La risk analysis nel settore alimentare (Giaccone et al., 2005

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La risk analysis nel settore alimentare (Giaccone et al., 2005
Dossier Obiettivo risk analysis
La risk analysis
nel settore alimentare
Quando si ha a che fare con il consumatore,
la valutazione e la gestione del rischio deve
entrare nel vissuto di ogni imprenditore che
partecipi alla filiera produttiva. Ed è per
questo motivo che occorre conoscere
l’impostazione di questo metodo, in modo
di sapersi rapportare correttamente
con tutti gli anelli di questa lunga catena
di Valerio Giaccone(1) - Maurizio Ferri(2)
Carlo D’Intino(2) - Claudio Milandri(3)
Rodingo Usberti(3) (1)
analisi del rischio (in particolare quello microbiologico) è un concetto che lentamente sta entrando
nel bagaglio scientifico e culturale degli operatori
sanitari e non, responsabili a diversi livelli e con diverse competenze della sicurezza alimentare. Numerosi sono i
fattori alla base del successo che la risk analysis sta registrando nella nostra società occidentale. Zwietering e van Gerwen
(2000) ne fanno rilevare alcuni:
1) gli esseri umani hanno assoluta necessità di alimentarsi almeno una o due volte al giorno (compatibilmente con i problemi della scarsità di cibo che affligge alcune delle regioni del
globo);
2) specialmente nei Paesi industrializzati occidentali, l’industria alimentare e la rete commerciale che a essa fa capo costituiscono uno dei settori commerciali che formano la
bilancia economica dei singoli Stati. Orriss e Whitehead (2000) hanno stimato che attualmente il mercato globale degli alimenti ammonta a oltre 380 miliardi di dollari/anno;
3) per produrre il cibo di cui la popolazione
terrestre ha bisogno, l’uomo ha sviluppato nei secoli una complessa struttura organizzativa che, partendo da agricoltura, pesca e allevamento, arriva alla trasformazione delle materie prime alimentari in un’amplissima gamma di prodotti e a svariatissime forme di vendita al
dettaglio o somministrazione;
L’
Dipartimento di Sanità pubblica, Patologia comparata e Igiene
veterinaria, Facoltà di Medicina Veterinaria di Padova
(2)
Servizio veterinario ASL n. 5 di Pescara
(3)
Area di Sanità pubblica Veterinaria. ASL Forlì
4) i Paesi occidentali sono anche i più forti consumatori di prodotti alimentari e poiché con le loro produzioni interne non riescono a compensare il fabbisogno alimentare, hanno creato
una fitta rete di scambi commerciali a livello mondiale;
5) è cosa ormai usuale, per noi occidentali, consumare alimenti che nella loro composizione contengono materie prime importate da tutte le parti del globo. Per fare un esempio, pensiamo alle preparazioni ittiche congelate o surgelate miste a base
di pesce, molluschi e crostacei: il merluzzo arriva dal Mare del
Nord, il salmone dalla Norvegia, la trota da allevamenti italiani, i gamberetti sono di produzione vietnamita o thailandese, i
cefalopodi sono stati allevati in Cina e i mitili provengono dalla Spagna;
6) tutto ciò ha i suoi vantaggi, ma anche degli svantaggi, o
quanto meno aspetti non del tutto positivi, sia sul piano commerciale che sotto il profilo igienico-sanitario. Il fatto di utilizzare per la produzione dei nostri alimenti materie prime di varia provenienza, comporta anche il fare i conti con i possibili
problemi igienici che erano presenti al momento della produzione o della raccolta di quei prodotti nei loro rispettivi paesi di
origine;
7) in qualche sfortunata circostanza, gli alimenti possono diventare fonte di pericolo per la salute umana, perché contengono microrganismi patogeni o perché in essi si sono accumulati
residui di composti chimici in grado di recare nocumento alla
salute umana;
8) risolti i più pressanti problemi di approvvigionamento di
derrate alimentari (anzi, in condizioni di sovrabbondanza di
prodotti alimentari), le popolazioni occidentali si sono trovate
a fare i conti da un lato con problemi di obesità e delle patologie condizionate dall’iperalimentazione, e dall’altro con i molteplici aspetti della “sicurezza alimentare” che oggi costituisce
uno dei capisaldi delle politiche nazionali e comunitarie;
9) tutto ciò ha portato a sviluppare, nel corso degli ultimi 50 anni, un complesso sistema di controllo della qualità igienica
e commerciale degli alimenti. Si è iniziato con i controlli
sanitari imposti dai singoli stati nel settore dell’industria
produttiva primaria (agricoltura, allevamento e pesca), sulle
industrie alimentari e sull’import-export di derrate alimentari. I
controlli sanitari erano (e sono tuttora) assicurati da servizi sanitari di Stato che
impiegano essenzialmente medici e
veterinari, deputati a tenere sotto
controllo la qualità igienica delle
produzioni alimentari, “a valle”
della catena produttiva;
(1)
22
Il moderno concetto di filiera
oggi impone all’allevatore
obblighi un tempo non previsti
CONIGLICOLTURA 4 - 2005
15) il fatto di riuscire a individuare meglio i reali pericoli che
il consumatore può correre con l’assunzione degli alimenti,
comporta un altro obbligo per chi gestisce e coordina a livello
politico ed economico la nostra società: quello di contrastare la
comparsa di questi pericoli e, soprattutto, di scegliere le strategie più opportune per affrontarli quando ormai si sono concretizzati o, meglio, per evitarne la comparsa;
16) poiché siamo nell’era delle comunicazioni, diventa altrettanto indispensabile fare sì che i consumatori siano informati
meglio e il più possibile di quanto le strutture politiche, economiche e sociali fanno per assicurare a tutti noi alimenti di buona e costante qualità igienica;
17) siamo arrivati, quindi, al momento in cui è diventato indispensabile applicare a vario livello i concetti della risk analysis.
Analisi del rischio
La gestione del rischio è qualcosa di più ampio e articolato
della semplice Haccp
10) con lo sviluppo esplosivo delle produzioni e degli scambi
internazionali registrato a partire dagli anni ’60, il sistema di
controlli sanitari di Stato ha iniziato a mostrare segni di difficoltà, per l’impossibilità di tenere sotto controllo in modo razionale un simile sistema di produzione, trasformazione e
commercializzazione delle derrate;
11) sul finire degli anni ’70 ha cominciato, quindi, a farsi strada il concetto di affidare ai produttori di alimenti la responsabilità dei controlli igienico-sanitari delle loro produzioni (concetto di autocontrollo igienico delle produzioni);
12) quasi subito è diventato evidente che il sistema più obiettivo e razionale per realizzare questi controlli era il sistema
HACCP, tanto che tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90 l’autocontrollo delle produzioni alimentari è diventato
un requisito indispensabile e poi un obbligo di legge un po’ in
tutti i Paesi occidentali;
13) sempre negli anni ’90 si sono formulati altri e più complessi sistemi di autocontrollo, basati sull’applicazione di
“procedure” aziendali interne, finalizzate sempre a mantenere
sotto costante controllo la qualità igienica delle produzioni, ma
puntando soprattutto sul controllo “gestionale” delle linee di
produzione. Inizia l’era delle certificazioni ISO, di processo o
di prodotto;
14) sul finire degli anni ’90 si è arrivati, infine, a comprendere
che non è possibile pensare di eliminare dal processo produttivo
tutti i possibili “pericoli” che possono concretizzarsi nelle varie
fasi di produzione e distribuzione delle derrate alimentari. Si è
compreso che è, invece, necessario “prevedere” quando e come
i singoli pericoli potrebbero concretizzarsi, quali ne potrebbero
essere le conseguenze sulla salute del consumatore (in termini di
stime probabilistiche) e quali ricadute potrebbero avere questi
pericoli sulla salute umana (a breve, medio e lungo termine, secondo il pericolo) e sui costi gestionali della salute pubblica;
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Applicata all’inizio degli anni ’70 ai pericoli chimici e successivamente a quelli microbiologici, l’analisi del rischio identifica una tecnica scientificamente fondata, che utilizza dati scientifici e calcoli statistici disponibili per produrre stime prevedibili di comparsa di pericoli specifici in determinati scenari. La
risk analysis, quindi, è un processo che consente di descrivere
qualitativamente e “quantitativamente” la probabilità e l’impatto potenziale di alcuni rischi (valutazione del rischio), di
formulare decisioni o proporre alternative/opzioni di controllo
degli stessi (gestione del rischio) e di comunicare a tutti i soggetti interessati (consumatori compresi) i risultati della valutazione del rischio e le decisioni che si suggerisce di prendere
(comunicazione del rischio).
Rasmussen e coll. (2001) fanno giustamente rilevare che “il
concetto stesso di risk analysis nel settore della food safety è
ancora in fasce”, come ha avuto modo di rilevare la stessa
Commissione della Ue nel suo “Libro Bianco” (Commission of
the European Communities, 2000). Di strada comunque se ne è
fatta, a partire dalla metà degli anni ’80 con il primo schema di
risk assessment elaborato dall’Organizzazione per lo sviluppo
e la cooperazione economica (OECD, 1986) nel settore dei microrganismi geneticamente modificati, i cui principi sono stati
successivamente elaborati e formalizzati nelle direttive europee 90/219/EEC e 90/220/EEC. Il risk assessment figura altresì nella direttiva 91/414/CE sui fitofarmaci. È con l’emergenza
sanitaria mondiale degli ultimi 10-15 anni, rappresentata da
Ge tione
Valutazione
del rischio
s
el rischio
d
Comuni azione
c
el rischio
d
Fig. 1 - Analisi del rischio
23
Dossier Obiettivo risk analysis
Il tema del rischio alimentare è più sentito nei paesi occidentali
di quanto non accada in altre aree geografiche
batteri quali Salmonella, Campylobacter, Yersinia, E. coli verocitotossici (VTEC) e Listeria monocytogenes (WHO, 1995;
Tauxe, 1997) che il risk assessment inizia a essere applicato al
settore del controllo dei patogeni alimentari. Siamo però ancora in una fase iniziale, nella quale esistono ancora problemi di
gestione dell’intero processo di conduzione della valutazione
del rischio. A ciò si aggiungono le difficoltà nel “reperire” validi risk managers, professionisti capaci di prendere decisioni
corrette sulla base delle informazioni che provengono proprio
dalla valutazione del rischio.
La terminologia correlata al rischio è una fonte continua di
confusione, nonostante i tentativi fatti per uniformare i termini
e formulare un glossario. Sussistono ancora incomprensioni, in
particolare quando gli esperti di un’area (ad esempio, di sicurezza alimentare) parlano con quelli di un’altra (ad esempio, di
sicurezza industriale).
Codex Alimentarius (CAC), nel 1997, ha enunciato tre principi fondamentali, che corrispondono a tre definizioni essenziali:
Igiene degli alimenti (Food hygiene): l’insieme di quelle
condizioni e provvedimenti necessari per assicurare la salubrità e l’idoneità al consumo di un alimento in qualsiasi fase della linea produttiva.
