la bellezza salverà il gioco (in oratorio)

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la bellezza salverà il gioco (in oratorio)
LA BELLEZZA SALVERÀ IL GIOCO (IN ORATORIO)
di Andrea Ballabio
Introduzione: i problemi in gioco
Il gioco in oratorio è in crisi? Sembra proprio di sì, almeno ascoltando i segnali ed i lamenti che
giungono sempre più frequenti dagli educatori, disarmati e allarmati dalla difficoltà di
coinvolgere e far partecipare i ragazzi ai momenti di gioco da loro proposti.
Parliamo, per capirci, del gioco organizzato, all’aperto o al coperto, uno dei ‘punti di forza’
dell’attività oratoriana, almeno in teoria.
Conosco situazioni in cui i ragazzi, specie la domenica, aspettano che sia terminato il gioco
organizzato per entrare in oratorio: vivono i giochi proposti come un peso e un obbligo, piuttosto
che un divertimento, e tendono così ad evitarli, giudicandoli noiosi, a differenza del gioco libero,
spontaneo e auto-organizzato con i compagni.
In diversi casi ciò che si riteneva di poter dare per scontato (il fascino del gioco) diventa una
conquista
Perché è diventato difficile far giocare insieme educatori e ragazzi in oratorio? Perché in
particolare il gioco organizzato è caduto ‘in disgrazia’ presso molti dei nostri ragazzi? I motivi
sono ovviamente diversi: alcuni sono riconducibili alle trasformazioni che in questi ultimi anni ha
subito il tempo libero dei ragazzi ( lo stress indotto dalle attività extrascolastiche, il tempo
scolastico prolungato, l’assuefazione ai video giochi…); altri motivi rimandano alla lentezza
degli educatori oratoriani nel rispondere ai cambiamenti, e alla loro relativa preparazione (che
non corrisponde alla buona volontà), che non sempre ben conoscono e maneggiano le ‘regole
del gioco’, ovvero il modo di saper motivare i ragazzi e animare il gioco.
Certo è che il gioco organizzato in oratorio vive un periodo di sofferenza, e finisce per
scontentare sia i ragazzi (che non si divertono) sia gli educatori (che non vedono un ritorno al
loro impegno).
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Cosa può restituire al gioco il suo fascino e la sua importanza nel contesto della proposta
oratoriana? La bellezza! La bellezza salverà il gioco in oratorio. Solo il recupero ed il
miglioramento della qualità estetica e dunque simbolica espressa dal e attraverso il gioco farà
ritornare il desiderio ed il godimento per il gioco stesso.
In questi anni diversi oratori sembrano avere rivolto la loro attenzione ad altri aspetti: è stata
curata e migliorata l’accoglienza per i più piccoli, realizzando aree e spazi gioco attrezzati,
prima poco presenti. In altri oratori è stata potenziata la proposta sportiva, sia in termini di
strutture che di immagine: oggi ad esempio la dotazione sportiva dei ragazzi (divisa, borsa,…) è
sempre più ricercata, i campi di gioco e gli spogliatoi sono molto ben tenuti, e in diversi casi i
bambini hanno il loro nome sulla maglia…
E il gioco organizzato? Qui sta il punto: quanto sono belli i giochi che si fanno in oratorio?
Quanto viene curata la loro qualità estetica, e quanto invece si sono ridotti ad un insieme di
regole? Quanto gli educatori sono coscienti di essere co-protagonisti nel gioco e quanto invece
sono dei semplici stimolatori esterni e arbitri del comportamento dei ragazzi?
Un classico proverbio afferma “Il gioco è bello quando dura poco”. Forse alcuni oratori hanno
preso troppo alla lettera il detto, tanto da realizzare giochi bellissimi ( e quindi brevissimi)…o
forse oggi in oratorio potrebbe essere vero il contrario: quando il gioco è brutto non funziona,
quando è bello ha successo e si mantiene fresco.
Cosa significa allora ‘bellezza’ nel gioco? Cosa dovrebbe fare una comunità di educatori che
volesse rilanciare il ‘bel gioco’? Siamo ancora in tempo a salvare il gioco organizzato in oratorio
o possiamo solo rimpiangere i ‘bei tempi’ e accompagnare il suo declino inevitabile?
Le note che seguono propongono alcune riflessioni e indicazioni al riguardo, cercando di
suggerire una via d’uscita.
Inizialmente si cercherà di individuare alcune
delle difficoltà attuali, rispetto al gioco
organizzato, sul versante sia del ragazzo che dell’educatore.
Quindi, a fronte di tali situazioni verrà proposto un diverso approccio al modo di considerare il
gioco in oratorio, che mira a recuperarne e sottolinearne le valenze estetiche e rituali. Questo
approccio si traduce in tre concrete indicazioni a livello metodologico, ovvero le condizioni che
possono qualificare il gioco e determinarne il successo. Completano l’esposizione alcune
schede di approfondimento pratico relative ai principali aspetti trattati.
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1. Come giocano oggi i ragazzi
Il modo di giocare dei ragazzi è cambiato rispetto al passato, soprattutto a motivo dell’influenza
della TV ed ancor più dei videogiochi.
Il modello proposto dai videogiochi in particolare condiziona le attese e le reazioni del ragazzo
anche quando gli vengono proposte situazioni di gioco differenti da essi. Di questo occorre
pertanto tenere molto ben conto nel preparare e proporre giochi o organizzarli in Oratorio.
Gli effetti del modello ‘videogioco’ nel modo di considerare il gioco nel ragazzo sono diversi:
a) Una prima conseguenza/effetto è quello di rendere il ragazzo più insofferente e meno
adattabile al gioco ‘reale’. Grazie al perfezionismo grafico ed agli effetti speciali, il videogioco
trasfigura la realtà del gioco rendendo il ‘gioco normale’ più povero e ‘brutto’, in quanto esso
non riesce, ovviamente, ad esprimere l’insieme di luci, suoni, colori, effetti, ritmi, risultati di
cui il videogioco è capace. Si dice che a volte la realtà supera la fantasia, ma certamente il
gioco ‘reale’ è meno spettacolare di quello ‘virtuale’.
