scarica - IIS CESTARI

Transcript

scarica - IIS CESTARI
Modulo 4 IMP. (170-203) 28-09-2004 12:30 Pagina 184
184
7
La civiltà repubblicana
1 La religione
Gli dèi di Roma
Poiché l’agricoltura era stata l’attività economica più importante dei Romani al tempo dei re, la religione delle origini aveva
avuto un gran numero di divinità di carattere agreste.
La semina, per esempio, era sotto la protezione di Saturno; Cerere era la dea del
grano e delle messi; Fauno era il tutore
delle mandrie e dei boschi; Pale la dea
della pastorizia.
Queste prime divinità agricole vennero presto affiancate da altre, attinte alla religione
greca attraverso la mediazione degli Etruschi: tra queste Giove (per i Greci Zeus), il
padre degli dèi, la moglie Giunone (Hera),
protettrice delle nascite e dei matrimoni e la
figlia Minerva (Atena), dea della sapienza,
LE PRINCIPALI DIVINITÀ DEL PANTHEON ROMANO
GIOVE (Zeus), re
degli dèi e dio del
tuono e del fulmine.
GIUNONE (Hera),
moglie di Giove,
protettrice delle
donne e del parto.
VESTA
(Hestia), dea
del focolare
domestico.
PLUTONE
(Ades) dio
del mondo
dei morti.
BACCO
(Dioniso), dio
del vino.
NETTUNO
(Poseidone),
dio del mare.
VULCANO (Efesto), dio
degli artigiani e dei fabbri.
FEBO (Apollo),
dio della musica, della poesia
e delle profezie.
DIANA
(Artemide), dea
della caccia.
CERERE
(Demetra), dea
del grano e dell’agricoltura.
MARTE (Ares),
dio della guerra.
MINERVA
(Athena), dea della guerra e dell’artigianato.
MERCURIO (Ermes), dio
dei mercanti e dei ladri.
Messaggero di Giove.
VENERE (Afrodite), moglie
di Vulcano, dea dell’amore e
della bellezza.
Modulo 4 IMP. (170-203) 28-09-2004 12:30 Pagina 185
7 - La civiltà repubblicana 185
delle arti e della guerra. Esse costituirono la
cosiddetta “triade capitolina”, cioè il gruppo dei tre dèi venerati in un unico tempio sul
colle Capitolino (oggi Campidoglio).
Successivamente Roma importò il culto di
tutte le divinità olimpiche greche e di molte altre, che formarono il pantheon, cioè il
complesso “di tutti gli dèi”.
Tra questi furono particolarmente cari ai
Romani i Diòscuri (da diòs kouroi, “figli di
Zeus”) ovvero i gemelli Càstore e Pollùce
che nei miti greci erano stati rispettivamente un “uomo che sussurava ai cavalli” e un
pugile. Affrontarono molte battaglie e si
amavano tanto che, quando uno dei due fu
ferito a morte, l’altro chiese a Zeus di morire anche lui; allora Zeus concesse loro di
vivere a giorni alterni. Per i Romani erano i
protettori della cavalleria e di tutti gli
uomini in pericolo.
Un altro dio veneratissimo era Esculapio,
protettore della medicina, il cui culto fu
introdotto a Roma nel 293 a.C., durante
una terribile pestilenza che, secondo la leggenda, il dio fece cessare inviando un serpente che si fermò sull’isola Tiberina; lì fu
costruito un tempio ed essa restò sempre
un luogo di cura tanto che ancora oggi è
sede di un famoso ospedale.
LE “FATTURE”.
Una collana del VI secolo
a.C. trovata a Cuma.
Ogni grano è un
“occhio”, simbolo
magico diffusissimo
e considerato capace
sia di difendere dalle
“fatture”, sia di procurarle.
I culti familiari
Grande importanza
avevano, inoltre, i
culti familiari, dato che la famiglia,
la quale costituiva
l’unità fondamentale della società romana arcaica, era
anche un nucleo religioso, in cui il padre svolgeva il ruolo di sacerdote.
Giano, per esempio, il cui nome derivava da ianua (in
latino, “porta”); era il dio della soglia della
casa, che riceve gli amici e scaccia i nemici
(oltre che dio della pace e della guerra).
La devozione più profonda tuttavia era
riservata ai Lari, le divinità che proteggevano l’interno della casa e i confini dei
campi, e ai Penati, gli spiriti degli antenati defunti le cui immagini venivano conservate in piccoli altari in una stanza della
casa.
