Il Piccolo 5 aprile 2016 «Sono innocente» Chiesti i

Transcript

Il Piccolo 5 aprile 2016 «Sono innocente» Chiesti i
Il Piccolo 5 aprile 2016 Attualità Infermiera arrestata «Sono innocente» Chiesti i domiciliari È stata interrogata per due ore e mezza nel carcere di Pisa L’avvocato difensore: «Se c’è un killer, è ancora in giro» di Jacopo Salvadori. ROMA. «Ha giurato sui suoi figli, sul marito, su tutto quello che ha di più caro che è assolutamente estranea a tutto ciò». Queste le parole di Cesarina Barghini, avvocato difensore di Fausta Bonino, l’infermiera dell’ospedale di Piombino accusata di aver ucciso 13 persone. Ieri è stata interrogata per due ore e mezzo dal giudice per le indagini preliminari Antonio Pirato nel carcere di Pisa. Insieme all’avvocato e al gip, erano presenti il procuratore capo di Livorno Ettore Squillace Greco e il sostituto Massimo Mannucci. Al termine dell’interrogatorio di garanzia, la difesa ha chiesto gli arresti domiciliari per la Bonino e il gip si è riservato la decisione. Riserva anche per la Procura che verrà sciolta entro domani. «Se c’è un killer, è ancora in giro -­‐ ha detto prima dell’incontro l’avvocato Barghini -­‐ Tutta l’impalcatura dell’accusa è stata costruita ad hoc sulla signora Bonino, non si è voluto guardare da altre parti. Per la mia assistita chiederò i domiciliari e non la libertà piena, perché visto il clamore suscitato da questa vicenda, se la Bonino tornasse a circolare in libertà, sarei preoccupata per lei». Per l’avvocato, si tratta di depistaggio. «Fausta Bonino è finita al centro di questa vicenda e nel tritacarne mediatico perché gli inquirenti sono stati abilmente depistati e la procura non ha seguito nessun’altra pista alternativa. Lei era il soggetto più debole e più facile da colpire da chi aveva interesse a coprire determinate lacune o inadempienze». L’avvocato Barghini ha anche sollevato il problema telecamere. «Ci chiediamo perché la procura e i carabinieri del Nas abbiano scelto di non impiegare le telecamere in reparto per le indagini. Se ci fossero state, si sarebbero potute salvare tre persone. Ho fatto notare questo aspetto anche oggi ma gli inquirenti non hanno replicato». Il legale ha spiegato che la donna «ha affrontato con relativa serenità l’interrogatorio dimostrando agli stessi inquirenti che si tratta di un processo indiziario e che il quadro probatorio è tutt’altro che solido: noi ci difenderemo all’americana, cercando prove che dimostrino l’innocenza della signora Bonino». Per «accertare ed eventualmente migliorare i livelli di sicurezza della struttura di anestesia e rianimazione» di Piombino, la regione Toscana ha creato la Commissione di valutazione del rischio clinico. Sarà presieduta da Riccardo Tartaglia, direttore del Centro gestione rischio clinico e sicurezza dei pazienti della regione Toscana. Ci sarà anche il contributo di esperti come Guido Bertolini, considerato il maggior esperto di mortalità nelle terapie intensive. La relazione preliminare della Commissione è stata richiesta entro 15 giorni. Regione Disco verde alle superaziende della sanità Passa in commissione la fusione tra ospedali e atenei. Il Pd: «Trovato un buon punto di equilibrio». Forza Italia e M5S in rivolta di Marco Ballico. TRIESTE. Il protocollo d'intesa Regione-­‐Università che la medicina ospedaliera non riesce a digerire strappa il parere favorevole della terza commissione. I nuovi ritocchi della maggioranza producono un testo che, secondo il presidente Franco Rotelli, «è un buon punto di equilibrio tra Servizio sanitario regionale e strutture universitarie». Un'«occasione persa», invece, è il giudizio di Forza Italia. Un'occasione persa anche per l'opposizione, è il sospetto del capogruppo azzurro Riccardo Riccardi, critico, più che 1 sull'astensione di Alessandro Colautti, sulla rinuncia al voto da parte di Autonomia responsabile. Dopo aver letto le rinnovate critiche di Anaao Assomed e lo «sconcerto» manifestato in una lettera da un gruppo di primari udinesi, la maggioranza ha cercato un'ulteriore mediazione prima della seduta di commissione. L'impianto non cambia, ammette Maria Sandra Telesca. Ma la versione corretta con alcune indicazione emerse nelle audizioni e con gli emendamenti della consigliera Pd Silvana Cremaschi «ha formulato gli articoli in maniera tale da ridurre le preoccupazioni per il futuro», precisa l'assessore. Tra i punti recepiti dal contributo elaborato da Cremaschi, oltre al distinguo tra le mission del Ssr e delle due Università, c'è in particolare la precisazione che per la direzione delle strutture «sia previsto un equilibrio nell'affidamento a personale giuridicamente afferente all'Università o al SSr, che tenga conto della situazione attuale della proporzione del personale apicale», principi a cui conseguentemente deve tener conto anche la composizione dei collegi di direzione. Aggiustamenti che, assicura Telesca, «garantiscono definitivamente che non ci sarà alcuna prevaricazione di una parte sull'altra. Fermo restando che si tratta di un contratto tra Regione e Università». Le proteste friulane? «A Udine il percorso d'integrazione è più giovane. Ma, se la difesa degli interessi è legittima, il nostro obiettivo rimane quello dell'eliminazione dei doppioni e del miglioramento del sistema a favore dei cittadini». Pochi dubbi anche per la maggioranza (si astiene il solo Stefano Pustetto, Sel). Cremaschi promuove un documento «che può consentire di integrare più facilmente l'assistenza, la ricerca e la didattica, valorizzando la collaborazione tra gli operatori». Quanto ai “tagli” (entro il 2018 i primari in regione scenderanno da 288 a 212), viene rimandata a un tavolo integrato tra ospedalieri e universitari, differenziato per le due sedi di Udine e Trieste, «la definizione dei percorsi più opportuni per l'accorpamento delle strutture». Il protocollo, fa sapere la consigliere Pd, contiene ora inoltre una comunicazione più trasparente sui dati relativi alle attività didattiche e assistenziali universitarie e ospedaliere. Ai «sì» di Pd e Cittadini si aggiunge pure quello di Giovanni Barillari, il centrista del gruppo Misto. Ncd si astiene, come già aveva fatto sulla riforma sanitaria. Mentre Ar, su indicazione di Renzo Tondo, non partecipa al voto. «Avevamo chiesto 48 ore per ragionare sulle ennesime modifiche al protocollo ma non ci sono state concesse -­‐ spiega Valter Santarossa -­‐. Abbiamo così ritenuto non ci fossero i presupposti per un parere». A votare «no», dunque, solo M5S e Fi. «Serracchiani e Telesca tirano dritto senza cogliere la necessità di comporre tensioni che rischiano di far saltare un sistema già in grave difficoltà», attacca Riccardi denunciando l'inserimento nella stessa organizzazione di «trapianti di cuore e assistenza badanti». Di fronte alla contrarietà degli ospedalieri, insiste il capogruppo forzista, «mi chiedo perché la giunta perseveri in una posizione a questo punto ingiustificabile». Pollice verso anche per Bruno Marini: «Le chiusure per Trieste sono confermate, nessuna buona notizia per la sanità cittadina». Secca anche la nota di Barbara Zilli della Lega Nord: «Questo protocollo è l'ultimo tassello di una riforma disastrosa». Grim blinda gli assegni anti povertà «Altro che fallimento, le misure di sostegno al reddito promosse dal centrosinistra funzionano e stanno centrando obiettivi concreti, intercettando nuovi bisogni». Lo afferma in risposta agli attacchi del leghista Massimiliano Fedriga la segretaria regionale del Pd Fvg Antonella Grim, sottolineando che «i primi risultati ci dicono che anche cittadini fino ad oggi lontani dal mondo del sostegno sociale, necessitano di aiuto in questo momento di crisi». Secondo Grim «dal centrodestra, Lega Nord in particolare, arrivano come sempre ritornelli strumentali e ideologici: si focalizzano sull’aspetto più facile per urlare alla pancia dell’elettorato e non alla testa. In realtà – continua Grim – in Fvg abbiamo individuato uno strumento innovativo, che tutela le fasce più deboli senza tradursi nel vecchio assistenzialismo». «Le misure possono anche essere rimodulate nel tempo a seconda delle necessità e dei risultati, ma l’importante – afferma Grim – è che noi lo abbiamo fatto, a differenza del centrodestra che, per anni, ha 2 lasciato scivolare