psico cta
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PSICOLOGIA DI COMUNITA’ Comunità: Entità sociale globale in cui i legami tra i membri sono molto stretti è forte il senso dell’ingroup ed è radicato in tradizioni profonde; Entità sovraindividuale che si impone sull’individuo singolo in forza della sua trascendenza di ordine sia etico, sia politico 3 aspetti insiti in questo concetto: 1) Spazio territoriale 2) Caratteri sociologici 3) Unità psicologica La comunità può essere definita come: o o o o Luogo definito in termini spazio temporali Entità sociale globale dove i membri sono legati da senso di appartenenza radicato nelle tradizioni Entità sovraindividuale: depositaria di un bene comune che può garantire e tutelare il singolo civitas dove vigono diritti e doveri comuni CONCETTO DI COMUNITÁ: BREVE EXCURSUS STORICO Polis di Aristotele: comunità depositaria di un bene comune che non solo trascende quello individuale, ma che diventa garanzia, metro e tutela di quest’ultimo Pensiero medievale cristiano: l’uomo non ha potere di fronte ad un universo che lo sovrasta. Ogni singolo individuo deve stare al suo posto perché lì messo da una volontà superiore. Idea di comunità del Romanticismo: vede soprattutto il lato negativo dell’individualismo (in contrapposizione all’Illuminismo). L’individuo può avere un suo posto solo nella misura in cui è parte di quell’entità sovra-individuale da cui trae i fondamenti etici che lo fanno “essere umano Individualismo: Individuo => Soggetto portatore di pensiero e di una singolarità che detiene in sé e non più un elemento del mondo al centro del discorso etico e politico. => Nell’uomo in quanto tale risiedono le radici della sua libertà, della sua autodirezionalità. Idea di un sociale che non è sovrumano, ma umano Costituzione americana del 1776; Rivoluzione francese del 1789 Il Romanticismo esalta l’idea di un uomo capace di sfidare l’assoluto e di affermare se stesso e il suo agire su tutti gli altri. Elabora anche la nozione di un collettivo sociale forte, capace di garantire la vita comune proprio perché si impone sulle forze individuali in virtù della sua sacralità. Fine 1700, Schleiermacher => sentimento come categoria che ispira la concezione di comunità, entità sociale costituita da uno speciale legame tra i suoi membri, ricco di sentimenti e sostenuto da uno scopo comune => Comunità diverso da società Il concetto di comunità viene tradizionalmente definito in opposizione a società => TÖNNIES, 1887 Comunità e società: individua due diverse forme di organizzazione sociale contrapposte tra loro Comunità: fondata sul sentimento di appartenenza e sulla partecipazione spontanea Società: basata sulla razionalità e sullo scambio Da categoria morale la comunità diviene una categoria sociologica, che si definisce soprattutto in base a quell’altra categoria che è la società Comunità: fondata sulla comprensione => “modo di sentire comune e reciproco, associativo” La dignità diventa la caratteristica essenziale su cui si fondano le differenze tra i membri che restano uniti da vincoli più sentimentali che utilitaristici: il rispetto, la tenerezza, la benevolenza Relazioni nella comunità: fiducia reciproca, organismo vivente, fondato sul sentire comune Relazioni nella società: fondate su base contrattuale, temporanee e molto fredde, aggregato su basi meccaniche ASPETTI ESSENZIALI DELL’IDEA DI COMUNITÁ Interdipendenza dei sistemi relazionali tra le persone Forte omogeneità rispetto ad alcuni valori e norme condivisi Valori e norme come elementi interiorizzati più che espressi formalmente Cultura e modi di vita condivisi e presenza di un forte senso dell’ingroup rispetto all’outgroup circostante Comunità: gruppo di persone che stanno insieme non per raggiungere interessi particolari, ma per perseguire le condizioni basiche della vita quotidiana ATTUALITÀ del CONCETTO di COMUNITÀ Relazione interpersonale ha un ruolo positivo e importante: relazione stessa intesa come risorsa Si cerca di superare separazione tra soggetto e società Individuo e ambiente = entità inseparabili che si influenzano reciprocamente. Contesti di vita in cui sono collocati gli individui => ECOSISTEMA Il SOGGETTO ATTIVO Individuo che non solo desidera, pensa soffre ma fa e quindi non si limita a reagire alle cose (ottica meccanicistica – behaviorismo) e alle situazioni (ottica meccanicistica – behaviorismo) ma è in grado di modificarle, di crearne di nuove. L’azione è essenzialmente lo strumento per fare, cioè per operare in quel dominio della pratica che è costituito dall’attività degli uomini e che a sua volta contribuisce a costituirli come essere umani sociali, cioè come esseri che hanno avuto un costante ruolo di intervento sull’ambiente, da un lato, e di concomitante costituzione di rapporti sociali dall’altro. Il soggetto della psicologia di comunità è un essere portatore di progetti, aspirazioni, speranze, che si trova a nascere e vivere in un contesto di problemi che la vita gli mette costantemente di fronte. ORIGINI e SVILUPPO della PSICOLOGIA di COMUNITÁ => U.S.A. (conferenza di Swampscott) 1965 TAPPE PRINCIPALI Prima metà ‘800: orientamento dominante nella psichiatria americana: “trattamento morale” => malati mentali curati attraverso ritorno a un sistema di vita guidato da solidi principi morali Seconda metà ‘800: tramonto del trattamento morale e diffusione del “darwinismo sociale” =>lotta per l’esistenza, sopravvivenza del più adatto Fine XIX inizi XX secolo: settlement houses => case di accoglienza e promozione sociale per i poveri Anni Trenta: responsabilità del contesto (New Deal di Roosevelt dopo la crisi del 1929) e non solo “colpa” individuale 1958: ricerca di Hollingshead e Redlich “Classi sociali e malattia mentale” => relazione fra disturbi emotivi, tipi di trattamento e classi sociali Asylums (Goffman, 1961) Cura a prevenzione in centri dislocati sul territorio: riportare il malato nelle comunità locali 1963: Approvazione del “Community Mental Health Act” che riorganizza in chiave comunitaria il sistema sanitario relativo alle cure psichiatriche stabilendo il principio della territorialità dei servizi alle persone. Si riducono così i ricoveri negli ospedali psichiatrici e ampliando l’offerta di trattamenti al cittadino all’interno della propria comunità di residenza. 1964: War on Powerty prevede riforme in senso socio-assistenziale. In quel periodo infatti, anche al fine di accrescere il consenso interno, scosso dai tragici risultati della guerra in Vietnam, il governo istituisce programmi per bambini svantaggiati, per giovani disoccupati e per il recupero dei tossicodipendenti. 1965: Swampscott (New England): viene sancita la nascita della Psic. Di Com. Periodo in cui negli USA ci sono rilevanti movimenti sociali (lotta per i diritti civili degli afroamericani, protesta studentesca). Il governo risponde con alcune imponenti politiche sociali (war on poverty, Cmhca). Anni ’70: dal trattamento alla prevenzione Anni ’80: insediamento Ronald Reagan => tagli a programmi assistenziali Ultimi anni: ulteriore sviluppo teorico che ha trovato nei due concetti, “empowerment” e “sostegno sociale”, due modi cruciali per visualizzare la promozione della società competente PSICOLOGIA di COMUNITÀ È un orientamento e un modo di pensare, un insieme di credenze che pongono attenzione alle condizioni di vita della persona, e che richiedono perciò concezioni teoriche diverse da quelle utili per comprendere un singolo individuo, in quanto basate su unità di analisi più ampie. Levine e Perkins, 1987 Si rivolge più alla prevenzione che al trattamento, enfatizza il rafforzamento delle competenze dell’attore sociale più che l’eliminazione del deficit, si focalizza sull’interazione tra persone e ambienti. Costituitasi in seguito a un processo di differenziazione da discipline «vicine» (psicologia clinica, lavoro sociale, psichiatria) Punto di partenza: approccio di Kurt Lewin (learning by doing, conoscere per cambiare, la persona nel contesto) Interazione tra sviluppo della disciplina e contesto sociopolitico Connessione tra elaborazione e diffusione delle modalità operative e tecniche di intervento nei vari settori in cui opera lo psicologo Area di ricerca e di intervento si occupa di problemi umani e sociali. Rivolta all’interfaccia tra individuale e collettivo, tra psicologico e sociale La Psicologia di Comunità considera gli individui all’interno del contesto e dei sistemi sociali di cui fanno parte o che li influenzano Psicologia di comunità: studio della persona nel contesto => analisi dei fattori individuali e contestuali Studio delle relazioni reciproche tra individui e sistemi sociali con cui questi interagiscono => studio dell’interazione individuo-sistema sociale => prospettiva ecologica Necessario adottare una prospettiva sistemica: Un comportamento può avere molte cause sottostanti APPROCCI TEORICI della PSICOLOGIA di COMUNITÀ: Orientato alla prevenzione Orientato alla promozione della salute Multidisciplinare delle esperienze Empirico dell’intervento sociale Rilevanza del contesto sociale. Si perfeziona in seguito allo stimolo di concrete situazioni di disagio sociale Psicologi e altri operatori differenziati da una visione individuale, biologica o intrapsichica del disagio Dapprima: innovazione circoscritta al settore dei servizi psichiatrici e alla cura della malattia mentale Poi: prospettiva si è allargata ad altri settori della vita sociale e comunitaria OBIETTIVO: prevenzione del disagio, della promozione delle risorse sociali Al di là delle specificità territoriali e contestuali: Sguardo critico verso la psicologia dominante tradizionale Interesse per i valori, il potere, la giustizia Interesse per il contesto e per “l’individuo nel contesto” Focus sulla prevenzione (non tanto sul trattamento), rafforzamento delle competenze, non eliminazione del deficit giving psychology away (“lo psicologo di comunità lavora per la propria scomparsa”) Psicologia di comunità: “area di ricerca e di intervento sui problemi umani e sociali che si rivolge eminentemente all’interfaccia tra la sfera individuale e quella collettiva, tra la sfera psicologica e quella sociale” Studio delle relazioni reciproche tra individui e sistemi sociali con cui questi interagiscono => studio dell’interazione individuo-sistema sociale => METAFORA ECOLOGICA METAFORA ECOLOGICA Tema centrale nell’ambito della Psicologia di comunità: Lo studio della persona nel contesto inteso come “studio delle relazioni reciproche tra individui e sistemi sociali con cui interagiscono” (Bennett et al, 1966) Per descrivere la complessa interazione individuo-sistema sociale la Psicologia di comunità si avvale della metafora ecologica (Nelson e Prilleltensky 2005). Essa è considerata sia: Un principio fondante (i fenomeni nascono e si sviluppano nei contesti) Sia un paradigma utilizzato nella ricerca scientifica (l’analisi congiunta di fattori individuali e contestuali) Sia un insieme di valori (accogliere la complessità dei fenomeni, valorizzarne la diversità, attivare risorse individuali e contestuali per il cambiamento) Ambiente e contesti di vita in cui le persone sono inserite influenzano significativamente il comportamento individuale Persone possono spiegare e controllare proprio comportamento attraverso una maggiore comprensione delle influenze ambientali specifiche Comportamento umano: esito dell’adattamento dell’individuo alle risorse dell’ambiente e alle circostanze che si verificano Individuo-ambiente ambiente-individuo Presupporre che l’ambiente eserciti significativi effetti sul comportamento individuale e che l’individuo possa modificare il suo ambiente in un rapporto di reciproca influenza si collega in termini di azione ed intervento ad altre implicazioni: 1) È possibile attuare interventi che, a partire da un contesto, ne coinvolgano altri portando benefici a tutti i soggetti che condividono tali contesti. È quindi auspicabile ideare azioni in grado di influenzare contemporaneamente più contesti sociali ipotizzando un cambiamento che coinvolga più livelli del sistema e permetta di ottimizzare i risultati raggiunti 2) Per coinvolgere ed indurre il cambiamento in uno o più contesti è necessario conoscere i contesti su cui si vuole agire attraverso un intervento. Questa conoscenza sottende una discesa sul campo degli studiosi. INDIVIDUO, TERRITORIO, COMUNITÁ: SCUOLA di CHICAGO Scuola di Chicago: Dipartimento di Sociologia Università di Chicago (1896) Attenzione a: analisi empirica del nesso tra problemi individuali e problemi sociali. Cerca di individuare elementi di collegamento tra aspetti individuali e sociali Anni ‘30-‘50: psicologi e antropologi sociali americani vicini a Scuola di Chicago => dato ambientale tra gli