesso di neutralizzare tale perdita e addirittura di incrementare le entrate, complessivamente, per un valore pari all’3,28% (62.576 €, risultato della differenza tra il controvalore in euro al 31/12 e la performance della Trading System Strategy: 1.969.517 – 1.906.941). 2004-2005 Nel periodo in esame, 2004-2005, si è verificato un ulteriore apprezzamento dell’Euro rispetto al Dollaro (1,2588 Æ 1,3561), anche se la salita è stata meno accentuata rispetto ai periodi precedenti. Dopo un inizio in “laterale”, c’è stato un leggero ritracciamento in corrispondenza dei mesi estivi, poi è partito il rally che ha portato ai massimi di dicembre. Il cambio, nell’arco dei dodici mesi, ha incrementato il suo valore di circa dieci figure (1.000 pips). La volatilità si è attestata su livelli superiori rispetto ai valori del periodo precedente, passando dal 12 al 15%. Dal report emerge chiaramente che il nostro TS ha lavorato bene, ottenendo una performance di quasi il 9% su base annua [v. appendice, sez. VII]. Il Drawdown medio ha incrementato il suo valore rispetto al periodo precedente, così come il Drawdown massimo e la volatilità. L’importo a garanzia, prudenzialmente tenuto alto, ha così evitato il reintegro di capitali per una corretta continuazione della strategia. Se l’Azienda Export Spa il giorno 01/01/2004 emette una fattura a 12 mesi per un totale di $ 2.000000 (con cambio a 1,2588) e scadenza il 31/12/2004 (con cambio a 1,3561) verrà 98 generata una scrittura contabile nella quale si prevede un incasso di € 1.588.814,00. Qualsiasi cambio ci sarà il 31/12/2004, l’azienda dovrà registrare una differenza (positiva o negativa su cambi), in sintesi: SCENARI Senza copertura Con copertura TS DIFFERENZE NEGATIVE SU CAMBI 113.997,00 DIFFERENZE POSITIVE SU CAMBI 11.000.00 Tale situazione avrebbe portato un’azienda priva di copertura verso una perdita netta su cambi pari a oltre il 7% del potenziale incasso dalla controparte statunitense (- 113.997 € nel nostro esempio, risultato della differenza tra il controvalore in euro al 31/12 e lo stesso ad inizio periodo: 1.474.817-1.588.814). Il mix di copertura adottato ha invece permesso di azzerare questa perdita e di realizzare invece un risultato positivo di € 11.000 (+0,7%, risultato della differenza tra il controvalore in euro al 31/12 e la performance della Trading System Strategy: 1.599.814-1.588.814). 2005-2006 Nel periodo in esame, 2005-2006, si è verificato un ritracciamento del cambio EurUsd (1,3578 Æ 1,1839). Dopo un inizio in “dips”, c’è stato un movimento laterale che ha caratterizzato tutta la seconda parte dell’anno. Il cambio, nell’arco dei dodici mesi, ha ridotto il suo valore di oltre quindici figure (1.500 pips). La volatilità si è attestata a livelli inferiori rispetto ai valori del periodo precedente, passando dal 15 al 12%. Dal report emerge chiaramente che il nostro TS ha sotto performato, come prevedibile, in una situazione di mercato favorevole alle aziende Export: la discesa dell’EurUsd, quindi, l’apprezzamento del dollaro sulla valuta europea. La perdita si è attestata al 9% su base annua. Il Drawdown medio ha incrementato il suo valore rispetto al periodo precedente, così come il Drawdown massimo. La volatilità ha invece ridotto la sua forza [v. appendice, sez. VII]. Quindi, se l’Azienda Export Spa il giorno 01/01/2005 emette una fattura a 12 mesi per un totale di $ 2.000.000 (con cambio a 1,3578) e scadenza il 31/12/2005 (con cambio a 1,1839) verrà generata una scrittura contabile nella quale si prevede un incasso di € 1.472.970. Qualsiasi cambio ci sarà il 31/12/2005, l’azienda dovrà registrare una differenza (positiva o negativa su cambi), in sintesi: SCENARI DIFFERENZE NEGATIVE SU CAMBI Senza copertura Con copertura TS 99 DIFFERENZE POSITIVE SU CAMBI 216.361,00 43.371,00 L’attuale situazione di mercato avrebbe portato l’azienda, in assenza di copertura, ad ottenere un elevato profit in virtù dell’apprezzamento del dollaro nei confronti dell’euro ( 216.361 € nel nostro esempio, risultato della differenza tra il controvalore in euro al 31/12 e lo stesso ad inizio periodo: 1.689.331-1.472.970). E’ questa una situazione naturalmente sfavorevole per gli importatori e, al contrario, favorevole per gli esportatori. L’utilizzo di un sistema di copertura, in questo caso, riduce il profit potenziale, ma assolve pienamente alla sua funzione riportando comunque un profit di 43.371 €, risultato della differenza tra il controvalore in euro al 31/12 e la performance della Trading System Strategy: 1.516.3411.472.970). Scopo del modello è la stabilizzazione nel tempo dei flussi in valuta, preservando - o limitando - le aziende da perdite su cambi nel bilancio. 2006-2007 Nel periodo in esame, 2006-2007, si è verificato un recupero dell’euro nei confronti della moneta statunitense (1,1846 Æ 1,3197). Dopo un inizio in rally, c’è stato un movimento laterale che ha caratterizzato la parte centrale dell’anno, per poi ripartire nel mese di ottobre. Il cambio, nell’arco dei dodici mesi, ha incrementato il suo valore di quasi quattordici figure (1.400 pips). La volatilità si è attestata a livelli inferiori rispetto ai valori del periodo precedente, passando dal 12 al 10%. Dal report emerge chiaramente che il nostro Trading System ha lavorato bene, ottenendo una performance di quasi il 14% su base annua, con un Drawdown medio molto basso e quello massimo ai “minimi storici”. La volatilità si è ulteriormente ridotta [v. appendice, sez. VII]. L’importo a garanzia richiesto si è rivelato più che sicuro, probabilmente eccessivo: ma considerando la situazione immediatamente precedente – con drawdown ai massimi e volatilità più elevata – avrebbe rappresentato un azzardo proporre all’azienda export una leva molto alta (finalizzata alla riduzione del margine di garanzia). Quindi, se l’Azienda Export Spa il giorno 01/01/2006 emette una fattura a 12 mesi per un totale di $ 2.000.000 (con cambio a 1,1846) e scadenza il 31/12/2006 (con cambio a 1,1839) verrà generata una scrittura contabile nella quale si prevede un incasso di € 1.688.333. Qualsiasi cambio ci sarà il 31/12/2007, l’azienda dovrà registrare una differenza (positiva o negativa su cambi), in sintesi: SCENARI Senza copertura Con copertura TS DIFFERENZE NEGATIVE SU CAMBI 172.838,00 DIFFERENZE POSITIVE SU CAMBI 33.452,00 100 Tale situazione avrebbe portato un’azienda priva di copertura verso una perdita netta su cambi superiore al 10% del potenziale incasso dalla controparte statunitense (-172.838 € nel nostro esempio, risultato della differenza tra il controvalore in euro al 31/12 e lo stesso ad inizio periodo: 1.515.495-1.688.333). Il mix di copertura adottato ha invece permesso di neutralizzare tale perdita e addirittura di incrementare le entrate, complessivamente, per un valore pari a circa il 2% (33.452 €, risultato della differenza tra il controvalore in euro al 31/12 e la performance della Trading System Strategy: 1.721.785-1.688.333). 