Bruce Farr - SoloVela.net

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Articolo pubblicato sulla rivista SoloVela
Bruce Farr, il genio della
matita, conclude la trilogia
dei grandi progettisti.
Raccontata da chi lo ha
conosciuto, la storia
dell’uomo che ha vinto nella
vela tutto il vincibile.
di Pietro Fiammenghi
i lui si parlava molto, era il 1990, probabilmente l’anno
più radioso della sua lunga carriera di progettista. La sua
ombra era omnipresente. Dai mini ai maxi, saltellando
per ogni singola classe che il regolamento annoverava. Progettava e vinceva di tutto.
Eravamo in Spagna, a Palma di Maiorca, alla Coppa del Re col
maxi yacht “Carmen”. Lo scatolato d’alluminio che univa inferiormente le due grosse lande, si era completamente scollato
dalla struttura in carbonio di cui era fatto lo scafo. Che fare?
Ritirarsi o regatare comunque, sperando di non disalberare?
Lui, Bruce Farr, era lì. Lo chiamarono e venne subito a vedere
cos’era successo. Silenzioso nell’ampio ventre ferito del maxi,
dove il caldo era asfissiante, osservò incuriosito il grosso pezzo d’alluminio, quindi il suo volto lentigginoso e sudato si
corrugò contrariato. Chiese seccamente chi avesse ordinato
l’applicazione di quell’insulso rinforzo metallico! Sottocoperta
in un solo attimo, si passò dall’afa tropicale al gelo siderale.
Nell’imbarazzato silenzio generale, lentamente emerse che
l’incriminato scatolato era stato ideato e installato per espresso volere dell’armatore stesso. Bruce alzò le spalle, sbuffò e
infine sorrise ironicamente dicendo “è del tutto inutile e totalmente incompatibile con la struttura carboniosa che ho
progettato per questo maxi. Ora vi toccherà portare a spasso
per il campo di regata tutto questo inutile metallo”. Per lui il
caso era chiuso. Mentre risaliva in coperta gli chiesi come facesse a essere così sicuro che la struttura non si fosse piegata e scollata per altri motivi. Lui mi squadrò e mi sussurrò tagliente: “di ogni progetto calcolo non solo il diametro, ma anche lo spessore di ogni singola rondella. Questo scafo è concepito per reggere esattamente i carichi a cui viene sottoposto, senza alcun bisogno di rinforzi metallici posticci”. Dalle
sue parole traspariva ferma la consapevolezza del proprio operato, unitamente all’insofferenza di chi, pur avendo parlato
chiaramente, non è stato compreso, o peggio, ascoltato. Su
quel maxi regatai per altri tre anni. Il pezzo metallico D
Bruce Farr
Veni Vidi Vici
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MR. BRUCE
Disque D’Or progetto #81
Merit
(progetto #183)
Longobarda (progetto #207)
Larouge
(progetto #242)
Mumm 36
(progetto #299)
Bruce Farr è nato ad Auckland, in Nuova Zelanda, nel 1949. Durante la scuola media,
a soli 12 anni, disegna la sua prima barca: un dinghi di 12 piedi. Poi, durante il liceo,
è la volta di un Moth con cui vince il campionato nazionale. Entrato all’università non
si trova a suo agio. Non individua la facoltà che soddisfa il suo vero obiettivo: diventare uno yacht designer. Lascia l’università e da autodidatta studia, costruisce e regata su alcuni skiff di 18 piedi. Nel breve volgere di qualche anno diventa il miglior realizzatore e progettista di questa spettacolare classe. Negli anni ‘70 si affaccia sul mondo dello IOR. I suoi disegni sono caratterizzati da linee semplici e piatte soprattutto
nella zona poppiera, proprio come i suoi skiff. Con “45° South” vince la Quarter Ton
Cup del 1975, la prima vittoria veramente importante della sua lunga carriera. La Half
Ton Cup, la Three Quarter Ton Cup e la mitica One Ton Cup verranno puntualmente e
ripetutamente centrate negli anni successivi. Storica, al riguardo, la OTC vinta nel ‘77
con “The Red Lion”. Il disegno (numero 64) che - più di ogni altro - materializza il
concetto di poppa alla Farr: piatta, larga e potente. L’esatto opposto delle poppe a
“punta” tanto in voga in quegli anni.
