Giulia Caminada, La propria terra come pedagogia. Didattica del

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Giulia Caminada, La propria terra come pedagogia. Didattica del
La propria terra come pedagogia. Per una didattica della cultura locale
Giulia Caminada
RELAZIONE CONVEGNO
DIALETTI E RICERCA
Tradizioni e lingue
della provincia di Como
Provincia di Como
Assessorato Cultura
Istituto Comense
per il Dialetto e le Tradizioni
Villa Erba di Cernobbio, Como
Sabato 13 dicembre 2003
Benché i problemi relativi all’educazione tocchino direttamente ogni persona,
nelle istituzioni scolastiche è sempre stata dominante un tipo di didattica
intellettualistica ( che matematicamente ignora le esigenze educative più concrete di
bambini e adolescenti) o una maniera “sentimentale” di intendere e di realizzare
l’insegnamento scolastico ( che inevitabilmente porta a un insegnamento “artigianale”
- nel senso più limitativo del termine -, a una sorta di bricolage scolastico ). Questo
avviene oggi, però, sullo sfondo di grandi mutamenti culturali e sociali che
inevitabilmente sono strettamente connessi all’agire educativo. L’esperienza cognitiva
ed affettiva di individui che abitano un pianeta diventato società globale è sempre più
dilatata dai ritmi accelerati del cambiamento in una misura che non ha paragone con
nessuna cultura precedente dell’umanità. In passato, individui e gruppo fondavano la
continuità della propria esistenza su punti di riferimento stabili che oggi sono venuti
meno e la ricerca di dimora dell’identità è diventata vicenda comune. Il mutamento
incalzante degli eventi e delle relazioni apre all’individuo la complessità e l’incertezza,
costringendolo a mutare forma restando se stesso. La vita quotidiana porta i segni di
questa tensione irrisolta. Le potenzialità e le incertezze di un mondo
incommensurabilmente grande bussano pressantemente alle porte dell’essere che si
trova sempre più bombardato da un villaggio globale che continuamente sembra
minare i fondamenti dell’identità individuale e sociale1.
In questo contesto si pone l’urgenza di considerare i problemi relativi all’educazione in
tutto il loro portato di crescita per l’individuo, rifondando una pedagogia che sappia
farsi carico del suo più autentico sostrato culturale e educativo, senza per questo
dover necessariamente riproporre vecchi valori ideali o nuovi luoghi comuni.
La determinazione del modo di essere dell’uomo attraverso la sua esperienza di
percezione e di rappresentazione dello spazio nel quale vive (e le pratiche volte a
produrla) dovrebbero essere una risorsa in campo educativo2, mentre spesso
rimangono qualcosa su cui si preferisce tacere e non operare, occupandosi solamente
1
G. Caminada (a cura di), Le terre del Lario e del Ticino. Il territorio come matrice culturale e educativa, Milano 2001.
In proposito, si considerino gli studi di quei settori della psicologia cognitiva che studiano il modo in cui gli individui
percepiscono e si rappresentano lo spazio nel quale vivono. In particolare, si consideri che si deve a L. Wittgenstein
(1967) e poi più esplicitamente a N. Hanson (1965) l’aver sottolineato che il contesto è il fattore fondamentale che
determina la possibilità stessa di una rappresentazione; esso si delinea con una configurazione o struttura che ordina i
fenomeni pur senza essere un fenomeno. Sulla conoscenza tacita o inespressa si fonda la prospettiva epistemologica di
M. Polany (1979) sintetizzabile nell’affermazione di una preliminarità del conoscere rispetto al discorso che lo esprime
e alla funzione denotativa dello stesso.
2
di “istruzione” o di “formazione”, talvolta nel senso più mercenario del termine.
Ripensare il processo di formazione dell’individuo significa allora ripensare la struttura
dell’educazione come un dispositivo complesso, di cui vita e avventura non possono
non costituire i principali punti di riferimento. In quest’ottica l’educare non potrà più
essere considerato separatamente dall’istruire e la pedagogia si riapproprierà più
pienamente di se stessa e delle sue potenzialità culturali, oltre che tecniche e
scientifiche3.
Se poi guardiamo alla scuola, in questi ultimi anni, il quadro è caratterizzato da
incertezze. Si è cercato di affidare alla scuola responsabilità e compiti sempre nuovi e
nello stesso tempo si è mostrato sfiducia nelle sue capacità di rispondere ai bisogni e
alle attese… molti sono i problemi che abbiamo visto scorrere e che si vorrebbe che la
scuola abbia affrontato in chiave formativa: l’educazione stradale, il risparmio
energetico, la fame nel mondo, la tossicodipendenza, la pace... E al fondo lo stesso
bisogno. Quello di operare attraverso la scuola una trasmissione di valori. La scuola
non sostituisce la famiglia e la società nell’educazione di un individuo, ma può
sicuramente contribuire nella ricerca di senso, di significato intrapresa – più o meno
consapevolmente – da ogni individuo nel suo percorso di crescita.
