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PSICOLOGIA DI COMUNITA’
Comunità:
Entità sociale globale in cui i legami tra i membri sono molto stretti è forte il senso dell’ingroup ed è
radicato in tradizioni profonde;
Entità sovraindividuale che si impone sull’individuo singolo in forza della sua trascendenza di ordine
sia etico, sia politico
3 aspetti insiti in questo concetto:
1) Spazio territoriale
2) Caratteri sociologici
3) Unità psicologica
La comunità può essere definita come:
o
o
o
o
Luogo definito in termini spazio temporali
Entità sociale globale dove i membri sono legati da senso di appartenenza radicato nelle tradizioni
Entità sovraindividuale: depositaria di un bene comune che può garantire e tutelare il singolo
civitas dove vigono diritti e doveri comuni
CONCETTO DI COMUNITÁ: BREVE EXCURSUS STORICO
Polis di Aristotele: comunità depositaria di un bene comune che non solo trascende quello individuale, ma
che diventa garanzia, metro e tutela di quest’ultimo
Pensiero medievale cristiano: l’uomo non ha potere di fronte ad un universo che lo sovrasta. Ogni singolo
individuo deve stare al suo posto perché lì messo da una volontà superiore.
Idea di comunità del Romanticismo: vede soprattutto il lato negativo dell’individualismo (in
contrapposizione all’Illuminismo). L’individuo può avere un suo posto solo nella misura in cui è parte di
quell’entità sovra-individuale da cui trae i fondamenti etici che lo fanno “essere umano
Individualismo: Individuo => Soggetto portatore di pensiero e di una singolarità che detiene in sé e non più
un elemento del mondo al centro del discorso etico e politico.
=> Nell’uomo in quanto tale risiedono le radici della sua libertà, della sua autodirezionalità. Idea di un
sociale che non è sovrumano, ma umano Costituzione americana del 1776; Rivoluzione francese del 1789
Il Romanticismo esalta l’idea di un uomo capace di sfidare l’assoluto e di affermare se stesso e il suo agire
su tutti gli altri. Elabora anche la nozione di un collettivo sociale forte, capace di garantire la vita comune
proprio perché si impone sulle forze individuali in virtù della sua sacralità.
Fine 1700, Schleiermacher => sentimento come categoria che ispira la concezione di comunità, entità
sociale costituita da uno speciale legame tra i suoi membri, ricco di sentimenti e sostenuto da uno scopo
comune => Comunità diverso da società
Il concetto di comunità viene tradizionalmente definito in opposizione a società => TÖNNIES, 1887
Comunità e società: individua due diverse forme di organizzazione sociale contrapposte tra loro
 Comunità: fondata sul sentimento di appartenenza e sulla partecipazione spontanea
 Società: basata sulla razionalità e sullo scambio
Da categoria morale la comunità diviene una categoria sociologica, che si definisce soprattutto in base a
quell’altra categoria che è la società
Comunità: fondata sulla comprensione => “modo di sentire comune e reciproco, associativo”
La dignità diventa la caratteristica essenziale su cui si fondano le differenze tra i membri che restano uniti
da vincoli più sentimentali che utilitaristici: il rispetto, la tenerezza, la benevolenza


Relazioni nella comunità: fiducia reciproca, organismo vivente, fondato sul sentire comune
Relazioni nella società: fondate su base contrattuale, temporanee e molto fredde, aggregato su basi
meccaniche
ASPETTI ESSENZIALI DELL’IDEA DI COMUNITÁ




Interdipendenza dei sistemi relazionali tra le persone
Forte omogeneità rispetto ad alcuni valori e norme condivisi
Valori e norme come elementi interiorizzati più che espressi formalmente
Cultura e modi di vita condivisi e presenza di un forte senso dell’ingroup rispetto all’outgroup
circostante
Comunità: gruppo di persone che stanno insieme non per raggiungere interessi particolari, ma per
perseguire le condizioni basiche della vita quotidiana
ATTUALITÀ del CONCETTO di COMUNITÀ
Relazione interpersonale ha un ruolo positivo e importante: relazione stessa intesa come risorsa
Si cerca di superare separazione tra soggetto e società
Individuo e ambiente = entità inseparabili che si influenzano reciprocamente. Contesti di vita in cui sono
collocati gli individui => ECOSISTEMA
Il SOGGETTO ATTIVO
Individuo che non solo desidera, pensa soffre ma fa e quindi non si limita a reagire alle cose (ottica
meccanicistica – behaviorismo) e alle situazioni (ottica meccanicistica – behaviorismo) ma è in grado di
modificarle, di crearne di nuove.
L’azione è essenzialmente lo strumento per fare, cioè per operare in quel dominio della pratica che è
costituito dall’attività degli uomini e che a sua volta contribuisce a costituirli come essere umani sociali,
cioè come esseri che hanno avuto un costante ruolo di intervento sull’ambiente, da un lato, e di
concomitante costituzione di rapporti sociali dall’altro.
Il soggetto della psicologia di comunità è un essere portatore di progetti, aspirazioni, speranze, che si trova
a nascere e vivere in un contesto di problemi che la vita gli mette costantemente di fronte.
ORIGINI e SVILUPPO della PSICOLOGIA di COMUNITÁ => U.S.A. (conferenza di Swampscott) 1965
TAPPE PRINCIPALI
Prima metà ‘800: orientamento dominante nella psichiatria americana: “trattamento morale” => malati
mentali curati attraverso ritorno a un sistema di vita guidato da solidi principi morali
Seconda metà ‘800: tramonto del trattamento morale e diffusione del “darwinismo sociale” =>lotta per
l’esistenza, sopravvivenza del più adatto
Fine XIX inizi XX secolo: settlement houses => case di accoglienza e promozione sociale per i poveri
Anni Trenta: responsabilità del contesto (New Deal di Roosevelt dopo la crisi del 1929) e non solo “colpa”
individuale
1958: ricerca di Hollingshead e Redlich “Classi sociali e malattia mentale” => relazione fra disturbi emotivi,
tipi di trattamento e classi sociali
Asylums (Goffman, 1961) Cura a prevenzione in centri dislocati sul territorio: riportare il malato nelle
comunità locali
1963: Approvazione del “Community Mental Health Act” che riorganizza in chiave comunitaria il sistema
sanitario relativo alle cure psichiatriche stabilendo il principio della territorialità dei servizi alle persone. Si
riducono così i ricoveri negli ospedali psichiatrici e ampliando l’offerta di trattamenti al cittadino all’interno
della propria comunità di residenza.
1964: War on Powerty prevede riforme in senso socio-assistenziale. In quel periodo infatti, anche al fine di
accrescere il consenso interno, scosso dai tragici risultati della guerra in Vietnam, il governo istituisce
programmi per bambini svantaggiati, per giovani disoccupati e per il recupero dei tossicodipendenti.
1965: Swampscott (New England): viene sancita la nascita della Psic. Di Com. Periodo in cui negli USA ci
sono rilevanti movimenti sociali (lotta per i diritti civili degli afroamericani, protesta studentesca). Il
governo risponde con alcune imponenti politiche sociali (war on poverty, Cmhca).
Anni ’70: dal trattamento alla prevenzione
Anni ’80: insediamento Ronald Reagan => tagli a programmi assistenziali
Ultimi anni: ulteriore sviluppo teorico che ha trovato nei due concetti, “empowerment” e “sostegno
sociale”, due modi cruciali per visualizzare la promozione della società competente
PSICOLOGIA di COMUNITÀ
È un orientamento e un modo di pensare, un insieme di credenze che pongono attenzione alle condizioni di
vita della persona, e che richiedono perciò concezioni teoriche diverse da quelle utili per comprendere un
singolo individuo, in quanto basate su unità di analisi più ampie. Levine e Perkins, 1987
Si rivolge più alla prevenzione che al trattamento, enfatizza il rafforzamento delle competenze dell’attore
sociale più che l’eliminazione del deficit, si focalizza sull’interazione tra persone e ambienti.
Costituitasi in seguito a un processo di differenziazione da discipline «vicine» (psicologia clinica, lavoro
sociale, psichiatria)
Punto di partenza: approccio di Kurt Lewin (learning by doing, conoscere per cambiare, la persona nel
contesto)
Interazione tra sviluppo della disciplina e contesto sociopolitico
Connessione tra elaborazione e diffusione delle modalità operative e tecniche di intervento nei vari settori
in cui opera lo psicologo
 Area di ricerca e di intervento si occupa di problemi umani e sociali. Rivolta all’interfaccia tra
individuale e collettivo, tra psicologico e sociale
La Psicologia di Comunità considera gli individui all’interno del contesto e dei sistemi sociali di cui fanno
parte o che li influenzano
Psicologia di comunità: studio della persona nel contesto => analisi dei fattori individuali e contestuali
Studio delle relazioni reciproche tra individui e sistemi sociali con cui questi interagiscono => studio
dell’interazione individuo-sistema sociale => prospettiva ecologica
Necessario adottare una prospettiva sistemica: Un comportamento può avere molte cause sottostanti
APPROCCI TEORICI della PSICOLOGIA di COMUNITÀ:




Orientato alla prevenzione
Orientato alla promozione della salute
Multidisciplinare delle esperienze
Empirico dell’intervento sociale
Rilevanza del contesto sociale. Si perfeziona in seguito allo stimolo di concrete situazioni di disagio sociale
Psicologi e altri operatori differenziati da una visione individuale, biologica o intrapsichica del disagio
Dapprima: innovazione circoscritta al settore dei servizi psichiatrici e alla cura della malattia mentale
Poi: prospettiva si è allargata ad altri settori della vita sociale e comunitaria
OBIETTIVO: prevenzione del disagio, della promozione delle risorse sociali
Al di là delle specificità territoriali e contestuali:




Sguardo critico verso la psicologia dominante tradizionale
Interesse per i valori, il potere, la giustizia
Interesse per il contesto e per “l’individuo nel contesto”
Focus sulla prevenzione (non tanto sul trattamento), rafforzamento delle competenze, non
eliminazione del deficit
 giving psychology away (“lo psicologo di comunità lavora per la propria scomparsa”)
Psicologia di comunità: “area di ricerca e di intervento sui problemi umani e sociali che si rivolge
eminentemente all’interfaccia tra la sfera individuale e quella collettiva, tra la sfera psicologica e quella
sociale”
Studio delle relazioni reciproche tra individui e sistemi sociali con cui questi interagiscono => studio
dell’interazione individuo-sistema sociale => METAFORA ECOLOGICA
METAFORA ECOLOGICA
Tema centrale nell’ambito della Psicologia di comunità:
Lo studio della persona nel contesto inteso come “studio delle relazioni reciproche tra individui e sistemi
sociali con cui interagiscono” (Bennett et al, 1966)
Per descrivere la complessa interazione individuo-sistema sociale la Psicologia di comunità si avvale della
metafora ecologica (Nelson e Prilleltensky 2005).
Essa è considerata sia:
 Un principio fondante (i fenomeni nascono e si sviluppano nei contesti)
 Sia un paradigma utilizzato nella ricerca scientifica (l’analisi congiunta di fattori individuali e
contestuali)
 Sia un insieme di valori (accogliere la complessità dei fenomeni, valorizzarne la diversità,
attivare risorse individuali e contestuali per il cambiamento)
Ambiente e contesti di vita in cui le persone sono inserite influenzano significativamente il comportamento
individuale
Persone possono spiegare e controllare proprio comportamento attraverso una maggiore comprensione
delle influenze ambientali specifiche
Comportamento umano: esito dell’adattamento dell’individuo alle risorse dell’ambiente e alle circostanze
che si verificano
Individuo-ambiente  ambiente-individuo
Presupporre che l’ambiente eserciti significativi effetti sul comportamento individuale e che l’individuo
possa modificare il suo ambiente in un rapporto di reciproca influenza si collega in termini di azione ed
intervento ad altre implicazioni:
1) È possibile attuare interventi che, a partire da un contesto, ne coinvolgano altri portando benefici a
tutti i soggetti che condividono tali contesti.
È quindi auspicabile ideare azioni in grado di influenzare contemporaneamente più contesti sociali
ipotizzando un cambiamento che coinvolga più livelli del sistema e permetta di ottimizzare i risultati
raggiunti
2) Per coinvolgere ed indurre il cambiamento in uno o più contesti è necessario conoscere i contesti
su cui si vuole agire attraverso un intervento. Questa conoscenza sottende una discesa sul campo
degli studiosi.
INDIVIDUO, TERRITORIO, COMUNITÁ: SCUOLA di CHICAGO
Scuola di Chicago: Dipartimento di Sociologia Università di Chicago (1896)
Attenzione a: analisi empirica del nesso tra problemi individuali e problemi sociali. Cerca di individuare
elementi di collegamento tra aspetti individuali e sociali
Anni ‘30-‘50: psicologi e antropologi sociali americani vicini a Scuola di Chicago => dato ambientale tra gli
aspetti più tipici della definizione del concetto di comunità
Scuola di Chicago: sorge all’interno del dipartimento di sociologia dell’università di Chicago nel 1896. Pone
molta attenzione all’analisi empirica del nesso tra problemi individuali e sociali e punta ad individuare
elementi di collegamento tra gli aspetti individuali e quelli sociali. Chicago per le sue caratteristiche (nel
1840 ha 4.470 abitanti, nel 1890 un milione e, nel 1930, 3 milioni e mezzo) diventa una sorta di vero e
proprio laboratorio all’interno del quale svolgere ricerche empiriche.
Ricerche (anni 20-40)
 Thomas e Znaniecki => Il contadino polacco in Europa ed America (1918-20): ricerca su esperienze
di vita dei contadini polacchi che lasciavano il loro mondo e con esso una situazione di relativa
sicurezza e stabilità per emigrare nelle città.
 Anderson => The Hobo (1923): ricerca sulla vita dei lavoratori migranti che si spostavano per gli
Stati Uniti dell’epoca senza progetti ben definiti alla ricerca di un lavoro temporaneo.
 Thrasher => The Gang (1927): ricerca sulla delinquenza urbana attraverso l’analisi di 1.313 bande
giovanili di Chicago che si distribuivano i 3 aree specifiche.
 Wirth => The Ghetto (1928): ricerca sui ghetti ebraici in Europa ed in America e sulle loro principali
funzioni.
 Esponente di spicco di questa scuola è Robert Park => città, comunità, regione sono organismi
sociali e non semplici fenomeni geografici
Robert Park => città, comunità, regione = organismi sociali, non solo fenomeni geografici
PARK (1921)
Comunità umana: insieme interconnesso di unità che stanno insieme in modo simbiotico
Tre caratteristiche fondamentali:
1) È presente un’organizzazione sociale: una comunità umana ha una popolazione organizzata sul
territorio
2) È radicata all’interno di questo territorio
3) In questo territorio le singole unità sono mutualmente interdipendenti
1. Competizione: fattore centrale della vita collettiva, forma elementare di interazione. Interazione senza
contatto sociale, impersonale e continua. A questa si associano altre 3 forme di interazione che dipendono
dai contatti sociali
2. Conflitto: sempre consapevole, personale, intermittente può cessare con
3. Accomodamento: processo di adattamento, organizzazione di relazioni e di atteggiamenti sociali che
servono a controllare la competizione e a prevenire o a ridurre il conflitto
4. Assimilazione: processo di fusione per cui soggetti e gruppi diventano parte di una cultura comune.
Distinzione tra: ordine biotico e ordine sociale
1) Ordine biotico: regolato dai meccanismi della competizione
2) Ordine sociale: regolato dalla comunicazione, dalla socializzazione, dal consenso e dall’azione collettiva
che derivano da ideali e da tradizioni comuni, da legami affettivi e da obiettivi comuni, dalla capacità delle
persone di controllare i propri impulsi. Rende possibile l’azione collettiva
Ordine biotico e sociale interagiscono tra loro
ZIMMERMANN (1938)
Una collettività per poter essere definita comunità deve possedere una base geografica definita e compatta
Distingue tra:
a)
Comunità localistica: chiusa e isolata. Rapporti tra individuo e comunità sono molto stretti al punto
che il soggetto pensa alla comunità come al SUO gruppo (legami quasi tutti faccia a faccia)
b)
Comunità cosmopolita: privilegiata l’individualità, l’amicizia e i rapporti di vicinato deboli, pochi
richiami alle tradizioni, Comunità aperta, non isolata, disponibile al cambiamento
PROSPETTIVA ECOLOGICA (BARKER)
Comportamento umano visto in termini di adattamento della persona alle risorse e alle circostanze
Barker (anni ’40) => Studio relazioni tra individuo e ambiente in condizioni naturali => analisi per
evidenziare come le specificità ambientali danno luogo a specifici comportamenti, indipendenti dagli
individui coinvolti
Osservazione naturalistica, meticolosa di avvenimenti quotidiani nella vita dei bambini svolta nel contesto
in cui si verificano naturalmente
Individuate unità di analisi più molari = setting comportamentali. Situazioni che determinano
comportamenti specifici indipendenti dalle persone coinvolte (es. chiesa, scuola): in ciascuno di essi si
possono definire delle condotte stabili
Setting comportamentale: insieme di pattern circoscritti di attività umane e non umane le cui parti e
processi sono fortemente interdipendenti e si presentano quindi come delle unità
Indicatori dei setting:
a) Grado di coinvolgimento: persone legate al relativo programma di setting in base al diverso grado
temporale in cui entrano al suo interno, alle differenti capacità e livello di responsabilità con cui lo
fanno;
b) Ricchezza di un setting: combinazione del numero dei sottogruppi (di età diversa, sesso, status
sociale, etnia) in grado di essere coinvolti all’interno del setting, dei tipi di modalità
comportamentali e di azione che si verificano in quel setting e dal tempo totale di apertura del
setting.
Limiti del modello:
 Riduzionismo: caratteristiche dell’ambiente condizionano il comportamento dei soggetti e non
è studiato come questo è percepito e interpretato dagli individui
 Non spiega il cambiamento: contesti non immutabili, ma soggetti a cambiamento => aspetto
non considerato da Barker
PUNTI SPECIFICATI DALL’ANALOGIA ECOLOGICA (Levine & Perkins, 1987)
o
o
o
o
Influenza dell’ambiente fisico e sociale sul comportamento
Interdipendenza delle persone all’interno di particolari gruppi sociali interpretati come comunità
Ricerca svolta in contesti naturali (no laboratori o setting clinici tradizionali)
Ambito di ricerca-intervento volto a favorire una collaborazione partecipata e attiva tra studioso e
residenti a cui la ricerca è rivolta
Prospettiva ecologica: programma di intenzioni generali che conferma il carattere sociale dei problemi
soggettivi e l’idea di un soggetto inteso in termini sociali. No paradigma, no modelli teorico-metodologico
di analisi
ECOLOGIA dello SVILUPPO UMANO: BRONFENBRENNER (1978)
Amplia concetto di ambiente ecologico (critica impostazione di Barker: riduttiva per studio comportamento
umano)
Comprensione del comportamento umano richiede:
o
o
Esame di sistemi di più persone in interazione non limitata a un solo contesto
Considerazione di aspetti dell’ambiente che vanno al di là della situazione immediata di cui fa
parte il soggetto
Interesse per progressivo adattamento tra organismo umano, suo ambiente immediato e modo in cui tale
relazione è mediata da forze che appartengono a un ambiente fisico e sociale più ampio => Punto centrale
orientamento ecologico così inteso
Ambiente ecologico: Serie ordinata di strutture concentriche incluse l’una nell’altra:
1. Microsistema: relazioni tra la persona e l’ambiente di cui la persona ha esperienza diretta
2. Mesosistema: due o più contesti ambientali a cui l’individuo partecipa attivamente
3. Esosistema: una o più situazioni ambientali a cui il soggetto non partecipa direttamente, ma dove si
verificano eventi che influenzano l’ambiente con cui la persona ha contatto
4. Macrosistema: contesto sovrastrutturale. Condiziona i sistemi di livello più basso: legato a culture e
organizzazioni sociali più ampie
Nicchia ecologica: regione dell’ambiente particolarmente favorevole o sfavorevole per lo sviluppo di
individui che hanno particolari caratteristiche
KELLY, 1966
Riprende in parte il lavoro di Barker e propone 4 principi fondamentali che illustrano i meccanismi di
influenza reciproca tra ambienti, gruppi e individui (utili per supportare la progettazione di interventi) :
1) Interdipendenza: i membri di un’unità sociale sono in rapporto di reciproca interdipendenza e
interazione. I cambiamenti di una parte producono cambiamenti in altre parti del sistema (ad
es. interventi su pazienti psichiatrici). I diversi contesti di vita assumono un peso diverso nel
corso dell’esistenza (la scuola freq da ragazzo quando si è in età adulta).
2) Distribuzione delle risorse: come le risorse sono create e distribuite all’interno del sistema
(risorse non solo economiche). Generalmente un intervento si muove sulla ridistribuzione delle
risorse questo implica il fare sempre un’attenta analisi dei costi/benefici.
3) Adattamento: L’ambiente è in grado di contrastare o facilitare alcuni comportamenti. La
quantità di risorse disponibili nell’ambiente, in un dato momento, scatena una risposta adattiva
da parte dell’individuo (ad es. perdita del lavoro oppure un più alto tenore di vita).
4) Successione: l’ambiente non è statico ma è in continua trasformazione. Un cambiamento
nell’ambiente può creare situazioni favorevoli per una popolazione e meno per altre. La
conoscenza dei cambiamenti nel tempo può aiutare può contribuire alla conoscenza della
comunità stessa. È così importante analizzare la direzione verso cui la comunità sta andando.
LEVINE (1969):
Definisce 5 principi per la pratica della psicologia di comunità, ossia delle forme di intervento che migliorino
le capacità di adattamento:
1) Un problema sorge in un setting o in una situazione: i fattori situazionali causano, innescano,
accrescono e/o mantengono il problema
2) Un problema sorge perché la capacità adattiva del setting (di problem-solving) è bloccata
3) Per essere efficace, un aiuto deve essere collocato in modo strategico rispetto all’insorgere del
problema
4) Gli scopi e i valori dell’operatore o del servizio di aiuto devono essere coerenti con gli scopi e i
valori del setting (ad es. fumatore e lega antifumo)
5) La forma di aiuto deve essere stabilita in modo sistematico, usando le risorse naturali del setting o
mediante l’introduzione di risorse che possono diventare istituzionalizzate come parte del setting
(ad es. fomare insegnanti per interventi di prevenzione)
CARATTERISTICHE NECESSARIE AFFINCHÉ i QUARTIERI SIANO VISSUTI COME COMUNITÀ LOCALI
Eterogeneità della popolazione => differenti usi del quartiere: no ghettizzazione
Possibilità di partecipazione politica e sociale Soddisfazione di bisogni materiali e relazionali,
supporto sociale: importanza rapporti di vicinato
Varietà architettonica => varietà residenziale (quindi eterogeneità)
Polifunzionalità => Differenti usi del quartiere, no quartieri dormitorio
Organizzazione dei servizi e centri del quartiere => Catalizzatori di relazioni sociali
Confini => Delimitazione fisica e simbolica dell’appartenenza
QUARTIERE:
Insieme complesso di dimensioni oggettive e strutturali e dimensioni soggettive e relazionali, strettamente
connesse tra loro.
Unità spaziale che ha una storia, una identità, strutture e risorse, punti deboli e risorse incide sulla vita
degli individui
RAPPORTO tra AMBIENTE e GRUPPI UMANI
Human Ecology: rapporto tra ambiente e gruppi umani. Sviluppo del concetto di COMUNITÀ LOCALE =>
Comunità che assume una specificità attraverso sua collocazione geografico-territoriale
Spazio urbano: depositario di storie di vita, oggetti simbolici rilevanti per identità della comunità e del
singolo
Condivisione simboli e archetipi: unisce chi si riconosce in quella cultura e in quel contesto => rinforza
coesione in-group
Rischio: comunità chiusa, sentimento di anomia o esclusione in chi non si riconosce in quei rituali
PROCESSI PSICOSOCIALI in RIFERIMENTO ai LUOGHI
Anni ’60 del 900: studio del rapporto tra residente e ambiente in cui vive (città)
Canter (1977): Teoria di luogo. Interessato a studiare i processi cognitivi relativi all’ambiente
Luogo=> sistema integrato di tre dimensioni caratteristiche:
 Fisiche
 Azioni associate a un particolare luogo
 Rappresentazioni delle specifiche azioni in quello specifico ambiente
Prospettiva transnazionale (o socio-sistemica): Dato percettivo esito di un rapporto reciproco tra individuo
e ambiente
Stokols (1981) amplia definizione di luogo considerando i significati condivisi che lo connotano
Superamento rappresentazione individualistica dell’ambiente, considerata in termini di schemi e mappe
mentali
Percezione sociale dell’ambiente: si colloca tra una prospettiva esclusivamente soggettiva e una
strettamente oggettiva
Significati socioculturali attribuiti a un luogo: ciò che unisce i gruppi ai luoghi
Quanto più luogo ha significati sociali, tanto più aumenta interdipendenza tra dimensioni sociali e fisiche
ATTACCAMENTO al LUOGO (Fried, 1963, 1982, 2000)
Dinamiche affettive e soggettive che connotano la relazione che le persone stabiliscono con i luoghi e con
gli altri individui di quei luoghi
Sentimento di sicurezza derivato dalla presenza di ambienti familiari
Origini del costrutto: trasferimento forzato abitanti di un quartiere di Boston fine anni Cinquanta (Fried,
1963)
Analogie con teoria di Bowlby, ma differenze:
o
o
o
Persistenza temporale del legame
Unicità figura di riferimento
Ricerca di sicurezza
LUOGO e IDENTITÀ
 Place identification (identificazione di luogo)
 Place identity (identità di luogo)
 Teoria del processo identitario
Place identification (Twigger-Ross e Uzzell, 1996)
Identificazione manifestata da un individuo con un posto
Luogo come categoria sociale tout court, a cui si applicano i meccanismi evidenziati dalla Teoria
dell’Identità Sociale (Tajfel, 1981) e dalla Teoria della Categorizzazione del Sé (Turner et al. 1987)
Collocazione spaziale definisce l’appartenenza al gruppo
Quindi: identificazione di luogo = forma di identificazione sociale derivante da un sentimento di
appartenenza a un luogo (il nostro spazio vs. il loro)
Place identity (Proshansky et al., 1983)
Premessa: anche la relazione con i contesti fisici contribuisce allo sviluppo dell’identità personale
Insieme di cognizioni sull’ambiente fisico in cui l’individuo vive che servono a definire, mantenere e
proteggere l’identità di una persona
Forte attaccamento emotivo a particolari luoghi
«Sfondo cognitivo» che permette all’individuo di discriminare ciò che è familiare da ciò che non lo è
Guida alla percezione dei diversi luoghi e facilita nel tempo il senso di continuità del Sé a fronte di possibili
variazioni ambientali
Teoria del processo identitario (Breakwell, 1986;1992)
Quattro principi
1. Distintività: desiderio di mantenere propria unicità => persone usano identificazione di luogo
per distinguere se stessi dagli altri
2. Continuità: desiderio di preservare continuità, nel tempo e nello spazio, del senso di Sé (luoghi
di riferimento = referenti del sé passato e delle azioni passate; luoghi congruenti = ricerca di
luoghi che rappresentino propri valori e siano congruenti con il self)
3. Autostima: valutazione positiva e piacevolezza personale legata allo stare in un luogo
4. Autoefficacia: ambiente facilitante per le attività che si desidera intraprendere (= ambiente
maneggevole)
SENSO DI COMUNITÀ
Sarason 1974 (“The psychological sense of community”): valore fondante e fine ultimo perseguito dalla
psicologia di comunità “lo sviluppo ed il mantenimento del senso psicologico di comunità”.
Determinato da:
 Percezione di similarità
 Interdipendenza con gli altri;
 Appartenenza ad una struttura affidabile e stabile
Senso di comunità si lega a forti componenti valoriali, fa riferimento ad una comunità non precisata. Nella
pratica di ricerca il Senso di comunità dall’origine ai giorni nostri è stato indagato prevalentemente in
relazione alle comunità territoriali
Constatazione teorica sull’importanza di approfondire basi psicologiche del coinvolgimento degli individui
nelle comunità di appartenenza
Si parte dal presupposto che su tale coinvolgimento si fonda lo sviluppo delle comunità competenti
promosse dalla psicologia di comunità
Non proposti strumenti specifici di indagine per il Senso di comunità
Difficoltà nel leggere questo costrutto alla luce della tradizione teorica e di ricerca della psicologia
“dominante”
MODELLO di McMILLAN e CHAVIS
Raccolta la sfida di inserire costrutto del Senso di comunità in una cornice teorica e metodologica
Rilevate le componenti psicologiche del Senso di comunità
Sentimento di appartenenza, sentimento dei membri di essere importanti per il gruppo e l'uno per l'altro, e
una fiducia condivisa nel fatto che i bisogni [comuni] saranno soddisfatti dal loro impegno a stare insieme
COMPOSTO DA QUATTRO DIMENSIONI:
Appartenenza
Influenza
Integrazione e soddisfazione dei bisogni
Connessione emotiva condivisa
Appartenenza
Sentimento di far parte di una comunità. Caratterizzata da:
Necessità di individuare precisi confini (fisici e simbolici): definiscono differenza tra insider e outsider
Sistema condiviso di simboli quale mezzo per rafforzare i confini e aumentare coesione del gruppo
Sicurezza emotiva: persone rassicurate dal fatto di appartenere a una comunità
Identificazione nel gruppo
Impegno personale: contribuisce a sviluppare senso di appartenenza e connessione emotiva con il gruppo
Influenza
Concetto bidirezionale: esercitata sia dall’individuo sulla comunità che viceversa. Le persone hanno bisogno
di provare un certo controllo su di un gruppo per esserne attratti ma, parallelamente, il gruppo per evitare
di sfaldarsi esercita una pressione conformistica sugli individui
Bisogno individuale di influenzare la comunità: base per la partecipazione attiva
INTEGRAZIONE e SODDISFAZIONE dei BISOGNI
Consapevolezza dei soggetti di poter soddisfare propri bisogni in funzione della loro appartenenza al
gruppo
Percezione dei membri di una comunità della presenza di credenze e valori condivisi
Equivalente al rinforzo positivo all’appartenenza alla comunità
Soddisfazione dei bisogni dei singoli richiede l’integrazione tra le necessità individuali a causa
dell’interdipendenza dei membri di una comunità
Connessione emotiva
Determinante per lo sviluppo del S.d.C.
Legame affettivo che accomuna i membri e li lega al gruppo
Si basa sulle interazioni tra le persone, sul loro numero e sulla loro qualità
Componente del SdC che più caratterizza il legame comunitario rispetto ad altri tipi di appartenenze (cfr.
Tönnies)
Contribuisce fortemente allo sviluppo della connessione emotiva la condivisione di eventi importanti, anche
drammatici (disastro naturale, crisi economica, etc.)  Vedi interdipendenza del destino (Rabbie & Horwitz,
1969)
CARATTERISTICHE del MODELLO di MCMILLAN e CHAVIS
Fondato sui processi cognitivi, affettivi e motivazionali che fanno sì che la comunità sia riconosciuta come
tale e non sulla relazione tra l’individuo e la comunità, quale essa sia
Non fa riferimento ad una comunità specifica, quindi può essere applicato ad oggetti molto differenti tra
loro
Alcune delle dimensioni proposte sono mutuate dalle teorie sui gruppi (cfr. appartenenza, influenza)
SENSO di COMUNITÀ: STRUMENTI di MISURA
Senso di comunità: operazionalizzato in riferimento a differenti oggetti/comunità => diverse scale contesto
specifiche
Maggior parte dei casi: riferimento a una comunità territorialmente definita.
Comunità di riferimento: Comunità territoriali (vicinato, quartiere, città), Organizzazioni
Quasi totalità delle ricerche sul SdC basata sull’uso di scale di misura quantitative, con poche eccezioni
(Puddifoot, 1994; Plas & Lewis, 1996).
Sense of Community Scale (SCS) (Davidson e Cotter, 1986)
Comunità di riferimento: territoriale (intesa come città)
Adattamento italiano: Scala Italiana del Senso di Comunità (ISCS)
4 dimensioni per un totale di 18 item:
Senso di appartenenza e connessione emotiva
Soddisfazione dei bisogni ed influenza
Clima sociale
Piacevolezza casa/zona
SENSO di COMUNITÀ: ASPETTI CRITICI E QUESTIONI APERTE
Ambiguità nella definizione di comunità (confusione con gruppo, organizzazione, etc.)
Il riferimento empirico è spesso la comunità locale, ha ancora senso utilizzare questa unità di analisi? (cfr.
reti sociali)
Eccessiva idealizzazione della comunità, senza tenere conto della componenti dialettiche e conflittuali dei
rapporti tra individui e gruppi (Wiesenfeld, 1996)
Mancanza di costanza di alcuni risultati di ricerca: le differenti scale di misura non rilevano il SdC secondo il
modello di McMillan & Chavis.
Rehingold (1991) e Hill (1996): componenti di ciò che viene definito comunità differiscono in base al setting
considerato
Senso di comunità: costrutto setting-specifico => Appartenenze multiple
Possibilità per gli individui di identificarsi come membri di comunità diverse, ognuna delle quali può
soddisfare delle esigenze specifiche
STRESS
Reazione psicologica adattiva. Può assumere significato patogenetico quando:
È prodotta in modo troppo intenso
E/o per lunghi periodi di tempo
E/o non si accompagna a risposte sufficientemente efficaci
Selye (1956): stato di attivazione del sistema nervoso vegetativo e del sistema endocrino esibito
dall’individuo quando deve affrontare un’esigenza o adattarsi a una novità
Stress = risposta fisiologica
Stressor = causa esterna fonte di stress
SINDROME GENERALE di ADATTAMENTO (GAS)
Tre stadi:
1. Fase di allarme – shock di fronte all’evento stressante e successiva mobilitazione dei meccanismi
corporei di difesa (attacco o fuga). Mantenere l’omeostasi dell’organismo
2. Resistenza – tentativi di ristabilire un nuovo equilibrio e un nuovo adattamento: a) perché lo stressor
diminuisce la sua azione perturbatrice; b) perché la risposta comportamentale è efficace
3. Esaurimento – soggetto non è più in grado di reagire con meccanismi di allarme ( non possono essere
sempre attivi). Rischio di contrarre una malattia
Occorre distinguere tra:
 Distress: situazione spiacevole, spesso associata a cronicità
 Eustress: condizione associata a sensazioni positive, derivate da gratificazione per il superamento di
una difficoltà
Studi sullo stress:



Focus sullo stimolo
Focus sul vissuto del soggetto
Focus su transazione soggetto – ambiente
Focus sullo stimolo
Anni ‘60: individuazione situazioni esistenziali più stressanti
Eventi normativi: (matrimonio, nascita di un figlio, esami scolastici, morte di un parente)
Eventi non normativi: inaspettati e/o rari (catastrofi, incidenti, malattie gravi)
Eventi esterni: provenienti dall’ambiente
Eventi interni: connessi a una fase della vita della persona
Indipendentemente dall’evento specifico, prefigurano un cambiamento = passaggio da una fase esistenziale
a un’altra
STRESSFUL LIFE EVENTS Elenco condizioni particolarmente stressanti Holmes e Rahe (1967): 43 eventi
Limite: nessuna considerazione vissuto individuale =>
Focus sul vissuto del soggetto
Holmes e Rahe: Social Readjustment Rating Scale Ogni evento considerato in base a una valutazione
soggettiva
Focus su transazione soggetto - ambiente:
Modello di Richard Lazarus (1974)
Modello di Barbara Dohrenwend (1978)
MODELLO TRANSAZIONALE di LAZARUS
L’unità stimolo-risposta che costituisce lo stress è l’espressione di un essere pensante, capace di valutare le
situazioni e di farvi fronte, utilizzando le risorse a disposizione
Concetto di Appraisal (valutazione della situazione)
transazionale
fondamentale nel suo Modello cognitivo-
Nella transazione individo-mondo sociale entrano in gioco 3 fattori:
 La richiesta imposta all’individuo dal contesto
 La costrizione che da essa deriva
 Le risorse disponibili
Mediati dall’appraisal iniziale e da successive valutazioni di sé e della situazione
Coping: E’ il secondo elemento mediatore di questo modello ed è costituito dai processi attuati per gestire
una situazione sia nei suoi aspetti emotivi sia in quelli pratici.
Insieme dei processi psicologici e delle attività concrete per mezzo delle quali un individuo affronta e
gestisce un evento particolarmente pesante per lui, cercando di venire a capo del problema o, almeno, di
ridurne le conseguenze.
Risorse utilizzate per il coping sono di due tipi:
Personali => Stato di salute, Capacità cognitive, Livello di autostima, fiducia in sé
Materiali e sociali => Economiche, servizi disponibili, reti sociali di sostegno.
Intreccio tra aspetti soggettivi e contestuali
Processo adattivo per superare lo stress legato al concetto di coping



