MOTORE, cambio, freno
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MOTORE, cambio, freno
(anche se leggendo l’estratto dal libro a seguire la tentazione verrà, e se vi credete immuni facciamo nome e cognome di Anatole Fuksas, filosofo italiano che ha scoperto il fenomeno a 40 anni, cambiato vita, riconvertito il terrazzo in ciclofficina e dimezzato il tempo per andare a insegnare all’università). E ricordate che il resto del mondo ha il mito del nostro ciclismo: ancora Bike Snob cita l’attore Emilio Estevez, che paragona il padre, il grande Martin Sheen, «a una elegante bici da corsa, mentre io sono come una Masi» (il fornitore ufficiale del velodromo Vigorelli). «Ma made in Taiwan», aggiunge, modesto. E se dite ancora “non siamo l’Olanda”, tagliamo corto come perfino quel criptico del linguista Noam Chomsky: «La bici ha le ruote», e pedalare. MOTORE, cambio, freno La prima volta che sono salito su una fissa è stato tanti, tanti anni fa nel mitico velodromo Vigorelli di Milano. Era il 1969 e io pensavo solo alle moto, ma ahimè mio padre e i suoi amici erano ciclisti fanatici e clienti assidui di Faliero Masi che aveva (e ha ancora) bottega proprio al Vigorelli: per invogliarmi a usare la bicicletta mio padre mi aveva anche regalato una Masi con la livrea Faema che allora era la squadra di Eddy Merckx. Una bici che ho poi rivenduto per comprare un motorino (sic!) ma che esiste ancora, anche se l’attuale proprietario proprio non me la vuole rivendere. Fu proprio il vecchio Masi ad accompagnarmi in pista, un giorno che era chiusa, con mille raccomandazioni, stai basso, non salire sulle curve, non toglierti il casco, attento che si scivola… Ricordo di aver fatto qualche giro, affascinato dal Vigorelli deserto, ma poco o per niente da quella strana bicicletta in cui bisognava pedalare sempre. Tanti anni dopo, nel 2004, mi è ricapitata tra le mani una bici da pista: telaio di Vanni Losa, tubo sella piegato per farci passare il palmer, raggi saldati, over- D 92 lapping spaventoso (i pedali che si “impigliano” nella ruota anteriore, impedendo di sterzare, o peggio, di raddrizzare lo sterzo dopo aver curvato); una vera bici da pista insomma, ovviamente senza freni né possibilità di metterli, che è stata affiancata ben presto da una fissa da strada americana (IroCycle), con una geometria più ragionevole, niente overlapping e un sano freno anteriore. Tutto un altro andare. La fissa cominciava a diventarmi simpatica, i fissati crescevano - lentamente, ma crescevano -, scoprivo di avere muscoli nelle gambe che non credevo di avere (in realtà erano i tendini che si stavano infiammando per un rapporto troppo duro, ma cambiando rapporto sono anche guariti rapidamente). Viaggiare in città con la fissa era divertente e il surplace a ogni semaforo rosso faceva un sacco di scena. Però il Vigorelli è chiuso, altri velodromi a Milano non ci sono e a pedalare in fissa si fatica parecchio senza ragione. Nonostante questo, o forse proprio per questo, è scoppiata la moda, la città si è riempita di fisse e di fissati tutti o quasi senza freni, I fissati In attesa che la moda passi anche nell’Italia di oggi, ci tocca parlarne. La prima e ormai scomparsa associazione di fissati italiani è stata la milanese se no fa sfigato. Io ho appeso la Iro al muro e venduto la Losa a un designer giapponese di scarpe, pare famoso, che l’ha messa in vetrina a Tokyo nel suo negozio, ops, showroom. Ogni tanto prendo ancora la Iro, la spolvero, gonfio le gomme, ci faccio un giro e... mi convinco che la ruota libera è una grande invenzione. La fissa La fissa è una bicicletta che non ha la ruota libera: i pedali sono sempre collegati alla ruota