Sicurezza degli alimenti (Food safety): condizione indispensabile, grazie alla quale sappiamo che un alimento non
potrà provocare alcun danno alla salute del consumatore se
preparato e/o consumato per l’uso che ne è comunemente
inteso.
Idoneità dell’alimento al consumo (Food suitability):
condizione grazie alla quale un alimento è idoneo al consumo umano per gli usi che ne sono comunemente intesi.
La stessa commissione del Codex fornisce le seguenti definizioni:
Pericolo (Hazard): un agente fisico, chimico o biologico (o
anche una condizione) presenti nell’alimento in grado di
provocare un danno alla salute del consumatore. Nel contesto della risk analysis, per hazard si intende comunque qualunque cosa che ha il potere di innescare l’evento indesiderato che si sta studiando. Anche le contaminazioni crociate
degli alimenti possono essere viste come hazard, anche se
non inducono nell’alimento la presenza di patogeni.
Rischio (Risk): copre non solo la probabilità di comparsa
ma anche la gravità delle conseguenze di esposizione a un
pericolo per la salute umana. Per lo studio di Valutazione
Quantitativa del Rischio (VQR) è di fondamentale importanza definire il range della gravità dei possibili effetti sfavorevoli (l’effetto della presenza di una carica microbica
nell’alimento può andare dalla semplice diarrea alla morte
del soggetto).
Analisi dei pericoli (Hazard analysis): processo di raccolta e valutazione di informazioni sui pericoli e le condizioni
che portano alla loro presenza negli alimenti necessari per
stabilire se un pericolo è da tenere in considerazione oppure
meno.
L’analisi del rischio si articola attraverso tre fasi non necessariamente distinte ma coincidenti per alcuni aspetti:
Aggiornamento
(nuovo pericolo)
Uso del modello
di rischio
Valutazione
preliminare del rischio
Monitoraggio & analisi
Valutazione
del rischio
"Risk Assessment"
Valutazione opzione
Terminologia
Prima di proseguire nella nostra trattazione, quindi, è opportuno chiarire alcuni aspetti di terminologia. Nell’approvare la
terza revisione della Recommended International Code of
Practice - General Principles of Food Hygiene e l’annesso Hazard Analysis and Critical Control Point (HACCP) system and
guidelines for its application, la competente Commissione del
24
mplementazione
I
Analisi
costo-benefici
Fig. 2 - Risk Management - Schema generale (Kiel, 2000)
(Da Lammerding, 2003, modificato)
CONIGLICOLTURA 4 - 2005
Valutazione del rischio (Risk assessment): processo scientifico (articolato in quattro successive fasi) che serve a valutare la probabilità di comparsa e la gravità di effetti dannosi
(effettivi o presunti) sulla salute umana che possono derivare dall’esposizione delle persone a pericoli veicolati con gli
alimenti.
Gestione del rischio (Risk management): sfruttando i risultati che derivano dal risk assessment, si possono mettere
a confronto le differenti possibili strategie alternative (politiche, economiche, sociali) da adottare e, se è il caso, selezionare appropriate opzioni di controllo, comprese le misure legislative.
Comunicazione del rischio (Risk communication): momento dello scambio interattivo di informazioni e opinioni
tra coloro che effettuano il risk assessment, il risk manager
e altre parti della società interessate (es. i consumatori).
Nello schema riportato in figura 1, si vede come le due fasi dell’analisi del rischio (valutazione e gestione) “navigano” nel
mare della comunicazione del rischio. Ciò significa che il momento della comunicazione del rischio non è isolato dagli altri
ma interviene con intensità diverse nelle altre fasi rappresentando sostanzialmente uno scambio attivo di dati e informazioni tra i diversi soggetti che partecipano all’intero processo di
analisi. L’analisi del rischio può essere applicata ai diversi settori delle attività umane (finanza, ingegneria, ambiente); nel
settore degli alimenti ha come obiettivo di proteggere la salute
dei consumatori e contribuire a migliorare lo stato di salute
della popolazione.
Il Codex Alimentarius sottolinea la necessità di una separazione funzionale tra chi fa il risk assessment e chi è responsabile
del risk management (CAC, 1999). Questa separazione è essenziale per garantire l’integrità scientifica dell’intero processo di risk assessment, ed evitare pressioni politiche o condizionamenti provenienti da diverse fonti. Comunque la valutazione
e gestione del rischio devono essere processi distinti trasparenti e ben documentati.
Approcci paralleli
A margine di quanto detto è interessante citare i due principi
formulati dalla Società per l’analisi del rischio: 1) l’analisi del
rischio utilizza sostanzialmente le nostre osservazioni su ciò
che sappiamo, al fine di fare previsioni su ciò che non sappiamo. Identifica sostanzialmente un processo scientifico che si
sforza di rappresentare ciò che avviene in natura, fornendo al
contempo informazioni utili per la fase decisionale di gestione
dei rischi. La risk analysis, quindi, è mirata non tanto a imporre uno o più modelli già “preconfezionati”, quanto più semplicemente a informare su un tema complesso di scelte relative alle misure necessarie per mitigare i rischi; 2) l’analisi del rischio cerca di integrare le conoscenze dei processi fisici, biologici, sociali, culturali ed economici che determinano le risposte umane, ambientali, tecnologiche nell’ambito di contesti
diversi. Considerando la necessità di prendere decisioni sui rischi anche quando la conoscenza è incompleta, gli analisti del
rischio si affidano a opinioni o giudizi “informati” e usano modelli che riflettono interpretazioni plausibili dei diversi aspetti
della natura. Tutto ciò è fatto con l’impegno di valutare e fare
conoscere la basi dei nostri giudizi, comprese le incertezze che
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Nei preparati a base di carne il controllo microbiologico è il primo
passo per garantire al consumatore la sicurezza alimentare
caratterizzano la nostra conoscenza. A margine, può essere significativo un dettaglio importante: gli esperti di igiene degli
alimenti e di controllo qualità degli alimenti hanno come punto di partenza gli alimenti e guardano in avanti, verso le malattie alimentari. Gli epidemiologi, invece, partono dal dato di
fatto delle malattie alimentari e guardano indietro, verso l’alimento. È un po’ la costante alternativa, tra le finalità dell’industria alimentare e quelle delle autorità sanitarie competenti sul
controllo sanitario degli alimenti destinati al consumo umano.
Alla luce dei pareri che hanno sinora espresso i maggiori
esperti di risk analysis si può affermare che entrambi i modi di
vedere le cose sono validi e vanno, quindi, considerati in parallelo.
Di primo acchito, si può avere la sensazione che non vi siano
evidenti correlazioni tra sistema HACCP e risk analysis, considerato che le impostazioni generali dei due sistemi sono apparentemente molto differenti. È vero invece il contrario e cioè
che risk analysis e VQR sono una naturale e necessaria continuazione in senso stocastico (ossia, probabilistico) dei sistemi
di controllo qualitativi propri del sistema HACCP. Il campo di
applicazione della risk analysis è sicuramente più ampio e le
responsabilità che ne derivano maggiori per gli operatori sanitari coinvolti.
L’HACCP ci vedeva e ci vede direttamente coinvolti, possiamo
toccare con mano il frutto del lavoro dei team HACCP (mi25
Dossier Obiettivo risk analysis
un limite critico che separi la normalità dalla deviazione e che
faccia scattare la non conformità. La risk analysis, quindi, va
vista come un logico e inevitabile sviluppo del sistema
HACCP, senza il quale quest’ultimo non ha realmente efficacia
sul piano pratico (Orriss e Whitehead, 2000).
Un altro aspetto generale da considerare è quello dell’equivalenza dei sistemi. Gran parte dei Paesi del mondo hanno firmato l’accordo internazionale sugli scambi internazionali di derrate alimentari, i WTO Agreements on the Application of Sanitary and Phytosanitary Measures and Technical Barriers to
Trade (SPS Agreements).Pur con le inevitabili differenze tra
ordinamenti statali, le nazioni che hanno sottoscritto questo accordo devono accettare i sistemi degli altri, a patto che il Paese
esportatore possa dimostrare all’importatore che le misure
adottate (differenti da quelle dell’importatore) assicurano comunque livelli soddisfacenti di igiene e sicurezza (concetto di
livello accettabile di rischio) (Van Shothorst, 2002).
Per “pericolo” si intende qualsiasi agente fisico, chimico
o biologico che possa arrecar danno al consumatore
glioramento degli standard igienici) e svolgere un’azione di
controllo e supervisione prevista da precise norme legislative.
La risk analysis è un tema complesso, così come lo è la nostra
società con i suoi sistemi alimentari e di produzione. In questo
contesto appare vincente l’adozione di un approccio di tipo
“complessivo e unitario” alla conoscenza del tema della sicurezza alimentare, in cui anche i fattori sociali, culturali, di
comportamento giocano un ruolo fondamentale nel determinismo di alcune patologie alimentari e nell’eziologia dei focolai
di tossinfezione alimentare. Pensiamo a quanto incide un’errata manipolazione di un alimento nel determinismo delle salmonellosi alimentari e nelle infezioni da Campylobacter spp.
Studi recenti hanno affrontato il problema della modellazione
dei fenomeni di contaminazione crociata, alla base dei focolai
causati da Campylobacter spp. ed altri patogeni alimentari
(Chen e coll. 2001; Cogan e coll. 2002; Montvillee e coll.
2002). Restano, però, molte lacune nelle nostre conoscenze,
ignoriamo ancora molto sulle diverse abitudini dei consumatori o manipolatori di alimenti e quindi non abbiamo sufficienti
dati “di campo”, con i quali modellare il fenomeno della contaminazione crociata, con la determinazione delle cariche che
si trasferiscono o attecchiscono su alimenti, superfici e mani
degli operatori. Conoscere meglio tutti questi aspetti ci permetterà di prevedere i pericoli e mettere in atto le strategie di
riduzione degli stessi.
Non bisogna, però, dimenticare uno dei concetti fondamentali
dell’HACCP: per la sicurezza degli alimenti è essenziale eliminare o almeno ridurre a livelli accettabili i pericoli che possono essere insiti nella produzione di un certo alimento. Dato
per scontato che non sempre è possibile eliminare completamente da un processo produttivo tutti i pericoli, diventa importante la seconda delle due finalità, quella di ridurre il pericolo
a un livello accettabile o fare in modo che sia estremamente
improbabile che si verifichi. Emerge, allora, un secondo concetto, quello della probabilità che il pericolo si concretizzi davvero, ossia il concetto di rischio. Diventa, dunque, inevitabile
individuare opportuni e reali Punti di Controllo Critici per tenere sotto controllo i singoli pericoli; d’altro canto, uno dei requisiti essenziali dell’HACCP è che per ogni CCP si individui
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Gestione del rischio
Secondo l’apposita Commissione del Codex Alimentarius
(WHO/FAO, 1997), il risk management è un “processo di valutazione delle azioni alternative per il controllo del rischio, alla
luce dei risultati del risk assessment e (se necessario) selezione e
implementazione delle opzioni di controllo appropriate, comprese le misure normative”. In linea con successivi documenti
(FAO/WHO, 2002, Codex Committee on Food Hygiene, 2003),
è possibile suddividere l’intero processo di risk management in
quattro fasi (figura 2): attività preliminare di gestione del rischio, valutazione delle opzioni di gestione del rischio, implementazione delle decisioni di gestione del rischio, monitoraggio
e analisi.