la nostra regione nella marginalità senza sostenere veramente né le famiglie, né i lavoratori né le imprese». Trieste Trieste punta sul turismo senza barriere Realizzati un portale web e brochure informative con la mappa dei luoghi di interesse accessibili ai portatori di handicap È stato pubblicato il bando per la selezione di 120 volontari per i progetti di Servizio civile nazionale elaborati dagli enti e approvati dalla Regione. Nel dettaglio l’Azienda per l’assistenza sanitaria 1 Triestina seleziona 14 volontari per il progetto: “Crescere in famiglia e nel contesto di vita”. L'impiego dei volontari nei progetti decorrerà dalla data che verrà comunicata successivamente dal Dipartimento della gioventù e del Servizio civile. La durata del servizio è di dodici mesi. Ai volontari in servizio civile spetterà un assegno mensile di 433,80 euro. Gli interessati possono presentare domanda con queste modalità: consegna diretta a mano, all'Ufficio servizi civile dell'Aas, Posta elettronica certificata o a mezzo raccomandata da spedire all’indirizzo Ufficio Servizio Civile -­‐ Azienda per l'Assistenza Sanitaria n.1 "Triestina" -­‐ via Valmaura 59 -­‐ 34148 Trieste. Informazioni possono essere richieste allo stesso Ufficio del Distretto 3, stanza 8, il lunedì dalle 14 alle 18; il martedí e mercoledì dalle 10 alle 14, e il giovedì dalle 9.30 alle 13.30.di Furio Baldassi Un turismo senza barriere. Anche fisiche. Pubblicizzato sul web e facilmente consultabile. Lo propone il Comune, col suo nuovo portale www.triestepertutti.comune.trieste.it, strumento di informazione per i soggetti più deboli, finalmente in grado di poter godere di una piena fruizione della città e delle sue attrattive. Un primo passo importante ma non esaustivo, se è vero che il sindaco Cosolini ha annotato che «il concetto di accessibilità non si raggiunge mai, perché ogni punto di arrivo deve essere un punto di partenza». Affiancato dal vicesindaco Martini e dagli assessori Famulari, Kraus, Marchigiani e dall’assessore provinciale Tarlao turistiche, il sindaco ha sintetizzato, nella sala Bazlen di palazzo Gopcevich, il messaggio insito in quest’iniziativa a una folta rappresentanza di diversamente abili. Erano presenti la referente accademica del progetto Ilaria Garofolo, il presidente della Consulta regionale disabili Vincenzo Zoccano e i rappresentanti di TriesteAbile, del CUPH, dell'IRSseS e della piattaforma web TCD. La nuova guida è frutto di un lavoro accurato svolto da un gruppo di lavoro che ha contattato e monitorato strutture alberghiere, teatri, cinema, impianti sportivi, stabilimenti balneari, parchi e giardini, luoghi di culto, luoghi di interesse storico. Una vera mappa dei posti “accessibili”, insomma, utilissima per pianificare un viaggio e un soggiorno in città. Il pacchetto di “Trieste per tutti” comprende una brochure esplicativa e un un portale dedicato, accessibile dal sito della Rete Civica del Comune. Molto basica e facilmente compr ensibile la forma scelta per gli stampati e i file, compresi i file in formati accessibili per la lettura con i principali programmi di conversione in file audio e piena fruibilità da parte dei ciechi, tanto che il portale ha acquisito la certificazione da parte dell'OSI (Commissione Osservatorio Siti Internet dell'Unione Italiana Ciechi). Gli aderenti usufruiranno anche di un adesivo con un QR Code da poter esporre nelle reception quale certificazione di adesione al sito "Trieste accessibile". Del resto "Trieste per tutti" è un lavoro collettivo che ha visto la pèartecipazione diretta delle persone con disabilità, coinvolte in prima persona come utenti e tester degli spazi e servizi. «Il prodotto che nasce oggi -­‐ ha commentato l’assessore Famulari -­‐ ha l'obiettivo di crescere nel tempo, per essere uno strumento utile per tutti i tipi di disabilità e per tutti i target turistici». «Con il +25% nelle presenze -­‐ha concluso Cosolini-­‐ la crescita turistica della città è un fatto reale, doveroso quindi offrirsi a tutti e presentarsi nel miglior modo possibile, in particolare a questo specifico settore di visitatori e turisti». 3 Lettere Sanità. Residenze protette rimborso non equo “Il Piccolo” del 27 febbraio ha riportato un’importante notizia per gli anziani triestini e per le loro famiglie. Infatti il Consiglio comunale ha approvato all’unanimità la mozione proposta dal consigliere Roberto Decarli in merito all'equiparazione del rimborso degli oneri sanitari che gravano le rette per le residenze protette, rispetto a quanto avviene in altre aree della regione. Oggi una persona residente in strutture protette triestine (oltre un migliaio di cittadini), riceve un rimborso inferiore di circa cinque euro rispetto ad una persona residente in strutture udinesi e pordenonesi. Sembra incredibile, ma nonostante ripetute richieste avanzate da enti, cittadini, mai nessuno al di fuori dell’Asp Itis si era preso a cuore una questione che costituisce un’ingiustizia evidente ed incredibile, oltre a un costo rilevante per noi anziani triestini. In qualità di rappresentante dell'utenza e dei famigliari in seno al consiglio di amministrazione dell’Asp Itis auspico che, con sollecitudine, ci sia la possibilità di ottenere l’attesa equiparazione del rimborso degli oneri sanitari, che garantirebbe un grandissimo aiuto a chi si trova nella necessità di affrontare la non autosufficienza in età anziana. Voglio ringraziare a nome mio personale, e da parte di tutte quelle persone che da anni sono in attesa, Roberto Decarli, i consiglieri che hanno sottoscritto la mozione e il Consiglio comunale per la sensibilità e l’attenzione che hanno voluto riservare a tutti noi, oltre a incoraggiare la Giunta nell’obiettivo di ottenere quanto sopra indicato. Adriano Piani rappresentante utenti Itis Pianeta scienza Ma il vaccino è sempre un salvavita Dal vaiolo alla poliomelite, dal tetano alla meningite: tante malattie sconfitte di PIERLUIGI LOPALCO. È il 9 dicembre del 1979 ed un gruppetto di distinti signori in giacca e cravatta firmano una pergamena in calce ad uno scarno testo tradotto in sei lingue: "Noi, membri della commissione globale per la certificazione dell'eradicazione del vaiolo, certifichiamo che il vaiolo è stato eradicato dal mondo". Per la prima volta nella storia dell'Uomo una malattia era stata debellata a livello globale, grazie agli sforzi combinati della scienza e della politica. Grazie ad un vaccino. Malattie come poliomielite, difterite, tetano rappresentavano un incubo per la generazione dei miei genitori, ma non lo erano più quando io sono diventato genitore. La diffusione di gravi malattie come pertosse, meningite, morbillo, rosolia congenita si è anche drasticamente ridotta. Paradossalmente, la scarsa circolazione di malattie infettive prevenibili ha alterato la percezione della loro pericolosità, focalizzando l'attenzione pubblica sui presunti problemi di sicurezza dei vaccini. A rendere tutto ancora più paradossale, il fatto che i vaccini di oggi hanno un profilo di sicurezza enormemente superiore a quello dei vecchi vaccini, ad esempio, contro il vaiolo o la poliomielite, che erano invece gravati da una proporzione significativa di effetti indesiderati anche gravi. I vaccini di oggi sono frutto di ricerche avanzate e tecnologie complesse. Dall'idea originale di indurre la protezione contro una malattia inoculando un microrganismo ucciso o attenuato nella sua virulenza, nel corso del tempo le conoscenze in campo immunologico e le nuove biotecnologie hanno permesso di disegnare vaccini sempre più efficaci e privi di effetti indesiderati gravi. E qui entra in gioco un altro paradosso: il fatto che nella produzione dei vaccini si utilizzino tecniche di bio-­‐ingegneria avanzate fa aumentare in molti la diffidenza e lo scetticismo verso qualcosa che ricorda manipolazioni genetiche o chissà quali altre diavolerie. A complicare il panorama, sono intervenute poi vere e proprie truffe, come quella operata da Andrew Wakefield che pubblicò una ricerca fraudolenta che suggeriva un'associazione fra vaccino contro morbillo, parotite e rosolia ed autismo. Sono passati anni da quel lontano 1998, la ricerca è stata ritrattata, Wakefield è stato radiato dall'Ordine dei Medici, sono stati pubblicati 4 centinaia di studi che hanno ripetutamente stabilito che fra vaccini ed autismo non esiste alcun legame, eppure l'eco di quella bufala imperversa ancora nell'opinione pubblica, amplificata dai media complottisti e utilizzata da avvocati senza scrupoli che inducono i familiari di bambini autistici ad intentare invano richieste di risarcimento contro lo Stato per danno da vaccino. Paura degli effetti collaterali e ignoranza del rischio reale di contrarre malattie infettive gravi, uniti ai comportamenti più o meno fraudolenti di alcuni attivisti anti-­‐
