Una femmina di troppo

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Una femmina di troppo
Unità
11
I TEMI: da un continente all’altro
Gloria Whelan
Una femmina di troppo
Quando ritornai con la zia Tai e Ba Ba, fui mandata via e mi fu detto
di restare fuori di casa. Quando uscii, sentii Ba Ba dire alla zia Tai:
«Questa volta deve essere un maschietto che diventerà un uomo intelligente, un uomo che saprà costruirsi una tenuta. Non si accontenterà del nostro misero fazzoletto di terra.»
Per far passare il tempo, andai al nostro misero fazzoletto di terra e
cominciai a strappare le erbacce tra le file di aglio e di cipolla.
Mentre strappavo le erbacce, pensavo al mio nuovo fratellino, e speravo che, dopo la sua nascita, la mia Nai Nai e il mio Ba Ba l’avrebbero finita di guardarmi come se avessi fatto qualcosa di male, quando
non era di certo colpa mia se ero una bambina.
Le ore passavano, ma non ebbi nessuna notizia di un fratellino. Cominciò a cadere una pioggia leggera.
Per l’importanza di ciò che stava accadendo, ero stata dimenticata. Se
fosse stato un fratellino, pensai, sarebbe andata sempre così. Mi avrebbero dimenticata, ma in ogni caso sarebbe stato molto meglio che
avere una sorella e sopportare l’ira di Nai Nai e la delusione di Ba Ba.
Il cortile si riempì d’acqua e pensai che la pioggia che faceva crescere
il raccolto fosse di buon auspicio. Mi sentii sicura che il neonato sarebbe stato un maschietto.
«Chu Ju» gridò Nai Nai. «Perché stai accucciata fuori sotto la pioggia?
Non hai il buon senso di venire dentro in casa? C’è bisogno di te,
subito. Prepara il tè per la zia Tai. C’è parecchio da fare qui.»
Scivolai nella piccola stanza dei miei genitori. Ma Ma giaceva immobile. Ba Ba era in piedi vicino a lei e guardava un piccolo fagotto tutto avvolto in un panno. Il suo viso mostrava grande delusione, ma
anche una specie di meraviglia, lo stesso sguardo che gli avevo visto
quando osservava con tenerezza i germogli verdi nel granturco.
Ba Ba fece per toccare il fagottino, ma poi lasciò perdere.
Non appena Ba Ba si incamminò verso la porta, Ma Ma implorò:
«Non farai niente alla bambina, vero?»
«Prima si provvederà, meglio sarà» rispose Nai Nai. «Vuoi nutrirla e
accudirla tutto il giorno? Andrà a finire che ti ci affezionerai, e allora
cosa succederà?»
Con voce debole Ma Ma sussurrò: «Due femminucce non sono il male peggiore che ci potesse capitare. Chu Ju è una buona lavoratrice.»
Nai Nai ribatté: «E quanto durerà? Si sposerà, non la rivedrai mai più.»
«Ha appena quattordici anni» protestò Ma Ma. «Quando si sposerà, ci
sarà la sua sorellina qui ad aiutarci. Forse per allora avremo un figlio
maschio.»
«Parlare di un altro figlio è assurdo» sbottò Ba Ba. «Qualche linguaccia
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del villaggio riferirebbe al governo che abbiamo tre figli, e il governo
ci farebbe una multa di tantissimi yuan. Dovremmo vendere tutto per
pagare la tassa. O ancora peggio. Sai anche tu che gli ufficiali hanno
abbattuto la casa di Li perché ha avuto un terzo figlio. Non potremo
avere un figlio maschio che porti avanti il nome della nostra famiglia
finché questa bambina non se ne sarà andata.»
La voce di Ba Ba si fece meno dura. «Aspetteremo un po’» concluse.
Lacrime scorrevano sulle guance di Ma Ma. Nai Nai mi cacciò la bimba tra le braccia. «Abbi cura di lei. Lascia che la tua Ma Ma riposi.»