posteriore, se girano in avanti la bici va avanti, se girano indietro va indietro, se la bici è in movimento, anche i pedali lo sono. Prima dell’invenzione e della diffusione della ruota libera (1902) tutte le bici erano fisse, dopo il 1902 sono rimaste fisse solo quelle da pista e quelle da corsa: tranne che in quello del 1912, fino al 1937 era vietato correre il Tour de France con il cambio (ma non il Giro d’Italia, e LePetitBreton ne vinse diverse tappe con un cambio Sturmey Archer nel mozzo). Scriveva Umberto Grioni ne Il ciclista, il suo manuale del 1910: «[…] è bene valersi nell’apprentissage di 24 APRILE 2010 Tre orchi in ciclofficina Un consulente d’impresa, un giornalista e un fotografo (tutti over 50) che hanno trasformato la propria passione per la bicicletta in un mestiere. Sono i tre protagonisti di Orco Cicli (dal 2008 in via Pastrengo 7, quartiere Isola di Milano), la ciclofficina dove disegnano e realizzano (a mano, su ordinazione) biciclette interamente in acciaio. Sono Adriano Maccarana, Giò Pozzo e Adriano Malaschi, i primi due anche autori di La macchina perfetta, teoria, pratica e storie della bicicletta (in uscita per Il Saggiatore, 25 euro) libro che alterna (ciclo) racconti e istruzioni per il montaggio fai-da-te. Chaingang Rotafixa Spa, che nel suo sito così spiegava il fascino della bicicletta a scatto fisso: «La pedalata a rapporto fisso rende il ciclista perfettamente solidale con il suo mezzo. I pedali girano sempre, e si è collegati alla macchina in presa diretta: non ci sono ritardi nella trasmissione della potenza, la bicicletta è scattante e precisissima nelle manovre». «Andando con il fisso si sviluppa un’azione ciclica di una sorprendente efficacia e grazia. Ci si appropria lentamente di una tecnica di avanzamento sempre meno discontinua e sempre più precisa, fluida e veloce, fatta di quasi impercettibili cambiamenti di ritmo e traiettoria. Il ciclista si scrolla di dosso la distrazione, calandosi sempre più in uno stato di attenzione totale, di piena presenza nel momento. Il rapporto fisso va quindi ben oltre una bici essenziale e un inconfondibile stile di pedalata, è una vera e propria disciplina Zen. Concentrazione, fluidità, modulazione dell’avanzamento: si è contemporaneamente motore, cambio e freno. Si assimila osmoticamente le qualità della bici, internalizzando l’essenzialità, l’eleganza del movimento, la pulizia delle forme e dei gesti. Si incomincia a prevedere l’accadibile. Un viaggio sul filo senza la rete sotto, coscienza del limite come mai prima». La grammatica forse zoppica, ma il concetto è chiaro. Applicato a una single speed con una ruota libera è quasi condivisibile. Poi ci sono oggi anche fisse “simpatiche”, ricavate da vecchi telai da corsa (quelli con i forcellini lunghi) e trasformate in fissa per sottrazione, togliendo tutto quello che non è necessario, con pezzi arrangiati e di recupero (la più bella che ricordo è nata alla ciclofficina Unza! di Niguarda da una vecchia bacchetta ormai senza freni e fissata semplicemente saldando la ruota libera). Ma ci sono anche fisse “antipatiche”, leccate e costruite (o meglio fatte costruire) su misura con componenti da pista ultracostosi e assolutamente inutili, come il trionfo di accessori e particolari firmati NJS, cioè Nihon Jitensha Shinkokai, l’associazione giapponese che gestisce le gare di Keirin, una formula di gare su pista che in Giappone ha avuto un grandissimo successo anche perché legata a un imponente giro di scommesse. Così grande che, secondo la BBC, il Keirin è diventato sport olimpico soltanto dopo aver versato all’UCI (che smentisce) tre milioni di euro, investiti successivamente nella creazione del