vaccini, pongono oggi un serio problema per la salute pubblica. Negli ultimi mesi l'eco di eventi come la recrudescenza di pertosse e morbillo, l'epidemia di meningite in corso in Toscana, le notizie sempre più preoccupanti di casi mortali di difterite in paesi vicini come Spagna e Belgio, hanno indotto anche il nostro Ministero della Salute a lanciare un segnale di allarme e richiamare l'attenzione sul caso vaccini in Italia. Perché, se è pur vero che tale situazione è il risultato di complesse dinamiche psico-­‐sociologiche di massa alimentate da comportamenti a cavallo fra ignoranza e malafede, la risposta deve venire dalla sanità pubblica. Una sanità pubblica che è schiacciata fra i problemi causati dai bassi livelli di vaccinazione (vedi epidemia di meningite) e la riduzione costante di risorse da impegnare per migliorare le coperture vaccinali. Oggi il medico vaccinatore deve dedicare molte più impegno per raggiungere e convincere i genitori a vaccinare i propri figli, e sciogliere quei dubbi infondati causati dalla falsa informazione dilagante su Internet. E questo è l'ultimo dei paradossi: nel nostro mondo dominato dal consumismo (anche sanitario) siamo costretti a spendere risorse per convincere dei genitori ad utilizzare quegli stessi vaccini che genitori di paesi più svantaggiati chiedono a gran voce per i propri figli, ma non gli vengono messi a disposizione. Non banalizzare la biologia e la medicina di MAURO GIACCA. Se sfogliate l'archivio del “Piccolo” troverete che, durante tutto il 2015, il termine "Dna" è stato usato 551 volte. Ha vinto la gara con "gene o genetica" (303 volte), "vaccino o vaccinazione" (141), "Ogm" (91), "staminali" (90), "embrione o embrioni" (67). Questi numeri rendono bene l'idea di come biologia e medicina siano ormai uscite dai laboratori per entrare prepotentemente nella vita e nel linguaggio comune. Come sono raccontate le storie che riguardano questi argomenti sui giornali e alla televisione? Non sempre in maniera impeccabile, ma certamente con uno stile molto più professionale e accurato di soltanto pochi anni fa. Purtroppo non si può dire lo stesso di internet, dove continuano a dilagare messaggi artigianali, fuorvianti, talvolta incoscienti o fraudolenti. Raccontare bene la scienza in biologia e medicina porta con sé una responsabilità diversa dal farlo in fisica o matematica. Scrivere male del bosone di Higgs o dell'ultima radiazione elettromagnetica spreca un'opportunità di sapere. Ma esporre male dell'uso delle cellule staminali o dei geni che predispongono ai tumori ha un impatto diretto sulle aspettative e sulle scelte etiche di chi legge o ascolta. Almeno due le regole fondamentali. Primo: mai confondere l'aneddoto con la scienza. Da Galileo in poi, la ricerca scientifica funziona con le sperimentazioni controllate che generano differenze significative dal punto di vista statistico. L'aneddoto è il caso singolo, irripetibile, spesso irriproducibile; è il paziente che è migliorato con un placebo, o quello che è morto pur ricevendo un farmaco attivo. L'aneddoto è molto ricercato nei talk show televisivi, ma non fa avanzare la scienza; alimenta invece il mondo spesso fraudolento di internet. Secondo: mai banalizzare. La scienza è complessa, gli esperimenti pianificati per svelarla ancora di più. Ogni scoperta porta dietro di sé molte più domande di quanto siano quelle cui dà risposta. Raccontare le scoperte non può ridursi alla trama di un film americano, con il bene e il male separati nettamente e un eroe che alla fine fa trionfare il primo. La realtà della biologia e della medicina è variegata e difficile. E' costellata da variabili che difficilmente riescono a essere controllate sperimentalmente come invece riesce la fisica, a partire dalla diversità genetica degli individui su cui le sperimentazioni sono 5 eseguite. I problemi dei vaccini, delle cellule staminali, degli Ogm vanno inquadrati e contestualizzati. Governare la complessità deve essere il principio che guida non soltanto chi la scienza la fa in laboratorio, ma anche chi vuole capire i meccanismi della vita, delle malattie e delle cure. Monfalcone Oltre 2mila malati del morbo di Alzheimer Il direttore dell’Azienda sanitaria Pletti: «In pochi affidati a strutture di cura e assistenza». Un vero calvario per le famiglie di Laura Borsani. Il morbo di Alzheimer rappresenta solo una parte del complesso arcipelago della “demenza senile”. Malattie progressivamente invalidanti, che “imprigionano” gli anziani in una condizione dolorosa e alienante. Nell’ambito della Aas Isontina Bassa Friulana, si stimano 4.200 casi di demenza senile. È un dato assolutamente “grezzo”, orientativo poichè desunto dalle statistiche nazionali che indicano un milione di casi in tutta Italia. Dei 4.200 casi, circa il 50-­‐60% sono riferibili al morbo di Alzheimer. Quindi siamo a poco oltre i 2mila casi. Tra questi rientrano i malati gravi, per i quali è necesaria una «particolare rilevanza terapeutica e intensità della componente sanitaria». Si parla infatti di «prestazioni socio-­‐
sanitarie ad elevata integrazione sanitaria». Persone per le quali la preminenza dei fattori sanitari è superiore rispetto a quelli meramente assistenziali. E la mancanza di un continuo e assiduo monitoraggio sanitario metterebbe in gioco le condizioni di vita e di sopravvivenza del paziente. A disciplinare la materia in ordine ai malati gravi, invalidi al 100% e non autosufficienti sono i Dpcm del 14 febbraio e 29 novembre del 2001, che hanno sancito come a pagare anche l’assistenza sia il Sistema sanitario nazionale, per i pazienti ricoverati in case di riposo pubbliche o private convenzionate. Resta la grande difficoltà emotiva delle famiglie nel dover affrontare la gestione del congiunto, ma anche gli enormi sacrifici ed energie sostenuti. Solo una parte viene affidata alle strutture pubbliche o private in convenzione. Il più delle volte, proprio per la particolarità di questa malattia, sono le stesse famiglie a voler restare a fianco del congiunto, anche a costo di lasciare il lavoro, in particolare le donne. Si ricorre piuttosto all’aiuto di badanti. Il direttore del Distretto Est dell’Azienda sanitaria Bassa Friulana Isontina, Luciano Pletti, osserva: «Il problema dell’Alzheimer non si riduce ai soli centri di cura o case di riposo, che in genere sostengono solo una parte del carico sanitario-­‐
assistenziale di questa malattia. In realtà, c’è tutto un mondo sommerso e silenzioso, fatto di grandi sacrifici e difficoltà sostenute dalle famiglie o da quanti si fanno carico del malato. Sono pazienti molto difficili da gestire e i familiari tendono a preferire, almeno finchè è in qualche modo possibile, il mantenimento del congiunto a casa». L’Alzheimer si manifesta dopo i 70 anni, ma la frequenza aumenta oltre gli 80 anni. Rari, invece, sono i casi che riguardano fasce di età inferiori. «La diagnosi -­‐ continua Pletti -­‐ avviene solo dopo tempo dall’emergere dei primi segnali. Si inizia con l’amnesia e poi la malattia “esplode”, trattandosi di un morbo progressivamente invalidante». Non sempre, tuttavia, si giunge a un’effettiva diagnosi del morbo di Alzheimer. Il Basso Isontino fornisce, comunque, una serie di servizi e sostegni a carattere volontario. Il Centro Alzheimer, inaugurato nel febbraio 2007, è nato come nucleo sperimentale nel Friuli Venezia Giulia, destinato ad anziani non autosufficienti affetti da demenza senile. Offre un’assistenza sia a carattere residenziale, sia giornaliera con il Centro Diurno. L’Associazione “Alzheimer Isontino”, attiva da 15 anni nel Basso Isontino, in via Volta 26 (www.alzheimerisontino.it, presidente Solange Carneiro tel. 3384966679), affiliata alla Federazione Alzheimer Italia, dà voce ai bisogni dei