Anzi, la Scuola del giorno d’oggi centra – forse - maggiormente la sua funzione
proprio quando risponde al bisogno di sviluppare con armonia le caratteristiche degli
allievi, concentrandosi intorno a ciò che costituisce il valore. La famiglia, la scuola e la
società nel suo complesso contribuiscono all’educazione dei giovani e allo sviluppo dei
valori estetici e morali, ma non è azzardato ritenere che la finalità ultima
dell’educazione dovrebbe essere rintracciata nella felicità e nel valore che genera
felicità. Se la felicità è il fine della vita e dell’educazione, il valore potrebbe sostituire
la verità come fondamento della filosofia dell’educazione4.
Quale valore, però? Il valore viene dalla comunità nella quale l’individuo è
inserito e dalla quale ciascun individuo è plasmato. Non occorre scomodare
pedagogisti e accreditati studiosi per affermare che sin dalla più tenera età gli scenari
di vita del bambino - fortemente intrisi di affettività - sono la casa, con le sue
estensioni di cortile, giardino, e la scuola. Per tutto l'arco evolutivo la casa
rappresenta il campo-base da cui si parte e a cui si ritorna in una dialettica continua
tra dentro e fuori, tra protezione e rischio, tra certezze e ignoto: luogo chiuso e
sicuro, protetto, riservato ed esclusivo della famiglia, garanzia di continuità e
immutabilità in cui si perpetuano ruoli ben noti e in cui si parla un "codice ristretto"
funzionale, nella grande generalità dei casi, a conservare più che a promuovere e
stimolare. Nell'infanzia essa ha un "fuori" molto contiguo, che è in realtà un suo
prolungamento e una sua estensione: il cortile, il giardino, la strada vicina. Qui
prevalentemente si collocano i giochi, gli amici, la libertà, il movimento, l'avventura.
Fuori di casa c'è spazio per il piacere, per l'iniziativa personale, per le piccole
trasgressioni. Tra le pareti di casa si collocano le intimità affettive, gli apprendimenti
di norme e di valori, i rituali; nello spazio esterno le prime esperienze di
individuazione, di esplorazione del mondo, di sperimentazione di capacità e di
autonomie.
L'altro polo istituzionale dell'esperienza infantile è l'ambiente scolastico, un
prolungamento protetto della casa, entrambi giocati a partire da una relazionalità
fondativa e necessaria al processo di maturazione dell'individuo, alla sua
sperimentazione e al suo riconoscimento sociale e culturale. La "prima scuola", luogo
sempre più naturale dell'esperienza infantile, condivide con la casa, in stretto
parallelismo, ritmi, abitudini, lenta processualità, presenza di figure contenitive e
normative al tempo stesso. Non nettamente differenziata dall'insieme dell'esperienza
3
4
R. Massa, Educare o istruire? La fine della pedagogia nella cultura contemporanea, Milano 1987.
T. Makiguchi, L’educazione creativa, Firenze 2000.
infantile la scuola si configura allora come un luogo piacevole di gioco e di scoperta,
occasione di attività e di promozione di capacità, sede di apprensione di compiti sociali
e culturali. Inoltre, in riferimento alle più accreditate teorie evolutive degli ultimi
decenni, la capacità di prendere coscienza e di darsi una rappresentazione dei rapporti
spaziali è presente nel bambino nel periodo in cui si hanno le prime manifestazioni di
un'intelligenza rappresentativa, naturalmente se ci riferiamo a rapporti spaziali di
natura molto elementare. La rappresentazione mentale dell'ambiente è insieme
un'astrazione e una sintesi; frutto dell'esperienza accumulata da ogni individuo, tale
esperienza è in funzione dei suoi apprendimenti, delle sue attività e del modo in cui
percorre abitualmente il “paese” o la “città” nei quali il bambino vive5.
Alla luce della ricerca degli ultimi vent’anni, alcuni studiosi hanno, inoltre, posto
attenzione alla natura culturale della conoscenza e del processo di acquisizione della
conoscenza: alla fine degli anni Settanta fa la sua comparsa la nozione di un Sé
narratore, “un Sé che narra storie in cui la descrizione del Sé fa parte della storia”6. La
rivoluzione cognitivista, con la sua progressiva frantumazione del campo della
psicologia in più discipline specialistiche, sembra aver allontanato la psicologia dal suo
obiettivo, che è lo studio di come l’uomo interpreta se stesso, gli altri, il mondo. Tale
studio non può essere rinchiuso nei limiti della ricerca a ogni costo di una spiegazione
in termini di causa ed effetto - il pensiero scientifico tradizionale -, impedendoci
magari di comprendere i significati dell’esperienza umana nella sua continuità. J.