Così il ragazzo, abituandosi al livello di ‘performance virtuale’ del videogioco ha difficoltà ad
accettare l’imperfezione del gioco nella realtà. In particolare il ragazzo è ora sempre meno
capace e disposto a tollerare gli inevitabili ‘tempi morti’ e le imprecisioni che il gioco
organizzato necessariamente prevede nel suo svolgimento.
b) accentua la dimensione ‘personalizzata’ del gioco rispetto a quella di gruppo o di squadra. Il
videogioco rende e fa sentire il ragazzo pienamente protagonista e soprattutto determinante
ai fini del risultato conseguito. Il ragazzo, grazie al videogioco, sceglie il suo modo di
giocare, il tipo di avventura e difficoltà. In questo senso scompare il gioco standard,
mediamente adatto a tutti e che rischia di non accontentare nessuno. Il ragazzo con il
videogioco non è mai una comparsa, a differenza di quanto forse gli accade di essere
quando gioca ‘dal vero’ con i suoi reali compagni.
Viene quasi da pensare che il modello ‘videogioco’ non solo sia perfettamente congeniale
alla situazione di ‘figlio unico’ di molti ragazzi, ma trasferisca anche nel gioco questa
condizione: il videogioco ha l’effetto di rendere tutti i ragazzi ‘giocatori unici’.
Per conseguenza, è sempre più complicato far capire ed accettare gli aspetti di condivisione
e solidarietà nel gioco e, più in generale, far giocare i ragazzi come gruppo/squadra. Il
crescente ‘individualismo’ nel gioco lo si può osservare anche nel modo in cui i ragazzi si
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auto-organizzano nel gioco spontaneo: quando non è solitario il gioco tende a strutturarsi sul
numero minimo di partecipanti necessario per ricreare una situazione di antagonismo.
c) esaspera l’aspetto della sfida e della competizione, dando al ragazzo continui e chiari
obiettivi da raggiungere e così dimostrare la sua abilità, che nella maggioranza dei casi
consiste nella sistematica sconfitta e distruzione dell’avversario. In questa continua lotta il
videogioco fornisce al ragazzo una precisa misura del suo valore, attraverso un sistema a
punteggio o di ‘vita residua’.
È importante notare che il ragazzo non solo è sistematicamente stimolato dal videogioco a
fare sempre meglio e superare i suoi limiti, ma riceve dei continui feed-back (positivi o
negativi) sulle sue performance.
Questo ultimo aspetto raramente presente nel gioco organizzato in Oratorio, perché
trascurato dall’educatore o perché volutamente evitato per non esasperare la competizione.
Di fatto, il ragazzo non riceve spesso né un chiaro feed-back sul suo comportamento né sui
suoi risultati, cosa che invece (come abbiamo visto) è ormai abituato ad avere e sui quali
tende a regolare il suo impegno nel gioco.
Riassumendo, il modello videogioco è un punto di riferimento e di confronto, la chiave di lettura
che il ragazzo utilizza sempre più spesso nel decidere se coinvolgersi o meno in una proposta
di gioco, come pure è la forma mentale e il linguaggio che più gli sono familiari.
Per effetto di tale modello, nella realtà i ragazzi si caratterizzano verso il gioco per:
-
delle attese più elevate: si aspettano un buon livello spettacolare, ovvero amano essere
stimolati e coinvolti nella loro immaginazione; sono sempre più insofferenti ai ‘tempi
morti’; non si accontentano di giochi fatti ‘solo per giocare’.
-
il desiderio di sentirsi ‘al centro’ del gioco e di poterlo modulare sulle proprie esigenze. In
negativo questo comporta un maggiore individualismo nei ragazzi ed una maggior
difficoltà ad accettare il ‘gioco di squadra’. In positivo, invece, questo si traduce
nell’attenzione a rendere tutti protagonisti, evitando le ‘soluzioni standardizzate’.
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-
L’esigenza di una comunicazione positiva e di una verifica chiara ed immediata, che
sottolinei i risultati raggiunti da ciascuno. In questo senso i ragazzi ricercano la
competizione e rifiutano un generico egualitarismo nel gioco.
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SCHEDA 1 – La sfida: prendere il meglio dai video giochi… e batterli !
I giochi ‘poveri’ non attirano l’attenzione dei ragazzi. Soprattutto oggi, a motivo dei video giochi i ragazzi
hanno ‘alzato’ le loro attese ed esigenze di ritmo e spettacolarità.
Questo significa che anche gli oratori dovrebbero ‘arrendersi’ e attrezzarsi di videogiochi, la cui valenza
educativa è per lo meno dubbia? Assolutamente no!
Certamente però gli educatori dovrebbero valutare la possibilità di ‘prendere spunto’ da alcuni aspetti dei
videogiochi in modo da farsi meglio capire dai ragazzi e creare una sorta di analogia tra i giochi da
computer e il loro modo di organizzare e proporre un gioco.
Ecco alcune caratteristiche dei video giochi da reinterpretare educativamente:
• Tempo di caricamento
Evitiamo i ‘tempi morti’: i ragazzi hanno sempre meno pazienza e avere dei ragazzi annoiati prima
ancora che inizi il gioco è complicato da gestire….
I materiali, i costumi, gli arredi vanno preparati in anticipo!
• Demo
‘Il bel gioco si vede dal mattino’, ovvero da come si presenta, e questo coloro che realizzano video giochi
lo sanno bene: la parte iniziale, prima che il gioco vero e proprio inizi, la cosiddetta ‘demo’ è
fondamentale sia per creare la giusta atmosfera, sia per illustrare le finalità del gioco. Una presentazione
semplice ma allo stesso tempo divertente e coinvolgente va prevista e preparata, magari con qualche
opportuno ‘effetto speciale’.