aspetti più tipici della definizione del concetto di comunità Scuola di Chicago: sorge all’interno del dipartimento di sociologia dell’università di Chicago nel 1896. Pone molta attenzione all’analisi empirica del nesso tra problemi individuali e sociali e punta ad individuare elementi di collegamento tra gli aspetti individuali e quelli sociali. Chicago per le sue caratteristiche (nel 1840 ha 4.470 abitanti, nel 1890 un milione e, nel 1930, 3 milioni e mezzo) diventa una sorta di vero e proprio laboratorio all’interno del quale svolgere ricerche empiriche. Ricerche (anni 20-40) Thomas e Znaniecki => Il contadino polacco in Europa ed America (1918-20): ricerca su esperienze di vita dei contadini polacchi che lasciavano il loro mondo e con esso una situazione di relativa sicurezza e stabilità per emigrare nelle città. Anderson => The Hobo (1923): ricerca sulla vita dei lavoratori migranti che si spostavano per gli Stati Uniti dell’epoca senza progetti ben definiti alla ricerca di un lavoro temporaneo. Thrasher => The Gang (1927): ricerca sulla delinquenza urbana attraverso l’analisi di 1.313 bande giovanili di Chicago che si distribuivano i 3 aree specifiche. Wirth => The Ghetto (1928): ricerca sui ghetti ebraici in Europa ed in America e sulle loro principali funzioni. Esponente di spicco di questa scuola è Robert Park => città, comunità, regione sono organismi sociali e non semplici fenomeni geografici Robert Park => città, comunità, regione = organismi sociali, non solo fenomeni geografici PARK (1921) Comunità umana: insieme interconnesso di unità che stanno insieme in modo simbiotico Tre caratteristiche fondamentali: 1) È presente un’organizzazione sociale: una comunità umana ha una popolazione organizzata sul territorio 2) È radicata all’interno di questo territorio 3) In questo territorio le singole unità sono mutualmente interdipendenti 1. Competizione: fattore centrale della vita collettiva, forma elementare di interazione. Interazione senza contatto sociale, impersonale e continua. A questa si associano altre 3 forme di interazione che dipendono dai contatti sociali 2. Conflitto: sempre consapevole, personale, intermittente può cessare con 3. Accomodamento: processo di adattamento, organizzazione di relazioni e di atteggiamenti sociali che servono a controllare la competizione e a prevenire o a ridurre il conflitto 4. Assimilazione: processo di fusione per cui soggetti e gruppi diventano parte di una cultura comune. Distinzione tra: ordine biotico e ordine sociale 1) Ordine biotico: regolato dai meccanismi della competizione 2) Ordine sociale: regolato dalla comunicazione, dalla socializzazione, dal consenso e dall’azione collettiva che derivano da ideali e da tradizioni comuni, da legami affettivi e da obiettivi comuni, dalla capacità delle persone di controllare i propri impulsi. Rende possibile l’azione collettiva Ordine biotico e sociale interagiscono tra loro ZIMMERMANN (1938) Una collettività per poter essere definita comunità deve possedere una base geografica definita e compatta Distingue tra: a) Comunità localistica: chiusa e isolata. Rapporti tra individuo e comunità sono molto stretti al punto che il soggetto pensa alla comunità come al SUO gruppo (legami quasi tutti faccia a faccia) b) Comunità cosmopolita: privilegiata l’individualità, l’amicizia e i rapporti di vicinato deboli, pochi richiami alle tradizioni, Comunità aperta, non isolata, disponibile al cambiamento PROSPETTIVA ECOLOGICA (BARKER) Comportamento umano visto in termini di adattamento della persona alle risorse e alle circostanze Barker (anni ’40) => Studio relazioni tra individuo e ambiente in condizioni naturali => analisi per evidenziare come le specificità ambientali danno luogo a specifici comportamenti, indipendenti dagli individui coinvolti Osservazione naturalistica, meticolosa di avvenimenti quotidiani nella vita dei bambini svolta nel contesto in cui si verificano naturalmente Individuate unità di analisi più molari = setting comportamentali. Situazioni che determinano comportamenti specifici indipendenti dalle persone coinvolte (es. chiesa, scuola): in ciascuno di essi si possono definire delle condotte stabili Setting comportamentale: insieme di pattern circoscritti di attività umane e non umane le cui parti e processi sono fortemente interdipendenti e si presentano quindi come delle unità Indicatori dei setting: a) Grado di coinvolgimento: persone legate al relativo programma di setting in base al diverso grado temporale in cui entrano al suo interno, alle differenti capacità e livello di responsabilità con cui lo fanno; b) Ricchezza di un setting: combinazione del numero dei sottogruppi (di età diversa, sesso, status sociale, etnia) in grado di essere coinvolti all’interno del setting, dei tipi di modalità comportamentali e di azione che si verificano in quel setting e dal tempo totale di apertura del setting. Limiti del modello: Riduzionismo: caratteristiche dell’ambiente condizionano il comportamento dei soggetti e non è studiato come questo è percepito e interpretato dagli individui Non spiega il cambiamento: contesti non immutabili, ma soggetti a cambiamento => aspetto non considerato da Barker PUNTI SPECIFICATI DALL’ANALOGIA ECOLOGICA (Levine & Perkins, 1987) o o o o Influenza dell’ambiente fisico e sociale sul comportamento Interdipendenza delle persone all’interno di particolari gruppi sociali interpretati come comunità Ricerca svolta in contesti naturali (no laboratori o setting clinici tradizionali) Ambito di ricerca-intervento volto a favorire una collaborazione partecipata e attiva tra studioso e residenti a cui la ricerca è rivolta Prospettiva ecologica: programma di intenzioni generali che conferma il carattere sociale dei problemi soggettivi e l’idea di un soggetto inteso in termini sociali. No paradigma, no modelli teorico-metodologico di analisi ECOLOGIA dello SVILUPPO UMANO: BRONFENBRENNER (1978) Amplia concetto di ambiente ecologico (critica impostazione di Barker: riduttiva per studio comportamento umano) Comprensione del comportamento umano richiede: o o Esame di sistemi di più persone in interazione non limitata a un solo contesto Considerazione di aspetti dell’ambiente che vanno al di là della situazione immediata di cui fa parte il soggetto Interesse per progressivo adattamento tra organismo umano, suo ambiente immediato e modo in cui tale relazione è mediata da forze che appartengono a un ambiente fisico e sociale più ampio => Punto centrale orientamento ecologico così inteso Ambiente ecologico: Serie ordinata di strutture concentriche incluse l’una nell’altra: 1. Microsistema: relazioni tra la persona e l’ambiente di cui la persona ha esperienza diretta 2. Mesosistema: due o più contesti ambientali a cui l’individuo partecipa attivamente 3. Esosistema: una o più situazioni ambientali a cui il soggetto non partecipa direttamente, ma dove si verificano eventi che influenzano l’ambiente con cui la persona ha contatto 4. Macrosistema: contesto sovrastrutturale. Condiziona i sistemi di livello più basso: legato a culture e organizzazioni sociali più ampie Nicchia ecologica: regione dell’ambiente particolarmente favorevole o sfavorevole per lo sviluppo di individui che hanno particolari caratteristiche KELLY, 1966 Riprende in parte il lavoro di Barker e propone 4 principi fondamentali che illustrano i meccanismi di influenza reciproca tra ambienti, gruppi e individui (utili per supportare la progettazione di interventi) : 1) Interdipendenza: i membri di un’unità sociale sono in rapporto di reciproca interdipendenza e interazione. I cambiamenti di una parte producono cambiamenti in altre parti del sistema (ad es. interventi su pazienti psichiatrici). I diversi contesti di vita assumono un peso diverso nel corso dell’esistenza (la scuola freq da ragazzo quando si è in età adulta). 2) Distribuzione delle risorse: come le risorse sono create e distribuite all’interno del sistema (risorse non solo economiche). Generalmente un intervento si muove sulla ridistribuzione delle risorse questo implica il fare sempre un’attenta analisi dei costi/benefici. 3) Adattamento: L’ambiente è in grado di contrastare o facilitare alcuni comportamenti. La quantità di risorse disponibili nell’ambiente, in un dato momento, scatena una risposta adattiva da parte dell’individuo (ad es. perdita del lavoro oppure un più alto tenore di vita). 4) Successione: l’ambiente non è statico ma è in continua trasformazione. Un cambiamento nell’ambiente può creare situazioni favorevoli per una popolazione e meno per altre. La conoscenza dei cambiamenti nel tempo può aiutare può contribuire alla conoscenza della comunità stessa. È così importante analizzare la direzione verso cui la comunità sta andando. LEVINE (1969): Definisce 5 principi per la pratica della psicologia di comunità, ossia delle forme di intervento che migliorino le capacità di adattamento: 1) Un problema sorge in un setting o in una situazione: i fattori situazionali causano, innescano, accrescono e/o mantengono il problema 2) Un problema sorge perché la capacità adattiva del setting (di problem-solving) è bloccata 3) Per essere efficace, un aiuto deve essere collocato in modo strategico rispetto all’insorgere del problema 4) Gli scopi e i valori dell’operatore o del servizio di aiuto devono essere coerenti con gli scopi e i valori del setting (ad es. fumatore e lega antifumo) 5) La forma di aiuto deve essere stabilita in modo sistematico, usando le risorse naturali del setting o mediante l’introduzione di risorse che possono diventare istituzionalizzate come parte del setting (ad es. fomare insegnanti per interventi di prevenzione) CARATTERISTICHE NECESSARIE AFFINCHÉ i QUARTIERI SIANO VISSUTI COME COMUNITÀ LOCALI Eterogeneità della popolazione => differenti usi del quartiere: no ghettizzazione Possibilità di partecipazione politica e sociale Soddisfazione di bisogni materiali e relazionali, supporto sociale: importanza rapporti di vicinato Varietà architettonica => varietà residenziale (quindi eterogeneità) Polifunzionalità => Differenti usi del quartiere, no quartieri dormitorio Organizzazione dei servizi e centri del quartiere => Catalizzatori di relazioni sociali Confini => Delimitazione fisica e simbolica dell’appartenenza QUARTIERE: Insieme complesso di dimensioni oggettive e strutturali e dimensioni soggettive e relazionali, strettamente connesse tra loro. Unità spaziale che ha una storia, una identità, strutture e risorse, punti deboli e risorse incide sulla vita degli individui RAPPORTO tra AMBIENTE e GRUPPI UMANI Human Ecology: rapporto tra ambiente e gruppi umani. Sviluppo del concetto di COMUNITÀ LOCALE => Comunità che assume una specificità attraverso sua collocazione geografico-territoriale Spazio urbano: depositario di storie di vita, oggetti simbolici rilevanti per identità della comunità e del singolo Condivisione simboli e archetipi: unisce chi si riconosce in quella cultura e in quel contesto => rinforza coesione in-group Rischio: comunità chiusa, sentimento di anomia o esclusione in chi non si riconosce in quei rituali PROCESSI PSICOSOCIALI in RIFERIMENTO ai LUOGHI Anni ’60 del 900: studio del rapporto tra residente e ambiente in cui vive (città) Canter (1977): Teoria di luogo. Interessato a studiare i processi cognitivi relativi all’ambiente Luogo=> sistema integrato di tre dimensioni caratteristiche: Fisiche Azioni associate a un particolare luogo Rappresentazioni delle specifiche azioni in quello specifico ambiente Prospettiva transnazionale (o socio-sistemica): Dato percettivo esito di un rapporto reciproco tra individuo e ambiente Stokols (1981) amplia definizione di luogo considerando i significati condivisi che lo connotano Superamento rappresentazione individualistica dell’ambiente, considerata in termini di schemi e mappe mentali Percezione sociale dell’ambiente: si colloca tra una prospettiva esclusivamente soggettiva e una strettamente oggettiva Significati socioculturali attribuiti a un luogo: ciò che unisce i gruppi ai luoghi Quanto più luogo ha significati sociali, tanto più aumenta interdipendenza tra dimensioni sociali e fisiche ATTACCAMENTO al LUOGO (Fried, 1963, 1982, 2000) Dinamiche affettive e soggettive che connotano la relazione che le persone stabiliscono con i luoghi e con gli altri individui di quei luoghi Sentimento di sicurezza derivato dalla presenza di ambienti familiari Origini del costrutto: trasferimento forzato abitanti di un quartiere di Boston fine anni Cinquanta (Fried, 1963) Analogie con teoria di Bowlby, ma differenze: o o o Persistenza temporale del legame Unicità figura di riferimento Ricerca di sicurezza LUOGO e IDENTITÀ Place identification (identificazione di luogo) Place identity (identità di