Bruner propone una “psicologia culturale”, di cui è elemento essenziale la circolarità
del pensiero narrativo, contrapposto al pensiero “scientifico”, sostenendo che oggi lo
psicologo deve volgersi alla ricerca non delle “cause” ma dei “significati” dei pensieri,
dei sentimenti e dei comportamenti dell’individuo, intesi come principi strutturali dei
processi e delle vicissitudini umane. Pertanto, con il termine “psicologia culturale”,
Bruner definisce quella condizione umana, quell’insieme di nozioni culturalmente
determinate - negoziate e condivise -, in base alle quali gli individui organizzano la
propria concezione di se stessi, degli altri, del mondo in cui vivono. La psicologia di
una cultura - matrice non solo dell’itinerario che struttura la vita individuale, ma anche
della coesione societaria - non è costituita da enunciati logici o proposizionali quanto
dalla prassi della narratività e dall’esercizio ermeneutico che si compie in ogni
rielaborazione simbolica degli eventi. La psicologia culturale, fondamento essenziale
sia del significato individuale, sia della coesione culturale, consiste, pertanto, in un
esercizio di narrativa e di narrazione. Bruner ipotizza, inoltre, un’attitudine umana al
significato, a partecipare alla cultura e a utilizzare le forme narrative. Secondo la
prospettiva messa in luce da Bruner, fra i tanti aspetti che contribuiscono ad una
migliore comprensione dell’uomo, non si potrà non tener conto del mondo simbolico
che costituisce la cultura umana; infatti,
Il progetto di una psicologia culturale non è inteso a negare il valore della
biologia o dell’economia, ma a dimostrare come la mente umana, e la stessa vita
umana, sono riflessi della cultura e della storia tanto quanto un riflesso delle risorse
fisiche e della biologia7.
E le nuove posizioni costruttiviste di un Sé narrativo mettono in luce, e legittimano
allora, l’importanza - accanto ai riconosciuti percorsi di apprendimento quantitativi - di
percorsi di apprendimento e di conoscenza della realtà qualitativi, legati ai paradigmi
costruttivisti nel processo del conoscere.
5
G. Caminada, Tatanka in paese. Percorso multilinguistico di appropriazione ambientale, Relazione anno di prova
1996-97, Direzione Didattica di Carlazzo.
6
J. Bruner, La ricerca del significato. Per una psicologia culturale, Bollati Boringhieri 1992, p. 109.
7
J. Bruner, Op. cit., p. 131.
La psicologa T. Giani Gallino – ordinaria di psicologia all’Università di Torino – ha
recentemente messo in luce, nel suo ultimo libro, anche quanto i piccoli copino il
passato degli adulti8. A quattro o cinque anni il bambino è privo di un vissuto
“interessante” e per compensare questa carenza tende ad appropriarsi dei ricordi
narrati da adulti che reputa positivi. I piccoli si identificano nell’adulto non solo
imitandolo (come nel gioco in cui si fa finta di fare i “mestieri” di casa) ma anche con
la narrazione dei suoi ricordi che sono raccontati come se li avessero vissuti in prima
persona.
Memoria e identità sono speculari e il loro ruolo è decisivo nell’autostima con cui
un individuo e una comunità di destino sorreggono e consolidano il loro avanzamento.
La sottovalutazione dei fattori culturali dello sviluppo porta, sia l’individuo sia la
comunità, in molte situazioni concrete, a mortificare le potenzialità di sviluppo
dell’individuo quanto della comunità locale. Questo tocca non soltanto l’autostima, ma
anche l’apprezzamento sociale riguardo a comportamenti positivi. Ed è mia
convinzione, confortata dalle più attente analisi della realtà contemporanea da parte di
chi non si lascia guidare da stereotipi, che studiando i bisogni e gli orientamenti di
valore espressi nelle culture locali si possono meglio comprendere le tendenze del
mondo. E dal valore discenderà per l’individuo uno sviluppo calibrato sulle concrete
risorse dell’individuo in termini di conoscenza, vocazione, disponibilità al confronto,
competenze acquisite e orientamento sui valori essenziali di riferimento. Ogni cura
dovrebbe essere approntata per educare e sostenere a forme di autogoverno della
persona e delle comunità di appartenenza. Scriveva K. Polanyi:
Gli uomini hanno un’anima da lasciare è solo un altro modo per asserire che
hanno un valore infinito come individui. Dire che essi sono uguali è solo riaffermare
che hanno un’anima. La dottrina della fratellanza implica che la persona non esiste al
di fuori della comunità. La realtà della comunità è la relazione di persone9.