Mantenere in vita il loro ricordo significava conservare un legame con il proprio
passato e garantire l’unità familiare.
I PENATI.
Il disegno mostra
l’“edicola” in cui ogni
famiglia conservava le
immagini degli antenati.
IL SERPENTE
DI ESCULAPIO.
Compare ancora oggi nel
distintivo dei farmacisti.
storia delle mentalità
Le Vergini Vestali
Vesta era originariamente una
dea del focolare domestico, poi
divenne una delle più importanti
divinità dello Stato romano.
Aveva un tempio nel Foro con al
centro un fuoco che doveva restare sempre acceso. Esso era
custodito da sei donne, chiamate Vergini Vestali, mostrate in
questo rilievo.
LA MAGIA.
Disegno della formula dell’abracadabra in lettere ebraiche.
Era usato dai maghi per evocare le forze occulte.
Le sei Vestali venivano scelte
nelle famiglie patrizie più importanti di Roma e avevano grande
peso nella vita dello Stato. Essere scelte era quindi un grande
onore, però dovevano servire
Vesta per trent’anni e non sposarsi mai.
Un fuoco che non deve mai spengersi.
Questo rilievo mostra due Vestali che
sorvegliano il fuoco sacro che si
intravede sulla destra.
Modulo 4 IMP. (170-203) 28-09-2004 12:30 Pagina 186
186 MODULO 4 - Roma nell’età della Repubblica
2 La famiglia
Il potere assoluto del paterfamilias
PADRI ROMANI.
Questi due ritratti
mostrano volti duri, poco
inclini alla tenerezza.
(Roma, Museo di Villa
Giulia e Museo Torlonia.)
La società romana, sebbene fosse spesso
travagliata da lotte interne e da ingiustizie,
era saldamente unita dalla ferma convinzione che la sua forza fosse fondata sulla
famiglia. La famiglia della Roma arcaica
era molto diversa dalla nostra. Per prima
cosa tutti i suoi membri e tutti i suoi beni
dipendevano da un’unica persona, il paterfamilias, cioè il “padre della famiglia”,
che oggi potremmo definire senza timore
di esagerare un “padre-padrone”.
Il suo potere infatti era enorme ed era ciò
che i Romani chiamavano “patria potestà”. La ferrea disciplina che egli esercitava sui suoi figli giungeva fino al diritto di
rinnegarli, di diseredarli, di venderli schiavi e persino, di fronte a reati ritenuti gravissimi, di condannarli a morte.
Inoltre il padre aveva il diritto di non
accettare il proprio figlio neonato. Se era
maschio, ma non in buona salute, o, spesso, se era femmina, bastava che, quando le
donne glielo presentavano posandolo ai
suoi piedi, non lo raccogliesse da terra. In
questo caso il bambino o la bambina venivano “esposti”, cioè abbandonati sulla
porta di casa. Un apposito gruppo di
schiavi pubblici girava per le strade all’alba proprio per portarli via, spesso già
senza vita.
Figli adottati
preferiti ai figli naturali
Al contrario, era diffusissima l’adozione.
Molti ragazzi venivano adottati quando
erano già adolescenti, per simpatia, per
interesse o perché figli di qualche amico
defunto. In una società che sentiva tanto
poco i vincoli di sangue, i figli adottivi
erano spesso molto più amati di quelli
naturali.
I difficili rapporti tra padri e figli
Per questi motivi un figlio aspirava per
tutta la vita a diventare a sua volta paterfamilias, ma – anche se intanto si sposava,
militava nell’esercito e rivestiva cariche
pubbliche – ciò accadeva solo con la morte
del padre. Prima non poteva firmare un
contratto, fare testamento e neppure comparire di persona in tribunale.
I padri comprensivi “affrancavano” i propri
figli e li dichiaravano adulti, liberandoli da
questa “schiavitù”.
Ma in altri casi la situazione diventava talmente pesante da indurre addirittura il
figlio a uccidere il proprio padre: il parricidio era infatti un delitto abbastanza frequente nella società romana.
L’AMULETO D’ORO.
Lo si appendeva al collo
del neonato per
proteggerlo e per indicare
che era nato libero e non
schiavo.
IL MOMENTO DELL’ANSIA.
Le donne preparano il neonato per presentarlo al padre.
