sovranità assoluta - Liceo Classico Dettori

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sovranità assoluta - Liceo Classico Dettori
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JEAN BODIN
La «sovranità».
Per sovranità s'intende quel potere assoluto e perpetuo ch'è proprio dello Stato.
Essa è chiamata dai latini maiestas, dagli italiani «signoria», parola che essi usano tanto parlando
di privati quanto di coloro che maneggiano gli affari di Stato; gli Ebrei la chiamano tomech sebet,
ossia supremo comando. Ma ciò che qui occorre è formularne la definizione, perché tale definizione
non c'è stato mai giurista né filosofo politico che l'abbia data, e tuttavia è questo il punto più
importante e più necessario a comprendersi in qualsiasi trattazione sullo Stato. Tanto più, avendo noi
detto che lo Stato è un governo giusto di più famiglie e di ciò che loro è comune con potere sovrano,
occorre ben chiarire che cosa sia questo potere sovrano.
Ho detto che tale potere è perpetuo. Può succedere infatti che ad una o più persone venga
conferito il potere assoluto per un periodo determinato, scaduto il quale essi ridivengono nient'altro
che sudditi; ora, durante il periodo in cui tengono il potere, non si può dar loro il nome di principi
sovrani, perché di tale potere essi non sono in realtà che custodi e depositari fino a che al popolo o al
principe, che in effetti è sempre rimasto signore, non piaccia di revocarlo. Così come rimangono
signori e possessori dei loro beni quelli che ne fanno prestito ad altri, ugualmente si può dire di chi
conferisce ad altri potere e autorità in materia di giustizia o di comando, sia che li concedano per un
tempo stabilito e limitato, sia fino a che loro piaccia, in ogni caso restano signori del potere e della
giurisdizione che gli altri esercitano solo in forma di prestito o di precario. Perciò la legge dice che il
governatore del paese o luogotenente del principe, dopo che è spirato il tempo assegnatogli, restituisce
il suo potere, da depositario e guardiano qual è del potere altrui. E in questo non c è alcuna differenza
fra l'ufficiale di alto o di infimo grado. Se il potere assoluto concesso al luogotenente del principe si
chiamasse sovranità, egli potrebbe valersene contro il suo principe, che sarebbe ridotto a uno zero, e
così il suddito comanderebbe al signore, il servo al padrone, il che è assurdo. Per disposizione della
legge, la persona del sovrano è sempre esente da quell'autorità e da quel potere, qualunque sia, che
conferisce ad altri; non ne concede mai tanto da non serbarne per sé ben di più, e non perde mai il
diritto di comandare o di giudicare (preventivamente, o in concorrenza, o in riesame), le cause di cui
ha incaricato il suo suddito come commissario o ufficiale; e sempre può revocare a questo il potere
che gli è stato concesso sia in forma di commissione sia a titolo d'ufficio, oppure sospenderlo per tutto
il tempo che creda.
Sia dunque che si eserciti il potere per commissione, o per nomina, o per delega, ma sempre in
nome altrui, per un tempo stabilito o senza limiti di tempo, non si è sovrani, anche se nelle lettere
manchi la qualifica di procuratore o luogotenente, governatore o reggente; e nemmeno se tale potere
fosse dato dalla stessa legge del paese, cosa che avrebbe più valore che non un'elezione; per esempio
l'antica legge scozzese prevedeva la concessione dell'intero governo del regno al parente più prossimo
del re nel caso che questo fosse pupillo o in minore età, purché però ogni atto venisse compiuto in
nome del re; ma poi questa legge fu abolita per gli inconvenienti che ne derivavano.
Adesso dedichiamoci all'altra parte della nostra definizione, e spieghiamo le parole «potere
assoluto». Il popolo o i signori di uno Stato possono conferire a qualcuno il potere sovrano puramente
e semplicemente, per disporre a suo arbitrio dei beni, delle persone e di tutto lo Stato, e lasciarlo poi a
chi vorrà, così come un proprietario può far dono dei suoi beni puramente e semplicemente, non per
altre ragioni che per la sua liberalità. E questa l'autentica donazione che, essendo una volta per tutte
perfetta e completa, non ammette ulteriori condizioni; mentre quelle donazioni che comportano
obblighi e condizioni non sono donazioni vere e proprie. Perciò la sovranità conferita a un principe
con certi obblighi e a certe condizioni non è propriamente sovranità né potere assoluto, a meno che
tali condizioni non siano le leggi di Dio e della natura.