• Spiegazione pulsanti
Prevediamo un ‘set di regole base’ sufficienti per iniziare il gioco. Utilizziamo quindi le regole più
complesse e le ‘combinazioni’ quando i ragazzi sono ormai padroni del gioco. Occorre recuperare l’idea
di progressività e di livelli di difficoltà crescente, che stimolano al miglioramento ed alla emulazione dei
più bravi.
In questo senso le regole non devono ‘ingabbiare’ lo svolgimento del gioco ma sostenerlo ed esaltare le
sue potenzialità.
• Bonus
Non si dovrebbero prendere ‘punti’ soltanto attraverso la ricerca del risultato: è utile agganciare dei
vantaggi anche al modo e/o allo stile con cui si gioca, al rispetto degli altri e non solo delle regole, …
• Livello di progresso
Non permettiamo che il gioco diventi ‘piatto’, ripetitivo e perda di interesse: il gioco cambia nello spazio –
tempo e si adatta all’abilità dei giocatori. Introdurre dei livelli di progresso consente di variare e articolare
il gioco in fasi, episodi, tappe. Occorre tuttavia prevedere ovviamente una concatenazione chiara delle
diverse fasi e puntate del gioco, anche se non tutto dovrà essere svelato subito.
Riconosciamo e premiamo inoltre la maggiore padronanza del gioco che i ragazzi sviluppano,
introducendo nuove regole e sfide. Per i ragazzi più bravi il gioco risulterà comunque interessante
perché impegnativo; quelli meno bravi avranno chiaro cosa li attende e stimolati ad emulare i compagni
migliori.
• Molte vite e punteggio
E’ importante avere un approccio ottimistico al gioco: si può sempre ricominciare e migliorare. Evitiamo
giochi ad eliminazione diretta o con ‘prigioni inespugnabili’: un ragazzo che non è attivo nel gioco diventa
una ‘mina vagante’. Diamo piuttosto ai ragazzi un riscontro oggettivo del loro valore, facendo loro capire
che sono loro i veri protagonisti.
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2. Come giocano gli educatori
I ragazzi dell’epoca dei videogiochi sono dunque a disagio in un Oratorio che propone dei giochi
organizzati come se i videogiochi ed i loro effetti non esistessero.
In questo modo si rischia di creare incomprensione ed incomunicabilità tra educatori e ragazzi.
Il gioco va in crisi.
Dal momento che non possiamo chiedere ai ragazzi di non essere tali, è inevitabile che se si
vuole davvero uscire da questa situazione critica, i primi gesti di conversione dovrebbero farli gli
educatori.
Questo richiede innanzitutto una ‘presa di coscienza’ negli educatori circa alcuni aspetti del loro
rapporto con il gioco ed i ragazzi.
Un primo aspetto di questa rinnovata coscienza educativa consiste nel rendersi conto che la
motivazione del ragazzo a giocare non può più essere data per scontata: giocare è diventato in
Oratorio un punto di arrivo, non di partenza, come forse era una volta.
Nel ‘vecchio modo’ di fare Oratorio il gioco era la via più semplice ed immediata per avvicinare
e conoscere il ragazzo. Nel ‘modo nuovo’ è piuttosto il contrario: se prima non si è saputo
entrare in relazione e nella fiducia del ragazzo, non si può pretendere che questo accetti il gioco
che gli si propone. Nel ‘vecchio modo’ era il ragazzo che si faceva conoscere dall’educatore,
oggi è l’educatore che deve farsi conoscere e accettare dal ragazzo.
Non basta più pertanto all’educatore delegare al gioco la soluzione dei suoi problemi nel gestire
i ragazzi: il ragazzo oggi va invece motivato al gioco, e questo richiede una sapienza educativa
adeguata.
E qui veniamo al secondo aspetto: la modalità spesso usata in Oratorio per motivare al gioco i
ragazzi.
Per vincere le loro resistenze, pigrizia e imbarazzo si fa appello alla volontà dei ragazzi e li si
lusinga e blandisce con una serie di promesse tanto generiche quanto inefficaci negli effetti: “su
dai, vieni a giocare…”, “vedrai che è un bel gioco…”, “prova e sono sicuro che ti piacerà…” ed
altre frasi ricamate di questo tipo.
Quando nemmeno questi appelli volontaristici ottengono effetti, ecco che si passa alle forme più
dirette ed ‘autoritarie’: “adesso si gioca tutti insieme…”, “devi giocare anche tu!…”, “abbiamo
deciso di fare un gioco…”, con il rischio di provocare un ‘fuggi-fuggi’ generale.
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È evidente che in questa impostazione c’è qualcosa che non va: presentare il gioco come
un’attività che richiede sforzo di volontà è educativamente fragile ed ancora di più ‘obbligare’ a
giocare è un vero controsenso.
L’errore che molti educatori compiono è quello di considerare il gioco come qualcosa che ‘si
deve fare’ per il bene del ragazzo, perché è ‘utile’ ed educativo ‘far giocare insieme’ i ragazzi.
Giocare diventa così per tutti un dovere più che un piacere, un compito che l’educatore si
assume e che il ragazzo deve ‘svolgere’.
In altri termini, la debolezza di questo approccio è quello di considerare il gioco in termini
moralistici associandolo alle categorie del bene e del male: giocare è ‘giusto’, non giocare è
‘sbagliato’.
Questo approccio moralistico è la morte del gioco organizzato in Oratorio e va abbandonato:
ecco la presa di coscienza decisiva.
Il gioco non appartiene all’ordine etico-morale (anche se ha delle regole e propone una sua
morale, quando è ben scelto) e tanto meno si presta a manovre moralistiche ed utilitaristiche.
Il gioco appartiene all’ordine dell’estetico e del ‘gratuito’. Ciò significa che la libertà è la
condizione preliminare che contraddistingue l’approccio al gioco, unitamente alla sua capacità
di attrarre grazie alla sua bellezza.
