Lett.russa pp. 66-100 - Dipartimento di Lingue, Letterature e Culture
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Lett.russa pp. 66-100 - Dipartimento di Lingue, Letterature e Culture
66 - MrcHErE CoLùccr e P.ÌccÀR o Prcdro - Ìz /,netututu delb Rus' dioitu è inoasd che anche la si può datare (nelÌa redazione primitiva, che lo stesso Jalobson ha tentato di dcostruire linguisticamente) a non molto dopo gJi eventi di cui, nel 118J, fu protagonista lgor' Svjatoslavié. Gli argomenti ptesentati daJakobson, sulla base di una massa imponente di dati, sono stati non solo larga.rnente accettati in Occidmte, ma anche molto apprezzati nell'Unione Sovietica, dove gli scettici locaÌi, d'alta parte, sono stati riprovati a più riprese dalla scienza ufficiale. A qualche scettico sovietico, come A. A. Zinifl (19201980) si è impedito di pubblicare buona parte delle proprie ricercLe. In verità sembra difficile, allo stato atruale delle nostre conoscenze, avallare l'ipotesi del falso se$ecente sco. Più Io Slooo d.i lgol'viene studiato e capito, più fletta si fa f impressione che nessuno, nel XVIII secolo, awebbe potuto «fabbricare» niente di simile. Resta però da vedersi se, optando per I'autenticità, sia dawero necessado datare il testo, come noi lo conosciamo, alla fine del XII secolo. Altre ipotesi rimangono apete, tra cui quella non certo in conffasto con quanto suggeritoci dal complesso della civiltà scrittoria- russa antica di un testo dfatto, adattato o compilato, in epoca da precisarsi, da scribi-redattori -(pur sempre dell'epoca «antica») sulla base di materiali testuali più vetusti. Se questa ipotesi risultasse valida, non sarebbe tanto giustifcato, tra l'altro, cercare un possibile «autore» fra i contemporanei dr lgor' Svlatoslàviè. I nomi, che a questo riguardo sono stati proposti (da un certo scriba Timoféi al cantore Mitu§a e al capo militarc Raguil Dobrjtriè), potrebbero tutt'al più indicarci qualche tracci^ pet ipotizz re fonti o modelli dell'unità testuale giunta a noi. Le ricerche di un plausibile «falsario» hanno contibuito a gettare luce sull'ambiente in cui il codice de11o Slooo di lgor' era stato conservato in precedelz^. lattenzione degli studiosi si è così soffemata sull'archimandrita Ioll (al secolo Byk6vskij) del monastero Spaso-JaroslàvsLij. Si pensava che fosse stato lui a vendere a MÉsin' Èi5kin l'intera collezione di manoscritu di cur faceva pane il codice 323, poi bruciato a Mosca nel 1812 (mentre recenti studi indicano, come autore dell'affare, Arsénij Vere§òàgin, arcivescovo di Rost6v e Jaroslàvl'). Ilarchiman&ita Ioil era un religioso piuttosto colto. La sua buona dimestichezza cofl la cùltura latina e polacca doveva averlo pro!.visto di ufl certo senso critico. Non risulta che il co&ce l2J lo avesse colpito in maniera particolare: a quanto sembra, perché si traftava di una nor male silloge, messa insieme con tecniche e criteri consueu. In quella silloge erano compresi, oltre allo S/ouo d.i lgor', Ln Chronégref tlgtardante l'epoca dei Torbidi, un Vremennik, ossia rr.a composizione cronachistica sui «prlncipi» e la <<terra russar, il Racconto d.el regao d.Iadia, l^ Storia del tapiefltisimo Aktu, nonchéla versione slava dd. Digenls AÈitas (Daryexìeoo dejanh): tutti testi di interesse più secolare che ecclesiastico. Chi aveva raccolto quei testi, rilegando insieme codici recenti (come nel caso dd. Cbtoruignf nti Torbidi, ceno non anteriore ai primi decenni del XVII se' colo) e codici più antici (dalle testimonianze che abbiamo si può dedure che il co' dice dello Slooo di lgor' risalisse al XV-X\rI secolo) aveva presumibilmente seguito cdteri tematici. Benché «imputati» come l'archimandrita Ioll o l'arcivescovo Vere§èàgin debe non ostante questi bano essere assolti se non altto, per insufÉcienza di prove manoscritta, indizi di normalità -in merito alle condizioni esteme della trasmissione gli «accusatori» potevano e possono pur sempre insistere sulla mancanza di una do- Pa e PiM - C'nihJh Seddb - 67 cumentazione testuale dhetta, A questo inconveniente fondamentale le ricerche erudrte hanno poruro, 6nora. rimediare solo in pane. Il primo indizio che il materiale testuale trasmesso dallo Slooo di lgot'può effettivamente risalire all'età russa antica fu fomito da K. F. Kalajdoviè, il quale scoprì nell'ultimo foglio & un Apostol (taccolta di Atti degli Apostoli ed Epistole) del BO7 un'annotazione in cui si dice «In quell'anno vi fu lotta nella terra russa fra Michail e Jurij pet il potere principesco di N6vgorod. Sotto quei prlncipi si/eea sextina e caescita d.i cohtese; depeiua la rostraita; nelle cottese dzi pincipi le età degli aomi,i st abbrcria arlo».Ir parole in corsivo coincidoflo con un passo dd)o Slouo d.i lgo/ \n cui si legge: «Allora, sotto Olég Figlio-di-malà-gloria, si /ece senita e cresèita di contese. Depeùta la doizia del nipote di Daàd-Bog; xelle contese dei ptincipi le età degli nmini si dbbrniaoaro». Non c'è dubbio che si tratta di materiale tesruale comune. Si può pmsare che lo scriba dellTposrol del ll07 <<citasse» Io J/ouo /i lgar'. Se così fosse, lo Slooo di lgor' sarebbe senz'altro da datarsi ad un periodo anteriore al )OV secolo. Chi ci gaÌantisce, petò, che la citazione fosse presa proprio daJlo Slooo di lgo/ lgià esistmte come individualità testuale corrispondente a quella che noi conosciamo) e non da un'alra fonte testuale comune, a cui lo stesso .t/oro /i Igor' potrebbe avere attinto in un diverso peaiodo di tempo? I-indizio è comunque prezioso perché, se non altro, conferma l'uso, nell'antica Rus', di formule retoriche di questo tipo. Più sostanziale è stato, a favore dei <<difensoi» dello Slooo di lgor', il contributo della scoperta & u.n'altra opera russa antica, la Zaddzièina (Epopea d'oltre Don), composta per celebrare la vittoda del principe Dmitrij lvAnovié Donsk6j di Mosca sull'orda tartara di Mamàj, a Kulikovo, nel 1180 (o cap. IIl, § 4), su cui non sussistono dubbi di natura documentaria. Nella Zaù5n§àna,la presenza di materiale testuale in comune con lo SIoùo di Igor' è lelamente cospicua. Si ha l'impressione che, per mettere insieme quest'elogio tardo trecentesco del principe di Mosca vincitore dei Tartari, si sia attinto a piene mani al vecchio «Discorso» sull'impresa (certo diversa, se non altro perché risoltasi in una sconftta) di cui il principe lgor Svjatosl6viè di N6vgorod Séversk era stato protagonista duecento anni prima. Le prospettive della tradizione sernbrerebbero dunque chiarirsllo Slooo di lgor' esisteva prima della Zaù5niàxa, ed era opera & tale prestigio da potere essere non solo imitata, ma aÀdirittura ripresa testualmente ilì rrlr contesto [uovo e diverso, Proprio contro questa conclusione, a prLna vista plausibile, si è però ditetta la più recente offensiva scettica. Louis Léger e poi, con più ampia argomentazione, André Mazon hanno cercato di dimostrare che ron la Zaddnièixa ù r:f,à allo Slouo di Igor', ma viceversa. Se ne1le varie componenti testuali dell'opera celebrativa della battaglia di Kulikovo è riconoscibile il tipico lavorlo degli soittori-scribi dell'antica Rus',lo Slooo d.i lgor' tradirebbe invece, secondo i nuovi scettici, il gusto modemo di un fabbricatore & pasùhes. Ai sosterutoi dell'autenticità, secondo cui il compositore de1la Zaà,n§àna storpierebbe un testo «primario> per adattarlo ad una imitazione compilativa chiararnente «secondaia», gli scenici rispondono che contrario è vero perché maldestro è il falso modemo, mentrc genuin,rmente me&evale è proptio lo strle della Zadtlniàna. È ancora &mc e prendere posizione in una polemica i cui stessi termini base potranno richiedere ulteriori verifche. I- ipotesi chelo Slooo di lgo/ sia una iliazione 68 -MTCHELE Col-ucq e Rrcc p:DoPt.ct lo -14leuetutu/a delbR6'dioisa e in,asa testuale della Zaùjniàina sembra comunque non reggerc ad un accurato scrutinio filologico-linguistico. I-impressione che la Zadéx§òina contenga fraintendimenri di un materiale testuale trasmesso più genirinamente dallo Slotto di lgor' è bm fondata. Ciò non signifca, tuttavia, che in questo caso come in quello della «citazione)t contenuta nellTpcisrol del 1107 si debba seru'altro esdudere la possibilità che le due opere dipendano in qualche misum da fonti testuali comuni. Sembrerebbe dunque che non ostante il netto prevalere degli argomenti a fa, vore della genuina medierralitàL dello Slooo di lgor' la bisecolare polemica, di cui qui abbiamo sin seguito i momenti essenziali, noIr abbia daro dsultati veramente corÌclusivi. A dire il vero,le incertezze che permangono a proposito & questo testo «eccezionale» rispecchiano la nostra tùttora immatura conoscenza dell'rntem tradizione scrittoria del Medio Evo slavo ortodosso. Ai 6ni di rma valutazione testuaÌe dello.!/oao /-r Igor', non è tecnicamente esatto dire che non disponiamo di testimoni. Prescindendo dal «codice fantasma» distrutto dall'incendio del 1812, possiamo pur sempre condurre un esame di varianti collazionando vari passi della prima edizione (Pixcepsl del1800 (giùtaci in due versioni tipografche, che riflettono ripensamenti degli editori) con trascnzioni parziali dal codice 321, ttasmesseci dalle carte pesonali degli editori (in particolare Malinovskii e Kararnzin). Conosciamo inoltre una copia integrale del testo, esemplata dal MÉsinPɧkin in collaborazione coo L N. B6ltin e I. P Elàgin ad uso personale dell'impe.atrice Caterina II. A questi testimoni, che forniscono indicazioni sulla storia editoriale di varie lezioni prima della pubblicazione a stampa, altri se ne aggiungono di norÌ mìnore pregio in quanto risalenti al breve periodo in cui il codice di MÉsinPi§kin fu uua concreta realtà. È questo il caso degli appunti presi dalf insigne spe cialista ceco Josef Dobrovski (1751-1829), celebrato ancor oggi come massimo pioniere e ispiratore della slavistica modema. Il Dobrovski incontr6 il conte MÉsinÈl§kin a Pieroburgo, vide il codice e 1o esaminò, sia pur brevemente, con sollecito interesse, evidenternente senza minimamente dubitare della sua autenticità. Nessun dubbio, d'altra parte, era sorto in chi già aveva condotto esami più accurati, come il noto paleografo A. L Ermolàev che, ad esempio, comunicava in quegli anni ad un altro padre fondatore della slavistica moderna, A. Ch. Vosr6kov (1781-1864) di avere studiato il codice dello Slow di lgor' e dt avere appurato che era scritto in «onciale del XV secolo". Da un punto di vista tecnico-formale, si può dunque dire che la (sia pur recmtissima) documentazione testuale di cui disponiamo ci presmta un testo dello .!/oao /i lgoz', evidentemente tràdito data la presenza di chiari errori & copista, attestato da copie complete o parziali risalenti agli ultimi anni del XVIII secolo e tutte dconducibili ad un protografo perduto (il codice l2l di Mnsin-Pɧkin). I dubbi sul codice perduto, che rigumdano la stoia ertema della tradizione, non do!'rebbero condizionare a priori il nostro esarne del testo in sé. È fuori discussione che il codtce 323 sia effettivammte esistito. Non solo vmiva mostrato da MÉsin-Pɧkin ai dotti del suo tempo, ma sappiamo anche che altre persone se ne erano già servite, tra il Sei e il Settecmro, presso il monastero Spaso,Jaroslar,skij, per leggervi il C,6 rondgtaf contertto na fogli iniziali: fra gli altri, VasiJij Kra' §eninnikov, autore settecentesco di ùa Opisanie zenfleuodfiago kruga (Descrizione - - - Pa e Pnna - Apbb Seco"Ao - 69 dell'orbe teffacqueo), nonché urr persoflaggio religioso di grande prestigio come Dmitrij TiptaÌo, arcivescovo di Rost6v (16J1-1709). tr fatto che, prima della vendita a MÉsin-PÉskin, nessun utente del codice miscd, laneo vi avesse notato la presenza di un testo insolito come lo.t/oza /i lgof, può ceno s€.nbrare strano a noi modemi. Si trattava però non già di antiquari e iuntàmeno di *storici della lereratura», bensì di scrittori-compilatori. Quanto più ci si addentra nella trama vera o imrnaginata di questo <<giallo» 6lologico, che tanto ha appassionato generazioni di cultori della letteratu." ir."u, troto più ci si convince della necessità di concenrare Ia nostra attmzione sulla documen, tazione di cui effettivamente disponiarno, cercando di interpretare il testo pos, - e sibilrnente dataÌlo con criteri di analisi interna. - di lgor' per la prima volta non solo resta colpito da.l vigore del Chi legge lo Slooo linguaggio e dalla caleidoscopica varietà delle scene, ma anche fa faticu u .ogli... un vero 6.lo conduttore. È un testo che può piacere subito, ma cLe esige rciterate letture da pane di chi voglia capirlo. Effetto di consumata maestria o nofl piuttosto di accu rDulo discontinuo dei matedali esposirivi? Per chi non si chiuda entro ufla critica impressionistica e genericamente estetizzante, il quesito si fa più concreto a mano a mano che si procede nell analisi del testo. Prosa o poesia? A questo iflterrogativo si sono date molte risposte. C,è chi ha scrrtito nel testo dello .!/ow di lgo/ le cadetze dell'esametro, chi vi ha individuato le formùle metriche più varie sia del repenorio lenerario che di quello foÌclorico, e chi ba diversamente interpretato Ia innegabile, seppure mal deÉnibile, ritmicità della sua ptoaa. Sembra giusto affermare che si tatta si di un testo chiarammte ritmico, ma che la sua aderenza più o meno regolare a schemi noti non impe&sce dr percepire qresso una specie di bivalenza prosodica, quasi che il ritmo della prosa inquadri, inglobandole in una diversa funzione, altre strunure meuiche più poeticamefite marSe ci si attiene ad una segmentazione del testo fondata sulle unità logico-sintattrche, non è difficile mettere in evidenza ampie sequenze isocolico-accentuative. Vi sono passi, però, in cui la lettura isocolica, anche se possibile, non si impone con esdusiva perentorietà. Vien fatto di pensare, allora, che la coesistenza di diversi sch€rìi metrici e prosodici possa risultare dalla sapiente fatica redazionale di un re- dattore-compilatore. Ossewazioni ed ipotesi di questo tipo dovrebbero, in verità, essere confortate da dcerche storico'comparative più ampie di quelle condotte sinora. I- analisi linguistica potrà dare ancora apporti cruciali. Forrne giudicate anomale dai primi interpreti si smo rivelate, in realtà, molto meno oscure giazie al migliorare delle nostre conoscaze di storia della lingua (ed è questo un serio argomento contro la tesi del falso settecente§co: nessun fabbricatore di testi pseudo-antichi avrebbe saputo plagiare forme ignote alla 6lologia di allora). La nostra ricerca di possibili strati testuali al lirdlo della morfologia potrebbe essere confortata da analoghe osservazioni riguardanti le strutture ritmico-sintattiche. Un dato signifcativo merita comunque di essere sin d'ora sottolineato. La strutrura isocolico-accentuativa è ptesente tanto nello Slooo di lgor' qÙlanto nelle sezioni ddle cronache Laurenziana ed lpaziana, dove si narra Ia stessa al.vmtura di lgor' Stjatosliviè. Questa constatazione, pur tenendo conto della garnma retorica molto 70 - MTCHE!! Cor-ucd e Rl cc p.Do Ptcct to.