Nella fase di attività preliminare di gestione del rischio, è necessario prendere in considerazione i seguenti aspetti: identificazione del problema di sicurezza alimentare; definizione del profilo del rischio, che a sua volta comprende la descrizione dello
scenario, la descrizione del prodotto o delle matrici coinvolte, il
peso da associare al rischio sulla base del danno alla salute umana ed eventuale danno economico, le conseguenze probabili, la
percezione del rischio da parte dei consumatori e la distribuzione sia del rischio che dei benefici; classificazione del pericolo
sia per il risk assessment che per il risk management; determinazione della politica di risk assessment necessaria per condurre lo
studio di risk assessment, definizione delle linee-guida per i valori di giudizio e per le scelte di politica ritenuti necessari per
l’applicazione in specifici momenti decisionali nell’ambito del
processo di risk assessment; commissionamento dello studio di
risk assessment; considerazione dei risultati del risk assessment.
La valutazione delle opzioni di gestione del rischio comprende l’identificazione delle opzioni di gestione del rischio; la selezione delle opzioni di gestione con la determinazione di uno
standard di sicurezza appropriato, quale ad esempio il “rischio
zero” (di solito implicito nei livelli ADI), standard “equilibrato”
(costo-beneficio o livello più basso ragionevolmente acquisibile) o “limite standard” (accettabilità del limite minimo di rischio
scelto); la decisione finale relativa alla gestione.
Il monitoraggio e l’analisi comprendono la valutazione dell’efficacia delle misure intraprese e una rianalisi sia del risk management che del risk assessment quando necessario.
Come è illustrato schematicamente in figura 2, il risultato del-
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l’intero processo di valutazione preliminare del rischio, associato a una valutazione delle opzioni di gestione, dovrebbero consentire di prendere una decisione finale sulla gestione del rischio.
Nel fare ciò si prenderanno in considerazione in via prioritaria la
protezione della salute umana e (secondo le diverse situazioni)
altri fattori quali quelli relativi a costi, fattibilità, percezione del
rischio ecc. L’implementazione delle decisioni dovrebbe poi essere seguita dal monitoraggio sull’efficacia delle misure di controllo relative all’impatto sul rischio nei confronti della popolazione esposta dei consumatori.
Ripetendo un concetto già esposto in nostri precedenti contributi sul tema, è proprio nella fase iniziale del risk management che
si stabilisce e si avvia il processo di risk assessment, il cui risultato finale è costituito dal final risk estimate. Va comunque sottolineato il fatto che il concetto di rischio finale “atteso” non è
statico, ma dinamico in quanto associato alla variabile tempo.
Nel tempo, infatti, variano sia il livello di prevalenza dei patogeni in una determinata matrice alimentare che le abitudini dei
consumatori e altri fattori.
Per concludere, a partire dalle informazioni che derivano dal risk assessment (figura 3) e da quelle che riguardano gli obiettivi
di sicurezza alimentare generale (OSA), si “costruisce” la base
sulla quale sviluppare le decisioni di risk management oltre che
le misure di controllo o opzioni di gestione.
Naturalmente il risk estimate che costituisce l’attuale livello di
rischio può risultare più alto o più basso del livello del rischio
accettabile la cui determinazione, oltre che da tipo di pericolo e
situazione a rischio, dipende da una serie di fattori di tipo culturale, sociale, economico e tecnologico. Le opzioni di gestione
del rischio, quindi, andranno a interessare la filiera a diversi livelli e assumeranno diverse modalità (controlli all’origine, azioni a livello di produzione, introduzione di misure igieniche, misure di controllo nei piani HACCP, limiti di carica obbligatori,
criteri di performance di prodotto o processo, educazione del
consumatore, ecc.).
Inquadramento legislativo
Nel 1995, FAO e WHO pubblicano il primo documento ufficiale nel quale si parla di analisi del rischio e dell’utilizzo dei suoi
risultati per l’elaborazione delle misure normative relative alla
sicurezza alimentare (FAO/WHO, 1995). Successivamente, gli
stessi organismi entrano nel merito delle fasi che compongo l’analisi del rischio con l’elaborazione di due importanti documenti dal titolo: Risk management (FAO/WHO, 1997), Risk communication (FAO/WHO, 1998). Ma il documento che costituisce il
punto di riferimento essenziale di tutte le esperienze di risk assessment è quello pubblicato dal Codex nel 1999 dal titolo
“Principles and guidelines for the conduct of Microbiological
Risk Assessment”, (CAC, 1999) nel quale si cerca di standardizzare e raccogliere in un unico schema le metodologie proposte
da organismi diversi quali il Joint FAO/WHO Expert Committee
on Food Additives (JEFCA) ed il Joint FAO/WHO Meeting on
Pesticides Residues (JMPR).
In ambito europeo, le istituzioni comunitarie hanno recepito le
sollecitazioni di FAO/WHO e hanno introdotto nella normativa
sulla sicurezza alimentare e sanità animale i concetti di risk
analysis e risk assessment con il Regolamento (CE) n. 178/2002
del 28 gennaio 2002. Anche la recente proposta del Parlamento
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e del Consiglio europeo (COM/2002/0377 del 29/10/2002) sull’organizzazione di controlli ufficiali sui prodotti di origine animale destinati al consumo umano, fa riferimento proprio ai concetti della valutazione del rischio. Frequenza e intensità dei controlli devono poggiare su una valutazione dei rischi per la salute,
rappresentati dal tipo di animale e di processo.
Annotazioni specifiche
La risk analysis, così come il sistema HACCP, non è semplicemente un insieme di processi matematico-statistici e decisionali;
essa va vista, piuttosto, come una “filosofia” o quanto meno una
“corrente di pensiero” che si va facendo strada a grande velocità
nella nostra società occidentale. Come tale, i suoi “adepti” stanno aumentando rapidamente e la corrente di pensiero sta improntando di sé una serie di aspetti della vita quotidiana, almeno
nel settore dell’alimentazione umana. Non dimentichiamo, a
questo proposito, che il sopra citato Regolamento comunitario n.
178/2001, istituendo l’Agenzia per la sicurezza alimentare europea, ha esplicitamente previsto che d’ora in avanti tutta la legislazione europea in tema di sicurezza alimentare per l’uomo dovrà essere improntata ai risultati di una valutazione dei rischi.
Ciò significa, in altri termini, che i singoli Stati saranno chiamati a metterla in atto formando, a livello governativo, strutture che
si incarichino di coordinare questa serie di studi. Premesso che
la Valutazione del rischio e la Gestione del rischio hanno uguale
peso e importanza nell’ambito della risk analysis, è evidente che
tra i due settori, quello dove sono richieste le maggiori basi
scientifiche è proprio il primo. Il risk assessment costituisce,
quindi, l’aspetto più prettamente scientifico dell’intero processo,
Identificazione del
problema di sicurezza
alimentare
Non
azione
Legislazione
esistente
Valutazione
limitata
Profilo del rischio
Decisione
per la gestione
Necessità
di maggiore
informazione
Urgente:
azione
Valutazione
del rischio?
Scopo
Strategie
di gestione
alternative
NO
Appropriato,
fattibile?
SI
Costituzione
del team di
Risk Assessment
Definizione
della politica
di valutazione
del rischio
Conduzione del
Risk Assessment
Presentazione
RISULTATI
Fig. 3 - Valutazione del rischio - Attività della fase preliminare
di risk management (Da Lammerding, 2003, modificato)
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Dossier Obiettivo risk analysis
no di “quantificare” il danno in base non solo alla frequenza degli effetti classici legati a un patogeno, ma anche al reale impatto globale sanitario sulla popolazione sulla base di parametri di
valutazione che possono cambiare secondo il contesto sociale e
la politica sanitaria di un determinato Paese.
Valutazione del rischio
pressante l’analisi dei rischio lungo la filiera
la gestione del rischio l’aspetto “manageriale” e la comunicazione del rischio assicura l’interazione tra il valutatore, il gestore e
altri soggetti interessati (industria, consumatori, ecc.).
Nel tempo si sono susseguite diverse definizioni di rischio, ma la
migliore resta quella proposta dalla Codex Alimentarius Commission (1998) che lo considera “una funzione della probabilità
di un effetto sanitario sfavorevole, compresa la sua gravità, dovuto alla presenza di un pericolo nell’alimento”.
Il rischio, quindi, può essere riferito sia alla probabilità del verificarsi di un determinato pericolo che alle conseguenze che esso
comporta. Barendsz (1998) propone una sua particolare definizione (“a formula”) del rischio, che assomiglia a quella del Codex. Secondo l’autore, rischio = probabilità + effetto, dove l’effetto è il danno causato (numero di vittime o di colpiti, ecc.). La
probabilità è un dato quantitativo, un numero (frequenza) che
misura la possibilità con la quale un valore o un evento si verificano. Le conseguenze andranno altresì definite in modo quantitativo, quindi bisognerà stabilire l’entità del danno, perdita o costo attribuibile a un pericolo specifico e la percezione come danno “reale” da parte della popolazione.
Un esempio di stima di tipo “quantitativo” del danno, è quella
relativa a un nuovo parametro sanitario di valutazione, chiamato
DALY (Disability Adjusted Life Years) sviluppato dai danesi Havelaar e coll. (2000a-2000b). Essi hanno dimostrato che le conseguenze meno frequenti della campylobatteriosi alimentare,
quali la mortalità per gastroenterite (310 DALY) e la sindrome di
Guillain-Barré (340 DALY), incidono tanto quanto l’enterite
acuta (440 DALY) sul peso sanitario totale delle infezioni alimentari da Campylobacter che si verificano ogni anno nel loro
paese (1440 DALY). Usando lo stesso approccio hanno messo a
confronto il rischio di infezione da Cryptosporidium parvum
nell’acqua da bere con il rischio di modificazione cancerogena
delle cellule renali come conseguenza dei trattamenti di decontaminazione. L’introduzione di questo nuovo parametro permette di “pesare” un determinato rischio sanitario con le diverse
strategie di riduzione del rischio, per cercare di scoprire quale
sia la più efficace, in termini di riduzione del DALY. Quindi,
nuovi studi e ricerche sulla sanità della popolazione ci consento28
8
7
6
log (N.)