Dopo aver dominato nelle Level Class, Bruce Farr si interessa ai Maxi Yacht dove nell’86, vincendo il giro del mondo - si candida quale antagonista principale all’egemonia di German Frers. Nel 1989 vince il titolo più ambito e prestigioso: il mondiale
maxi. Il suo progetto, “Longobarda”, è l’ennesimo disegno rivoluzionario: il primo
maxi realizzato completamente in carbonio e privo di paratie interne. Una macchina
da regata sofisticatissima e velocissima, l’unica capace di sconfiggere ripetutamente
“Il Moro di Venezia” (Maxi) di Raul Gardini. Questi sono gli anni in cui domina anche
il mondo dei feroci cinquanta piedi, oltre alla neonata Two Ton Class. Gli armatori italiani sono conquistati dal suo metodo di lavoro e dall’organizzazione che Lorenzo Bortolotti ha creato in Italia. Nasce una squadra italiana omnipresente e fortissima che parteciperà, da protagonista, a tutte le edizioni dell’Admiral’s
Cup degli anni ‘90. Mandrake, Larouge e Brava, i suoi cavalli di battaglia. Tutti scafi italiani progettati da Farr, yacht che lasceranno un ricordo nitido e professionale della
vela italiana. Un’ascesa che porterà alla storica vittoria italiana dell’Admiral’s Cup del ‘95, oltre a ripetuti successi nella Coppa del Re e nella Kenwood Cup.
L’avvento dell’IMS ha nuovamente visto Farr tra i protagonisti dell’altura mondiale. Suo è il rivoluzionario disegno di
Sayonara, il maxi del miliardario californiano Larry Ellison. Il maxi più vincente mai realizzato, coi suoi tre titoli mondiali consecutivi. Di Farr è anche la firma del ‘43 piedi Atalanti per l’armatore greco George Andreadis. Costruito da Cookson Boats in Nuova Zelanda, questo è il primo disegno (numero 491) dell’era moderna con carena strettissima.
L’idea da cui questa carena ha preso forma, è quella di ridurre drasticamente la larghezza, la stabilità di forma, a tutto vantaggio della resistenza all’avanzamento. Un concetto geniale che ridefinirà profondamente i parametri dimensionali dell’ultima generazione dei One Off secondo la stazza IMS. Sempre sua è stata la prima carena espressamente studiata per vincere tra i Cruiser-Racer, quella del Beneteau 40.7. Proprio la proficua
collaborazione col maggior cantiere nautico del mondo, il colosso francese BeneteauJeanneau, segnerà l’ingresso dello studio anche nella progettazione di barche di grande
serie. Un nuovo filone progettuale che, grazie alla recente vittoria del 36.7 al Campionato Mondiale di Capri, ha portato il quarantesimo titolo mondiale allo studio Farr.
L’ultimo dei Brava
(progetto #428), il 49 piedi IMS.
Progettato e varato nel 1999,
ha vinto il Mondiale del 2002 a Capri.
E’ l’ennesimo “Brava” creato da Bruce Farr
restò lì, scollato e inutile; naturalmente l’albero non si mosse
mai, neanche di un solo millimetro. Come da progetto.
LA FABBRICA DI TITOLI MONDIALI
Bruce Farr non è certamente un simpaticone. Anzi, non lo è
affatto. Piuttosto sembra un bambinone, uno di quegli anglosassoni allampanati che spesso vediamo deambulare
accaldati per le nostre città d’arte. Glabro, lentigginoso
e rossastro. Completa il suo understatement l’anonimo
paio di occhiali dall’esile montatura metallica,
abitualmente appoggiati sul naso. In banchina è
facilmente identificabile per la carnagione quasi
albina; chiara e slavata, del tutto incompatibile
con la luce solare. Pur non essendo oggettivamente brutto, difficilmente lo si definirebbe un bell’uomo, tanto meno un “tipo” affascinante. Lui è
sinteticamente un dinoccolato neozelandese trapiantato negli Stati Uniti; una fortuita miscela
del provincialismo di quel paese agli antipodi, al
pessimo gusto nel vestire tipico degli statunitensi. Se è inconfutabilmente vero che il nostro anti-eroe, quando cammina per strada, sembra
tutt’al più un pignolo impiegato di banca, non appena impugna la sua matita magica, si trasforma
miracolosamente. Innanzi al suo tavolo da disegno
Mr. Farr ritrova tutta la sua essenza, diventando
prontamente l’essere geniale capace di immaginare e
tratteggiare linee di carena sorprendenti e velocissime, disegni
da cui sono sorte autentiche opere d’arte naviganti. E’ dalla sua
mano che è letteralmente sgorgata la storia dello yachting
moderno. Lui è l’interprete più innovativo e originale delle
formule di stazza che hanno caratterizzato l’ultimo quarto di
secolo; l’astuto ideatore e attuale padrone della monotipia
moderna; lui è l’incontrastato “Signore” del Giro del Mondo; il più esperto, conteso e creativo interprete del regolamento di Coppa America; lui è l’incarnazione dello
yachting moderno, il presente e il futuro della vela. La
mente più acuta di cui la nautica attualmente disponga. E’ semplicemente il più bravo, il più innovativo, il più creativo. Come Le Corbusier viene
considerato il padre dell’architettura moderna, così Farr può esserlo per lo yachting.