Strategie di coping: modalità con cui si affronta il problema (evitamento, ricerca di sostegno
sociale, pianificazione, …)
Stili di coping: tendenze stabili individuali
Risorse di coping: ciò che può aiutare a fronteggiare il problema (capacità personali, risorse
materiali, relazioni sociali, …)
Stress valutazione dello stress strategie di coping
MODELLO di STRESS PSICOSOCIALE di B. DOHRENWEND (1978)
Può essere integrato con la prospettiva ecologica
Si basa sul concetto di stress psicosociale che include una dimensione temporale
Nell’analisi dei comportamenti e della salute mentale permette di focalizzare le tematiche centrate sulla
persona e quelle centrate sull’ambiente
Focus: Modalità impiegate da un individuo per rispondere ad una situazione di crisi dipendono dai sistemi
di sostegno sociale e dai mediatori psicologici disponibili
Attenzione rivolta a: circostanze della vita e risorse disponibili all’individuo per affrontare le richieste poste
dalla situazione
Episodi stressanti causati da: a) eventi ambientali e situazionali; b) caratteristiche psicologiche
dell’individuo
Forme di reazione allo stress: transitorie
Ciò che segue alle reazioni immediate e transitorie dipende da mediazione di:
Fattori situazionali (sistemi di sostegno sociale, materiale, economico);
Fattori psicologici (valori, capacità di coping…) che definiscono il contesto in cui la situazione stressante si
verificano
Dall’interazione di questi mediatori dipende evoluzione della situazione problematica
Sia i mediatori psicologici sia quelli situazionali sono importanti, perché interagiscono in relazione allo
stress in un modo complesso per condurre ad uno di questi tre risultati:
1)
2)
3)
La persona può crescere e cambiare positivamente, come esito della sua capacità di padroneggiare
l’esperienza;
La persona può ritornare ad uno stato psicologico per lei normale
La persona può sviluppare una forma di psicopatologia, che la D. chiama una reazione
disfunzionale persistente.
Attenzione non rivolta solo alla persona. Questo concetto di stress richiede attenzione alle circostanze della
vita e alle risorse disponibili per affrontare le richieste poste dalla situazione.
Intervento: è possibile in diversi punti del processo e non solo nel momento in cui l’esito finale è
psicopatologico.
Elementi centrali del modello:
 Eventi collocati in un contesto sociale più ampio
 Situazioni stressanti agiscono secondo una sequenza temporale. Possibile effettuare interventi
prima che l’esito finale si concretizzi
Fattori psicologici personali e fattori situazionali sociali ugualmente importanti => interagiscono in relazione
allo stress in modo complesso per portare a uno di questi tre risultati:
1. Crescita psicologica;
2. Ritorno a situazione “normale”;
3. Sviluppo di disagio e forme psicopatologiche: reazione disfunzionale persistente
APPROCCIO MULTIFATTORIALE
Attualmente, si considera l’intreccio tra cause sociali ed ambientali e caratteristiche psicologiche individuali
Fattori ambientali e fattori individuali
 Fattori di rischio
 Fattori protettivi
PROFILO di COMUNITÀ
Obiettivo: fare un’analisi dei bisogni non secondo il modello della diagnosi clinica (ruoli del medico e del
paziente sono chiari e definiti), ma per: aumentare la consapevolezza della comunità stessa, affinché possa
progettare il cambiamento
Quindi: attivare un processo in cui sono i membri della comunità che diventano protagonisti attivi e
prendono coscienza delle loro condizioni, delle necessità, dei limiti e delle risorse
INDICAZIONI OPERATIVE e METODOLOGICHE per LEGGERE una COMUNITÀ:
 Profilo territoriale: dati strutturali che caratterizzano l’aspetto fisico e geografico di una certa zona;
importante analisi del rapporto tra ambiente naturale e ambiente costruito
 Profilo demografico: caratteristiche strutturali e dinamiche della popolazione che consentono le
rilevazioni di stato e le rilevazioni di movimento
 Profilo occupazionale: a) situazione lavorativa e professionale; b) distribuzione dell’occupazione nei
vari settori di attività economica; c) tasso di disoccupazione
 Profilo dei servizi: socioeducativi; socioassistenziali; ricreativi/culturali
 Profilo psicosociale: dinamiche affettive della popolazione e analisi dei legami sociali
 Profilo istituzionale: cogliere valori e modelli di comportamento proposti dalle varie istituzioni ai
propri membri per capire possibili resistenze al cambiamento
 Profilo antropologico/culturale: valori su cui si basa la comunità, atteggiamenti verso la realtà,
scelte effettuate dai gruppi in situazioni di crisi o conflitti
 Profilo del futuro: Modo in cui una comunità si immagina il futuro, in relazione a tutti gli altri profili
PROSPETTIVA PSICOLOGICA
Azione presume che vi sia un individuo in grado di:
1)
2)
3)
4)
Rappresentarsi e prefigurarsi il futuro
Scegliere
Decidere in modo consapevole
Proporsi degli obiettivi e tradurli in progetti che cerca di attuare controllando i mezzi, le risorse
e lo svolgimento dell’attività
T. Parsons (1937) => azione descrivibile da:
1)
2)
3)
4)
Un agente attivo rispetto a qualcosa
Un fine come una situazione futura che orienta l’agire
Una situazione di partenza diversa
Un insieme di relazioni che collegano l’agente, il fine e la situazione
Azione = processo sociocognitivo che collega in modo attivo la dimensione individuale (soggettiva) e quella
oggettiva
Azione = è attivata da fattori psicologici ed è da questi parzialmente controllata, ma per realizzarsi ha
bisogno che intervengano dei fattori oggettivi, controllabili solo parzialmente dal soggetto => Abilità e
Risorse
Ottica che esclude ogni forma di meccanicismo e determinismo. In primo piano è portato il problema
dell’intenzionalità
AZIONE COME PROCESSO SOCIO-COGNITIVO
 Processo che collega attivamente dimensione soggettiva e oggettiva dell’universo umano;
 Avviata e controllata in modo parziale da fattori psicologici. MA: per realizzarsi necessita di fattori
oggettivi parzialmente controllabili dai soggetti: abilità e risorse;
 Non si realizza mai indipendentemente da fattori non cognitivi di cui necessita;
 Ha sempre un effetto sull’esterno del soggetto => produrre o impedire un cambiamento;
 Può comporsi di diverse sotto-azioni integrate in un sistema => feedback tra attività mentale e
attività pratica
Esclusa ogni forma di meccanicismo e determinismo. In primo piano problema dell’intenzionalità
Intenzionalità => Nozione che acquisisce una consistenza psicologica e sociale quando vista in connessione
con il processo gerarchico-sequenziale dell’azione (Comporta flussi di informazione di tipo top-down e
bottom-up)
Implica rappresentazioni, valutazioni, decisioni, collegamenti mezzi-scopi che si realizzano attraverso
successive fasi di pianificazione, esecuzione, controllo dell’esecuzione
Azione dotata di senso può:
1) essere costituita da diverse sotto-azioni integrate all’interno di un sistema
2) far ridimensionare gli obiettivi e cambiare i controlli
Caratteristiche di feed-back che connettono attività mentale e attività pratica
PERCORSO RETROATTIVO DELL’AZIONE
Miller, Galanter e Pribram (1960): analisi dei processi psicologici coinvolti nella pianificazione ed esecuzione
dell’azione
MODELLO TOTE (Test Operate Test Exit)
ma: più vicino all’esperienza comune è lo schema del Livello di Aspirazione (Lewin et al., 1944)
SCHEMA del LIVELLO di ASPIRAZIONE (Lewin 1944)
Berlino, anni ’20-’30 (Tamara Dembo) per studiare come nei bambini si organizzano le relazioni tra:
desideri, richieste dell’ambiente, percezione proprie capacità. Successivamente, diventa uno schema
standardizzato con il quale si studia la dinamica che si produce tra:
a) Aspirazioni del soggetto
b)
Reali capacità di prestazioni del soggetto
c)
Reali capacità di percezione del soggetto
d)
Reali capacità di valutazione dei risultati dell’azione del soggetto.
Consente quindi di vedere gli aggiustamenti delle aspirazioni delle attività successive e permette di valutare
come si forma un’aspirazione rispetto all’esigenza di ottimizzare i risultati, alle capacità che un individuo ha
e all’impatto, sia cognitivo sia affettivo, connesso alle operazioni di valutazione del compito e di se stessi
Diventa schema standardizzato per analizzare dinamica che si crea tra: Aspirazioni del soggetto, Sue
effettive capacità di prestazione, Percezione e valutazione dei risultati
Da qui vedere “aggiustamenti” aspirazioni delle attività successive
Consente di:
 Verificare livello di realtà cui un soggetto si colloca
 Verificare possibilità che un individuo ha di proiettarsi su una realtà possibile producibile con
l’azione
 Cogliere aspetti delle dinamiche tra volontà soggettiva e riferimenti oggettivi
INTENZIONE
Momento in cui prende consistenza l’idea di una qualsiasi forma di impegno nell’azione insieme al
proposito di metterla in atto
Operazioni di scelta e stabilizzazione dell’intenzione sono regolate da:
1)
2)
3)
4)
Valenza della meta;
Distanza psicologica della meta;
Valutazione del sé;
Valutazione delle risorse disponibili
Ha un effetto guida nel mantenere l’azione: obiettivo perdura al di là delle vicissitudini delle prove, suo
senso psicologico soggettivo va oltre gli effetti di retroazione dei risultati.
Relazione tra soggetto e oggetto determinata dalla volontà: vero e proprio processo di regolazione e
controllo dell’azione
Da un punto di vista psicologico:
Razionalità si esprime come un fattore di costruttività e creatività che permette di intervenire sul modo in
cui sono formulati i problemi e di modificarlo, al fine di trovare delle prospettive di soluzioni semplificate
Anche se il controllo dell’azione è affidato in gran parte a meccanismi automatizzati, la determinazione di
una precisa e specifica intenzione e del suo concreto tradursi in attività all’interno di una pianificazione
mezzi-fini richiede, in ogni caso, una presa di coscienza di ciò che si fa. Piaget: ha mostrato come dall’azione
si arrivi ad una rappresentazione cosciente di obiettivi, mezzi, e regole attraverso un processo di
concettualizzazione che trasforma in operazioni formali astratte quelle che prima erano operazioni
esclusivamente concrete. Questo porta il soggetto, necessariamente, a riflettere sul proprio funzionamento
cognitivo e a formarsene una conoscenza. Si parla cioè di metacognizione, ossia di conoscenza della propria
conoscenza.
KUHL (1985)
Persona che agisce sollecitata da molte istanze motivazionali, quindi deve esistere un processo in grado di
tutelare l’alternativa di azione scelta e controllare il corso dell’azione finché la meta non è raggiunta
 Mediatore volizionale
NELL’AZIONE DISTINGUIBILI DUE MOMENTI:
a) Tendenza motivazionale (rimanda alla scelta di un certo corso di azioni)
b) Intenzione come espressione diretta dell’atto di volontà
Quando un’intenzione specifica è attivata entrano in gioco 6 strategie:
1)
2)
3)
4)
5)
6)
Attenzione selettiva (favorisce acquisizione di informazioni che sostengono l’intenzione)
Controllo dell’encoding (facilita codificazione degli stimoli legati all’intenzione)
Controllo emotivo (frenati stati emotivi che potrebbero diminuire efficacia della volizione)
Controllo motivazionale (evidenzia importanza degli incentivi che sostengono l’intenzione)
Controllo ambientale (protegge da interferenze)
Riduzione dell’elaborazione di informazioni
RICERCA AZIONE
“Non c’è nulla di più pratico di una buona teoria” (Lewin, 1951)
Introdurre nella sperimentazione psicosociale delle esperienze organizzate nell’ambito della vita reale.
Kurt Lewin (1890-1947) è stato un autore di straordinaria importanza per lo sviluppo della Psicologia
sociale.
È stato Lewin ad introdurre per la prima volta termini come “dinamiche di gruppo” e “ricerca partecipata”
In Europa, negli stessi anni in cui in America nasce il comportamentismo (massima espressione dell’ottica
meccanicistica), si sviluppa la Psicologia della Gestalt (inizi del XX sec).
Gli psicologi della Gestalt si oppongono alla psicologia di Wundt, secondo cui processi mentali elementari,
combinati insieme, originano processi mentali più complessi “Ogni insieme è qualcosa di più della semplice
somma delle sue parti”
Lewin, con la sua formazione gestaltista orientata ad analizzare i fenomeni nella loro totalità, focalizza il
suo interesse per i problemi concreti della vita umana e fonda un metodo per la comprensione scientifica
dei fatti sociali.
Per prevedere il comportamento umano è necessario comprendere come l’interdipendenza tra fattori
soggettivi e fattori sociali/ambientali => produca l’azione concreta in un determinato tempo e in un
determinato luogo
LA TEORIA DI CAMPO
La teoria di campo mira a spiegare il comportamento in relazione alla situazione in cui il comportamento
stesso si verifica.
Bisogna quindi definire il carattere della situazione in un momento dato, definendo questa come “campo
psicologico” o spazio vitale.
Di questo spazio vitale fanno parte tutti gli eventi suscettibili di influire su una determinata persona, siano
essi passati, presenti o futuri.
Il campo è definito come una totalità di fatti coesistenti nella loro interdipendenza
Esistono tre tipologie di fatti:
1. SPAZIO DI VITA: dato dalla persona e dalla rappresentazione psicologica dell’ambiente (dimensione
soggettiva)
2. FATTI SOCIALI E/O AMBIENTALI: processi e fatti che accadono nel mondo fisico e sociale senza
influenzare momentaneamente lo spazio di vita (dimensione oggettiva)
3. ZONA DI FRONTIERA: tra lo spazio di vita ed il mondo esterno (confine tra oggettivo e soggettivo)
Dinamica di gruppo
Come l’individuo e il suo ambiente formano un campo psicologico, così il gruppo e il suo ambiente formano
un campo sociale.
Un gruppo sociale è costituito da un certo numero di individui che interagiscono con regolarità. Questa
regolarità di interazione tiene insieme i partecipanti, dando vita a una distinta unità con una propria
identità sociale.
Per Lewin, il gruppo è un fenomeno, non una somma di fenomeni rappresentati dall’agire e dal pensare dei
suoi membri; è una unità che la psicologia sociale può assumere nel suo studio, così come vi assume altre
unità quali la persona
Nel “gruppo-campo” ogni individuo è fonte di azioni che modificano le altre persone e il gruppo; ma anche
la sua azione viene a sua volta modificata dalle azioni e reazioni altrui (interdipendenza).
La struttura di un gruppo quindi si modifica di continuo per i cambiamenti di soggetti e relazioni (totalità
dinamica)
T-group
Il T-group (training group = gruppo di addestramento) può essere definito una esperienza di
apprendimento per implicazione diretta, attraverso la quale i partecipanti acquisiscono una maggiore
sensibilità ai fenomeni di gruppo e una più accurata percezione di sé e degli altri.
I T-group si fondano sul concetto di riflessività: vivere esperienze e, contestualmente, riflettere sulle stesse.
Essi nacquero nel 1946, quando Lewin, lavorando con un gruppo di apprendimento, scoprì l’importanza del
feedback.
Lewin si accorse che fornire ai membri del gruppo informazioni sui propri atteggiamenti e modalità di
interazione permetteva alle persone di attuare un apprendimento più incisivo perché di tipo emotivo, oltre
che cognitivo.
Originariamente i T-group prevedevano due fasi: una prima in cui si discuteva di qualche problema e una
seconda in cui un osservatore comunicava le sue osservazioni sull’interazione e il processo di gruppo
La prima fase era orientata a un compito e la dinamica di gruppo analizzata nella seconda parte era quella
di un gruppo di discussione.
Progressivamente l’evoluzione dei gruppi di discussione si orientò in senso clinico e il T-group è, come il
gruppo di terapia, un gruppo autocentrato, ma è, diversamente da questo, rivolto a persone sane che
desiderano conoscere meglio se stesse mediante il confronto con gli altri
Introdurre nella sperimentazione psicosociale delle esperienze organizzate nell’ambito della vita reale
 Metodo adatto a produrre cambiamenti nei contesti della vita reale dei gruppi
 Analisi scientifica dei processi che producono il cambiamento
 Risoluzione di problemi legati alla pratica
Ricerca-azione: centralizza l’azione sia come strumento per produrre cambiamenti, sia per produrre
conoscenze
Riflessione sull’azione: in grado di produrre conoscenze non ottenibili con altri mezzi
Ricerca-azione: sempre affidata a qualche forma di partecipazione, più o meno ampia, dei soggetti al cui
ambito è diretta; richiede la loro collaborazione
Problemi pratici come spinta per l’indagine psicologica
Alcuni concetti-chiave
 AZIONE: elemento attivo della costruzione di persona e ambiente. Processo circolare attraverso cui
il soggetto attivo modifica la situazione in senso: sociale e/o materiale, psicologico
 BISOGNO: elemento dinamico di coordinazione tra valenze, forze, tensioni, ecc.
 GRUPPO: totalità dinamica che la psicologia sociale può assumere come unità di analisi
 CAMBIAMENTO: mutamento nella struttura del campo di forze caratterizzanti una data situazione
Resistenza al cambiamento si vince diminuendo le forze che vi si oppongono => coinvolgimento del gruppo
e partecipazione attiva al processo
Processo di cambiamento ben riuscito => 3 tappe:
o
o
o
Rottura
Spostamento
Ricostruzione
FASI DELLA R-A
Pianificazione => esecuzione => ricognizione => pianificazione
IL CICLO DELLA R-A