L’importazione di prodotto da paesi terzi allarga e rende ancora più
La Valutazione del rischio (risk assessment) si articola in quattro differenti fasi, che devono essere affrontate e sviluppate
consecutivamente, perché l’una costituisce il presupposto essenziale della successiva. Queste fasi sono l’identificazione del
pericolo, la caratterizzazione del pericolo, la valutazione dell’esposizione e la caratterizzazione del rischio.
1) Identificazione del pericolo (hazard identification): in
questa fase, si mira a dimostrare che un agente microbico, un
composto chimico o un corpo estraneo possono risultare pericolosi per la salute umana. Nella sua relativa semplicità, questa fase assume un’estrema importanza ai fini della risk
analysis perché da essa dipende tutto lo sviluppo della valutazione del rischio. In effetti, se un potenziale pericolo individuato dall’équipe di autocontrollo nello sviluppo del piano
HACCP non si rivelasse tale dal punto di vista strettamente
scientifico, non esisterebbe un hazard e quindi non sarebbe
necessario valutarne il rischio e fare una risk analysis. Sono
molti, i microrganismi patogeni e le tossine che possono costituire un potenziale pericolo con gli alimenti, ma le malattie
alimentari si manifestano soltanto in casi specifici. Quindi, va
fatta un’attenta e “critica” selezione dei pericoli più rilevanti
su cui accentrare l’attenzione. Questa procedura è per lo più
qualitativa e basata sulle conoscenze di esperti, sui dati scientifici della letteratura e su quelli dei database a nostra disposizione. Non bisogna dimenticare che, a differenza dei pericoli chimici, quelli microbiologici sono soggetti a variazioni
anche rapide, in base al comportamento delle singole specie
microbiche e alla “dinamicità di popolazione” dei microrganismi patogeni.
2) Caratterizzazione del pericolo(hazard characterization): valutazione quantitativa e/o qualitativa della natura degli effetti sfavorevoli associati a un agente chimico, fisico o
biologico che può essere presente nell’alimento. Per gli agenti biologici è necessario sviluppare una curva dose-risposta, a
patto che in bibliografia si trovino dati disponibili (prove spe-
5
4
3
2
1
0
in
out
processing time
Fig. 4 - Variazione stocastica della crescita microbica
(Da Nauta, 2002)
CONIGLICOLTURA 4 - 2005
rimentali su volontari, estrapolazione da test su animali o dati relativi agli episodi di malattia alimentari sinora verificatisi). Ciascuno dei metodi utilizzati per determinare la correlazione tra carica infettante ingerita e risposta dell’organismo
umano, prospetta vantaggi e svantaggi, ma tutti forniscono
informazioni utili. Le prove sperimentali su volontari umani,
sovente sono condotte con cariche molto alte, su persone a
sensibilità relativamente bassa perché sane, ma comunque si
ottengono gli intervalli della dose infettante. I dati ottenuti su
animali da esperimento, per forza di cose devono essere traslati sugli esseri umani, con gli ovvi problemi. Quando si analizzano i dati ricavati dalle indagini epidemiologiche sui focolai di malattia alimentare, spesso è arduo stabilire la quantità di cibo ingerita, la carica microbica e la popolazione
esposta; tuttavia, lo studio di questi episodi può fornire dati
molto efficaci e, soprattutto, reali. L’approccio migliore è
quello di combinare insieme i tre campi di dati. Va notato che
per le curve dose-risposta, l’intervallo rilevante è generalmente di molto inferiore a P = 0,1 (ossia il 10% di rischio),
per cui la sua rappresentazione grafica più valida è quella in
scala logaritmica.
3) Valutazione dell’esposizione (exposure assessment): è la
valutazione qualitativa e/o quantitativa della probabile assunzione del patogeno con l’alimento; dipende dalla presenza del
patogeno nell’alimento, dalle possibili contaminazioni che
esso può avere subito o dovrà subire in corso di produzione,
trasporto, vendita, dalla sopravvivenza dei microrganismi
nella materia prima. Sono importanti a questo fine 1) la carica microbica presente nell’alimento e 2) la quantità di cibo
assunto dalle singole persone. Per stabilire la prima, si può fare riferimento ai dati esistenti in letteratura oppure ai sistemi
di modellazione microbica predittiva; per la seconda si fa riferimento a dati statistici, laddove esistano.
La carica microbica di un qualsiasi alimento può crescere o
diminuire in base a tutta una serie di fattori, intrinseci all’alimento (valori di pH e aw, potenziale di ossido-riduzione, presenza nel substrato di nutrienti e composti ad azione antimicrobica naturale), estrinseci (temperatura di conservazione e
umidità ambientale), o “di processo” (trattamenti termici,
processi di fermentazione microbica, aggiunta di sale e additivi alimentari). Per valutare e prevedere l’andamento di queste flore microbiche nelle varie derrate alimentari, in questi
ultimi anni sono stati messi a punto softwares informatici che,
su base statistica, simulano quanto “dovrebbe” avvenire in
realtà: sono i sistemi di modellazione microbica predittiva,
rappresentazioni semplificate della realtà che tengono in considerazione una serie di effetti. Va, tuttavia, sottolineato che
nemmeno per quelli più sviluppati e diffusi i modelli matematici utilizzati sono del tutto esatti: c’è sempre un certo margine di incertezza dei dati, nella valutazione predittiva. La
crescita microbica, infatti, non è un processo deterministico,
ma probabilistico che coinvolge una popolazione di cellule.
La variazione stocastica della dinamica microbica ha un ruolo chiave nella VQR in quanto consente di descrivere l’intervallo di variazione totale del rischio possibile. Soltanto i modelli in cui si prendono in considerazione le variazioni del
range naturale della crescita e diminuzione microbica, costituiranno un valido supporto per gli studi di valutazione dei rischi sanitari. I modelli di microbiologia predittiva prevedono
classicamente una curva di crescita che è caratterizzata da una
CONIGLICOLTURA 4 - 2005
A livello internazionale si stanno moltiplicando gli accordi per elevare
gli standard di sicurezza alimentare, anche negli scambi commerciali
serie di valori puntuali della grandezza della popolazione microbica in tempi diversi. Tuttavia, ciò non sembra essere sufficiente nel modello di VQR che considera, invece, le probabilità degli eventi e nel caso specifico la distribuzione di probabilità della grandezza della popolazione microbica (probabilità che la pm raggiunga un certo livello o la probabilità che
un certo livello è raggiunto in una certa quantità di tempo)
con un certo margine di incertezza dei dati, nella valutazione
predittiva (figura 4) (Nauta, 2002).
Come hanno osservato Malakar e coll. (2003), anche nel settore della modellazione microbica predittiva sovente si dimenticano le complesse interazioni che esistono tra differenti popolazioni microbiche. Non si deve scordare che i dati sulla
biocenosi dei batteri si ottengono per lo più ricorrendo a prove in vitro che utilizzano brodocolture di composizione abbastanza semplice. Gli alimenti, invece, sono substrati particolarmente complessi, in grado di supportare un ecosistema microbico anche molto diversificato; inoltre, essi sono quasi
sempre molto ricchi in nutrienti e quindi in grado di permettere la crescita di più germi contemporaneamente. Sino a qualche anno fa, la maggior parte degli studi che si conducevano
su questo argomento mirava a chiarire in modo abbastanza
empirico i meccanismi di questa interazione: si mescolavano
due popolazioni microbiche, si facevano sviluppare insieme e
si confrontava il tipo di crescita con quello tipico delle due
colture pure, prese separatamente. Se si notavano delle differenze significative di crescita, si cercava di isolare il composto
all’origine di questa interazione. Da qualche anno a questa
parte, le ricerche hanno preso una nuova direzione, quella dello studio della “dinamica delle popolazioni microbiche”. In
breve, si sta cercando di valutare con formule matematiche le
interazioni che due o più popolazioni microbiche possono
avere fra di loro e l’influenza che il substrato alimentare può
avere nei loro confronti. I risultati di queste valutazioni porteranno certamente a interessanti sviluppi nel settore della modellazione microbica predittiva e, di conseguenza, sulla valutazione dell’esposizione al pericolo microbiologico.
29
Dossier Obiettivo risk analysis
4) Caratterizzazione del rischio (risk characterization): è la
stima qualitativa e/o quantitativa della probabilità di comparsa
e della gravità di effetti dannosi per la salute noti o presunti, in
una determinata popolazione (comprese le incertezze attese)ed
è basata sull’integrazione dei dati ottenuti con lo sviluppo dei
primi tre punti (identificazione del pericolo, caratterizzazione
del pericolo e valutazione dell’esposizione).In questa fase si
integrano fra loro tutti i dati ottenuti dalle tre fasi precedenti
(Lammerding e Fazil, 2000). È evidente che tutte le inesattezze di dati accumulatesi nelle singole fasi precedenti, si riflettono inevitabilmente su quest’ultima fase. In più, bisogna tenere
presente l’incertezza generale, in questa fase, utilizzando le
nozioni di incertezza nella distribuzione statistica dei vari fattori. Per determinare il livello di incertezza oltre che variabilità, si può tentare di separarli applicando una elaborazione statistica denominata analisi Monte-Carlo di secondo (Nauta,
2000). La distribuzione dei dati in uscita, ottenuta attraverso
migliaia di “iteration”, fornisce in ultimo una distribuzione
probabilistica realistica del rischio a seconda degli scenari
scelti. Ma per questo occorre sapere la distribuzione stocastica
di tutti i fattori di input.
Ulteriori riflessioni
La ristorazione collettiva e il catering hanno notevoli responsabilità
sul fronte del mantenimento della qualità delle materie prime
Exposure assesment
Uno dei maggiori problemi dell’exposure assessment è la mancanza di dati certi, sufficienti e accurati. La determinazione delle cariche microbiche negli alimenti può risentire della sensibilità della tecnica adottata, e in molti casi è praticamente impossibile, perché le cariche sono molto basse, inferiori alla soglia
di sensibilità della metodica o la frequenza è così bassa che il
campionamento non è sufficiente. Nel caso di molti dei principali batteri patogeni (Salmonella, Listeria monocytogenes,
Escherichia coli verocitotossici, Campylobacter), inoltre, la loro ricerca si effettua esclusivamente come esame qualitativo
(presenza o assenza in una determinata quantità di alimento) e
non è quasi mai possibile effettuare un esame quantitativo, di
conteggio, come si fa per altri tipi di microrganismi (ad esempio, i coliformi o la carica microbica totale). Altro punto dolente dell’exposure assessment è la correlazione dose-risposta, per
la quale mancano ancora dati sufficienti per la maggior parte
dei patogeni alimentari. Un altro aspetto che complica queste
valutazioni è l’eterogeneità della popolazione esposta al consumo alimentare (età, condizioni di salute, abitudini alimentari e
circostanze geografiche) (Klapwijk e coll., 2000). Anche la stima delle cariche ingerite effettuata con la modellazione predittiva manca di dati sufficienti, perché sono molti i parametri biologici che restano sconosciuti (legati al microrganismo o all’alimento) e quelli legati ai processi di trasformazione (per esempio, la distribuzione della temperatura all’interno dell’alimento). I livelli di imprecisione o incertezza dei dati possono variare di 2-3 volte o anche di 10 volte) (Brown, 2002).