luogo) Teoria del processo identitario Place identification (Twigger-Ross e Uzzell, 1996) Identificazione manifestata da un individuo con un posto Luogo come categoria sociale tout court, a cui si applicano i meccanismi evidenziati dalla Teoria dell’Identità Sociale (Tajfel, 1981) e dalla Teoria della Categorizzazione del Sé (Turner et al. 1987) Collocazione spaziale definisce l’appartenenza al gruppo Quindi: identificazione di luogo = forma di identificazione sociale derivante da un sentimento di appartenenza a un luogo (il nostro spazio vs. il loro) Place identity (Proshansky et al., 1983) Premessa: anche la relazione con i contesti fisici contribuisce allo sviluppo dell’identità personale Insieme di cognizioni sull’ambiente fisico in cui l’individuo vive che servono a definire, mantenere e proteggere l’identità di una persona Forte attaccamento emotivo a particolari luoghi «Sfondo cognitivo» che permette all’individuo di discriminare ciò che è familiare da ciò che non lo è Guida alla percezione dei diversi luoghi e facilita nel tempo il senso di continuità del Sé a fronte di possibili variazioni ambientali Teoria del processo identitario (Breakwell, 1986;1992) Quattro principi 1. Distintività: desiderio di mantenere propria unicità => persone usano identificazione di luogo per distinguere se stessi dagli altri 2. Continuità: desiderio di preservare continuità, nel tempo e nello spazio, del senso di Sé (luoghi di riferimento = referenti del sé passato e delle azioni passate; luoghi congruenti = ricerca di luoghi che rappresentino propri valori e siano congruenti con il self) 3. Autostima: valutazione positiva e piacevolezza personale legata allo stare in un luogo 4. Autoefficacia: ambiente facilitante per le attività che si desidera intraprendere (= ambiente maneggevole) SENSO DI COMUNITÀ Sarason 1974 (“The psychological sense of community”): valore fondante e fine ultimo perseguito dalla psicologia di comunità “lo sviluppo ed il mantenimento del senso psicologico di comunità”. Determinato da: Percezione di similarità Interdipendenza con gli altri; Appartenenza ad una struttura affidabile e stabile Senso di comunità si lega a forti componenti valoriali, fa riferimento ad una comunità non precisata. Nella pratica di ricerca il Senso di comunità dall’origine ai giorni nostri è stato indagato prevalentemente in relazione alle comunità territoriali Constatazione teorica sull’importanza di approfondire basi psicologiche del coinvolgimento degli individui nelle comunità di appartenenza Si parte dal presupposto che su tale coinvolgimento si fonda lo sviluppo delle comunità competenti promosse dalla psicologia di comunità Non proposti strumenti specifici di indagine per il Senso di comunità Difficoltà nel leggere questo costrutto alla luce della tradizione teorica e di ricerca della psicologia “dominante” MODELLO di McMILLAN e CHAVIS Raccolta la sfida di inserire costrutto del Senso di comunità in una cornice teorica e metodologica Rilevate le componenti psicologiche del Senso di comunità Sentimento di appartenenza, sentimento dei membri di essere importanti per il gruppo e l'uno per l'altro, e una fiducia condivisa nel fatto che i bisogni [comuni] saranno soddisfatti dal loro impegno a stare insieme COMPOSTO DA QUATTRO DIMENSIONI: Appartenenza Influenza Integrazione e soddisfazione dei bisogni Connessione emotiva condivisa Appartenenza Sentimento di far parte di una comunità. Caratterizzata da: Necessità di individuare precisi confini (fisici e simbolici): definiscono differenza tra insider e outsider Sistema condiviso di simboli quale mezzo per rafforzare i confini e aumentare coesione del gruppo Sicurezza emotiva: persone rassicurate dal fatto di appartenere a una comunità Identificazione nel gruppo Impegno personale: contribuisce a sviluppare senso di appartenenza e connessione emotiva con il gruppo Influenza Concetto bidirezionale: esercitata sia dall’individuo sulla comunità che viceversa. Le persone hanno bisogno di provare un certo controllo su di un gruppo per esserne attratti ma, parallelamente, il gruppo per evitare di sfaldarsi esercita una pressione conformistica sugli individui Bisogno individuale di influenzare la comunità: base per la partecipazione attiva INTEGRAZIONE e SODDISFAZIONE dei BISOGNI Consapevolezza dei soggetti di poter soddisfare propri bisogni in funzione della loro appartenenza al gruppo Percezione dei membri di una comunità della presenza di credenze e valori condivisi Equivalente al rinforzo positivo all’appartenenza alla comunità Soddisfazione dei bisogni dei singoli richiede l’integrazione tra le necessità individuali a causa dell’interdipendenza dei membri di una comunità Connessione emotiva Determinante per lo sviluppo del S.d.C. Legame affettivo che accomuna i membri e li lega al gruppo Si basa sulle interazioni tra le persone, sul loro numero e sulla loro qualità Componente del SdC che più caratterizza il legame comunitario rispetto ad altri tipi di appartenenze (cfr. Tönnies) Contribuisce fortemente allo sviluppo della connessione emotiva la condivisione di eventi importanti, anche drammatici (disastro naturale, crisi economica, etc.) Vedi interdipendenza del destino (Rabbie & Horwitz, 1969) CARATTERISTICHE del MODELLO di MCMILLAN e CHAVIS Fondato sui processi cognitivi, affettivi e motivazionali che fanno sì che la comunità sia riconosciuta come tale e non sulla relazione tra l’individuo e la comunità, quale essa sia Non fa riferimento ad una comunità specifica, quindi può essere applicato ad oggetti molto differenti tra loro Alcune delle dimensioni proposte sono mutuate dalle teorie sui gruppi (cfr. appartenenza, influenza) SENSO di COMUNITÀ: STRUMENTI di MISURA Senso di comunità: operazionalizzato in riferimento a differenti oggetti/comunità => diverse scale contesto specifiche Maggior parte dei casi: riferimento a una comunità territorialmente definita. Comunità di riferimento: Comunità territoriali (vicinato, quartiere, città), Organizzazioni Quasi totalità delle ricerche sul SdC basata sull’uso di scale di misura quantitative, con poche eccezioni (Puddifoot, 1994; Plas & Lewis, 1996). Sense of Community Scale (SCS) (Davidson e Cotter, 1986) Comunità di riferimento: territoriale (intesa come città) Adattamento italiano: Scala Italiana del Senso di Comunità (ISCS) 4 dimensioni per un totale di 18 item: Senso di appartenenza e connessione emotiva Soddisfazione dei bisogni ed influenza Clima sociale Piacevolezza casa/zona SENSO di COMUNITÀ: ASPETTI CRITICI E QUESTIONI APERTE Ambiguità nella definizione di comunità (confusione con gruppo, organizzazione, etc.) Il riferimento empirico è spesso la comunità locale, ha ancora senso utilizzare questa unità di analisi? (cfr. reti sociali) Eccessiva idealizzazione della comunità, senza tenere conto della componenti dialettiche e conflittuali dei rapporti tra individui e gruppi (Wiesenfeld, 1996) Mancanza di costanza di alcuni risultati di ricerca: le differenti scale di misura non rilevano il SdC secondo il modello di McMillan & Chavis. Rehingold (1991) e Hill (1996): componenti di ciò che viene definito comunità differiscono in base al setting considerato Senso di comunità: costrutto setting-specifico => Appartenenze multiple Possibilità per gli individui di identificarsi come membri di comunità diverse, ognuna delle quali può soddisfare delle esigenze specifiche STRESS Reazione psicologica adattiva. Può assumere significato patogenetico quando: È prodotta in modo troppo intenso E/o per lunghi periodi di tempo E/o non si accompagna a risposte sufficientemente efficaci Selye (1956): stato di attivazione del sistema nervoso vegetativo e del sistema endocrino esibito dall’individuo quando deve affrontare un’esigenza o adattarsi a una novità Stress = risposta fisiologica Stressor = causa esterna fonte di stress SINDROME GENERALE di ADATTAMENTO (GAS) Tre stadi: 1. Fase di allarme – shock di fronte all’evento stressante e successiva mobilitazione dei meccanismi corporei di difesa (attacco o fuga). Mantenere l’omeostasi dell’organismo 2. Resistenza – tentativi di ristabilire un nuovo equilibrio e un nuovo adattamento: a) perché lo stressor diminuisce la sua azione perturbatrice; b) perché la risposta comportamentale è efficace 3. Esaurimento – soggetto non è più in grado di reagire con meccanismi di allarme ( non possono essere sempre attivi). Rischio di contrarre una malattia Occorre distinguere tra: Distress: situazione spiacevole, spesso associata a cronicità Eustress: condizione associata a sensazioni positive, derivate da gratificazione per il superamento di una difficoltà Studi sullo stress: Focus sullo stimolo Focus sul vissuto del soggetto Focus su transazione soggetto – ambiente Focus sullo stimolo Anni ‘60: individuazione situazioni esistenziali più stressanti Eventi normativi: (matrimonio, nascita di un figlio, esami scolastici, morte di un parente) Eventi non normativi: inaspettati e/o rari (catastrofi, incidenti, malattie gravi) Eventi esterni: provenienti dall’ambiente Eventi interni: connessi a una fase della vita della persona Indipendentemente dall’evento specifico, prefigurano un cambiamento = passaggio da una fase esistenziale a un’altra STRESSFUL LIFE EVENTS Elenco condizioni particolarmente stressanti Holmes e Rahe (1967): 43 eventi Limite: nessuna considerazione vissuto individuale => Focus sul vissuto del soggetto Holmes e Rahe: Social Readjustment Rating Scale Ogni evento considerato in base a una valutazione soggettiva Focus su transazione soggetto - ambiente: Modello di Richard Lazarus (1974) Modello di Barbara Dohrenwend (1978) MODELLO TRANSAZIONALE di LAZARUS L’unità stimolo-risposta che costituisce lo stress è l’espressione di un essere pensante, capace di valutare le situazioni e di farvi fronte, utilizzando le risorse a disposizione Concetto di Appraisal (valutazione della situazione) transazionale fondamentale nel suo Modello cognitivo- Nella transazione individo-mondo sociale entrano in gioco 3 fattori: La richiesta imposta all’individuo dal contesto La costrizione che da essa deriva Le risorse disponibili Mediati dall’appraisal iniziale e da successive valutazioni di sé e della situazione Coping: E’ il secondo elemento mediatore di questo modello ed è costituito dai processi attuati per gestire una situazione sia nei suoi aspetti emotivi sia in quelli pratici. Insieme dei processi psicologici e delle attività concrete per mezzo delle quali un individuo affronta e gestisce un evento particolarmente pesante per lui, cercando di venire a capo del problema o, almeno, di ridurne le conseguenze. Risorse utilizzate per il coping sono di due tipi: Personali => Stato di salute, Capacità cognitive, Livello di autostima, fiducia in sé Materiali e sociali => Economiche, servizi disponibili, reti sociali di sostegno. Intreccio tra aspetti soggettivi e contestuali Processo adattivo per superare lo stress legato al concetto di coping Strategie di coping: modalità con cui si affronta il problema (evitamento, ricerca di sostegno sociale, pianificazione, …) Stili di coping: tendenze stabili individuali Risorse di coping: ciò che può aiutare a fronteggiare il problema (capacità personali, risorse materiali, relazioni sociali, …) Stress valutazione dello stress strategie di coping MODELLO di STRESS PSICOSOCIALE di B. DOHRENWEND (1978) Può essere integrato con la prospettiva ecologica Si basa sul concetto di stress psicosociale che include una dimensione temporale Nell’analisi dei comportamenti e della salute mentale permette di focalizzare le tematiche centrate sulla persona e quelle centrate sull’ambiente Focus: Modalità impiegate da un individuo per rispondere ad una situazione di crisi dipendono dai sistemi di sostegno sociale e dai mediatori psicologici disponibili Attenzione rivolta a: circostanze della vita e risorse disponibili all’individuo per affrontare le richieste poste dalla situazione Episodi stressanti causati da: a) eventi ambientali e situazionali; b) caratteristiche psicologiche dell’individuo Forme di reazione allo stress: transitorie Ciò che segue alle reazioni immediate e transitorie dipende da mediazione di: Fattori situazionali (sistemi di sostegno sociale, materiale, economico); Fattori psicologici (valori, capacità di coping…) che definiscono il contesto in cui la situazione stressante si verificano Dall’interazione di questi mediatori dipende evoluzione della situazione problematica Sia i mediatori psicologici sia quelli situazionali sono importanti, perché interagiscono in relazione allo stress in un modo complesso per condurre ad uno di questi tre risultati: 1) 2) 3) La persona può crescere e cambiare positivamente, come esito della sua capacità di padroneggiare l’esperienza; La persona può