- l2 htelotult delb R6' ditisd e i",asa più dcca che regge il dettato ddlo Slouo di lgol', fomisce un nuovo argomento contro la tesi della anomalia stilistica di un componimento la cui medievalità è stata messa in dubbio. Leggenào lo Slooo di lgor' non si può ptescindere da un confronto continuo tematico, semantico e formale con le due relazioni cronaclristiche. Sarebbe fuor- Laurenziana e Ipaziana espongono i fatti, mentre lo viante affermare che le cronache Slooo di lgor'li interpreta, Ìi commenta e, in un certo senso, li «canta». In rcaltà, anche le relazioni cronachistiche non meno ddlo Sloto d.i lgo/ tendono a for- Non c'è dubbio - diversi, ma ciò mulare una <<morale della favolarr. che i toni sono non signfica che, alla base, non vi sia un comune messaggio didauico. Anche sul piano delÌe strutrure narrative, d'altra parte, vi sono significative convergenze. Ciò risulta più chiaro se si confronta l'esposizione delTo Slouo di lgor' con quella dell'Ipaziana. Il racconto della Laurenziana, infatti, è molto più breve e meno elaborato e dà f impressione di non assumere che l'essenza di più ampli motivi narrativi. In tutti e tre i testi che riportaoo la storia di lgor' Sùatodaviò troviamo comun, que in punti strategici dell'esposizione gli stessi episo& cruciali. Quando lgor' sta per mettesi in marcia, un'eclissi di sole-si presmta ai suoi occhi e a quelli dei suoi comPagni come segno ammodtore: IÀa@za,ìa, \l primo .s],omo del mese di maggio, ricorrenza del santo profeta Germia, mercoledì, aI vespro, vi fu un segno nel sole, e si fece un grmde buio, che gti uomini vede vano le stelle. Era come verde negli occhi, e il sole si fece come luna, dai suoi bordi usciva come carbone ardente. Era trmendo per gli uomini vedere il segno divino... In quello stesso anno Ia gente di Olég decise di andare contro i P6lovcy. Me*re andavano verso il 6ume Donéc, all'ora del vespro, Igor' guaÌdò ,l cielo, il sole che stava 6sso come ua luna, e disse ai suoi boiari e ala sua scona: vedere voi che cosa è questo segno? E Cuardarono e videro tuti, e scossero il capo quei forti uomìni e dissero: Principe, questo non è segno di bene. Ma Igor' disse fratelli e uomini della scona, a nessuro è dato conoscere i segni di Dio. Dio è autore di quesro segno e di tutto iI mondo suo, ma per noi ciò che Dio farà, o per il bene o per il male, resta da vedetsi. Ipaziana: e vide Slooo di Isol: Nlora lsor' guardò il sole splendente e vide che da quel sole tutre Ie sue milizie etano coperte di tenebra. E disse Igor' alla sua scorta: O fratelli, o scorta! Piuttosto essere trucidati che essere presi prigionieril Monriamo, fratelli, sui nostri veloci destrieri, per vedere I'azzuno Donl La sconftta dell'armata di Igor' segna l'ora del pianto, della afflizione e del p€ntimento per rutta la terra nussa che si sente colpita da giusta ira &vina: In enziana, E i nostÌi tùox.o sconntti per l'ira di Dio, tutti i pdncipi furono cauurati, e i bojari e i dignitari e I'intera scofta distrutta, e altri mcora catturati, ed altn feriti. I P6lovcy tomaroDo vittodosi, meotre dei nostri non vi fu neppure chi potesse recare notizia, a causa del nostro peccato. E dove prirna €ra in noi sioia, ora si diffuse il sospiro e pianto. Dice invero haia profeta: «Sisnore, nell'ansoscia ti abbiamo ricordato» (dr Is. 6i, r4). IPzz,brl: Ponò Iddio su di loro la di letizia, il dolore sul fiume Kajallr sua ira, e invece di gioia portò a noi il pianto, € invece Potk Ptuia - Capnolo Se@do - 1 I Sboo di lgot': Sil,^nerono ùn 8iomo, si batterono l'altro, al terzo giomo verso mezzodl i fratelli si separarono, sulle spoode del rapido Kaialf: qui non bastò il virlo di sangue. Qui terminarono il convito i pto& fgli ddla Rud. Diedero da bere ai compad ed essi stessi soccombettero per la terra russa. Si curva l'erba dal dolore e I'albero s'è piegato in pena al suolo. Ormai, ftatelli, è giunta l'ora mesta. caddero le insegre di lgor'. Qui Sullo sfondo generale del disastro, si stagliano singoli episodi di valore. Si &rebbero scene già convenzionalizzate da una compatta tradizione naffativa. Le ctonache vi si soffermano, mentre lo .t/ozo d.i lgor' senhru solo evocarle topicammte alla mente di un pubblico che ben le conosce: Laarcnùaaa:\olodimir Gléboviò vide che la roccaforte era caduta, uscì allora dalla città contro di lom con una piccola scorta, e si scontrò con loro, e combatterono con loro duramenre. Colpirono gravem€nte il principe, e vedendo i cittadini che egli stava soccombendo, si lanciarono fuori delta città e si impegnarono iD combattimento, e nuscirono a mala pena a strappare il principe ferito da tre lance. Ipauana:\lolodlmer Gléboviò era principe a Pe§aslàvl'. Era atdito e fone in banaglia. Uscì dala città e si lanciò contro di lom. Pochi della scona ardirono seguitlo. E si batterono duramente, e molti P6lovcy cedettero. Alora sli altri, vedendo che il lom princiPe si batteva con fona, si larciarono tuo'i dela città. E così sottMssero il loro principe, che era ferito da tre lance. Quell'odmo Volodlmer, ferito e spossato, entrò nella sua città, a tergersi il pmde sudore, per Ia sua patria. Slooo di Isott : Ed ecco che a Rin si u.rla sotto Ie sciabole dei P6lovcy, mentre Volodimer è coperto di ferite pena ed angoscia per il figlio di Gléb! Prima di essere sopraffatto, l'impetuoso Vsévolod, fratdlo e compagno di awentura & Igor' SvjatoslàviÉ, combatte con 6era prodezza. La scena è ritratta da['IpaÀana e ddlo Slooo d.i lgor', mentre, in questo caso, la Laurenziana tace: Ipaziana: Tr:r'ti quei b:.:a.li, andavano combattendo a pie&, e fra di loto Vs&olod mostrò non poco valore... E Igor', preso prigio.iero, vide suo fratello Vsévolod che combatteva duramente, e pregò per la mone del prcpdo spirito, per non veder cadere iI proprio fratello, ma Vsevolod combaneva come se non gli bastassero le arni in mano Sloro di l2or': I tg]I dA dernonio rinserrarono urlando i carnpi, i valorosi Russi fecero barri€ta con i rossi scudi. O Uro imp€tuoso, Vsévolod! Sostieni iI mmbattim«rto e balzi drecciaado nella mischia: tuoni sugli elmi con spade d'acciaio. Dove l'Uro balzava con il suo elno dorato,là rilucendo giacciono le teste pagane dei P6lovcy, gli elmi evari recisi da te con sciabole temprate, o uro imp€tuoso, Vsévolodl Sia nelle relazioni cronachistiche che nello.!/ouo di lgor',la h4a-)tbetzircne de) protagonista dalla cattività pagana è attlibuita ad un diretto intervento divino: laweftzturla: Pochi Eior:lri dopo, il principe Igor' stuggì ai P6lovcy. Non lacia infatti il Sisore il giusto nelle nani dei peccatori. Gli occhi del Signore sono su chi ha timore di lui e 72 - lvtucEELE Coruccr e Rrcc RDo Ptcc{lo - I-a leuetut"ru delk R/s, di,itu e iM le sue orecchie irtendono Ja sua preghiera. Lo inseguirono, ma non Io trovarono: come Saul inseguì Davide, ma Dio lo sa.lvò, così anche lui Dio lo salvò. Ipaziaia: 1 suoi, guarùad giuocavano e facevano baldoria, € credevano che iI principe Lui, invece, raggiunse iI Éume, lo passò a guado, e momò a cavalto. E così stesse dormendo. sgusciarono via, tuggendo. Fu il Signore ad operare quel salvatagsio. Skao di Iso/: Sp»ll:neseiò iI mare a mezzanotre, e vonici s'asitano nelle nebbie. Dio indica al principe lgor' la via, dalla terra cumana alla terta russa, verso I'aurm roflo patemo. E non solo nei singoli episodi, ma anche sul piano complessivo del racconto possiamo notare impoltanti paralleli e coincidenze. Le tre storie della sci4gutata campagna di lgor' si awolgono come in cerchio atrorno ad uno spazio narrativo centrale, dominato dal dramma di tutta la Rus', su cui incombe l'invasione nemica. A capo della difesa comune si pone il Gran Principe Svjatoslàv. Queste constatazioni ci inducono a ddimensionare considetevolmente l'opinione tradizionale, e tuttora dif6rsa, secondo cui lo Slotto di lgot' apparrerrebbe ad un mondo scrittoio fondamentalmente diverso da quello in cui operavano i cronisti della vecchia Rus'. È anche vero, d'altra parte, che di tani «divètsi» rcJlo Slouo di lgor' se ne possono trovare in abbondanza. Come abbiamo già osservato, ciò che più colpisce è Ia perentoria presenza di una voce narrante che, lungi dal nascondersi dietro le consuete formule d'umiltà, si compiace nel turbare il lettorc con riferime[ti oscuri, non solo additando sensi al di là della lettera, ma anche proponendo giuochi fttivi di inusitata scaltrezza. Questo << discorso», esplicitamente otatorio, della voce naffante, si insinua nella <<storia», la interrompe con digressioni e la trasfoma in un qualcosa di visibilmente diveFo dalla stoda naffata anche dai cronisti. Il giuoco fittivo viene subito proposto al lettoe, con una domanda retorica, in apertura del componimento: Non srebbe bene, o fratelli, incominciare sutla campagna di lgor', di fuor' Svjatodaviè questa età e non secondo la fantasia di Boiin? - con Ie vecchie parole delle ardu€ storie -incor aci,xe qaesra stoia secondo i fatti di Non c'è da stupirsi che un simile esordio possa avere confuso non solo gli editori modemi, ma anche i vecchi scribi. Nel testo che qui proponiamo, la lezione questa stoia h^\tatorc essenziale la voce narrante propone di incominciare rma rrolr2, ossia lrlr racconto veritiero, e non un cento fantastico alla maniera di Boj6n (mitico cantore & cui si parla subito dopo). La rulgata critica legge però non 4zeJta storia (sija pooést'\, bensi questo caftto (t"i pèsnò. I- incertezza è dor,'uta al fatto che già gli editori della Prixceps, rr,or, rittscendo a decifrare questo punto del manoscdtto, erano do\,ìrti riconere ad una congettura. Chi si attiene alla lezione vulgata, inoltre, mette tm punto dopo «sulla campagDa di lgo!', & Igor' Svjatoslàvié» e, invece di «incomin, ci3ie q esta ttoia», Ie*ei «Incominci drJlirqule questo ezrro». Questo è solo rm esempio delle molte dif6coltà che il testo presenta ad ogni livello, flologico, retorico, semantico o estetico, Non sembra esagetato osservare, a questo proposito, che il giorno in cui si potrà scrivere sullo J/oeo di lgor' nn capitoÌo conciso, in termini di Pdtte Pina - Capnolo Sechdo 73 sicurczza e non di ipotesi, l'intera storia della letteratura russa antica assurnerà contomi diversi. I1 riferimento alla «fantasia di Boj6n» lascia il lettore inceno. Subito, gli viene però in aiuto (per così &re), la voce del narratore,orchestratore-esegeta: Perché Boian, il vate, se voleva comporre un canto per qualcuno, s'effondeva col pensiero su per r:a albero, grigio lupo in teffa, aquila turchina sotto le nuvole. Chiaro, adesso?, sembta &ca la voce con ufl velo di ironia esortando alla cautela. È il momento di rendere il giuoco poetico pienarnente espl-icito, prima com, plicandolo ancor più e poi insegnando al lettore a sciog)iere l'enigma, ossia a parte- - - cipare al giuoco 6ttivo: Rimembrava, &cono, i primi tempi ddla conresa. Allora lanciava dieci falchi su uno stuolo di cìgni. Quale cogt€va, quelo inronava per primo un canro: a.l vecchio Jaroshv, al prode Mstistiv che trafsse Redédja dinnanzi alte schiere circasse, allo splendido Romàn SvjatoJaviè... Boiàn, pero, fiateUi, non lanciava dieci falchi su uno stuolo di cigni, na poneva le sue dita & vate sulle vive corde. Ed esse intonavano da sole la lode dei prìncipi. Dopo che g1i si è fatto sapere che le dita sono falchi e le corde dello strumento sono cigni, il lettore che si ostiflasse a leggere questa stoda in senso strettammte letterale o realistico si dimostrerebbe, in verità, poco peNpicace. La sroria che segue dalla temeraria avanzata di Igor', di suo fratello Vs&olod e dei loro compagni, aÌla prigionia del protagonista e al suo felice ritorno sarà dunque da inserirsi in una gradazione di sigrificari. Vien fatto di domandarsi: che cosa rimane qui di quella norma essenzialmeDte - - religiosa, vincolata al modello delle Scritture, che pensiamo regolasse tanta paite della letteratuta nrssa antica? Di risposte a questa domanda ce ne sono molte. In sostanza, si ritoma al dubbio iniziale se non si debba ammettere I'anomalia di un testo che, come 10 J/oro di lgor', è troppo poetico per rientlare nella tradizione medievale sostanzialmente a-fttiva Rus'. Chi non accetta questa conclusione, - della propone- paralldi col linguaggio ornato e figurato di testi come quelli ù D3fjnil, Zat6inik, i Ditcorso sulla rouirla Ae a tertu rasw, il Testdmento di Vhdlnir Monorzich o l'oratoria & Klirnent Smoljitiè. Ancor più della forma retorica, è però il contenuro spirituale che ci mene in difficoltà. Si è spesso affermato chelo Slooo di lgor' è concepito in spirito secolare, in contrasto con lo spirito rdigioso che anima l'insieme della tradizione scrittoria in cui rientrano anche le relazioni delle cronache Laurenziana e lpaziana. Potebbe però t$ttarsi di un malinteso. È vero che Igor' e ancor più suo fratello Vsévolod l'«U- che sa ro impetuoso» si laociaflo nell'awehtura con un indomito furore bellico - di cristiano. Sembra però essere sfuggito ai critici modemi ufl dato più di pagano che essenziale: quell'impeto e quella ,rrlri non sono esaltati, ma sono condannati - se, guendo la legge religiosa dalla voce del narratote,commentatore, che vi dconosce - La infdice campagna di lgor' Svjatoshviò è un esemi segni del peccato di superbia. pio di coraggio male usato, di violazione ddla legge divina che impone di con6dare solo i:r Dio e non nelle proprie forze oltre che della legge terrena per cui - 74 MTCHELE CoI.uccI e Rrcc RDo Prcc{lo - 14 letk t*a dèlh R s' dioitu f interesse comune (di cui nella Rus' è tutore supremo e i"oata il Gran Principe) deve preva- lere sulle brame dei singoli. La prova che la storia del principe di N6vgorod-Séversk, ndlo Slouo di lgor', è vista come un esempio peccaminoso (e perciò riprovevole) di superbia intemperante, ci è data da una citazione biblica sapientemente inserita nel testo, subito dopo [a premessa retorico-poetica che abbiamo esarninato, proprio al7'r:r:rizio della naratio vera e propria: Cominci dunque, o fratelli, questa storia dal vecchio Madimir otti,1ò h nente nn la t a oeenerzt e infurì il sao aore. a.l presente Igor', e,le Le parole in corsivo, oltre che una formula che ricore spesso nel Vecchio Testa_ mento, sono una citazion e d^lDeuterorron io, dove si racconta che Sehon, re di Esebon, peferì combattere contro gli Ebrei anziché ascoltare il comando di Dio che gli imponeva di lasclarli passare per la sua tera, .percb é il Sigrlole lddio ifldarì il sùo spirito e fece il sto cuore ostinaro» (Deut. 2,30). Per questo suo cedere alla É1Azi, Sehon fu sconfitto e ridotto in cattività. Si tratta dunque di una tipica «chiave tematica». Se ci atteniarno a questo espLicito dchiamo sacro, tutta la stolia evocata e commentata dallo Slouo di /gor' non solo si chiarisce, ma anche si amoni a co,l,là «mo rale della favola» contenuta nelle cronache. Nel diffirso racconto dell'lpazixta,Igor' prigioniero giunge infne a liberarsi del1a superbia guerriera. Si pente, si geouflene con umiltà e da quel momento è saÌvo, È vero che rc)\o Shoo di lgot? manca questa sce[a del pentfunento. Anche qui, però, è Dio in persona che «indica al principe Igor'la via, dalla teta cumana alla teffa ntssa, verso I'aureo trono patemo». 