Identificazione di un problema in un contesto specifico
Raccolta dei dati ritenuti pertinenti (gruppo di ricerca)
Analisi dei dati da parte del gruppo di ricerca
Generazione di ipotesi sulle soluzioni possibili
Messa in atto di azioni che producono cambiamenti
Raccolta dei dati ritenuti pertinenti
RETE SOCIALE
Definizione: Insieme specifico di legami tra un insieme definito di persone (Mitchell, 1969)
Caratteristiche dei legami aiutano a capire e a interpretare il comportamento sociale delle persone
coinvolte in tali legami
RETI SOCIALI: Insieme delle persone che fanno parte della storia, della cultura di una persona, anche se
queste non si incontrano nello stesso momento e nello stesso luogo.
Concetto di rete sociale: modo per definire la realtà di una persona, il significato che essa attribuisce alle
relazioni e al contesto in cui vive e, contemporaneamente, il significato che gli altri, le relazioni e il contesto
attribuiscono alla persona stessa.
Strumento di lettura della realtà psicologico-sociale
DISTINZIONE TRA RETE SOCIALE E RETE PERSONALE
 Rete sociale: insieme dei legami fra tutti i membri di una popolazione
 Rete personale: insieme dei legami che circondano un singolo individuo
Rete a-centrata: non c’è un centro, non gerarchica (internet)
Rete ego-centrata: costruita e descritta collocando al centro una persona dalla quale si diramano le
sue relazioni: rete sociale = insieme delle persone che intrattengono una relazione con ego
Soggetto inserito all’interno di un insieme di relazioni che possono essere specificate a diversi livelli
Soggetto attivo R.S. costituita solo parzialmente da relazioni in cui si trova dalla nascita, per il resto è
costruita e non statica
ELEMENTI DESCRITTIVI di una RETE SOCIALE


Aspetti strutturali: descrivono forma e struttura del reticolo. Traducibili graficamente
Aspetti interazionali: funzionamento del reticolo e legami tra i componenti:
ASPETTI RELAZIONALI della RETE
 PLESSITÀ: area di contenuto della relazione
Uniplex: la rete uniplex è caratterizzata da un tipo di relazione che interessa solo un’area di
contenuto (es. gruppo sportivo);
Multiplex: relazioni che interessano più aree di contenuto.
Con il tempo è possibile che le relazioni diventino da uniplex a multiplex. La cosa inversa si può
avere a causa di un conflitto (da collega e amico a solo collega) oppure un cambio di lavoro (da
collega e amico a solo amico).
 RECIPROCITÀ o simmetria: bidirezionalità della relazione. Le relazioni sono reciproche se il
significato che esse hanno per i soggetti è reciprocamente condiviso. La non reciprocità può essere
oscura ad ego: in questo caso si può parlare di discrepanza tra la rete reale e quella immaginaria
 NEXUS: riferimento alle relazioni relativamente continuative. Riferita a relazioni relativamente
continuative che si traducono in un contatto visivo e tangibile (es. rel. famigliari e professionali
quotidiane ma anche il lattaio di fiducia).
 DENSITÀ: misura del rapporto tra relazioni esistenti e possibili. Misura del rapporto tra relazioni
esistenti e possibili di una rete o di una sua parte. Misura dei rapporti tra le relazioni realmente
esistenti tra un determinato numero di persone e l’insieme delle relazioni possibili se ciascuno
fosse in contatto con gli altri. Concetto interessante per le analisi e gli interventi di comunità.
 RANGE: n° di persone che l’individuo raggiunge con la sua rete. Numero di persone che l’individuo
raggiunge con la sua rete, può limitarsi a coloro con cui si è in contatto diretto o può comprendere
anche le relazioni di secondo o terzo livello ecc. Elemento piuttosto interessante anche per
l’epidemiologia (a parità di condizioni, tanto più è ampio il range di A tanto più alta sarà la
possibilità di diffusione delle malattie infettive), per la pubblicità, per l’influenzamento elettorale.
 CLUSTER: gruppo/i di persone particolarmente ricchi di reciproche connessioni entro una rete.
Gruppo/i di persone particolarmente ricchi di reciproche connessioni entro una rete.
Raggruppamenti ad alta densità. Ego può avere diversi cluster nella propria rete. I soggetti
appartenenti ai cluster possono o meno conoscersi; ego può avere un ruolo e un’identità diversa
entro ogni cluster. Ruolo del contesto sociale specifico, sotto il profilo del controllo che esso può
esercitare e/o dei sostegni che può fornire a livello dei gruppi di auto-aiuto, reti di solidarietà,
servizi o progetti di intervento.
COME DESCRIVERE UNA RETE SOCIALE?
Primaria o naturale: insieme delle persone che fanno parte della famiglia di EGO, i suoi amici, i vicini di casa,
i colleghi di lavoro
Secondarie formali: insieme delle istituzioni e organizzazioni deputate a fornire determinati servizi agli
individui (rapporti di tipo asimmetrico di contenuto professionale)
Secondarie informali: associazioni e organizzazioni di volontariato o privato sociale nate per far fronte a
determinati bisogni della comunità
RETE: APERTURA O COSTRIZIONE?
Posizione che l’individuo occupa nella rete e caratteristiche strutturali e interazionali della rete possono
influenzare la mobilità sociale di un individuo più di quanto non possano fare il suo atteggiamento culturale
o l’adesione a norme e valori del sistema in cui egli è inserito.
Network analysis => rete come realtà puntiforme. Descrizione analitica caratteristiche strutturali delle reti
sociali (es.: densità, ampiezza, direzione, distanza)
FORZA DEL LEGAME => affettiva/funzionale
 Legami forti: fonti del sostegno, coesione, soluzione dei conflitti, integrazione, ma forte coesione
affettiva forte controllo normativo
 Legami deboli: Possono svolgere una funzione di PONTE tra due persone di due reti diverse
RETI E SUPPORTO SOCIALE
Funzioni possibili: Aiuto emotivo, strumentale, informativo o valutativo; per superare o accettare infermità
o disagio psicosociale. Funzioni protettive e preventive. Tipo di rapporto tra rete e stato di salute o malattia
Isolamento sociale e rete esile => rete scarsa
Sistemi di s.s inappropriati => maggiore vulnerabilità allo stress
Ruolo del s.s. nel modificare gli effetti deleteri dello stress sulla salute
MODELLO INTEGRATO DI INTERVENTO PSICOSOCIALE
1. Mappatura della rete
Operatore + utente (+ famiglia e amici) => Colloquio, interviste, osservazione
2. Individuazione dei punti forti e deboli:
 Dimensioni della rete