È la bellezza del gioco ciò che ci conquista.“Come è bello il gioco in Oratorio, quando è bello”
potremmo dire parafrasando Manzoni (lui parlava del cielo dei nostri oratori lombardi), dando
voce all’emozione che la bellezza, per se stessa e gratuitamente, produce nel nostro animo. E
la bellezza del gioco è data dalla sua capacità di sedurre il ragazzo, ovvero trasportarlo in
un’altra dimensione (se-ducere, condurre altrove) utilizzando l’immaginazione, e dalla sua
capacità di divertire il ragazzo, ovvero spostare, in modo gradevole, la sua attenzione su altro
(di-vertire, volgere altrove) utilizzando la sorpresa, ovvero l’inaspettato che stimola a reagire.
Ecco un terzo aspetto della presa di coscienza degli educatori: i primi a giocare devono essere
gli educatori. Gli educatori dovrebbero battere i ragazzi non tanto nella bravura quanto nel
desiderio di gioco, dovrebbero essere loro i primi ad essere sedotti e provare divertimento nel
gioco, pur mantenendo il loro ruolo educativo.
Solo in questo modo l’educatore diventa credibile agli occhi del ragazzo, perché diviene
testimone e modello della bellezza del gioco.
L’educatore deve sapere che per il ragazzo il primo gioco ed il più bello è proprio la figura del
suo educatore. E il ragazzo viene motivato dall’educatore solo quando quest’ultimo accetta di
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‘mettersi in gioco’ pienamente, ovvero accetta non solo il ruolo di ‘animatore’ o di ‘arbitro’ del
gioco, ma di essere ‘trasportato’ e ‘divertito’ dal gioco. Un educatore che non ha il coraggio di
giocare fino a ‘diventare gioco’ potrà difficilmente ‘giocare’ i suoi ragazzi.
SCHEDA 2 – Valorizzare il singolo oltre al gruppo: puntare sull’elogio
Ciascun ragazzo si sente e vorrebbe essere protagonista nel gioco.
Come è possibile quando al gioco partecipano molti ragazzi? Una possibilità è fare ricorso all’elogio, la
leva più vantaggiosa (costo nullo, altissimo ritorno) che l’educatore dovrebbe saper utilizzare per favorire
nei ragazzi sia il coinvolgimento personale che la soddisfazione.
Perché elogiare? Oltre a sviluppare l’interesse e la motivazione al gioco, l’elogio ben fatto stimola a
giocare sempre meglio, migliora il rapporto tra ragazzo ed educatore, e soprattutto dà al ragazzo un
segnale forte di riconoscimento
Quando elogiare?
•
•
Ogni volta che si è in presenza di un significativo risultato o comportamento positivo
Va elogiato il risultato: lo sforzo e l’impegno verso il risultato vanno incoraggiati e sostenuti, ma
elogiati solo quando si trasformano in risultato
Come elogiare ? Le cinque regole d’oro
1.L’Elogio deve essere autentico :
• occorre elogiare un ragazzo per un risultato significativo effettivamente conseguito durante il gioco,
e del quale l’elogiato è artefice; se invece l’elogio è in realtà diretto a fare bella impressione sul
ragazzo, anche in forma inconsapevole, esso si ritorce contro l’educatore/animatore, perché non
migliora la prestazione dell’elogiato, ma semplicemente lo ‘agita’ (il ragazzo inizia a fare qualcosa,
senza badare al risultato effettivo)
2. L’Elogio deve essere specifico :
• Se vogliamo migliorare la partecipazione del ragazzo durante il gioco, occorre esattamente fargli
notare quale componente della sua prestazione è positiva, in modo che l’elogio sia chiaramente
associato ad uno specifico risultato o comportamento (es: “Hai migliorato il tempo di percorso di
parecchi secondi. Bravo”)
3. L’Elogio deve essere tempestivo :
• l’elogio va fatto a caldo, vale dire immediatamente dopo il conseguimento del risultato; elogi fatti a
distanza dal risultato conseguito perdono la loro forza di motivazione
4. L’Elogio deve essere assoluto:
• Bisogna elogiare e basta: MAI AGGIUNGERE AD UN ELOGIO UNA CRITICA! Non si sortisce né
l’effetto di critica né quello di elogio
• MAI AGGIUNGERE ALCUNCHE’ AD UN ELOGIO (ad esempio elogiare un ragazzo e poi passare a
parlare di altro): questo affievolisce l’effetto dell’elogio
5. L’Elogio deve essere breve :
• Dire al ragazzo il risultato/ comportamento ed elogiare in pochi momenti. Quindi congedare. Il
dilungarsi nell’elogio uccide il potere motivazionale dell’elogio.
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Riassumendo, oltre a tener conto e saper utilizzare il ‘modello dominante’ dei videogiochi,
all’educatore è richiesta una rinnovata presa di coscienza, ovvero:
(1)
non dare per scontato una motivazione al gioco nel ragazzo, la quale oggi è da
considerarsi punto di arrivo più che di partenza;
(2)
liberare il gioco dalle incrostazioni ‘moralistiche’ puntando invece sulla sua capacità di
sedurre e divertire;
(3)
accettare di ‘giocarsi’ per primo, sapendo che egli è il ‘gioco più bello’ per il ragazzo,
pena la credibilità sua e del gioco stesso.
Non si tratta di cambiare i giochi che conosciamo e di inventarne sempre di nuovi (anche se un
aumento di fantasia non guasta), ma di inquadrare il gioco in una cornice metodologica
adeguata che lo valorizzi nella sua bellezza.