11 ri_ scatto spirituale del principe superbo sembra fat parte di uno schema naffativo generale, che il naffatore dello Slotto di lgor' potrebbe avere ritenuto gtà ben noto ai suoi lettori-ascoltatori. E si può anche arguire che ndlo Slooo d-i lgor' il tltscatto è impetrato dalla sposa dd prigionieto, Jaroslarma, il cui canto preghiera segna uno dei momenti di maggiore intensità poetica dell'intero racconto: Si sente sul 6ume la voce di Jaroslarta; come un cuculo grida, sconosciuta, di mattina. il cuculo,lungo il 6ume. Bagnerò la manica di seta nel frume Kaja§; terg€rò al principe le ferite sanguioaati, sul suo corpo terribile». Jaroslavna pianee di mattina «Volerò, dice, come su.l bastione di Putivl'e si lamenta: "O vento, venticello! Perché, o Signorc, sof6 fone, i guerrieri det mio amato? perché dissemini le frecce dei barbari, con la tua ala sciolta, contro Non ti basterebbe sof6are in alto, sono le nuvole, cullando Ie navi sul mare turchino? Perchè, o Signore, hai disperso la mia gioia sull'erba della stepPa?». Jarodavna piznge di mattina sul bastione della ciaà di Putivl' e dice: «O Dni€pt figlio di Slarutal Hai varcato le montagne di pietra attraverso la terra cumana, Lai cùllato su di te 1€ imbarcazioni di Svialoslav siflo aeli armati di Kobj6l. Culla, o Signore, il mio amato sino a me, aff,nché io non rivetsi sino a lui, nel mte, le mie lacrime, di manina». Jarostama piarse di mattina a Putivl', sul bastione, e dics «O luminoso e tre volte luminoso solel Per tutti tu sei caldo e magnifico. Pe(ché, o Signore, hai scagliato il tuo raggio ardente sui suerieri del mio amato n€Ua piana §eiz'acqua? Con Ia sete hai irrigidito i lorc atchi e con la pena hai rinseffato le loro faretre". La preghiera suona più pagana che cristiana anche se, ad esetnpio, si è cercato di vedere, nel <<tre volte luminoso sole», un richiamo al Dio Uno e Trino. Il Dio vero, il Pùre Pntu Dio cristiano della Rus' compare petò, - Capitolo Se.o"do -15 lgol', subito dopo questo lamento della sposa af0.itta e, stando a quanto ci dice il narratore, proprio questo Dio -._ che sembra ora essersi mosso a pietà addita algor' lavu della soJvezza. Sul piano della strutturazione didattico-simbolica è dunque legittimo leggere lo Slouo di lgot' come variante di uno schema che vale anche per I'Ipaziana: impresa ndTo Slooo di fol)e mossa ddla hybris sconfitta e prigionia redenzione spirituale e materiale. Se poi ci soffermiamo sulla parte centra.le del componimento, dove si parla della Rus' scossa dalla tragedia e dove la folle impresa di lgor' è messa in rapporto con le discordie dei prìncipi, si ha ancor più la sensazione che questo testo sia un condensato di molti motivi. 11 motivo della condanna del principe superbo e temeralio è ben sottolineato aflche in questa sezione. ln un «aureo discorso», il Gran Principe Svjatoslàv esprime così la sua riprovazione dell'operato di Igor' e Vsévolod: Allota il graode Svjatosl6v ptoruppe in un aureo discorso misto di lacrime e disse «Figli miei; Igor'€ Vsevolodl Presto avete incominciato a colpire di spada la terra cumana, e a cercare gloria per voi stessi; ma senza onorc avete prevalso, perché senza onore ave!€ v€§ato il sangue pagano. Avete cuori 6eri, forgiati di acciaio crudele e ternprati nell'insolenza. Ecco che cosa avete fano della mia arsentea cariziel La grande sezione oratoria, al centro del componimento, permefte alla voce nar raote di fare salti tematici di notevole audacia retorica. Poiché si parla della sciagura che alla terra russa hanno ponato le lotte intestine dei vari principi, sembra lecito saltare di terra in terra, da un personaggio all'altro. È una temica che può adattarsi sia al talento di un vivace descrittore sia alla fatica di un esperto e rafrnato compila' tore-rifacitore. A.lcuni di questi «salti» lasciano intrawedere i contomi di storie in sé compiute, autonome anche per quarto riguarda il commenro didanico del narraiore. E questo il caso dei passi ir cui.l'epos di Vseslàv» è riassunto evocativamente, in due riprese: Nel settimo evo, VsesIAv settò dadi tmiani per una fanciulla a lui cara, con astuzia si resse verso la città di Kiev, e colpì di lancia I'aureo trono di Kiev. Balzò di o:scosto come belva feroce, a mezza none, da Bekorod, s'awolse in una nebbia turchina, rincotse la fortuna in tre tomate, aprì le pome di Novgorod, dilaniò la gloria di Jaroslev, balzò come un lupo... tr principe VsesIAv Èneva giudizio alle genti, reggeva da ptincipe ia città, ma di none aadava vagando a guisa di lupo. Da Kiev raggirmgeva Tmutorakàa' prima del canto dd galo. Tagliava la via, a guisa di lupo, al grande Chors. Per lui suonarono a P6lock le crmpme del mattutino, di buon'ora a Sarta Sofa. E lui ne udì lo scampanio a Kiev. Benché lresse un'anima di vate in un corpo audace, patì sp€§so svenfl,ra. P€r lui primanrente il vate B<iao disse una massima sagace «né lo scaltro né I'esperto e non l'uccello espeno possono critar€ il siudizio di Dio». srl cavallo e balzò I richiami, anche in queste scene di leggenda, sono multipli. Nd primo episodio, I'emore per una donna, l'astuzia unita ad un cavallo e l'espugnazione & città con rratagermi occulti si &rebbero elementi bastanti a far credere che le tradizioni loczli si intersechino con reminiscenze delle storie di Troia, Nel secondo quadro, il rrgere nottumo del principe'mago, con forti codnotazioni di [cantropia, doveva es' 76 - MTcEEL! Col,uccr e Rr cc^p$o Prccluo - l,le erutaru delh Prs' dioisa e isoztd sere percepito come motivo be[r noto, a cui bastava acceinare. Bojen ricompare a questo punto del testo appunto perché il raccoflto esce qui dalÌa storia e sconfina nel mito, Il lupo Vseslàv (si ricordi che, nell'esordio, anche Bojàn si faceva «grigio lupo sulla terra») taglia la via a Chors, divioità di un perduto olimpo della Slavia pagana. Chors non è il solo degli dei ancestrali a far capolino nella trama di motivi cristiani di cui si intesse lo J/oao /r Igol'. La voce naffante ha già evocato qua e là Daibog, nume solare della progenie dei prìncipi, Stdbog, dio dei venti, nonché le strane 6gure di Div, specie di démone della ferinità pagana, e un non megto identficato «idolo di Tmutarakàn ». Il lettore può essere tentato di scorgere, in queste evocazioni di una lontaoa demonologia slava, come una nostalgia paganeggiante, in conrasto con la dominante legge scrittoria della cristianità ortodossa. Il dubbio però si attenua non appena ci si rende conto che il commento di Bo;'en è ifltessuto su un richiamo biblico at libro di Giobbe: <Egli [il Sigrrote| ixtruppola il sapiezte nelle s"e stesse ani, e gli scheni del- finfmo sono pteao turninati» lGio.5,D). Possiamo dnnque leggerclo Slato di lgor' n chlave cristiana. E possiamo ricondume i motivi ad una «morale della favola» che è comune anche ai racconti cronachistici della Laurenziana e dell'Ipaziana. Uidea guida di un peccato di superbia che porta sciagura e tènebre, mentre il pentimento reca il riscatto e la luce, è espressa nelle cronache in modo più esplicito e narrativo, mentre lo S/ozo ricorre, per elabo rare lo stesso méssaggio, ad una più elaborata simbologia poetica. Anche nello §/oao /r lgor', comunque, Igor' peccatore vaga nelle tenebre dell'eclisse, mentre Igor' aedento cavalca, alla fine, alla luce del sole splendente: I princip€ Igor' è nella tera russa. Le falciulle cantano sul 11 sole risplende in cielo. 6ume. Si snodano Ie loro voci attraverso il mare, sino a Kiev. Ieor' passa per BodÈevo, cavalcando vetso la Saota Vergine della Tore. È comnnque sempre bene tener presente che lo SLSuo d.i lgor' iene ancheletto n molte altre ma.niere, accefltuando ola l'una e ora I'altra delle sue trame. Ci si può soffermare più sulla rroia (p6oèst') o più su.l /rr.060 (s/dzo), o aoche si può gustare esteticamente, al di là di ogni esegesi aoaÌitica, proprio il foodersi continuo di narratio e oratio. Per cic^ due secoli, letterati e filologi harìno variammte scorto in questo testo le immagini riflesse di una nòn mai ben defnita stagione letteraia della Rus' medievale. Lo storico della letteratura, allo stato attuale delle nostre conoscerìze, non può fare a meno di soffermarsi a lungo su questo testo in buona parte enigmatico, anche se ancora non dispone di elementi defnitivi per inserido in un contesto sicuro. Tutto lascia credere, d'dtra parte, che prop o attrave$o 10 studio dell'alta e sconcertante poesia dd)o Slooo di lgor', si possa giungere a più nitide visioni della civiltà letteraria prodona dalla Rus' medieva.le. Pate Pnna Il - Capxolo Seando - 7 7 confluire d.i z;arie tradi.zioni scrittorie nelle compilazioni, cronacbisticbe La critica modema ha teso a dare per scontata 1a scarsa letterarietà della maggior parte dei testi prodotti nei *secoli bui, della Rus'. Più che di ricostruire le fasi di sviluppo di determinate tradizioni scrittorie, si è perciò cercato di scoprire testi «eccezionali». Anche la nostra esposizione sarà condizionata da questo diffuso atteggiamento. Riserveremo dunque spazi speciali dopo aver parlato dello Sloto di lgor' come della «eccezione» più cospicua a testi ormai consacrati dalla critica come «eccellenti nella norma»: dalle pagine- & eloquenza di Kiril TÉrovskij alla Vita di Aleksandr N&skij, dalle enigmatiche perorazioni di Danifl Zat6ènik alle Memorie dei Padri del Monastero kieviano delle Grotte. ll lettore dovrà tenere presenti i limiti di soggettività in cui scelte di questo tipo vengono a collocarsi. Non sono infatti da escludersi, nelfuturo, nuove estrapolazioni di «pezzi di antologia» dalla documenta' zione testuale a nostra disposizione. Si tratta, quantitativamente, di un corpo tutt'altro che rascutabilq centinaia e centinaia di pagine messe rnsieme da generazioni di cronisti, agiografi, predicatori, rifacitori e epitomatori. AIla valutazione letteraria di questo materiale si frappongono difficohà di varia natura. I testi si adatta..,ano ai fini pratici che ne giustificavano l'esistenza: predicare la retta fede, celebrar,: esempi di santità, ammonire illustrando esempi di peccato, educare i sudditi nello spirito di un'etica cristiana che implicava un forte impegno religioso da parte dei prìncipi. Le molte convergenze stilistiche e tematiche di questi tipi di scritrura nofl giovavano alla preservazione delle individualità compositive. SingoÌi testi, originariahente concepiti come opere autonome, potevano essere inseriti nella più ampia contestual.ità di una cronaca, di una silloge agiografica, di un florilegio omiletico. Ciò significa che, oltre a quelle già enucleate dall'antologizzaz ione modema, non poche altre unità testua.li potrebbero essere giunte a noi entro strutture portanti che ne oscurano tuttora l'individualità. Soprattutto nelle cronache, troviamo strutture compositive molto flessibili. La produzione dei grandi corpi annalistici (/étoprir') aveva già acquistato caraneristiche stabili ai tempi di Nestor e della grande sisten,azirone dell^ Stoia degli asni pdsseti. Nei secoli successivi, la compilazione di cronache continuò un po' dappertutto nelle varie zone della Rus'. I compilatori di una nuova raccolta attingevano liberamente a.lle raccolte precedenti. Ciò rende molto diffcile ogni studio genetico. Per ricostruire i limiti originari di un particolare ciclo cronachistico dobbiamo ricorere ad analisi non solo complesse, ma anche rischiose. Si trana infatti di isolare strati composìtivi la cui datazione dal punto di vista del contenuto tematico può non coirispondere alla datazione del materiale testuale così come ci è effettivamente per.'enuto. È questo il caso delle cosiddette,laiz onisskoe letopisinie XILeÀ, (Cronache russe meridionali del XII secolo), che sono incluse nella già ricordata Croruca lpa- 78 -- l"trceE ColùccÌ e kcùRDo PrccÈro - Iz lp#É/dr, àpllz RLt' àbnd è ìn'Mtd di cui abblamo vari codici, il più antico dei quali nsale all'inizio del XV secolo. Gli studiosi moderni propendono a riconoscere, nella parte della Cronaca lpaziana in cvi sorl,o t^rruti gli eventi delle terre meridionali della Rus' dal 1 1 17 alla 6ne del XII secolo, una particolare raccolta (ruol) messa insieme vetso la 6ne del Duezìana, cento da Moisej, igumeno del Monastero Vydublckij presso Kiev, sul1a base di materiali provenienti dalla cronachistica di Kiev e di Perejaslàv RÉsskij, nonché da raccolte di documenti relativi alla famiglia di Rostislàv Mstislàvic, nipote di Madirnir Momom6ch. Entro questo particolare rrol (o «sz}-svod», visto che si tratterebbe di un corpo di compilazione testuale confluito nel più ampio raol della Cronaca lpaianal non è dtffrc,fe iconoscere i contomi di altre «sotto-unità» testuali rappresentate da storie tematicamente in sé concluse, come quella dell'uccisione di Andréj Bo' goljÉbsLij nel 1f75 (storia che sembra a sua volta derivare da tm testo più breve presente nella Oonaca Laureaziana del )(IV secolo) e quella della campagna di Igor' Svjatosliviò contro i P6lovcy. Di fronte a tanto variato intrico di contestualità, i critici sperano spesso di potere «disseppellire» gemme nascoste di arte verbale. Lo storico della letteratura non dovrà tuttavia trascurare il lavono dei <<cucitori» e dei rielaboratori. Proprio nel combinare testualità diverse, livellando le disparità formali per adeguarle allo stile complessivo del grande «libro aper!o>> di imit^zione bibJica, gli scribi dei «secoli bui» contribuivano al consolidarsi e al perpetuarsi di una tradrzione letteraria. Queste considerazioni valgono per tutti gli r/ril1, o cicli cronachistici, della Rus' divisa. La compilazione di raccolte di annali, con motivi tematici ed orientamentr ideologici locali, andava di pari passo con l'affermarsi di preminenti centri di potere. Ciò giustfica il tentativo moderno di ricostruire il processo formativo di specifche tradizioni armalistiche, anche se le tacce di ipotizz^b sr.)6dJ tutonomi risultano in gran pane perdute in seguito al conflui.e delle testualità primitive in ot5d9 più ampii. A pane ogni dubbio sulla reale storia della trasmissione testuale, possiamo ricono I secolo a scere le caratteristiche essenziali di motivi cronachistici sviluppatisi nel Vladimir-Stzdal' e a N6vgorod. I1 tessuto connettivo è sempre dato dal susseguirsi dei segnali fissi della cronologia: «Nell'anno... il principe... aodò a combattere...»; oppure: «Nell'anno... nel