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Se dunque il principe sovrano e per legge esente dalle leggi dei predecessori, ancor meno
egli sarà obbligato a osservare le leggi e le ordinanze fatte da lui stesso: si può ben ricevere la legge
da altri, ma non è possibile comandare a se stesso, così come non ci si può imporre da sé una cosa che
dipende dalla propria volontà, come dice la legge: nulla obligatio consistere potest, quae a voluntate
promittentis statum capit; ragione necessaria, che dimostra in maniera evidente come il re non possa
essere soggetto alle leggi. Come il papa, secondo i canonisti, non può mai legarsi le mani, così non
può legarsele il principe sovrano, neanche se lo voglia. Perciò alla fine degli editti e delle ordinanze
vediamo le parole «poiché tale è il nostro piacere», perché sia chiaro che le leggi del principe
sovrano, siano pure fondate in motivi validi e concreti, non dipendono che dalla sua pura e libera
volontà.
Quanto però alle leggi naturali e divine, tutti i principi della terra vi sono soggetti, né è in loro
potere di trasgredirle, se non vogliono rendersi colpevoli di lesa maestà divina, mettendosi in guerra
contro quel Dio alla cui maestà tutti i principi della terra devono sottostare chinando con assoluto
timore e piena reverenza. Insomma, il potere assoluto dei principi e delle signorie sovrane non si
estende in alcun modo alle leggi di Dio e della natura. Colui che ha meglio di ogni altro compreso che
cosa sia potere assoluto e che ha fatto inchinare al suo e principi e sovrani, diceva ch'esso consiste
nella facoltà di derogare alle leggi ordinarie; non certo però alle leggi divine e naturali.
Ma il principe non è soggetto alle leggi del paese che ha giurato di custodire? Qui occorre
distinguere. Se il principe giura a se stesso che custodirà la legge, non è legato da questa, non più che
dal giuramento fatto a se stesso: poiché anche i sudditi non sono in alcun modo tenuti al giuramento
ch'essi hanno fatto sotto convenzioni cui la legge consenta di derogare, per giuste e ragionevoli che
siano. Se il principe sovrano promette a un altro principe di conservare le leggi date da lui stesso o da
un predecessore, è obbligato a conservarle nel caso che il principe cui ha dato la sua parola sia
direttamente interessato alla cosa, anche se non ha giurato; ma se il principe cui la promessa è stata
fatta non vi ha alcun interesse, né promessa né giuramento obbligano il promettente. Lo stesso si può
dire nel caso che la promessa sia fatta dal sovrano al suddito, o fatta dal sovrano prima di essere
eletto; non vi è alcuna differenza, come invece molti ritengono. Il principe non è vincolato dalle leggi
sue o dei suoi predecessori: ma dai giusti patti e dalle giuste promesse che ha fatto, sia con
giuramento sia senza giuramento, così come lo sarebbe un privato. E per le stesse ragioni per cui un
privato può essere sciolto da una promessa ingiusta o irragionevole o troppo gravosa, per il fatto di
essere stato tratto fuori strada da inganno, frode, errore, violenza, timore motivato o gravissima
offesa, il principe può essere esentato da tutto quello che comporta una menomazione della sua
maestà, se è principe sovrano. Così si può fissare il principio che il principe non è soggetto alle sue
leggi né a quelle dei suoi predecessori, ma lo è ai suoi patti giusti e ragionevoli, soprattutto se essi
implicano l’interesse dei sudditi, sia come singoli sia in generale.