Per quanto riguarda, invece, i consumi singoli, abbiamo dati
più certi: nella stragrande maggioranza dei casi, una persona
adulta consuma porzioni di alimenti che vanno dai 100 ai 300
g pro capite, a esclusione delle spezie.
30
Eduljiee (2000) ha cercato di immaginare quali potranno essere,
nel futuro prossimo, le tendenze nel campo del risk assessment e
nel risk management. Da sempre l’uomo è abituato ad analizzare per intuito le situazioni della vita che possono avere un futuro
non ben definito, a valutarle da vari punti di vista e poi a cercare
di prendere una decisione. Invece, è relativamente recente l’adozione ufficiale e programmata di un processo analitico formale
applicato a situazioni ambientali e, da ultimo, anche a strategie
da adottare in campo sanitario. Le tecniche, ricorda l’autore, sono simili a quelle utilizzate a partire dal 1930 per valutare la potenziale pericolosità di determinati composti chimici sui posti di
lavoro, ma è soltanto a partire dagli anni ’80 che si possono individuare i primi tentativi di un approccio sistematico e del tutto
quantitativo al risk assessment ambientale. Per l’esattezza, la data di nascita ufficiale della risk analysis risale, infatti, al 1983.
Grazie ai nuovi sistemi di calcolo probabilistico computerizzato,
è diventato più agevole, per gli esperti del settore, sviluppare
esempi sempre più dettagliati e precisi di risk assessment, ma in
questi ultimi tempi si cominciano a vedere anche alcuni aspetti
“negativi” della questione. Come osserva Eduljiee (2000), c’è
ormai il rischio concreto che si generi un convincimento “deviato”, rappresentato da un falso senso di infallibilità e da un eccesso di confidenza nei risultati del risk assessment. Si sta formando una nuova “casta” di esperti che compiono tutta una serie di
loro determinazioni, escludendo in pratica tutti coloro che dovrebbero essere i beneficiari di queste decisioni, i non addetti ai
lavori. Sin dal 1983 il Consiglio Nazionale delle Ricerche statunitense (NRC) aveva stabilito di tenere ben divisi i due settori di
risk assessment e risk management. Il primo è un insieme di atti
che si devono svolgere nella severa applicazione di principi
obiettivi e su basi strettamente scientifiche. Il secondo è un processo decisionale più complesso che deve conto anche di aspetti
di politica economica, sociale e della comunicazione. Nell’adottare una o più decisioni, bisogna tenere presenti anche il livello
di accettabilità di un rischio e i costi economici della decisione
stessa. Un riscontro diretto di ciò l’abbiamo in Olanda, dove il
CONIGLICOLTURA 4 - 2005
Consiglio nazionale per la salute, nel 1995, ha specificato che “il
risk assessment è generalmente un’attività condotta da esperti”
in consultazione con i risk manager e le autorità governative.
Ciò facendo eco alla necessità data dal NRC americano di portare tutto il più possibile all’obiettivo, eliminando le influenze di
soggettività date dalle singole persone non esperte, tenuto conto
che la percezione di un rischio è molto variabile da un soggetto
all’altro. Anche Canada, Australia e Nuova Zelanda hanno adottato la linea del NRC americano. Questa iniziale convinzione di
base è stata gradualmente erosa da una serie di constatazioni che
hanno portato gradualmente a capire che l’obiettività degli
“esperti” e le loro “stime” del rischio sono, in realtà, un mito.
Non si può fare distinzione fra un rischio percepito e uno reale,
per il semplice motivo che il rischio, quando si genera, è perché
è percepito. Inoltre, gli “esperti” sono pur sempre delle persone,
radicate in un contesto culturale e sociale ben definito, e le loro
scelte saranno comunque influenzate da aspetti culturali, sociali
e psicologici, compreso il grado di ottimismo o pessimismo dei
singoli. I sistemi di calcolo utilizzati, dal canto loro, non potranno per forza di cosa essere delle semplici “macchine della verità” del tutto obiettive. Se ammettiamo, quindi, che il risk assessor non è poi tanto differente dalle persone normali e che non
è in grado più di queste di mantenersi freddo e distaccato dai
suoi lati soggettivi, si possono profilare due importanti conseguenze: 1) non si può mantenere la distinzione prevista obiettivo/soggettivo tra risk assessment e risk management prima descritta; le procedure per il risk making date dal Consiglio nazionale delle ricerca americano dovrebbero, quindi, essere applicate al risk assessment. In altre parole, il risk assessment non dovrebbe più essere trattato come un dominio esclusivo dei soli
esperti. Se sono presi in considerazione ciascuno a sé stante, entrambi i processi sono destinati a fallire senza rimedio, a meno
che essi non siano strutturati come un sistema a due vie, di scamValutazione del rischio
Definizione
dello scopo
Identificazione
del pericolo
bio continuo. I risk assessors, prima di essere “coloro che primi
fra tutti sono origine di decisioni”, devono diventare dei “facilitatori” portando sul tavolo di discussione indicazioni valide e
sufficienti per fare comprendere a tutti come l’ambiente può reagire a una condizione anomala e le limitazioni delle nostre conoscenze; 2) se ammettiamo che considerazioni di ordine politico, sociale e morale possano permeare entrambe le sfere di competenze del risk assessment e del risk management, bisogna anche essere preparati a incorporare in un tessuto fatto di calcoli
probabilistici (numerici e logici) delle considerazioni che possono a volte essere squisitamente qualitative.
Questione aperta
Il Consiglio di salute olandese ha formulato bene il titolo del suo
documento nel 1996 (“Il rischio è ben più di un semplice numero”) e incapsula benissimo questa nuova tendenza di pensiero, di
passaggio dall’esclusivismo all’inclusivismo, e da una visione puramente tecnocratica del rischio a un’altra, più ampia “di pensiero
focalizzato sul valore”. Si discute molto sul fatto se i sistemi attuali di valutazione del rischio siano in grado di portarci a questo
nuovo orizzonte di pensiero, e in generale le conclusioni dei sociologi sono che i sistemi attuali non ne sono in grado. Molti autori hanno invocato il lavoro fondamentale di Arrow del 1963, nel
quale con sagacia illuminante si sottolineava già che i paradigmi
che cercano risultati definitivi soltanto attraverso un processo puramente analitico di decision making hanno una fondamentale, invalicabile limitazione. Shrader-Frechette (1990) parla di “soluzioni negoziate per il rischio … che tengano esplicitamente conto di
un consenso informato al rischio” al posto di una soluzione imposta dall’alto, basata soltanto sul punto di vista degli esperti. In sunto, si sta cercando di spostare il tutto da una visione del rischio
propria di singoli individui a un concetto di rischio inserito nel
contesto sociale. In definitiva, si sta sviluppando un nuovo concetto di risk assessment e risk management, che richiede un approccio pluralistico ai due processi e l’adozione di decisioni che
siano conformi al sentire dei molti. La sfida, nei prossimi anni,
sarà proprio di utilizzare le conoscenze scientifiche nel risk assessment e risk management in un contesto socio-politico, e di tenere presenti la natura delle cose e quella umana, quando si deve
adottare una decisione.
Utilizzo dei dati bibliografici
Valutazione
dell’esposizione
Caratterizzazione
del pericolo
Caratterizzazione
del rischio
Comunicazione
del rischio
Fig. 5 - Percorso logico dello studio di risk assessment
(Da Brown, 2002, modif.)
CONIGLICOLTURA 4 - 2005
Considerato che per impostare correttamente e sviluppare un’efficace risk analysis bisogna comunque effettuare un risk assessment
e che quest’ultimo si fonda in buona parte su dati e considerazioni
tratte dalla bibliografia, un ulteriore aspetto da considerare è quanto sia corretta, esatta e citabile la bibliografia pubblicata su quell’argomento. Già alcuni autori hanno rivolto la loro attenzione a
questo aspetto, giungendo a dati interessanti e meritevoli di essere
citati, quanto meno perché i lettori possano averli presenti. Schlundt (2000) ha condotto una disamina critica molto approfondita e
puntuale sui lavori scientifici pubblicati a quell’anno su Risk assessment e Risk Analysis, applicati al settore delle produzioni alimentari.
Le conclusioni cui l’autore è pervenuto, si possono così sintetizzare:
a) è importante riconoscere che il risk assessment è un processo
31
Probabily density
Dossier Obiettivo risk analysis
0
100
200
300
400
500
N° di Bacillus subtilis (cfu/g)
600
Fig. 6 - Esempio di distribuzione di probabilità della carica
microbica di Bacillus subtilis in prodotti a base di carne fresca
(da Hoornstra, 2001)
analitico basato su informazioni tecniche e probabilità statistiche. La qualità di un risk assessment sarà buona soltanto se sarà
buona la qualità dei dati iniziali utilizzati per sviluppare i calcoli. Bisogna, quindi, dare più enfasi ai dati e alle modalità con le
quali si perviene ad essi;
b) uno dei punti cardine di un vero risk assessment è che richiede
una presentazione corretta dei dati scientifici disponibili in una
certa disciplina;
c) un concetto interessante è quello proposto da Cassin e coll.
(1998): considerare il risk assessment in due fasi, la prima in cui
si valutano gli effetti prodotti da tutti i fattori in causa, senza distinzione, la seconda in cui si selezionano i “fattori-chiave” da
investigare più nel dettaglio;
d) molti dei lavori attualmente pubblicati non arrivano a formulare
dei risk estimates finali;
e) è molto importante che tutti i lavori di risk assessment presentino una descrizione precisa dei materiali e metodi che ci si propone di utilizzare;
f) sovente nei lavori non sono descritti con sufficiente chiarezza i
margini di incertezza e variabilità;
g) tutti i dati assunti dall’esterno in premessa devono essere vagliati con grande scrupolo. In generale, è bene valutare con estrema
attenzione soprattutto i dati della modellazione microbica predittiva. Considerata l’estrema variabilità che si ha in campo biologico, simili metodi dovrebbero essere validati, prima che si possano inserire i loro dati per una corretta valutazione del rischio;
h) è di estrema importanza la “trasparenza” dell’intera procedura.