mese... vi fu una grande tempestar. Nella trama ineluttabile degli anni può inserirsi qualsiasi «storia». Così, ad esempio, toviamo inserita \ell^ Piria Crcrraca d.i Ndugotod wa rclazione (forse di origine kieviana) della presa di Costantinopoli da parte dei Franchi della Quarta crociata. I racconti cronachistici che riguardano il )([II secolo tranano irr vari toni della conquista tartara. Non pochi di questi racconti richiamano l'attenzione degli antologizzatori modemi per i motivi drarnmatici che vi sono sviluppati, le scene di guerra che vi sono descritte spesso con emcacia epico-pittorica, e le intonazioni epico-liriche delle perorazioni religiose e patriottiche. La Pima Cronaca d.i N6ogorcd e le $ccolte lpaziana e Laarefiziafia contengorLo versioni della cosiddena Prirest' o bitue fia reké MlÉa (Stoia della battaglia sul f,ume Kalka), Nel 1221, sulle rive del Kalka non lontano dal mare d'Azov, le forze della Rus' affrontarono per la pdma volta i Tartari in battaglia e furono rovinosamente sconf,tte. Per la prima volta, in quella occasione, i CumaniP6lovry della steppa apparvero non più come personificazioni d'una quasi magica frontiera con il mondo ignoto, bensi come un ben circoscritto gruppo di po- i ) Po e Pà,xa - Capitol, Seconda - 79 polazioni limitrofe, sulle qua.li incombeva la minaccia di molto più potenti e misteriosi conquistatori. La Stoio dclh battdelia sul fiume Kalka,bendté stilisticamente retta da formule di routine, esprime lo sgomento di chi vede improwisamente dissolversi i contomi di un mondo ritenuto perenne. Chi sono i nuovi invasori? Di dove vengono? Quale disegno divino li muove contro la teffa russa? Per rispondere a questi que§iti, il cronista si rifà a vecchie profezie, come quella attribuita a Metodio di Patara e &ffirsasi sernbra di origine bulgara, in cui si annunciava ampiarnente in manoscritti slavi genti peccatrici. Sul tema base del peccato come lo scatenarsi dell'ira divina sulle fonte terrena della collera celeste il cronrsta può strutturare la propria trama naliaricoffere ad altri per altro ricca di dettagli e di scene dramhatiche tiva - senza - semantici. Varie erano le opinioni sulla provenienza dei Tartari, e il croni_ espedienti sta le riporta scrupolosammte. Ogni credente, però, sapeva che lo spietato avanzare dei senza-fede, i loro inganni e i lom massacri, cosi come il discorde e confuso com_ di portarnento dei capi russi iosieme con il loro indesiderato alleato curnano fronte al peticolo, altro non- erano che segni terreni d'una volontà impenetrabile, che solo attraverso la coicretezzà di questo tremendo castigo si rendwa intellegibile ai peccatori, Non poche altre relazioni di episodi locali della lotta conro i Tartad, dei manìri, delle umiliazioni e delle pene subite dai prìncipi della Rus' cristiana sviluppano questo stesso tema dominante. I-limpressione complessiva che se ne deriva non è solo di consolidate convenzioni naffative, ma anche di un ricco patrimonio formulare che, grazie anche alla grande flessibilità degli schemi compositivi, mette a disposizione dei narrarori una notevole gamma di effeni retorici. Una cospicua compilazione narativa, nota come Péoest' o razoréxii Nazlxja Bd' ryem (Stoia della distruzione & Rjazàn' da parte di Batyj) può essere presa come esempio tipico non solo delle peculiari caratteristiche della letteratura di cui ci stiamo occupando, ma anche delle grandi difficoltà in cui si imbatte ogni studioso che ne voglia dare una valutaziooe storicamente e f,lologcarnmte fondata. Si tratta di un vero e proprio racconto, il cui disegao compositivo non poggia sui rituali, impassibili, segnali della composizione annalisuca, bensì sull'intimo dispiegasi degli eventi. Il tema dominante è dato dalla tesistenza cristiafla all'Orda tartara: resistenza vaoa, perché i prìncipi della Rus' sono divisi. Questa constat^zione dolorosa, unita al ripetuto lamento per Ia caduta della nobile città di Rjazàn' e per la rovina della terra russa, suona come ot rcfrain nel commeoto della voce natrante. Entro questa du_ singoli plice comice naffativo generale e del commmto - s'inseriscono - del tema episodi. Fédor Jir'eviò è inviato a trattare con Bityi, feroce e lascivo capo tartaro, un €stemo compromesso pet salvare Ia cinà di Rjazan'. La situazione si Ia scabrosa perché il tradimento cova fra le stesse file cristiane. «Per invidia», un magglorente di Riaz6n' informa Bàtyi che la nobile sposa di Fédor Jur'eviè è «bella molto per la verustà del corpo», Bityi, «eccitato nella concupiscenza della sua came», dice allora al messo di Rjazàn': <<Lascia, o principe, che io veda la bellezza della tua donna». Risponde il «pio principe Fédor Jur'eviè»: «non s'ad&ce a noi cdsuani portale a te, sovlano senza onore, le nosre mogli a scopo di lussuria». Fédor Jur'eviè è fatto a 80 MrcElr Cor.uccr e RI cc p:Do Pt.cÈro - In leuetut"fa delh R t, di,ia e i,,,M p€zzi e abbandonato in pasto agli uccelli. La sua sposa si getta dalla torre e il disastro § comprc. Un'altra sezione è dedicata alle gesta di Erp6tij Kolowàt, eroè leggendario che combatte e soccombe nella lotta contro Bityi, e un'altra sezione ancora si conclude ml ritomo del principe Ingvar Ing6reviò sul trono di Rjazàn'. Sembra proprio trattarsi di storie cucite insieme in modo da fame un ciclo commentabile in termini didanici, af6nché il lenore-ascoltatore, oltre a piangere la sconfina della Rus' e il trionfo degli infedeli, possa trame rùr arnmaestramento: la rovina della terra russa, voluta da Dio per pturire i nostd peccati, è stata resa possibile datle nostre discordie. Ogni valutazione storico,critica ddl'fiter Storia della distruzione di R1àzh' da parte di Ntyj diventa problematica se si considera che la varia docurnentazione manoscritta è data da raccolte tarde, non anteriori alla seconda metà del XVI secol<r. Fino a che punto bisognerà tmer conto di attività redazionali? I1 corpo delle compilazioni annalistiche sembra rivelare la presenza di un particolare ciclo duecenresco di Cronacbe di Rjazrit', ma questo stesso ciclo può essere solo ipotizzato, non concfetamente messo in evidenza come del resto un parallelo cido di Crozache di Rosét-t risalente al )fiII secolo dagli ana)izz totl. di corpi cronachistici strutturalmente databili ad epoca notevolmmte posteriore. I motivi tematici, esegetici, ideologici e formali che abbiamo messo in luce a proposito deÌla JtozZ della ditruzione d.i Rjaz,ln' di p4ie di icorrono anche in molte altre compilazioni cronachistiche. Bàtyj, castigo di Dio, si presenta dinanzi alle mura di diverse città. I &fensori locali si fanno protagonisti di episodi epicodidattici che i cronisti ritaggono entro schemi di sempre più accentuata fissità iconografca: da Kol6mna a Kiev, ed anche in una città come Smolénsk, il cui martirio è evitato per l'intewento della Vergine Maria. Alcune versioni del Pdaest' o Merkiii Smolenskdm (Storia di MerkÉrii di Smol&rsk) ci narrano questo evento prodigioso. Bàryj è alle porte di Smolénsk e non sembra esservi più speranza. La Vergine protettrice del locale monastero appare miracolosameote e chiama a sé il pio MerkÉrij. A lui af6& Ia lotta e a lui predice non solo la vittoria, ma anche la morte. MerkÉrii combatte, vince e, nel mommto del trionfo, consegna ùrilnente la spada ad un angelo guerriero, che lo decapita. I1 niceforo decollato s'awia allora ad onorata sepoltura, reggendo nella mano la propala testa tecisa. Un'alta variarÌte vuole invece che la morte di Merkrlrij awenga sul campo, non somministrata da un giustiziere inviato dall'alto. La documeotazione testuale non ci permette di datare questa Srorrb prfuna del XV-XVI secolo. Anche in questo caso, però, si cerca di risalire a nudei testuali più antichi. Il eopas annalistico più autonomammte architettato & qresta età èla Gonaca di Haliò-Volinia. La geaesi e la tasmissione di questo monumento, che gli scribi-compiJatoÀ ddla Cronaca Ipaziana e di altri soody hanno cucito insieme all Crcnaca kie^ drscernere i urbza, pongono i consueti problemi testuali. Non è &fficile, comunque, contomi di due unità narrative una, più letterariamente elaborata e scritta forse da una sola persona, che riferisce le lotte di Haliè al tempo deÌla conquista tartata e del principe Romàn Mstisl6viÉ, e un'altta, più scama e frarnmentaria, che tratta della Volinia a partire dall'anno 1262 sino agli anni Novanta. Sopratrutto la prima parte ha attirato l'attenzione dei critici modemi. Llintonazione oratoria, densa di modulazioni - Biti Pane Pti a - Capirolo Secodo - 8L epiche, ha fatto pensare a rapporti possibili con una più vasta tadizione retodca non preserataci, ma documentata anche daÌl'epopea di Igor, Svjatoslàviè. A mano a mano che il potere tartaro si consolida, e si susseguono le gmerazioni dei sudditi cristiani dello «zar dell'Orda» (senza che la generica q\a)j c di car'= <<zar» forma slava & Caesar implichi distinzioni emiche o religiose),la temarica tende a farsi più varia artingendo alle tradizioni locali. Nuovi corpi cronachistici e nuove compilazioni didaaico-omiletiche vedono la luce nei centri di magtqiore prestigio, creando favorevoli condizioni per il fiorire di centri sctittorl. Buona pane dei documenti trasmessici dal XIV secoÌo recano trecce di fatiche scribali con{uite in alcnne raccolte principali, che chiamiamo Cronacbe di Toer', Cronache di Pskou,, Ctonache di Mosca. Come sempre, i lìmiti fra le strutture portanti di un detemrinato rzol e quelle di specifiche unità testuali non sono facilrneote discernibili. AIla cultura e alla storia di Tver' si riferiscono componimenti al limite fra l,am, pìificazione della relazione annalisrica e la leggenda dì tipo loldorico (ossia di rrasmissione orafe). È questo iJ caso del Pouett'iSekpale lsiona di Sekvall, la cui ma teria è anche presente in un canto epico (regisrato solo in età modema): il popolo di je[,OrTver' insorge nel ll27 contro §ekval dispotico rappresmtante dello "zai da», requisitore di cavalli e Eemico dei cristiani reagendo a soprùsi che il principe locale, Aleks6ndr Michajloviò (il quale ha appena otten to urro yzrl;À ijre lo inveite del polere gran principale) sarebbe invece incline a soppotare. In questa storia la lotta con i Tartari conserva sì una forte carica religiosa, ma si presenL anche come un motivo ormai «intemo». fOrda non è più il mondo straniero dei tempi di Bàtyj, ma fa parte della realtà russa. Lo stesso ricordo di Bàtyj e della sua feroce conquista, d,altra pane, teade col passare del tempo a trasformarsi nel protomodello di un onnai stabile rappono fra i sudditi cristiani e un'autodrà peccaminosamente terrena, di cui è giuocoforza ricoooscere il ben consolidato potere. L accettazione del dominio temporale dell'Orda non esime pero il buon cristiano dai suoi obblighi spirituali. Ciò pona a conlLitti da cui emergono i motivi d'una_panicolare narrativa didattica con intooazione agiografica. Ndla Vita di Micbail di Cenigou, sona probabilmente agli inizi deJ )OV sàcolo, leggiamo che il principe di eernigov è pronto a rendere omaggio a Bàtyj «poiché Dio gli ha conferito il regno di questo mondo». Lo stesso principe, però, no.t è dirpo"to ad adorare le divinità dei Tartari e subisce il mantuio. An;he il principe di iver', lodato dal cronista-commentatore ai limiti dell'esaltazione agiografca nel cosiddetto h6oest' o Michaile Jatosùiuik Tt;erkon (Stoia & Michail Jaroslàviò di Tver'), accetta di recarsi al cospetto dello <<zar» dell'Orda, nel 1318, pur sapendo che sarà ucciso. Il martirio di questo eroe di Tver' si realizza nell'offrire se stesso in sacrifcio al potere terreno pur di salvare le anime e gli averi dei suoi diretti sudditi cristiani. Si tratta di esempi d'una nasceDte ùadizione edco-politica in cui possiamo rico, noscere i germi di tesi e di aneggiamenti che assumeranno maggior significato nei secofi seguenti, quando l'immagine di un potere terreno basato sulla forza, e per questo contrapposto alla spiritualità della chiesa, verrà spesso a coincidere con l'imma, gine del potere moscovita. I prìncipi di Mosca, già nel XIV secolo, appaiono a volte più come agenti o complici dello <<zar» tanaro che non come rappresentanri dei cri, stiani oppressi. Questa loro atatteizzazione non verrà totalmente oscurata nem, . - - - meoo dopo la vittoria - di Dmitrii Ivànoviè Donsk6j a Kulik6vo, contro l,orda di 82 - MrcHlLE CoLUcq € tu cc^pjt6 Prcc}lro - b btte,atùd delk Rut' dioi e ;""asa Mamaj, nel 1180. La «riscossa cristianat sotto la guida di Mosca porà essere intesa dell'Orda>t ad alti condottieri, come un semplice trasferimento di poteri dallo "zar non necessariarneote pii discepoJi della chiesa ed anzi suoi potmziali pe$ecutori. Prosd or'rrdtd ed eloqaenzd: Kliment Smoljétié, S er api.6n Vlailimirskij Kirill T,hrooski.j' Anche se il lavorio livellante dei compilatori e dei rifacitori era incoraggiato più dalla flessibilità strutturale che dalle caratteristiche lenerarie delle sillogi, l'annessione testuale s'addiceva megtio a materiali latammte nafiativi che non a composi_ zioDi retodcamente in&vidualizzate, quali le epistole o i sermoni Testi di questo tipo, anche se inseriti in nuove conlestualità, venivano spesso trattatr come forme individue: così come, costruendo ùn nuovo e&6cio con i materiali di uno antico, si frantumano e si risagomano le pietre o i mattoni piutto§to che le statue o i fregi. Di un vero scrittore letterato, operante al veÉice ecclesiastico della Rus' pretar_ tara, abbiamo notizia da documenti cronachistici che si riferiscono al 1146.In quell'anno il Gran Principe lzjaslàv Mstislàvié nominò metropolita di Kiev, senza l'assenso del Patnatca di Costantinopoli (il che testimonia il perdurare di situaziom con_ flitt-rali già venute alla luce un secolo prima, ai tempi di Jarosl6v il Saggio e di Ilari6n), Kliment, nativo di Smolénsk e per questo detto Smoljàtiè. La scelta inconttò forti opposizioni. Kllment Smoljàtié fu deposto nel 1154. Di lui ron sappiamo molto di più. Un cronista lo &ce uomo di lettere e'r<6losofo» Risulta che un certo «plete Fom6» lo accusò di attingere ad autori .ellenici», ossia pagani, come Omelo, Anstotele e Platone, invece di attenersi alle Scnttute. Di qui la risposta di Klrment in vta Poshnie Fomé ptosoiteru \Epistola al ptete Fom6) la cui integrità testuale pone parecchi interrogativi -a che, indubbiamente, costituisce un documento di grande interesse. Kllrnent sostiene la legittimità dell'illustrare con parabole allegoriche i sacri testi. Si tratta di una polemica esegetico-retorica di cui è dif6cile fissate i contomi storici, ma che apre un prezioso, anche se enigmatico, sPitaglio. Fu daweto Kllrnent un lettore dei massimi filosof antichi, o l'accusa di Fomà riptende meccani scbrerato forse ra i sostmito dell'autorità costantinopolitana se è difficile uscire Anche prassi bizantina? della requisrtoria