ritornare ad uno stato psicologico per lei normale La persona può sviluppare una forma di psicopatologia, che la D. chiama una reazione disfunzionale persistente. Attenzione non rivolta solo alla persona. Questo concetto di stress richiede attenzione alle circostanze della vita e alle risorse disponibili per affrontare le richieste poste dalla situazione. Intervento: è possibile in diversi punti del processo e non solo nel momento in cui l’esito finale è psicopatologico. Elementi centrali del modello: Eventi collocati in un contesto sociale più ampio Situazioni stressanti agiscono secondo una sequenza temporale. Possibile effettuare interventi prima che l’esito finale si concretizzi Fattori psicologici personali e fattori situazionali sociali ugualmente importanti => interagiscono in relazione allo stress in modo complesso per portare a uno di questi tre risultati: 1. Crescita psicologica; 2. Ritorno a situazione “normale”; 3. Sviluppo di disagio e forme psicopatologiche: reazione disfunzionale persistente APPROCCIO MULTIFATTORIALE Attualmente, si considera l’intreccio tra cause sociali ed ambientali e caratteristiche psicologiche individuali Fattori ambientali e fattori individuali Fattori di rischio Fattori protettivi PROFILO di COMUNITÀ Obiettivo: fare un’analisi dei bisogni non secondo il modello della diagnosi clinica (ruoli del medico e del paziente sono chiari e definiti), ma per: aumentare la consapevolezza della comunità stessa, affinché possa progettare il cambiamento Quindi: attivare un processo in cui sono i membri della comunità che diventano protagonisti attivi e prendono coscienza delle loro condizioni, delle necessità, dei limiti e delle risorse INDICAZIONI OPERATIVE e METODOLOGICHE per LEGGERE una COMUNITÀ: Profilo territoriale: dati strutturali che caratterizzano l’aspetto fisico e geografico di una certa zona; importante analisi del rapporto tra ambiente naturale e ambiente costruito Profilo demografico: caratteristiche strutturali e dinamiche della popolazione che consentono le rilevazioni di stato e le rilevazioni di movimento Profilo occupazionale: a) situazione lavorativa e professionale; b) distribuzione dell’occupazione nei vari settori di attività economica; c) tasso di disoccupazione Profilo dei servizi: socioeducativi; socioassistenziali; ricreativi/culturali Profilo psicosociale: dinamiche affettive della popolazione e analisi dei legami sociali Profilo istituzionale: cogliere valori e modelli di comportamento proposti dalle varie istituzioni ai propri membri per capire possibili resistenze al cambiamento Profilo antropologico/culturale: valori su cui si basa la comunità, atteggiamenti verso la realtà, scelte effettuate dai gruppi in situazioni di crisi o conflitti Profilo del futuro: Modo in cui una comunità si immagina il futuro, in relazione a tutti gli altri profili PROSPETTIVA PSICOLOGICA Azione presume che vi sia un individuo in grado di: 1) 2) 3) 4) Rappresentarsi e prefigurarsi il futuro Scegliere Decidere in modo consapevole Proporsi degli obiettivi e tradurli in progetti che cerca di attuare controllando i mezzi, le risorse e lo svolgimento dell’attività T. Parsons (1937) => azione descrivibile da: 1) 2) 3) 4) Un agente attivo rispetto a qualcosa Un fine come una situazione futura che orienta l’agire Una situazione di partenza diversa Un insieme di relazioni che collegano l’agente, il fine e la situazione Azione = processo sociocognitivo che collega in modo attivo la dimensione individuale (soggettiva) e quella oggettiva Azione = è attivata da fattori psicologici ed è da questi parzialmente controllata, ma per realizzarsi ha bisogno che intervengano dei fattori oggettivi, controllabili solo parzialmente dal soggetto => Abilità e Risorse Ottica che esclude ogni forma di meccanicismo e determinismo. In primo piano è portato il problema dell’intenzionalità AZIONE COME PROCESSO SOCIO-COGNITIVO Processo che collega attivamente dimensione soggettiva e oggettiva dell’universo umano; Avviata e controllata in modo parziale da fattori psicologici. MA: per realizzarsi necessita di fattori oggettivi parzialmente controllabili dai soggetti: abilità e risorse; Non si realizza mai indipendentemente da fattori non cognitivi di cui necessita; Ha sempre un effetto sull’esterno del soggetto => produrre o impedire un cambiamento; Può comporsi di diverse sotto-azioni integrate in un sistema => feedback tra attività mentale e attività pratica Esclusa ogni forma di meccanicismo e determinismo. In primo piano problema dell’intenzionalità Intenzionalità => Nozione che acquisisce una consistenza psicologica e sociale quando vista in connessione con il processo gerarchico-sequenziale dell’azione (Comporta flussi di informazione di tipo top-down e bottom-up) Implica rappresentazioni, valutazioni, decisioni, collegamenti mezzi-scopi che si realizzano attraverso successive fasi di pianificazione, esecuzione, controllo dell’esecuzione Azione dotata di senso può: 1) essere costituita da diverse sotto-azioni integrate all’interno di un sistema 2) far ridimensionare gli obiettivi e cambiare i controlli Caratteristiche di feed-back che connettono attività mentale e attività pratica PERCORSO RETROATTIVO DELL’AZIONE Miller, Galanter e Pribram (1960): analisi dei processi psicologici coinvolti nella pianificazione ed esecuzione dell’azione MODELLO TOTE (Test Operate Test Exit) ma: più vicino all’esperienza comune è lo schema del Livello di Aspirazione (Lewin et al., 1944) SCHEMA del LIVELLO di ASPIRAZIONE (Lewin 1944) Berlino, anni ’20-’30 (Tamara Dembo) per studiare come nei bambini si organizzano le relazioni tra: desideri, richieste dell’ambiente, percezione proprie capacità. Successivamente, diventa uno schema standardizzato con il quale si studia la dinamica che si produce tra: a) Aspirazioni del soggetto b) Reali capacità di prestazioni del soggetto c) Reali capacità di percezione del soggetto d) Reali capacità di valutazione dei risultati dell’azione del soggetto. Consente quindi di vedere gli aggiustamenti delle aspirazioni delle attività successive e permette di valutare come si forma un’aspirazione rispetto all’esigenza di ottimizzare i risultati, alle capacità che un individuo ha e all’impatto, sia cognitivo sia affettivo, connesso alle operazioni di valutazione del compito e di se stessi Diventa schema standardizzato per analizzare dinamica che si crea tra: Aspirazioni del soggetto, Sue effettive capacità di prestazione, Percezione e valutazione dei risultati Da qui vedere “aggiustamenti” aspirazioni delle attività successive Consente di: Verificare livello di realtà cui un soggetto si colloca Verificare possibilità che un individuo ha di proiettarsi su una realtà possibile producibile con l’azione Cogliere aspetti delle dinamiche tra volontà soggettiva e riferimenti oggettivi INTENZIONE Momento in cui prende consistenza l’idea di una qualsiasi forma di impegno nell’azione insieme al proposito di metterla in atto Operazioni di scelta e stabilizzazione dell’intenzione sono regolate da: 1) 2) 3) 4) Valenza della meta; Distanza psicologica della meta; Valutazione del sé; Valutazione delle risorse disponibili Ha un effetto guida nel mantenere l’azione: obiettivo perdura al di là delle vicissitudini delle prove, suo senso psicologico soggettivo va oltre gli effetti di retroazione dei risultati. Relazione tra soggetto e oggetto determinata dalla volontà: vero e proprio processo di regolazione e controllo dell’azione Da un punto di vista psicologico: Razionalità si esprime come un fattore di costruttività e creatività che permette di intervenire sul modo in cui sono formulati i problemi e di modificarlo, al fine di trovare delle prospettive di soluzioni semplificate Anche se il controllo dell’azione è affidato in gran parte a meccanismi automatizzati, la determinazione di una precisa e specifica intenzione e del suo concreto tradursi in attività all’interno di una pianificazione mezzi-fini richiede, in ogni caso, una presa di coscienza di ciò che si fa. Piaget: ha mostrato come dall’azione si arrivi ad una rappresentazione cosciente di obiettivi, mezzi, e regole attraverso un processo di concettualizzazione che trasforma in operazioni formali astratte quelle che prima erano operazioni esclusivamente concrete. Questo porta il soggetto, necessariamente, a riflettere sul proprio funzionamento cognitivo e a formarsene una conoscenza. Si parla cioè di metacognizione, ossia di conoscenza della propria conoscenza. KUHL (1985) Persona che agisce sollecitata da molte istanze motivazionali, quindi deve esistere un processo in grado di tutelare l’alternativa di azione scelta e controllare il corso dell’azione finché la meta non è raggiunta Mediatore volizionale NELL’AZIONE DISTINGUIBILI DUE MOMENTI: a) Tendenza motivazionale (rimanda alla scelta di un certo corso di azioni) b) Intenzione come espressione diretta dell’atto di volontà Quando un’intenzione specifica è attivata entrano in gioco 6 strategie: 1) 2) 3) 4) 5) 6) Attenzione selettiva (favorisce acquisizione di informazioni che sostengono l’intenzione) Controllo dell’encoding (facilita codificazione degli stimoli legati all’intenzione) Controllo emotivo (frenati stati emotivi che potrebbero diminuire efficacia della volizione) Controllo motivazionale (evidenzia importanza degli incentivi che sostengono l’intenzione) Controllo ambientale (protegge da interferenze) Riduzione dell’elaborazione di informazioni RICERCA AZIONE “Non c’è nulla di più pratico di una buona teoria” (Lewin, 1951) Introdurre nella sperimentazione psicosociale delle esperienze organizzate nell’ambito della vita reale. Kurt Lewin (1890-1947) è stato un autore di straordinaria importanza per lo sviluppo della Psicologia sociale. È stato Lewin ad introdurre per la prima volta termini come “dinamiche di gruppo” e “ricerca partecipata” In Europa, negli stessi anni in cui in America nasce il comportamentismo (massima espressione dell’ottica meccanicistica), si sviluppa la Psicologia della Gestalt (inizi del XX sec). Gli psicologi della Gestalt si oppongono alla psicologia di Wundt, secondo cui processi mentali elementari, combinati insieme, originano processi mentali più complessi “Ogni insieme è qualcosa di più della semplice somma delle sue parti” Lewin, con la sua formazione gestaltista orientata ad analizzare i fenomeni nella loro totalità, focalizza il suo interesse per i problemi concreti della vita umana e fonda un metodo per la comprensione scientifica dei fatti sociali. Per prevedere il comportamento umano è necessario comprendere come l’interdipendenza tra fattori soggettivi e fattori sociali/ambientali => produca l’azione concreta in un determinato tempo e in un determinato luogo LA TEORIA DI CAMPO La teoria di campo mira a spiegare il comportamento in relazione alla situazione in cui il comportamento stesso si verifica. Bisogna quindi definire il carattere della situazione in un momento dato, definendo questa come “campo psicologico” o spazio vitale. Di questo spazio vitale fanno parte tutti gli eventi suscettibili di influire su una determinata persona, siano essi passati, presenti o futuri. Il campo è definito come una totalità di fatti coesistenti nella loro interdipendenza Esistono tre tipologie di fatti: 1. SPAZIO DI VITA: dato dalla persona e dalla rappresentazione psicologica dell’ambiente (dimensione soggettiva) 2. FATTI SOCIALI E/O AMBIENTALI: processi e fatti che accadono nel mondo fisico e sociale senza influenzare momentaneamente lo spazio di vita (dimensione oggettiva) 3. ZONA DI FRONTIERA: tra lo spazio di vita ed il mondo esterno (confine tra oggettivo e soggettivo) Dinamica di gruppo Come l’individuo e il suo ambiente formano un campo psicologico, così il gruppo e il suo ambiente formano un campo sociale. Un gruppo sociale è costituito da un certo numero di individui che interagiscono con regolarità. Questa regolarità di interazione tiene insieme i partecipanti, dando vita a una distinta unità con una propria identità sociale. Per Lewin, il gruppo è un fenomeno, non una somma di fenomeni rappresentati dall’agire e dal pensare dei suoi membri; è una unità che la psicologia sociale può assumere nel suo studio, così come vi assume altre unità quali la persona Nel “gruppo-campo” ogni individuo è fonte di azioni che modificano le altre persone e il gruppo; ma anche la sua azione viene a sua volta modificata dalle azioni e reazioni altrui (interdipendenza). La struttura di un gruppo quindi si modifica di continuo per i cambiamenti di soggetti e relazioni (totalità dinamica) T-group Il T-group (training group = gruppo di addestramento) può essere definito una esperienza di apprendimento per implicazione diretta, attraverso la quale i partecipanti acquisiscono una