Fig. 1 – I gradi di bellezza del gioco
SCOPI
E REGOLE
DEL GIOCO
Immaginazione
narrazione
cambiamento
Gioco come
‘macchina del tempo’
Gioco come
‘storia a lieto fine’
Gioco come
‘impresa eroica’
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3. Belli non si nasce ma si diventa
La presa di coscienza del cambiamento è necessaria ma non sufficiente. Viene subito seguita
dalla domanda “…e allora, cosa bisognerebbe fare?”. Siamo dunque arrivati al punto: la
bellezza è ciò che salva il gioco in Oratorio, ma la bellezza nel gioco la si raggiunge attraverso
un metodo. Il metodo, lo ricordiamo, è ciò che sta tra la teoria e la tecnica applicativa. La teoria
educativa (anche sul gioco) senza metodo è sterile, la tecnica senza metodo è cieca, mera
esperienza che non produce conoscenza.
Abbiamo bisogno di un metodo per realizzare un bel gioco. Il metodo che suggeriamo di
utilizzare consiste nel valorizzare la componente simbolica e rituale insita nell’attività di gioco.
In questo senso il gioco è una di quelle dimensioni della vita in cui il significato di ciò che si fa
supera il livello concreto ed immediato di ciò che avviene per toccare e ‘parlare’ alla sensibilità
più profonda di colui che gioca. Ciò che attraverso il gioco avviene ‘qui ed ora’ rimanda anche a
qualcosa di ulteriore e misterioso, ‘dice delle verità’ su noi stessi, sul nostro modo di essere e
sul senso dell’esistenza, sul destino del nostro essere umani.
Va tenuto presente che anche il ragazzo, quale “cucciolo” di uomo in crescita, è fatto di ritualità
e trova il senso nel suo agire attraverso degli ‘schemi d’azione’ e di comportamento fortemente
‘rituali’ (basti pensare a certe situazioni o interazioni all’interno del gruppo dei pari) .
Il gioco è uno, il più naturale e semplice, di questi schemi di stilizzazione, ovvero un modello di
azione ripetuta che diventa matrice di altre azioni. Così il gioco, in una società in cui i riti del
passaggio all’età adulta si sono del tutto azzerati, diviene per il ragazzo (con l’aiuto
dell’educatore) la possibilità di ritrovare il senso delle sue azioni nel mondo, di confrontarsi con
le sfide della sua crescita e delle responsabilità verso di sé e gi altri.
Quando così non è, quando il gioco in Oratorio non esprime una pur semplice dimensione
rituale (di separazione, di iniziazione, di celebrazione…) o questa dimensione non viene messa
in luce, il gioco si riduce ad una semplice attività di sfogo psicofisico, attraverso cui liberare un
certo surplus di energia o di tensione, magari per consentire uno svolgimento più calmo della
preghiera o dell’incontro di catechismo. Il gioco allora diventa sterile, brutto, ‘muto’.
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Un ‘bel gioco’, invece, è quello che fa trasparire l’ordine del simbolico e del rituale. A livello
metodologico, valorizzare la dimensione rituale del gioco significa rispettare alcune condizioni di
spazio, tempo e contesto:
-
il gioco, come il rito, ha bisogno di ‘spazi prestabiliti’, (sia fisici ma soprattutto mentali), di
luoghi particolari (anche il semplice ‘tavolo da gioco’) in modo da avere un distacco dal
quotidiano;
-
il gioco, come il rito, ha inoltre delle delimitazioni di tempo, una durata definita che va
rispettata, perché è un tempo ‘diverso’ da quello normale;
-
il gioco, come il rito, ‘sospende la realtà’, al fine di offrire la possibilità di trasferirsi ed
immergersi in un altro contesto, un altro ‘mondo possibile’, governato dalle regole
stabilite dal gioco stesso, consentendo di sperimentare nuovi modi di essere e nuovi
significati.
Il fascino seduttivo più profondo del gioco è dunque la possibilità di una provvisoria ma reale
trasposizione del mondo, in modo non dichiarato ma efficace.
Quando il gioco organizzato in Oratorio possiede ed esprime, anche in parte, questa valenza
rituale allora è in grado di catturare i ragazzi, i quali avvertono, seppur in modo confuso, che
quel gioco parla di loro, dei loro desideri e paure, del loro impegno e difficoltà a diventare
grandi. In questo consiste la vera bellezza del gioco, nella capacità di suggerire delle verità su
se stessi. Ed è questo che ciò che lo salverà.
Scendendo più nel concreto, la bellezza del gioco si esprime ad almeno tre livelli, che il gruppo
educatori dovrebbe poter curare e sviluppare:
a) l’aspetto della coreografia, della ‘messa in scena’, il cui compito è quello di
stimolare l’immaginazione e creare la giusta atmosfera, impostando lo stile ed il
tono della partecipazione al gioco.
Il ragazzo oggi ha difficoltà ad immaginare mondi e situazioni, è come se avesse delegato la
sua capacità di inventare e fantasticare alla TV e videogiochi.
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È dunque opportuno sostenere ed accompagnare l’immaginazione del ragazzo, anche se in
forma più aperta rispetto ai ‘pacchetti di fantasia pre-confezionata’ dei videogiochi. Al ragazzo
non si può chiedere di immaginare tutto, di ‘fare finta che’ senza dargli dei buoni appigli.
La ‘messa in scena’ è fondamentale per stimolare il passaggio ad un altro ‘mondo’ simbolico.
La sceneggiatura è ciò che fa sì che il gioco diventi una ‘macchina del tempo’, capace di
trasportare i ragazzi ‘là e allora’, in modo accattivante, in altri mondi, dimensioni, epoche.
La ‘messa in scena’ si riferisce sia agli ambienti che ai giocatori che agli strumenti di gioco.
Riguarda i ragazzi ma soprattutto gli educatori. Essa indica immediatamente ai ragazzi quanto
gli educatori si stanno veramente ‘giocando’ e quanto è ‘seria’ la proposta di gioco.
La sceneggiatura può essere più o meno semplice o articolata, imponente o minimale, ma deve
sempre garantire una adeguata atmosfera: deve essere dunque preparata, curata e precisa, dai
cartelli agli addobbi, ai costumi, dai suoni ai colori, agli odori, ai materiali.