Lo raccoglierà da terra per riconoscerlo?
Modulo 4 IMP. (170-203) 28-09-2004 12:30 Pagina 187
7 - La civiltà repubblicana 187
Il divorzio
GIOCHI DI BIMBI.
Come da noi, e come in tutte le società
antiche, le leggi romane concedevano il
divorzio, anche perché raramente le unioni
erano matrimoni d’amore. Anzi per un
uomo era considerato disdicevole dimostrare tenerezza per la propria moglie.
Un’unione ben riuscita si fondava sulla
concordia, sulla solidarietà e sul rispetto
reciproco; quasi mai sulla passione.
Questi bambini
giocano
a dadi, fatti
con gli ossi
dell’articolazione
delle zampe
di pecora.
Le donne, depositarie
della tenerezza familiare
Le donne si sposavano bambine, tra i
dodici e i quattordici anni, facevano una
vita austera e riservata, ma erano più
rispettate che in Grecia, probabilmente
perché i Romani erano stati influenzati in
questo dagli Etruschi; esse conservavano il
loro patrimonio ed erano molto amate dai
figli.
Per questa ragione erano frequenti nell’antica Roma le immagini che rappresentano
in una tenera intimità madre e bambino.
Ancora per questa ragione, madre e neonato godevano della protezione di un gran
numero di divinità, alcune delle quali ave-
vano nomi affettuosi, tipici del linguaggio
infantile: Numeria proteggeva il parto,
Cunina la culla, Rumina l’allattamento,
Edùca le pappe, Potina l’acqua, Statinus e
Statirius il reggersi ritti e il barcollare,
Fabulinus e Farinus i primi balbettii.
L’educazione materna durava sei anni,
l’età dei primi giochi, che consistevano nel
costruire casette, attaccare topini a un carretto, galoppare a cavallo di una canna, far
girare la trottola o il cerchio oppure nel
gioco delle noci, tanto diffuso che “abbandonare le noci” significava uscire dall’infanzia.
BIGLIE.
I bambini giocavano
spesso con le biglie
(che potevano essere
di terracotta o di vetro)
e anche con le noci.
GIORNI DI SCUOLA
Le scuole consistono per lo più in una
sola stanza al pianterreno di una casa
o nel retrobottega di un negozio.
In genere hanno una sola classe
di 12 alunni.
I maestri sono spesso
schiavi provenienti dalla
Grecia (i Romani sono
grandi ammiratori della
cultura greca).
I bambini più
piccoli recitano
l’alfabeto e
imparano a
leggere e a
scrivere.
Le famiglie ricche
impiegano uno schiavo,
il “pedagogo” che
accompagna i bambini a
scuola e li sorveglia
mentre sono in classe.
Gli alunni più grandi
devono leggere
e recitare le opere
di autori famosi.
Alcuni scrivono
su tavolette di legno
spalmate
di cera.
Altri incidono i
segni su pezzi
di coccio.
Modulo 4 IMP. (170-203) 28-09-2004 12:30 Pagina 188
188 MODULO 4 - Roma nell’età della Repubblica
3 L’esercito
IL LEGIONARIO.
Statua in bronzo di
un legionario romano,
risalente al II secolo a.C.
Nei primi secoli della Repubblica la forza
di Roma era fondata soprattutto sull’organizzazione del suo esercito, formato dalle
legioni, costituite ciascuna da circa 4200
uomini e comandate da un console.
Mentre Cartagine e i regni ellenistici non
disponevano altro che di mercenari, cioè
di soldati di professione provenienti da varie parti del mondo, che venivano ingaggiati per denaro, a Roma tutti i
cittadini tra i 17 e i 60 anni potevano essere mobilitati e arruolati
quando l’Assemblea dei Comizi
centuriati, formata dai cittadini
stessi, decideva una guerra.
Erano esentati dal servizio militare,
ed erano quindi privi anche dei diritti
politici, coloro che non possedevano
nulla, cioè i proletari, per un duplice
motivo: a) non potevano pagarsi l’armatura, che era a carico non dello
Stato ma del legionario; b) erano ritenuti inaffidabili perché non avevano un
campo o una casa da difendere.
Quando Roma divenne proprietaria di
un impero, tuttavia, il console Mario effettuò una riforma dell’esercito e nel 107
a.C. creò un’armata di professionisti la
IL TRIONFO DI UN GENERALE ROMANO.