2007-2008 Nel periodo in esame, 2007-2008, si è verificato un ulteriore apprezzamento dell’Euro nei confronti del Dollaro (1,3197 Æ 1,4588). Una crescita graduale fino ad Agosto, per poi partire con un rally nel mese di Settembre. Il cambio, nell’arco dei dodici mesi, ha incrementato il suo valore di oltre tredici figure (1.300 pips). La volatilità si è attestata a livelli superiori rispetto ai valori del periodo precedente, passando dal 10 al 13%. Dal report emerge un ottima performance del nostro Trading System con un profitto totale netto di quasi il 20% su base annua e un Drawdown medio e Massimo a livelli minimi. La volatilità è invece aumentata, passando dal 10 al 13%. L’importo a garanzia richiesto si è rivelato più che sicuro [v. appendice, sez. VII]. Quindi, se l’Azienda Export Spa il giorno 01/01/2007 emette una fattura a 12 mesi per un totale di $ 2.000.000 (con cambio a 1,3197) e scadenza il 31/12/2007 (con cambio a 1,4588) verrà generata una scrittura contabile nella quale si prevede un incasso di € 1.515.495. Qualsiasi cambio ci sarà il 31/12/2007, l’azienda dovrà registrare una differenza (positiva o negativa su cambi), in sintesi: Tale situazione avrebbe portato un’azienda priva di copertura verso una perdita netta su cambi di quasi il 10% del potenziale incasso dalla controparte statunitense (-144.506 € nel nostro esempio, risultato della differenza tra il controvalore in euro al 31/12 e lo stesso ad inizio periodo: 1.370.989-1.515.495). Il mix di copertura adottato ha invece permesso di neutralizzare tale perdita e realizzare – in condizioni di mercato avverse - una risultato più che positivo, trasformando una differenza negativa su cambi (- 144.506 €) in una positiva (+ 77.326 €, risultato della differenza tra il controvalore in euro al 31/12 e la performance della Trading System Strategy: 1.592.821-1.515.495). 101 2008-2009 Nel periodo in esame, 2008 - 2009, in concomitanza della crisi finanziaria che ha colpito i mercati globali, si è manifestata una caduta dell’euro. E’ questa una situazione ormai nota: in presenza di una crescente avversione al rischio, si disinvestono gli assets rischiosi e ci si dirige verso le cosiddette “valute rifugio”: Usd, Jpy e Chf. Dopo una prima parte dell’anno in leggera crescita, in corrispondenza dei mesi estivi si è verificato un crollo del cambio EurUsd che, dopo i minimi di novembre, ha ripreso a crescere nella parte finale dell’anno. Il cambio, nell’arco dei dodici mesi, ha perso il suo valore di circa sei figure (600 pips) ma il dato rilevante è rappresentato dal massimo drawdown subito nel periodo agosto novembre. Dal report emerge chiaramente come il Trading System, in corrispondenza della caduta verticale del cambio, abbia sotto-performato [v. appendice, sez. VII]. Ma dobbiamo soffermare la nostra attenzione non tanto sul valore della performance (in fondo il TS ha perso solo il 7,4%) ma sul valore del Drawdown, medio e soprattutto massimo. Nel periodo Agosto-Novembre si è registrato un Drawdown massimo del 33%: si è passati da una quotazione 1,6037 del 15 Luglio 2008 a 1,2329 de del 28 ottobre 2008. In nostro sistema ha “retto l’urto” andando molto vicino alla barra inferiore di oscillazione (1,18), ma tale situazione del cambio (casuale, visto che l’impatto del max drawdown è stato “attenuato” dal’apprezzamento dei primi mesi dell’anno che ha permesso al nostro sistema di accumulare gain utile poi ad ammortizzare la perdita subita nella seconda parte dell’anno) deve servire come imput per capire cosa sarebbe successo in caso di violazione dei parametri fissati ad inizio periodo. Nel caso in cui avessimo impostato un range di oscillazione del 10%, infatti, il nostro estremo inferiore sarebbe stato toccato il giorno 21 Ottobre 2000 (EurUsd 1,30). A quel punto i nostri fondi dati a garanzia della copertura ($ 360.000) si sarebbero esauriti e l’azienda export si sarebbe trovata di fronte ad un bivio: - stop: quindi “realizzazione della perdita” (in previsione di ulteriori ribassi) - reintegro del margine: quindi proseguimento della strategia (in previsione una ripresa). In teoria la scelta sull’esercizio o meno dello stop potrebbe essere fatta al momento (sulla base del “sentiment” di mercato) ma in pratica queste alternative devono essere considerate all’inizio del periodo; in ambito di copertura del rischio di cambio non possiamo parlare di trading con operatività discrezionale ed è preferibile pianificare le strategie e tutte le possibili evoluzioni del mercato (positive e negative). In alternativa allo stop loss si propone un’ulteriore strategia di copertura che si integra perfettamente a quella in atto e, soprattutto per l’azienda, senza costi aggiuntivi: parliamo di una copertura attraverso l’utilizzo delle 102 Currency Options: il Collar è un’opzione su cambi costituita dalla combinazione fra l’acquisto di un’opzione Cap e la contestuale vendita di un’opzione Floor. Essa permette di contenere le oscillazioni del cambio EurUsd all’interno di un corridoio, delimitato in alto dal livello strike del Cap e, in basso, dal livello strike del Floor. Il Collar ideale è quello cosiddetto “zero cost”, dove cioè i premi delle due opzioni si elidono completamente fra loro, comportando un esborso nullo (D.V. Linden, 2004). Naturalmente occorre verificare la congruità dei livelli strike che ne derivano, soprattutto quello del Cap, poiché esso rappresenta la “vera” copertura al rialzo del cambio. Normalmente nel Collar zero cost si parte fissando lo strike del Cap e si vede quanto alto deve salire lo strike del Floor per annullare l’esborso a pronti. La contrazione del canale (funzione anche della durata temporale dell’opzione) rappresenta in estrema sintesi il costo implicito per l’azienda. Ovviamente tale strategia, al contrario dell’esercizio dello stop loss, deve necessariamente essere decisa ad inizio periodo, rendendola effettiva attraverso il contemporaneo acquisto e vendita degli strumenti in oggetto. Occorre sottolineare che in questo periodo molti Trading System sono saltati, a causa del setting fatto in base ai periodi precedenti che non potevano prevedere la crisi e, in primis, il forte incremento di volatilità passato dal 10% del periodo precedente al 34% (picco registrato il 18 Dicembre 2008). Tale evidenza funge da insegnamento per le strategie future: se l’esperienza ha dimostrato che con valori di volatilità molto elevati questo Trading System registra basse performance si potrebbe ottimizzare la strategia settando il TS per funzionare a volatilità maggiori (ma così facendo metteremmo a rischio le performance ottenute in condizioni normali di volatilità) oppure inserendo un filtro che limiti o escluda l’ operatività al superamento di determinati livelli di volatilità. Questa seconda scelta si preferisce poiché, attraverso un piccolo accorgimento, non va a snaturare una strategia che storicamente ha ottenuto ottimi risultati. Quindi, se l’Azienda Export Spa il giorno 01/01/2008 emette una fattura a 12 mesi per un totale di $ 2.000.000 (con cambio a 1,4588) e scadenza il 31/12/2008 (con cambio a 1,3978) verrà generata una scrittura contabile nella quale si prevede un incasso di €. 1.370.989. Qualsiasi cambio ci sarà il 31/12/2008, l’azienda dovrà registrare una differenza (positiva o negativa su cambi), in sintesi: SCENARI Senza copertura Con copertura TS DIFFERENZE NEGATIVE SU CAMBI DIFFERENZE POSITIVE SU CAMBI 59.830,00 21.085,00 Tale situazione avrebbe portato un’azienda priva di copertura verso un guadagno su cambi pari a 4,36% dell’investimento iniziale (in base al nostro esempio, circa € 60.000, risultato della differenza tra il controvalore in euro al 31/12 e lo stesso ad inizio periodo: 103 1.430.819-1.370.989). In realtà in questo unico periodo e, come detto, in concomitanza della crisi globale dei mercati finanziari, la Export SpA deve registrare una perdita si cambi del 1,54% (risultato della differenza tra il controvalore in euro al 31/12 e la performance della Trading System Strategy: 1.392.074-1.370.989). Il mix di copertura adottato non permesso di “speculare” sul crollo dell’economia globale, ma ribadiamo che in ottica di stabilizzazione dei flussi in valuta, anche in questa situazione il risultato è stato raggiunto. 