Un gioco dunque, per essere bello, deve essere appositamente introdotto e messo in scena:
occorre evitare di cadere nella tentazione di un ‘ascetismo ludico’, ovvero pensare che oggi
basti poco (un campo, un pallone, un pezzo di stoffa…) per entusiasmare i ragazzi. Il gioco
‘povero’ il più delle volte è un gioco brutto. Non esiste la ‘quaresima del gioco’ in Oratorio, e
dunque quando si gioca non si ‘fa penitenza’: quando si gioca si è sempre in periodo pasquale,
perché il gioco appartiene all’ordine della festa, della celebrazione gioiosa, della vita nuova e
della speranza.
b) Il gioco andrebbe inoltre inserito in una storia, ovvero incentrarsi e svilupparsi
lungo un percorso narrativo avvincente, articolato in tappe ed episodi
La storia rende vivo e vitale il gioco, consente uno sviluppo più ricco, crea l’imprevisto, cambia
le situazioni, evitando che il gioco si riduca ad un semplice scheletro di regole da rispettare.
Il bravo educatore è colui che sa raccontare delle storie ed ha storie da raccontare. Questa
competenza narrativa è decisiva in molte attività oratoriane, ma diventa fondamentale nel
suscitare l’interesse ed il coinvolgimento dei ragazzi nel gioco.
Grazie alla narrazione il gioco valorizza l’importanza che la della dimensione del fantastico ha
per il ragazzo, trasformandola in un’avventura a lieto fine ed un’occasione di maturazione. La
storia crea continuità e nel contempo consente di vivacizzare il gioco con episodi sempre nuovi,
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di introdurre personaggi e ruoli che possono valorizzare e ‘recuperare’ le diverse abilità e
difficoltà dei ragazzi.
Occorre ovviamente scegliere bene la storia-gioco, in modo da risultare capace di assicurare un
reale coinvolgimento dei ragazzi: per questo va ben presentata ed espressa con un linguaggio
semplice ma anche un po’ poetico.
La storia-gioco infatti non vuole soltanto catturare l’attenzione ma lasciare spazio
all’immaginazione, e così evocare (anche se indirettamente) delle esperienze ed emozioni che il
ragazzo stesso vive nella realtà familiare, scolastica, amicale. In questo modo il gioco-storia
non solo di-verte il ragazzo ma favorisce riflessioni e genera nuovi comportamenti attraverso il
confronto implicito tra mondo immaginario e mondo reale.
La bellezza del gioco-storia si traduce anche nella possibilità di richiamare alcune virtù e valori,
sia legati al conoscere (sapienza, intelligenza) sia di tipo etico-pratico, quindi il coraggio, la
generosità, la giustizia, la compassione per chi è in difficoltà, la fiducia reciproca.
Il gruppo educatori ha così la possibilità di mettere a fuoco e comunicare la ‘mappa dei valori’
più opportuna per suggerire ai partecipanti del gioco-storia i comportamenti in grado di far
esprimere le loro potenzialità, soprattutto quando il gioco aiuta i ragazzi di fronte a delle scelte e
delle alternative di comportamento.
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SCHEDA 3 – Vestire il gioco raccontando storie
Un gioco fatto solo di scopi e regole è un gioco povero e ‘nudo’. Difficilmente saprà suscitare entusiasmo
nei ragazzi, perché manca del terzo aspetto, quello capace di stimolare l’immaginazione; e
l’immaginazione si nutre di storie ben scelte e raccontate.
La storia è per il gioco come un vestito: ne fornisce l’immagine, rendendolo più bello ed affascinante agli
occhi dei ragazzi.
Ecco allora alcuni consigli per ottenere dei racconti-gioco efficaci.
1. Credete a ciò che raccontate
• Non siate solo dei narratori indifferenti. Scegliete delle storie che vi appassionano, non un qualsiasi
racconto. I ragazzi se ne accorgeranno e vi seguiranno più facilmente
2. Caratterizzare con dettagli
• Il sale della storia sono i suoi dettagli, che se proposti in modo equilibrato e senza esagerazioni,
favoriscono l’immedesimazione nei personaggi, nell’azione, nelle situazioni: senza un buon uso dei
dettagli il gioco-storia manca di sapore e spessore
3. Dare continuità
• Prevedete di suddividere il gioco-storia in episodi o puntate, individuando i punti cruciali in cui
interrompervi: servirà a tenere alta l’attenzione e l’attesa nei ragazzi. Ricordate in questo caso di fare
un piccolo riassunto di quanto già avvenuto, quando la storia verrà ripresa
4. Riferimenti chiari
• Articolate la trama in modo che sia semplice e facile da seguire: non moltiplicate i personaggi e gli
intrecci, fate invce in modo che i legami ed i passaggi tra le parti siano chiari. La chiarezza, non la
confusione e l’incertezza, è ciò che vi consentiranno di creare la giusta atmosfera di ‘mistero’ ed una
efficace suspence, al momento giusto
5. I piccoli prima dei grandi
• Se il vostro gruppo è composto da ragazzi di età diverse, raccontate una storia calibrata su quelli di
età inferiore. La loro presenza sarà un ‘alibi’ per quelli più grandi, che possono partecipare ‘salvando
l’onore’ ed evitando di sentirsi fuori posto.
6. La fantasia non è uguale per tutti
La sensibilità alle storie varia secondo l’età: fino ai nove anni, prevale il ‘meraviglioso’ (che non è
l’incredibile, ma una rilettura ‘magica’ della realtà); quindi fino ai 12-13 anni è lo spirito di avventura,
di scoperta e il gusto del fantastico che prevale. Infine, aumenta man mano l’interesse verso storie e
racconti tratti dal reale
•
7. Effetti speciali
• Se possibile, integrate e arricchite il vostro racconto con effetti di luce o sonori (bastano anche solo
un telo per ombre cinesi o un registratore). Ricordate di ben preparare e provare prima gli effetti che
volete utilizzare
8. Niente trucchi
• Non utilizzate il racconto-gioco per fare della morale ai ragazzi. Tutte le storie hanno una morale,
ovviamente, ma non è il caso di essere moralistici. E’ la bellezza del gioco in questione, non una
‘lezione mascherata’.