Il generale vittorioso, di solito uno dei consoli, ha diritto
a sfilare in trionfo su un carro per le vie di Roma.
È seguito dai suoi soldati, che ricevono una parte
del bottino di guerra.
cui unica ambizione divenne quella di
appropriarsi di una parte del bottino dei
Paesi vinti e, una volta diventati veterani
alla fine della carriera, di ricevere come
“liquidazione” un pezzo di terra da coltivare.
Poiché per ottenere questi vantaggi bisognava vincere, i legionari di professione divennero più fedeli ai bravi generali che non
alla Repubblica e spesso questi generali,
che lo storico Ronald Syme definì “i Signori della guerra”, li usarono non per la grandezza di Roma, bensì per combattere i loro
nemici personali.
30 manipoli
(fanteria pesante)
Porta
decumana
fanteria
leggera
1 Ranghi dei veterani
Palizzata
Tenda
del console
Tende
degli ufficiali
Alleati
2 Ranghi delle giovani reclute
1
Altare
2
Via d
ecum
ana
le
ina
rd
a
c
Posto di
Via
guardia
s
Fo
Terrapieno
rinforzato
sa
to
Porta
cardinale
RICOSTRUZIONE DI UN ACCAMPAMENTO ROMANO (CONTIENE UNA LEGIONE).
Cavalleria
ESERCITO NEMICO
UNA LEGIONE ROMANA IN ORDINE DI COMBATTIMENTO.
Modulo 4 IMP. (170-203) 28-09-2004 12:30 Pagina 189
7 - La civiltà repubblicana 189
Qual era il bagaglio di un legionario
● Un tascapane di cuoio contenente: pane
per quattro pasti, una borraccia d’acqua,
carne affumicata, formaggio, dadi da gioco,
amuleti.
● Un telo da tenda in cuoio impermeabilizzato con del grasso.
● I picchetti per montare la tenda.
● Una vanga.
● Una zappa.
● Una falce per tagliare il grano sottraendolo ai contadini dei territori invasi.
Il tascapane era appeso a una spalla con
una cinghia. Il resto poteva essere portato a
spalla appeso a un paletto o dentro un
grosso zaino di tela di sacco. I picchetti
venivano tenuti in mano.
Le insegne
Avevano la funzione delle nostre bandiere e
variavano da reggimento a reggimento.
Tutte però erano sormontate dall’aquila,
simbolo di Roma.
Il saluto
Nel XX secolo il regime fascista credette,
sbagliando, che il “saluto romano” fosse
fatto alzando il braccio destro.
Invece questo era un segno di preghiera.
Ufficiali e soldati si salutavano portando la
mano all’elmo, come i militari di oggi.
I “MULI DI MARIO”.
I legionari venivano così chiamati perché durante
la marcia portavano sulle spalle un carico di circa 30 chili.
il documento
A. Il reclutamento delle legioni nel V secolo a.C.
Cincinnato, nominato dittatore per sei mesi nel 458 a.C.,
ordina la leva delle truppe.
Cincinnato si recò davanti all’Assemblea del popolo, proclamò la sospensione di tutti i processi giudiziari e ordinò
che si chiudessero le botteghe in tutta la città. Inoltre tutti
coloro che fossero in età adatta a servire nell’esercito dovevano trovarsi prima del tramonto nel Campo di Marte, armati, con viveri cotti per cinque giorni e con dodici pali ciascuno [ per fortificare l’accampamento, una volta giunti in
vista dei nemici]. A quelli che erano in età troppo avanzata
per il servizio militare, ordinò di cuocere i cibi per i soldati
mentre questi preparavano le armi e cercavano i pali.
I giovani corsero qua e là a cercare i pali; li presero ciascuno nel luogo più vicino, senza che nessuno glielo impedisse, e tutti si trovarono pronti all’appuntamento fissato dal dittatore.
TITO LIVIO, Storia di Roma, III, 27
Dopo aver letto il brano A, completa le seguenti frasi
con parole tue.
Il dittatore Cincinnato si recò davanti alla ......................
...................................................................................... .
Proclamò ........................................................................
e ordinò ........................................................................ .
Tutti coloro che ..............................................................
dovevano .......................................................................
con .................................................................................
e con ............................................................................. .
A quelli che ....................................................................
ordinò di .........................................................................
mentre questi ............................................................... .
I giovani corsero qua e là ...............................................
e li presero senza che .................................................. .