2009 Nel periodo in esame, 2009, si è verificato prima una caduta (gennaio – Marzo) e poi un apprezzamento dell’euro nei confronti del Usd. Il risultato finale è rappresentato da uno scostamento minimo al rialzo (1,3978 Æ 1,4167, neanche due figure). In realtà l’elevata volatilità ha fatto si che si registrasse un minimo relativo di 1,2455 del 4 Marzo 2009 e un massimo di 1,4446 del 3 Agosto 2009 (quasi venti figure, circa 20.000 pips). La volatilità si è attestata a livelli inferiori (ma non era difficile prevederlo) rispetto ai valori del periodo precedente, passando dal 25 al 18% [v. appendice, sez. VII]. Dal report emerge una buona performance del nostro TS che un profitto totale netto di quasi il 6% su base annua (anche se riferita al periodo Gennaio-Agosto) con un Drawdown medio e Massimo a livelli discreti (13%) ma comunque minimi rispetto valori registrati nel periodo precedente (33%). Anche la volatilità, come già accennato, passando dal passando dal 25 al 18%. L’importo a garanzia richiesto si è rivelato ampiamente sufficiente. L’Azienda Export Spa il giorno 01/01/2009 emette una fattura per un totale di $ 2.000000 (con cambio a 1,3978) al 18 Agosto 2009 ha realizzato una differenza positiva su cambi pari a € 30.805, rispetto ad una potenziale perdita di circa 20.000 Euro. 104 3.5 Sintesi Risultati Questi sono i risultati finali relativi alla nostra strategia di trading. Il suo utilizzo ha portato, con un capitale nozionale pari a 2 milioni di dollari, ad una differenza positiva su Cambi complessiva pari a 302.842,00 € a fronte di una perdita derivante dal mancato utilizzo della copertura di 822.086,00. Tab. 22 Sintesi risultati P/L senza copertura P/L con copertura Totale % 2002 2003 2004 2005 -334.405,00 -313.443,00 -113.997,00 216.361,00 399.801,00 376.019,00 124.998,00 -172.990,00 65.396,00 62.576,00 11.001,00 43.371,00 + 2,91% + 3,28% + 0,70% + 2,94% 2006 2007 2008 2009 -172.838,00 -144.506,00 59.830,00 -19.088,00 206.290,00 221.832,00 -80.915,00 49.893,00 33.452,00 77.326,00 -21.085,00 30.805,00 + 1,98% + 5,10% -1,54% + 2,15% TOTALE - 822.086,00 € 1.124.928,00 € 302.842,00 € Fonte: elaborazione propria Rilevante il guadagno a fine periodo, anziché una perdita. L’obiettivo fondamentale non è però questo, ma la stabilizzazione dei flussi di cassa per l’azienda export. Il grafico seguente dimostra come l’utilizzo del sistema di copertura in esame consenta di immunizzare i flussi in USD in tutti gli anni oggetto della simulazione (2002-2009). Fig. 26 Risultati 500.000 400.000 300.000 Profit / Loss 200.000 100.000 0 -100.000 -200.000 -300.000 -400.000 2002 2003 2004 2005 P/L senza copertura Fonte: elaborazione propria 105 2006 anni 2007 P/L con copertura 2008 2009 Totale La serie in rosso (P/L senza copertura) descrive il guadagno/perdita in conto capitale derivante da una strategia di gestione dei flussi completamente scoperti; la serie blu (P/L con copertura) rappresenta i risultati della Trading System Strategy mentre la serie gialla (TOTALE) rappresenta la somma delle due grandezze precedenti ed è il nostro benchmark di riferimento per la valutazione della strategia di copertura. Una buona strategia, infatti, dovrebbe consentire in tutti gli anni un saldo positivo tra risultato senza copertura e risultato della copertura. Il grafico seguente mostra, su base annuale, la stabilità dell'approccio nel corso del periodo della simulazione. Fig. 27 Risultati (2) € 500.000 € 400.000 € 300.000 € 200.000 € 100.000 €0 -€ 100.000 -€ 200.000 -€ 300.000 -€ 400.000 2002 2003 2004 2005 P/L senza copertura 2006 2007 P/L con copertura 2008 2009 Totale Fonte: elaborazione propria Questo grafico evidenzia ancora meglio l’effetto stabilizzazione del Trading System nel corso del tempo96. Nel prossimo paragrafo confronteremo i risultati ottenuti con due strategie alternative: acquisto a termine e opzioni. 3.6 Confronto strategie Confrontiamo i risultati ottenuti dalla Trading System Strategy, con due strumenti alternativi, scegliendo – tra quelli visti nel capitolo precedente - il più tradizionale (negoziazione a termine) e il più flessibile (Opzione): 1. forward; 2. opzioni valutarie. 96 Fondamentale per la realizzazione di strategie e di listini ad inizio periodo. 106 Attraverso tale procedura – che rappresenta un’ulteriore test dopo quello realizzato mediante la simulazione con i principali cambi e cross (v. par. 3.4) – si intende confermare la robustezza della strategia in esame e, in definitiva, la validità della stessa. 1. La negoziazione a termine. La negoziazione a termine può essere definita la modalità di copertura standard, in quanto è adottata dalla grande maggioranza delle imprese che coprono il rischio di cambio. La strategia in esame ha due importanti vantaggi: - ha un costo nullo; - copre completamente il rischio transattivo. Essa presenta tuttavia anche un grande limite: è una strategia completamente rigida, nel senso che, in presenza di andamenti favorevoli del tasso di cambio, l’impresa non ne beneficia in alcun modo. Un altro limite, comune tuttavia alla maggior parte delle strategie in esame, risiede nella rigidità di esecuzione: alla data di liquidazione prevista, l’impresa è obbligata allo scambio della divisa contro Eur, senza possibilità né di proroghe, né di liquidazioni parziali97. Possiamo osservare una tabella ed un grafico che meglio evidenziano la struttura della strategia in esame. Tab. 23 Struttura tassi a termine Anno Spot a Pronti Outright98 Spot a Pronti 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 0,8908 1,0488 1,2588 1,3578 1,1846 1,3197 1,4588 1,3978 0,887004 1,029654 1,249656 1,34086 1,236552 1,324872 1,470026 1,383317 1,0467 1,2588 1,3561 1,1839 1,3197 1,4588 1,3978 1,416799 (1/1) (1 anno) (31/12) Profit/Loss Potenziale* -334.405,00 -313.443,00 -113.997,00 216.361,00 -172.838,00 -144.506,00 59.830,00 -19.088,00 RISULTATO** Hedging Hedging Hedging Hedging Hedging Hedging Hedging Hedging * Su un capitale nozionale di 2.000.000 di Dollari, in assenza di copertura. ** al netto delle spese bancarie (dai 2 ai 4 pips sul prezzo outright) e ricordando che, affinché l’operazione possa essere compiuta, l’impresa deve avere un’apposita linea di credito presso la Banca. Normalmente, l’utilizzo del fido avviene come percentuale del valore dell’operazione pari, in media, al 30% del valore del contratto. Per tale strategia sono necessarie due informazioni: 1. il valore a scadenza dei tassi; 2. i costi dell’operazione e le garanzie richieste dalla banca (variabile a seconda della forza contrattuale dell’azienda). 97 È tuttavia vero che, in caso di bisogno, l’impresa può concludere altri contratti che possono comunque consentirle di raccordare la copertura con l’operazione sottostante. Ad esempio, in alternativa, stipulare un currency swap o estinguere i contratti future prima della scadenza. 98 Fonte: Datasteream. EUR/USD TERMINE = EUR/USD PRONTI * [1 + (i Usd – i Eur ) * GG ] / (36 * 100) 99 Al 31/08/2009, termine della Trading System Strategy. 107 Con riferimento al primo punto è sufficiente osservare il grafico – con scadenza 1 anno - dei tassi FWD ed estrarre i relativi valori annuali (Fig. 52 in appendice, sez. VIII). Per quanto concerne il punto due, a titolo esemplificativo, è stata inserita l’offerta di Banca Sella (tra le più convenienti, con una richiesta pari allo 0,15% del controvalore in euro) (Fig. 53 in appendice, sez. VIII). La negoziazione a termine replica esattamente la posizione di rischio sottostante, con un risultato nullo ad ogni livello di tasso di cambio (Fig. 54 in appendice, sez. VIII). Ne consegue la totale immunizzazione dal rischio di perdite, ma anche la totale assenza di possibili guadagni (che, nel caso in esame, si avrebbero negli anni 2005 e 2008). È bene ricordare che il caso proposto è quello tipico delle imprese esportatrici, ma è perfettamente replicabile per le imprese importatrici: - chi esporta vende divisa a termine, per un ammontare ed una scadenza coincidenti con quelli dell’incasso previsto; - chi importa compra divisa a termine, per un ammontare ed una scadenza coincidenti con quelli del pagamento da effettuare. 