Il microcosmo degli spacciatori di spezie_seminario

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Il microcosmo degli spacciatori di spezie_seminario
 «Se il nostro corpo non fosse organizzato, il nostro microcosmo non avrebbe tutta la perfezione che deve avere e il grande mondo stesso non sarebbe così ricco come di fatto è» Paracelso, Sämtlicke werke, I vol.3 «Di che segno sei?» Oggi è una domanda quasi automatica per qualcuno. Anche persone di cultura la fanno e ne ascoltano la risposta senza aver timore di apparire superstiziosi, eppure noi sappiamo che di superstizione si tratta. È il retaggio di una credenza che risale ai tempi in cui si credeva che l’universo avesse un’anima e gli eventi atmosferici erano interpretati sull’analogia delle azioni umane. Questa prospettiva ebbe grande successo tra gli umanisti: questi concepivano l’universo come un uomo gigantesco, e l’uomo come un cosmo in miniatura, un microcosmo. Le relazioni tra questi due mondi erano oggetto di una scienza, l’astrologia, che, a differenza dell’astronomia, non si limitava a studiare i movimenti dei corpi celesti, ma pretendeva di stabilire l’influenza degli astri sulla vita dell’uomo. Studiando la posizione degli astri gli astrologi erano convinti di poter prevedere eventi futuri o la data della morte di qualcuno. Insomma: vita dell’universo e vita dell’uomo erano in stretta relazione. Marsilio Ficino fu il filosofo più prestigioso dell’età umanistica: la sua fu una visione unitaria della realtà con l’uomo al centro. Nella visione cosmologica, gerarchica, di Ficino, il grado che sta sopra a quello dell'anima umana è quello delle stelle. In questo ambito generale avviene il riconoscimento del fato astrologico. Riconoscimento che, come ha mostrato il Garin, non sembra affatto significare per lui, come invece per altri filosofi, l'inserimento dell'uomo nelle leggi del determinismo naturale, ma al contrario significa liberazione dal determinismo e ingresso, tramite la conoscenza del mago, in un ordine diverso da quello fisico. Di fronte all’universo dotato di anima, l’uomo era un microcosmo che lo rispecchiava: di qui l’analogia tra la vita dell’universo e quella dell’uomo: «Se fra gli altri animali ciascun corpo viene governato da una sua anima propria, a maggior ragione le membra di questo ente animato che è il mondo debbono essere vincolate tra loro grazie alla presenza in esse di un’anima unica. La quale se si trova con il suo corpo nello stesso rapporto in cui si trova la nostra nei confronti del nostro, è in qualsiasi parte del mondo tutta intera non altrimenti che tutta intera in qualsiasi parte del nostro corpo è l’anima nostra» Marsilio Ficino, Teologia platonica, libro IV, cap.I Le corrispondenze fra i due mondi potevano essere colte dall’astrologia, pensava Ficino, attraverso pratiche magico-­‐religiose. Non era una stravaganza: l’astrologia era considerata una scienza rispettabile sin dall’antichità, e sappiamo quanta considerazione aveva in quel periodo l’antichità. La stessa astronomia, prima di Galileo, per secoli fu studiata in funzione dell’astrologia, perché il desiderio di ciascun uomo era quello di conoscere il proprio futuro in base al momento della sua nascita. Anche la magia praticata da Ficino non era una stregoneria, ma una dottrina naturale che aveva lo scopo di penetrare tutta la rete di corrispondenze che si trovano nella realtà, ad esempio il complesso di relazioni tra gli organi del corpo umano e i copri celesti. Per Marsilio il mago è sacerdote e la magia è sempre da collocarsi nella dimensione religiosa ed è per questo ch'egli si sente in dovere di far presente che nella sua opera: «non si parla affatto di quella magia profana che si fonda sul culto dei demoni; ma della magia naturale che sfrutta i benefici celesti con mezzi naturali per la buona salute dei corpi. Facoltà che si deve concedere a chi la usa in modo legittimo. Da tale officina vennero quei Magi che primi fra tutti adorarono Cristo appena nato. Perché dunque hai tanta paura del nome di Mago? Nome caro all'Evangelo e che non significa uomo malefico e venefico, ma sapiente e sacerdote». Marsilio Ficino, Apologia Questo perché Ficino scriveva l'Apologia proprio sotto il pontificato di quel Giovan Battista Cybo, papa Innocenzo