La società con le sue forme spontanee di associazionismo e di volontariato, e
con istituzioni socio-politiche coerenti, vive il suo miglior stato. Mentre sono protese
verso aggregazioni sempre più ampie (locali, provinciali, regionali, nazionali,
continentali, planetarie) per realizzare il principio della sussidiarietà che è naturale
riferimento della distribuzione dei poteri, le comunità degli uomini ribadiscono il loro
essere insieme distinte e solidali. Un orientamento continuamente insidiato da tutti gli
ideologismi che si sono succeduti nella storia, tenacemente decisi a non riconoscere
una verità naturale, già appuntata molto bene da J. G. Herder due secoli fa:
I popoli si riducono infine a famiglie, le famiglie a capostipiti: il fiume della
storia si restringe fino a giungere alla sua fonte e l’intera terra abitata si trasforma in
una scuola della nostra famiglia, si con molte suddivisioni, classi e sezioni, ma sempre
secondo un sol tipo di lezioni, ereditato attraverso tutte le stirpi dal primo padre, sia
pur con molte aggiunte e mutamenti10.
Il ruolo dell’educazione può diventare, allora, essenziale nel far adottare il
punto di vista più favorevole alla piena emancipazione umana. Dal buon governo della
famiglia al buon governo degli stati corre un filo valoriale che si appoggia a successivi
sostegni di democrazia locale nell’ambito di ciascuna comunità con le sue tradizioni, la
sua storia, i suoi valori, dimenticando i quali si lascia spazio al degrado individuale e
collettivo.
8
T. Giani Gallino, Quando ho imparato ad andare in bicicletta, Editore Raffaello Cortina, 2004.
K. Polanyi, La grande trasformazione, Einaudi, Torino 1974, p. 340.
10
J. G. Herder, Idee per la filosofia della storia dell’umanità, Zanichelli, Bologna 1971, p. 214.
9
T. Makiguchi sostiene che la mancanza di valori reali nella pedagogia
contemporanea è triste testimonianza dell’assenza di interesse della comunità
insegnante nei confronti del valore come elemento strutturante. Si riferisce al suo
tempo, il Giappone dagli anni ’20 agli anni ‘40 del Novecento, ma la modernità del suo
pensiero può costituire elemento di riflessione anche ai nostri giorni. È dunque
importante riesaminare le nostre idee sull’educazione e modificarle in base a principi
ispirati al valore. E non è fuori luogo, neppure oggi, l’istanza di dover istituire una
nuova pedagogia che si basi sull’esperienza concreta e su obiettivi di valore attraverso
un lavoro fondato sull’economia dei mezzi. Infatti,
Siamo di fronte a una sfida senza precedenti: dobbiamo creare una scienza
dell’educazione completa ed efficace, una pedagogia definita attraverso le difficoltà di
un’ampia sperimentazione, finalizzata al raggiungimento di valori esistenziali. (…) … lo
studio non va considerato come preparazione alla vita: deve svolgersi proprio mentre
si vive, così come la vita si sviluppa nel corso dell’atto di studiare. Studio e vita, più
che correre su binari paralleli, si intrecciano e si danno reciproche informazioni, lungo
l’intera esistenza. In questo senso le riforme proposte si focalizzano non sul migliore
bilancio dei programmi scolastici, ma sull’obiettivo di infondere gioia e apprezzamento
verso il lavoro.11
Makiguchi sosteneva che nel sistema educativo in vigore al suo tempo – creato
sul modello dei paesi industrializzati e volto a formare persone adatte a utilizzare le
macchine e a svolgere quelle responsabilità dettate dalle necessità del consumismo agli studenti bisognava trasmettere scoperte e informazioni e gli educatori svolgevano
funzione di intermediari fra i ragazzi e l’informazione da apprendere. Nel modello da
lui presentato è lo studente e non la scuola a essere al centro del processo di
apprendimento e il curriculum di base deve partire dallo studio della natura
dell’individuo e del tessuto sociale ( locale, nazionale, regionale e globale ) in cui
vivono gli studenti. Il ruolo degli educatori è di guidare, incoraggiare e stimolare gli
studenti a trovare scopi e motivazioni, aiutandoli a rimuovere gli ostacoli che
potrebbero impedire il processo di apprendimento.
Ma il valore non viene da solo. Deve coniugarsi con l’impegno per chiunque si occupi
di scuola, nell’insegnamento e nella ricerca, all’adeguamento della cultura collegata
alla formazione e alla discriminazione di possibili significati rintracciabili in un
rinnovato peso dei contenuti legati alla trasmissione della conoscenza, specializzando
al massimo la cultura che si vuole trasmettere. Infatti, nell’attuale società la scuola
risulta perdente se si mette a rincorrere in modo concorrenziale, sia quanto a
messaggi sia a tecniche, il mondo della comunicazione di massa. Non sorprende
allora, che nel vuoto d’identità della scuola, una prospettiva potrebbe aprirsi nell’atto
di coniugare i valori (che giungono all’universale ma che sono radicati nel locale, nel
particolare) con una nuova scelta di contenuti da trasmettere, rintracciabili in una
logica “nuova” di dialogo e di relazione fra la scuola e il territorio che si esprime anche
attraverso la sua scuola.