camente un argomento germogliare, potessero dalle ipotesi, rista f impressione che nella Rus' del XII secolo qua e ià, semi di educazione rctorica ellenizzante, più vitali di quanto non ci dicano i Jocummu soprawissuti all'età tartara e a molte generazioni di censori slavo_orto_ dossi. Forse, Àche la circostanza che questo rétore-6losofo, di cui è drnasto solo un Pttte Piitd - C.?itolo Seco"do - 81 frarnmento di ricordo, provenisse da Smolénsk, terra russa ltcina all'area di diffusione della latinità occidentale, non è priva di significato. Quella di Klftnent Smolj6tiò non era comunque una voce solitaria. Per tutto il dodicesimo secolo e per buona parte del tredicesimo, prima che i molti principati della Rus' divisa soccombessero ai Tanari o divenissero oggetto dr altre brame egemoniche, la stessa frammentazione politica sembra avere favorito l'emergerc di contrastanti cortenti culturali, capaci di dare vita se non altro ad embrioni & polemiche dottrirali riguardanri anche l'ane dello scrivere. Nel repertorio formulare delle pagine, in cui si contrappongono le vrtù cristiane alla tracotanza bellica dei senza-dro e si deplorano le discordre iateme della terra russa, non è agevole drsthguete quaflto fu ispirato dalla lotta con i Cumani_P6lovcy, prima del )fltr secolo, da quanto rientra negli scLerni tetorici dell'età tartara. Non è tùttavia ingiustificau l'impressione che, nella Rus' del XII secolo, correnti aperte alla retorica profana si siano contrapposte (pur sempre in ambiente ecclesiastico) all'in_ trarìsigente uniformità dello stile religioso. Sia pure in maruera non chiara, atteggia_ menti di questo tipo trapelano dall'opera di Kirfll TÉrovskij. Sulla vita di Kirill siamo meglio informati che su quella di Kllment Smoliatiè. Sappiamo che divenne vescovo di T(lrov poco dopo la metà del KI secolo, che fu oratore e polenlista famoso e che si impegnò in polemiche, non solo con eccleslastici, ma anche con autorità laiche, tra cui il principe Andrej BogoljÉbski, in difesa della unità della chiesa della Rus'. I-attribuzione a Kirill TirovsLij di non pochi testi rimane molto dubbia. Per altri, la critica modema pensa di avere fondati motivi per attribuilli alla sua penna. Oltrc che di uno scritto O éenoÉùesten à'zz (Sull'ordine monastico) e di un Pdrert' o bezpéàtou alie i egri mùdron souétniÉe lRaccorto de) cauto sovmno e del suo saggio consigliere), Kirill è ritenuto autore di un Prltéa o daìé i téle (Patabola ddl'aatma e del corpo) e di un ciclo di J/ozl o Reà (Sermoui). Soprattrttola Parabola e i Sermoxi atdrxro oggi l'attenzione degli studiosi sia per i pregi formali che per alcuni aspetti oscuri del loro contenuto. La tradizione maooscntta della Patabola, il cui codice più antico risale al )(II/ secolo, ne attesta la dutevole fortuna (veniva copiata da arnanuensi, nore arrti1uo, ancora agli inizi del XfX secolo). Lesposizione è condotta secondo lo §chema der commenti scritturali. AIla citazione di ogni passo di tma stoda esemplare ed edfi' cante segue rrna spiegazione didattica. La storia è questai un proprietario pone all'ingresso della sua vigfla, ben protetta da una palizzata, uno storpio ed un cieco come custodi; il primo, che non può camminare, non douebbe poter andare a cogliere i grappoli, mente il secotrdo, se anche ci provasse, dovrebbe perdetsi per strada; lo storpio vedrà i ladri e il cieco Ii sentirà. I due, però, si mettono d'accordo per frodare il padrone: lo storpio veggmte monta sulle spalle del cieco e ne guida il cammino ll proprietario rappresenta Dio padre, la vigna è il regno di questo mon ào,la palizzata simboleggia le leggi e i sacri comandamenti; 10 storpio è il corPo e il cieco è I'anima. Chiamata in giudizio, l'anima &cq non io I'ho fatto, ma il corpo. Ecco perché le anime colpevoli non sono dannate subito, ma si atte[de il secoDdo Ar,'vento, il giu&_ zio universale e Ia resurrezione dei corpi. Benché il motivo dello storpio e del cieco sia di larghissima diffusione, jl nudeo Darrativo qui presente è stato accostato in pattscolare a)Dialogo dellinperatore An' todno cot k fibbino, come lo riporta il Talfit d di Babilonia. "f^nto questa deriva- 84 - MIclrEr Corùccr e kcc^RDo PrccHro -.Ir' /en rut,ra delh R$' dt"irz e ituard zione quanto il tono della narazione fanno sospefiare una uadizione apocrifa. Questa impressione è rafforzata dalle parole conclusive registate da alcuni codici: ,r<Ìa mia non è nn'orazione (r/ozo), ma una conversazione (beseda), poiché io non sono un Maestro lai/tel'), come certi ecclesiastici e sacerdoti». Anche a pensare che apoffifa sia la nota finale, rimangono non poche perplessità. Come mai un vescovo ricorre a una parabola non di tradizione evangelica? Che questo particolare tipo di illusuazione allegorica rienui nella tendenza già riprovata dal prete Fomà nella sua denun, cia di Kllment Smoljàtiò? O dovremo dubitare che un testo simile sia dal.vero srato scrifto dal vescovo di TÉrov? Il problema non è facilmente risolvibile, anche se sembra lecito non accogliere iflcondizionatamente la corrente attribuzione a Kirill. Apocrifo o meno, questo soitto attribuito a <<Kidll monaco» dai copisti ancor prima che dai critici (che si tratti di un altro Kirfll?) documenta comunque una «apertura». Deviando in qualche modo dalla via maestra della letteratura ecclesiastica uf6ciale, questa Parabola ci doatmental'infltrazione nella letteratuta russa antica di motivi eterogenei. Dice ad un certo punto la voce narrante: <<Non depEcate, fratelli, la mia grossezza, ché mi sono proposto rma sconveniente forma & scrittura. Come, legandosi alla zarnpa & un uccello, non si può volare nell'alto dell'6ere, così a me, legato alle passioni corporee, non è possibile trattare delle cose dello spirito". È un ,opor di modestia? I-awertimento sapiente di un teologo? Un luogo comune tanto della letteratura ortodossa quanto di quella apocrifo-popolare? Nei .telrzozi troviafio più solide tracce di un'eloquenza sacra consona alla digaità di un dotto prelato. Le tesi del retore riecheggiatore di aurori greci (in panicolare di Giorgio Amart6lo) si fanno esplicite nello J/r5rlo o pémliati otai! NikéjsÈogo pbòru (OtaÀote ta imembranza dei Pa&i del Concilio di Nicea). «Come gli storici e gli oratori leggiamo in questo testo di chiara imitazione bizantina, che in buona parafrasa misura l'Amart6lo prestano orecchio alle passate guerre e imprese di alti re per quindi omare verbaÌmente quanto udito e, tessendo serti di lode, esaltare qua[ti si sono battuti per il loro re e non si sono volti alla fuga di fronte ai nemici, ancor più convime a noi aggiungere lode alle lodi dei valorosi e grandi guetrieri di Dio, che sono insorti strenuameote per il Figlio di Dio, per il loro sovrano, nostro Signore Gesù Cristo». È quest, la stessa voce retorica dell'autore della Ptrarold? Aflche se i dubbi in merito non sembrano ingiusti6cati, resta il fatto che il corpo di testi legato più o meoo convincentemmte al nome di Kittll Tùrorskij ci rivela, oltre alla varietà dei - - temi. anche un ricco spettro di livelli stilistici. La struttu.a ritmico'sintanica del testo ffarnandato dal codice più antico oCII sec.) non è uniforme. Nette serie isocoliche sono seguite da frasi con seglnentazione non visibilmmte marcata. Le varianti, offerte da una radizione testuale panicolarmente complessa, hanno molto spesso carattere redazionale, cosicché non è agevole enucleare un materiale testuale comune dportabile, con trn minimo di fondatezza, ad una stesura originale. Varia è anche la materia nalraliva, anche se dominata dal motivo di San Giuseppe che riscatta da Pilato il corpo di Gesù. La prima scena del sermone-racconto Lrquadra un diffuso «pianto della Vergine Maria»: Al mé, 6glio mio, Iuce mia, oeatore di tutte le cose! Ed ora per che cosa ri piangerò? Per il tuo pendere dalla croce? O per Ia fedta al costato? Per le frustat€ sulla schiena? Per lo Pa e ùimo - Capitolo Se@ndo - 85 sputo sul volto santo, che hai anrto dai senzalegge per rue azioni buone? AIimé, Églio! In.ocente, tu s€i stato infamato e sulla croce hai assaporato la morte. Oh, come ti hanno incoronato di spine, e ti hanno mescium 6ele ed aceto, e poi hanno traftto con Ia lancia il tuo costaro purissimo!... Vorrei morire con te. Mai più gioia mi toccherà in sone, perché la mia mio, de a beata luce e sperarza e vita 6glio e Dio - su[a croce s'è spenta. Che ne è, figlio annunchzione che ùn tempo mi proferì Gabriele: "esulta, tu colrna di letizia, iI Sipore è con te, tu che cÀiami fulio I'Altissimo SigEore e Salvatore del mondo, colui che a tuttì reca vita e cancella it peccato'. E ora ti vedo, come ua malfattore, appeso fra due laÀoni, morto, traftto dalla lancia. Per questo, mi sento amaramente mancare. Non vog:lio vivere, na seguifti neeti inferi. La presenza, in un contesto russo antico che risale almeno al )OII secolo, di un episodio che così topicamente richiama la tradizione paraliturgica del culto mariano, sia in Occidente che in Oriente, è un fatto degno di nota. Certo, se l'attribuzione di questo brano a Kifill fosse sicura e il «planctus» risultasse essere effettivamente del )OIl secolo, l'interesse dei critici dovtebbe farsi ancom più vivo. Considerazioni di natura analoga valgono per la sezione 6nale del sermone, che contiene un elogio-preghiera in onore di San Giuseppe. La prima frase, solenne' mmte cadenzata in lunghi segmenti isocolici di sei accenti con richiami rimici, sembra rientrare nei canoni generali ddta cristianità medievale: «E ora lodiamo Giu_ seppe, per sempre memorabile, esemplarmente venerabile e veramente mirabile. Beato invero sei tu, o Giuseppe, glorioso e miracoloso, che tanta beautudine in terra e in cielo acquistasti». Ad un certo punto dell'elogio preghiera, una serie di interrogativi retorici segna il passaggio al motivo dell'ineffabilità: Quale lode potremo formulare, che sia degna della tua beatitudine? Come incomincerò e come mi esprimerò? Cielo ti chiamerò? Ma più del cielo tu splendesti perché, se durante la passìone di Cristo il cielo ioscùÌò e la prcpria Iuce ricoprì, tu portasti Dio sulle tue braccia. Terra variopinra d chiamerò? Ma tu più ddla teira ti mostrasti adomo- Se la tera tremava d'onore, tu con Nicodemo giulivamente il divino corpo ripooevi nel sudario, cospargendolo d'aromi. ApostoÌo ti chiamerò?... Sarro patrono e guida di chiamerò? È opinione diffusa che, per aiuovate l'uso sistematico di simfi interrogativi reto' rici, alla cui formulazione segue immediatamente la procÌamazione di un'inadeguatezza verbale progtammaticamente evidenziata, bisogna giungere al XV secolo, ossia al tempo di Epifanio il Saggio (vedi oltre, Parte I, Cap. III, § l). Questo campione retorico, certo più anuco, sembra tuttavia additare diverse prospettive cronologiche al nostro srudro della tradizione srilistica russa artica. Varie ipotesi possono essere avanzate. Possiamo supporre che alcuni tratu sa_ lienti dello stile omato, comunemente associato con le tecniche letterarie della Rus' quatùocentesca, abbiano in realtà origini più antiche. O si può anche pensale che le direnrici maggiori della storia stilistica russa antica siano meglio riconoscibili risalendo a modelli greci o comunque «estemi» che non soffermandosi solo sulla tradizione locale slava. Questo secondo atteggiamento ci porterebbe a non esdudere, per la Rus' dal )trI al )fiV secolo, il ricorrere dr casi isolati (o alrneno apparentemmte tali) di adeguamento a paradigmi rctorici che esulano dalla piÌr Dot^ loutiae sl^v^ ortodossa. 86 - MICHELT CoLUccr € Rr cc2ino Plccsto - h lettùdt\tu delh Raf ài,i'a . i","sz In verità, i dubbi, connessi con la documentazione testuale del sermone che abbiarno ora preso in considerazione, rappre§entano un caso estremo. Altri testi omiletici attribuiti a Kirill TÉrovskij, come ad esempio lo Sùiuo u ahuuju xedelja po Plrce (Sermone per Ia prima senimana dopo Pasqua), si rivelano molto piu compattamente tÉditi. È naturale che su di essi si soffermino volemieri gli srorici letterari e i critici-antologizzatori a cui preme soprattutto di mettete in risalto la pregevole tecnica oratoria di cui, nelle sue espressioni più genuine, Kirlll fu rinomato esempio, Il principio generale, per cui era più facile che gli scribi ispenassero l'autonomia testuale di opere legate al nome di un autore e ad un genere scdnorio, è confemato ma anche in questo caso non senza riserve dalla tradizione manoscritta di cinqùe Seru?oni atti,btit,i a Serapi6n MadimirsLij, la cui eloquenza rliette, cento anni - - dopo Kirill Tirovski, il trauma subìto dalla Rus' con la conquista di Bàtyj. Anche di questo autore abbiamo scami, ma indicativi dati biografici. Sappiamo che fu a capo della più veneranda comunità moflastica della Rus', il Monastero kieviano delle Grotte, e che occupò in seguito, sino alla morte (1275), la cattedra episcopale di Vladimit I testi dei cinque sermoni sono trasmessi da raccolte miscellanee del XV secolo. Tematicamente si inseriscono nel motivo dominante del tempo: la deplorazione della devastazione della terra russa, voluta da Dio per punire i peccati della gente russa. Rispetto ai testi omiletici di Kirill T6rovskij, quelli del prelato di Madimir sono stilisticamente meno vari ed elaborati. Colpisce la loro brevità. E a questo proposiro nasce il dubbio se non sitratti ù una misura denara all'aurore da esigenze lirurgicopastorali. O non dovremo. anche in questo caso. tenere conro degli inrervend ù re dattori-compilatori? Non è improbabìle che i testi di Serapi6n, forse originalmente più diffusi, siano stati epitomizzati per farÌi aientrare |tr\ fi\is]ure starrilard., tnposte dalla strumfa potante delle sillogi che ce li hanno trasmessi. 