VIII (1484-­‐1492), che aveva promulgato la terribile Bolla "Summis desiderantes affectibus" (Desiderando con supremo ardore) che dava via libera ai due autori del Malleus Maleficarum (Il martello delle malefiche) di organizzare e dirigere l'olocausto della caccia alle streghe. La bolla recitava: «Desiderando noi... che la fede cattolica... cresca e fiorisca al massimo grado possibile, e che tutte le eresie e le depravazioni siano allontanate dai paesi dei fedeli, questo decretiamo... È recentemente giunto alle nostre orecchie... che in alcune regioni dell'alta Germania, come... Magonza, Colonia, Treviri, Salisburgo, e Brema, molte persone di entrambi i sessi, ... rinnegando la fede cattolica... , si sono abbandonate a demoni maschi e femmine, e che, a causa dei loro incantesimi, lusinghe, sortilegi, e altre pratiche abominevoli... hanno causato la rovina propria, della loro prole, degli animali, e dei prodotti della terra... così come di uomini e donne, delle greggi e delle mandrie, delle vigne e dei frutteti... che essi hanno tormentato e torturato, infliggendo orribili dolori e angosce, sia spirituali che materiali, uomini, mandrie, greggi, e animali, impedendo agli uomini di procreare e alle donne di concepire, e facendo in modo che nessun matrimonio potesse essere consumato; che, per di più, essi non confessano le proprie colpe... la fede che ricevettero col santo battesimo... e si macchiano di molti altri abominevoli crimini e peccati... dando uno scandaloso e pernicioso esempio alle popolazioni» Innocenzo VIII, Summis desiderantes affectibus E nel Malleus si legge: «chiunque creda che una qualsiasi creatura possa essere cambiata in meglio o in peggio, o trasformata in un' altra specie o aspetto esteriore, se non dal Creatore di tutte le cose, è peggiore di un pagano o di un eretico» Malleus maleficarum, parte I, questione I Come poteva sperare il pio Ficino di sottomettere ai suoi voleri di mago naturale il mondo sublunare che per sua stessa natura è un Principato diabolico? Senza il permesso di Satana nessun mago può operare prodigi. I grandi manuali di demonologia dell'epoca sono estremamente chiari in tal senso. La magia serve a Ficino medico anche per curare la salute dei corpi; non a caso il De Vita è un trattato di medicina. Ma questo gli serve anche come filosofo sacerdote per curare la salute delle anime: «Compito senza dubbio egregio e sommamente necessario e sopra tutti desiderato è far si che gli uomini abbiano una mente sana in un corpo sano. Ma lo possiamo adempiere solo se uniamo il sacerdozio alla medicina. Ma siccome la medicina è molto spesso vana e dannosa senza il favore del cielo, e lo confessano Ippocrate e Galeno e io stesso l'ho sperimentato, conviene senza dubbio alla stessa carità sacerdotale l'astronomia con cui abbiamo detto connettersi ... Questo stesso medico le Scritture hanno ordinato di onorare ... E Cristo stesso datore di vita che affidò ai suoi discepoli la cura di tutti i sofferenti del mondo, ingiunge ai sacerdoti che, se non sono più capaci di curare come quelli di una volta con le parole, medichino almeno con le erbe e con le pietre. E se queste riescano per se sole insufficienti ordinerà di somministrarle ai malati sotto favorevoli influssi celesti». Marsilio Ficino, Apologia Egli stesso nel III Libro del De Vita si adopera a consigliare talismani per curare non solo le malattie ma anche gli umori: l'influsso negativo di Saturno si corregge attirando in parte quelli del Sole, di Giove e di Venere, i tre astri portatori di vitalità, di forza e di bellezza. Infine, se il corpo dell'uomo è sottoposto all'ordine naturale e con la mente egli partecipa a quello superiore e divino della Provvidenza, la sua anima, parte dell'anima mundi, fa si che egli debba fare i conti anche con l'ordine mediano: il fato. Più vicino a questa versione più naturalistica è il pensiero di un medico-­‐filosofo contemporaneo di Ficino, il leggendario Filippo Aureolo Teofrasto Bombasto di Hohenheim, meglio noto come Paracelso. Anche per lui la conoscenza dell’uomo passava attraverso la conoscenza del cosmo; era convinto che per conservare la salute e guarire dalle malattie ci si dovesse rivolgere alle scienze della natura. Considerava l’astrologia una delle colonne della scienza