2. Le opzioni valutarie (plain vanilla). L’opzione plain vanilla è l’opzione standard, senza elementi di esoticità o clausole particolari che ne modifichino il profilo di rischio/rendimento100. Con le opzioni plain vanilla, invece, si acquistano strumenti che garantiscono il massimo della protezione e contemporaneamente il massimo della dinamicità; il costo è tuttavia elevato. Innanzi tutto, è bene chiarire subito che le imprese dovrebbero, ai fini della mera copertura dai rischi, comprare le opzioni, e mai venderle101. In generale, gli esportatori sono interessati ad acquistare opzioni EurCall/UsdPut, ossia opzioni in cui si consegna divisa contro Eur al cambio strike, mentre gli importatori sono interessati ad acquistare opzioni EurPut/UsdCall, in cui si consegna Eur contro ricezione di divisa estera allo strike price. Per quanto riguarda l’ammontare di nozionale giusto dell’opzione, vediamo se esso sarà pari all’importo del credito (o del debito), ovvero un importo diverso. Al riguardo, esistono due filosofie operative (Facile, 1996). Seguendo tale impostazione, per rispondere in modo esauriente alla domanda, dobbiamo riprendere il concetto di delta dell’opzione: tale 100 Usualmente, l’esoticità delle opzioni è una qualità che viene ricercata dagli utilizzatori al fine di abbattere il costo dell’opzione, sfruttando o particolari caratteristiche del proprio profilo di rischio sottostante che consentano una riduzione del rischio da coprire, ovvero ipotizzando che certi movimenti del mercato valutario siano, concretamente, o impossibili (ossia si assegna probabilità zero alle oscillazioni oltre un certo limite) ovvero, al contrario, certi (probabilità = 1). 101 La vendita di opzioni può semmai essere una tecnica per migliorare la redditività della tesoreria aziendale, ma tuttavia è foriera di rischi. 108 indicatore risulta estremamente importante poichè esprime la misura in cui la variazione del sottostante causa la variazione nel valore dell’opzione102. Il delta delle opzioni tende a crescere (con intensità espressa dal gamma) nel passaggio dell’opzione dalla condizione OTM a quella ATM per arrivare a quella ITM; ciò significa che, in sostanza, quando l’opzione è OTM le variazioni del sottostante, mentre modificano pienamente il profilo di guadagno sull’esposizione originaria coperta (in un momento in cui su tale esposizione si stanno realizzando profitti), modificano poco il prezzo di mercato dell’opzione. Quanto più il sottostante si sposta verso la condizione di ITM, tanto più la variazione di valore dell’opzione tenderà a coprire la perdita potenziale sull’esposizione sottostante. L’impianto organizzativo che sottende il ragionamento fin qui esposto si fonda sul concetto di coprire la variazione di valore della posizione sottostante con il valore di mercato dell’opzione: in qualsiasi momento fosse necessario liquidare quest’ultima, liquidando anche l’opzione si sarebbe ottenuta la copertura. La strategia fin qui presentata è assolutamente interessante, oltre che operativamente molto efficace. Tuttavia, richiede una struttura e delle conoscenze che difficilmente le aziende hanno; è però possibile operare con le opzioni seguendo un altro approccio, probabilmente meno dinamico, ma più adatto almeno alle PMI. Il principio è quello di confrontare il guadagno o la perdita sul sottostante con il pay-out alla scadenza dell’opzione, nel momento in cui il sottostante dovrà essere liquidato. Ciò consente due semplificazioni: 1. il valore nominale dell’opzione deve coincidere con il valore dell’esposizione da coprire; 2. la durata dell’opzione dovrebbe coincidere con quella del credito o del debito da coprire, anche se è possibile comprare un’opzione più lunga, con l’obiettivo di rivenderla alla scadenza del credito o del debito medesimi. Tuttavia, il time decay è tale per cui la perdita di valore dell’opzione è tanto più accentuata quanto più si avvicina la scadenza, per cui probabilmente tale tecnica non ha molto senso. La copertura sarebbe assicurata secondo il pay-out dell’opzione a scadenza. Di seguito, dopo l’analisi dei dati necessari alla determinazione del prezzo delle opzioni, possiamo esaminare una tabella di sintesi che sintetizza i possibili risultati di una strategia in opzioni. La valutazione delle opzioni su cambi di tipo europeo, come detto, è comunemente fatta secondo 102 Ciò significa, ad esempio, che se il delta è pari al 50% ed il sottostante aumenta del 10%, il valore dell’opzione varierà del 5%, in aumento od in diminuzione rispettivamente nel caso di Eurcall o di Eurput. Oltretutto, il delta delle opzioni non è costante, ma varia al variare del sottostante medesimo: la velocità con la quale ciò accade è espressa dal “gamma” (derivata seconda del valore dell’opzione rispetto al sottostante). Un gamma elevato significa che il delta dell’opzione è molto sensibile, mentre un gamma basso significa che il delta è abbastanza stabile. 109 la formula di Garman-Kohlagen, una variante della più famosa formula di Black- Scholes, che si presenta così103: Per il calcolo del prezzo delle Call Option, abbiamo bisogno di dati quali: tassi FED, tassi BCE e Volatilità EurUsd (Fig. 55, 56 e Tab. 68 in appendice, sez. VIII). Avendo tutti i dati a disposizione (cambio spot, Strike desiderato, tasso USD, tasso BCE, vita residua, standard deviation, importo nominale della copertura) applichiamo la formula vista in precedenza per la valutazione dell’opzioni su cambi. Tab. 24 Opzioni Plain Vanilla Fonte: elaborazione propria Come possiamo desumere dalla tabella 24, il pay-out di una strategia del genere è leggermente peggiore del cambio a termine “secco”, per un livello di cambio spot a scadenza superiore al break-even, mentre è sensibilmente migliore per livelli di spot a scadenza 103 Cfr. KPMG, 2002, Guida agli strumenti derivati, Edibank, Milano, pagg. 160-161 110 inferiori a tale soglia. Ma questo è il “prezzo” che paghiamo per la maggiore flessibilità di utilizzo: ricordiamo, infatti, che al contrario del Forward, il possessore di un Opzione ha il diritto, e non l’obbligo, di esercitarla a scadenza. Se la copertura è attiva (opzione ITM, e perciò esercitata), il netto ricavo dalla consegna dei 2.000.000 USD è minore di quello ottenibile con la semplice negoziazione a termine (la differenza è rappresentata dagli Euro pagati come premio), mentre se la copertura non è attiva (opzione OTM, e perciò abbandonata), il netto ricavo è superiore. Nell’intervallo compreso tra il break-even e lo Strike l’opzione è abbandonata ed i dollari sono venduti sul mercato ad un cambio migliore del tasso a pronti, ma il guadagno copre solo parzialmente il premio pagato, mentre per livelli di cambio spot a scadenza inferiori al livello di break-even, il guadagno netto è positivo e crescente: ciò significa che la copertura è dinamica, ossia protegge dal rialzo del tasso di cambio, e nel contempo consente guadagni nel caso di un suo ribasso. L’impresa che avesse stipulato un’opzione del genere avrebbe perciò coperto tutte e tre le forme di rischio di cambio (transattivo, economico, competitivo): si sarebbe assicurata la redditività prevista, nel caso di andamento sfavorevole del mercato