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c) Il gioco deve poter essere vissuto come una ‘impresa eroica’, ovvero
rappresentare per il ragazzo una occasione di trasformazione e maturazione,
attraverso la simulazione delle sfide che incontra nel diventare grande
Tra le possibili narrazioni su cui impostare lo sviluppo del gioco organizzato, un filone che
risulta particolarmente fecondo, anche sotto l’aspetto educativo, pensando ai ragazzi, è quello
che fa riferimento al cosiddetto ‘ciclo eroico’, per usare la definizione usata dagli studiosi dei
racconti mitici.
Ciò che rende interessante questo ‘viaggio dell’eroe’ è il fatto di rappresentare qualcosa di più
di un racconto avventuroso: esso è una narrazione che delinea per fasi successive un percorso
di trasformazione interiore che il ragazzo si trova ad affrontare, ovvero il passaggio dall’infanzia
alla preadolescenza e alla adolescenza, nonché il loro possibile esito.
In altre parole, l’eroe è una immagine che si evolve in modo da riflettere i cambiamenti che
avvengono nel ragazzo nel suo viaggio verso la giovinezza. Il viaggio dell'eroe è infatti la storia
di una rinascita, o di una seconda nascita.
Il "viaggio dell'eroe" costituisce inoltre un approccio che il ragazzo può facilmente comprendere,
essendo la dinamica sottostante non solo alle grandi storie della mitologia classica ma a quella
dei film nel cinema contemporaneo (basti pensare al ciclo di Guerre Stellari, a Excalibur, per
non parlare di Harry Potter e del Signore degli Anelli….).
Ai fini del nostro discorso, è importante sapere che il ‘ciclo eroico’ può e dovrebbe essere
utilizzato anche in forma di gioco, come testimonia il grande successo che da anni ormai
riscuotono i giochi di ruolo ‘fantasy’ presso i ragazzi, una tipologia di gioco di gruppo che – sia
detto per inciso – un buon educatore oratoriano dovrebbe conoscere e saper utilizzare.
Riassumiamo brevemente i passaggi principali di questo ‘viaggio del ragazzo-eroe’,
accennando alle possibili associazioni al gioco.
1. SEPARAZIONE - La prima fase del viaggio prevede che l'eroe si separi da ciò che è stato
fino a quel momento, sulla spinta del richiamo dell'avventura, sentendosi pronto o disposto
a cambiare. Nonostante il cambiamento comporti la paura dell'ignoto, l'esigenza è talmente
forte da determinare una Separazione.
Il gioco dovrà prevedere un obiettivo avvincente ( il classico ‘drago da sconfiggere’) un
problema da risolvere, una missione da compiere etc.
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In questa fase il ragazzo-eroe dovrà acquisire consapevolezza della sua forza e capacità:
egli dovrà affrontare e superare una serie di prove preliminari (giochi di abilità, di potenza…)
che lo confermeranno nel suo valore.
2. INCONTRO CON LA GUIDA - Man mano che le prove aumentano di difficoltà, egli si
renderà conto di essere forte ma inesperto: questa debolezza viene compensata dalla
comparsa di figure tutelari ( la ‘guida’, il ‘maestro’) che senza sostituirsi all’eroe gli indicano
le strategie più opportune per superare le nuove prove ed imprevisti si sente forte e potente.
Lo sviluppo del gioco dovrà prevedere a questo punto prove di astuzia, di intelligenza, in cui
far emergere non solo le abilità ma le qualità morali del ragazzo-eroe (onestà, coraggio,
sacrificio, altruismo…). Al suo fianco egli dovrà trovare e saper ascoltare figure – guida
(qualche educatore) dai poteri speciali, che gli consentiranno di portare a termine imprese
che da solo non sarebbe in grado di realizzare
3. INIZIAZIONE – il superamento di questa fase farà sentire il ragazzo-eroe ‘invincibile’; si farà
strada in lui la convinzione di essere ‘autosufficiente’. La figura-guida viene abbandonata.
L’eroe è spinto ad attraversare la soglia, ovvero il punto oltre il quale non vi è più possibilità
di ritorno. Sulla soglia incontra sempre un antagonista che cerca di impedirgli di varcare la
soglia stessa usando la critica distruttiva e cercando di insinuare dubbi nel ragazzo.
Il gioco deve prevedere un adeguato annuncio di questo confine e del suo superamento.
Verrà quindi proposta la prova decisiva, la quale non consisterà più nel superare un ostacolo
o risolvere un problema ma nel resistere alle ‘tentazioni’, ovvero ciò che il ragazzo può
vivere come vantaggioso ma ‘vizioso’ rispetto al comportamento ’virtuoso’ dell’eroe. In altre
parole, il ragazzo verrà tentato a prevalere in modo scorretto e/o sleale, infrangendo le
regole (scorciatoie, trucchi, inganni…) .
Nella fase di iniziazione, dunque, l'eroe incontra il "lato oscuro della forza" rappresentato
dall'antagonista che cerca di sopraffarlo: ciò significa che, se il ragazzo-eroe cede alle
lusinghe, diventerà come l'Antagonista, il quale infatti incarna tutte quelle modalità, trucchi,
irregolarità che anche l’eroe sarebbe tentato di adoperare. Il ragazzo-eroe si trova adesso
nel suo momento più buio: a questo punto, o vince affrontando le nuove difficoltà in modo da
acquisire nuova consapevolezza delle sue responsabilità, oppure fallisce il passaggio di
livello e ‘muore’. L'iniziazione simbolizza infatti la morte spirituale e la conseguente rinascita.
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4. RITORNO – Il premio della positiva conclusione dell'iniziazione, consiste in un dono che
simbolizza la trasformazione di cui il ragazzo-eroe è divenuto portatore. A questo punto, il
gioco non è ancora concluso perché inizia la fase del ritorno a casa. Tale ritorno comporta il
ri-attraversamento della soglia, questa volta in senso inverso, per portare nel mondo il nuovo
dono.