familiari e delle persone affette dal morbo. «L’associazione -­‐ viene spiegato -­‐ ha attivato servizi per dare risposte concrete alle numerose famiglie che affrontano il rilevante carico assistenziale di questa malattia». Sono servizi gratuiti e rivolti all’intera comunità. Tra le attività rientrano lo sportello informativo di ascolto, la consulenza psicologica per i familiari, il gruppo di sostegno per i familiari, corsi di 6 formazione per familiari, badanti, operatori. È offerta anche l’assistenza domiciliare alle famiglie: dal 2005 ad oggi sono state erogate oltre 5.500 ore, attraverso un operatore che sostituisce il familiare accudente per alcune ore alla settimana. «Rette non dovute dai familiari» Sentenza del Tribunale di Verona: prevalenza sanitaria rispetto a quella assistenziale Il diritto alla salute è stato riconosciuto anche dalla Cassazione, con la nota sentenza n.4558 del 23 marzo 2012. C’è un aspetto da considerare: le strutture di cura pubbliche e convenzionate prevedono la firma di una sorta di “accordo”, con il quale l’utente o più spesso il familiare o persona che si fa carico del malato, s’impegna a pagare la retta. Il tema legato all’Alzheimer è da anni motivo di battaglia giudiziale. Numerosi sono stati i ricorsi ai Tribunali ordinari in Italia. L’Associazione Confconsumatori di Gorizia, che ha sede a Monfalcone, la cui responsabile è l’avvocato Elena De Luca, si sta occupando da tempo della problematica nel nostro territorio, ma anche in regione. L’ultima sentenza è stata pronunciata dal Tribunale di Verona il 21 marzo 2016. La causa è stata promossa dall’avvocato Maria Luisa Tezza, che ha rappresentato il figlio di un donna malata di Alzheimer, trovatosi di fronte all’ingiunzione di pagamento della retta della casa di riposo dove la madre era ospite, avendo sospeso i versamenti. La sentenza ha confermato che la copertura economica è appannaggio del Servizio sanitario nazionale, trattandosi di «prevalente prestazione sanitaria rispetto a quella assistenziale». Si afferma che «nulla è dovuto dall’utenza o dal Comune, in quanto non può dirsi sussistente alcuna componente sociale della retta, esclusivamente sanitaria. Ciò comporta la nullità di qualsivoglia “patto” siglato tra l’utente o i suoi parenti e le strutture di ricovero, volti a corrispondere alla struttura parte o l’intera quota sociale». Nella norma rientrano i malati gravi, invalidi al 100%, non autosufficienti. Il sostegno economico riguarda anche l’assistenza a domicilio. L’avvocato Tezza ha spiegato: «La normativa stabilisce per i casi di trattamenti e cure a domicilio della persona anziana benefici fiscali nell’ambito della dichiarazione dei redditi. Ciò a fronte di un programma terapeutico che contempla l’intervento del medico di base e di figure sanitarie come le Oss». Al Centro Argo risiedono tredici pazienti Sono ospiti temporanei, la permanenza varia tra i 6 mesi e i 3 anni. Accolte giornalmente 8 persone Il Centro Argo Alzheimer Riabilitazione Gestione Ospitalità a San Canzian d’Isonzo, che rientra nella rete delle strutture residenziali e Centri diurni per anziani auto e non autosufficienti, rappresenta l’unico riferimento in regione, nato come nucleo sperimentale. A fronte della Carta dei Servizi stipulata nel 2009, con il sostegno della Regione che ha voluto fortemente la struttura, assieme ai Comuni del mandamento, è destinato ad anziani non autosufficienti affetti da demenza. Al Centro accedono prevalentemente i residenti degli 8 Comuni aderenti al progetto e appartenenti all’Ambito Basso Isontino. Attualmente sono ospitati 13 residenti temporanei, la cui permanenza varia tra i 6 mesi e i 3 anni. Si tratta di persone per le quali è necessaria una particolare attenzione assistenziale, al fine di stabilizzare i comportamenti a rischio, come il pericolo di fuga o eventi violenti. La lista di attesa è di 4-­‐5 persone. Altri 8 anziani, invece, frequentano il Centro diurno. La struttura offre anche il cosiddetto “Modulo respiro”, che consiste nel prendersi carico dell’anziano per un periodo tra i 20 giorni ai 2 mesi, proprio per alleviare le famiglie dall’assiduo carico assistenziale. Questo servizio ha la precedenza sulle domande in ordine alla residenza temporanea nel Centro. L’obiettivo prevalente, dunque, è quello dell’accoglienza temporanea (diurna o residenziale) di persone affette da demenza e con gravi problemi di comportamento e deambulanti. «Si tratta di obiettivi -­‐ spiega Franco Iurlaro, direttore delle Residenze protette associate del Basso 7 Isontino -­‐ e quindi di condizioni specifiche, che si distinguono da quelle tipiche di una qualunque residenza protetta e Centro diurno per non autosufficienti». La copertura economica si compone di una quota a carico dell’Azienda sanitaria, una quota giornaliera regionale, pari a 18 euro, mentre il residuo è a carico delle famiglie dell’utente. Al Centro sono giunte richieste di informazione da parte della Confconsumatori di Gorizia, la cui responsabile è l’avvocato Elena De Luca. Iurlaro osserva, a proposito della dibattuta questione circa la copertura assistenziale a carico del Servizio sanitario nazionale nei casi di prestazioni ad alta integrazione sanitaria: «Le sentenze sono legate a casi specifici e dipendono dal sistema sanitario e assistenziale previsto da Regione e Regione. Nel Friuli Venezia Giulia la copertura sanitaria è garantita dall’Aas, mentre la retta è solo assistenziale. Sono utenti per i quali non c’è preminenza della prestazione sanitaria. I pazienti rientrano nella classificazione di anziani non autosufficienti, per i quali viene garantito il contributo regionale. Quanto alla somma residua a carico delle famiglie, i Comuni possono integrare le rette in base all’Isee».(la.bo.) Messaggero Veneto 5 aprile 2016 Regione La maggioranza fa quadrato Ok al patto ospedali-­‐atenei Via libera in Commissione grazie alle modifiche presentate da Cremaschi ( Pd ). Barillari ( Misto ) vota a fovore. Telesca: " Maggiori garanzie per gli ospedalieri " di Mattia Pertoldi. UDINE. Alla fine il centrosinistra ha trovato la quadratura del cerchio. La bozza di Protocollo d’intesa Regione-­‐università passa a maggioranza il vaglio della III Commissione – senza il voto di Stefano Pustetto (Sel), l’astensione di Alessandro Colautti (Ncd), la non partecipazione al voto di Autonomia responsabile, ma con un Antonio Barillari in più nel motore – e la giunta può procedere alla delibera con maggiore serenità. Un’operazione non facile, sia per l’opposizione dei sindacati dei medici ospedalieri che del collegio dei primari di Udine, e portata a buon fine – per la maggioranza – grazie al lavoro di filtro compiuto dalla consigliera Silvana Cremaschi (Pd). Il Protocollo su cui è stato espresso parere favorevole, infatti, è stato nuovamente modificato rispetto al testo già emendato giovedì scorso proprio su iniziativa della “dem” che lo ha trasmesso, ieri, al vertice di maggioranza che ha anticipato la III Commissione. La novità principale riguarda il fatto che a Udine resteranno altre due strutture da riorganizzare entro i prossimi tre anni – Anatomia patologica e Laboratorio – oltre alle tre – Chirurgia maxillo-­‐facciale, Chirurgia plastica e Oculistica – già contenute nella bozza della scorsa settimana. Oltre a questo per quanto riguarda la direzione delle strutture assistenziali si prevede «un equilibrio, nell’affidamento a personale giuridicamente afferente all’università o al Sistema sanitario regionale, che tenga conto della situazione attuale della proporzione del personale apicale all’interno delle aziende». Nè il testo né le tabelle, però, prevedono una definizione percentuale precisa della divisione tra ospedalieri e universitari. «Manteniamo lo status quo – ha spiegato Cremaschi – per rispetto delle diverse storie di Udine e Trieste. In Friuli circa il 40% delle strutture è gestito da universitari, in territorio giuliano siamo al 46%. Inoltre abbiamo rimandato a un tavolo integrato tra ospedalieri e universitari, separato per le due sedi di Udine e Trieste, la definizione dei percorsi più opportuni per l’accorpamento delle strutture ospedaliere ed universitarie». Nel protocollo, poi, si precisa che il direttore generale rende pubblici e consultabili sul sito aziendale, con sufficiente anticipo rispetto alla programmazione delle attività, i dati relativi al personale del Sistema sanitario regionale coinvolto nell’attività didattica e di tutoraggio, le strutture coinvolte in tale attività, il numero delle unità in 8 formazione e i calendari delle attività didattiche di ciascun corso o scuola. Fuor di metafora, in altre parole, significa che anche il personale universitario, d’ora in poi, sarà chiamato a “timbrare il cartellino” come un ospedaliero. Modifiche, queste, che incassano il placet dell’assessore alla Salute Maria Sandra Telesca. «Abbiamo cercato di tranquillizzare tutti – ha commentato –, anche se resto fermamente convinta di un concetto e cioè che se qualcuno grida allo sbilanciamento a favore dell’università in questo caso dovrebbe dare un’occhiata al Protocollo precedente. Noi abbiamo “blindato” il direttore generale con una serie di garanzia, inesistenti in precedenza, che tutelano soprattutto gli ospedalieri». E se Barillari ha motivato il suo sì al Protocollo perchè «si pongono le basi di integrazione e di omogeneità scientifico-­‐