medica e la studiava per comprendere gli influssi degli astri responsabili delle malattie e delle guarigioni. Nella sua opera divulgativa, il Paragrano, Paracelso teorizza le modalità dell’influsso dell’invisibile sul corpo fisico, ipotizzando un raddoppio della realtà per cui ogni cosa possiederebbe, accanto al corpo materiale, anche un corpo astrale invisibile. Quest’ultimo connetterebbe il corpo umano al resto del cosmo. Di qui la correlazione tra le stelle e gli organi del corpo: il firmamento funge da modello della fisiologia dell’uomo permettendo di associare ogni pianeta ad un organo del corpo: Venere ai reni, Mercurio ai polmoni, Giove al fegato, il Sole al cuore, la Luna al cervello, Saturno alla milza, eccetera. Paracelso aveva anche convinto se stesso e gli altri di possedere poteri magici, grazie ai quali riusciva ad evocare energie nascoste a fini terapeutici. Essendo un professionista non rivelava le sue ricette magiche, ma sappiamo che si serviva di ingredienti elementari: il sale, lo zolfo e il mercurio. Facciamo spiegare la teoria della triade allo stesso Paracelso: «Tra tutte le sostanze, ve ne sono tre che danno corpo a tutte le cose, vale a dire che tutti i corpi sono fatti di queste tre cose. I loro nomi sono Zolfo, Mercurio e Sale. Se queste tre cose sono riunite, allora prendono il nome di corpo; e nulla gli si aggiunge, se non la vita e quanto è inerente a questa ... innanzi tutto, bisogna conoscere queste tre sostanze e tutte le loro proprietà nel macrocosmo. Allora, le si troveranno assolutamente consimili nell'uomo (microcosmo) ... per farvi comprendere meglio, prendete l'esempio del legno ... Bruciatelo. Ciò che ne brucerà è lo zolfo; ciò che ne esalerà in fumo è il mercurio; ciò che resta in cenere è il sale ... Bisogna notare, al riguardo di questi tre principi, che ogni cosa li contiene in ugual maniera. Se essi non si offrono immediatamente alla vista in modo uniforme, nondimeno essi si rivelano sotto l'influenza dell'arte che li isola e li rende visibili. Ciò che brucia è lo zolfo. Tutto ciò che entra in combustione è zolfo. Ciò che si leva in fumo è mercurio. Nulla sublima all'infuori del mercurio. Ciò che si risolve in cenere è il sale. Nulla si riduce in cenere che non sia sale: Ciò che rimane cenere è la sostanza, vale a dire la parte di cui il legno è costituito. E benché sia l'ultima e non la prima materia, essa, ciò nonostante, testimonia della prima, di cui essa è l'ultima allorché è unita ai corpi viventi ... E benché la materia prima di questa non sia visibile, nondimeno l'ultima materia della prima è visibile ...È in queste tre cose che si trova la sanità, come anche la malattia e tutto ciò che vi si riferisce. E così, come queste tre sole cose esistono, così esse formano le sole cause di tutte le malattie, e non i quattro umori, qualità ed altri simili argomenti tanto dibattuti... Se ora vogliamo parlare delle proprietà e della natura di questi tre principi, bisogna considerare la questione in questo modo: la Natura è nel mercurio, nello zolfo e nel sale, sia essa buona, cattiva, sana o malata. Perché ogni sostanza, quale essa sia, possiede la sua natura caratteristica. Se, ora, il miscuglio di questi tre principi ha luogo in un solo corpo, allora le nature si manifestano sotto una sola forma, e ciò nonostante devono essere poste ciascuna nella sua propria sostanza, e non nella sostanza comune ... Se esse non sono favorevoli appare la malattia. Da ciò potrai dunque saper quale parte della sostanza si separa. Perché la separazione di una è l'accesso di un'altra... » Paracelso, Opus Paramirum Con sale, zolfo e mercurio Paracelso preparava ogni tipo di intrugli, ma non bisogna considerarlo un fanatico delle scienze occulte. Aveva, al contrario, una concezione dell’alchimia molto vicina a quella della chimica teorica, tanto da considerare alchimisti anche il fornaio che prepara il pane e il vinaio che fa il vino. Come rudimentale farmacista ha anche anticipato l’idea delle cure omeopatiche. In un suo trattato di medicina prescrive esplicitamente di somministrare del mercurio per curare le malattie provocate dal mercurio, del sale per quelle provocate dal sale e dello zolfo per curare quelle causate dallo zolfo: ogni malattia, cioè, deve essere trattata