maggiore sensibilità ai fenomeni di gruppo e una più accurata percezione di sé e degli altri. I T-group si fondano sul concetto di riflessività: vivere esperienze e, contestualmente, riflettere sulle stesse. Essi nacquero nel 1946, quando Lewin, lavorando con un gruppo di apprendimento, scoprì l’importanza del feedback. Lewin si accorse che fornire ai membri del gruppo informazioni sui propri atteggiamenti e modalità di interazione permetteva alle persone di attuare un apprendimento più incisivo perché di tipo emotivo, oltre che cognitivo. Originariamente i T-group prevedevano due fasi: una prima in cui si discuteva di qualche problema e una seconda in cui un osservatore comunicava le sue osservazioni sull’interazione e il processo di gruppo La prima fase era orientata a un compito e la dinamica di gruppo analizzata nella seconda parte era quella di un gruppo di discussione. Progressivamente l’evoluzione dei gruppi di discussione si orientò in senso clinico e il T-group è, come il gruppo di terapia, un gruppo autocentrato, ma è, diversamente da questo, rivolto a persone sane che desiderano conoscere meglio se stesse mediante il confronto con gli altri Introdurre nella sperimentazione psicosociale delle esperienze organizzate nell’ambito della vita reale Metodo adatto a produrre cambiamenti nei contesti della vita reale dei gruppi Analisi scientifica dei processi che producono il cambiamento Risoluzione di problemi legati alla pratica Ricerca-azione: centralizza l’azione sia come strumento per produrre cambiamenti, sia per produrre conoscenze Riflessione sull’azione: in grado di produrre conoscenze non ottenibili con altri mezzi Ricerca-azione: sempre affidata a qualche forma di partecipazione, più o meno ampia, dei soggetti al cui ambito è diretta; richiede la loro collaborazione Problemi pratici come spinta per l’indagine psicologica Alcuni concetti-chiave AZIONE: elemento attivo della costruzione di persona e ambiente. Processo circolare attraverso cui il soggetto attivo modifica la situazione in senso: sociale e/o materiale, psicologico BISOGNO: elemento dinamico di coordinazione tra valenze, forze, tensioni, ecc. GRUPPO: totalità dinamica che la psicologia sociale può assumere come unità di analisi CAMBIAMENTO: mutamento nella struttura del campo di forze caratterizzanti una data situazione Resistenza al cambiamento si vince diminuendo le forze che vi si oppongono => coinvolgimento del gruppo e partecipazione attiva al processo Processo di cambiamento ben riuscito => 3 tappe: o o o Rottura Spostamento Ricostruzione FASI DELLA R-A Pianificazione => esecuzione => ricognizione => pianificazione IL CICLO DELLA R-A Identificazione di un problema in un contesto specifico Raccolta dei dati ritenuti pertinenti (gruppo di ricerca) Analisi dei dati da parte del gruppo di ricerca Generazione di ipotesi sulle soluzioni possibili Messa in atto di azioni che producono cambiamenti Raccolta dei dati ritenuti pertinenti RETE SOCIALE Definizione: Insieme specifico di legami tra un insieme definito di persone (Mitchell, 1969) Caratteristiche dei legami aiutano a capire e a interpretare il comportamento sociale delle persone coinvolte in tali legami RETI SOCIALI: Insieme delle persone che fanno parte della storia, della cultura di una persona, anche se queste non si incontrano nello stesso momento e nello stesso luogo. Concetto di rete sociale: modo per definire la realtà di una persona, il significato che essa attribuisce alle relazioni e al contesto in cui vive e, contemporaneamente, il significato che gli altri, le relazioni e il contesto attribuiscono alla persona stessa. Strumento di lettura della realtà psicologico-sociale DISTINZIONE TRA RETE SOCIALE E RETE PERSONALE Rete sociale: insieme dei legami fra tutti i membri di una popolazione Rete personale: insieme dei legami che circondano un singolo individuo Rete a-centrata: non c’è un centro, non gerarchica (internet) Rete ego-centrata: costruita e descritta collocando al centro una persona dalla quale si diramano le sue relazioni: rete sociale = insieme delle persone che intrattengono una relazione con ego Soggetto inserito all’interno di un insieme di relazioni che possono essere specificate a diversi livelli Soggetto attivo R.S. costituita solo parzialmente da relazioni in cui si trova dalla nascita, per il resto è costruita e non statica ELEMENTI DESCRITTIVI di una RETE SOCIALE Aspetti strutturali: descrivono forma e struttura del reticolo. Traducibili graficamente Aspetti interazionali: funzionamento del reticolo e legami tra i componenti: ASPETTI RELAZIONALI della RETE PLESSITÀ: area di contenuto della relazione Uniplex: la rete uniplex è caratterizzata da un tipo di relazione che interessa solo un’area di contenuto (es. gruppo sportivo); Multiplex: relazioni che interessano più aree di contenuto. Con il tempo è possibile che le relazioni diventino da uniplex a multiplex. La cosa inversa si può avere a causa di un conflitto (da collega e amico a solo collega) oppure un cambio di lavoro (da collega e amico a solo amico). RECIPROCITÀ o simmetria: bidirezionalità della relazione. Le relazioni sono reciproche se il significato che esse hanno per i soggetti è reciprocamente condiviso. La non reciprocità può essere oscura ad ego: in questo caso si può parlare di discrepanza tra la rete reale e quella immaginaria NEXUS: riferimento alle relazioni relativamente continuative. Riferita a relazioni relativamente continuative che si traducono in un contatto visivo e tangibile (es. rel. famigliari e professionali quotidiane ma anche il lattaio di fiducia). DENSITÀ: misura del rapporto tra relazioni esistenti e possibili. Misura del rapporto tra relazioni esistenti e possibili di una rete o di una sua parte. Misura dei rapporti tra le relazioni realmente esistenti tra un determinato numero di persone e l’insieme delle relazioni possibili se ciascuno fosse in contatto con gli altri. Concetto interessante per le analisi e gli interventi di comunità. RANGE: n° di persone che l’individuo raggiunge con la sua rete. Numero di persone che l’individuo raggiunge con la sua rete, può limitarsi a coloro con cui si è in contatto diretto o può comprendere anche le relazioni di secondo o terzo livello ecc. Elemento piuttosto interessante anche per l’epidemiologia (a parità di condizioni, tanto più è ampio il range di A tanto più alta sarà la possibilità di diffusione delle malattie infettive), per la pubblicità, per l’influenzamento elettorale. CLUSTER: gruppo/i di persone particolarmente ricchi di reciproche connessioni entro una rete. Gruppo/i di persone particolarmente ricchi di reciproche connessioni entro una rete. Raggruppamenti ad alta densità. Ego può avere diversi cluster nella propria rete. I soggetti appartenenti ai cluster possono o meno conoscersi; ego può avere un ruolo e un’identità diversa entro ogni cluster. Ruolo del contesto sociale specifico, sotto il profilo del controllo che esso può esercitare e/o dei sostegni che può fornire a livello dei gruppi di auto-aiuto, reti di solidarietà, servizi o progetti di intervento. COME DESCRIVERE UNA RETE SOCIALE? Primaria o naturale: insieme delle persone che fanno parte della famiglia di EGO, i suoi amici, i vicini di casa, i colleghi di lavoro Secondarie formali: insieme delle istituzioni e organizzazioni deputate a fornire determinati servizi agli individui (rapporti di tipo asimmetrico di contenuto professionale) Secondarie informali: associazioni e organizzazioni di volontariato o privato sociale nate per far fronte a determinati bisogni della comunità RETE: APERTURA O COSTRIZIONE? Posizione che l’individuo occupa nella rete e caratteristiche strutturali e interazionali della rete possono influenzare la mobilità sociale di un individuo più di quanto non possano fare il suo atteggiamento culturale o l’adesione a norme e valori del sistema in cui egli è inserito. Network analysis => rete come realtà puntiforme. Descrizione analitica caratteristiche strutturali delle reti sociali (es.: densità, ampiezza, direzione, distanza) FORZA DEL LEGAME => affettiva/funzionale Legami forti: fonti del sostegno, coesione, soluzione dei conflitti, integrazione, ma forte coesione affettiva forte controllo normativo Legami deboli: Possono svolgere una funzione di PONTE tra due persone di due reti diverse RETI E SUPPORTO SOCIALE Funzioni possibili: Aiuto emotivo, strumentale, informativo o valutativo; per superare o accettare infermità o disagio psicosociale. Funzioni protettive e preventive. Tipo di rapporto tra rete e stato di salute o malattia Isolamento sociale e rete esile => rete scarsa Sistemi di s.s inappropriati => maggiore vulnerabilità allo stress Ruolo del s.s. nel modificare gli effetti deleteri dello stress sulla salute MODELLO INTEGRATO DI INTERVENTO PSICOSOCIALE 1. Mappatura della rete Operatore + utente (+ famiglia e amici) => Colloquio, interviste, osservazione 2. Individuazione dei punti forti e deboli: Dimensioni della rete Tipo, qualità, forza del legame di ciascun membro con ego Frequenza dei contatti Reciprocità dei legami Loro durata Possibilità di suddivisione della rete in sotto-unità Possibili conflittualità tra le sotto-unità o tra gli individui CARATTERISTICHE della RETE e POSSIBILITÀ di SOSTEGNO Rete coesa e omogenea Buone possibilità e disponibilità di sostegno, ma spesso dipendente dal controllo normativo che la rete richiede (l’individuo, per far parte della rete, deve seguire determinate regole) Rete frammentata Piccoli gruppi quasi indipendenti fra loro; offre maggiori possibilità di ricevere sostegno, ma meno stabile e diffuso rispetto alla rete coesa Rete dispersa Rete di persone che per lo più non si conoscono, caratterizzata da relazioni sporadiche e di breve durata. Le possibilità di ricevere sostegno sono minime VALUTAZIONE TIPO di RETE e di PROBLEMA Rete coesa e omogenea => forte sostegno sociale, forte controllo normativo Rete coesa e omogenea: solo grande gruppo indifferenziato che comprende la famiglia nucleare, quella estesa, gli amici, i colleghi di lavoro e i vicini; tutti si conoscono e non vi sono sottogruppi indipendenti. Vantaggi: supporto molto forte e disponibile, tempi veicolo di trasmissione dell’informazione. Limiti: forte controllo normativo anche nei confronti dei soggetti marginali o devianti: il supporto psicologico fornito è probabilmente vincolato a ai valori e alle norme consolidate, scarso confronto e apertura all’esterno. Rete frammentata => sostegno sociale meno stabile e diffuso, maggiore flessibilità e mobilità dei membri Rete frammentata: piccoli sottogruppi relativamente indipendenti (famiglia, colleghi, amici, ecc). In queste reti le persone si conoscono solo se fanno parte dello stesso sottogruppo e i contatti tra i sottogruppi sono rari. Vantaggi: maggiore possibilità di rivolgersi all’esterno, flessibilità e mobilità, possibilità di accendere nuovi rapporti. Limiti: sostegno meno stabile e diffuso rispetto alla rete densa e coesa. Rete dispersa => relazioni tendenzialmente non durevoli e non reciproche, non ha un ruolo attivo sul piano psicosociale Rete dispersa: persone che poco si conoscono e tanto meno si frequentano, relazioni tendenzialmente non durevoli e non reciproche, nessun ruolo attivo sul piano psicosociale. È la rete che contraddistingue spesso i malati mentali gravi che, essendo scarsissimamente autonomi, ricevono cure e attenzioni senza la possibilità di assumere un ruolo attivo e gratificante. DEFINIZIONE degli OBIETTIVI DELL’INTERVENTO 1) Aumento della sensibilità alle risorse e alla consapevolezza del mondo relazionale; 2) Valorizzazione elementi positivi della rete; 3) Minimizzazione dispersione delle risorse e contributo alla loro mobilitazione e direzionalità comune; 4) Rinforzo e sostegno dei legami esistenti, favorire la creazione di nuovi; 5) Riorganizzazione sistemi di supporto; 6) Allentamento e/o interruzione dei legami; 7) Favorire assunzione di responsabilità da parte della rete nella risoluzione dei problemi; 8) Costruire o ricostruire la rete sociale; 9) Contattare gli irraggiungibili 10) Peer education Lavorare con la rete sociale non costituisce necessariamente un’alternativa ad altri interventi ma può rivelarsi spesso una possibilità complementare L’attenzione alle reti sociali ha permesso, tra l’altro, di comprendere come i legami di dipendenza e di controllo nell’ambito di una situazione nella quale una o più persone presentano problemi possono essere fortemente intrecciati e forti anche se silenti PSICOLOGIA CLINICA vs. PSICOLOGIA DI COMUNITÁ Punti di contatto Atteggiamento di aiuto rivolto al cambiamento Attenzione specifica al caso particolare Punti di divergenza Psicologia di comunità vede l’individuo come un soggetto attivo in