5 La oita di Aleksàndr Névski.j Nello stesso anno 1240 in cui i mongoli mettevano a fefto e a fuoco Kiev, Alek" s6ndr Jarosl6viè, 6glio del gran principe di SÉzdal', signore di N6vgorod, sconfiggeva gli svedesi sulle rive della Nevà (da cui l'appellativo «Névslcrj») e poco dopo, nel 1242, ripeteva I'impresa contro i Cavalieri & Livonia dell'Ordine Teutonico. Le sue vittorie gli valsero la canonizzazione e a Sant'Aleksandr Nélskij, infatti, veranno dedicati secoli dopo il principale monastero di Pietroburgo e la cattedrale di Sofia. Nel Novecmto perfno il pubblico occidentale più ignaro di cose russe imparerà a cono, scerlo, grazie ad un farnoso film di ÉizenÈtejn. Nella tradizione letteraria medievale la Pane Paw - Czpitolo Semdo - 87 figura di Némkij dette vita ad un'opera che i codici tramrndano con vari titoli, ma che si è soliti indicare come Ztuié Aleks,indra Na)skogo (Vita di Aleksi,ndr Névskij). Della Vrta conosciarno cinque redazioni, di cui la più tarda risale al XVII secoÌo; 6no ad oggi ne è stata studiata adeguatamente solo la prima, quella di cui ci occu_ piamo. Per ciò che riguarda l'autore dello scritto che ha dato origine alla storia te_ stuale dell'opera, poiché egli dichiara di aver visto il <<sembiaote» del principe e di aver attrnto nouzie su di lui dai propri genitori, se ne è dedotto ttattarsi di ull contemporaneo di AleksAndrJaroslaviò, ma più giovane di lu1: fo§e un religioso di \4adimir-snzdal (di cui Névskij divenne nel 1252 gtan prlnape\ dell'ambiente del metropoJita Kirill. Iorigine di questo testo sembra pote$i 6ssarc intoho al 1280, Inol' tre per quel che concerne i rapponi fra prima redazione della Vita e Discorto sulla m ina della teta rzrsa, si è oggi propensi a credere siano accidentali, che cioè solo per caso il Discorso sia entrato a far parte di due dei tredici manoscrini che ci testi_ moniano questa redazione. La Vrra di Névskij è tuezz strada lM Bl,oE greco e narizzione agiografica e coniuga tmtti a prima vista^ tipici dr un racconto «mondano» corl quelli caratteristici della vita di un santo. Tutto questo ha fatto suppore a lùngo che alla sua base vi fosse una biografa secolare di Aleksàn& Jaroshviè. In realtà nd Medio Evo slavo onodosso un simile iipo di yrld di principe trova in Serbia, tra la (ne del )OI e f injzio del )([tr secolo, precisi precedentr, che a loro volta si insei§cono in un'ampia tradizione, il cui modello p(ò essere identificato coo la Vr'ra Cnnttarrtini dlEusebio da Cesarea. I-opera può esseae dlvisa rn quattro parli. La prima ha valore di inuoduzione: dopo ttn topos nodestia? dell'autore, vi troviamo l'affermazione già ricordata che egli ha conosciuto di persona il principe. Segue un rapido accenno ai gmitori di Névskij, dopo il quale viene formulata la chiave temauca mediante url rimando sclftturale a tsata D.23 (secondo la versione greca aftestata dal codice alessandrino: vedi D. Cmkovié 1986): «Io [DioJ creo i prìncipi, ché infatti sono consaoati, e Io Ii giudico». Aleks6ndr è sovrano legittimo perché voluto dall'Onnipotente e ispirate alla legge cristiana della moderazione, della carità e della giustizia saranno infatti tutte le sue azioni. Troviamo quindi un suggestivo ritratto di Névskij: Era la sua statura magsiore di quella degli altri uomini e la sua voce come tromba sulle genti, era il suo volto come il volto di Giuseppe che il faraone fece secondo sovrano in Egino. La sua forza era pane della forza di Sansone e gli aveva dato Iddio la saegezza di Salomone; il suo valore era quello dell'imperatore romano Vèspasiado. Con ciò termina Ia prima parte e la narraziofle entra nel vivo. APprendiamo che un nobile occidentale, Andrèaì' (verosimilmente ArdJeas von Falvm, Gtan Maestro dei Cavalieri di Livonia), si reca a conoscere Aleks6ndr come un tempo la regina di Saba si eta recata da Salomooe. Al ritorno Andlèa§ dichiara ai suoi di non aver mai visto ..un simile zar fra gli zar e principe fra i principi». Appresa la cosa, il re della <parte romana ddla terra del Nord» vagheggia di impadronirsi dei domioi & Aleksàndr «Brr-rciando di spirito guerriero» raduna infatti Ìrn grande esercito e «ebbro di dernenza», manda a dire al principe di N6vgotod: «Se puoi, fronteggiami, ché io sono già qui a conqutstare la tua terra». 88 - l'ficELE CoLUccr e Rrccdno PrccHro -L 1"rr.tututu delld RLr di'nd e iz,ztd Come nel caso dello §/ouo di lgor', ci ttoviamo dunque di fronte ad una manifestazione di insano orgogho che Dio, attraverso il braccio di Nér.skij, pùrirà inesora, bilrnente. Arnareggiato ma non intimorito, Aleksindr va a pregare nella canedrale di Santa SoÉja; invoca chi ha «creato cielo e terra e stabilito frontiere ai popoli», ordinando di vivere «senza invadere le terre altrui», suppJica l'Onnipotente di <<imbrac, ciare» «spada e scudo» e scendere in suo aiuto. E il soccorso divino non tarda a giungerfi: mentre l'esercito si prepara a combattere, una sentinella lasciata a guardia del litorale, il 6nno battezzato Pelgirj, ha una visione prodigiosa: Quando incominciò a sorgere il sole, udì ur fragore ternbile sul mare, e vide un legno di remi, e sopra di esso stavano i sarti martiri BoÉ e Gleb, in vesti pupuree, con Ie braccia l'uo sutle spalle dell'altro. Sedevano i vogatori come se fossero awolti & nebbia. E disse Boris: «Fratello Gleb, ordina di remare, per ponare soccorso al nostro congiunto, 51 principe Aleksturdrl». che muoveva a forza Confonaro dal miracolo, Névstij si fa incontro agli svedesi e, dopo un aspro confronto, li sbaraglia. Là dove non arrivano i suoi soldati, arriva un'altra spada, quella dell'angelo di Dio; il campo di battaglia si dempie infatti dei cadaveri dei nemici anche là dove i russi non sono riusciti a spingersi, sull'alta iiva della Neva. La successiva narrazione dei fatti militari ricalca fedelmente questo stesso schema. Dopo aver accennato alle prime vittofie del principe, nel 1241, contro i Ca valieri di Livonia, e in panicolare alla liberazione di Pskov già occupata daglì inva sod, si giunge alla desoizione della battaglia decisiva sulla riva del lago Péipus. Accecati dall'aftoganza non meno degrli svedesi, i Cavalieri proclamanoi «vinceremo Aleksàndr e Io cattureremo», ma queslultimo, circondato da valorosi fedeli, prode, saggio e benedetto dalla grazia divina come Davide, li attende a pié fermo: Era di sabato e al levani del sole si scontrarono. E tu strage crudele e rombo di lance infrante e fragore di colpi di spada, come se anche il lato gdato trasalìsse, e non si scorgeva più il ghiaccio perché era coperto di sangue. Névskij trionfa: di nuovo il Signore manda le schiere angeliche a soccorrerlo e gli concede di prendere prigioniero colui che supe.bamente aveva drchiarato: «vincere mo Aleksàndr e 1o catrurcremo». Seguono ancora pochi acceoni a ulteriori successi contro i lituani. Tetmina con ciò la seconda parte, dedicata al santo guerrierc. Le pagine successive ci parlano di Névskij la cui fama si diffonde ora «fino al Mar Caspio e al monte Ararat, lungo le rive del mar dei Variaghi e 6no alla grande Roma» come principe prc\,'vido e giusto, che soccorre i deboli, onora il clero, vigila pet -stomare dalla Russia nuove sciagure o per limitame le consegumze. Due sono gli episo& di maggior rfievo. Nel ptimo si descrive il viaggio di Névskij, nel f246, a Sarai dal l$an Bàtyj. B6tyi ha già sentito parlare di Aleksàndr ma quando fnalrnente può vederlo in pe$ona si convince che i suoi gli hanno detto la verità e dawero «non vi è un principe che sia pari a questo». Lo congeda perciò con grandi onori. Il secondo episodio oarra dell'ambasceria vaticana. Il papa invia in teffa di Russia i suoi due più saggi Po,k Pn^a - Cdp'toh Secodo - 89 caldinali perché Aleksàndr ascolti «il loro insegnamento sulla legge di Dio». Ma Névs§ replica ai loro discotsi dando prova di una mirabile sapienza teologica (<<da Adamo al &luvio [...J fino al primo e al settimo concilio conosciamo tuno bene») e respinge, con regale fermezza, le proposte latine. I-ultima parte della Vrla racconta la morte del principe, nel 1263. Reduce da una seconda missione a Sarài, Aleksindr si ammala gravemente a G6rodec e, sentendo approssima$i la morte, si affretta a prendere gli ordini monastici. Dopo il tmpasso, mentre boiari, clero e popolo sono in preda al dolore k<è tramontato il sole sulla terra di SÉzdal'», lamenta il metropolita Kirdl), il suo corpo viene trasporteto a 14adimir per essewi seppellito. E qui, durante le esequ.ie, awiene un memorabile miracolo (la cui topicità, tuttavia, sernbra suggerita da un episodio analogo narato nel PatetiÈktevimo): quatdo il metropolita e un suo collaboratore si apprestano a porre fra le mani del defunto un libro sacro, questi allunga un braccio e prende da solo il volume. La Vta di Aleks,l t Nashij evidenzia una compatt^ lonir,à tem tìca i de/ensot f/er, possente rampollo della stirpe benedetta da Dio a cur già apparteffrero Boris e Gleb, fa tutt'uno col saggio reggitore che a sua volta, alla vigilia della morte, abbandona i panni regali per indossare il saio dd monaco, quasi a ribadire che ogni gloria terrena è tale solo se sa urniliarsi di fronte all'onaipotenza divina. Nér,skij è assimilato in uno schema a Davide e a Salomone, rnentre gli svedesi e i cavalieri di Livonia esemplare di storia umana che rep)ica quella additata dalla scrittura appaiono come i Gentili, nemici del popolo di Dio. Non per niente i tedeschi vengono detti «senzadio» e, quando si parla degli svedesi trafitti da un angelo, chiaro è il rifedmento a SeruMcherib e ai suoi assiri atroieotati dal SignoreA questa compattezza tematica, malgrado confluiscano nell'opera cifre stilistiche assai diverse, fa riscontro ùna fondame[tale rmità formale. I modi della cronachistica o dei racconti di guerra, che abbiamo visti così efficacemente utilizzati, ad esempio, per la descrizione della banaglia del lago Péipus, si afEancano senza rilevanti solu zioni di continuità ai ,opol agiograici, questi ai passi più pacatamente espositivi sul buotr govetno di AleksÉndr Jaroslàvié. Contribuisce a ciò anche la presenza insistente di strutture isocoliche che, con la loro coerenza dtmica, fanno come da legante fra i vad motivi compositivi. La V/a ha anche ben percepibili connotazioni ideologico-politiche. Gli scontri òe essa enfatizza con gli svedesi e con i Cavalieri di Livonia furono nella realtà storica fatti aLrneno se paragonati ai conflitti con l'Occidentè dei secoli successir'r - importanza. Al lato opposto spicca invece il modo coD cur l'opera affronta di limitata il problema dei mongoli e del loro recente dominio sulla Russia. In effetti mentre, come si è visto, i «latLri» vengono trattati da senza&o, di Bàtyj si dice testuaLtnente: «h quel tempo vi fu nelle contrade d'Oriente un potente za! al quale Dio aveva sottomesso molti popoli». Nella taffigut^zione del khan dell'Orda d'Oro non vi è alcun tratto negativo: si tratta in sostanza di un saggio che sa riconoscere la grandezza di Nér,skij, congedandolo onorevoLmente. Il principe russo, poi, secondo il nosro agiogra{o, non è costretto ad umil.ianti atti di sottomissione, ma raggiurye Sarai solo per «visitare» Ie terre del Khan o,la seconda volta, per condurvi uattauve &plomatiche. Che nella realtà le cose fossero assai &verse è owio (va tra I'a.ltto ricor- 90 - l,ftcHxLE Corùco e tu cc Roo Prcc[to - 14 leuetutara dr a Ru'' di'isa e i,ua dato che N&skij dovette recarsi nella capitale dell'Orda non due volte, secondo qltaito affer,rla I^ Wta, bensi quattro), ma non è questo ciò che importa. Significativo è invece che, come ci testimoniano queste pagine, la classe dirigente della Rus' giudicasse allora la minaccia politico-confessionale dell'Occidente assai più grave dei darrri che infliggeva al paese il vassallaggio all'Asia. 6 Il frarnmento ordtorio sr4 «la rooina della tena rassao La tradizione degli studi ha abituato i lettori delle moderne storie lettera e a vedere trattato insieme cotl là Wto di Aleksdkdl NérrÀ, un breve frammmto testuale noto secondo il titolo del più antico dei due codici (dspettivamente del XV e del XVI secolo) che ce 1o hanno trasmesso come S/d/o o pogibeli Risfoja zenli (Di scorso [o Sermone] sulla rovifla della tema russa). In tuai e due i codici, che sono miscellanee dr tipo omiletico-agiografco, questo testo ricorre immediatamente prima della Vrla. Nel codice rccenziore,lo stesso testo ooÀ ha un titolo autonomo, ma è riportato sotto quello, generale, del componimento aglografico: Zùié blaiénaago ue- - - llkogo knllzja Alexàxdru latosltu'iéa xsed Ruii Néuskaeo (lita del beato gran prin cipe Alexàndr Jarosl6viò di tutta la Russia, [detto] Nér'skij). Eppure, non ostante questi dati codicologici, il Drirorso non semb.a essere connesso geneticamente con la Yita. Anche in questo caso, come in molti altri casi tipici della tradizione russa antica, le questioni flologiche impongono allo storico letterario tali e tante indagini prdiminari da compromettere un sereno giudizio di valore, Non solo il testo è incompleto e sospetto di alterazioni, omissioni o aggiunte da parte dei copisti, ma è anche intrin' secamente equivoco. I dubbi di lettura ne rendono problematica ogni traduzione. Sembrerebbe di poterlo rendere, a.lla lerera, cosi: O luminosamente luminosa e ornatamente adoma teffa ossa! Per molte bellezze tu sei mirabile, per i molti laghi tu sei mirabile, per i 6umi e per le fonti, per le venerande t?l montagne, per gli eni colli, per gli altì boschi, per le apene piane, per i meravigliosi aaimali selvatici, per gli svariati uccelli, per Ie imumerevoli cittadefle, per i grandi luoghi abitatì, per le meravigliose vigne monasteriali, per Ie residenze eccÌesiastiche, e per i pdncipi sevei, i boiari onotati, i molti porentari. Di tuno sei ricolma, terra russa! O giusta fede cristiana! Di qùi sino asli Unghùi e ai Lechiti, ai Cechi; dai Cechi agli latvigi e dagli Jawlgi ala Litùania, sino ai Germani, ala Carelia, ad Ustjug, 1à dov'etano i Toima pasani, e oltre il mare ventoso; dal mare sino ai Bulgari, dai Bulgari ai Bunassi e ai Ceremissi, dai Ceremissi ai Mordvini, tutto questo è stato assoggenato da Dio alla gente cristiana, Ie teffe pagane aI gran principe Vsevolod, a suo padre lurij, principe di Kiei a suo noino Volodimer nonché Monomaco, Paae Piaa - Capnoh Secodo - 91 i Cumani spaventavano i loro bambini nella cullar e i Lituari, dalla palud€, non si moctravano alla luce e gli Ungheri rinseffevano Ie Ioro rocche di pi€tra con pone di ferro perché il grande Volodimer non cavalcasse sin tra loro. E i Germani si tallegravam d'essere lontano, oltre il mare azzurro. I Bunassi, i Ceremissi, i Viada e i Mordvini raccoglievano miele per il gran principe Volodìmer e Manuil, signore di Costartinopo)i, avendone sran timore, glì mandava cospicui doni afGaché il gran principe Volodimer non sottom€ttesse Costantinopoli. Ma in questi siorni è soffererua per i cristiani. DaI gmnde Jaroskv a Volodimer, e sino all'attuale Jaroslàv e a suo fratelo lurii, principe Volodimeriaro... con cui In realtà, una simile traduzione non è «obiettiva», in quanto si basa, per necessità critico-interpretativa, su scelte di letnrra che eliminano le ambiguità. Nel testo russo antico, l'elencaziofle delle bellezze della terra russa si articola in un modo da non far ben capire se l'aggettivo qualficante vada prima o dopo ogni sostentivo quastantivo plurale «fonu», non si sa bene che cosa voglia dire. Semanucarnente, sern bra riferibile tanto a .