valutario (Eur in aumento), proteggendo la redditività delle vendite senza aver necessità di alzare i prezzi in divisa (mossa pericolosa sia in termini di marketing che commerciale), e si sarebbe assicurata altresì o la possibilità di incrementare la propria redditività in caso di andamento favorevole del mercato valutario (Eur in discesa), ovvero la possibilità di abbassare i prezzi in divisa (ad esempio promovendo una campagna commerciale) pur mantenendo costante il proprio margine di profitto. Il “difetto” percepito dalle imprese, come detto più volte, è rappresentato dal costo iniziale. Nella tabella proposta possiamo vedere come tale importo, per un valore nominale di copertura di 2.000.000 $, oscilli tra i 23.000 € del 2006 ai 200.000 € del 2009 (14,1%). Il costo sopportato dalle imprese dovrebbe essere da queste o portato in diretta diminuzione del margine aziendale, o portato in aumento dei prezzi di vendita (o una combinazione dei due): molte imprese lavorano però a margini ridottissimi, ed in mercati altamente concorrenziali, e perciò possono avere difficoltà ad adottare sia l’uno che l’altro comportamento. Esistono strategie che, pur salvaguardando (anche se in misura minore) i vantaggi delle opzioni, possono ridurne il prezzo: senza andare ad approfondire ulteriormente le tematiche relative alle opzioni esotiche (sicuramente più economiche ma molto più rischiose, e quindi poco conciliabili ad una strategia aziendale di hedging) una strategia che si può adottare per ridurre il premio è quella stipulare opzioni out of the money, ossia con strike price peggiori rispetto al livello dell’outright di mercato del momento in cui si decide la copertura: - nel caso di Eurcall lo strike dovrebbe essere maggiore dell’outright, - nel caso di Eurput lo strike dovrebbe essere minore dell’outright. 111 La stipula di opzioni plain vanilla out of the money, a fronte di una riduzione del costo, riduce altresì il profilo di guadagno. Non replichiamo quanto osservato in sede di analisi della strategia attuabile con opzioni plain vanilla ATM, riguardo la dinamicità della copertura, in quanto si tratta di considerazioni del tutto valide anche per le opzioni plain vanilla negoziate OTM. Dal confronto tra le due strategie emerge un dato: entrambe le opzioni coprono dal rischio di cambio, e lo fanno in modo dinamico, cioè non impedendo l’ottenimento degli eventuali guadagni. Ciò che cambia tra le due è che l’impresa può scegliere tra il pagare un premio maggiore, ed ottenere un miglior profilo in caso di esercizio dell’opzione, e pagare un premio minore, ma ottenere un profilo peggiore in caso di esercizio. Ciò che varia è in sostanza il cambio obiettivo. È perciò evidente che la scelta, nel caso in cui l’azienda volesse abbattere il premio, è fino a che punto è conveniente peggiorare il cambio obiettivo al fine di pagare un prezzo minore. Per le divise che quotano a sconto, ossia che hanno un cambio a termine contro Eur minore del cambio a pronti, il responsabile finanziario di un’impresa esportatrice riesce molto facilmente a convincere la Direzione Aziendale a fissare uno strike price al livello del cambio a pronti, cui corrisponde un’opzione OTM (e quindi un premio ridotto), perché tale strike è percepito come “naturale”, mentre in realtà l’equivalenza finanziaria si avrebbe con il cambio a termine. E’ bene fare una considerazione: nel caso l’impresa operasse in un mercato ad alti margini o con domanda scarsamente elastica, ovvero in un mercato poco concorrenziale, non dovrebbe avere enormi difficoltà a ricaricare sul prezzo finale - in tutto od in parte - il costo della copertura, oppure a farsene carico in proprio. Dove, al contrario, l’impresa operasse in un mercato con bassi margini, molto concorrenziale o con domanda elastica, essa avrebbe maggiori difficoltà a gestire il costo della copertura, ma è anche vero che la copertura sarebbe ancor più importante, proprio in virtù del fatto che l’impresa non si potrebbe permettere riduzioni del margine di profitto o incrementi del prezzo, nel caso di andamento sfavorevole del mercato valutario. Dobbiamo perciò entrare nell’ottica che il costo per la copertura dal rischio di cambio è un costo di produzione come gli altri, necessario, sicuramente da ottimizzare, ma tuttavia da non relegare in secondo piano. Dopo l’analisi delle performances delle diverse strategie in esamen, procediamo con il confronto dei risultati ottenuti (Tab. 25) e visualizziamo successivamente una rappresentazione grafica degli stessi (Figg. 23 e 24). 112 Tab. 25 Confronto strategie di copertura Fonte: elaborazione propria Con lo strumento tradizionale, l’azienda si copre da eventuali oscillazioni: acquista a termine e, alla scadenza, paga quanto pattuito più le commissioni (la retta “P/L con Forward” sarà quindi traslata verso il basso a seconda delle commissioni applicate dalla banca, nel nostro caso ipotizzata allo 0,15%). Fig. 28 Confronto strategie 300.000 Profit / Loss 200.000 100.000 0 -100.000 -200.000 -300.000 -400.000 1 2 3 4 5 6 7 8 Anni (2002-2009) P/L senza Copertura P/L con Opzioni Fonte: elaborazione propria 113 P/L con Forward P/L con Trading Strategy Osservando il grafico vediamo come in assenza di copertura (linea rossa) si andrebbe incontro a forti oscillazioni in “conto cambi”, realizzando alternativamente forti perdite e discreti gain ma comunque restando in balia degli imprevedibili andamenti di mercato. Le opzioni (linea viola) permettono all’azienda di garantirsi una minore oscillazione, ma ad un prezzo piuttosto elevato e comunque crescente al crescere della volatilità. Tradizionalmente più tranquillo, semplice da usare e con costi contenuti è il forward il cui andamento (linea gialla) ne conferma la praticità e la preferenza nel caso in cui si preferiscano strategie di copertura statiche. Leggermente più rischiosa ma sicuramente più profittevole, infine, l’andamento della Trading System Strategy (linea blu) che riesce a rimanere sopra la parità per quasi tutto il periodo preso in considerazione. Dal confronto emerge dunque uno scarso interesse per l’utilizzo delle opzioni valutarie che risultano le più onerose e che potrebbero far emergere a pieno tutta la propria efficacia solo a fronte di un acquisto delle stesse in regime di bassa volatilità (strike basso) e incremento della stessa verso fine periodo (con vendita prima della scadenza). Ma in questo caso stiamo oltrepassando il “vincolo” che ci eravamo preposti in questa sede (la semplice copertura) per sconfinare verso un’operatività speculativa che poco si addice alla gestione tipica della tesoreria aziendale. In realtà, l’esportatore che scelga l’acquisto di un’opzione put dollari rispetto alla semplice copertura a termine si vuole coprire fissando un cambio minimo di vendita (strike price), sperando che in realtà si verifichi il fenomeno opposto, ossia che l’euro si indebolisca ed egli ricavi più dollari dalla vendita sul mercato a pronti, senza esercitare l’opzione. L’apparente paradosso di chi acquisti opzioni in cambi per coprirsi da una posizione di tesoreria sottostante risiede nel fatto che egli spera di non esercitarle a scadenza: ossia compra una facoltà sperando di non utilizzarla, ma almeno fissando un prezzo minimo/massimo della divisa venduta/acquistata. Fig. 24 Confronto strategie (2) 300.000 200.000 Profit / Loss 100.000 0 -100.000 -200.000 -300.000 -400.000 1 2 3 4 5 6 7 Anni (2002-2009) P/L seenza copertura P/L con Opzioni P/L con Forward P/L con Trading Strategy Fonte: elaborazione propria 114 8 Arrivando alla Trading System Strategy, occorre sottolineare come il costo opportunità