costante transazione con il mondo sociale => sua attività psicobiologica strettamente legata al contesto sociale Il soggetto cui fa riferimento la p.d.c. è storicamente, culturalmente e socialmente situato; le sue competenze hanno possibilità di attuarsi anche a seconda delle risorse e dei vincoli posti nel sociale Focalizzazione dei problemi umani anche nei loro aspetti sociali, oggettivi e non solo nella loro dimensione personale-soggettiva Conseguenze Si può dire che la psicologia di comunità affronta, sia relativamente alla ricerca sia in sede di intervento, i problemi umani come situazioni globali che spesso coinvolgono più persone e che non si traducono necessariamente in disturbi psichici, ma piuttosto in costrizioni che possono ostacolare lo sviluppo della persona e provocare problemi all’intera collettività Concetto di prevenzione quale aspetto fondante e fondamentale della p.d.c. Attribuzione al sociale un ruolo eziologico importante Vocazione non strettamente clinica della p.d.c.: estensione del campo di indagine e di intervento al di là dell’area della salute mentale e della psicologia della salute, per rivolgersi ai problemi sociali della comunità in senso lato Per tradurre operativamente tale prospettiva si fa capo ad alcune linee teorico-metodologiche, che sono essenzialmente quelle che fanno riferimento a: Teoria dello stress Studi di carattere epidemiologico sulle componenti sociali dei disturbi psichici Studi sui processi di coping nelle situazioni problematiche TIPI DI PREVENZIONE • Prevenzione primaria: volta a impedire l’insorgenza di disturbi nell’uomo sano o di situazioni sociali che possono turbare l’equilibrio psicologico e la condizione sociale di un individuo • Prevenzione secondaria: intervento precoce sui primi sintomi di un disturbo o di una situazione di disagio • Prevenzione terziaria: cura e riabilitazione, affinché il soggetto sviluppi dei comportamenti funzionali a un positivo reinserimento. Tende a impedire il progredire di una malattia conclamata o di handicap fisici e psichici PROMOZIONE DEL BENESSERE Per giudicare in modo corretto un intervento volto alla promozione del benessere occorre che: 1) Siano rese esplicite le concezioni di benessere e i criteri sulla base dei quali vengono elaborate 2) Siano chiari i modi attraverso i quali si pensa di poter raggiungere la condizione di benessere 3) Siano predisposti gli strumenti di valutazione degli effetti dell’intervento Sono distinguibili sulla base dei tipi di criteri adottati: 1) Criteri esterni, normativi: benessere come condizione di vita ottimale, come possesso di qualità desiderabili e in base a dei parametri che si riferiscono al sistema di valori del ricercatore 2) Criteri interni: costituiti dagli standard soggettivi dei destinatari. Il benessere è definito sulla base dell’esperienza soggettiva dell’individuo. LE RISORSE PSICOLOGICHE IL CONTROLLO Primi studi cognitivi in concomitanza con sviluppi cibernetica (retroazione e autoregolazione) Locus of control (Rotter, 1954) Anni ‘60: Sviluppo del cognitivismo (es.: modello TOTE) Processi metacognitivi (fine anni ‘70: Flavell e Brown): conoscenza, consapevolezza e controllo dei processi cognitivi Ambito psicosociale: sfere di controllo (Spittal et al., 2002) CONTROLLO e BENESSERE PSICOLOGICO Percezione di controllo: ritenere che ciò che accade nella propria vita è la conseguenza delle proprie azioni. Possibilità di raggiungere gli obiettivi prefissati Percezione di controllo: essenziale per l’evoluzione della persona Rilevante la percezione, più della valutazione oggettiva => sorta di illusione positiva Effetti particolarmente significativi nell’ambito della salute LE “OMBRE” del CONTROLLO Se il contesto spinge l’individuo a esercitare un controllo che non intende mettere in atto possibileconflitto Influenza cultura:norma di internalità Se sovrastima della capacità di controllo possibile rischio Possibilità di esercitare il controllo può generare stressetensione emotiva (aspettative eccessive, sia da parte del soggetto, sia da parte dell’esterno) L’AUTOEFFICACIA (self-efficacy) Albert Bandura (1977; 1995; 2000) Valutazione proprie competenze. Processo condizionato da aspetti cognitivi e sociali Connessa all’autostima (che però esprime un giudizio di valore personale) Autoefficacia: giudizio sulle proprie capacità e competenze Autostima: giudizio sul proprio valore PROCESSI CHE INFLUENZANO SENSO di AUTOEFFICACIA 1. Successi (circolarità tra self-efficacy e successi) 2. Esperienze vicarie: confronto con altri significativi (ex: terapia comunitaria, gruppi di auto-aiuto) 3. Persuasione verbale: fonte gode di credito (es.: educatori, potere dell’esperto) 4. Reazioni fisiche ed emotive: indicatori del livello di efficacia Convinzioni di efficacia influenzano i processi cognitivi, motivazionali ed emotivi In particolare, secondo Bandura: • Attribuzione causale • Aspettative circa il risultato dell’azione Se bassa self-efficacy: deficit motivazionale, deficit cognitivo (non nesso tra azioni e risultato), deficit emozionale (paura, depressione, …) Impotenza appresa (Seligman, 1975) Aspettative di risultato negative Aspettative di risultato positive Alta self-efficacy Proteste, attivismo sociale, risentimento Impegno, aspirazioni, soddisfazione e gratificazione Bassa self-efficacy Rassegnazione Autosvalutazione EMPOWERMENT Nasce negli anni ’50-’60 attraverso studi che analizzavano gruppi e movimenti statunitensi impegnati nell’azione per i diritti civili e sociali della popolazione di colore e su altri temi (es. Vietnam, problema della casa, emancipazione della donna, diritti degli afroamericani, ecc). Il concetto di Empowerment è strettamente legato a quello di potere. Viene introdotto nella psicologia di comunità da Rappaport negli anni ’80 con l’obiettivo di dare alla disciplina una prospettiva “forte”. Si lega all’approccio ecologico della ps. di comunità. Sorta di “concetto ponte”: lega livello personale/individuale con livello politico Può essere compreso solo considerando l’interazione tra un soggetto e i suoi contesti di vita (cfr. Francescato, Tomai, Ghirelli, 2002), cioè tenendo conto dell’individuo e delle sue relazioni di potere/influenza con altri soggetti, con la comunità, con i gruppi ai quali appartiene EMPOWERMENT = accrescere in POTERE Processo attraverso il quale le categorie sociali svantaggiate sono aiutate ad assumersi le loro responsabilità attraverso lo sviluppo di capacità che danno accesso a opportunità prima impensate e che consentono il godimento dei risultati associati al sentimento di dominio sugli eventi e di appropriazione delle situazioni Concentra l’attenzione sulle qualità positive e sulle risorse delle persone e non su quanto vi è in loro di sbagliato o di mancante Kriesberg: Le teorie dell’empowerment sono impegnate a rimuovere Le condizioni di powerlessness, Non possono che respingere i modelli di relazione basati sulla dominazione per puntare invece su forme di collaborazione e partecipazione, Auspicando una più equa spartizione delle risorse e cercando di accrescere le capacità di partecipazione. EMPOWERMENT DEFINIZIONE Rappaport (1981): empowerment come processo di acquisizione del potere, interpretato come crescita delle possibilità degli individui e dei gruppi di controllare attivamente la propria vita Rappaport (1987): si riferisce sia al soggetto sia alle modalità per raggiungerlo. Empowerment = processo di abilità che tutti hanno, ma che va “liberato”. Professionista: facilitatore nella “liberazione” di queste competenze. Processo di ampliamento (attraverso miglior uso proprie risorse attuali e potenziali acquisibili) delle possibilità che il soggetto può praticare e rendere operative (Bruscaglioni, 1994) Processo attraverso il quale le categorie sociali svantaggiate sono aiutate ad assumersi le proprie responsabilità attraverso lo sviluppo di capacità che danno accesso a opportunità prima impensate e che consentono il godimento dei risultati associati al sentimento di dominio sugli eventi e di appropriazione delle situazioni (Amerio, 2000) Termine Empowerment descrive sia un processo, sia il risultato stesso del processo NODI CENTRALI DEL CONCETTO DI EMPOWERMENT • Costrutto che va oltre costrutti quali autostima, autoefficacia, locus of control • Comportamento intenzionale che parte dal pensiero critico dell’individuo circa la propria situazione e, attraverso la motivazione al cambiamento e la partecipazione, tenta di raggiungere un maggior controllo sulla propria vita e un livello di benessere maggiore (individuale e collettivo) • Costrutto multidimensionale IL PROCESSO DI EMPOWERMENT • Empowerment mette in causa le competenze attive del soggetto che lo rendono in grado di esercitare un realistico controllo sugli eventi e sulle situazioni in cui è coinvolto, far fronte ai cambiamenti e produrre egli stesso delle condizioni di cambiamento. • La messa in atto di tali competenze è essenzialmente connessa a 2 ordini di fattori: gli uni dipendenti dalle risorse oggettivamente disponibili materiali e non (anche scolarità, cultura, formazione, ambiente sociale, tessuto relazionale, ecc) gli altri di natura psicologica tra cui possiamo citare la capacità sia di vedere quanto nella situazione sia utilizzabile come risorsa. EMPOWERMENT: UN CONCETTO MULTILIVELLO (Zimmerman, Rappaport, 1988) Empowerment psicologico => Variabili interpersonali e individuali Empowerment organizzativo => Mobilitazione delle risorse sociali, opportunità di partecipazione Empowerment sociale e di comunità => Variabili sociopolitiche Dimensione di processo e dimensione di stato Occuparsi di empowerment psicologico od organizzativo significa • Dare voce a chi si sente “impotente”, privo di risorse allargando le possibilità di azioni di tutti • Logica sottesa: logica moltiplicativa del potere che fa aumentare le risorse per tutti e non distributiva (potere come quantità finita da sottrarre ad alcuni per offrirne parti ad altri) (Rosabeth Moss Kanter, 1977) EMPOWERMENT PSICOLOGICO Passare da uno stato di IMPOTENZA APPRESA (learned helplessness) A uno stato di SPERANZA APPRESA (learned hopefullness) PROCESSI DI ATTRIBUZIONE CAUSALE: Interne/esterne Mutabili/immutabili Parziali/globali PROCESSI DI VALUTAZIONE Autoefficacia (self-efficacy) e auto stima PROCESSI DI PREFIGURAZIONE DEL FUTURO EMPOWERMENT Prodotto => esito di un processo evolutivo di apprendimento dell’hopefulness Processo => percorso attraverso cui il soggetto disempowered può recuperare l’hopefulness Processo articolato in 3 fasi o sotto-processi Processo di attribuzione => da interno stabile a.. Processo di valutazione => sviluppo della self-efficacy Processi di prefigurazione del futuro => think pink Processo di Attribuzione Riferimento a Heider: cause interne e cause esterne; intenzionalità come fattore centrale della causalità a cui è collegato il concetto di responsabilità: le persone si sentono più responsabili quando sono in grado di stabilire una relazione tra un’azione e un’intenzionalità e quando percepiscono di possedere le competenze per sostenerla. La condizione di helplessness si ha quando le persone ritengono che le cause della loro impotenza sono interne, stabili e globali: a differenza di quelle esterne, instabili e locali, più facilmente suscettibili di elaborazione e controllo, esse sono alla base della bassa autostima. Se sono esterne e stabili si può intervenire sulla difficoltà del compito (riduzione di, o sviluppo abilità) se sono esterne e instabili si può accettare il ruolo del caso e della fortuna; se sono interne e instabili si può considerare l’importanza di variare lo sforzo necessario, se sono interne e stabili, quindi riguardano la competenza, si può mettere in discussione la percezione di stabilità della condizione e favorirne l’evoluzione onde far intravedere nuove possibilità concrete di sviluppo delle competenze. Tale percezione può essere largamente influenzata da aspettative e credenze non sempre fondate: ergo superare il ruolo giocato dai pregiudizi e consentire un esame di realtà che attivi le energie individuali Processo di Valutazione Valutazione della propria self-efficacy (Credenze relative alla capacità individuale di mobilitare le proprie risorse cognitive e azioni al fine di soddisfare le aspettative situazionali). È alla base della propria sicurezza circa la possibilità di produrre una certa prestazione utile al raggiungimento del risultato atteso. Bassa autostima= prestazione inefficace e v.v. la percezione della propria efficacia è influenzata dalla personalità e dalla motivazione, oltre che dal compito in sé e dal contesto (risorse e vincoli) in cui esso è portato avanti. Ellis (1980) è disfunzionale alla credenza di s.e. la chiesta eccessivamente ambiziosa, rivolta a se stessi, di perfezione assoluta: spesso è correlata a cicli cognitivi ed affettivi che esasperano la spirale della bassa prestazione e conducono ad una posizione permanente di insoddisfazione. Prefigurazione del futuro:fa riferimento al modo in cui gli attori sociali immaginano e presentificano il futuro.Garfield (1984): le immagini mentali degli individui di successo sono positive, costellate da opportunità, risorse e possibilità, elevate aspettative rispetto a se stessi. Prefigurazione del futuro Prefigurazione del futuro: fa riferimento al modo in cui gli attori sociali immaginano e presentificano il futuro. Garfield (1984): Le immagini mentali degli individui di successo sono positive, costellate da opportunità, risorse e possibilità, elevate aspettative rispetto a se stessi. Segue prefigurazione del futuro: le immagini mentali di chi fallisce sono negative, attraversate da difficoltà, vicoli e imprevisti infausti, correlate alla riduzione di aspettative e alla creazione di difficoltà immaginate ancora prima della loro manifestazione. Se l’e. si centra insieme sull’individuo e sulla comunità, occorre considerare che è all’interno della rete di relazione si attualizzano i sentimenti di autoefficacia e i processi psicologici connessi, articolandosi concretamente con il mondo delle risorse oggettivamente intese. 