Il segreto delle sue interpretazioni rivoluzionarie, rispetto a formule di stazza apparentemente
esauste, risiede proprio nell’approccio mentalmente svincolato che riesce a mantenere. Come
se quell’aria da eterno bambinone curioso, che
tanto lo caratterizza nella quotidianità, gli fornisca la chiave universale per interpretare originalmente qualunque progetto. La sua vera forza, il
suo segreto, è questa inesauribile freschezza mentale. La capacità di porsi davanti a qualsiasi regolamento, osservarlo, stuzzicarlo e attentamente aggirarlo, fino a scardinarlo. Come per gioco. Settembre 2003
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Beneteau 25
(progetto #316)
Sayonara (progetto #323)
Ma questa disinvoltura nel trovare sisteThe Card (progetto #195),
maticamente la chiave di volta per aprire
il meno performante dei
nuove prospettive apparentemente inesitre ketch nella
Whitbread
stenti, non deve lasciar supporre che il
del 1989
tutto sia casuale o peggio, poco professionale. Infatti, Bruce Farr è anche il più
organizzato. Nulla togliendo alla freschezza geniale che caratterizza la sua
opera, questi è oggi al centro di una organizzata struttura internazionale, simile
a una ragnatela ben articolata e attentamente ordita. Oltre al geniale Bruce, un
designer team - composto da quindici
professionisti super-qualificati - rappresenta il nocciolo duro, le teste pensanti
della Farr Yachts Design. Questo nucleo, a
sua volta, viene supportato da una “longa manu” sapiente, pronta e presente
ovunque: la Farr International. Una struttura commerciale impressionante, costosa
quanto efficiente, che lavora unicamente
per loro, con fede e dedizione religiose. Forte di questa ramificazione mondiale - volutamente strutturata a compartimenti stagni - l’intero team progettuale, alleggerito da ogni incombenza economico commerciale, ha prodotto in una ventina d’anni qualcosa come cinquecento progetti dando vita, nel mondo delle regate, a una vera e propria catena di montaggio di titoli mondiali.
NESSUNA COINCIDENZA
Mumm 30 (progetto #338)
First 40.7 (progetto #354)
Le rivoluzionarie intuizioni di Bruce, il meticoloso sviluppo tecnico attraverso la Farr Yachts
Design, la commercializzazione attraverso la Farr International e la realizzazione delle barche all’interno di una ristretta cerchia di cantieri, attentamente standardizzati sull’elevato livello realizzativo preteso dalla struttura a monte, hanno letteralmente fatto la differenza.
Questa organizzazione senza compromessi ha posto, sin dalla metà degli anni ottanta, lo yachting mondiale innanzi a una realtà altamente professionale, completamente nuova e scevra dalle improvvisazioni che lo hanno contraddistinto. Una concezione intransigente, ma anche ingombrante. Farr ha dato vita a una rivoluzione nello yachting, cresciuta grazie ai risultati ma che a molti, soprattutto agli inizi, è restata assai indigesta. Il rigoroso metodo di
lavoro adottato, incorniciava obbligatoriamente ogni nuovo disegno entro parametri e dettagli ben definiti che, anche se compendio di soluzioni innovative, non lasciavano quasi nulla al caso. Tutto ciò ha ridotto il margine di manovra e il potere decisionale di tutti coloro
che gravitano attorno al progetto della barca - incluso lo stesso armatore - relegandoli in
ruoli ben definiti e molto meno invadenti. Fatto sta che, grazie alle sue intuizioni e a questa scrupolosa metodica di lavoro, Bruce Farr è da vent’anni il più capace, prolifico, costoso, vincente, organizzato e celebrato architetto navale del mondo e certo tutto ciò non è affatto frutto di fortuite e continue coincidenze.