<fonu» quanto al sostantivo seguente, <<montagne». Se, invece di «venerande [?] montagne», leggiamo «fonti venerande», possiamo continuare la lemlra di tutto il passo mettendo gli aggettivi nofl più a sinistra, ma a destta dei sostantivi. Avremmo così, dopo «fonti venerande», «montagfie erte», e poi «colli alti», invece di «erti colli»; «boschi aperti» (<aperti», d'altra pane, potrebbe essere boschi»; «piane corlelto, cofi mi[ima congettura grafrca, in <(folti»), invece di "alti piane»; «aperte «animali svariati», invece di «me meravigliose», iavece di selvatici ravigliosi animali selvatici»; <<uccelli innumerevoli», invece di «svariati uccelli»... e co6ì via, senza ottenere, Ieggendo nell'uno o nell'altro modo, enunciazioni chiaram€ote inaccettabili: il che, fta l'altro, rende perplessi sulla qualità di un'aggenivazione che, nella sua topicità, sembra perdere un po' troppo della propria virtù sigaifrcante. Altri dubbi, semprc di natura sintattico-semantica, non mancano nel resto del & cose sembta imputabile alla segmentazione paratattica molto passo. Questo stato .apena», che porebbe forse essere meglio ifitesa se riuscissimo ad evidenziarvi si orre *griglie» testuali, come I'iterazione ritmica o la disposieione patallelistica (con i cossueti elementi di isocolismo accentuativo), nonché inserti e cuciture compilatorie. II testo mostra infatti tali segni di elaborazione redazionale che ci sembra inoppor_ trmo il volervi riconoscere con sicurczza rÌ disegno composiÉvo di un autore origi_ oale. non dell'inteto fiamrnento nella forma in cui ci è giunto, almeno del materiale testuale di base, giova indubbiamente il riferimento, nelle ultime righe, ,ll'« attuale Jaroslàv », che è anche menzionato nel titolo del codice più antico: «Discorso sulla rovina della terra russa e in morte del gran principe JaroslÉvr> \Slooo o poglbeli Risleja zetnli i po smerti oely'kogo kxiézja laroshlal. Si trana di Jaroslàv VÉsolodovic 1119l-1246r, padre di Àteks6ndr Nér,skij e gran principe di Madtmir d l22S a\ 1246. È lecito suppore che, in quegli anni tragici dd XIII secolo, il ri<ordare e le glorie e le prosperità del passato, contrapponendole al triste presmte l.Ma irI questi giorni è sofferenza per i cristiani») cosutusse una specie di risposta ryirituale della Rus' cristiana all'invasione tatam. Non altrettanto sicuro potrebbe in' rcce risultare il collegamento semantico originale fra questa specie di lamento e 14 Alla datazione, se 92 - l'ftcEErE Colùccr htdatio della terra e nrcc RDo PrccHro lz lcuerat,Ì..lelh R s' dioiw e ìsrav russa, contenuta nelle prime righe del frammento (da .,O lumi- nosamente luminosa...» a <<... Di tutto sei ricolma, terra russal»). Per sapere se e come il testo a noi noto si inserisse tematicamente in un <<Disco$o» (Slouol rncentrato su.l motivo della <<rovina ddla terra russa», o se il riferimento alla <<sofferenza>> lbolézx') di «qllesti giomi» costituisse uno spunto marginale, bisognerebbe disporre non di un frammento, ma del testo complero. Sin dalla prima pubblicazione da parte di Loparèv nel 1891 di questo D,(che però era già noto all'archeologo di Pskov K. G. Evlent'ev sin dal 1878), rcorro più di un critico è stato colpito dalla solennità epica, che induce a scorgere richiami a possibil.i fasi perdute della stessa Eoritura poetica a cui si \,'uole icondurre lo J/opo /?gor'. Ceno, l'impressione come di un insolito scintillio retorico fra il grigiore di altre opere presumibilmente coeve, non è ingiustificata. Non è deno però che, per non fat svanire tanto consolante impressione, occorra postulare una trasmissione testuale compatta, trascurando la possibilità che questo breve testo sia frutto di attività compilatorie, o cercando ad ogni costo l'impronta di un singolo genio inventivo. Se, invece di concentrarci troppo sull'ipotesi di un autore individuo che, nel )CII secolo, avrebbe «cantaro» più o meno alla pari con gli scrittoti-poeti di Grecia o d'Occidente, ci dedichiamo pazientemente all'analisi delle varie, e non perfettamente amalgamate componenti tematiche e formali di questo significativo frarnmento, possiamo ar.wicinarci sempre più alla ricetta segreta di non poche elabotazioni testuali del Medioevo russo, il cui ingrediente più fascinoso sembra proprio essere il fondersi di diverse voci ed età. Il fatto stesso che il Dricoro sulla rooixa della tena russa,benché tematicamente autonomo e probabilmente distinto geneticarnente ddla Vita di Alehstixù Néaskij, sia xato (rnzionalmente legato a questo compimento agiografico da più di un redattore-compilatorc, sembra confermare una norma generale della cultura scritto a rrussa antica per cui ogni testo poteva essere percepito come capitolo dell'unico gran libro della storia ctistiano-onodossa. - - Daniil Zatdénih La diffrcoltà di arrivare a conclusioni certe di fronte a problemi quali la paternità di un'opera, la sua collocazione nel tempo e nello spÀzio, Ia distinzione fra ciò che è materiale testuale primitivo e quel che è invece frutto di aggiunte e modifche posteriori, tipica di tanta parte della letteratura russa antica, sembm rappresentata esemplarmente anche dag)i scrini attribuiti ad un non meglio identifcato Dar;,llZat6Èr,:k, e cioè Daniil «il reduso», <<il prigioniero'. Si uana & un'opera giuntaci in cinque varianti testuali: .!/rjzo (<<Discorso», «Sermone»), Molézr'e k<Supplica»), più le tre Pdte Pxin -Cdprtoto Se@sdo -93 ua cosiddette Percdéllei («Rielaborazioni»), ddfo Sl6oo e due dd Molénie. Possiamo smz'altro tralasciare le Peredélki, tardt e scialbi rifacimenti a carattere mafcatamente gnomico-didattico delle due redazioni principali, e concentrare la nostra attenzione st Sùiao e Molénie. Anche se le diffetenze fra questi due tesri sono notevoJi, perché il Molénie è, fta l'altro, molto più ampio, essi condividono una fondamentale unità tematica: in so' stanza si tratta della supplica che l'autore, Danifl, rivolge a un principe per invocarne la protezione. A lungo si è discusso sulla storicità e l'identità di Danifl, partendo da.lI'unica indicazione concreta che offre l'opera, vale a dire il passo in cu l'autore afferma di essere «recluso» (ma l'espressione potrebbe avere un senso traslaro) presso Liée Ozero. Le varie ipotesi che sono state fatte appaiono però tutte arbitrarie, quando non fantasiose. Gli unici dati certi sono che una tradizione secolare ha vrsto ll'd)a forma verbale rcdjà (letteralrrente «sedendo», nel senso di essere privato della libertà di movimento, ossia <<essendo prigiofiiero») un'allusione ad una prigione fisica, e che il personaggio Danifl dovette godere di grande popolarità se, a proposito di Liòe Ozero, alcune cronache sentono il bisogno di aggiungere «dov'era Danill Zat6énjJ«>>- Considerazioni analoghe vaÌgono per il principe destinatario, che per lo Slòoo è stato identificato di volta in volta con Jaroslàv Madimiroviò, pronipote di Madimir Monomàch e alla fine del )flI secolo signore di N6vgorod; con Andréj D6bryj, figJio di Madimir Monomàch e principe di Perejaslàv' Jfinyj, con Jùrij Dolgori:kij o con suo 6glio, Andréj Bogolinbsful; e per I Moléaie con Jaroshv Vsévolodoviè, signore di Perejaslàvl' Zaléskij tra tl 1221 e l236.ln rcaltà, se teniarno presenti Ie carattenstiche dell'opera che, come vedremo, tutto lascia ritenere si sia stratificata attomo ad un nucleo compositivo primitivo (e a ciò si aggiunge che i codici che la tramandano sono posteriod di a]meno tre secoli aÌla sua probabile data di composizione), si comprende l'aleatorietà di simili supposizioni. Nessuno garantisce infatti che i nomi o gli appellativi, con cui nei testi si allude al principe, non siano frutto di interventr poste- I riori di copisti'rielaboratori. Questione complessa è anche quale fra le due redazioni sia servita da fonte te' m.rale per l'altra. Fino all'inizio del Novecento era opinione corrente si trattasse dd Molézre, successivamente questa valutazione è stata da parte dei più capovolta, e solo di recmte alcuni specialisti, in particolare sovietici, mosEano di considerare il problema, se non irresolubile, irrisolto. Natutalmente è impossibile esprimere in materia giudizi perentori. Gli argomenti portati a suo tempo a favore della seriorità del Molérìe non pare però che siano stati validamente controbattuti. Essi consistono sia nd tipo di società che ttasparc da7 Molénie, sia nello spezzettamento compositivo o nell'ipenroÉa & questo o quel motivo tematico che essa attesta, di fronte alla mag giore organicità e consequenzialità dello S/rizo. In coflclusione, allo stato attuale degli snrdi, sernbra ragionevole collocare lo.t/drD nella seconda metà del )([I secolo e considente i Molénie posteriore di circa un cinquanterurio. Occupiamoci innanzitutto dello J/rizo. Si è detto che, tematicarnmte parlando, si tntta di una supplica. Danill dichiara la propria condizione è indigente, derelitto, offeso da tutti e nello stesso tempo vanta le sue qualità-di uomo saggio e aweduto, invocando- la protezione del signore della città e promettendogli in cambio preservigi. Esdude poi che vi possano essere per lui, fuori della benevolenza del "i6i - MrcHElE Coruccl e njcc^oo PrccHro - Iz /erretutard delh Ras' dn i e intdM principe, altre vie di uscita dal proprio stato di indigenza, in particolare quella di sposare nna donna ricca, ma brutta e malvagqa. E I'affermaÀone dà origine a una lunga tirata misogina. A colpo d'occhio scolgiamo in queste pagine turti gli ingfedienti consueti, nel Medio Evo europeo, a simili testi. Anzitutto l'adulazione del signore: «La primavera orna & 6ori la terra e tu vivfichi tutti gli uomini coo la tua misericofdia»; <<Principe, mio signore, Mostrami il sembiante del tuo viso, òé dolce è la tua voce e leggiadro il tuo aspetto, miele stillafio le tue labbra e una tua missiva è come tm giardino colrno di frutti». Poi il lamento sulla situazione del supplice, sulla misera sorte che lo artende se il prhcipe non lo gratifcherà della sua benevolenza: «Si dissipò la mia vita, come quella dd re dei Canarìei per empietà e mi ricoprì povertà come il Mar Rosso il Faraone»; «Abbi pietà & me, figlio del gran sor,'rano Madimir, perché io non debba piangere gernmdo, come Àdamo, il paradiso, manda una nube sulla terra della rnia miseria»; «Principe, mio signore! Salvami da questa poveftà, come il carnoscio dalla rete, come I'uccello dal laccio, come I'anatroccolo dagli anigli dello sparviero». Infine I'elogio delle proprie virtù, dei meriti dell'uomo savio: «Signore mio! Non guardare al mio esteriore, ma guarda irlvece ciò che v'è dentro di me. Cùé io infatti di vesti sono misero, ma di ingegoo dovizioso». «Se con un buon consigliere il principe si consiglia, guadagnerà un alto soglio, ma se con un cattivo consigliere si consiglia, perderà anche quello più piccoÌo». Accanto a questi elementi, più o meno topici, ve ne sono tuttavia altri che rendono lo scrino dani iano on unican nel suo genere- Il primo è l'uso rutto particolare -delle citazioni o dei riferimenti scritturali. Si è visto il valore che ha il referente biblico nella letteratura russa artica; da tale punto di vista anche lo J/duo non fa ecce, ziooe, dato che, ad esempio, all'inizio del testo possiamo individuare la <<chiave tematica» biblica nelle parolq «il cuore dell'uomo assennato si corrobora nel proprio corpo & bellezza e di saggezza» (Prov,1,2-6). Più sovente il riecheggiamento scrit, turale assume un valore puramente enfatico-esomativo, al limite dell'ironico. Cosi, nel frammento già citato, la povenà ricopre Danifl «come il Mar Rosso il Faraone», ed è poi l'intero passo a suoflaie come una paradossale parafrasi del Saberio: <Sorg; mia gloria, sorgi nelle arpe e nelle cette: solgerò all'alba, ti glorificherò: possa io spiegare in parabole i miei enigmi e proclamare fra le genti la mia glorial». Danill del resto si paragona al fico maledetto del vangelo che non ha «frutti di pentimento», afferma di essere fuggito «dal cospetto della mia miseria come Agar la schiava da Sara sua padrona» e, per esaltare le qualità del principe, oon esita a dcoùere alle fitetafore del Caktico dei cantici. I1 secondo elernento specifco dello J/<iao è il suo largo ricorso, in un simile contesto, ai «proverbi profani» (e qui l'aggettivo <<profano» è in chiara opposiziotre al dettato scritturale). Si trana in altri termini di quella zona più o meno contigua alla creazione folclorica che pouemmo defnire della «saggezza popolare» detti, pro- han belle verbi, apoftegmi di cui Danid si serve in conrinuazione: «Quelli che vesti hanno anche- eloquio onesto»; <<Nessuno può mangiar sale, né acquisrat seDflo nel dolore»; «Servendo un buon signore si guadagoa libertà, ma serendo un cattivo signore si guadagna più schiavitÉ»; <<Non seminare segala ndle prode dei campi, né saggezza nei cuori degli sciocchi»; <<Non è animale domestico 6a gJi anima.li dome- PdiP Ptitu - Cnbnok Setudb - 95 stici la capm, né fiera tra le fiere il riccio, né pesce fra i pesci il granchio, né uccello fra gli uccelli il pipistrello, non è uomo fra gli uomini colui che la propria donna domina». Deriva essmzialmente da questo se l'opera danifliana, ad rm'analisi testuale approfondita, mostra abbastanza chiarammte le tracce di successive stratificazioE compositive: evidentemente l'elemento gnomico che vi è Lnmanente provocava i copisti-rielaboratori all'aggiunta, allkarricchimmto» più di quarto awenisse in altri casi. Accade così che alcune sentenze dello .t/dro si rivelino fuicoerenti con l'assunto da dimostrare o, addirittura, entrino in contraddizione logica con precedenti affermazioni. Ed è probabile che buona pane del passo misogino sia il risultato di una arxpbrtcado che ha attinto , piene mani ai «classici» di questo patticolare tipo di letteratura. Lmciclopedismo, il riecheggiamento & una lunga serie dr testi della let_ teratura kieviana, ddl'Izkjrnik del 1076 alla Croraca degli and pass,lti, è dd rcsto una delle caratteristiche salienti degli scritti daniiliani. Se a questo punto ci chiediarno cosa permetta, ad dementi variegau ed eterogenei come quelli che abbiamo visto, di convivere amonicammte all'intemo delI'opera, cosa assicuri la sua compatta ed inconfondibile unità, dovremo rispondere: I'organizzazione stilistica della pagina. Essa si basa su urr tessuto di rime, assonatìze, allitterazioni intrecciato ad anafore, paronomasie, giochi di parole di ogni genere che è impossibile rendere in traduzione. Il tutto sorretto da una sapiente, talvolta raf6_ natissima intelaiatura ritmica. A proposito di quest'ultima va osservato che Ie strut_ tule ritmico-sinrattiche di tipo isocolico frrngono qui come da reucolo portante in cur si inseriscono detti e proverbi, a loro volta dotau di una propria logica ritmica. La prosa dello S/riao appare così quasi come la risultante ultima di un elaborato sistema dr spinte e controspinte ntmiche; non per niente essa tende a disporsi in membri simmetrici, evidenziati da opportune marcature foniche e morfologiche. Ecco uno dei tanti esempi di questo ripo di anicolazione sintattica: Ma qaando tt ùiett dt mohi c*,i, ra, nentati di ne che mangio pan secco; o q alrdo be,ti éolce bevanda, rannextati dì ne che bevo tiepida e polvere caduta da un Iuogo non vetnlatol qaaxdo iposi su morbidi giacigli^c$à soao coltri di zibell.no, / neetati di ne c\e §ofto u ùrico straccio giaccio e muoio di freddo e con le