B. Il reclutamento delle legioni
alla fine del II secolo a.C.
Tutti si trovarono pronti ................................................ .
Nel 107 a.C. il console Mario, decide di arruolare nuove
truppe, facendo appello ai volontari. È il primo passo verso la riforma.
Dopo aver letto il brano B, rispondi alle domande.
“Voi che avete l’età giusta per combattere, venite al servizio della Repubblica... La cosa è certa: con l’aiuto degli
dèi, tutti i frutti della guerra sono maturi: la vittoria, il
bottino, la gloria”.
Dopo questo discorso, il console Mario, volendo approfittare dell’entusiasmo della plebe, fa la leva delle reclute non
più secondo l’antica usanza, cioè controllando il loro reddito, ma accettando tutti i volontari, per lo più proletari che
erano sempre stati esclusi dall’esercito.
........................................................................................
SALLUSTIO (86-35 a.C.), La guerra contro Giugurta, 85-86
1. Che cosa promette Mario quando parla dei “frutti
della guerra”?
2. Come sceglie le reclute Mario?
■ in base al loro reddito
■ accettando anche i proletari
Confrontando i due brani, prova a scrivere sul tuo quaderno un breve testo di circa 100 parole indicando
come da essi emergano due diversi tipi di società.
Modulo 4 IMP. (170-203) 28-09-2004 12:30 Pagina 190
190 MODULO 4 - Roma nell’età della Repubblica
4 Gli schiavi
Gli schiavi romani, come quelli greci,
erano lavoratori privi di diritti civili, di proprietà di cittadini privati o dello Stato.
Venivano prevalentemente catturati durante
le guerre di conquista e venduti all’asta
negli appositi mercati di schiavi.
Potevano unirsi e avere figli, ma non potevano sposarsi e dipendevano totalmente
dal loro padrone, che decideva in piena
autonomia se trattarli umanamente o in
modo bestiale.
Durante un processo in cui dovevano comparire come testimoni, la loro deposizione
veniva accettata solo dopo tortura, perché
si riteneva che essi mentissero per principio.
Se avevano servito fedelmente per gran
parte della vita potevano avere la fortuna di
venire liberati e di assumere il nome del
loro padrone. Da quel momento diventavano liberti e i loro figli acquistavano la cittadinanza romana.
Lavori da schiavi
La vita di uno schiavo o di una schiava
dipendeva da due fattori: a quale tipo di
lavoro veniva destinato e sotto quale tipo di
padrone capitava.
Nelle illustrazioni qui sotto vedi alcuni dei
lavori in cui più frequentemente erano
usati gli schiavi.
COME ROMA SFRUTTA GLI SCHIAVI
Gli schiavi greci sono ritenuti i più intelligenti e perciò sono anche i più
costosi. Lavorano nelle grandi famiglie romane come dottori, tutori, musicisti, orafi, artisti e bibliotecari. Altri schiavi casalinghi fungono da parrucchieri, macellai, camerieri e cuochi. Alcuni aiutano i loro padroni nei negozi
o nelle botteghe artigiane. Altri insegnano nelle scuole.
Gli schiavi dello Stato eseguono
la manutenzione degli edifici pubblici, dei ponti e degli acquedotti. I più
colti lavorano negli uffici e negli
archivi assicurando la continuità
dell’amministrazione; tra questi
alcuni diventano molto potenti.
Le condizioni peggiori sono quelle degli schiavi delle miniere.
L’aria malsana, le fatiche e i maltrattamenti li condannano a una
morte precoce. Alcuni non resistono più di sei mesi.
Le ribellioni sono abbastanza frequenti. Tra le più
gravi ne ricordiamo due: una, violentissima, degli
schiavi-pastori siciliani; l’altra, diventata leggendaria, guidata dal gladiatore Spartaco nel I secolo a.C.
Tra gli schiavi agricoli, i più intelligenti dirigono
le ville dei latifondi e comandano centinaia di
altri schiavi; questi ultimi faticano tutto il giorno. I più ribelli lavorano in catene.
Gli schiavi più atletici vengono addestrati
accuratamente e impiegati nei combattimenti degli anfiteatri.
La cerimonia di liberazione di uno schiavo si chiama “manomissione”,
perché il padrone lo tocca con una mano. Da quell’istante egli diventa
un liberto. Molti schiavi devono pagare la propria liberazione usando i
risparmi che mettono da parte attraverso mille espedienti.