Tipo, qualità, forza del legame di ciascun membro con ego
Frequenza dei contatti
Reciprocità dei legami
Loro durata
Possibilità di suddivisione della rete in sotto-unità
Possibili conflittualità tra le sotto-unità o tra gli individui
CARATTERISTICHE della RETE e POSSIBILITÀ di SOSTEGNO
Rete coesa e omogenea
Buone possibilità e disponibilità di sostegno, ma spesso dipendente dal controllo normativo che la rete
richiede (l’individuo, per far parte della rete, deve seguire determinate regole)
Rete frammentata
Piccoli gruppi quasi indipendenti fra loro; offre maggiori possibilità di ricevere sostegno, ma meno stabile e
diffuso rispetto alla rete coesa
Rete dispersa
Rete di persone che per lo più non si conoscono, caratterizzata da relazioni sporadiche e di breve durata. Le
possibilità di ricevere sostegno sono minime
VALUTAZIONE TIPO di RETE e di PROBLEMA
Rete coesa e omogenea => forte sostegno sociale, forte controllo normativo
Rete coesa e omogenea: solo grande gruppo indifferenziato che comprende la famiglia nucleare, quella
estesa, gli amici, i colleghi di lavoro e i vicini; tutti si conoscono e non vi sono sottogruppi indipendenti.
Vantaggi: supporto molto forte e disponibile, tempi veicolo di trasmissione dell’informazione. Limiti: forte
controllo normativo anche nei confronti dei soggetti marginali o devianti: il supporto psicologico fornito è
probabilmente vincolato a ai valori e alle norme consolidate, scarso confronto e apertura all’esterno.
Rete frammentata => sostegno sociale meno stabile e diffuso, maggiore flessibilità e mobilità dei membri
Rete frammentata: piccoli sottogruppi relativamente indipendenti (famiglia, colleghi, amici, ecc). In queste
reti le persone si conoscono solo se fanno parte dello stesso sottogruppo e i contatti tra i sottogruppi sono
rari. Vantaggi: maggiore possibilità di rivolgersi all’esterno, flessibilità e mobilità, possibilità di accendere
nuovi rapporti. Limiti: sostegno meno stabile e diffuso rispetto alla rete densa e coesa.
Rete dispersa => relazioni tendenzialmente non durevoli e non reciproche, non ha un ruolo attivo sul piano
psicosociale
Rete dispersa: persone che poco si conoscono e tanto meno si frequentano, relazioni tendenzialmente non
durevoli e non reciproche, nessun ruolo attivo sul piano psicosociale. È la rete che contraddistingue spesso i
malati mentali gravi che, essendo scarsissimamente autonomi, ricevono cure e attenzioni senza la
possibilità di assumere un ruolo attivo e gratificante.
DEFINIZIONE degli OBIETTIVI DELL’INTERVENTO
1) Aumento della sensibilità alle risorse e alla consapevolezza del mondo relazionale;
2) Valorizzazione elementi positivi della rete;
3) Minimizzazione dispersione delle risorse e contributo alla loro mobilitazione e direzionalità
comune;
4) Rinforzo e sostegno dei legami esistenti, favorire la creazione di nuovi;
5) Riorganizzazione sistemi di supporto;
6) Allentamento e/o interruzione dei legami;
7) Favorire assunzione di responsabilità da parte della rete nella risoluzione dei problemi;
8) Costruire o ricostruire la rete sociale;
9) Contattare gli irraggiungibili
10) Peer education
Lavorare con la rete sociale non costituisce necessariamente un’alternativa ad altri interventi ma può
rivelarsi spesso una possibilità complementare
L’attenzione alle reti sociali ha permesso, tra l’altro, di comprendere come i legami di dipendenza e di
controllo nell’ambito di una situazione nella quale una o più persone presentano problemi possono essere
fortemente intrecciati e forti anche se silenti
PSICOLOGIA CLINICA vs. PSICOLOGIA DI COMUNITÁ
Punti di contatto
Atteggiamento di aiuto rivolto al cambiamento
Attenzione specifica al caso particolare
Punti di divergenza
Psicologia di comunità vede l’individuo come un soggetto attivo in costante transazione con il mondo
sociale => sua attività psicobiologica strettamente legata al contesto sociale
Il soggetto cui fa riferimento la p.d.c. è storicamente, culturalmente e socialmente situato; le sue
competenze hanno possibilità di attuarsi anche a seconda delle risorse e dei vincoli posti nel sociale
Focalizzazione dei problemi umani anche nei loro aspetti sociali, oggettivi e non solo nella loro dimensione
personale-soggettiva
Conseguenze
Si può dire che la psicologia di comunità affronta, sia relativamente alla ricerca sia in sede di intervento, i
problemi umani come situazioni globali che spesso coinvolgono più persone e che non si traducono
necessariamente in disturbi psichici, ma piuttosto in costrizioni che possono ostacolare lo sviluppo della
persona e provocare problemi all’intera collettività
Concetto di prevenzione quale aspetto fondante e fondamentale della p.d.c.
Attribuzione al sociale un ruolo eziologico importante
Vocazione non strettamente clinica della p.d.c.: estensione del campo di indagine e di intervento al di là
dell’area della salute mentale e della psicologia della salute, per rivolgersi ai problemi sociali della comunità
in senso lato
Per tradurre operativamente tale prospettiva si fa capo ad alcune linee teorico-metodologiche, che sono
essenzialmente quelle che fanno riferimento a:
 Teoria dello stress
 Studi di carattere epidemiologico sulle componenti sociali dei disturbi psichici
 Studi sui processi di coping nelle situazioni problematiche
TIPI DI PREVENZIONE
•
Prevenzione primaria: volta a impedire l’insorgenza di disturbi nell’uomo sano o di situazioni sociali
che possono turbare l’equilibrio psicologico e la condizione sociale di un individuo
•
Prevenzione secondaria: intervento precoce sui primi sintomi di un disturbo o di una situazione di
disagio
•
Prevenzione terziaria: cura e riabilitazione, affinché il soggetto sviluppi dei comportamenti
funzionali a un positivo reinserimento. Tende a impedire il progredire di una malattia conclamata o
di handicap fisici e psichici
PROMOZIONE DEL BENESSERE
Per giudicare in modo corretto un intervento volto alla promozione del benessere occorre che:
1) Siano rese esplicite le concezioni di benessere e i criteri sulla base dei quali vengono elaborate
2) Siano chiari i modi attraverso i quali si pensa di poter raggiungere la condizione di benessere
3) Siano predisposti gli strumenti di valutazione degli effetti dell’intervento
Sono distinguibili sulla base dei tipi di criteri adottati:
1) Criteri esterni, normativi: benessere come condizione di vita ottimale, come possesso di qualità
desiderabili e in base a dei parametri che si riferiscono al sistema di valori del ricercatore
2) Criteri interni: costituiti dagli standard soggettivi dei destinatari. Il benessere è definito sulla base
dell’esperienza soggettiva dell’individuo.
LE RISORSE PSICOLOGICHE
IL CONTROLLO
Primi studi cognitivi in concomitanza con sviluppi cibernetica (retroazione e autoregolazione)
Locus of control (Rotter, 1954)
Anni ‘60: Sviluppo del cognitivismo (es.: modello TOTE)
Processi metacognitivi (fine anni ‘70: Flavell e Brown): conoscenza, consapevolezza e controllo dei processi
cognitivi
Ambito psicosociale: sfere di controllo (Spittal et al., 2002)
CONTROLLO e BENESSERE PSICOLOGICO
Percezione di controllo: ritenere che ciò che accade nella propria vita è la conseguenza delle proprie azioni.
Possibilità di raggiungere gli obiettivi prefissati
Percezione di controllo: essenziale per l’evoluzione della persona
Rilevante la percezione, più della valutazione oggettiva => sorta di illusione positiva
Effetti particolarmente significativi nell’ambito della salute
LE “OMBRE” del CONTROLLO
Se il contesto spinge l’individuo a esercitare un controllo che non intende mettere in atto possibileconflitto
Influenza cultura:norma di internalità
Se sovrastima della capacità di controllo possibile rischio
Possibilità di esercitare il controllo può generare stressetensione emotiva (aspettative eccessive, sia da
parte del soggetto, sia da parte dell’esterno)
L’AUTOEFFICACIA (self-efficacy)
Albert Bandura (1977; 1995; 2000)
Valutazione proprie competenze. Processo condizionato da aspetti cognitivi e sociali
Connessa all’autostima (che però esprime un giudizio di valore personale)
Autoefficacia: giudizio sulle proprie capacità e competenze
Autostima: giudizio sul proprio valore
PROCESSI CHE INFLUENZANO SENSO di AUTOEFFICACIA
1. Successi (circolarità tra self-efficacy e successi)
2. Esperienze vicarie: confronto con altri significativi (ex: terapia comunitaria, gruppi di auto-aiuto)
3. Persuasione verbale: fonte gode di credito (es.: educatori, potere dell’esperto)
4. Reazioni fisiche ed emotive: indicatori del livello di efficacia
Convinzioni di efficacia influenzano i processi cognitivi, motivazionali ed emotivi
In particolare, secondo Bandura:
•
Attribuzione causale
•
Aspettative circa il risultato dell’azione
Se bassa self-efficacy: deficit motivazionale, deficit cognitivo (non nesso tra azioni e risultato), deficit
emozionale (paura, depressione, …) Impotenza appresa (Seligman, 1975)
Aspettative di risultato negative
Aspettative di risultato positive
Alta self-efficacy
Proteste, attivismo sociale,
risentimento
Impegno, aspirazioni, soddisfazione e
gratificazione
Bassa self-efficacy
Rassegnazione
Autosvalutazione
EMPOWERMENT
Nasce negli anni ’50-’60 attraverso studi che analizzavano gruppi e movimenti statunitensi impegnati
nell’azione per i diritti civili e sociali della popolazione di colore e su altri temi (es. Vietnam, problema della
casa, emancipazione della donna, diritti degli afroamericani, ecc).
Il concetto di Empowerment è strettamente legato a quello di potere.
Viene introdotto nella psicologia di comunità da Rappaport negli anni ’80 con l’obiettivo di dare alla
disciplina una prospettiva “forte”.
Si lega all’approccio ecologico della ps. di comunità. Sorta di “concetto ponte”: lega livello
personale/individuale con livello politico
Può essere compreso solo considerando l’interazione tra un soggetto e i suoi contesti di vita (cfr.
Francescato, Tomai, Ghirelli, 2002), cioè tenendo conto dell’individuo e delle sue relazioni di
potere/influenza con altri soggetti, con la comunità, con i gruppi ai quali appartiene
EMPOWERMENT = accrescere in POTERE
Processo attraverso il quale le categorie sociali svantaggiate sono aiutate ad assumersi le loro
responsabilità attraverso lo sviluppo di capacità che danno accesso a opportunità prima impensate e che
consentono il godimento dei risultati associati al sentimento di dominio sugli eventi e di appropriazione
delle situazioni
Concentra l’attenzione sulle qualità positive e sulle risorse delle persone e non su quanto vi è in loro di
sbagliato o di mancante
Kriesberg:
Le teorie dell’empowerment sono impegnate a rimuovere
Le condizioni di powerlessness,
Non possono che respingere i modelli di relazione basati sulla dominazione per puntare invece su forme di
collaborazione e partecipazione,
Auspicando una più equa spartizione delle risorse e cercando di accrescere le capacità di partecipazione.
EMPOWERMENT DEFINIZIONE
Rappaport (1981): empowerment come processo di acquisizione del potere, interpretato come crescita
delle possibilità degli individui e dei gruppi di controllare attivamente la propria vita
Rappaport (1987): si riferisce sia al soggetto sia alle modalità per raggiungerlo. Empowerment = processo di
abilità che tutti hanno, ma che va “liberato”.
Professionista: facilitatore nella “liberazione” di queste competenze.
Processo di ampliamento (attraverso miglior uso proprie risorse attuali e potenziali acquisibili) delle
possibilità che il soggetto può praticare e rendere operative (Bruscaglioni, 1994)
Processo attraverso il quale le categorie sociali svantaggiate sono aiutate ad assumersi le proprie
responsabilità attraverso lo sviluppo di capacità che danno accesso a opportunità prima impensate e che
consentono il godimento dei risultati associati al sentimento di dominio sugli eventi e di appropriazione
delle situazioni (Amerio, 2000)
Termine Empowerment descrive sia un processo, sia il risultato stesso del processo
NODI CENTRALI DEL CONCETTO DI EMPOWERMENT
•
Costrutto che va oltre costrutti quali autostima, autoefficacia, locus of control
•
Comportamento intenzionale che parte dal pensiero critico dell’individuo circa la propria
situazione e, attraverso la motivazione al cambiamento e la partecipazione, tenta di raggiungere un
maggior controllo sulla propria vita e un livello di benessere maggiore (individuale e collettivo)
•
Costrutto multidimensionale
IL PROCESSO DI EMPOWERMENT
•
Empowerment mette in causa le competenze attive del soggetto che lo rendono in grado di
esercitare un realistico controllo sugli eventi e sulle situazioni in cui è coinvolto, far fronte ai
cambiamenti e produrre egli stesso delle condizioni di cambiamento.
•
La messa in atto di tali competenze è essenzialmente connessa a 2 ordini di fattori: gli uni
dipendenti dalle risorse oggettivamente disponibili materiali e non (anche scolarità, cultura,
formazione, ambiente sociale, tessuto relazionale, ecc) gli altri di natura psicologica tra cui
possiamo citare la capacità sia di vedere quanto nella situazione sia utilizzabile come risorsa.
EMPOWERMENT: UN CONCETTO MULTILIVELLO (Zimmerman, Rappaport, 1988)
Empowerment psicologico => Variabili interpersonali e individuali
Empowerment organizzativo => Mobilitazione delle risorse sociali, opportunità di partecipazione
Empowerment sociale e di comunità => Variabili sociopolitiche
Dimensione di processo e dimensione di stato
Occuparsi di empowerment psicologico od organizzativo significa
•
Dare voce a chi si sente “impotente”, privo di risorse allargando le possibilità di azioni di tutti
•
Logica sottesa: logica moltiplicativa del potere che fa aumentare le risorse per tutti e non
distributiva (potere come quantità finita da sottrarre ad alcuni per offrirne parti ad altri) (Rosabeth
Moss Kanter, 1977)
EMPOWERMENT PSICOLOGICO
Passare da uno stato di IMPOTENZA APPRESA (learned helplessness) A uno stato di SPERANZA APPRESA
(learned hopefullness)
PROCESSI DI ATTRIBUZIONE CAUSALE:
 Interne/esterne
 Mutabili/immutabili
 Parziali/globali
PROCESSI DI VALUTAZIONE
Autoefficacia (self-efficacy) e auto stima
PROCESSI DI PREFIGURAZIONE DEL FUTURO
EMPOWERMENT
Prodotto => esito di un processo evolutivo di apprendimento dell’hopefulness
Processo => percorso attraverso cui il soggetto disempowered può recuperare l’hopefulness
Processo articolato in 3 fasi o sotto-processi
 Processo di attribuzione => da interno stabile a..
 Processo di valutazione => sviluppo della self-efficacy
 Processi di prefigurazione del futuro => think pink
Processo di Attribuzione
Riferimento a Heider: cause interne e cause esterne; intenzionalità come fattore centrale della causalità a
cui è collegato il concetto di responsabilità:
le persone si sentono più responsabili quando sono in grado di stabilire una relazione tra un’azione e
un’intenzionalità e quando percepiscono di possedere le competenze per sostenerla. La condizione di
helplessness si ha quando le persone ritengono che le cause della loro impotenza sono interne, stabili e
globali: a differenza di quelle esterne, instabili e locali, più facilmente suscettibili di elaborazione e
controllo, esse sono alla base della bassa autostima.
Se sono esterne e stabili si può intervenire sulla difficoltà del compito (riduzione di, o sviluppo abilità) se
sono esterne e instabili si può accettare il ruolo del caso e della fortuna; se sono interne e instabili si può
considerare l’importanza di variare lo sforzo necessario, se sono interne e stabili, quindi riguardano la
competenza, si può mettere in discussione la percezione di stabilità della condizione e favorirne
l’evoluzione onde far intravedere nuove possibilità concrete di sviluppo delle competenze. Tale percezione
può essere largamente influenzata da aspettative e credenze non sempre fondate: ergo superare il ruolo
giocato dai pregiudizi e consentire un esame di realtà che attivi le energie individuali
Processo di Valutazione
Valutazione della propria self-efficacy
(Credenze relative alla capacità individuale di mobilitare le proprie risorse cognitive e azioni al fine di
soddisfare le aspettative situazionali).
È alla base della propria sicurezza circa la possibilità di produrre una certa prestazione utile al
raggiungimento del risultato atteso.
Bassa autostima= prestazione inefficace e v.v. la percezione della propria efficacia è influenzata dalla
personalità e dalla motivazione, oltre che dal compito in sé e dal contesto (risorse e vincoli) in cui esso è
portato avanti. Ellis (1980) è disfunzionale alla credenza di s.e. la chiesta eccessivamente ambiziosa, rivolta
a se stessi, di perfezione assoluta: spesso è correlata a cicli cognitivi ed affettivi che esasperano la spirale
della bassa prestazione e conducono ad una posizione permanente di insoddisfazione.
Prefigurazione del futuro:fa riferimento al modo in cui gli attori sociali immaginano e presentificano il
futuro.Garfield (1984): le immagini mentali degli individui di successo sono positive, costellate da
opportunità, risorse e possibilità, elevate aspettative rispetto a se stessi.
Prefigurazione del futuro
Prefigurazione del futuro: fa riferimento al modo in cui gli attori sociali immaginano e
presentificano il futuro.
Garfield (1984): Le immagini mentali degli individui di successo sono positive, costellate da opportunità,
risorse e possibilità, elevate aspettative rispetto a se stessi.
Segue prefigurazione del futuro: le immagini mentali di chi fallisce sono negative, attraversate da difficoltà,
vicoli e imprevisti infausti, correlate alla riduzione di aspettative e alla creazione di difficoltà immaginate
ancora prima della loro manifestazione.
Se l’e. si centra insieme sull’individuo e sulla comunità, occorre considerare che è all’interno della rete di
relazione si attualizzano i sentimenti di autoefficacia e i processi psicologici connessi, articolandosi
concretamente con il mondo delle risorse oggettivamente intese.
1) Capacità di mettersi in relazione..: riconoscere la natura degli scambi necessari con esso e tra le persone
anche a livello dei linguaggi che legittimano le relazioni interpersonali; 2) riconoscimento delle forze che
hanno vincolato e ridotto le proprie possibilità e che continuano ad agire in modo negativo; 3) quali
informazione, educazione, mezzi finanziari; 4) possibilità di scelta tra risorse attuali e potenziali; 5)
partecipazione alla vita della comunità accrescendo la possibilità di controllare e orientare le risorse a
proprio favore; 6); 7); 8) capacità di identificare le strategie utili non solo al reperimento delle risorse
interne a sé ed esterne (coping) ma anche alla loro messa in campo e alla verifica della loro efficacia.
Il processo ha generalmente inizio con una crisi, reazione che si traduce nel rifiuto di ciò da cui si è stati
schiacciati. Tensione conflittuale creatrice (Kieffer) che determina l’attivazione di energie personali e del
conteso per influenzare tali condizioni. Se l’azione che segue è efficace darà origine a vissuti psicologici
positivi.
Non sempre il processo di e. è privo di conflitti interni e esterni in quanto implica una richiesta di
redistribuzione del potere organizzativo, economico o politico che può generare resistenze e conflitti.
L’empowerment non può essere dato ma è un auto-processo.
EMPOWERMENT CENTRATO sull’INDIVIDUO e la COMUNITÁ