Da qui a considerare la propria terra come pedagogia, il passo è breve. La
comunità riconosce ambiti di radicamento e di espressione non riconducibili al potere e
si fonda sul rispetto delle differenze, che è la negazione del criterio di uniformità su
cui hanno retto molti totalitarismi. La Scuola e l’educazione, sempre altalenanti tra
conservazione e innovazione, astrattezza e adeguamento alle esigenze imposte
dall’economia di mercato, non hanno mai avuto vita facile né continuità. Oggi, i
consumi culturali e per l’istruzione si orientano in prevalenza verso l’acquisizione di
11
T. Makiguchi, Op. cit., p. XV-XVII.
competenze e conoscenze informatiche e comunicative, che rappresentano nuovi
saperi. Sono contenuti che determinano la possibilità di integrarsi e di partecipare alle
dinamiche sociali e che, conseguentemente, preservano da nuove ( ma forse più
pericolose ) forme di emarginazione; tuttavia, i nuovi saperi, se rimangono
esclusivamente tecnici, non ci mettono al riparo dalla perdita di quell’identità culturale
che ha intessuto le abitudini, i punti di riferimento, i valori tipici di territori omogenei,
tanto da porsi quale elemento di senso per i loro abitanti. L’immensamente piccolo e
l’immensamente grande potrebbero coesistere, soprattutto oggi, in un mondo dove
tali problematiche coinvolgono, eticamente, tutta la dimensione umana, attraversando
anche le articolazioni della conoscenza, in particolare investendo la Scuola e i luoghi
di trasmissione del sapere. Nella sua apparente semplicità, considerare il territorio
come pedagogia potrebbe diventare un modo equilibrato di aprirsi e rapportarsi con la
globalità del sapere attraverso la conoscenza della particolare struttura della propria
comunità e della consistenza delle proprie radici12. Vuol dire dare un senso alla
parola identità, sia della scuola sia dell’individuo. E forse riusciremo a capire – o a
ricordare - che l’identità – come la libertà – non esiste nell’accezione più ampia del
termine, ma soltanto come qualcosa di estremamente concreto, declinata nella sua
applicazione alla realtà. E l’identità è sempre e soltanto identità culturale. E la cultura,
per un antropologo attento qual è C. Geertz, è un insieme ordinato di simboli, di cui
l’etnicità è sintesi, a cui noi ci ancoriamo
Animali incompleti o non finiti, che si completano e si rifiniscano attraverso la
cultura, e non attraverso una cultura in genere, ma attraverso forme di cultura
estremamente particolari13.
Parole che sembrano voler dire che gli uomini non modificati dalle usanze di luoghi
particolari non esistono. A. D. Smith aggiunge:
Tutti gli strumentalisti di qualsiasi tendenza trascurano l’influenza potente del mito
e della storia sullo spirito e sull’agire dell’uomo14.
E le comunità locali - caratterizzate dalla condivisione di cultura, al di sopra delle
suddivisioni sociali, sessuali, generazionali - sono il concreto scenario dove la persona
interiorizza i principi, i comportamenti e gli stili di vita propri al suo gruppo e soltanto
un saldo radicamento in questa realtà darà modo all’individuo di agire con pienezza di
senso nelle relazioni collettive. E dal locale al globale si stabilirà una dialettica che non
ammetterà l’esclusione dell’uno o dell’altro ambito nel determinare, nel concreto, la
storia degli uomini. L’ossessione dell’uniformità porta allo sradicamento e, di
conseguenza, a comportamenti che non favoriscono quell’unione di comunità che
sarebbe possibile costruire nel rispetto delle specificità e dei vantaggi comuni.
La vocazione naturale delle culture è alla socialità, al confronto, alla ricerca d’incontro,
di relazione pubblica. Se non sono distorte nel rapporto con gli altri, da eventi che ne
umiliano l’agire consapevole, il loro habitat naturale è il cortile di casa, il mercato e la
piazza principale della città, sottolinea Geertz delineando gli spazi comunitari in
riferimento a ciascuna dimensione delle relazioni umane, dall’ambito famigliare ai
sistemi più estesi.