assistenziale necessarie per sviluppare il modello di ospedale di insegnamento che rappresenta la prospettiva dei grandi ospedali italiani dei prossimi anni» resta contraria Forza Italia. «Mi chiedo perché la giunta perseveri nel mantenere una posizione ingiustificabile – ha detto il capogruppo Riccardo Riccardi –. Ancora una volta hanno operato dei correttivi senza ascoltare i diretti interessati. Il Protocollo, in apparenza, conteneva dei correttivi che sembravano riequilibrare la situazione, ma in realtà saranno svantaggiati professionisti che operano nelle aziende ospedaliere che probabilmente cercheranno altre sedi perché in Fvg difficilmente riusciranno a essere valorizzati». Pustetto all’ex Udc: sappiamo che vuoi diventare primario Botta e risposta e due stilettate, ieri, in III Commissione tra Giovanni Barillari (Misto) e Stefano Pustetto (Sel). Mentre, infatti, l’ex Udc stava spiegando come, a suo dire, la polemica sui rapporti con gli atenei «sia vecchia di 20 anni», realizzata da chi «non so quanto rappresenti davvero i primari» e soprattutto «non ha mai voluto l’università all’interno degli ospedali», è esploso Stefano Pustetto. Il consigliere di Sel, infatti, ha sibilato a dentri stretti, dalla parte opposta del tavolo rispetto alla posizione occupata da Barillari: «Sappiamo che sei in lizza per diventare primario...». Una bordata che ha portato prima alla reazione dell’assessore alla Salute Maria Sandra Telesca che ha ricordato come «i concorsi siano pubblici» e poi dello stesso Barillari. «Francamente – ha replicato a Pustetto – questa mia presa di posizione nei confronti del Collegio dei primari di Udine non credo mi gioverebbe se, davvero, volessi diventare primario». (m.p.) Udine Nuova legge da Roma ed è caos prescrizioni Molti dottori negano le ricette e i pazienti dvono pagare Decine di segnalazioni all'Associazione del malato di Alessandra Ceschia. «Spiacente, se vuole fare quell’esame se lo deve pagare». In tempi di ristrettezze si risparmia su tutto, anche sulla salute. E il “Decreto appropriatezza”, entrato in vigore il 20 gennaio scorso, ha imposto un nuovo giro di vite alla spesa sanitaria. Vittime di una medicina che, dalla ricetta facile è passata alla ricetta negata, soggetti deboli, malati cronici e anziani costretti a fare la spola fra gli studi degli specialisti e quelli dei medici di base per riuscire a impossessarsi dell’agognata “ricetta rossa”. Le segnalazioni all’Associazione Diritti del malato stanno fioccando a decine. «Raccogliamo gli appelli di persone che hanno problemi di salute anche gravi e che sono chiamati a pagare privatamente esami clinici necessari, pur essendo costretti a vivere con mezzo migliaio al mese di pensione – esordisce la presidente dell’associazione Anna Agrizzi – l’applicazione del “Decreto appropriatezza” ha portato a ripetute violazioni al diritto alla salute, sancito dal decreto 32 della Costituzione italiana e siamo fortemente preoccupati delle conseguenze che questa situazione sta producendo nei confronti di persone già affette da gravi patologie che sono costrette a sobbarcarsi ulteriori spese per sottoporsi ad accertamenti diagnostici». È il caso di Aldo, 9 friulano di 75 anni affetto da “polimialgia reumatica” diagnosticata dalla clinica di Reumatologia dell’ospedale di Udine. «Lo specialista mi ha prescritto esami di controllo del sangue prima a un mese, poi ogni due mesi, fino al prossimo controllo ambulatoriale, previsto a distanza di sei mesi. In seguito a questa visita, ho proceduto a effettuare gli esami del sangue a febbraio all’ospedale di Udine, con una prescrizione consegnatami gentilmente dal mio medico di base a cui mi ero rivolto dopo la visita specialistica, consegnandogli il relativo referto. Tuttavia, lo stesso mi specificava che sarebbe stata l’unica e l’ultima volta che procedeva in tal senso dato che i medici di base non possono più prescrivere determinati esami, se non nel rispetto di certi criteri specifici indicati dal “Decreto appropriatezza”. Il mio medico di base mi informava altresì che mi sarei dovuto rivolgere allo specialista per ottenere le prescrizioni degli altri esami del sangue di cui necessito». È andata peggio alla signora Anna, 72 anni, sofferente di gozzo, cisti alla tiroide, ipertensione arteriosa, maculopatia e reduce da un intervento. «Il mio quadro clinico dimostra come io abbia bisogno di eseguire almeno una volta all’anno le analisi del sangue che, in passato, il mio medico di base mi prescriveva senza alcun problema. Gli ultimi esami che ho eseguito si riferiscono al 2015, quindi in data odierna mi sono recata dal mio medico di medicina generale, il quale con mio stupore mi ha comunicato che da ora la legge non permetterà più di accedere agli esami in forma gratuita. Mi risulta che dovrei affrontare una spesa intorno ai 100/150 euro, cosa per me non sostenibile». Di casi come questo, purtroppo, ce ne sono tanti. Come tanti sono i pazienti costretti a migrare dallo specialista al medico di base e viceversa per ottenere una prescrizione. Molti desistono e, pur di curarsi, stringono i denti e pagano interamente gli esami. «Questa situazione è inaccettabile -­‐ protesta l’avvocato Agrizzi – e a farne le spese sono i malati, specie quelli anziani, che non hanno la forza e il coraggio di opporsi a questa situazione. Metteremo in mora i medici di base, le Aziende sanitarie per cui lavorano e lo stesso ministro Beatrice Lorenzin, che saranno chiamati a rispondere nel caso questi comportamenti omissivi provochino danni alla salute dei malati. Un’altra conseguenza nefasta prodotta da questa norma – aggiunge Agrizzi – è che in questo modo si determina la fine della medicina preventiva, vale a dire un importante presidio per la difesa della salute, ed è un fenomeno che avrà pesanti ricadute, anche economiche». Anche i medici contro la norma: limita la nostra autonomia Il presidente dell’Ordine: chieste deroghe per invalidi e cronici Il sindacato: gli specialisti scaricano a noi le incombenze di Alessandra Ceschia. Ad alzare le barricate in occasione dell’entrata in vigore del decreto appropriatezza sono stati i medici di famiglia, che hanno individuato nella nuova normativa una limitazione dell’autonomia professionale. Il decreto “taglia-­‐esami” infatti ha imposto una stretta su 203 accertamenti diagnostici. Una misura che, sulla carta, imponeva ai medici di famiglia di attenersi a rigidi criteri di prescrizione e, in alcuni casi, negava loro la possibilità di prescriversi, fino a prevedere sanzioni a carico dei medici che non vi si attenevano. La retromarcia del governo è partita proprio da questo punto, sospendendo di fatto le sanzioni. «La mobilitazione dei medici è stata trasversale – commenta il presidente dell’Ordine dei medici di Udine Maurizio Rocco – così a metà marzo abbiamo inviato una nota al ministero attraverso la Federazione nazionale in cui si contestava il concetto di appropriatezza, ma soprattutto – precisa Rocco – si chiedeva una netta distinzione fra il concetto di appropriatezza, di pertinenza medica e i Livelli essenziali di assistenza (Lea) previsti gratuitamente, che sono di pertinenza politica. Abbiamo chiesto – continua