Capacità di mettersi in relazione con il proprio ambiente per produrne una conoscenza critica;
Presa di coscienza dei rapporti tra le forze in gioco nel contesto e i propri vissuti;
Conoscenza dei processi di attivazione, accesso e costruzione delle risorse;
Ampliamento delle possibilità attraverso uso migliore delle risorse attuali e potenziali;
Sentimento di potenza rispetto all’impegno attivo nel procurarsi le risorse;
Capacità di influenzare il sistema sociale di cui si fa parte;
Integrazione tra presa di coscienza e accesso ai processi di presa delle decisioni;
Sicurezza di sé, fiducia nelle proprie possibilità e capacità che derivano dall’identificazione di
strategie utili
Kiefer (1984): empowerment processo tridimensionale. Comprende:
a) Sviluppo di un maggior senso di sé in relazione al mondo
b) Costruzione di una comprensione più critica delle forze politiche e sociali che influenzano il proprio
mondo quotidiano
c) Elaborazione di strategie utili e recupero di risorse che consentono di raggiungere obiettivi
personali e sociopolitici
Empowerment presuppone:
 Padronanza della propria vita
 Fiducia in sé e negli altri
 Consapevolezza della situazione e dei contesti di vita
APPROCCIO DELL’EMPOWERMENT
•
Valorizzazione della capacità locale di soluzione di problemi formando e sostenendo l’iniziativa
locale
•
Sviluppo: diritto conquistabile e costruibile
•
Individui: attori competenti nello sviluppo di strategie tese a migliorare la propria vita
•
Azione: si specifica a seconda delle peculiarità del territorio e procede con un lavoro dal basso
verso l’alto
DIMENSIONE PERSONALE => lavoro sul singolo (bisogni, risorse)
DIMENSIONE INTERPERSONALE => lavoro sul gruppo (reti di relazione)
DIMENSIONE ORGANIZZATIVA (AMBIENTALE MICRO) => cambiamento del contesto di riferimento
IMPATTO sulla SALUTE INDIVIDUALE:
•
Comportamento
•
Contesto in cui comportamento è attuato
Decisioni individuali influenzate e modificate da leggi che regolano comportamenti dei gruppi (es.:
influenzamento, pressione dei pari…)
Meccanismo sempre più complesso man mano che si considerano le organizzazioni e la comunità
PSICOLOGIA della SALUTE = Insieme dei contributi specifici (scientifici, professionali, formativi) della
disciplina psicologica alla promozione e al mantenimento della salute, alla prevenzione e trattamento della
malattia e all’identificazione dei correlati eziologici, diagnostici della salute, della malattia e delle
disfunzioni associate. (…) Ulteriore obiettivo è l’analisi e il miglioramento del sistema di cura della salute e
l’elaborazione delle politiche della salute”
Dati gli oggetti di studio e intervento della psicologia della salute: Centrale conoscere COME il concetto di
salute è costruito socialmente, indagare le sue rappresentazioni soggettive e sociali, per poter intervenire
nei processi di costruzione della salute
NESSUNA TEORIZZAZIONE DA SOLA È ESAUSTIVA
Ogni teoria indica una serie di “variabili chiave” e di processi che possono aiutare a predire un
comportamento e a scegliere il tipo di intervento e di promozione della salute
Modelli valore-aspettativa
Atteggiamenti e credenze degli individui = determinanti fondamentali del comportamento
Individui basano decisioni su 2 tipi di valutazioni:
1) Probabilità che una certa azione porti a un certo risultato (aspettativa);
2) Valutazione del risultato di quell’azione (valore)
Modello delle credenze sulla salute (HBM)
Teoria del comportamento pianificato (TCP)
Modelli processuali del cambiamento dei comportamenti
Modelli integrati
Oltre alle variabili cognitive e processuali considerate anche: variabili motivazionali ed emozionali
Teorie del senso comune
Forme di conoscenza specifica, sapere del senso comune, prodotte nelle interazioni e condivise da gruppi di
soggetti per interpretare e dare significato a oggetti sociali complessi come la salute, la malattia e la cura
Approccio delle rappresentazioni mentali di malattia
Presupposto: le risposte comportamentali delle persone alle minacce per la salute sono mediate da loro
teorie implicite relative alla malattia
Ruolo centrale attribuito alla rappresentazione della malattia include 5 componenti:
1)
2)
3)
4)
5)
IDENTITÀ: nome dato alla malattia e al suo sintomo
CAUSA: ragione per cui una persona è malata
DECORSO TEMPORALE: durata presunta della malattia
EFFETTI: esito della malattia ed eventuali postumi
CURA: azioni che il soggetto può intraprendere per ristabilire o dare sollievo al suo stato
Persone hanno concezioni generali sulle malattie (prototipi) che confrontano con i sintomi di cui
eventualmente soffrono
Interpretazione attribuita alla malattia ha implicazioni per le decisioni relative ai comportamenti da
intraprendere, nonché sulle relazioni con le persone ammalate
Categorie e dimensioni utilizzate nell’organizzazione cognitiva delle informazioni dipendono in gran parte
dalla cultura
L’ambiente non è più considerato lo sfondo passivo dell’attività umana, ma come un potenziale
determinante del comportamento, e l’essere umano non è più visto come un prodotto passivo del suo
ambiente (cfr. Zucchi e Gattiglia Burlando, 1995).
Da questo presupposto si è sviluppato un nuovo ambito di ricerca che non si limita allo studio delle
influenze ambientali sull’individuo bensì dell’interazione tra questi due elementi e delle loro reciproche
influenze mettendone in risalto la complessità.
L’ambiente viene qui inteso non solo come quello fisico, naturale e costruito ma anche l’ambiente sociale
che si ritiene non possa essere mai separabile da quello fisico.
La relazione individuo-ambiente
I primi studi che si sono occupati del legame persona-ambiente hanno rivolto la loro attenzione alle
caratteristiche che rendono un ambiente funzionale o disfunzionale allo scambio.
Osmond (1957)  spazi che scoraggiano l’iterazione umana (definiti sociofughi) spazi che invece
incoraggiano il contatto sociale (definiti sociopeti).
Sommer (1969)  elabora i concetti di territorialità umana di spazio personale
Nello stesso momento in cui Osmond e Sommer conducevano i loro studi, un gruppo di ricercatori,
capeggiati da Ittelson e Proshansky, si interessavano degli effetti sul comportamento dei pazienti delle
caratteristiche strutturali di un ospedale psichiatrico. In particolare Ittelson (1973) si impegnò nello studio
della percezione ambientale in un’ottica transazionale in cui l’interazione tra individuo e luogo veniva
considerata, come suggerisce Amerio, “un rapporto tra due entità ciascuna delle quali nel rapporto stesso
trova la sua definizione” (2000, p.239).
Brunswik
Ha affrontato il problema della realtà percepita in relazione alle caratteristiche ambientali.
Propone il modello a lente del processo percettivo in cui sottolinea l’importanza di prendere in
considerazione le caratteristiche fisico-oggettive dell’ambiente che vengono da lui definite “ambiente
ecologico”
Vede l’esperienza percettiva come un processo di “apprendimento probabilistico” e si distacca dal
concetto di “stimolo” in favore di quello di “informazione” ambientale.
Una delle teorie che meglio si inserisce in questo panorama è quella proposta da Brunswik (1947;1957) con
cui ha affrontato in modo più sistematico il problema della realtà percepita in relazione alle caratteristiche
ambientali. Egli propone il suo modello a lente del processo percettivo in cui sottolinea l’importanza di
prendere in considerazione le caratteristiche fisico-oggettive dell’ambiente che vengono da lui definite
“ambiente ecologico”, intendendo con questo le caratteristiche misurabili del mondo esterno. Il modello a
lente vede l’esperienza percettiva come un processo di “apprendimento probabilistico” basato sul
trattamento delle informazioni che provengono dall’ambiente circostante introducendo un elemento
innovativo, destinato a rimanere come punto fermo della psicologia cognitiva, rappresentato dal distacco
definitivo dal concetto di “stimolo” in favore di quello di “informazione” ambientale. In tale modo Brunswik
riporta non solo in primo piano il ruolo dell’ambiente fisico-oggettivo ma restituisce anche al soggetto un
ruolo attivo all’interno del processo di percezione.
La prospettiva transazionale
Si concentra maggiormente sugli aspetti soggettivi-individuali.
Il termine transazione adottato dalla scuola mira essenzialmente a sottolineare come il percipiente e la
realtà fanno parte di uno stesso processo.
Ciò che viene enfatizzato è l’importanza dei processi di riduzione del conflitto; la percezione è considerata
come dominata dalla tendenza all’accordo, alla somiglianza e alla omogeneità rispetto a ciò che è stato
appreso in passato.
Stokols e Altman (1987)
Recuperano una prospettiva maggiormente psico-sociale.
Abbandonando un concetto di ambiente esclusivamente fisico per quello di ambiente socio-fisico e con una
crescente attenzione verso il concetto di “luogo” invece che di setting comportamentale.
Teoria di campo lewiniana
Nella teoria di campo lewiniana l’ambiente fisico si colloca a pieno titolo accanto a quello sociale come
componente dell’indagine psicologica sottolineando però che le caratteristiche fisiche dell’ambiente
devono essere trattate nell’indagine psicologica come dati non puramente fisico-oggettivi ma bensì
psicologici, ovvero presenti nel campo psicologico esaminato come percepiti-conosciuti.
Studi sull’ambiente
•
Situazioni in cui la manipolazione dell’organizzazione può riguardare la disposizione dell’arredo
•
Altri la creazione di nuovi spazi e di aree più vaste costruite nell’intento di non precludere accesso e
comunicazione
I risultati hanno dimostrato:
•
Incrementi di comportamenti di relazione da parte dei pazienti di strutture sottoposte a restauro,
evidenziando l’importanza che gli ambienti siano costruiti tenendo in considerazione spazi sia per
l’esercizio della privacy sia per l’interazione sociale al fine di promuovere un clima sociale positivo;
•
Promosso una riflessione più generale sulla necessità di valutare psicologicamente i problemi di
tipo progettuale riguardanti il rapporto tra spazi fisici e comportamento.
Le ricerche sono state però spesso al centro di un dibattito critico da un punto di vista teoricometodologico sui limiti derivanti dall’impostazione strettamente fisicalista e comportamentista;
La riflessione ha portato ad una considerazione dello spazio non solo come possibile antecedente dei
comportamenti ambientali, bensì come espressione degli usi che le persone fanno degli ambienti volgendo
l’attenzione sulle complesse funzioni che i comportamenti possono assolvere nel rapporto tra persone e
ambienti.
Nasce così un nuovo filone di ricerche che, oltre ad indagare gli esiti osservabili rispetto ai comportamenti,
si propone anche di chiarire i significati che essi assumono, in particolare in riferimento alle dinamiche che
caratterizzano i rapporti sociali che vengono generalmente classificate sotto tre distinte categorie (Holahan,
1986):
 Lo “spazio personale”,
 “La territorialità”
 La “privacy”.
1) SPAZIO PERSONALE pongono al centro dell’attenzione l’uso che le persone fanno dello spazio
immediatamente circostante al proprio corpo (cfr. Gifford, 1987; Hall, 1963), in questo caso la ricerca
empirica si è concentrata sul rapporto tra spazio personale e ambiente costruito con l’obiettivo di
individuare le disposizioni ottimali degli arredi, ovvero quali disposizioni costituiscono soluzioni ottimali per
agevolare il mantenimento dello spazio personale da una parte e per predisporre la regolazione della
distanza interpersonale tra gli utenti dell’ambiente considerato dall’altra (cfr. Osmond, 1957; Evans e
Howard, 1973; Lott e Sommer, 1967; Gifford, 1982; Kuethe e Weingartner, 1964).
2) TERRITORIALITA’: le ricerche si sono focalizzate sulla sua funzione adattiva (Craik, 1977) e sui modelli di
comportamento spaziale attraverso cui le persone salvaguardano il proprio territorio difendendolo da
intrusioni. In questo caso però molte sono state le critiche (Taylor et al., 1980; Brown e Altman, 1983)
mosse all’interpretazione esclusivamente adattivo-difensiva che risulta piuttosto riduttiva (Stokols, 1978;
Russel e Ward, 1982). In particolare la critica mossa allo studio della territorialità umana è stata quella di
non prendere in considerazione i processi di identificazione psicologica con il luogo attraverso
atteggiamenti di possesso e la disposizione di oggetti nello spazio (Pastalan, 1970). Nonostante le critiche la
ricerca si è comunque rivolta soprattutto verso i segni di demarcazione fisici che vengono usati per la
delimitazione degli spazi territoriali (Newman, 1972) anche se studi sui modi in cui i luoghi entrano a far
parte dell’identità delle persone e dei processi sociali a cui partecipano sono stati avviati (Altman, 1975;
Cooper, 1972; Giuliani, 1987; Bernard e Bonnes, 1985; Gauvain et al., 1983).
I principali nuclei problematici che sono stati affrontati sullo spazio personale e sulla territorialità sono
ormai sintetizzati nel concetto di privacy definita come quel controllo selettivo dell’accesso al sé e al
proprio gruppo che le persone tendono ad esercitare rispetto all’ambiente (Altman, 1975). Su questo tema
gli studi si sono mossi principalmente in ambienti lavorativi e in ambienti istituzionali o pubblici in cui la
privacy assume il significato di garanzia del raggiungimento di uno stato ideale di apertura e chiusura verso
gli altri e di processo la cui dinamica e gli esiti sono correlati alla specificità dei contesti sociali (Becker,
1981; Sunsdrom et al., 1982; Altman e Gauvain, 1981; Altman e Rogoff, 1987)
Un secondo filone di ricerca è invece quello che si è dedicato allo studio dei fattori disturbanti nei vari
contesti ambientali in cui si svolge la vita quotidiana degli individui, sia sugli effetti diretti riscontrabili su
specifici comportamenti, sia sugli effetti cumulati nel tempo a causa di tali fattori disturbanti (stress).
Il concetto di stress diviene centrale per le sue potenzialità nel costituire uno schema di riferimento per
l’analisi di una moltitudine di condizioni non favorevoli in cui si svolgono le interazioni tra le persone e
l’ambiente fisico
L’ambiente urbano, con il rumore, l’inquinamento e la densità, è stato in questo caso assunto come
situazione emblematica per descrivere l’origine dello stress e gli effetti che esso provoca diventando costi
che le persone sostengono nel far fronte ad eventi sfavorevoli dell’ambiente circostante e che hanno
inevitabilmente una ricaduta non solo sulla salute fisica ma anche psicologica. La città diviene così
ambiente in grado di originare l’insorgenza di atteggiamenti di rassegnazione forzata che portano gli
individui a considerare ogni possibile azione come inadeguata al fine di neutralizzare gli aspetti negativi
dell’ambiente in cui vivono. La ricerca empirica ha sviluppato un crescente interesse per gli stressor urbani
come appunto il rumore, l’inquinamento atmosferico e la densità, volgendo una sistematica attenzione
verso le valutazioni soggettive che le persone fanno di essi e verso i comportamenti che sembrano esserne
influenzati come l’aggressività e la tendenza ad evitare gli altri.
Particolarmente interessanti risultano essere gli studi che hanno evidenziato l’esistenza di connessioni tra il
grado di familiarità con l’ambiente urbano e le caratteristiche delle mappe spaziali e tra queste e le variabili
socio-culturali. Uno degli studi più ricordati è quello condotto sulle città di Roma e Milano sulla base delle
procedure di Lynch (Francescato e Mebane, 1976). I risultati emersi evidenziavano come alcune differenze
relative allo spazio rappresentato siano correlate alla diversità del livello socioeconomico di appartenenza
delle persone, infatti, in entrambe le città i soggetti delle classi più basse tendono a tracciare mappe
riproducenti aree urbane più piccole e con meno dettagli
Identità di luogo
(Proshansky, 1978)
“L’identità di luogo è concettualizzata come una parte unica della identità di sé, e in particolare essa
rimanda a quelle dimensioni del Sé che definiscono l’identità personale dell’individuo in relazione
all’ambiente fisico attraverso un complesso sistema di idee, credenze, preferenze, sentimenti, valori e mete
consapevoli e inconsapevoli unite alle tendenze comportamentali e alle abilità rilevanti per tale ambiente”
(1978).
Il primo scritto in cui Proshansky riferisce il termine identità di luogo è l’articolo, comparso nel 1978, “The
city and self-identity”, in cui afferma la necessità di includere tale concetto tra le altre identità specifiche,
ma sarà nel 1983, nello scritto “Place-identity: Physical world socialisation of the self”, che, insieme a Fabian
e Kaminoff, fornirà maggiori dettagli rispetto alla relazione tra identità di luogo, identità di Sé e il sistema di
Sé. Proshansky e collaboratori affermano che l’identità di luogo è collocata all’interno dell’identità di sé e
che quest’ultima è a sua volta considerata una substruttura del sistema del Sé (cfr. Bonnes et al., 2004).
Secondo Proshansky et al. (1983), i processi con cui un individuo definisce se stesso “non si limitano a
tracciare differenziazioni tra sé e gli altri significativi, ma coinvolgono anche le non meno importanti
differenziazioni rispetto agli oggetti e alle cose, nonché agli spazi e luoghi in cui questi ultimi sono collocati”
(p.57) ed aggiungono “il senso soggettivo del sé non è espresso unicamente dalle relazioni con gli altri, ma
anche dalle relazioni con i vari setting fisici entro cui si specifica e si struttura la vita quotidiana” (p.58). A
sostegno di tali affermazioni, gli autori riportano l’impatto che fenomeni quali il degrado in cui si vive, il
frequente cambiamento di residenza, le trasformazioni del paesaggio circostante possono comportare
sull’identità del Sé.
Essi definiscono inoltre l’identità di luogo come le cognizioni, al cui centro è posto il “passato ambientale”
sul mondo fisico nel quale una persona vive(s’intende un set di cognizioni che si riferiscono alle credenze
positive e negative e agli atteggiamenti circa il mondo fisico sperimentato e le cognizioni comprendono
norme sociali, comportamenti, regole ad esso associati).
In questo caso anche i punti di vista degli altri sull’ambiente fisico possono modellare l’identità di luogo.
Feldman (1990)
Introduce l’espressione di “identità di insediamento” (settlement identity) definita come “costellazione di
idee, sentimenti, credenze, preferenze, valori, mete, consapevoli e inconsapevoli, tendenze
comportamentali e abilità che legano l’identità di una persona a un tipo di insediamento” .
Tale definizione riprende quella utilizzata da Proshansky di identità di luogo ma si centra sulla questione
dell’insediamento rivolgendosi in particolare alle conseguenze che il trasferimento può avere
sull’identificazione.
Lalli (1992)
Introduce il concetto di “identità urbana” che segue la concezione di identità di luogo ma è più specifica.
L’esperienza vissuta in un determinato quartiere pone i
Soggetti in relazione con un insieme di simboli che tendono ad entrare a far parte dell’identità di questi.
Sono stati diversi gli studi empirici che hanno affrontato il ruolo che un dato quartiere o abitazione può
giocare nella costruzione identitaria, soprattutto là dove lo spazio urbano è connotato da diseguaglianze in
termini di classe sociale, subcultura o inclusione.
Attaccamento al luogo
Oltre l’interesse verso l’identità di luogo gli studi si sono rivolti anche ai legami affettivi tra persone e luoghi
arrivando ad un utilizzo condiviso del termine “attaccamento” come termine tecnico (Altman, Low, 1992;
Giuliani, Feldman, 1993).
Il concetto di “senso di attaccamento al luogo” può aiutare a comprendere quel legame affettivo che le
persone stabiliscono con specifiche aree in
Cui preferiscono risiedere e dove si sentono al sicuro.
Il senso di comunità