La cura per ciò che costituisce lo specifico culturale di una comunità garantisce uno
sviluppo endogeno e autocentrato per un ambito territoriale definito nei suoi contorni
socio-culturali, per un’area che potremmo definire omogenea. E’ questa misura di
12
A. Fumagalli in G. Caminada (a cura di), Op. cit..
C. Geertz, Interpretazione di culture, Il Mulino, Bologna 1987, p. 92.
14
A.D.Smith, Il revival etnico, Il Mulino, Bologna 1987, p. 75.
13
saggezza che ripropone le ragioni di solidarietà fra gli uomini, del dialogo fra le
culture, ciascuna delle quali sarà maggiormente in grado di apportare contributi
proficui quanto più è valorizzata nella sua specificità. L’unione di intenti, a ogni livello,
è tanto più efficace negli esiti quanto più i partecipanti allo sforzo collettivo sono
indotti all’autostima, accresciuta in questa specularità di diversi e solidali. Per questa
via si giungerà anche all’educazione all’interculturalità, cioè l’insieme di processi che
conducono dal riconoscimento del dato di fatto della multiculturalità al valore del
pluralismo culturale15.
Da qui, una didattica della cultura locale. Non quale fine dell’educazioneistruzione dell’individuo ma quale mezzo e luogo attraverso cui l’individuo possa
ritrovarsi nei suoi bisogni di dare senso e significato alla realtà. Mentre la ricerca
educativa va occupandosi prevalentemente di didattica e la cultura pedagogica
continua a confrontarsi con il pensiero filosofico, il grande tema della formazione
umana finisce con l’essere smembrato in una pluralità di approcci estrinseci e
settoriali. Tanto che lo si affronti sul piano dei suoi percorsi istituzionali e dei suoi
meccanismi psicologici, quanto che lo si affronti in termini progettuali a partire dal
mondo scolastico, ciò che resta in secondo piano è la concretezza esistenziale dei
fenomeni educativi. All’interno dei processi formativi scolastici ed extrascolastici, il
“territorio”, le diverse realtà locali, potrebbe rappresentare un elemento
imprescindibile nell’attuazione di didattiche volte a superare la persistenza del
considerare l’età evolutiva solo come una lunga fase di vita “normale”, una necessaria
e “scontata” preparazione alla vita, più simile a un curriculum obbligatorio di crescita
che a un’avventura personale. Nello specifico della scuola di base, l’ambiente-territorio
- se correttamente inteso - potrebbe configurarsi quale continuum vitale cui ancorare
esperienze e conoscenze che la scuola “veicola”16.
Lo scopo dell’educazione deve emergere dalla vita e dai bisogni quotidiani delle
persone, che sono persone particolari, legate a un determinato ambiente umano e
culturale, a determinati valori. E la cultura è sempre cultura molto particolare legata ai
contesti di crescita di un individuo e all’identità dei singoli territori. Parlare di identità
dell’uomo diventa, allora, parlare di identità culturale e la riflessione educativa non
può rimanere estranea dall’accogliere il portato educativo di una didattica della cultura
locale all’interno dei percorsi formativi dell’individuo. Perché questo vuole dire
accogliere ed interpretare la complessità dell’esperienza vitale dei bambini/ragazzi e
tenerne conto nella progettualità educativa in modo da svolgere una funzione di filtro,
arricchimento e valorizzazione nei riguardi delle esperienze extrascolastiche, allo
scopo di sostenere il sorgere e lo sviluppo delle capacità di critica, di autonomia del
comportamento e di difesa anche dai condizionamenti; promuovendo un’impostazione
curricolare che aprendo gli spazi e i tempi dell’agire educativo sarà sempre più volta
all’impegnativo ma sempre gratificante tentativo di collegare la sezione, la classe, i
gruppi alle grandi risorse della comunità.
Questo comporta una negoziazione e ridefinizione della pratica didattica nei contesti
scolastici e dell’idea di sviluppo cognitivo, ma aprirà nuovi ponti tra teoria e prassi,
insegnanti e ricercatori, scuola e comunità e, forse più importante, tra le area di forza
del bambino e le abilità richieste dalla scuola. Accogliere l’ambiente, il territorio, come
matrice culturale e educativa non è un insieme di test o di unità curricolari; è, invece,
15
G. Caminada (a cura di), Op. cit., Milano 2001.
16 G. Caminada (a cura di), Op. cit., Milano 2001. Nell’accezione di D. Demetrio, Saggi sull’età adulta. L’approccio
sistemico all’identità e alla formazione, Milano, Unicopli, 1986, mettersi dalla parte del continuum vitale significa
accogliere una prospettiva di ricerca con la quale si intende sottolineare l'intrinseca plasticità, nelle diverse fasi della
vita, di alcune costanti esperienziali nel corso delle quali, pur di fronte a mutazioni e cambiamenti, esse si ripropongono
in forma di palinsesto. Sul continuum, al di là delle innumerevoli cancellature e riscritture, sono sempre rintracciabili gli
elementi essenziali con i quali il soggetto può stilare la propria, personale sceneggiatura.
una cornice, un modo di pensare la crescita e i punti di forza dei bambini a scuola, sin
dalla più tenera età17.