L’ASSOLUTISTA
Farr 40
(progetto #374)
Questa ferrea struttura piramidale - capace di meritare qualcosa come quaranta titoli mondiali in vent’anni d’attività - ha letteralmente prodotto un’egemonia planetaria dello studio
Ceramco New Zealand
(progetto #90) sotto spi,
vincitore morale del giro
del mondo del 81.
Steinlager
(progetto #190),
il ketch (a destra)
che ha vinto sei tappe
su sei nell’edizione 89
del “giro”.
Farr. Supremazia talmente marcata, da impregnare tutto di grande credibilità e carattere. Anche alla divisione monotipi, branca agonistica sempre abilmente gestita e “imposta” dalla Farr International tanto da essere stata, per questo, apertamente tacciata di oscurantismo. La “Divisione One Design” fu, infatti, esplicitamente accusata del tentativo di affossare l’intero sistema di compenso IMS (International Mesurement Sistem), relegando l’altura mondiale a esclusivo bacino
d’utenza della monotipia “Made in Farr”. Scenario questo prontamente smentito dal diretto interessato, ma
oggettivamente verificatosi negli Stati Uniti d’America
dove, casualmente, lo studio Farr ha proprio la sua sede principale. A un’analisi più attenta - però - non può
certamente sfuggire che lo stesso studio Farr è anche
attivo protagonista della formula IMS e che quindi non
avrebbe nessun beneficio commerciale nell’affossare
l’ultimo sistema di compenso attualmente esistente. Le
insinuazioni avanzate quindi, se da un lato tacciano di
iperplasia e di assolutismo l’operato del primo studio di progettazione mondiale, dall’altro rendono indubbiamente giustizia all’entità
del potere e della forza commerciale che la Farr International è in
grado di esercitare. Di fatto, nessun altro studio progettuale potrebbe essere realisticamente accusato di “manipolazione genetica”
dello yachting mondiale. Almeno, non in questo sistema solare. Oggi Bruce Farr sta allo yachting mondiale, esattamente come Bill Gates sta al mondo dei computer. E, guardandoli bene, fisicamente i
due si assomigliano pure.
“IL GIRO” DI FARR
Dalla Farr Yacht Design sono nati i progetti che hanno dominato la
Volvo Ocean Race (ex Whitbread) dal 1985 a oggi. Malgrado in 18
anni queste barche abbiano radicalmente cambiato armo, dimensioni, tracciati e filosofie costruttive, ancor oggi se si desidera vincere
il giro del mondo o anche una singola tappa di questo, la storia insegna che non c’è alternativa: bisogna necessariamente rivolgersi allo studio Farr. Proprio l’epopea della Whitbread, il giro del mondo in
equipaggio, focalizza emblematicamente di cosa siano capaci Settembre 2003
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LA BESTIA NERA
EF Language
(progetto #378)
Big Apple II (progetto #418)
Sea Hawk (progetto #441)
Mascalzone Latino ‘43 (progetto #443)
First 36.7 (progetto #446)
Cam - ‘50 Ims (progetto #466)
Sono ormai vent’anni che Bruce Farr gli gira attorno senza riuscire ad agguantarla mai.
E’ la sua bestia nera. L’unica e l’ultima coppa che manca al suo sconfinato palmares.
Di cosa stiamo parlando? Del più importante trofeo velico del mondo: la Coppa America. Al suo primo tentativo, quello australiano dell’86, Bruce sfiorò il successo
pieno con KZ-7. Tra le ripide onde di Freemantle la Coppa gli sfuggì dalle mani solo grazie all’abilità di Dennis Conner. Per
l’occasione Bruce aveva estratto dal cilindro un disegno rivoluzionario: il primo 12
Metri S.I. in vetroresina della storia. Fu
chiamato Kiwi Plastic e rappresentò perfettamente lo spirito con cui Farr e i neozelandesi si relazionavano alla Coppa,
senza nessun timore reverenziale. In quell’edizione però Stars & Stripes diede una
lezione di vela al mondo intero, battendo
prima KZ-7, poi Kookaburra e riportando
l’ambito trofeo negli States.