Modulo 4 IMP. (170-203) 28-09-2004 12:30 Pagina 191
7 - La civiltà repubblicana 191
Gli schiavi delle “ville”
Dopo la costituzione dei latifondi, la maggioranza degli schiavi romani era impiegata nelle grandi aziende agricole patrizie
che i romani chiamavano “ville”.
Ogni villa era interamente affidata a un “sovrintendente”, anch’egli schiavo, scelto tra i
migliori e chiamato “villico”, che viveva
nella fattoria con la sua compagna, la “villica”. Era lei che dirigeva le cucine, l’infermeria, la tessitura, la mungitura e provvedeva agli approvvigionamenti alimentari.
Gli altri schiavi si dividevano in sorveglianti, “schiavi sciolti” e “schiavi incatenati”. Questi ultimi erano quelli inclini alla
fuga e alla violenza e, sul mercato, erano
quotati a prezzi molto bassi.
La giornata lavorativa era di dodici ore e a
sera gli “schiavi incatenati” venivano chiusi negli ergastoli (o “locali per lavoratori”:
dal greco érga, “lavori”), che erano ambienti spesso sotterranei e soffocanti, con
piccole finestre poste troppo in alto per essere raggiunte. Gli altri alloggiavano in
stanzette più comode.
Insieme agli schiavi delle grandi famiglie e
ai gladiatori, gli schiavi delle “ville” avevano la fortuna di essere nutriti a sufficienza,
grazie alla quantità di prodotti alimentari
di cui era rifornita la “villa”.
il documento
Sono schiavi, sì, ma anche uomini
La stragrande maggioranza degli abitanti dell’Impero romano considerava la schiavitù una condizione sociale del tutto naturale e gli schiavi
una parte del proprio patrimonio, al pari di un oggetto o di un animale.
Nel I secolo d.C., tuttavia, i saggi cominciarono a considerare il problema in un’altra luce. Qui sotto puoi leggere le considerazioni in proposito
rivolte dal filosofo Seneca al suo allievo Lucilio.
Con piacere ho appreso dalle
persone che vengono dalla tua
casa che tratti familiarmente
i tuoi schiavi; ciò si addice alla tua saggezza e alla tua cultura.
“Sono schiavi”. Sì, ma anche uomini.
“Sono schiavi”. Sì, ma anche compagni di abitazione. “Sono schiavi”.
Sì, ma anche umili amici. “Sono
schiavi”. Sì, ma anche compagni
di schiavitù, se rifletterai che gli
uni e gli altri sono soggetti ai capricci della fortuna. Pertanto rido
di costoro che giudicano disonorevole pranzare col proprio schiavo: per quale ragione, se non perché una consuetudine, prodotta dalla più superba arroganza, mette attorno
al padrone, durante il pranzo, un moltitudine di schiavi che stanno in piedi?
SENECA (4 ca a.C.-65 ca d.C.),
Lettere a Lucilio, II, 2
LA “VILLA” SCHIAVILE
cucina
bagni
ergastoli
panificio
stanze
del villico
sala
da pranzo
stalla
locali per la
pigiatura dell’uva
granaio
cortile
aia per la
trebbiatura
cortile con le anfore
per il vino e l’olio
locali per la
spremitura delle olive
«Se fuggo tu mi riporterai
al mio padrone che
ti darà un solidum
(moneta d’oro)».
Modulo 4 IMP. (170-203) 28-09-2004 12:30 Pagina 192
192 MODULO 4 - Roma nell’età della Repubblica
5 Le strade
Curvatura “a dorso d’asino”.
Strade per l’esercito
Per vincere una guerra occorre spostare
rapidamente le proprie truppe allo scopo di
sorprendere il nemico e di attaccarlo quando non se lo aspetta. I Romani, diventati i
più grandi geni militari del mondo antico,
divennero quindi anche i più abili e attivi
costruttori di strade.
I primi tracciati fra Roma e i centri laziali,
come la via Salaria (la “via del sale”) o le
vie Ardeatina e Laurentina, erano tortuosi,
pieni di variazioni di quota e il loro fondo
era in terra battuta.
Ma nel IV secolo a.C. i Romani impararono a costruire strade rettilinee e, primi
nel mondo antico, a lastricarle rendendole
durevoli nel tempo e inattaccabili dalla
pioggia e dal gelo.