Rocco – di mantenere in forma sperimentale le norme previste dal decreto e, comunque, di escluderne l’applicazione nei confronti dei pazienti cronici o degli invalidi e dare prevalenza alla buona pratica clinica del medico, mentre per gli specialisti il discorso che si deve fare va inserito all’interno di un percorso diagnostico terapeutico condiviso». È dei giorni scorsi la circolare 10 ministeriale che indica una revisione dei criteri introdotti dal decreto. Una risposta che divide i medici fra soddisfatti e scontenti, ma che segna un passo avanti nel braccio di ferro fra governo e federazione. «Nella circolare, che andremo a esaminare nel dettaglio e di cui daremo ampia informazione ai pazienti – spiega Rocco – sono state accolte alcune delle eccezioni che avevamo sollevato, in particolare quelle relative ai pazienti cronici e disabili». Ma i disagi ai pazienti non sono solo la diretta conseguenza del “decreto Lorenzin”, come spiega il dottor Stefano Vignando, vicepresidente provinciale del Sindacato nazionale autonomo medici italiani (Snami). «Bisogna andare a monte del problema – esordisce – a una serie di norme regionali e, in particolare, alla delibera della giunta regionale 2034 del 2015». Quella delibera riporta che «per non costringere l’utente a recarsi dal proprio medico di medicina generale per l’impegnativa, evitargli di contattare il call center o recarsi allo sportello Cup e prevenire il rischio di non trovare la disponibilità del posto entro il tempo indicato dallo specialista per l’effettuazione del controllo, le prescrizioni di controllo, ove necessarie, ed eventuali prestazioni diagnostiche come esami di laboratorio, risonanze e tac, devono essere prescritte e prenotate dall’erogante (professionista o struttura) contestualmente alla visita effettuata». Ma in molti casi, sostiene Vignando, non è così che funziona. «Pur essendo lo specialista un prescrittore – argomenta –, spesso si limita a indicare una serie di esami, inviando il paziente al proprio medico di base per la prescrizione, ed è su quest’ultimo che ricade la responsabilità di fare la prescrizione sulla base di visite effettuate da altri, sia in forma pubblica che privata. Ma sono i medici di famiglia poi a metterci la faccia – chiarisce Vignando – e a rispondere quando prescrivono un esame ritenuto “non appropriato”, con il risultato che il paziente viene respinto al Cup». Progetto contro fumo, alcol e droga L’iniziativa avrà la durata di un anno e mezzo. Coinvolte le scuole Fumo, alcol e droga: tre piaghe che colpiscono anche il Friuli. Secondo i dati Istat 2013, ad esempio, per quanto riguarda l’abuso dell’alcol, la nostra regione è inserita sul podio nelle percentuali di chi ha avuto almeno un comportamento a rischio (il 17,3%), di chi ha un consumo giornalierio non moderato (9,1%) e di chi si scola diversi bicchiere nell’arco di poche ore (9,9%). Per questo motivo l’assessorato all’istruzione e alle politiche socio-­‐sanitarie ed assistenziali del Comune di Campoformido, l’istituto comprensivo di Pozzuolo, l’Università di Udine e l’azienda sanitaria del Friuli Centrale avviano un progetto sperimentale sulla prevenzione delle dipendenze da fumo, alcool, droga e comportamenti a rischio. Il progetto è previsto della durata di un anno e mezzo. L’iniziativa ha il patrocinio dell’Ordine dei medici chirurghi e odontoiatri, dell’Ordine degli psicologi della provincia di Udine e dell'Associazione nazionale educatori professionali del Friuli Venezia Giulia. La presentazione è prevista lunedì 11 a Campoformido. Rette aumentate alla casa di riposo anche la Regione vuole vederci chiaro Villa Santina: in una lettera inviata al consiglio di amministrazione chieste spiegazioni dettagliate Giovedì la questione ritorna in consiglio comunale in un ordine del giorno dell’opposizione di Gino Grillo. VILLA SANTINA. La Regione chiede lumi sugli aumenti delle rette per gli ospiti della casa di riposo Residence Stati Uniti d’America, aumenti che – per la loro entità – hanno già suscitato molto sconcerto tra i parenti degli ospiti e portato alla costituzione di un comitato che vuole vederci chiaro su un’iniziativa che non avrebbe riscontro in altre strutture della regione.Aumenti che si aggirerebbero, complessivamente nell'anno in corso, sul 12-­‐13 per cento, suddiviso in due scaglioni. Avversi a questa decisione si erano detti alcuni componenti del consiglio di amministrazione precedente, tra i quali Eldi Candido e Silvia 11 Monai, attualmente consiglieri comunali. In una lettera inviata al consiglio di amministrazione del Residence e all’amministrazione comunale, proprietaria dell’immobile e socio di riferimento della struttura, la Regione chiede dunque di conoscere le motivazioni dell’aumento dell’Iva che le cooperative che gestiscono i servizi del Residence, riunite in un raggruppamento temporaneo di imprese, avrebbero effettuato in maniera da obbligare all’aumento delle rette degli ospiti, come era stato spiegato dal cda e dal presidente Mario Cuder. Ma la Regione interviene anche sull’incremento dei costi determinato da un aumento del personale dipendente assunto dalla direzione. «È verosimile – precisa la Regione nella sua lettera – qualora l’implementazione dei servizi infermieristici e fisioterapeutici fosse dovuta a un aumento del fabbisogno assistenziale, che gli ospiti accolti nella struttura di tipologia “casa albergo”, presentino un livello di complessità assistenziale non compatibile con l’autorizzazione al funzionamento rilasciata». In parole più semplici, vuole capire come mai la casa di riposo, prevista per ospiti autosufficienti, si trovi a dover gestire anche persone non autosufficienti, bisognose di un tipo ben diverso di assistenza e quindi di personale specifico. «Il fabbisogno assistenziale – prosegue dunque la Regione nella sua lettera –, deve essere valutato non dal consiglio di amministrazione bensì dal locale distretto sanitario che può richiedere eventualmente il trasferimento degli ospiti che necessitino di maggior assistenza in altre strutture». La Regione chiede conto inoltre degli oneri di manutenzione straordinaria (circa 20 mila euro per il rifacimento della sala mensa, spesa in parte successivamente attribuita al Comune) e «al fine di valutare la congruità degli aumenti approvati di trasmettere all’ente regionale il bilancio previsionale per il 2016». La questione ora sarà oggetto, su richiesta delle minoranze in consiglio comunale, di un apposito ordine del giorno del consiglio comunale di Villa Santina convocato per giovedì 7 aprile alle 20.30. La questione era già stata affrontata . Gemona Ospedale e reparto di medicina i comitati vogliono chiarimenti GEMONA. Come sarà potenziata l’area di medicina del San Michele? A chiederlo sono i comitati a difesa dell’ospedale gemonese all’indomani delle affermazioni della presidente della Regione Serracchiani dopo che è stata inaugurata la nuova dialisi. «Nel suo intervento -­‐ dicono i comitati -­‐ la presidente parla di un potenziamento della medicina. Ma allora non sarà trasformata in struttura intermedia polifunzionale? Un reparto per il trattamento riabilitativo e della cronicità? In pratica a detta degli esperti, una grande rsa. È necessario che questo punto in particolare venga ufficialmente chiarito da chi di dovere. Sarebbe necessario che la presidente e l’assessore Telesca vincessero la loro ritrosia a presentarsi a Gemona in un pubblico dibattito». (p.c.) L’accusa dei medici dell’emergenza: «Senza guardia pediatrica è il caos» Il portavoce Benedetti: manca il coordinamento nell’applicare il piano previsto dall’Azienda sanitaria Per una questione di turni sabato doveva essere in servizio un anestesista, ma non si è presentato di Paola Mauro. LATISANA. Caos e disservizi. Questa la situazione vissuta nelle ore notturne al Pronto soccorso dell’ospedale di Latisana, da quando non c’è più la guardia pediatrica. C’è un protocollo dell’emergenza, però è come se nell’applicarlo a volte manchi un coordinamento. A pensarlo per altro non sono solo gli utenti, ma gli stessi medici dell’emergenza territoriale, cioè quelle figure professionali che da protocollo sono bordo delle ambulanze che trasportano i casi pediatrici che il personale medico del Pronto soccorso di Latisana ritiene debbano