Ciò comporta tutta una serie di altre prove, consistenti nel ‘convincere’ e ‘conquistare’.
Questo genera conflitti con il vecchio modo di vedere le cose che opporrà resistenza. Alla
fine, il ragazzo-eroe dovrà riuscire a rinnovare la vecchia casa, la quale a sua volta diverrà il
nuovo punto di partenza, così che un altro eroe dovrà intraprendere il viaggio per rinnovarlo
ripetendo il ciclo.
Fig. 2 IL VIAGGIO DELL'EROE
1] Richiamo
SEPARAZIONE
Il richiamo
dell'avventura
8] LeIl prove
nuovo ordine
del
ritorno
“l’incoronazione”
Le prime prove
(avventur
2]
Incontro
con
a)la guida
Incontro
con
laNuove
“guida”
prove
Soglia
RITORNO
Rin ascita
SOGLIA
3] La “prova”
Il dono
L’incontro e la sfida con
l'Antagonista
5] La ricompensa
4] La notte
3] La “prova”
dell’an
Iniziazion
INIZIAZIONE
Le prove
Per concludere:
la bellezza del gioco non è una qualità ma un metodo
ima
e
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Forse qualcuno leggendo queste note si sarà entusiasmato, sentendosi stimolato a provare
strade diverse nell’approccio al gioco organizzato e di gruppo. Forse qualcuno avrà concluso
che si tratta di un percorso troppo complesso, troppo ‘teorico’, e soprattutto adatto semmai a
quegli oratori che hanno un bel gruppo di educatori motivati, mentre magari il suo è solo un
piccolo oratorio.
Il messaggio che si è cercato di dare è tuttavia molto semplice: non si tratta di fare le ‘cose in
grande’ ma di farle bene; non si tratta di inventare giochi sempre nuovi e fare la corsa sui
videogiochi, ma di fare giochi belli, ovvero di catturare gli occhi ed il cuore dei ragazzi, giochi
belli non in senso formale ma educativo, perché liberano la loro immaginazione, li fanno
sentire protagonisti e nel contempo meno soli di fronte alle sfide della loro crescita.
Non è un problema di ampiezza dell’oratorio o di numero di educatori. Non è nemmeno una
questione di fantasia e buona volontà: per proporre giochi di successo, occorre soprattutto
metodo.
Ricapitoliamo i suoi punti principali:
-
Essere convinti che l’educatore è per il ragazzo il gioco più bello
-
inserire il gioco in una narrazione sostenuta da una efficace ‘messa in scena’ (gioco-storia)
-
agganciare il gioco alla “dimensione eroica” e alla avventura (gioco- impresa)
-
personalizzare il più possibile il gioco assegnando ruoli specifici ai ragazzi
-
ritualizzare i momenti di inizio, di passaggio, di conclusione e premiazione
Questo metodo lo abbiamo chiamato il ‘metodo della bellezza’, quello che può far fare al gioco
in oratorio un salto di qualità e di modernità, quello che accoglie e rilancia educativamente i
cambiamenti e le sfide prodotti nei ragazzi dal divertimento ‘mondano’.
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SCHEDA 4 – Alla ricerca di nuovi giochi
Se il gioco organizzato in oratorio è in crisi non è perché mancano i giochi, anche originali, da proporre
quanto perché non ci si preoccupa di renderli belli ed accattivanti.
Non è dunque un problema di fantasia o di aggiornamento del repertorio ma di sensibilità e metodo
Ad ogni modo, nel caso abbiate voglia di esplorare nuove possibilità di gioco o vi servano nuove prove
da inserire nel canovaccio del gioco, vi suggeriamo di utilizzare, se non l’avete ancora provata, la tecnica
delle ‘associazioni forzate’.
Questa tecnica è impiegata per stimolare il pensiero creativo e divergente, e si basa su delle matrici, ad
esempio.
Vostro compito è quello di riempire con delle idee o soluzioni il maggior numero di caselle che riuscite,
specie quelle che risultano dagli incroci più improbabili. In ogni casella vi possono ovviamente essere più
idee.
Una volta capito come funziona il meccanismo, potete impostare voi stessi altri tipi di matrici.
Ad esempio, nella matrice A, la casella/incrocio tra abilità e squadra può far venire in mente una caccia
al tesoro. Quindi, con la matrice B possiamo individuare tutta una serie di prove di abilità ripartite per
organi di senso.
Ma possiamo immaginare anche una caccia al tesoro basata su quiz ripartiti nei cinque sensi, ecc.
È bene condividere la tecnica delle associazioni forzate nel gruppo educatori, così da potenziare
fantasia e forza ideativi con il contributo di tutti.
Si può procedere in questo modo:
- esposizione iniziale del tema di fondo del gioco che si vuol proporre
- presentazione e condivisione delle matrici associative che si vogliono utilizzare, da prendere in
considerazione una dopo l’altra, possibilmente
- avviare la fase di brainstorming, ovvero di ideazione libera, senza censure preliminari, accogliendo tutti
gli spunti senza critiche o autocritiche
- classificazione e selezione delle idee più interessanti prodotte nella fase precedente
- finalizzazione del gioco, delle regole e delle prove utilizzando il materiale prodotto e selezionato
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MATRICE A – ‘Prestazioni vs condizioni di gioco’
SINGOLO
SQUADRE
ALL’APERTO
AL COPERTO
ABILITÀ
(prove da superare)
CONOSCENZE
(quiz da risolvere)
ELIMINAZIONE
degli avversari
CATTURA
degli avversari
MATRICE B – ‘Prestazioni vs modalità sensoriali’
VISTA
UDITO
TATTO
GUSTO
OLFATTO
ABILITÀ
(prove da superare)
CONOSCENZE
(quiz da risolvere)
ELIMINAZIONE
degli avversari
CATTURA
degli avversari
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