Nell’88 l’imprenditore neozelandese Michael Fay reinterpretò il regolamento di
Coppa e sfidò gli statunitensi con un incredibile sloop di 130 piedi sempre progettato da Farr. Gli americani si presentarono al via di quella pazza edizione della Coppa,
con un piccolo ma velocissimo catamarano e la difesero con successo. Per Farr fu un
nuovo smacco. Nel 1992 a San Diego, dopo cinque anni e con barche totalmente nuove, il rosso scafo di NZL 20 si scontrò contro “Il Moro di Venezia” di Raul Gardini. Il
famigerato bompresso ideato dallo stesso
Farr, fu messo astutamente al bando dagli
italiani e l’avventura neozelandese si arrestò nuovamente al termine della finale tra
i challenger. Tre anni dopo, nel 95, Bruce era il disegnatore della barca neozelandese
sbagliata, Tag Heuer. Quella giusta si chiamava Black Magic e vinse la Coppa 5 a 0,
portandosela ad Auckland. Nel 2000, nell’edizione di “Luna Rossa” Farr disegnò nuovamente la barca più veloce della flotta: la strettissima Young America. Purtroppo durante la Louis Vitton Cup, si ruppe letteralmente in due. La sua carena era la prima capace di modificare - flettendosi - la sua lunghezza in acqua. Un concetto fin troppo
innovativo, che incappando in una sequenza di onde “anomale”, collassò su se stesso. L’idea di creare una carena rigida ma “duttile” fece scalpore e per l’edizione del
2003 fu contattato da Patrizio Bertelli per far parte del Team Prada. L’accordo formale prevedeva un ingaggio di 10 miliardi di lire. Contemporaneamente Larry Ellison, decise anch’esso di partecipare alla Coppa offrendogli un miliardo in più. Correttamente
Farr disse che era già in parola col team Prada (che frattanto aveva acquistato Young
America) e che aspettava solo di veder ratificato l’accordo esistente. Bertelli dopo pochi giorni, telefonò nuovamente a Farr offrendogli, da bravo commerciante, un miliardo in meno dell’accordo preesistente. Farr non fece una piega, disse “no grazie”, abbassò il telefono e fece la Coppa con il neonato Team Oracle. L’Italia e Farr persero entrambi un’ottima occasione: entrambe battutti. Insieme, forse, l’avrebbero spuntata.
Realizzato dal cantiere
Beneteau in oltre
cinquecento
esemplari, questo
piccolo monotipo
è attualmente
la “entry level”
dei monotipi
di Farr
Realizzato in oltre
130 esemplari,
il Farr 40 è
attualmente il
monotipo più in
voga al mondo
Bruce Farr & Co. La schiacciante supremazia dimostrata in questo tipo di regate, ha praticamente ridotto una delle più effervescenti classi dell’altura oceanica, i maxi OMYA (Offshore Maxi Yacht Association),
praticamente a semplice monotipo “made in Farr”. Ma andiamo con ordine e vediamo come si è arrivati a tanto.
Sul finire degli anni settanta, l’allora giovane ma già innovativo progettista neozelandese, esordì nella più importante regata oceanica internazionale, la “Round the World Race”, disegnando sia la rivoluzionaria carena di “Ceramco New Zealand” (skipper Sir Peter Blake), che
quella di “Disque d’Or 3” (skipper Pierre Fehlmann) terminata quarta
assoluta in quella lontana edizione 1981/82. “Ceramco”, malgrado il
disalberamento subito durante la prima tappa Portsmouth-Città del
Capo, mostrò chiaramente al mondo di cosa fossero capaci le linee tese e la poppa larga che Bruce per l’occasione aveva astutamente associato a un dislocamento medio leggero. La cosa fece scalpore e “Ceramco” è considerata la carena che mise in luce le doti di questo giovane progettista. Ma esattamente quattro anni dopo, nel “giro”
dell’85-86, grazie ai consistenti capitali delle banche elvetiche, Farr
perfezionò la caratteristica a lui più cara: i dettagli. Questo consentì
al suo progetto di non subire alcuna avaria e vincere nettamente la
Whitbread con un 86 piedi: “UBS Switzerland” (skipper Pierre Fehlmann). Quella vittoria fu la vera chiave di volta della sua carriera. Il
ricco e conservativo mondo dei maxi dovette piegarsi alle sue nuove
idee e anche se controvoglia, gli schiuse le porte, proiettandolo rapidamente ai vertici anche dell’esclusivo mondo dei maxi yacht da regate inshore. I due mondiali vinti col maxi italiano “Longobarda” di
Gianni Varasi, altro non fecero che decretarne la sua totale consacrazione. Il vero capolavoro però, lo compì nell’edizione della Whitbread
a cavallo dell’1989/90. Studiando l’efficienza dei piani velici nelle andature portanti, percentualmente dominanti nel giro del mondo, intuì
che l’introduzione dell’armamento a ketch era nettamente favorevole
rispetto a quello a sloop allora imperante. Abbassare il piano velico
permetteva inoltre di aumentarne enormemente la superficie, raggiungendo parametri di dislocamento/lunghezza al galleggiamento,
estremamente favorevoli. Ne nacque una rivoluzionaria generazione di
ketch, molto invelati e pesanti che, grazie a “Stainlager” prima e “New
Zealand Endeavour” poi, dominarono l’altura mondiale sino al 1995.