Si sbagliano quelli che fanno confusione fra leggi e patti dei principi, chiamando leggi questi
ultimi; e anche quelli che chiamano i patti dei principi leggi pattuite. Essi vengono chiamati così per
esempio negli stati d'Aragona: quando il re fa qualche ordinanza dietro richiesta degli stati, e riceve da
questi denaro o un qualche aiuto, essi dicono che il re è obbligato, mentre per le altre leggi non vi è
obbligazione da parte sua; tuttavia devono pur sempre riconoscere che può derogare anche a quelle
ordinanze quando il motivo della legge venga a cessare. Tutto questo è ben certo, e si appoggia su
solide ragioni e autorità; ma non c'è bisogno né di denaro né di giuramento per obbligare il principe
sovrano, se i sudditi cui ha fatto promesse hanno interesse a che la legge sia conservata: la parola del
principe sovrano dev'essere come un oracolo; il principe perde molto in dignità quando si diffonde
una così cattiva opinione sul suo conto che non si ha più fede nei suoi giuramenti e ci si convince che
non sa stare alle sue promesse a meno che non gli si dia del denaro.
Tuttavia resta pur fermo il principio che il principe sovrano può derogare anche a quelle leggi che
abbia promesso e giurato di osservare, se il motivo della promessa venga meno, anche senza il
consenso dei sudditi; benché in questo caso la deroga generale non basti e occorra anche una deroga
speciale. Se però non vi è giusta ragione di annullare la legge che si è promesso di conservare, il
principe non deve e non può contravvenire ad essa. Quanto ai patti e ai giuramenti dei predecessori
egli non vi è tenuto, se non è loro erede...
Da tutto ciò risulta che non bisogna mai confondere legge e contratto. La legge dipende da colui
che ha la sovranità; egli può obbligare tutti i sudditi, e non obbligare se stesso; mentre il patto è
mutuo, tra principi e sudditi, e obbliga le sue parti reciprocamente, né una delle due parti può venire
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meno ad esso a danno dell’altra e senza il suo consenso; in un caso del genere il principe non ha
alcuna superiorità sui sudditi, se non che, cessando il giusto motivo della legge che ha giurato di
osservare, egli, come già abbiamo detto, non è più vincolato dalla sua promessa, mentre invece i
sudditi non possono comportarsi ugualmente se non ne sono sciolti dal principe. Perciò i principi
sovrani di mente accorta non giurano mai di mantenere intatte le leggi dei predecessori; e se lo
giurassero non sarebbero più sovrani.
Tuttavia il principe non può derogare a quelle leggi che riguardano la struttura stessa del regno e il
suo assetto fondamentale, in quanto esse sono connesse alla corona e a questa inscindibilmente unite
(tale è, per esempio, la legge salica); qualunque cosa un principe faccia in proposito, il successore è in
pieno diritto di abolire tutto ciò che sia stato compiuto con pregiudizio di quelle leggi su cui la stessa
maestà sovrana poggia e si fonda.
Quelli che hanno scritto intorno all'ufficio dei magistrati o altri trattati di simile argomento si sono
sbagliati nel sostenere che gli stati del popolo sono superiori al principe. È un'opinione che induce
quelli che non sono altro che sudditi a ribellarsi all'obbedienza dovuta ai loro principi sovrani; oltre a
essere opinione senza base né fondamento. Se il principe sovrano fosse soggetto agli stati, non
sarebbe più né principe né sovrano, e lo Stato in questo caso non sarebbe regno né monarchia, ma una
schietta aristocrazia di più signori con uguale potere, in cui una minoranza comanda alla maggioranza
in generale e a ciascun membro di essa in particolare. (Dalla Repubblica, trad. di M. Isnardi Parente,
Torino, Utet, 1964 in Gaeta villani, Documenti e testimonianze, Milano, Principato, 1986)
Analizza il testo e individua i concetti chiave e il loro significato:
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Come definisce la sovranità Bodin?
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Come definisce lo Stato Bodin?
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Quali sono le funzioni di governatore del paese e in che cosa si differenzia dal potere sovrano?
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Perché il potere sovrano deve essere perpetuo?
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Quali sono i caratteri della sovranità assoluta?
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A quali leggi si deve sottomettere anche il sovrano assoluto e perché?
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Qual è l’atteggiamento del sovrano nei confronti delle leggi del paese?
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Che differenza c’è fra legge e contratto?
Sintetizza i punti fondamentali del brano e rielabora i contenuti del testo