Sarason (1974): il valore su cui si fonda la psicologia di comunità è lo sviluppo e il mantenimento del
senso di comunità

Levine & Perkins (1987): la promozione del senso di comunità come strumento di empowerment

Quattro dimensioni della comunità
Definizioni
◦
Localistico-territoriale
◦
Relazionale
◦
Partecipativa
◦
Soggettiva
◦
Comunità come luogo e come strumento dell’intervento
Sarason (1974)




Percezione di similarità con gli altri
Interdipendenza con gli altri
Disponibilità a mantenere l’interdipendenza (reciproca soddisfazione di bisogni)
Sensazione di essere parte di una struttura pienamente stabile e affidabile
McMillan (1976)
 Sentimento di appartenenza e di mutua importanza
 Fiducia nella reciproca soddisfazione dei bisogni
 Impegno a collaborare a tal fine
McMillan & Chavis (1986)




Appartenenza
Influenza
Integrazione e soddisfazione dei bisogni
Connessione emotiva
Principali rischi del costrutto

Definire “senso di comunità” il legame con qualsiasi collettività

Dimenticare la natura dialettica e conflittuale delle comunità

Perdere lo specificità del costrutto rispetto a costrutti simili (attaccamento al luogo, identità di
luogo…)
Strumenti di rilevazione

Glynn (1981): Psychological sense of community scale (120 item sulla rappresentazione della qualità
della relazione con la propria comunità)

Buckner (1988): Neighborhood cohesion instrument (18 item che rilevano il senso di comunità, il
grado di attrazione esercitato dalla comunità e la qualità dell’interazione entro la comunità)

Perkins et al. (1990): Sense of community index (12 item dicotomici che descrivono la comunità)

Davidson & Cotter (1986): Sense of community scale (17 item, adatta soprattutto agli ambienti
urbani)

Scala italiana del senso di comunità (Prezza et al., 2000)
Risultati di ricerca
Le comunità caratterizzate da un elevato senso di comunità promuovono la partecipazione, il che esercita
risultati anche a livello politico, in concreto ma anche in astratto (modifica dell’idea stessa di democrazia)
(Davidson & Cotter, 1989; Bobbio, 1999)
Stretto parallelismo fra il senso di comunità e la qualità della vita (Davidson & Cotter, 1991; Keyes, 1998)
Senso di comunità

Appartenenza

Influenza

Integrazione e soddisfazione bisogni

Connessione emotiva
Qualità della vita

Integrazione sociale

Accettazione sociale

Contributo sociale

Attualizzazione sociale

Coerenza sociale
Relazione negativa fra senso di comunità paura della criminalità (Santinello, Gonzi, & Scacchi, 1998)
Principali predittori del senso di comunità:
◦
Anni di residenza (Chavis et al., 1986)
◦
Ciclo di vita (Zani, Cicognani, & Albanesi, 2001)
◦
Uso della comunità (Pretty et al., 1996)
◦
Presenza di figli in età scolare (ma direzione mediata dallo status della comunità) (Hedges &
Kelly, 1992)
◦
Bisogno di affiliazione (Davidson & Cotter, 1991)
◦
Ampiezza della comunità (Prezza & Costntini, 1998)
◦
Densità abitativa della comunità (Sagy, Stern, & Krakover, 1996)