con una terapia specifica e appropriata. Questa intuizione, questa sorta di principio omeopatico introdotto da Paracelso, è geniale. Fino ad allora, infatti, la medicina aveva proceduto in maniera opposta, attraverso cure allopatiche: ti sei raffreddato prendendo freddo? Occorre una sudata che reintegri il calore. Hai mangiato cibi che ti hanno provocato dissenteria? Serve che mangi alimenti astringenti. Paracelso ribalta questa prassi e precorre quella che sarà poi la scoperta dei vaccini: per rendere immuni dal morbillo si somministrano bacilli morti o indeboliti dello stesso morbillo. Accanto a questa attività anticipatrice della scienza medica moderna, comunque, Paracelso sosteneva anche l’esistenza di parole magiche, legate alle costellazioni, che avrebbero permesso l’estrazione di una pallottola conficcata nella carne, oppure procedeva con regolarità allo sterminio dei rospi. Considerato un animale particolarmente immondo, il rospo costituiva uno degli ingredienti fondamentali di intrugli e pozioni magiche, con annessa crudeltà. Per esempio, Paracelso sosteneva che l’olio in cui fossero stati cotti dei rospi vivi fosse efficace nel trattamento delle affezioni cutanee. Per la verità c’era anche una ricetta meno cruenta: avvolgendo un rospo in un panno e applicando l’involto sulla parte ammalata si potevano curare le malattie della pelle. Il fatto che Paracelso avesse tanto successo presso i contemporanei lo autorizzava anche a improvvisarsi sociologo e politologo: la fama ottenuta gli consentiva di filosofeggiare su tutto, un po’ come accade oggi nei nostri salotti televisivi, quando i vip discutono di ogni argomento possibile. Paracelso non era una persona cordiale; al contrario, aveva molte antipatie tra i contemporanei suoi simili che lo circondavano, aveva disprezzo di tutto tranne che di se stesso. Un disprezzo particolare lo riservava, però, alle sarte, alle prostitute e soprattutto ai mercanti: «I mercanti sono nemici del prossimo, ogni germe del male risiede in loro: nessuna malizia sembra loro troppo grande, nessuna menzogna troppo audace… Un inganno ben riuscito lo chiamano abilità, una frode un’opera benefica» Paracelso, La gerarchia dei ceti sociali All’interno dell’odiata categoria dei mercanti, i più detestati erano i commercianti di spezie, che per lui erano l’equivalente dei moderni spacciatori. A quell’epoca non esisteva ancora l’eroina, ma Paracelso era convinto che le spezie facessero pagare le delizie del loro sapore con gravi danni all’organismo. Per questo motivo esortava tutti a non consumarle: «Dichiaro che tutti i mercanti i quali trafficano in spezie per allettare il palato, hanno il diavolo nell’anima e sono servi di lui, cioè quei servi mediante cui il demonio porta una così grande rovina al popolo… Una volta diventate escrementi, le spezie sono forse migliori dei fagioli?» Paracelso, La gerarchia dei ceti sociali Ma ancora più malvagi dei mercanti di spezie erano gli usurai. Nella condanna a coloro che praticano questo particolare commercio scopriamo un Paracelso antisemita: «L’usura produce enormi rincari, è opera del demonio e del suo governo… [gli usurai] prestano denaro ad interesse e su pegno a modo degli ebrei, perché mai allora li tollerate tra voi?» Paracelso, La gerarchia dei ceti sociali Questa invettiva sarà ripresa mezzo secolo dopo da Shakespeare ne Il mercante di Venezia. Altre stranezze divertenti e ingenue le troviamo negli scritti che parlano di sociologia e addirittura di economia. Paracelso voleva realizzare un egualitarismo assoluto e lo auspicava non solo ai conti in banca, ma anche alla cucina. Suggeriva che si cuocesse un unico pane per tutti e che fossero unificati in un’unica pentola le torte, i polli e la polenta di biada, in modo che il brodo del pollo e l’acqua della polenta potessero essere distribuiti in maniera uguale «alle bocche e ai denti di ciascuno» (Paracelso, La socialità delle azioni umane) Chi fu dunque Paracelso, un ciarlatano o un vero uomo di scienza? Heine ha scritto: «Paracelso fu un grande ciarlatano e portò sempre mantello scarlatto, calzoni scarlatti, calze scarlatte e un cappello rosso… ma fu anche uno dei più profondi conoscitori della natura» Heine, Per la storia della religione e della filosofia in Germania, 1834