Tab. 1 - Descrizione e distribuzione delle variabili
usate per la valutazione del rischio Salmonella
in spiedini di carne
Variabile
LC
C
SC
Cs
P
C
Tc
Dc
Ec
d
32
Descrizione
Percentuale di lotti contaminati
Livello di contaminazione del lotto
Percentuale di spiedini contaminati
Carica di Salmonella per grammo di spiedino
Peso degli spiedini
Carica Salmonella per porzione
Temperatura di cottura
Riduzione decimale dopo la cottura
Unità
di misura
ufc/g
G
ufc/SP
Distribuzione/
Modello
Beta (20, 47)
Uniforme (0,1)
Beta
Poisson
Discreta
Cs x P
-
Letteratura
Min
Normale
ufc/SP
C/10E c
Numero di riduzioni logaritmiche dopo la cottura
Carica di Salmonella nel prodotto consumato
L’autore sottolinea anche che il risk manager ha compiti molto
importanti sia prima che, in parte, durante lo svolgimento del risk assessment, anche se le due funzioni devono risultare funzionalmente separate;
i) un buon risk assessment dovrà essere in grado di mettere in correlazione la causa e l’effetto e, di conseguenza, essere in una posizione per individuare le possibilità di intervento;
l) un fine importante della risk analysis, in futuro, sarà quella di definire i Food Safety Objectives (FSO), un bersaglio definito dalle
autorità governative, in forma di criterio microbiologico o tassi di
incidenza di un patogeno in materie prime o alimenti pronti a
consumo, considerato necessario per proteggere la salute del consumatore.
Tutto porta ad auspicare la compilazione di un protocollo guida per
lo svolgimento del risk assessment che possa essere utilizzato nell’ambito della risk analysis, come pure in approcci separati, non direttamente connessi a un risk mangement.
Scopo del risk assessment
Il risk manager svolge un ruolo essenziale anche nel risk assessment: a lui, infatti, spetta delineare gli ambiti in cui si dovrà muovere il risk assessor, 1) definendo il tipo di rischio e 2) stabilendo
quella che gli anglosassoni definiscono la risk assessment policy,
ossia dando una chiara indicazione di quali dovranno essere gli
obiettivi della valutazione del rischio.
Il risultato atteso (quello che si definisce output) o i risultati alternativi che ci si aspetta di ottenere facendo il risk assessment, devono essere ben definiti: ad esempio, l’output può essere costituito
dalla valutazione della prevalenza di una malattia o di un tasso di
incidenza annuale (incidenza di una malattia alimentare per
100.000 abitanti) o, ancora, dalla stima del numero di casi di infezione, compresa la gravità per singolo pasto. La VQR richiede,
quindi, una fase di indagine preliminare durante la quale sarà necessario prendere in esame l’intero schema di modellazione del rischio lungo l’intera filiera, schema che sarà successivamente adattato allo schema generale del risk assessment.
I risultati del risk assessment possono costituire, infine, lo strumento utilizzato, per esempio, in un più ampio contesto di politica sanitaria di un certo paese (Food safety objectives) (Jouve, 1999). Le
autorità governative di un determinato paese possono, a esempio,
proporsi di ridurre del 50% in 3 anni i casi di listeriosi umana oppure l’incidenza di Listeria monocytogenes in alcuni prodotti alimentari pronti a consumo (i cosiddetti Ready-To-Eat foods, RTE).
Nell’ambito di uno specifico scenario “from farm to table”, il risk
assessment ci può aiutare a comprendere meglio i fattori o le situazioni che più contribuiscono al realizzarsi di un determinato pericolo, con l’associato livello di rischio per i consumatore.
In figura 5 si riporta uno schema di applicazione di risk assessment
con la successione logica delle fasi che la caratterizzano.
La valutazione del rischio e, più in generale, l’analisi del rischio implicano una comparazione tra diversi approcci alternativi per gestire o controllare un pericolo e, in ultima analisi, prevedono che si
adottino decisioni sulla strategia più appropriata. Per fare ciò, è necessario sviluppare dei modelli usando tecniche di modellazione
tramite le quali si riesce a “simulare” le conseguenze associate alle
diverse decisioni. L’analista è chiamato, quindi, a sviluppare uno o
più modelli che rappresentino i rapporti di tipo quantitativo esistenti tra le diverse azioni e le loro conseguenze.
CONIGLICOLTURA 4 - 2005
Lo sviluppo dei modelli
Tab. 2 - Finalità della VQR
Governo
Industria
Protezione della sicurezza e salute dei consumatori, concetti comuni nella materia delle
transazioni commerciali
Base per rivalutare lo stato della sicurezza aliMezzo per rivalutare i sistemi attuali di sicurezmentare del prodotto in futuro, quando necesza alimentare presenti nel mercato
sario e per modificare il relativo piano HACCP
Sviluppo del modello VQR deterministico: si ricorre ai calcoli matematici con l’approccio “che succederebbe se…?” e quindi dovendo calcolare scenari complessi, bisognerà ricorrere a
software specifici. Il modello dovrà essere convertito in una serie di equazioni collegate tra loro. Le diverse variabili sono rappresentate da valori singoli o stime puntuali che costituiscono il
valore medio o valore che descrive il caso peggiore. Esempio:
per stimare il numero medio di patogeni che un consumatore
può assumere con il consumo di un particolare alimento, il livello medio di contaminazione viene combinato matematicamente
con la quantità media dell’alimento consumato da un soggetto
medio. Se ipotizziamo che in un alimento inquinato da un determinato microrganismo patogeno, questo sia presente mediamente in cariche di 10 ufc/g, e se conosciamo la quantità media consumata di quell’alimento, moltiplicando questi valori si otterrà
la carica microbica totale media cui il consumatore medio sarà
esposto.
0,025
0,02
0,02
0,01
0,005
*
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3 3,5 4 4,5
N° di batteri prima
del trattamento termico (log cfu/g)
0
Probabily density
0,03
0,025
0,015
Utilizzo per la “costruzione” della sicurezza e il
controllo dei pericoli nei nuovi prodotti alimentari prima della commercializzazione, utilizzando strumenti simili a quelli usati dalla VQR
Base per le decisioni sulla gestione del rischio
Trasparenza e verificabilità dello studio di value per la scelta del Livello di Protezione Adeguatazione e del risultante piano HACCP
ta e degli Obiettivi di Sicurezza Alimentare
0,025
Probabily density
Probabily density
La valutazione (o analisi quantitativa) del rischio identifica una metodologia grazie alla quale si cerca di quantificare la probabilità di
un pericolo, attraverso tecniche di simulazione probabilistica, quali
il sistema Monte Carlo. L’approccio alla quantificazione del rischio
può essere di tipo deterministico o stocastico. I due tipi di approccio si differenziano tra loro essenzialmente in base a due fattori: il
rischio e l’incertezza. Il rischio è una valutazione quantitativa della
probabilità percepita di eventi particolari, ma occorre tenere anche
presente che il risultato in ogni situazione è soggetto all’incertezza.
I modelli deterministici ignorano del tutto l’incertezza, mentre nei
modelli stocastici essa costituisce l’elemento fondamentale. Ciò significa che il modello deterministico genererà un singolo valore per
il parametro di risultato mentre il modello stocastico darà origine a
una distribuzione di probabilità dei possibili risultati (più realistico)
(Vose, 1998, 2002).
Un modello di VQR, attenendoci in modo stretto alle fasi di risk assessment, definite dal Codex, può essere elaborato attraverso le seguenti fasi: sviluppo del modello concettuale, sviluppo del modello
deterministico, sviluppo del modello stocastico, verifica del modello, validazione (Pfeiffer, 1997).
Sviluppo del modello concettuale: bisogna decidere innanzitutto
lo scopo dello studio e la struttura del modello attraverso un’analisi dello scenario e l’identificazione delle componenti principali.
Andranno selezionate le variabili di interesse sia in entrata che in
uscita e, nel caso del modello probabilistico, le loro specifiche distribuzioni dei loro valori, compresi anche i rapporti di dipendenza
delle stesse.
0,02
0,015
0,01
0,005
0,015
0,01
0,005
0
*
17 18 19 20 21 22 23 24 25
Trattamento termico (secondi a 70°C)
0
0
*
2 4 6 8 10 12 14
D - value (secondi a 70°C)
0,045
0,04
0,035
Probabily density
0,03
0,025
0,02
0,015
0,01
0,005
*
–20
–15
–10
–5
0
0
5
N° di E.coli O157:H7 dopo trattamento termico (log cfu/g)
Fig. 7 - Esempio di distribuzioni di probabilità di tre variabili (carica batterica prima del trattamento termico, trattamento termico-sec/70°C,
valore D) che condizionano qella di una quarta variabile (carica di E. coli 0157:H7 dopo il trattamento termico) (da Hoornstra, 2001)
CONIGLICOLTURA 4 - 2005
33
Dossier Obiettivo risk analysis
Tab. 3 - Campo d’azione della VQR
Tab. 4 - Input della VQR
Governo
Industria
Popolazione dei consumatori a livello nazionale, regionale o globale
Percorso del patogeno per una gamma di prodotti simili presenti sul mercato provenienti da
produttori differenti
Classifica dei rischi, comparazione dei rischi di
pericoli potenziali in un prodotto alimentare
/categoria o di uno specifico pericolo in diversi
prodotti/categorie presenti nel mercato
Sovente, è compresa l’intera filiera alimentare
(da produzione primaria a consumo)
Popolazione dei consumatori nel relativo mercato per un nuovo prodotto
Percorso del patogeno per un prodotto specifico proveniente da una industria specifica
Per la maggior parte, comprende i livelli dei
pericoli dalla materia prima alla fase del consumo
Se invece ci interessa conoscere, come risultato finale, qual è la
probabilità di infezione di un consumatore per consumo di un
determinato alimento, qui la stima è costituita da un valore singolo che definisce il rischio finale o final risk estimate (ad es., la
probabilità che un consumatore possa sviluppare un’enterite in
seguito a consumo di un certo alimento che contiene un batterio
patogeno in carica superiore a quella infettante, è pari a 10 x
10–5, ossia di dieci casi per ogni 100.000 consumi).
Sviluppo del modello VQR stocastico: in questo modello, i valori dei singoli parametri sono sostituiti da distribuzioni di probabilità che, loro volta, derivano dai dati a disposizione (database, letteratura) o dall’opinione di esperti. A titolo di esempio, in
tabella 1 sono elencate alcune variabili con le relative distribuzioni, relative a un ipotetico studio di VQR su Salmonella spp.,
in spiedini di pollo. Nelle figure 6 e 7 si riportano esempi di curve di distribuzioni di probabilità relative ad alcune variabili
(Hoornstra e Notermans, 2001). Tornando all’esempio sopra descritto, la probabilità che un soggetto vada incontro ad un determinato pericolo, assume l’aspetto di una distribuzione del rischio cui un individuo o una popolazione saranno esposti (vedi
Fig. 8).
Verifica del modello-validazione: dall’interazione tra risk manager e risk assessor prende corpo gradualmente il modello che
sarà sottoposto a revisioni e integrazione sulla base di dati nuovi
dati o carenza degli stessi.