essere visti da un medico pediatra. E il caso lampante di questa mancanza di coordinamento si 12 è visto nella notte di sabato – come riferisce il portavoce dei Met, medici dell’emergenza territoriale, Franco Benedetti – quando in turno doveva esserci, al posto di un Met, un anestesista che a quanto pare non si è presentato in servizio. Nessuno ha avvisato i Met, personale reperibile 24 ore su 24. E l’ambulanza che fa la spola fra Latisana e Palmanova è partita con il solo autista e un infermiere pediatrico. Per una questione di turni, così come previsto da una recente normativa, sabato in servizio non c’era un Met, personale territoriale extra ospedaliero, dirottato su Latisana assieme all’automedica tolta al monfalconese, ma doveva esserci un anestesista: tutto previsto – spiega Benedetti – dal protocollo dell’Azienda sanitaria. Così non è stato. E inoltre è stata una di quelle serate da Pronto soccorso intasato di casi in attesa. «Però nessuno ha pensato di chiamarci per una sostituzione – ribadisce il portavoce dei Met – potevamo farlo, siamo sempre reperibili». Lo stesso protocollo applicato a Latisana, dopo la sospensione della guardia pediatria, è stato attivato anche a Gorizia, per portare l’utenza pediatrica a Monfalcone, ma tutti i casi che non necessitano di un trasporto assistito, vengono indirizzati, se c’è la possibilità di farlo, in modo autonomo su Monfalcone: «ma è tutto un altro tragitto – commenta Benedetti – rispetto alla strada che separa Latisana da Jalmicco. Più corta e semplice. Non si possono mandare le persone allo sbaraglio». E il riferimento del portavoce dei Met è al percorso che si trova ad affrontare una famiglia, che deve raggiungere, con un caso pediatrico Palmanova. Con l’incertezza legata a uno dei tratti dell’A4 più soggetto a chiusure, per incidenti, l'alternativa rimane il percorso extra autostradale, molto più lungo e poco agevole, dovendo attraversare, o il centro di Palmanova o i “bastioni” per raggiungere Jalmicco. Gorizia La Croce rossa cerca volontari: c’è il corso Un corso base per volontari della Croce Rossa Italiana è in programma a partire dal prossimo 11 aprile a Gorizia, nella sede dell’associazione in via Codelli 9. L’obiettivo del sodalizio è quello di incrementare il numero di soci attivi sul territorio che possano contribuire in campo sociale, emergenziale, assistenziale e sanitario. Possono partecipare all’iniziativa i maggiori di 14 anni, in particolare se appartenenti a quelle categorie di persone con molto tempo libero a disposizione, come pensionati, lavoratori a turno e casalinghe. E’ gradita anche l’adesione di interessati con competenze e abilità professionali specifiche come elettricisti, cuochi, idraulici, segretarie, ecc. Il corso prevede dieci lezioni modulari, due alla settimana dalle 20.30 alle 22.30, tenute da istruttori qualificati. Verranno affrontati temi più teorici, utili nella formazione etico-­‐morale del volontario, ma non mancherà naturalmente un modulo didattico sul primo soccorso, allo scopo di formare persone in grado di prestare le prime cure in caso di incidenti. Verranno inoltre insegnate le manovre di B.L.S. ("Basic life support" , ovvero il massaggio cardiaco e la respirazione artificiale secondo le linee guida IRC ed ERC), alcune tecniche di supporto psicologico agli infortunati, la gestione corretta di una chiamata al 118, degli elementi di Diritto internazionale umanitario e infine dei cenni sull’ impiego della Cri in caso di emergenza come struttura operativa di Protezione Civile. Al termine del percorso formativo è previsto un esame suddiviso in due prove, con un test scritto a risposta multipla e un esercizio pratico di primo soccorso, che porteranno a un attestato di frequenza. (e.m.) «Cardiologia, servono letti Sacile scuola d’eccellenza» Antonini Canterin: prestazioni in aumento del 10%, arrivi anche dal Veneto Bordon (Aas5): si potrebbe utilizzare una parte dei 28 posti disponibili a Medicina di Chiara Benotti. SACILE. Aumento del 10% di prestazioni e flussi alti di pazienti in arrivo anche dal Veneto nel reparto di cardiologia. Dove le prestazioni sono cardiologiche, cardio-­‐
riabilitative e di prevenzione cardiovascolare con la direzione di Francesco Antonini Canterin: 13 22 mila in 12 mesi. «Un polo di attrazione e di eccellenza a Sacile è la scuola di ecocardiografia: arrivano colleghi specializzandi da tutta Italia – ha confermato Antonini Canterin –. In maggio arriverà una corsista da Shangai per attivare un progetto di studio semestrale». Un’eccellenza sanitaria in espansione. Il futuro. Degenza riabilitativa cardio-­‐
polmonare a Sacile: si può fare. «Il 18 aprile attiveremo la riconversione di medicina come prevede la riforma sanitaria – dice Paolo Bordon, direttore dell’Aas5, che ha confermato l’impegno per Sacile –. Le opportunità possono essere anche quelle di utilizzare una parte dei 28 posti letto per un progetto di degenza riabilitativa cardio-­‐polmonare». La riforma regionale va avanti e il futuro in bozza per Sacile è anche quello di polo cardiologico d’eccellenza. «I lavori per attivare il reparto dedicato al servizio di procreazione medicalmente assistita in via Ettoreo partiranno nel 2017 – ha continuato Bordon –. L’iter è confermato dallo stanziamento di risorse». Risorse oltre 500 mila euro e in prospettiva anche il servizio di salute mentale sarà ampliato sulle 24 ore in via Ettoreo. I fatti. Da tre settimane è stata attivata la riabilitazione polmonare in degenza dal primario Francesco Mazza. «Il potenziamento dei servizi – ha confermato Bordon – è stato attivato per la riabilitazione cardio-­‐polmonare. Le prospettive sono di potenziare il settore in degenza». I posti letto per la riabilitazione cardio-­‐polmonare post-­‐acuzie in degenza saranno definiti in termini di flessibilità nel Modello Sacile 2, che è un tassello del mosaico della buona sanità provinciale. «La cardiologia è un’eccellenza che funziona su tre gambe – ha confermato il primario Francesco Antonini Canterin –. Nell’ospedale di Pordenone per le acuzie, a San Vito al Tagliamento per le cronicità e nella struttura a Sacile di prevenzione e di riabilitazione. Il rapporto con il territorio e medici di famiglia è un altro fattore essenziale». L’appello per dare forma al polo di degenza cardio-­‐riabilitativa postacuzie a Sacile è quello degli “Amici del cuore”, l’associazione che collabora non stop con il settore cardiologico provinciale. La domanda. «Al polo di prevenzione e riabilitazione cardiologica coordinato dal dottore Francesco Antonini Canterin serve la degenza post-­‐acuzie: gli spazi nell’ospedale di Sacile ci sono». Renato Battiston vertice degli “Amici del cuore” non demorde: nell’assemblea annuale di 180 soci ha ricordato le promesse 2015. «L’opportunità è quella offerta dalla riforma sanitaria Fvg – Battiston ha lanciato l’appello bis alla Regione –. Ci sono pazienti costretti a cercare accesso fuori regione, all’ospedale di Motta di Livenza: a Sacile bisogna completare il dipartimento di cardiologia. Il polo sacilese potrebbe attrarre i pazienti da tutto il Nordest». Servono risorse e anche medici. LA LETTERA DI ZUZZI «Via ospedale, meglio presidio per la salute» Lo aveva più volte sollecitato nei volantinaggi e nelle iniziative pubbliche a difesa dell’ospedale: Gianfranco Zuzzi, capogruppo del M5s in consiglio comunale, aveva avanzato la proposta, per ragioni di correttezza e trasparenza, di cambiare l’insegna dell’ospedale da “Ospedale di Sacile” a “Presidio sanitario della salute”. E ieri ha preso carta e penna e scritto, riformulando la richiesta, al sindaco Roberto Ceraolo e al direttore generale della Aas 5, Paolo Bordon. Al primo cittadino e al massimo rappresentate nell’organizzazione sanitaria, Zuzzi ha scritto che la riforma sanitaria «ha visto quello che era l’ospedale di Sacile perdere, nell’indifferenza generale, vari servizi essenziali per i cittadini, declassandolo nell’organizzazione dell’assistenza ospedaliera regionale». Dopo avere ricordato che cosa prevede la riforma, con l’organizzazione a “hub”, che in provincia di Pordenone è il Santa Maria degli Angeli e “spoke”, Spilimbergo e San Vito, Zuzzi invita a dar seguito anche alla nuova denominazione per Sacile. «I presidi ospedalieri di Cividale, Gemona, Maniago