Poi, questi grossi e costosi ketch vennero banditi e la corsa attorno
al mondo, nel tentativo di rivitalizzarsi, cambiò sponsor, nome e lunghezza massima riducendo gli scafi dagli oltre 86 ai soli 60 piedi. Malgrado il profondo rimescolamento dei parametri, il risultato finale
però non si modificò affatto. Farr restò l’indisturbato dominatore della classe. Anzi, nell’edizione 1997/98, accentuò ulteriormente l’effetto “monotipia” imponendo ben sette disegni del suo studio di Annapolis, nelle prime sette posizioni. Uno strapotere marcatissimo - e a
molti indigesto - ripetuto nell’ultima edizione 2001/02 della Volvo
Ocean Race. Frers, supportato dall’esperto team Nautor, in quell’occasione tentò d’interrompere l’incontrastato dominio di Farr, ma Settembre 2003
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Il Mumm 30 è il più piccolo
monotipo di Farr dotato di albero,
boma e tangone in carbonio
Tau - ‘50 Ims
(progetto #466)
Bribon - ‘53 Ims (progetto #467)
venne sonoramente sconfitto anche da team dotati di budget assai inferiori,
ma sorretti da progetti firmati Farr. Progetti semplicemente più veloci, che
hanno fatto nuovamente gridare al miracolo costringendo gli organizzatori,
per rivitalizzare la classe, a un ennesimo rimescolamento delle carte.
Nella prossima edizione - quella del 2005 - le barche cambieranno ancora.
Stavolta si riallungheranno sino a 70 piedi, ma nessuno dubita che saranno
nuovamente i disegni di Farr a dominare la classifica. Cambiando l’ordine dei
fattori, il prodotto non cambia, la storia insegna.
FARR E LA “SUA” MONOTIPIA
Illbruck - Vor ‘60 (progetto #471)
Mascalzone
Latino ‘51
(progetto #488)
Azur de Puig (progetto #493)
50 Settembre 2003
Anche se non lo ammetterà mai, il caro Bruce, al colpaccio ci ha sicuramente pensato: impadronirsi dello yachting e farla finita. Gli altri, tutti a casa!
Rendere il mondo delle regate un suo esclusivo dominio sbarazzandosi, una
volta per tutte, della feroce concorrenza sempre pronta a insidiargli il primato. Sì, ma come fare? Come liberarsi in un colpo solo di Frers, Vrolijk, Jeppesen e tutti gli altri assidui frequentatori di vasche navali e campi di regata? Non potendo vietare ad altri esseri umani di disegnare barche a vela, l’unica alternativa possibile resta quella di convincere, o costringere, la committenza a non poterle utilizzare. In sostanza, l’idea è questa: o si acquista
un One Design di Farr o regate ad alto livello non se ne possono fare. Bruce, consigliato come al solito dal fido Joff Stag, ha focalizzato chiaramente
il nocciolo del problema, individuando esattamente quali fossero le lunghezze chiave in cui posizionare i suoi tre cavalli di battaglia: Platu 25, Mumm
30 e Farr 40. Oggi i tre monotipi cardine della vela agonistica internazionale. Tre splendidi disegni di Farr, indirizzati a tre distinte richieste del mercato agonistico. Attorno a queste tre icone della monotipia internazionale, Farr
ha sapientemente collocato altri quattro One Design: il nuovo 36, il 395, il
52 e il 60 piedi. Tutte classi che tendono a saturare opportunamente gli spazi lasciati vacanti dalle tre classi dominanti. La politica è infatti quella di offrire sul mercato un Farr One Design, ogni cinque piedi di lunghezza, accompagnando fedelmente le necessità di ogni armatore, durante la realizzazione del suo iter agonistico. Il tutto in un crescendo rossiniano di prestazioni e costi, sempre sotto l’austera supervisione della Farr International. Un
servizio completo che, partendo dal 7 metri fino all’esagerato monotipo da
18 metri, offre all’armatore globale tutte le forme di divertimento. Il tutto,
senza cambiare progettista o rete di vendita. Provare per credere.