per il mancato impiego del capitale104 (a garanzia dell’operatività del TS) è più che compensato dai rendimenti del TS (in media, superiori al 6%, non dimenticando gli interessi attivi percepiti per il 50% della posizione “Long EurUsd”). A fronte della “rigidità” dei sistemi tradizionali (contratto fisso con scadenza e importo prefissati) la strategia proposta mostra una notevole flessibilità, consentendo di modificare i diversi parametri: - deposito iniziale; - leva utilizzata (livello di rischio); - percentuale da destinare al Trading System (di default al 50%); - possibilità di fissare stop loss; - possibile inserimento di strategie alternative (opzioni). I risultati mostrano come la gestione di questi parametri possa far oscillare le “sovraperformance105” del nostro sistema di copertura dal valore ottenuto € 382.842 (al cambio attuale106 circa $ 535.978, ovvero il 26,8% dell’importo nominale della copertura, nel nostro esempio $ 2.000.000) ad un valore crescente (proporzionalmente al rischio assunto) destinando percentuali maggiori del deposito iniziale al Trading System piuttosto che all’ hedging (di default al 50%107) o utilizzando leve superiori (il forex permette di operare fino a leva 400, noi operiamo su livelli de leva che oscilla tra 5 e 20). Evidenziando comunque la finalità di copertura come obiettivo principale del presente lavoro, ribadiamo come la strategia proposta si ponga – per le imprese italiane – in alternativa all’ attuale offerta bancaria sia tradizionale (troppo difensiva) che innovativa (potenzialmente profittevole ma rischiosa e, soprattutto, poco trasparente). 104 In media pari a circa 320.000 Euro (323.750). Ma rappresenta solo un importo chiesto a garanzia dell’operatività del Trading System e non può essere confrontato con i costi “certi” – seppur minori degli altri strumenti (spesa media certa di € 2.000 per il contratto forward e di € 74.860 per il premio delle opzioni). Possiamo al limite confrontare le uscite certe per forward e opzioni con il rendimento al tasso medio di mercato (v. Appendix sez. VIII) del deposito chiesto a garanzia. FORWARD Æ Tasso di rendimento medio * importo medio richiesto a garanzia = 2,75% * 320.000 = 8800 annui (Valore complessivo dell’intero periodo: € 70.400 contro € 302.842 che rappresenta il profit complessivo della Trading System Strategy). OPZIONI Æ Tasso di rendimento medio * importo medio richiesto a garanzia = 2,75% * (320.00074.860) = 2,75% * 245.140 = 6.740 annui (Valore complessivo dell’intero periodo: € 53.930 contro € 302.842 che rappresenta il profit complessivo della Trading System Strategy). 105 ovvero quella che si aggiunge al nostro obiettivo principale, ovvero la copertura del rischio di cambio 1,40, cambio EurUsd del 10/10/2010. 107 La strategia in esame, al netto delle perdite derivanti dalla svalutazione del Dollaro, ha ottenuto una performance dell’81,55%, pari a 1.631.145 $. 106 115 3.7 Operatività a mercato Dopo l’analisi storica e la simulazione dell’intero periodo di riferimento e considerando tutte le possibili soluzioni che tale sistema dinamico offre al risk manager, si procede con l’attuazione della Trading System Strategy direttamente a mercato. Tale passaggio fornisce un valore aggiunto al lavoro di ricerca in quanto, utilizzando le informazioni che emergono da un’attenta analisi del periodo di back test (2002-2009), permette di operare in real time sul Forex (cambio EurUsd). Come evidenziato nei passaggi precedenti, il Trading System raggiunge ottimi risultati proprio nella situazione più interessante per l’esportatore, ovvero, l’apprezzamento dell’euro nei confronti del dollaro. Le performances scendono invece nel caso di un apprezzamento della valuta americana (anche se bilanciate dal contemporaneo guadagno derivante dalla rivalutazione dei crediti all’export vantati nei confronti degli importatori esteri). Ancora più complessa diventa invece la valutazione di tale metodologia – così come di altre – in situazioni di mercato ad alta volatilità: qui infatti si alternano continui rally seguiti da forti ritracciamenti e una strategia di copertura mal si adatta ad una situazione di questo tipo, più affine ad un’operatività speculativa di breve periodo. La situazione dell’anno 2009 (Gennaio-Settembre 2009) ha fatto registrare un incremento dell’euro nei confronti del dollaro. Tale crescita ha fatto arrivare il cambio a valori storicamente importanti da un punto di vista tecnico (resistenza statica ad 1.50). Nella seconda metà di settembre 2009 si verifica qualche segnale di inversione accompagnato da una crescente volatilità derivante dall’incertezza dei mercati; tale situazione (ritracciamento euro in prossimità di massimi + incremento volatilità) si era già verificata nel 2005 e nel 2008 (unico anno, quest’ultimo, in cui la Trading System Strategy aveva sotto-performato al punto da far registrare una posizione complessiva negativa a fine periodo). Tale scenario, agli occhi di un accorto gestore, dovrebbe suonare come campanello di allarme utile a modificare il setting del Trading System al fine di continuare a mantenere le performances o perlomeno limitare le perdite potenziali. La dinamicità del sistema proposto permette dunque di scegliere tra: 1. continuare ad operare “rigidamente” non considerando i “segnali” che arrivano dal mercato, cautelandosi con stop loss; 2. sfruttare i potenziali segnali derivanti dalla simulazione per realizzare opportune strategie che ottengano performances anche in questa “particolare” situazione di mercato. Si procede ora con l’analisi dell’ultimo anno (2009-2010) seguendo ciascuno dei tre aspetti sopra citati. Nello specifico, il nostro periodo di “svolta” (strategy entry, 23/09/2009) è coinciso – come possiamo vedere in fig XX – con l’inizio di un movimento laterale, il 116 raggiungimento di punti di massimo precedenti (1.50 è stato ed è tuttora un supporto/resistenza statico psicologicamente molte importante) e, soprattutto, un incremento “sospetto”della volatilità (fig. 30) Fig. 30 Inizio movimento laterale Fonte: elaborazione propria (Grafico Daily) Procediamo con la valutazione dei dati del periodo precedente (dettagli dei report, equity line e storico operazioni in appendice, sez. IX) Elaboriamo la strategia relativa al periodo in esame (23/09/2009 - 23/09/2010), considerando le informazioni derivanti dal quello precedente: nel 2009 la volatilità si è attestata su valori standard per il mercato dei cambi, intorno al 12%. A questo dato, indispensabile per la realizzazione della nostra strategia di copertura, deve aggiungersi quello riferito a DrowDawn medio e del Massimo DrowDawn storico. Questi dati risultano indispensabili per una corretta applicazione della strategia, soprattutto con riferimento all’importo iniziale – con funzione di deposito cauzionale - da richiedere all’azienda. In questo caso, il valore di Drawdown medio è davvero alto, vicino a quello assoluto (12,95%) e se consideriamo che, come detto, ci troviamo in prossimità di un importante resistenza psicologica (1.50) in concomitanza di un incremento di volatilità il risk manager può procedere alla gestione della posizione in valuta. Vediamo allora singolarmente le due soluzioni. Nel primo caso procediamo con la strategia applicata “meccanicamente” nei back test: sembrerebbe prudente considerare il valore più alto dei tre appena visti, e garantire una copertura “reale” almeno pari al 15% (volatilità storica): l’importo richiesto a garanzia, nel nostro esempio, sarà pari a $ 300.000. In base a questi dati, considerando un ipotetico valore nominale di copertura pari a $ 2.000.000, si procede con