1) Capacità di mettersi in relazione..: riconoscere la natura degli scambi necessari con esso e tra le persone anche a livello dei linguaggi che legittimano le relazioni interpersonali; 2) riconoscimento delle forze che hanno vincolato e ridotto le proprie possibilità e che continuano ad agire in modo negativo; 3) quali informazione, educazione, mezzi finanziari; 4) possibilità di scelta tra risorse attuali e potenziali; 5) partecipazione alla vita della comunità accrescendo la possibilità di controllare e orientare le risorse a proprio favore; 6); 7); 8) capacità di identificare le strategie utili non solo al reperimento delle risorse interne a sé ed esterne (coping) ma anche alla loro messa in campo e alla verifica della loro efficacia. Il processo ha generalmente inizio con una crisi, reazione che si traduce nel rifiuto di ciò da cui si è stati schiacciati. Tensione conflittuale creatrice (Kieffer) che determina l’attivazione di energie personali e del conteso per influenzare tali condizioni. Se l’azione che segue è efficace darà origine a vissuti psicologici positivi. Non sempre il processo di e. è privo di conflitti interni e esterni in quanto implica una richiesta di redistribuzione del potere organizzativo, economico o politico che può generare resistenze e conflitti. L’empowerment non può essere dato ma è un auto-processo. EMPOWERMENT CENTRATO sull’INDIVIDUO e la COMUNITÁ Capacità di mettersi in relazione con il proprio ambiente per produrne una conoscenza critica; Presa di coscienza dei rapporti tra le forze in gioco nel contesto e i propri vissuti; Conoscenza dei processi di attivazione, accesso e costruzione delle risorse; Ampliamento delle possibilità attraverso uso migliore delle risorse attuali e potenziali; Sentimento di potenza rispetto all’impegno attivo nel procurarsi le risorse; Capacità di influenzare il sistema sociale di cui si fa parte; Integrazione tra presa di coscienza e accesso ai processi di presa delle decisioni; Sicurezza di sé, fiducia nelle proprie possibilità e capacità che derivano dall’identificazione di strategie utili Kiefer (1984): empowerment processo tridimensionale. Comprende: a) Sviluppo di un maggior senso di sé in relazione al mondo b) Costruzione di una comprensione più critica delle forze politiche e sociali che influenzano il proprio mondo quotidiano c) Elaborazione di strategie utili e recupero di risorse che consentono di raggiungere obiettivi personali e sociopolitici Empowerment presuppone: Padronanza della propria vita Fiducia in sé e negli altri Consapevolezza della situazione e dei contesti di vita APPROCCIO DELL’EMPOWERMENT • Valorizzazione della capacità locale di soluzione di problemi formando e sostenendo l’iniziativa locale • Sviluppo: diritto conquistabile e costruibile • Individui: attori competenti nello sviluppo di strategie tese a migliorare la propria vita • Azione: si specifica a seconda delle peculiarità del territorio e procede con un lavoro dal basso verso l’alto DIMENSIONE PERSONALE => lavoro sul singolo (bisogni, risorse) DIMENSIONE INTERPERSONALE => lavoro sul gruppo (reti di relazione) DIMENSIONE ORGANIZZATIVA (AMBIENTALE MICRO) => cambiamento del contesto di riferimento IMPATTO sulla SALUTE INDIVIDUALE: • Comportamento • Contesto in cui comportamento è attuato Decisioni individuali influenzate e modificate da leggi che regolano comportamenti dei gruppi (es.: influenzamento, pressione dei pari…) Meccanismo sempre più complesso man mano che si considerano le organizzazioni e la comunità PSICOLOGIA della SALUTE = Insieme dei contributi specifici (scientifici, professionali, formativi) della disciplina psicologica alla promozione e al mantenimento della salute, alla prevenzione e trattamento della malattia e all’identificazione dei correlati eziologici, diagnostici della salute, della malattia e delle disfunzioni associate. (…) Ulteriore obiettivo è l’analisi e il miglioramento del sistema di cura della salute e l’elaborazione delle politiche della salute” Dati gli oggetti di studio e intervento della psicologia della salute: Centrale conoscere COME il concetto di salute è costruito socialmente, indagare le sue rappresentazioni soggettive e sociali, per poter intervenire nei processi di costruzione della salute NESSUNA TEORIZZAZIONE DA SOLA È ESAUSTIVA Ogni teoria indica una serie di “variabili chiave” e di processi che possono aiutare a predire un comportamento e a scegliere il tipo di intervento e di promozione della salute Modelli valore-aspettativa Atteggiamenti e credenze degli individui = determinanti fondamentali del comportamento Individui basano decisioni su 2 tipi di valutazioni: 1) Probabilità che una certa azione porti a un certo risultato (aspettativa); 2) Valutazione del risultato di quell’azione (valore) Modello delle credenze sulla salute (HBM) Teoria del comportamento pianificato (TCP) Modelli processuali del cambiamento dei comportamenti Modelli integrati Oltre alle variabili cognitive e processuali considerate anche: variabili motivazionali ed emozionali Teorie del senso comune Forme di conoscenza specifica, sapere del senso comune, prodotte nelle interazioni e condivise da gruppi di soggetti per interpretare e dare significato a oggetti sociali complessi come la salute, la malattia e la cura Approccio delle rappresentazioni mentali di malattia Presupposto: le risposte comportamentali delle persone alle minacce per la salute sono mediate da loro teorie implicite relative alla malattia Ruolo centrale attribuito alla rappresentazione della malattia include 5 componenti: 1) 2) 3) 4) 5) IDENTITÀ: nome dato alla malattia e al suo sintomo CAUSA: ragione per cui una persona è malata DECORSO TEMPORALE: durata presunta della malattia EFFETTI: esito della malattia ed eventuali postumi CURA: azioni che il soggetto può intraprendere per ristabilire o dare sollievo al suo stato Persone hanno concezioni generali sulle malattie (prototipi) che confrontano con i sintomi di cui eventualmente soffrono Interpretazione attribuita alla malattia ha implicazioni per le decisioni relative ai comportamenti da intraprendere, nonché sulle relazioni con le persone ammalate Categorie e dimensioni utilizzate nell’organizzazione cognitiva delle informazioni dipendono in gran parte dalla cultura L’ambiente non è più considerato lo sfondo passivo dell’attività umana, ma come un potenziale determinante del comportamento, e l’essere umano non è più visto come un prodotto passivo del suo ambiente (cfr. Zucchi e Gattiglia Burlando, 1995). Da questo presupposto si è sviluppato un nuovo ambito di ricerca che non si limita allo studio delle influenze ambientali sull’individuo bensì dell’interazione tra questi due elementi e delle loro reciproche influenze mettendone in risalto la complessità. L’ambiente viene qui inteso non solo come quello fisico, naturale e costruito ma anche l’ambiente sociale che si ritiene non possa essere mai separabile da quello fisico. La relazione individuo-ambiente I primi studi che si sono occupati del legame persona-ambiente hanno rivolto la loro attenzione alle caratteristiche che rendono un ambiente funzionale o disfunzionale allo scambio. Osmond (1957) spazi che scoraggiano l’iterazione umana (definiti sociofughi) spazi che invece incoraggiano il contatto sociale (definiti sociopeti). Sommer (1969) elabora i concetti di territorialità umana di spazio personale Nello stesso momento in cui Osmond e Sommer conducevano i loro studi, un gruppo di ricercatori, capeggiati da Ittelson e Proshansky, si interessavano degli effetti sul comportamento dei pazienti delle caratteristiche strutturali di un ospedale psichiatrico. In particolare Ittelson (1973) si impegnò nello studio della percezione ambientale in un’ottica transazionale in cui l’interazione tra individuo e luogo veniva considerata, come suggerisce Amerio, “un rapporto tra due entità ciascuna delle quali nel rapporto stesso trova la sua definizione” (2000, p.239). Brunswik Ha affrontato il problema della realtà percepita in relazione alle caratteristiche ambientali. Propone il modello a lente del processo percettivo in cui sottolinea l’importanza di prendere in considerazione le caratteristiche fisico-oggettive dell’ambiente che vengono da lui definite “ambiente ecologico” Vede l’esperienza percettiva come un processo di “apprendimento probabilistico” e si distacca dal concetto di “stimolo” in favore di quello di “informazione” ambientale. Una delle teorie che meglio si inserisce in questo panorama è quella proposta da Brunswik (1947;1957) con cui ha affrontato in modo più sistematico il problema della realtà percepita in relazione alle caratteristiche ambientali. Egli propone il suo modello a lente del processo percettivo in cui sottolinea l’importanza di prendere in considerazione le caratteristiche fisico-oggettive dell’ambiente che vengono da lui definite “ambiente ecologico”, intendendo con questo le caratteristiche misurabili del mondo esterno. Il modello a lente vede l’esperienza percettiva come un processo di “apprendimento probabilistico” basato sul trattamento delle informazioni che provengono dall’ambiente circostante introducendo un elemento innovativo, destinato a rimanere come punto fermo della psicologia cognitiva, rappresentato dal distacco definitivo dal concetto di “stimolo” in favore di quello di “informazione” ambientale. In tale modo Brunswik riporta non solo in primo piano il ruolo dell’ambiente fisico-oggettivo ma restituisce anche al soggetto un ruolo attivo all’interno del processo di percezione. La prospettiva transazionale Si concentra maggiormente sugli aspetti soggettivi-individuali. Il termine transazione adottato dalla scuola mira essenzialmente a sottolineare come il percipiente e la realtà fanno parte di uno stesso processo. Ciò che viene enfatizzato è l’importanza dei processi di riduzione del conflitto; la percezione è considerata come dominata dalla tendenza all’accordo, alla somiglianza e alla omogeneità rispetto a ciò che è stato appreso in passato. Stokols e Altman (1987) Recuperano una prospettiva maggiormente psico-sociale. Abbandonando un concetto di ambiente esclusivamente fisico per quello di ambiente socio-fisico e con una crescente attenzione verso il concetto di “luogo” invece che di setting comportamentale. Teoria di campo lewiniana Nella teoria di campo lewiniana l’ambiente fisico si colloca a pieno titolo accanto a quello sociale come componente dell’indagine psicologica sottolineando però che le caratteristiche fisiche dell’ambiente devono essere trattate nell’indagine psicologica come dati non puramente fisico-oggettivi ma bensì psicologici, ovvero presenti nel campo psicologico esaminato come percepiti-conosciuti. Studi sull’ambiente • Situazioni in cui la manipolazione dell’organizzazione può riguardare la disposizione dell’arredo • Altri la creazione di nuovi spazi e di aree più vaste costruite nell’intento di non precludere accesso e comunicazione I risultati hanno dimostrato: • Incrementi di comportamenti di relazione da parte dei pazienti di strutture sottoposte a restauro, evidenziando l’importanza che gli ambienti siano costruiti tenendo in considerazione spazi sia per l’esercizio della privacy sia per l’interazione sociale al fine di promuovere un clima sociale positivo; • Promosso una riflessione più generale sulla necessità di valutare psicologicamente i problemi di tipo progettuale riguardanti il rapporto tra spazi fisici e comportamento. Le ricerche sono state però spesso al centro di un dibattito critico da un punto di vista teoricometodologico sui limiti derivanti dall’impostazione strettamente fisicalista e comportamentista; La riflessione ha portato ad una considerazione dello spazio non solo come possibile antecedente dei comportamenti ambientali, bensì come espressione degli usi che le persone fanno degli ambienti volgendo l’attenzione sulle complesse funzioni che i comportamenti possono assolvere nel rapporto tra persone e ambienti. Nasce così un nuovo filone di ricerche che, oltre ad indagare gli esiti osservabili rispetto ai comportamenti, si propone anche di chiarire i significati che essi assumono, in particolare in riferimento alle dinamiche che caratterizzano i rapporti sociali che vengono generalmente classificate sotto tre distinte categorie (Holahan, 1986): Lo “spazio personale”, “La territorialità” La “privacy”. 