Lo stesso principio metodologico-didattico di “personalizzazione”, su cui si
centra la nuova riforma della scuola, è indice di una diversa visione di umanità e dei
suoi bisogni educativi, di un’ispirazione metodologico-didattica di fondo che non può
essere fraintesa o diventare surrogato delle comprensioni individuali di ciascun
insegnante. È un principio ispiratore e un metro d’azione che accoglie la ricchezza
delle diversità fra gli alunni cui l’offerta formativa è rivolta, comportando la possibilità
di esiti formativi soggettivamente diversi anche perché, il più delle volte, il bilancio
istruzione-educazione di un gruppo-classe è quasi sempre una coperta troppo piccola:
tirare da una parte ha più volte, inevitabilmente, voluto dire lasciare scoperta l’altra
parte, confermando il debole nella sua marginalità, abbandonando il supposto “ricco”
ad una ricchezza che diventa casuale e dispersiva.
Contribuendo, inoltre, a
differenziarsi da valutazioni standardizzate che penalizzano un’ampia fascia di bambini
“portatori di intelligenze tradizionalmente non accreditate nei curricoli scolastici,
magari solo in quanto appartenenti a minoranze etniche, culturali o sociali”18. Con la
certezza che nell’ambito di ciascun singolo segmento della scuola di base una didattica
della cultura locale comunque si fa, sparpagliata fra le molteplici discipline, con
approcci disciplinari e interdisciplinari legati il più delle volte agli interessi e alla
formazione del singolo docente, ma non come punto di forza, come idea forte che può
caratterizzare il progetto educativo di una scuola, determinante magari anche il piano
dell’offerta formativa di un istituto comprensivo o di un circolo didattico. A ben
guardare la relazione tra scuola e territorio, i punti di contatto, sono sempre stati
molti, ma è spesso mancata l’ufficialità della relazione, ossia il riconoscimento della
dignità disciplinare allo studio del territorio19.
Del resto non è sempre facile introdurre “l’ambiente” in una scuola tendente a
privilegiare una sola logica, un solo criterio quasi assoluto di interpretazione dei fatti.
Significa portare nella scuola il concetto di “verità possibile” e muoversi costruendo
certezze provvisorie e limitate. Si tratta di entrare nella logica della metodologia della
ricerca per scoprire l’esistente cercando di capire le origini del suo sviluppo. E
l’ambiente, poi, non è unicamente il luogo in cui gli allievi abitano e la scuola ha sede.
Esso è innanzi tutto ambiente culturale e umano, fatto di linguaggi, valori, tradizioni,
norme, realizzazioni tecniche. Ma proprio l’ambiente pone di riflesso l’uomo nei suoi
rapporti con gli altri e con l’ambiente stesso, contribuendo a dare unitarietà, perché
crea un sistema interpretativo, cioè una visione del mondo fondata sui valori. Per la
scuola, per gli insegnanti, per le famiglie e per gli alunni si aprono grandi possibilità
nella ricerca di senso e di significato e nella scuola del futuro, più o meno imminente,
lo studio del territorio rimane un punto centrale, con ulteriore possibilità di
ampliamento legata alla quota di curricolo riservata alle scuole. Non è azzardato
ritenere che proprio al territorio saranno legate queste iniziative locali ma anche che
proprio dal territorio esse potranno scaturire e con esso essere realizzate. Le
premesse concrete ci sono, basta vedere quanti progetti nell’ambito del Piano
dell’Offerta Formativa di ogni scuola, sono legati al territorio.
Quello fra Scuola e territorio è senz’altro un dialogo in costruzione.
L’autonomia, favorendo il decentramento organizzativo, decisionale e didattico delle
scuole, ha posto fine al dirigismo statale che le omologava e promuove un più stretto
coordinamento tra scuola e territorio. La fisionomia degli Istituti rinvia alla pienezza
delle relazioni e dei contesti vitali entro i quali prende forma e cresce. L’identità e le
17
G. Caminada (a cura di), Op. cit., Milano 2001.
H. Gardner, D. H. Feldman, M. Krechevsky (a cura di), Cominciare a costruire dalle potenzialità dei bambini, vol.
1, Edizioni Junior, Bergamo 2002.