Queste grandi strade si chiamarono “vie
consolari”, perché la loro costruzione
veniva decisa dai consoli, dai quali poi
prendevano il nome.
Lastre di pietra.
Groma.
Strato composto
da ghiaia e
pietrisco.
Canale
di scolo.
Pietre più piccole,
a volte unite da
cemento.
Grosse pietre
incastrate strettamente
l’una con l’altra.
Le strade secondarie erano
larghe da 3 a 4,5 metri,
le principali fino a 7,7 metri.
LE STRADE ROMANE.
Quando progettavano una strada, gli ingegneri romani esaminavano la zona per trovare
il modo di costruire un tracciato il più possibile breve, pianeggiante e rettilineo.
Per ottenere questo scopo si posizionavano all’inizio e alla fine di un certo tratto,
accendevano una serie di fuochi per controllarne l’allineamento, lanciavano piccioni
viaggiatori di cui seguivano il volo e infine controllavano tutto con la groma
(uno strumento che serviva a misurare il terreno).
Quindi abbattevano gli alberi collocati sul percorso e costruivano la strada come mostra
il disegno. La superficie veniva realizzata lievemente curva (“a dorso d’asino”)
per far defluire l’acqua e impedire che d’inverno, gelando, spaccasse le pietre.
Ai lati scorrevano canaletti di scolo.
I PONTI.
Quando la strada incontrava un fiume o una valle che
avrebbe richiesto attraversamenti faticosi o lunghi
percorsi per aggirarla, i Romani costruivano un ponte o
un viadotto. Molti di essi sono ancora in piedi, come
questo ad Alcantara, in Spagna.
ANTICHI “BINARI”.
Nei veicoli romani la distanza tra le ruote era
di 143 centimetri. In molte strade vennero praticati
due solchi a questa distanza che funzionavano
da binari impedendo ai carri di rovesciarsi.
Modulo 4 IMP. (170-203) 28-09-2004 12:30 Pagina 193
7 - La civiltà repubblicana 193
La via Appia, regina viarum,
“regina delle strade”
Nel 312 a.C. fu iniziata la prima via consolare e fu chiamata via Appia. Andava da
Roma a Capua, in Campania. Era lunga
200 chilometri, una distanza che a piedi
veniva percorsa in cinque o sei giorni. Su
di essa passarono le legioni che andavano a
combattere contro Pirro, il re dell’Epiro,
ma in tempo di pace vi transitavano anche
centinaia di mercanti e di viaggiatori. I 28
chilometri perfettamente rettilinei che ne
precedevano l’arrivo a Terracina erano
fiancheggiati da un canale artificiale, in
modo che i viaggiatori più ricchi potessero
percorrerli comodamente in barca, provando un po’ di sollievo dopo le tante scosse
subite nei carri.
Nei decenni successivi la via Appia fu
estesa fino a Brindisi, da dove salpavano le
navi dirette verso la Grecia. Poi altre ne
furono costruite, finché la penisola fu ricoperta da una rete stradale che collegava
tutte le città più importanti.
LA VIA APPIA, COME ERA...
con i sepolcri delle grandi
famiglie che la fiancheggiavano.
... E COME È OGGI
alle porte di Roma dove fa parte di
uno splendido parco archeologico.
IL VIAGGIATORE
LA RETE STRADALE ROMANA.
Quando l’Impero ebbe raggiunto
la sua massima estensione,
la rete stradale romana era lunga
120 000 chilometri.
L’equipaggiamento da viaggio
L’abbigliamento da viaggio, completato da
calzature chiuse allacciate con stringhe doveva lasciare ampia libertà di movimento. Per ripararsi
dalla pioggia e dai rigori del freddo veniva impiegato
un mantello di lana con cappuccio, sostituito d’estate
da un cappello a larghe tese in grado di proteggere
dal sole. Il bagaglio veniva riposto in bisacce di
pelle o di stoffa, oppure in reticelle appese alla sella della cavalcatura; più raramente, in una cassa di
legno sul tipo dell’odierno baule.
Gli effetti personali, con il denaro e gli altri oggetti preziosi, stavano in una borsa ( marsupium),
assicurata alla cintura. Infine, quand’era necessario muoversi armati, una corta daga
o un bastone servivano, oltre che alla
difesa personale, anche da appoggio
lungo i sentieri più impervi o nell’attraversamento dei torrenti.