l’applicazione della nostra strategia. Seguiamo l’evoluzione del nostro cambio che ha fatto registrare un open pari a 1.4816 (23/09/2009) per arrivare, a fine periodo, ad un valore pari a 1.3389 (23/09/2010). Nel periodo in esame si è verificata una caduta dell’euro che dopo aver toccato quota 1,50 a novembre 2009 ha fatto registrare un crollo fino a 1,1857 (minimo del 6/6/2010). La volatilità si è mantenuta elevata causa soprattutto dell’incertezza generale dei mercati, delle manovre a sostegno dell’economia da parte di stati e autorità monetarie alle quali si sono aggiunte 117 notizie di reali e presunti default da parte di banche, aziende e, non ultimi, Stati (Grecia in primis). Fig. 31 EurUsd 2009-2010 Fonte: elaborazione propria (grafico weekly) Dal report di fine periodo, emerge una performance negativa del nostro TS e un loss del 15% (pari al capitale messo a disposizione come garanzia); so sono quindi verificate le condizioni considerate “sospette” ad inizio periodo e, come si può notare dal grafico in appendice, in presenza di elevata volatilità e grossi drawdown, il Trading System ha avuto l’opportunità di fare solo tre operazioni, esaurendo poi il margine posto come garanzia. Mostriamo di seguito, la tabella di sintesi. Tab. 26 Sintesi TS Azienda Export SpA Valuta Valore Nominale Copertura Dollaro USA 2.000.000 $ Parametri economici a fine periodo Cambio di riferimento (Close 23/09/2010) Controvalore in Euro (incasso effettivo a scadenza) 1,3303 € 1.503.420 Risultati a fine periodo Profit/Loss (senza copertura) (1.503.420 - 1.349.892) = € 153.528 (+ 11,37 %) Profit/Loss Copertura 50% (Long EURUSD) Copertura 50% con Trading System - 76.764 € € - 101.241 ( -15%) (153.528 – 101.241 – 76.764) = € 24.477 € (- 1,81 %) Totale Fonte: elaborazione propria 118 L’attuale situazione di mercato avrebbe portato l’azienda, in assenza di copertura, ad ottenere un elevato profit in virtù dell’apprezzamento del Dollaro nei confronti dell’Euro. E’ questa una situazione naturalmente sfavorevole per gli importatori e, al contrario, favorevole per gli esportatori. L’utilizzo di un sistema di copertura, attraverso un setting rigido (ovvero senza considerare i “segnali” derivanti dall’analisi tecnica e dai back test) in questo caso fa realizzare una perdita dello 1,81%, pari a 24.447 €. Il risultato appare comunque soddisfacente, anche se a seguito di un’attenta analisi della situazione di mercato e dei back test potevamo propendere per una scelta differente, magari tornando al classico forward o investendo sulle opzioni anticipando il costo del premio. In realtà si vuole evidenziare come, in analisi tecnica così come altrove, dimostrando che un sistema non ottiene risultati in particolari situazioni di mercato (alta volatilità + trend decrescente) si individua sicuramente un limite ma anche una potenziale opportunità. Se è vero che il sistema performa negativamente in una specifica situazione, è altrettanto vero che con opportune modifiche al codice sorgente la situazione può essere convertita a nostro vantaggio. O meglio, un sistema che produce risultati vicino allo 0% nei trend decrescenti, può diventare un sistema che, in situazioni di mercato opposto, realizza risultati vicino al 100%. E’ chiaro che in ambito di copertura aziendale tali strategie possono apparire troppo speculative ma, come anticipato, la scelta preferenziale in tali situazioni di mercato è quella del forward (- 0.15% del capitale di riferimento al cambio del 23/09/2009), dell’opzione (più costosa, vista l’elevata volatilità del periodo di riferimento) o un mix delle due. Ma per completezza vediamo come, al verificarsi delle condizioni sopra esposte – e dopo un’opportuna modifica ai segnali d’ingresso del codice sorgente – si comporta in nostro Trading System (dettagli dei report, equity line e storico operazioni in appendice, sez. IX). Sintesi dei risultati Trading System Reverse Tab. 27 Sintesi TS Reverse Azienda Export SpA Valuta Dollaro USA Valore Nominale Copertura 2.000.000 $ Risultati a fine periodo Profit/Loss (senza copertura) (1.503.420 - 1.349.892) = € 153.528 (+ 11,37 %) Copertura con Trading System € 243.925 ( +18,06%) (153.528 + 243.925) = € 397.453 € (+ 29,44%) Totale 119 Un profitto totale netto del 18,07 %, con PF 12,47, che avrebbe portato l’azienda a cumulare il guadagno in conto cambi derivante in primis dal deprezzamento dell’euro (+ 11,37 % pari a € 153.528) e poi da quello fatto registrare dalla strategia “contrarian” (+18,06%, pari ad un importo di € 243.92) per un totale di € 397.453 pari al 29,44% del capitale nozionale iniziale ($ 2.000.000 al cambio 1.4816) Parliamo ovviamente del profitto massimo ottenibile, ma l’attenzione deve andare alla dinamicità della strategia proposta108: in base ai segnali di mercato (volatilità, indicatori di momentum, test e ri-test di importanti resistenze storiche) e soprattutto la consapevolezza di come e in quali condizioni questo strumento può performare (grazie alle simulazioni fatte nei backtests) il risk manager potrà decidere quanta liquidità far girare sul Trading System e come farlo girare, avvalendosi di questa unica strategia oppure di essa combinata con opzioni (anziché stop fissi, ovviamente con costi iniziali più alti). 108 Un’alternativa potrebbe essere rappresentata dai futures, utilizzato per coprire la posizione inversa rispetto al sottostante esposto a rischio di cambio (incremento EurUsd nel nostro caso). Da un punto di vista teorico i risultati potrebbero essere interessanti, ma considerando un punto di vista pratico, l’esperienza (personale in primis) dimostra come l’elevata volatilità del mercato dei futures, la minore liquidità rispetto al forex Spot, la standardizzazione dello strumento nonché la necessità del deposito obbligatorio di un margine di garanzia fanno percepire questo strumento come meno adatto ad un gestore di una PMI. Soprattutto a causa dell’elevata volatilità, in caso di forte drawdown la tentazione di chiudere la posizione per minimizzare le perdite sarebbe davvero forte (relalizzandole), mentre la richiesta di reintegro del capitale a garanzia potrebbe portare ad una perdita amplificata dall’effetto leva (principale caratteristica di questi strumenti) in caso di mancata inversione della tendenza negativa. 120 3.8 Conclusioni Il presente lavoro, partendo da concetti fondamentali quali globalizzazione e internazionalizzazione, analizza le opportunità ed i rischi connessi con tali fenomeni e, nello specifico, approfondisce le tematiche inerenti i rischio di cambio e propone una soluzione innovativa: il trading system per la gestione rischio di cambio nelle imprese. Al termine globalizzazione sono stati attribuiti molteplici significati, Friedman la definisce come “l’inesorabile integrazione di mercati, stati-nazioni e tecnologia ad un livello mai prima raggiunto, con la conseguenza di permettere agli individui, alle imprese e agli stati nazione di estendere la propria azione in giro per il mondo più velocemente, più profondamente e a minor costo di quanto sia mai stato possibile in precedenza” (Bonaglia, Goldstein, 2003, p. 10). L’internazionalizzazione si configura invece come una diretta conseguenza della globalizzazione e, anche se vi è la tendenza comune ad attribuire lo stesso significato a tali processi, mentre con “globalizzazione” si fa riferimento alla connettività internazionale dei mercati e all’interdipendenza delle economie nazionali che incidono fortemente sull’attività delle imprese, il termine “internazionalizzazione” viene usato con riferimento alle operazioni internazionali da parte delle PMI (Ruigrok, 2000). Entrando