centro mondiale di ciclismo di Aigle (Svizzera); mentre altre fonti giapponesi sostengono che il versamento fu addirittura di quattro milioni di euro! Comunque sia andata, qualsiasi componente “approvato” dalla NJS costa il triplo di uno analogo senza approvazione, ma i fissati li comprano lo stesso, anzi li cercano affannosamente, così come cercano tutto quello che trovano marcato Campagnolo e cerchi laccati o anodizzati di ogni colore, mozzi americani da 150 euro in su (l’uno) e componenti vintage che l’astuto artigiano costruttore di fisse paga non più di cinque euro e rivende ad almeno 35. È la moda, bellezza. Sulla strada E via con le gare e i viaggi riservati alle fisse. Milano-Venezia, Milano-Torino in linea, poi le velocity, le alleycat e il bike-polo. Il nome deve per forza essere inglese, perché il mito per i fissati nostrani sono i messengers americani, drop-out in bicicletta che per primi hanno ripreso a usare le fisse per le consegne in città. Anche se a dire il vero questo è un altro mito da sfatare. Basta leggere i consigli su quale bicicletta scegliere pubblicati sul sito della Nybma, la New York Bike Messenger Association, fatta dai messengers per i messengers: consigliano di usare preferibilmente mountain bike con gomme slick o bici da corsa, più veloci, ma più costose e scomode da usare e con freni meno efficienti. L’opzione fixed gear è contemplata solo perché più economica, richiede meno manutenzione e la sua guida è quasi un’esperienza spirituale (ma, dicono, più faticosa e per usarla bisogna imparare un nuovo stile di guida utile a muoversi efficacemente nel traffico). (© il Saggiatore, 2010) 24 APRILE 2010 Foto di Pierluigi D’Ambrosio TUTTOCITTÁ. Raccomandazioni. Non fate la faccia atterrita, il dooring, la sportellata, è internazionale. Le luci di notte, «gli unici mezzi che sfrecciano senza sono proiettili, missili e bombe», come ci fa ancora notare il geniale Bike Snob. E come dirà al Bike Summit del 6 maggio a New York: «Non esiste “cultura della bici”, come non esiste una “cultura dell’iPhone”, se è solo una parola marketing per fare acquistare modelli da mille dollari. E non perché pedalare non sia grande ma al contrario, perché migliora la vita a chiunque senza che ci si senta una nicchia, o esclusi perché nongiovani» (o perché non si è David Byrne). Ma allora, cos’è un ciclista e perché dovremmo diventarlo? Uno che si sposta da A a B pedalando anche se non è necessario. Uno che ha smesso di credere che in bici contribuisca a salvare il mondo dalla catastrofe ecologica o capitalista (per quanto, un pochino). Non è un uomo-Monocle, la rivista che parla alla gente che viaggia in business e quando sbarca dall’aereo non chiama un taxi ma estrae la bicicletta pieghevole dal trolley e ci sale su. Non è un feticiclista-giocatore di bikepolo ruotafissato una macchina a ruota fissa, ma in seguito il congegno a scatto libero offre grandissimi vantaggi di praticità e di comfort. È poi inutile ricordare i vantaggi della ruota libera nelle discese: ciò è noto a tutti i turisti ed è anche provato che nell’uso comune si può realizzare un risparmio di energia di oltre il 25 per cento». E sempre Grioni altrove scrive: «Notiamo però che la tendenza modernissima ha allontanato i turisti - specialmente quelli giovani - dal tipo pratico sopraccennato (la bicicletta da viaggio) suggerendo invece l’adozione del tipo da corsa su strada con cerchi stretti in legno, manubrio molto alto ma rivolto in basso, pneumatici smontabili ma leggerissimi o addirittura tubolari, ruota fissa. […] Si tratta di una moda e le mode non vanno discusse. Si accettano, si tollerano. Si pagano anche, e poi si lasciano passare».