Attuali modelli
La valutazione quantitativa del rischio microbiologico (VQRM)
fa riferimento a un campo scientifico in continuo sviluppo. Da
quando si è iniziato ad applicarla, la ricerca scientifica ha compiuto ulteriori progressi, è stato incentivato lo studio di nuovi
modelli di crescita batterica, sono state ideate nuove impostazioni delle indagini epidemiologiche su focolai di infezione alimentare. Con il ricorso alla VQR, si sono “scoperti” scenari o
realtà precedentemente sottovalutati o non perfettamente conosciuti: basti pensare ai fenomeni di contaminazione crociata che,
alla luce di studi recenti, sembrano giocare un ruolo preminente
nell’epidemiologia di alcune infezioni alimentari (Campylobacter spp., Salmonella spp.). Questi nuovi scenari sono attualmente oggetto di studi di modellazione, con risultati però ancora insufficienti, vista la complessità del fenomeno e la difficoltà di
quantizzare la presenza dei patogeni nei singoli alimenti.
Da una panoramica sui modelli di VQR fino ad oggi proposti, si
intuisce come nella maggior parte dei casi si tenta di modellare
l’intero sistema (dall’allevamento alla tavola), ma purtroppo,
proprio per la complessità dei sistemi, i dati sono insufficienti e
34
Governo
Industria
Dati specifici/conoscenza sugli effetti dose-risposta nei consumatori, epidemiologia e patogenicità del pericolo
Dati non specifici/conoscenza sugli effetti dose-risposta nel consumatore, ma conoscenza
generica su epidemiologia e patogenicità del
pericolo quando disponibile per la combinazione specifica prodotto/alimento
Tipici/specifici dati operativi o simulati/conoDati tipici o simulati/conoscenza degli effetti
scenza sulla materia prima, effetti della lavoradella produzione, lavorazione, formulazione del zione/formulazione del prodotto e manipolazioprodotto durante e dopo la produzione
ne durante e dopo la produzione, ricontaminazione, etc.
si fa spesso ricorso a surrogati e supposizioni. Ciò fa sicuramente aumentare il livello di incertezza del risultato finale e inoltre
si sta affermando una nuova corrente di pensiero, secondo la
quale i risk assessors sembrano manifestare una pericolosa tendenza a enfatizzare l’utilità della VQR o attribuiscono un’eccessiva soggettività ai modelli proposti.
Un elemento essenziale dei modelli di VQR è quello relativo alla loro “versatilità”, intesa come adattabilità o efficace applicabilità a un preciso contesto sociale ed economico. Infatti, pur
mantenendo una struttura generale simile, i diversi modelli di
VQR devono tenere conto della specificità dei sistemi produttivi, di vendita e consumo esistenti nei diversi Paesi e adattarsi il
più possibile a ciascun contesto nazionale. Proprio nella fase di
exposure assessment, le informazioni relative al consumo di un
determinato alimento o gruppo di alimenti, al grado di vulnerabilità della popolazione, ai livelli di prevalenza di specifici microrganismi, cambiano secondo i diversi scenari nazionali.
Il settore della risk analysis, comunque, è ancora pervaso da
grandi spazi d’ombra: a fronte di una nutrita serie di protocolli e
raccolte di linee-guida ufficiali (Codex Alimentarius Commission, 1998; McNab, 1998; International Life Science InstituteILSI, 2000), manca ancora una metodologia analitica di VQR
ben precisa, e gli “addetti ai lavori” tendono a proporre con sempre maggiore frequenza nuovi modelli sulla base dell’integrazione della VQR con i risultati di ricerche nel campo della biocenosi microbica, della genetica della resistenza batterica, delle
teorie probabilistico-statistiche, della scienza delle comunicazioni. A questo riguardo, ci sembra doveroso sottolineare l’importanza del risk assessor così come quella del risk manager,
elementi chiave del processo di risk analysis, figure necessariamente dotate di versatilità e professionalità fuori del comune. La
modellazione di VQR non può prescindere dall’esistenza di tutto questo prezioso e valido “apparato” scientifico, condizione
essenziale per il suo successo.
Domande e risposte
I modelli o approcci di VQR dovrebbero essere la risposta alle
domande fatte dal risk manager e la naturale applicazione pratica delle argomentazioni formulate nella fase di consultazione
che vede impegnati sia il risk manager che il risk assessor per la
definizione della finalità dello studio (es., stima del numero di
casi di infezione, compresa la gravità per singolo pasto di un determinato alimento, oppure selezione di azioni di controllo più
efficaci ed efficienti per la riduzione di fattori di rischio per un
determinato patogeno, distribuiti lungo la filiera). Sulla base di
ciò, si decide su: fasi da includere nello studio, processi chiave
CONIGLICOLTURA 4 - 2005
CONIGLICOLTURA 4 - 2005
1.00
0.90
0.80
0.70
Probabilità
dell’intera filiera, livello di precisione dei dati utilizzati per valutare la probabilità; il tutto, per rendere il processo decisionale
trasparente e in linea con la finalità scelte.
In letteratura sono stati descritti esempi di VQR elaborati per
specifici microrganismi negli alimenti: Salmonella enteritidis in
ovoprodotti pastorizzati (Whiting e Buchanan, 1997) e carni avicole (Brown e coll., 1998), Escherichia coli O157:H7 negli
hamburger (Cassin e coll., 1998), Listeria monocytogenes in formaggio fresco prodotto con latte crudo (Bemrah e coll., 1998).
In contrasto con questi esempi, McNab (1998) ha proposto un
modello di VQR applicabile a qualsiasi problematica di sicurezza degli alimenti. Riguardo ai modelli attualmente disponibili di
VQR, le linee-guida suggerite dalla commissione del Codex Alimentarius (1998) contengono solo un elenco di principi e definizioni e non fanno riferimento specifico a una particolare metodologia. Di conseguenza, è possibile modellare qualsiasi filiera
alimentare nella quale esiste una sequenza di processi di base
che si susseguono in modo più o meno consecutivo.
In un precedente lavoro (Ferrie Giaccone, 2003), abbiamo accennato a una serie di modelli: l’Event tree e l’approccio Fault
tree di Roberts e coll. (1995), la modellazione Dynamical flow
tree di Marks (1998), ma soprattutto il modello proposto da Cassin e coll. (1998) e adottato anche da Lammerding e Fazil (2000)
e Hartnett e coll. (2002), chiamatoProcess risk model, che consente di identificare i principali fattori del rischio e le azioni di
intervento in grado di mitigarli o ridurli.
Nel Process risk model, si cerca di seguire il percorso fatto dal
microrganismo patogeno lungo tutta la filiera alimentare (dalla
produzione, lavorazione, distribuzione, manipolazione fino al
consumo) utilizzando due parametri: la “prevalenza” (frequenza
di contaminazione) e la “concentrazione” del patogeno (carica
microbica) in ciascuna delle fasi della filiera (Fig. 9).
Attualmente in tutto il mondo, risultano completati solamente
tre studi di VQR: quello sulla Bse dell’Harvard, lo studio su Salmonella enteritidis (USDA-FISIS-FDA) nelle uova e di Campylobacter jejuni nel pollame. Per E. coli e Vibrio gli studi di VQR
sono ancora in fase di abbozzo, mentre per L. monocytogenes il
precedente documento finale è stato sottoposto a nuova revisione (Fig. 10).
Si può, dunque, affermare che la Valutazione Quantitativa del
Rischio, e più in generale tutta la risk analysis, sono ancora agli
stadi iniziali del loro percorso: ci si guarda attorno con un atteggiamento (a volte lievemente esagerato) di sicurezza in questi
nuovi sistemi di elaborazione statistica e si cerca di capire e interpretare tutto quanto ci circonda alla luce dei nuovi criteri di
valutazione. Proprio per entrare nel merito delle limitazioni e dei
difetti che caratterizzano gli attuali studi di VQR, è interessante
citare testualmente ciò che ha sostenuto David Vose alla I Conferenza internazionale sul “Microbiological risk assessment”
(Maryland, Usa, Giugno 2003). In merito a uno studio di VQR
su Salmonella spp., l’autore citato ha tenuto a precisare: “sebbene l’obiettivo fosse quello di rendere il modello completo, possiede alcune limitazioni. È un modello statico e non incorpora la
variazioni possibili di carica microbica nel tempo, così come variazioni nell’ospite, ambiente e dello stesso agente. Per molte
variabili, i dati disponibili sono limitati o non esistenti, non sono
state considerate alcune fonti di contaminazioni quali chi manipola gli alimenti, l’ambiente dei ristoranti o altri possibili siti di
contaminazione quali il guscio o il tuorlo delle uova, e per quanto complesso sia, lo studio costituisce ancora una visione sem-
0.60
0.50
0.40
0.30
0.20
0.10
0.00
-17 -16 -15 -14 -13 -12 -11 -10 -9 -8 -7 -6 -5 -4 -3 -2 -1
Log10 (rischio di infezione)
Fig. 8 - Esempio di infezione per consumo di una porzione di quarto
di pollo. La distribuzione del rischio si sviluppa sull’asse
delle ascisse ed è espressa in unità logaritmiche per meglio
visualizzare l’ampiezza del range dovuta all’incertezza associata
ai diversi parametri di processo, cosi come alle abitudini
di preparazione dell’alimento da parte del consumatore
plicistica dall’intera filiera dall’allevamento alla tavola. Infine, il
modello non separa ancora l’incertezza dalla variabilità intrinseca al sistema. Occorre quindi uno sforzo ulteriore per affrontare
queste, e altre limitazioni”.
Critiche agli attuali modelli
Relativamente ai modelli sinora proposti di risk assessment, due
sono le situazioni che risaltano: 1) in essi si identifica la priorità
patogeno/prodotto, ma non è definito in modo chiaro lo scopo
del lavoro. Inoltre, si avverte la mancanza di un’efficace comunicazione tra risk assessor e risk manager; 2) in merito al rapporto tra queste due figure, ci deve essere solo una separazione
funzionale tra di essi. Colui che realizza materialmente il risk
assessment non è responsabile della gestione del rischio. La separazione è essenziale per garantire l’integrità scientifica dell’intero processo di risk assessment, ed evitare pressioni o condizionamenti provenienti da diverse fonti. La valutazione e la
gestione del rischio devono essere processi distinti, trasparenti e
ben documentati. Non si può, tuttavia, negare che certe interazioni sono necessarie; quindi, è molto più importante che ci si
soffermi sul carattere trasparente e unbiased (incondizionato)
Fig. 9 - Elementi del modello dall’allevamento alla tavola
(“from farm to fork”) (da Lammerding e Fazil, 2000, modificata)
35
Dossier Obiettivo risk analysis
Tab. 5 - Output della VQR
Governo
Industria
Valutazione del rischio finale in termini assoluti La finalità in generale è la valutazione dell’eo relativi
sposizione
Il punto di riferimento della sicurezza alimentaEs. Valutazione del numero di persone rispetto
re viene utilizzato per paragonare un livello atall’intera popolazione colpite da una determiteso di un certo patogeno nell’alimento da
nata infezione a seguito del consumo di una
commercializzare con quello di un altro prodotprodotto alimentare contenente una carica mito già nel mercato con un una buona storia di
crobica di un determinato patogeno
sicurezza
Es. Classificazione dei prodotti alimentari diversi sulla base del rischio relativo
dell’intero processo, piuttosto che sapere chi è il valutatore e chi
il risk manager (Codex Alimentarius Commission, 1999).