gocce di pioggia come con frecce il orore mi tra6ggo. Rispetto allo S/dao, il Mollzre evidenzia lo stesso tipo di canovaccio tematico,le stesse caratteristiche stilistiche, ma anche rilevanti differenze compositive. Sia l'elogio del principe, sia l'esaltazione delle virtù del supplice appaionò ad esempio enfatizzati, talora sino ad una fastidiosa ripetitività; più in generale si osserva una dilatazione di tutti i motivi tematici dello J/rjao, con I'unica eccezione del passo misogho, radicalmente accorciato. Colpisce inoltre Ia ptesenza di un elemento totalmmte cstraneo all'altra redazione, la contrapposizione del principe ai bojarir Principe, mio signore! Sono stato in grande indigenza e sotto il giogo servile Lo soffeno; Rrto ciò Lo sperim€ntato quanto sia crudele. Meglio pet me vedere i miei piedi ir pezze nella tru dimora, piunosto che io rossi calzari in un palna: li boian. Meglio per me servire in ccaci te, che non vestirc porpora in un palazzo di bofari- 96 - ì'ficHlLE CoLUccr e RrccarDo PrccEro - L /ere/.t"/a de a Ra' d;lita e i"bdsa IÌimpressione è cLe siamo di fronte ad una società già più feudalizzata di quella che delinea Io J/ciao, nella quale in ogni caso il principe e la sua corte occupano un posto centrde: Principe, mio sisnorel lJaquila è sovrana agli uccetli e lo storione ai pesci e iI leone alle 6ere e tu, principe agli abitanti di Perejaslavl'. tr Ieone russisc€, chi non si sPaventa? E se tu apri bocca, chi non La paura? Come infatti it serpeote è rerribile per il suo sibilo, così arche tu, princip€ nostro, sei miDaccioso per moltitudin€ di armati. Curiosi e suggestivi da questo prmto di vista sono i vaghi echi di tadizioni ludiche, occidentali ed islamiche, che giustamente Danifl collega alla vita di corter Princip€, mio signorel t...1 cava.lieri, maestri, duci t...1 acquistano con ciò onore e benevolenza presso i sultani pasani e presso i re. Questi, balzato su un destriero, corre per I'ippo dromo in spregio ala vita; quello vola da una chiesa o da un atto palazzo con ali di stoffa; altro, nudo, si getta nel tuoco, mostrando la saldezza del suo cuore ài propn sovrani . u Malgrado la grande quantità & studi che le sono stati dedicati, l'opera daniiliana continua a restare una delle più enigmatiche della letteratura Lieviana. Lo dimosta eloquentemente la diversità di opinioni fra gli specialisti che hanno tentato di sinte_ tizzame carattere e scopo ultimo. Per alctrni, il suo valore si restringe ad un ambito sostanzialmente autobiografico, per altri essa rappresenterebbe tovece una satira, aspra ed esilarante, diretta conto gli strati superio della società. Per altri ancora l'autore sarebbe piuttosto il portavoce de1 concreti interessi della dasse cui apparte_ neva, quella dei cortigiani, dei servi del principe (lo S/rizo) o, all'opposto, la piccola nobiltà stanca delle lotte fra i rjurikidi e desiderosa di un potere statale fone: il Mo/éar'e. Né manca chi vede in Danifl il prototipo del déracixé, delfiregolare sociale o, rifacendosi a una fomulazione ctitica & Belinskij («Daniil Zatoònik eta una di quelle personalità che per loro sventura sono troppo intelligenti, troppo dotate... che parlaoo 1à dove sarebbe meglio tacere e tacdono dove sarebbe vantaggioso parla_ re»), fa di lui prima di ogni altro un intellettuale, cnuco verso l'intera società che 1o circonda. È possibile che in J/dzo e Moléxie agiscano tttti questi elementi di ordine ideologico-culturale e, al limite, alÈi ancora, ma è proprio la loro compresenza ciò che rende più perplessi. In sostanza questi testi sfuggono ad ogni precisa classificazrone che prescinda dal loro aspetto fomìale, dalla scalrita consapevolezza letteraria di crti sono testimoni. Pertinente risulta allora, almeno da un punto di vista metodologico, l'ipotesi di D. S. Lichaèèv, che collega J/dzo e Molénie d)a ttadizior,e de§i shomoù' della Rus'. Di es§a o, a seconda delle circostanze, i giullad cAl, e cioè i buffoni sappiamo in ealtà ben poco, ma è indubbio it suo carattere anomalo rispetto ad una cultura così rigidamente strutturata entro gerarchie ideologiche, entro una visione del mondo coerentemente teleologica qual era quella russa antica. Lr ultima analisi, col suo stare a mezzo fÉ tradizione popolare e livelli stilistici dotti, messaggio intel_ lemrale diretto a 6ni concreti ed elemento pummeÀte lu&co, Danill Zat6ènik si col_ loca anch'esso nell'ambito di una <.anomalia consapevole». È anche questo a spie- Paùe Pnm - Capirolo Se@da -97 gare il successo dell'opeÌa, amofosammte trascritta e rielabomta per seco]i e secoli. Ed è emblematico che '1. Molénie si conchda con accenti, oscuri e accorati, collegati con tutta probabilità allo spettro dell'invasione mongola: Non dare, Signore,la tema nostra in cattivirà a genri che non conoscono Dio, aIfinché gli sranieri non dicano: <ov'è il loro Dio?». Il nostm Dio infatri è in cielo e in tera. Dai loro, Signore, vittoria su quanti si levano contro & noi! Tra non molto quel tanto di civiltà cortese espresso dalla Rus' kieviana (e cui in qualche modo, si collega) sarebbe stato senza dubbio l'opera di Daniil Zat6ènik, spazzato dagli eserciti asiatici di Baryj. 8 Il Libro dei Padri del Monastero kieoi.ano ilelle Grotte Si è detto spesso, soprattutto nell'Ottocento, che la voce letteraria più suggestiva e forse più genuina della Rus' medievale ci è tnsmessa dal Pateik (corrispondente al gr«o Pateikin, ossiaL$ro di oitae patum) de) Monastero kieviano delle Grone. Le cigini di quest'opera risalgono al primo ventennio del XII secolo, ma la storia della XV Il lettore modemo, anche in questo può crso, o impegnarsi nella ricerca degli stati compositivi più antichi oppure accettdt I'intero Prrely'É, così come ci è pervenuto, nella sua <<medievalità» plurisecolare. Noa si tratta di una raccolta esclusivafimte agiografica, ma di un insieme di doslra elaborazione testuale si estende al secolo crmcnti e di storie più o meno edficanti e fantastiche riguardanti la fondadel Morustero delle Grotte, il crescere della sua fa$a, le opere e i vari mfuacoli "ime dd sroi membri (dagli abati più illustri ai monaci più umili), i rappotti con i poteri -coleri nonché con l'intera famiglia cristiana della Rus'. Le «storie dei padri» costimÈcono la parte più viva del libro e la più poetica. La presenza di altri testi, coofluiti qoi secondo gli schemi generali della compilazione cronachistica, consiglia tunavia al hore rm'attenzione più anicolata & quella che sarebbe richiesta da un ipico Pate- rib6r di tradizione - - greca. AIle origini dell'opera v'è una epistola di Sim6n, vescovo di Suzdal' e di \4adimir t l 1214 e i 1226, monaco alle Groce & Kiev. Sim6n, che proviene lui *rso dal Monasteto ^Polik6rp, delle Grctte, dmprovera al confratello Polikàrp di bramare po' sirini di prestigio, come quella da lui stesso otteduta. La vecchia, santa, umile vita dEotuale è molto meglio, dice il prelato che ha ormai fatto carriera. Di qui un ch3io del mondo monastico kieviano che, nella convenzione eplstolare, si dilata in esearplari. Sim6n racconta le sue stode e raccomanda a Polikarp di racco-tDrÉe raccontarne altre aocora. Polikàrp ascolterà la voce ispiratrice di Sim6n e, tloe 98 MTCEEL! colùcd e Ìrc.,l@o Ptc.Hlo -Iz letteruttru delb Rut dioisd e;i'o'a dopo la morte di questi, riporterà alre meraviglie dei monaci del tempo antico ad Alindin, egumeno delle Grotte (morto nel 12J1). In questa narativa epistolare di Sim6n e di Polikary si suole scorgere il primo nucleo tematico dell'opera. Ciò non sigoiÉca, tuttavia, che si tratti del materiale piu antico. Successivi compilatori aggiunsero tesu & prestigio già allora più che secolare: dalla Yita di Feodosij del monaco Nestor ad una serie di <<Racconti dei Monaci del Convento delle Grotte», già indusi nella Sronà degli axni passati. 17 Patetlh si tormò lentamente, sia nell'ambimte del Monastero delle Grotte, sia in altre pani della Rus'. La prima «redazione» completa a noi nota dsale al 1406 e fu don-rta ad Arsénij vescovo di Tver' (reilazione arseniana). Nd 1460, al Monastero delle Grotte, fu messa insieme (soprattutto per opera del monaco Ak4'kij) la cosid_ dettz pima rcdazioxe kasjaniaru, àal nome diKasjàn, che ne fu promotore. Lo stesso Kasjan, un paio d'anni dopo, si occupò direttamente della secoxcla redazione kasja' ttidrra.lnl^rlto lncofiinciava a circolare, nel Nord della Rus', anche una versione abbteviata dell'intera raccolta, nota come rcdaziofle di Feoùisi. Oltre che da queste tappe essenziali dell'elaborazione manoscritta, la storia dell'opera è sigrrifcativamente illustrata da una serie di edizioni a stamPa a partire dal X\llI secolo. Lattmzione Aedrcata aL Pateik Hedano già dagLi eruditi secenteschi delle tetre rutene, sullo sfondo di polemiche rdigiose tipiche dell'età tardo umanisuca, è un dato culturale di estremo interesse. Si direbbe che I Pateik del Mona' stero Lieviano delle Grotte, grazie alla continuità della sua presmza spirituale nella vita locale, ossa grazie alla sua particolare rutenicità (o «ucrainicità» che dir si vo_ glia) si sia sottratto al destino complessivo della letteratura «russa anuca», contr nuando per questo a vivete. dal Medio Evo all'età umanistica e a quella modema, senza essere dimenticato e senza bisogno, quindi, di essere «riscoperto». Mentre gli a partire da una ptima edizione polacca del 1615 sino a stampatori secmteschi quelle realizzate presso-1o stesso Monastero delle Grotte negli arìni 1661, 1678 e 1702 ne inserivano l'antico messaggio nella cultu-ta religiosa contemporane4, altre redazioni e rielaborazioni dell'opera restavano in manoscritto. È questo i1 caso dd rifacimento secmtesco, in slavo ecclesiastico di redazione ucraina, ad opera dell'ar_ chimandrita kieviano Josif Tryzna, in collaborazione con Simon Azat'in, monaco della Lavra della Trinità e di S. Sergio. Il Parerl,è cortinuò initrterrottammte non solo ad essere letto e diffuso, ma anche a subte interventi redazionali sino a quando, dopo che già era entrato nelle edizioni sinodali moscovite ed era anche slato tradotto in russo moderno (nel 1870 e nel 1897), divenne oggetto di vere e proprie edizioni storico-flologiche, da parte prima & V Jak6vlev nel 1872 e poi di D. Abram6viò nel 1911. Bisognerà tefler conto di questa ininterrotta accessibilità anche per valutare ia tolJ, gt^ndi personalità fomrna speciale dell'opera, di cui si dissero ammir^ti ^pptezz E M. Dostoérskij. da A. S. Pù§kin a della letteratura ottocentesca, Non c'è dubbio che, non ostante la lunga !'lcerrda testuale dell'opera, non poche seziori del Pateik ct riportano appieno, possiamo dire «difettamente», nell'atmosfera della Rus' pre-tartatica, ai tempi di Sim6n e & Polikàrp. ln questo contesto, la stessa voce di Nestor, quando descrive la prima formazione del monasteto (Skaz,inie èto ràdi proedsja Peéénkij maaastit', «Rtcconto del perché il Monastero si chiamò delle Grctte»\, o qtando narra in molte belle pagine Ia vita e i miracoli del fondatore Parb Pntu - Capnolo Seconào - 99 Feod6sij, suona già antica, così come porevano percepirla gli uomini del XII secolo. tempo antico fa qui ancora pane deÌla memoria. «E così» leggiamo in una delle piune uitae patrun della raccolta <<c'era anche un altro fratello, di nome lereméja, che ricordava il battesimo della teta della Rus'». Quel contemporaneo di Madimir jl Grande ci appare già tanto imbevLrto della Grazia da potere agite miracolosamente, in uno stile che richiama i prcromodelli agiografci delle storie dei Padri d'Egino. Le meraviglie dei monaci delle Grotte sono frutto di una fede perfetta, coltivata in totaÌe semplicità evangeJica. Molte storie potrebbero essere citate come tipiche di quell'atmosfera di beata umiltà. Il monaco Marko, che deve scavare a grar, (aticaloculi mortuari nella pietra delle Grotte kieviane, non sempre ce la fa. Una volta il loculo è tanto stretto che, fattoci entrare il cadavere, non si atriva a somministrargli I'unzione. I1 mono, allora, su richiesta del buon affossatore, si prende da solo l'olio, se 1o passa in segno di croce sul volto e sul petto e si ri&stmde senza crcare altte complicazioni. Un altro confratello muore troppo presto, quando Marko sta ancora alle prese con la fossa. Marko allora gli manda a die: «fratello, rirnani desto ancora rm giomo, e muori domani». Anche questa richiesta è accolta di buon cuore. Con un po' di comprensione e di buone maniere, i problemi det candido becchino ritardatario fniscono sempre con l'aggiustarsi. Il soffermarsi esclusivamente su queste scene aureolate non ci aiuterebbe però a cogliere appieno il messaggio di trn'opera che è anche foote di informazioni, non stmpre altrettanto edficanti, su.lla vita politica, ecclesiastica, pastorale della rocca, 6orte del monastero kieviano. I monaci delle Grotte erano spesso chiarnati a farsi ponavoci di aneggiamenti ideologico politici. Si legge, tra l'altro, nd. Paterik, che ptincipe lzjaslàv Jarodàviò si recò un giorno dal venerato Padre Feod6sii e gli chiese d iltustrargli la «fede varjaga». «Varjaga», ossia <<varangica», <<normanna» r,uol dire in una tipica forma di pan pro toto ln prospettiva locale, <<latina>>- Si tratta della 11 - - I qi di,i-nità occidentale. La risposta atrribuita a Feod6sij è una diffusa invettiva. I <C,ri*iani» (quelli veri, ossia gli Slavi ortodossi della Rus') non possono avere nulla dr qrartire con quei Varjaghi, carichi di molti e turpi peccati: Ai Cristiad non è leciro darc loro le proprie 6glie in ispose, né riceverli presso di sé, corl loro o diventare loro compari, scambiare con loro baci, mangiare con loro o tac òIlo sresso recipiente. Perciò, a chi ve lo ctrieda, date sì da mrngiare in nome di Dio, Ei lorc recipienÌi, e s€ noo avessem un recipiente, dategliene in uno dei vostri, ma poi e dite una preghGra. 4rzll-'si -Ldo Favore cristiano, dunque, ma nutrito da uno zelo settaiio tanto crudo da far E _rt mme esseri impuri i correligionari di diversa obbedienza. I1 mescolarsi delle uimi di «varjago» e di <latino», su uno sfondo di intolleranza estesa owiamente d..gli Ebrei, pona a conclusioni, alrneno fomalmente, bizzare: Àattrsa e tunesta è la loro fede; le cose che fanno Ìoro nemmeno gli Ebrci le faano. I L-, i{ci, hanno e il Vangelo e L4prirtol e le sante immagini, e vanno in chiesa, ma la loro Échhro legge sono impure. Con la mohirudine delle loro eresie haano profanaro rutra la Ér. Fiùé in rutra la rerra vi sono Varjaghi. l0O -- MIctBr,! CoI-uccJ e ?ncc^rJo PtccIlr.o - Iz lettdaratu ddk R"! diùtz . i@atd È una visione taoto più angusta qùaoto più tende a generalizzarsi, uo roodo di peosare e & agire che ci svela uq Medio Evo slavo otmdosso (come del resto di tante altre zone della cristianità sia orietrale &e occidentale) moho meno idillico di qudlo ammirato, attravetso altte pagioe di questo libro, da un uomo illuoinato come A. S. Pdiltin-