1) SPAZIO PERSONALE pongono al centro dell’attenzione l’uso che le persone fanno dello spazio immediatamente circostante al proprio corpo (cfr. Gifford, 1987; Hall, 1963), in questo caso la ricerca empirica si è concentrata sul rapporto tra spazio personale e ambiente costruito con l’obiettivo di individuare le disposizioni ottimali degli arredi, ovvero quali disposizioni costituiscono soluzioni ottimali per agevolare il mantenimento dello spazio personale da una parte e per predisporre la regolazione della distanza interpersonale tra gli utenti dell’ambiente considerato dall’altra (cfr. Osmond, 1957; Evans e Howard, 1973; Lott e Sommer, 1967; Gifford, 1982; Kuethe e Weingartner, 1964). 2) TERRITORIALITA’: le ricerche si sono focalizzate sulla sua funzione adattiva (Craik, 1977) e sui modelli di comportamento spaziale attraverso cui le persone salvaguardano il proprio territorio difendendolo da intrusioni. In questo caso però molte sono state le critiche (Taylor et al., 1980; Brown e Altman, 1983) mosse all’interpretazione esclusivamente adattivo-difensiva che risulta piuttosto riduttiva (Stokols, 1978; Russel e Ward, 1982). In particolare la critica mossa allo studio della territorialità umana è stata quella di non prendere in considerazione i processi di identificazione psicologica con il luogo attraverso atteggiamenti di possesso e la disposizione di oggetti nello spazio (Pastalan, 1970). Nonostante le critiche la ricerca si è comunque rivolta soprattutto verso i segni di demarcazione fisici che vengono usati per la delimitazione degli spazi territoriali (Newman, 1972) anche se studi sui modi in cui i luoghi entrano a far parte dell’identità delle persone e dei processi sociali a cui partecipano sono stati avviati (Altman, 1975; Cooper, 1972; Giuliani, 1987; Bernard e Bonnes, 1985; Gauvain et al., 1983). I principali nuclei problematici che sono stati affrontati sullo spazio personale e sulla territorialità sono ormai sintetizzati nel concetto di privacy definita come quel controllo selettivo dell’accesso al sé e al proprio gruppo che le persone tendono ad esercitare rispetto all’ambiente (Altman, 1975). Su questo tema gli studi si sono mossi principalmente in ambienti lavorativi e in ambienti istituzionali o pubblici in cui la privacy assume il significato di garanzia del raggiungimento di uno stato ideale di apertura e chiusura verso gli altri e di processo la cui dinamica e gli esiti sono correlati alla specificità dei contesti sociali (Becker, 1981; Sunsdrom et al., 1982; Altman e Gauvain, 1981; Altman e Rogoff, 1987) Un secondo filone di ricerca è invece quello che si è dedicato allo studio dei fattori disturbanti nei vari contesti ambientali in cui si svolge la vita quotidiana degli individui, sia sugli effetti diretti riscontrabili su specifici comportamenti, sia sugli effetti cumulati nel tempo a causa di tali fattori disturbanti (stress). Il concetto di stress diviene centrale per le sue potenzialità nel costituire uno schema di riferimento per l’analisi di una moltitudine di condizioni non favorevoli in cui si svolgono le interazioni tra le persone e l’ambiente fisico L’ambiente urbano, con il rumore, l’inquinamento e la densità, è stato in questo caso assunto come situazione emblematica per descrivere l’origine dello stress e gli effetti che esso provoca diventando costi che le persone sostengono nel far fronte ad eventi sfavorevoli dell’ambiente circostante e che hanno inevitabilmente una ricaduta non solo sulla salute fisica ma anche psicologica. La città diviene così ambiente in grado di originare l’insorgenza di atteggiamenti di rassegnazione forzata che portano gli individui a considerare ogni possibile azione come inadeguata al fine di neutralizzare gli aspetti negativi dell’ambiente in cui vivono. La ricerca empirica ha sviluppato un crescente interesse per gli stressor urbani come appunto il rumore, l’inquinamento atmosferico e la densità, volgendo una sistematica attenzione verso le valutazioni soggettive che le persone fanno di essi e verso i comportamenti che sembrano esserne influenzati come l’aggressività e la tendenza ad evitare gli altri. Particolarmente interessanti risultano essere gli studi che hanno evidenziato l’esistenza di connessioni tra il grado di familiarità con l’ambiente urbano e le caratteristiche delle mappe spaziali e tra queste e le variabili socio-culturali. Uno degli studi più ricordati è quello condotto sulle città di Roma e Milano sulla base delle procedure di Lynch (Francescato e Mebane, 1976). I risultati emersi evidenziavano come alcune differenze relative allo spazio rappresentato siano correlate alla diversità del livello socioeconomico di appartenenza delle persone, infatti, in entrambe le città i soggetti delle classi più basse tendono a tracciare mappe riproducenti aree urbane più piccole e con meno dettagli Identità di luogo (Proshansky, 1978) “L’identità di luogo è concettualizzata come una parte unica della identità di sé, e in particolare essa rimanda a quelle dimensioni del Sé che definiscono l’identità personale dell’individuo in relazione all’ambiente fisico attraverso un complesso sistema di idee, credenze, preferenze, sentimenti, valori e mete consapevoli e inconsapevoli unite alle tendenze comportamentali e alle abilità rilevanti per tale ambiente” (1978). Il primo scritto in cui Proshansky riferisce il termine identità di luogo è l’articolo, comparso nel 1978, “The city and self-identity”, in cui afferma la necessità di includere tale concetto tra le altre identità specifiche, ma sarà nel 1983, nello scritto “Place-identity: Physical world socialisation of the self”, che, insieme a Fabian e Kaminoff, fornirà maggiori dettagli rispetto alla relazione tra identità di luogo, identità di Sé e il sistema di Sé. Proshansky e collaboratori affermano che l’identità di luogo è collocata all’interno dell’identità di sé e che quest’ultima è a sua volta considerata una substruttura del sistema del Sé (cfr. Bonnes et al., 2004). Secondo Proshansky et al. (1983), i processi con cui un individuo definisce se stesso “non si limitano a tracciare differenziazioni tra sé e gli altri significativi, ma coinvolgono anche le non meno importanti differenziazioni rispetto agli oggetti e alle cose, nonché agli spazi e luoghi in cui questi ultimi sono collocati” (p.57) ed aggiungono “il senso soggettivo del sé non è espresso unicamente dalle relazioni con gli altri, ma anche dalle relazioni con i vari setting fisici entro cui si specifica e si struttura la vita quotidiana” (p.58). A sostegno di tali affermazioni, gli autori riportano l’impatto che fenomeni quali il degrado in cui si vive, il frequente cambiamento di residenza, le trasformazioni del paesaggio circostante possono comportare sull’identità del Sé. Essi definiscono inoltre l’identità di luogo come le cognizioni, al cui centro è posto il “passato ambientale” sul mondo fisico nel quale una persona vive(s’intende un set di cognizioni che si riferiscono alle credenze positive e negative e agli atteggiamenti circa il mondo fisico sperimentato e le cognizioni comprendono norme sociali, comportamenti, regole ad esso associati). In questo caso anche i punti di vista degli altri sull’ambiente fisico possono modellare l’identità di luogo. Feldman (1990) Introduce l’espressione di “identità di insediamento” (settlement identity) definita come “costellazione di idee, sentimenti, credenze, preferenze, valori, mete, consapevoli e inconsapevoli, tendenze comportamentali e abilità che legano l’identità di una persona a un tipo di insediamento” . Tale definizione riprende quella utilizzata da Proshansky di identità di luogo ma si centra sulla questione dell’insediamento rivolgendosi in particolare alle conseguenze che il trasferimento può avere sull’identificazione. Lalli (1992) Introduce il concetto di “identità urbana” che segue la concezione di identità di luogo ma è più specifica. L’esperienza vissuta in un determinato quartiere pone i Soggetti in relazione con un insieme di simboli che tendono ad entrare a far parte dell’identità di questi. Sono stati diversi gli studi empirici che hanno affrontato il ruolo che un dato quartiere o abitazione può giocare nella costruzione identitaria, soprattutto là dove lo spazio urbano è connotato da diseguaglianze in termini di classe sociale, subcultura o inclusione. Attaccamento al luogo Oltre l’interesse verso l’identità di luogo gli studi si sono rivolti anche ai legami affettivi tra persone e luoghi arrivando ad un utilizzo condiviso del termine “attaccamento” come termine tecnico (Altman, Low, 1992; Giuliani, Feldman, 1993). Il concetto di “senso di attaccamento al luogo” può aiutare a comprendere quel legame affettivo che le persone stabiliscono con specifiche aree in Cui preferiscono risiedere e dove si sentono al sicuro. Il senso di comunità Sarason (1974): il valore su cui si fonda la psicologia di comunità è lo sviluppo e il mantenimento del senso di comunità Levine & Perkins (1987): la promozione del senso di comunità come strumento di empowerment Quattro dimensioni della comunità Definizioni ◦ Localistico-territoriale ◦ Relazionale ◦ Partecipativa ◦ Soggettiva ◦ Comunità come luogo e come strumento dell’intervento Sarason (1974) Percezione di similarità con gli altri Interdipendenza con gli altri Disponibilità a mantenere l’interdipendenza (reciproca soddisfazione di bisogni) Sensazione di essere parte di una struttura pienamente stabile e affidabile McMillan (1976) Sentimento di appartenenza e di mutua importanza Fiducia nella reciproca soddisfazione dei bisogni Impegno a collaborare a tal fine McMillan & Chavis (1986) Appartenenza Influenza Integrazione e soddisfazione dei bisogni Connessione emotiva Principali rischi del costrutto Definire “senso di comunità” il legame con qualsiasi collettività Dimenticare la natura dialettica e conflittuale delle comunità Perdere lo specificità del costrutto rispetto a costrutti simili (attaccamento al luogo, identità di luogo…) Strumenti di rilevazione Glynn (1981): Psychological sense of community scale (120 item sulla rappresentazione della qualità della relazione con la propria comunità) Buckner (1988): Neighborhood cohesion instrument (18 item che rilevano il senso di comunità, il grado di attrazione esercitato dalla comunità e la qualità dell’interazione entro la comunità) Perkins et al. (1990): Sense of community index (12 item dicotomici che descrivono la comunità) Davidson & Cotter (1986): Sense of community scale (17 item, adatta soprattutto agli ambienti urbani) Scala italiana del senso di comunità (Prezza et al., 2000) Risultati di ricerca Le comunità caratterizzate da un elevato senso di comunità promuovono la partecipazione, il che esercita risultati anche a livello politico, in concreto ma anche in astratto (modifica dell’idea stessa di democrazia) (Davidson & Cotter, 1989; Bobbio, 1999) Stretto parallelismo fra il senso di comunità e la qualità della vita (Davidson & Cotter, 1991; Keyes, 1998) Senso di comunità Appartenenza Influenza Integrazione e soddisfazione bisogni Connessione emotiva Qualità della vita Integrazione sociale Accettazione sociale Contributo sociale Attualizzazione sociale Coerenza sociale Relazione negativa fra senso di comunità paura della criminalità (Santinello, Gonzi, & Scacchi, 1998) Principali predittori del senso di comunità: ◦ Anni di residenza (Chavis et al., 1986) ◦ Ciclo di vita (Zani, Cicognani, & Albanesi, 2001) ◦ Uso della comunità (Pretty et al., 1996) ◦ Presenza di figli in età scolare (ma direzione mediata dallo status della comunità) (Hedges & Kelly, 1992) ◦ Bisogno di affiliazione (Davidson & Cotter, 1991) ◦ Ampiezza della comunità (Prezza & Costntini, 1998) ◦ Densità abitativa della comunità (Sagy, Stern, & Krakover, 1996)