nello specifico abbiamo visto come esportare rappresenti il metodo più “naturale” ed immediato per conquistare una posizione nel mercato globale. E’ anche la soluzione che richiede il minor impegno in termini di risorse, quindi la più adottata “tessuto economico-produttivo” italiano, caratterizzato e trainato prevalentemente da PMI (Silvestrelli, 2001). Tuttavia, visti i benefici che l’attività di import/export consente, si è concentrata l’attenzione sui rischi nei quali incorrono le PMI: rischio politico, giuridico, valutario e di cambio. Tra le problematiche appena citate, il rischio di cambio ha un peso notevole, sia per la sua natura essenzialmente e puramente aleatoria - che ne rende difficoltose la valutazione e la gestione - sia per il peso che riveste per il buon esito delle operazioni commerciali, e quindi in ultima analisi per la redditività stessa di tali attività. L’azienda di successo, pertanto, non potendo di fatto rinunciare all’operatività con l’estero, non può neanche esimersi dal gestire razionalmente il rischio di cambio qualora non voglia mettere a repentaglio la propria redditività e la propria competitività. Dal lavoro emergono alcune linee guida cui la gestione dovrebbe ispirarsi, le quali prevedono la definizione di una politica di gestione aziendale del rischio di cambio, l’adozione di un sistema efficiente di rilevazione dei flussi in valuta nella tesoreria aziendale e il monitoraggio continuo all’assorbimento di linee di credito conseguenza dalla gestione del rischio gestito in modo dinamico e non statico. Nell’accezione tradizionale, coprire una particolare posizione in valuta significa avere un ammontare analogo in valuta estera tale che I un cambiamento del tasso di cambio contro di questa è bilanciato esattamente dal guadagno/perdita sulla valuta estera (hedging). Oltre ai metodi tradizionali come Forwards e finanziamenti in valuta, ne esistono di nuovi109 ed efficienti quali Domestic Currency Swap, opzioni e gestione dinamica sul Forex spot. La domanda che ci siamo posti in questa sede è: come difendere i prezzi all’export, con un euro che minaccia di diventare sempre più forte? Con questo lavoro si è dimostrato come la gestione dinamica della copertura del rischio di cambio con negoziazione di valuta spot effettuata attraverso l’applicazione meccanica di una specifica strategia di trading sia attualmente la forma più moderna, più economica e trasparente di copertura del rischio di cambio: il cambio spot, rollato fino a scadenza, ha prezzi evidenziati dal mercato Forex, costi bassi e durata decisa dalle esigenze delle aziende e delle imprese. Limitandoci al solo rapporto Eur/Usd (che, come visto nel paragrafo 2.5, rappresenta il principale cambio di riferimento) si è evidenziato come le imprese italiane possano affrontare il rischio di cambio in modo non solo difensivo: la strategia proposta si pone in alternativa all’offerta bancaria sia tradizionale (troppo difensiva) che innovativa (potenzialmente profittevole ma rischiosa e, soprattutto, poco trasparente). Attraverso implementazione della strategia in esame (Hedging + Trading System) qualsiasi impresa che esporti può quindi raggiungere un triplice obiettivo: annullare il rischio di cambio, ottimizzare i flussi di cassa e generare delle differenze positive su cambi. Per il raggiungimento di tali risultati si è utilizzato i principi di analisi tecnica (Taylor e Allen, 1992; Gehrig and Menkhoff 2004), applicati in modo sistematico per l’ottenimento di una specifica strategia. Nel dettaglio, il metodo utilizzato prevede l’impiego della media mobile filtrate con l’RSI (Relative Strenght Index): tale strategia ha permesso di salvaguardare l’azienda dalle imprevedibili oscillazione del cambio EurUsd ottenendo, a fronte di potenziali perdite, reali differenze positive su cambi. Il Modello Export - Ema3VsEma21_filter_rsi (TF 240) - è dedicato a quei soggetti strutturalmente esposti all’indebolimento del dollaro (tipicamente aziende esportatrici). Scopo del modello è la stabilizzazione nel tempo dei flussi in valuta preservando le aziende da perdite su cambi nel bilancio e consentendo ai privati di investire nei mercati denominati in dollari senza occuparsi dell’andamento del cambio. Propedeutico all’inizio dell’operatività del modello è l’assunzione di un grado di copertura pari al 50% del valore nominale dichiarato, occorre poi considerare due dati di input: il valore nominale della copertura espresso in dollari e il cambio di riferimento, che funge da benchmark. Nell’intero periodo di riferimento relativo alla fase di back-test (2002-2009) il 109 Si è visto come il mercato dei derivati risulti in generale meno trasparente e difficilmente gestibile, soprattutto da parte delle PMI Il rischio di cambio gestito rigidamente con opzioni, a termine o con strumenti complessi può essere un’opportunità, ma rappresenta soprattutto un costo elevato difficilmente valutabile e, nella pratica, l’azienda accetta quello che viene proposto senza sapere minimamente cosa sta pagando. II Trading System ha operato entrando complessivamente 27 volte (15 volte in profitto e 12 in loss). Il dato molto positivo è rappresentato – oltre che dal numero relativamente basso di operazioni - dal Profit Factor, pari a 3,15. Esso riconosce alla strategia una capacità di garantire alle operazioni profittevoli un valore molto superiore (3 volte tanto) a quelle in perdita. Questo dato, unito al precedente (55,56 operazioni in profit) sintetizza da solo la bontà del sistema. I segnali di ingresso sono pochi (basso costo commissionale per le imprese, che non si trovano davanti un sistema che annulla le buone performance a causa dei costi commissionali derivanti da un numero infinito di operazioni) e quelli profittevoli sono superiore – in numero ed importo – a quelli in perdita. Dall’analisi del back-test si sono individuati i punti di forza e quelli di debolezza della strategia in esame e, a seguito di tali evidenze, si è proceduto con l’operatività a mercato, lanciando il trading system per il periodo 2009-2010: qui i risultati hanno confermato le potenzialità del sistema in ambito di copertura e le criticità in fasi di mercato decrescenti (peraltro favorevoli agli esportatori). Si vuole comunque evidenziare come, in analisi tecnica così come altrove, dimostrando che un sistema non ottiene risultati in particolari situazioni di mercato (alta volatilità + trend decrescente) si individua sicuramente un limite ma anche una potenziale opportunità che, debitamente sfruttata, trasforma la situazione convertendola a nostro vantaggio. Il test di robustezza con i principali cambi e cross, nonché il confronto con strumenti tradizionali (Forward) e alternativi (opzioni valutarie) ne evidenzia la maggiore dinamicità nell’utilizzo e, non di minore importanza, la maggiore performance. La difficoltà di prevedere le fasi di mercato caratterizzate da un euro “forte” rispetto al dollaro non deve spaventare le nostre imprese che operano con l’estero, e in particolare gli esportatori: una politica di copertura dinamica, tesa in primis a salvaguardare il business aziendale ma capace anche di cogliere le opportunità di mercato, può riuscire a limitare i rischi che un mercato valutario in continuo movimento pone alle nostre imprese. III IV Bibliografia Acocella N.(2005), Globalizzazione, povertà e distribuzione del reddito. Studi e note di economia, pp. 7-28 Admati, A., Pfleiderer, P., (1988). A theory of intraday patterns: volume and price variability. The Review of Financial Studies 1, 3-40. Allen HL, Taylor MP. (1990). 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