Uomini che uccidono le donne. Non per amore

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Uomini che uccidono le donne. Non per amore
Uomini che uccidono le donne. Non per amore
Giovedì 09 Giugno 2016 23:00
di Tania Careddu
Ormai la cadenza è quasi giornaliera. Le parole citate sono diverse: desiderio, gelosia, invidia,
delitto passionale. Minus del genere maschile. No, niente di tutto questo. La violenza degli
uomini contro le donne ha radici molto profonde. Ed è malattia mentale. Parola della psichiatra
e psicoterapeuta, Barbara Pelletti.
Dottoressa, sulle pagine delle più autorevoli testate nazionali circolano informazioni che
vorrebbero gli uomini assassini delle donne per desiderio o per gelosia. Sono concetti
fuorvianti?
Sono concetti pericolosi, che di fatto finiscono per giustificare e inevitabilmente produrre la
violenza che dovrebbero interpretare. L’assurda idea che si possa uccidere per desiderio è un
esempio clamoroso di come il linguaggio possa essere usato per confondere e, più
profondamente, per diffondere l’ideologia secondo la quale il rapporto umano, in particolare il
rapporto uomo donna, è per sua natura violento. Un pensiero, questo, che percorre la cultura,
forse non solo quella occidentale: è il “male”, il peccato originale della religione
giudaico-cristiana, ma anche l’idea filosofica che fonda il logos occidentale, per il quale al di là
della ragione ci sia solo l’animalità, che dall’Illuminismo in poi diventa la “naturale” pazzia
dell’essere umano che solo la ragione, appunto, può controllare. Perfino l’omicidio così diventa
“passionale”, per difetto di controllo.
Cosa comporta una lettura di questo tipo?
Il pericolo è evidentemente quello di continuare a negare, per non dire a scotomizzare, la
malattia mentale che è all’origine di questi delitti. Riconoscere la malattia significa poterla
diagnosticare, innanzitutto, ma anche fermare, quando è possibile, prima che arrivi all’estremo.
Ma significa, anche, dare una chiave di lettura alla gente, che è giustamente sgomenta e
confusa di fronte alla cronaca, ormai quasi quotidiana, di questi brutali omicidi.
Eppure, non raramente, questi sono anticipati da evidenti segnali, il più delle volte,
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purtroppo, sottovalutati. Come mai?
Deve svilupparsi una sensibilità nuova, che porti in particolare le donne a riconoscere i segni di
qualcosa che non è amore, ma malattia e violenza. Basti pensare a quello che fin qui si è potuto
ricostruire del caso recentissimo di Sara, la ragazza bruciata dopo esser stata uccisa, in cui si
arriva all’estremo nazista dell’annullamento, fino alla sparizione anche fisica, dell’altro. E’
l’espressione più grave della pulsione d’annullamento teorizzata da Massimo Fagioli. La lucida
anaffettività qui arriva ai livelli della schizofrenia. Tutto questo era stato preceduto da un periodo
di stalking che pare avesse preoccupato la ragazza, ma non abbastanza evidentemente. Va
detto che ora abbiamo una legge, lo stalking è un reato, ma nessuno dice che è, prima ancora e
soprattutto, malattia mentale.
Qualcuno, non ultimo l’autore del libro La scuola cattolica, finalista al Premio Strega
2016, sostiene che gli uomini sono violenti a causa dell’”invidia verso il femminile” e che
per risolverla ricorrerebbero “a una brutale compensazione (…) Siccome è sempre la
donna a dare inizio, l’uomo per ripicca si usurpa il diritto di porre fine, ponendosi così
all’estremità opposta della vita. Il ragionamento è semplice: (…) se non posso dare la vita
a qualcuno, non mi resta che levarla a qualcun altro”. Da medico, è una tesi che può
essere sostenuta per spiegare la violenza degli uomini sulle donne?
Da psichiatra, non posso fare a meno di cogliere, al di là della perversione del “ragionamento
semplice”, la proposizione della negazione dell’identità umana della donna: “il femminile”
sarebbe la procreazione, che evidentemente è anche delle vacche, delle cagne e così via. E’
l’idea dell’inferiorità delle donne che impedisce agli uomini di riconoscere loro una libertà: di
scegliere, di andarsene, di decidere della propria vita. Quest’idea, anch’essa di derivazione
religiosa e filosofica, è evidentemente tanto radicata nella mente degli uomini e tanto
intrinsecamente violenta da motivare, con una frequenza così tragica, l’uccisione della donna
che decide di separarsi.
Mette paura la libertà?
Più profondamente, in alcuni casi, soprattutto in quelli di suicidio-omicidio, si può pensare che si
muova il pensiero non cosciente della perdita irreparabile di una immagine vitale, di un mondo
interno di affetti, sensazioni ed emozioni che noi tutti abbiamo vissuto nel primo anno di vita e
che la donna fa riecheggiare. Questa perdita scatena nell’uomo malato, che non ha la capacità
di sopportare un dolore, né la fantasia di ricreare dentro di sé un affetto, la pazzia omicida.
Sono gli uomini a uccidere, in occasione della separazione, perché l’identità maschile
storicamente si è costituita sulla fredda razionalità e sulla negazione dell’identità della donna.
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