Il contributo di tutte la parti interessati all’intero processo può
sicuramente migliorare la trasparenza e la qualità del risk assessment, attraverso la disponibilità di informazioni ed esperienze
nuove, oltre che facilitare la comunicazione del rischio attraverso un aumento dell’accettabilità e credibilità dei risultati del risk
assessment. Le soluzioni potrebbero essere identificate nella ricerca sui nuovi metodi (strumenti, caratterizzazione dei sistemi
modulari), nei collegamenti stretti con l’epidemiologia e nella
definizione degli Obiettivi di Sicurezza Alimentare (OSA). Per il
futuro successo del risk assessment, la ricerca metodologica è la
chiave di volta. C’è necessità quindi di diversificare gli approcci.
Autori del risk assessment
Gli attuali modelli di valutazione del rischio microbiologico
(Salmonella nel broiler e nelle uova, L. monocytogenes in alimenti pronti a consumo, Vibrio nei molluschi eduli, Campylobacter jejuni nelle carni avicole) sono ancora in fase di sviluppo
e si adattano per lo più a un uso da parte delle autorità governative. Ad eccezione dei documenti del Codex Alimentarius (CAC,
1999) e FAO/WHO (2002), non ci sono ancora linee guida specifiche a nostra disposizione. La metodologia descritta dal Codex è rivolta sostanzialmente ai Governi, associazioni di esperti
o comunità accademica.
In qual misura, sul piano pratico, può incidere un’analisi del rischio o, meglio, una VQR, sulla gestione della sicurezza all’interno di un’industria? In quale modo gli studi di VQR effettuati
da FAO/WHO, FDA ecc. supportano il controllo della sicurezza
alimentare attivato dall’industria?
L’industria alimentare ha un’esperienza limitata in questo specifico settore, ma è comunque interessata in misura maggiore alla
implementazione delle GHP (Good Hygiene Practices), GMP
(Good Manufacturing Practices) o HACCP per la garanzia di un
prodotto finito “sicuro” che rispetti i limiti critici per un determinato parametro. In sostanza l’HACCP, messo in opera dall’industria, analizza i pericoli potenziali e descrive i metodi di controllo (Jouve, 1999).
L’industria alimentare, una volta identificati e analizzati i potenziali pericoli presenti nella materia prima, e adottate le opportune misure di controllo, riduzione a livelli accettabili o eliminazione degli stessi, potrebbe anche essere interessata a conoscere
e valutare il livello di sicurezza raggiunto come risultato delle
misure intraprese, ma non dispone dei dati necessari per intraprendere uno studio di risk assessment, in linea con il protocollo del Codex.
36
In sintesi, nell’ambito della VQR, l’industria, interessata com’è
alla valutazione della sicurezza del prodotto finito e alla conoscenza della relativa carica microbica al momento del consumo,
verrebbe ad essere coinvolta nella fase di exposure assessment.
Diversamente nella valutazione del rischio effettuata dai Governi, la finalità è stabilire l’impatto che un determinato pericolo ha
sulla salute pubblica attraverso la fase di risk characterization
con la valutazione del rischio finale (risk estimate) (Nauta,
2002).
Nelle tabelle 2-5, frutto di un lavoro Unilever nell’ambito della
consultazione di esperti FAO/WHO del 18-22 marzo 2002, si capisce come proprio sulla base della capacità e dell’esperienza
dell’industria, è possibile condividere gli strumenti e i dati provenienti dagli studi di VQR, comprese le tecniche probabilistiche o deterministiche. In sostanza l’uso della VQR può aiutare
l’industria ad essere più proattiva (Hoonstra e coll., 2002a).
Limitazioni nei sistemi
di risk assessment
Alla luce di tutto quanto sinora annotato, vediamo di capire quali sono in generale le limitazioni dei modelli di VQR “from farm
to fork”.
I dati disponibili sono carenti: per gli studi di risk assessment
occorrono più dati sulla prevalenza, ed è indispensabile effettuare più ricerche sui sistemi delle produzioni animali e questi
studi devono seguire un criterio il più possibile di tipo longitudinale-integrato prendendo in considerazione tutta la filiera
dall’allevamento alla lavorazione e fino alla fase del consumo.
Il sistema da modellare è troppo complesso: per i modelli quantitativi, i sistemi di sicurezza alimentare sono troppo complessi
per essere modellati sia matematicamente che biologicamente.
Sebbene i modelli siano apertamente delle semplificazioni della realtà, la modellazione realistica e accettabile dell’intersa filiera non è sempre semplice.
Fattore “incertezza”: deriva dalla carenza o dalla mancanza di
dati scientifici sufficienti o affidabili; si può gradualmente ovviare a questa carenza approfondendo progressivamente gli studi, sia con gli storage test che con i challenge test.
Fattore “variabilità”: si instaura allorché si hanno dati di partenza sufficienti, ma tra di essi c’è un’eccessiva variabilità. Si
può ovviare migliorando i controlli di processo e gli interventi
correttivi.
Tempi lunghi per il completamento e rischio di errori.
Harvard BSE
Final report
CVM Campy
Final report
FSIS E. Coli
Draft report
FDA Listeria
Being revised
USDA Vibrio
Draft report
US FSIS Se
Final report
Jan-96 Jan-97 Jan-98 Jan-99 Jan-00 Jan-01 Jan-02
Fig. 10 - Cronologia di alcuni studi di VQR "dall’allevamento
alla tavola” (da Vose 2003, modificata)
CONIGLICOLTURA 4 - 2005
I modelli di crescita microbica e di microbiologia predittiva
sono rappresentazioni semplificate della realtà e caratterizzati da un certo margine di incertezza.
I sistemi from farm to fork considerano solo il patogeno presente nella matrice alimentare oggetto di studio.
I dati ricavati da prove in vitro utilizzando brodocolture fanno
fatica ad adattarsi alla situazione di substrati complessi quali
sono gli alimenti contenenti differenti popolazioni batteriche
(patogene e saprofite) con un loro equilibrio e specifica biocenosi. Questi dati tendono a sovrastimare il risultato. Inoltre
la fase di adattamento del batterio al substrato (Lag phase)
può essere più corta, com’è il caso di Listeria nei prosciutti
lavorati e di E. coli nelle carni di bovino macinate (Tamplin,
USDA).
Di regola, non sono mai presi in considerazione fenomeni
quali la riattivazione dei batteri patogeni, l’influenza degli
stress subletali sull’aumento di resistenza oggettiva dei microrganismi patogeni alle condizioni ambientali avverse.
I modelli dose-risposta sono inadeguati e non riescono a descrivere in modo completo la variabilità osservata. I risultati
degli esperimenti con volontari umani non si adattano bene ai
dati che provengono dalle indagini epidemiologiche, e rischiano di sottovalutare il rischio. Le basi concettuali e i metodi dose-risposta ci sono già, ma lo sviluppo dei modelli prevede anche la loro contemporanea validazione e ciò può avvenire solo attraverso la continua disponibilità di dati che sono carenti e lo saranno in futuro. Alcuni dati sugli effetti dell’esposizione umana provengono dalle indagini sui focolai
alimentari; per estrapolare i dati dai modelli sia in vivo che in
vitro alle persone sono necessari modelli matematici sofisticati.
Per completare questo capitolo relativo alle limitazioni dei sistemi di risk assessment possiamo ancora considerare i seguenti ulteriori punti:
pochi gli sforzi nell’analisi costo-benefici e delle azioni che
condizionano i rischi (simili iniziative richiedono notevoli risorse economiche e risultano poco pratiche per alcuni Paesi);
la valutazione del rischio dovrebbe essere centrata più sulle
decisioni;
la valutazione del rischio usa la scienza, ma non è una ricerca
scientifica di per sé;
chi realizza materialmente il risk assessment, dovrebbe acquisire un’esperienza pratica per assicurare che i loro modelli riflettano il mondo reale.
Conclusione
Per le industrie alimentari, la risk analysis è il logico completamento di un sistema HACCP per tenere sotto controllo l’igienicità delle produzioni. Soltanto ponderando la probabilità e la
gravità dei vari pericoli possibili, è possibile stabilire dei limiti
critici reali e prevedere in modo efficace dove si debbano concentrare le azioni di prevenzione e controllo.
Per le autorità sanitarie di Stato, la risk analysis è il sistema di
elezione per individuare gli Obiettivi Sanitari specifici da raggiungere, e per verificare dall’esterno il corretto funzionamento
dei sistemi di autocontrollo interno messi in atto dalle singole
aziende alimentari.
La risk analysis è una disciplina ancora in fasce, e come tale so-
CONIGLICOLTURA 4 - 2005
no ancora molti i punti in cui è necessario fare chiarezza, a partire dalla terminologia adottata.
Al momento, esistono linee-guide abbastanza precise per porla
in atto, ma mancano orientamenti specifici sul sistema statistico
di valutazione dei dati che sarebbe meglio adottare.
Non è sostanzialmente vero che effettuare una risk analysis per
pericoli chimici sia più facile che condurne una per pericoli microbiologici. In entrambi i casi, si alternano vantaggi e svantaggi, passaggi più facili e altri meno facili; la stabilità dei residui
chimici, confrontata con la dinamicità delle flore microbiche e la
loro adattabilità consente di effettuare valutazioni per certi versi
più semplici, ma dalla bibliografia emergono chiaramente segnali che invitano alla cautela e alla ponderazione dei dati anche
nel settore dei residui chimici pericolosi per la salute umana.
Le due figure preminenti della risk analysis, il risk assessor e il
risk manager, devono restare nettamente separate, ma nessuno
dei due può vantare una preminenza sull’altro. È indispensabile,
al contrario, che tra le due figure ci sia un continuo scambio reciproco di informazioni e indicazioni. Nella scelta degli scopi
del risk assessment, è opportuno che anche il risk manager faccia sentire la sua opinione.
Dalla disamina della bibliografia specialistica emerge un dato di
fatto: nonostante il numero ormai molto cospicuo di lavori a
stampa su questi argomenti, non sono molti i lavori che hanno
sviluppato in modo completo e coerente le indicazioni fornite
dalla Commissione del Codex Alimentarius per quanto concerne
l’impostazione di programmi di risk analysis nell’industria alimentare.
È indispensabile sviluppare altri sistemi matematico-statistici
sempre più perfezionati per “ponderare” meglio tutte le variabili che si affacciano quando si deve fare un risk assessment nell’industria alimentare.
Laddove si tratti di sviluppare un risk assessment per pericoli
microbiologici, bisogna valutare con prudenza i dati forniti dai
sistemi informatici di modellazione microbica predittiva. Lo sviluppo degli studi di “dinamica delle popolazioni microbiche”
potrà fornire un valido supporto al miglioramento di questi
software.
È importante non farsi prendere dal gioco e non crearsi falsi convincimenti di “infallibilità”, non dare mai fiducia assoluta ai risultati del risk assessment.
■
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