19
G. Caminada (a cura di), Op. cit., Milano 2001.
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finalità istituzionali della scuola si declinano e si realizzano assumendosi e
interagendosi con i bisogni, la storia, i progetti e le speranze delle comunità locali. Lo
spazio entro il quale la scuola dinamicamente s’inserisce non è più quindi uno spazio
vuoto e indifferente, il passivo ricettacolo di politiche educative lontane ed astratte,
ma una pluralità di luoghi concreti, plasmati e tessuti dalle generazioni che li hanno
abitati. In una prospettiva che preveda una sostanziale autonomia degli istituti
scolastici finalizzata alla creazione di un sistema scolastico integrato più aderente ai
modelli locali ( con il concorso delle forze sociali, per dare una maggiore identità
socio-territoriale alle strategie educative ), dove, tra l’altro, il perno della proposta
formativa deve diventare sempre più il “lavoro” e sempre meno la “neutra” conquista
del titolo di studio.
Scuole ed Enti locali sono tra i soggetti che agiscono sul territorio per garantire il
diritto allo studio, inteso come diritto all’apprendimento, degli studenti. Ognuna delle
due Istituzioni è chiamata a rispondere in modo diverso, sulla base della specifica
finalità istituzionale, al compito di educare le nuove generazioni, anche attraverso la
promozione di quel concetto di cittadinanza che, partendo dalla comunità locale, si
apre alla dimensione europea e mondiale (si pensi alla Dichiarazione universale dei
Diritti umani) e costituisce il fondamento del ruolo attivo, nel contesto sociale, di ogni
individuo. Una politica scolastica interistituzionale sul territorio, che sappia creare una
rete d’interventi interconnessi ma specifici a favore delle nuove generazioni, è la sola
via che possa garantire la riuscita nel campo della formazione, a fronte della
complessità dello scenario attuale.
E lo strumento privilegiato per tessere questa rete solidale di collaborazioni e di
interscambi è per ogni Scuola il Piano dell’Offerta formativa; in esso il territorio non
potrà essere assunto come una variabile facoltativa, oggetto al più di uno studio
approfondito, ma come l’orizzonte dentro il quale s’iscrive il percorso formativo e si
giocano le occasioni di apprendimento degli alunni, attraverso un interscambio
progettato e organizzato tra la Scuola – a cui spetta lo specifico dell’insegnamento
delle discipline - e gli altri Soggetti istituzionali.
In questi ultimi anni la Provincia di Como ha messo in campo numerose
energie volte alla conoscenza, alla salvaguardia e alla promozione del
patrimonio di cultura identitaria del territorio. E non è mancata l’”attenzione”
nei confronti della scuola in quanto agenzia educativa ancora importante
nella vita dell’individuo. Alcune esperienze si sono caratterizzate proprio per
l’attenzione alla lingua e alla cultura locale, favorendo e supportando - in
ambito scolastico – una miriade di progettualità legate al territorio che la
scuola, da sempre e in modo molto differenziato, si trova comunque a portare
avanti. Si è venuto così a legittimare tutto un sommerso di attività – quasi
sempre qualificate e qualificanti – legate il più delle volte alla sensibilità e
all’interesse di uno o pochi docenti, piuttosto che a una progettualità comune
e condivisa, che contribuisse a dare un volto alla scuola e al suo operare.
Mettere in comune delle esperienze – attraverso progetti condivisi – non è
sempre facile, e quando lo si fa è comunque impegnativo per i soggetti che si
mettono in gioco. È per questo che in una ricostruzione a grosse maglie di
questi ultimi anni, non sono mancate modalità di confronto e di raccordo
differenziate, che hanno compreso però – accanto al lavoro nelle sezioni e
nelle classi – momenti di formazione degli insegnanti, di confronto con la
vicina realtà scolastica ticinese e di documentazione dei percorsi attuati. La
creazione dell’Istituto Comense per il Dialetto e le Tradizioni è un'altra tessera del
mosaico che in questi ultimi anni è andato componendosi, ben lungi
comunque dall’aver ricostruito il volto definitivo di un campo dalle grandi
potenzialità culturali e educative, l’anello di congiunzione per eccellenza del
rapporto scuola-territorio. Numerose le iniziative concrete di partecipazione
delle scuole alla raccolta del materiale di documentazione che interesserà
l’Istituto per i vari argomenti che si tratteranno. Il libro L’öf del dì de Natàl
(L’uovo fatto il giorno di Natale), Quaderno operativo di lingua e cultura locale nato
nell’ambito delle ricerche etnografiche e linguistiche dell’Istituto Comense
per il Dialetto e le Tradizioni della Provincia di Como e rivolto alle scuole del
territorio. il volume è un prodotto concreto che parla di questo percorso
intrapreso dalla Provincia ormai da alcuni anni. Si pensi, a titolo di esempio,
al progetto transfrontaliero Le terre del Lario e del Ticino. Il territorio come
matrice culturale ed educativa o al progetto Alle radici il tuo futuro che ha
promosso, proprio presso il mondo scolastico, la conoscenza e la
salvaguardia dei beni culturali del territorio.
Bibliografia minima
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