e Sacile sono stati riconvertiti per lo svolgimento di attività distrettuali sanitarie e socio-­‐sanitarie acquisendo la denominazione di “Presidio ospedaliero per la salute” – prosegue Zuzzi nella lettera a Bordon – . Alla luce di quanto evidenziato ritengo sia doveroso da parte dell’Aas 5 14 prendere atto della nuova classificazione e procedere alla sostituzione delle indicazioni esistenti (ospedale e pronto Soccorso) con le nuove diciture “Presidio ospedaliero per la salute” e “Punto di primo intervento” come già avvenuto a Maniago, in una logica di trasparenza e di coerenza con i dettami della riforma sanitaria». (d.s.) La Nuova -­‐ Venezia 5 aprile 2016 «Il Piano socio-­‐sanitario non si blocca» Mantoan rassicura il sindacato pensionati della Cisl: l’Azienda Zero libererà risorse per il territorio VICENZA. A nove mesi dalla sua scadenza, il Piano socio-­‐sanitario regionale 2012-­‐2016 è a metà strada nell’attuazione. Un ritardo dovuto a problemi di “cambio mentalità” dei diversi attori. Basti pensare che la trattativa con i medici di base per arrivare al contratto di esercizio per le medicine di gruppo integrate (Mgi) è durata due anni, ma il ritardo potrà essere colmato in breve tempo. «Con il ritmo adottato negli ultimi mesi, e con l’accelerazione che ci sarà nei prossimi, in due anni porteremo a compimento le Mgi, gli ospedali di comunità e la riforma delle Ipab», ha detto infatti Domenico Mantoan, dg Area Sanità e Sociale della Regione. Mantoan era fra gli ospiti del convegno “Quale sistema socio sanitario per il territorio veneto e per la nostra gente”, organizzato dalla Fnp Cisl Veneto a Creazzo (Vicenza), con l’obiettivo di fare il punto della situazione della riforma soprattutto nelle parti che riguardano l'assistenza territoriale e domiciliare, di maggiore interesse per i pensionati. Fnp, sostenendo sin dall’inizio la bontà del Pssr, ha avuto da Mantoan anche l’assicurazione che il progetto di legge 23 sulla riorganizzazione delle Ulss e la creazione dell’Azienda Zero (in discussione in Quinta commissione) non bloccherà l’attuazione del piano: «Abbiamo scritto il pdl 23 come naturale prosecuzione del Piano sanitario – ha precisato il dg regionale – I risparmi che deriveranno dalla riorganizzazione amministrativa, dagli appalti su scala regionale, serviranno a finanziarlo ulteriormente». Quando la discussione politica toccherà il progetto di legge 25 sulla riforma delle Ipab, conclude Mantoan, ci sarà un ulteriore passaggio: «Nel Pssr è previsto che nelle Ipab possano esserci strutture intermedie come le Unità riabilitative territoriali, o anche le Mgi. L’Ipab che deciderà di diventare Apsp avrà il sostegno della Regione, quella che diventerà fondazione entrerà nel libero mercato». A un osservatore attento non sfugge il fatto che Mantoan operi da vero responsabile della sanità veneta. Nei giorni scorsi il dg Area Sanità e Sociale aveva espresso, nero su bianco, le sue perplessità al presidente della Quinta commissione, Fabrizio Boron: «Scrupolo istituzionale impone di rilevare che risultano ancora all’attenzione dei commissari importanti proposte di delibere la cui adozione comporta significative ricadute per l’organizzazione del sistema sanitario regionale». Insomma, una specie di ultimatum, visto che il progetto di legge 23, che porta la firma di Luca Zaia e che prevede l’individuazione dei nuovi ambiti territoriali delle Usl, è stato presentato al consiglio il 29 giugno 2015. Ictus a scuola, salvata da prof e medici Alunna bellunese di 13 anni colta da malore e portata in eliambulanza a Treviso dov'è stata operata: l'hanno già dimessa Marco Ceci. BELLUNO. Se potrà continuare a vivere la sua vita, senza limitazioni fisiche di sorta, è solo grazie al tempestivo intervento del personale del Suem 118 di Belluno e alle cure dei medici dell’ospedale di Treviso. Protagonista sua malgrado della storia, fortunatamente a lieto fine, è una bambina del Comelico di soli 13 anni che lo scorso 21 marzo era stata colpita da paralisi in seguito ad un raro ictus mentre stava svolgendo attività fisica nella scuola media di San Pietro di Cadore, in Comelico. Accortasi delle difficoltà dell’alunna, che aveva già perso 15 la mobilità del braccio e della gamba sinistri e perso lucidità, era stata poco prima di mezzogiorno un’insegnante, che aveva immediatamente richiesto l’intervento del 118. Di fronte alla gravità della situazione, il personale dell’eliambulanza del Suem 118 di Pieve di Cadore (giunto sul posto pochi minuti dopo la chiamata) aveva ritenuto di procedere subito con il trasferimento della bambina all’ospedale Ca’ Foncello di Treviso, struttura Hub con Stroke Unit di riferimento e quindi meglio attrezzata per la patologia della paziente. Sottoposta ad adeguati accertamenti diagnostici e alla rimozione meccanica del trombo, nell’arco di sole cinque ore dal malore la 13enne ha recuperato tutti i movimenti. Scongiurati danni permanenti, la bambina è stata dimessa dall’ospedale trevigiano cinque giorni dopo il malore, per tornare alla sua vita normale. Il caso, già eccezionale di per sé vista l’età della ragazza, si è così rapidamente e positivamente concluso grazie a una perfetta sinergia tra Suem 118 di Pieve di Cadore, pronto soccorso, neuroradiologia interventistica e neurologia del Ca’ Foncello di Treviso. L’importante risultato, raggiunto nell’Azienda Usl 9 che ha già avuto il riconoscimento d’eccellenza per il “percorso clinico dell’ictus”, è stato presentato ieri a Treviso dal direttore generale Francesco Benazzi. Gli esiti hanno confermato che la 13enne bellunese era stata colpita da un’embolia con occlusione dell’arteria cerebrale media. Un caso di ictus che, in tutte le sue forme, in età pediatrica ha un’incidenza inferiore ai 5 casi ogni 100 mila bambini. «Per la paziente era concreto il rischio di restare affetta da una disabilità importante e che la mancanza di afflusso di sangue, e quindi di ossigeno, potesse complicare ulteriormente la situazione», ha spiegato il dottor Francesco Di Paola. «Il quadro diagnostico era chiaro quando non erano trascorse che quattro ore dall’evento e si poteva ancora procedere con la trombolisi che però sotto i 18 anni non è compresa nelle linee guida, tanto rari sono i casi. Con il consenso dei genitori, consapevoli di come si trattasse di una corsa contro il tempo, abbiamo optato per la rimozione meccanica endovascolare, comunque un trattamento eccezionale su bambini. Come si fa in questi casi, tramite un catetere dall’inguine il trombo è stato raggiunto con una specifica sonda per essere rimosso con stent o aspirato. Questo trattamento è durato meno di un’ora, coronato da successo perché da subito la piccola ha recuperato completamente l’uso degli arti». La Nuova -­‐ Venezia 4 aprile 2016 Punto nascita, mamme in marcia Ieri protesta del comitato per la riapertura del reparto a Portogruaro CONCORDIA. La “Marcia dei Fiori” di Concordia si tinge di rosa e azzurro con i palloncini del comitato “Fiocchi sopra le gru”. «Vogliamo risposte certe sul futuro del reparto di ginecologia e ostetricia dell’ospedale di Portogruaro: l’11 aprile presidieremo per tutto il giorno davanti alla struttura». Ieri mattina, in occasione della festa Piazza Fiorita e della marcia che ha visto la partecipazione di oltre duemila iscritti, le mamme che da mesi lottano per salvare il reparto neonatale di Portogruaro si sono riunite proprio sotto all’arco della partenza per porre l’accento ancora una volta sul loro impegno e per far sentire la loro voce. «Basta false promesse», è stato questo il messaggio scandito a chiare lettere ed inviato al mondo della politica che da nove mesi, ormai, non ha ancora saputo dare una risposta precisa che chiarisca una volta per tutte le volontà riguardanti la riapertura, o meno, del reparto. «La nostra raccolta firme continua, la nostra lotta anche», hanno detto le mamme del Comitato alla cerimonia inaugurale della manifestazione. «Le nostre voci resteranno squillanti e sempre in prima linea, per questo motivo lunedì 11 aprile saremo davanti all’ospedale di Portogruaro armate fino ai denti della voglia di rivedere mamme serene, donne orgogliose, bambini coccolati». Sono circa tremila le firme raccolte a favore della riapertura del reparto. Gemma Canzoneri 16