Ed eccomi lì con quel fardello tra le braccia. Non era più pesante di
un sacchetto di riso o di un melone. Non sapevo se tenere il fagotto
stretto così che non gli accadesse nulla, o con delicatezza in modo da
non schiacciare un affarino così tenero.
Portai mia sorella nell’altra stanza, mi misi a sedere su una sedia e la
osservai con attenzione. Sembrava piccola e indifesa, come un uccellino caduto dal nido.
Ma poi aprì gli occhi e mi accorsi che non era per niente un uccellino,
perché non c’era niente di indifeso nei suoi occhi. Erano lucenti e
neri, e scintillavano di vita.
La bimba emetteva suoni come se volesse succhiare con la sua piccola bocca e agitava le manine minuscole.
Da quel momento, tranne quando Ma Ma la allattava, la cura della
bambina fu affidata a me. Mi ricordavo che Nai Nai aveva detto a Ma
Ma: «Andrà a finire che ti ci affezionerai e allora cosa succederà?»
Dopo qualche giorno chiesi: «Che nome le darete?»
Nai Nai rispose: «Non c’è bisogno di un nome.»
Alle parole di Nai Nai fui colta da un tremito, perché sapevo che se la
bambina avesse avuto un nome, questo l’avrebbe collocata un po’ più
stabilmente nella nostra famiglia. Dentro di me la chiamai Hua, Fiore,
perché era nata nel giorno in cui i fagioli erano fioriti e la loro fragranza si diffondeva dolce nell’aria.
I giorni passavano e Hua era sempre lì. Me la portavo sempre dietro.
Nai Nai mi insegnò ad attorcigliare un pezzo di stoffa per legarmi la
bambina dietro la schiena. Quando andavo al villaggio a fare qualche
commissione, lei veniva con me. Dormiva accanto a me di notte.
Persino quando ero immersa nel sonno più profondo, il suo pianto
sommesso mi svegliava e, quando la prendevo in braccio, smetteva
subito di piangere. Fui la prima a sentire il suo tubare, simile al richiamo delle tortore che si appollaiavano sul tetto della nostra casa.
Dapprima i suoi occhi erano come sassolini neri e lucenti che ruotavano in tutte le direzioni. Dopo un po’ iniziarono a fissarsi prima su
una cosa, poi su un’altra. Spesso quei sassolini neri si fermavano sul
mio viso, guardando e riguardando, al punto che mi chiedevo cosa
Hua vedesse, perché dopo tutto la mia era solo una faccia come le
altre.
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Ma c’era così tanto lavoro da fare per quella creatura. Venivo svegliata di notte dalle sue grida e dovevo portarla da Ma Ma perché la allattasse. E poi di nuovo, di mattina presto, mi svegliava. Durante tutto
il giorno dovevo cambiarla e pulirla. Spesso piangeva e non ne capivo
il motivo. Non c’era mai un minuto libero in cui potessi girovagare
per il villaggio e passare un po’ di tempo con un’amica. Così quando
sentivo Nai Nai ripetere che bisognava fare qualcosa di quella bambina, c’erano delle volte che non m’importava se mia sorella sarebbe
stata mandata via.
Le settimane passavano e Hua cresceva, cominciava ad agitarsi e a
mostrarsi affamata dopo ogni pasto, così chiesi di poterle dare un po’
di farina di riso.
Ma Nai Nai scosse la testa. «Il latte è più che sufficiente. Il riso basta
appena per le nostre scodelle.»
Quando Nai Nai non guardava, mettevo un po’ di riso da parte per
darlo a Hua e lei piangeva di meno.
Ma Ma teneva tra le braccia Hua teneramente dopo averla allattata, e
Ba Ba sorrideva quando la sua manina minuscola si avvolgeva intorno
al suo dito, così nutrivo una piccola speranza che alla fine avremmo
potuto tenerla, ma una sera scoprii che non sarebbe stato così.
Eravamo seduti tutti insieme e stavamo finendo il nostro riso misto a
pezzetti di pesce secco, quando Ba Ba annunciò: «Domani verrà una
donna a prendere accordi per portar via la bambina.»
Con la sua voce flebile, Ma Ma implorò: «Teniamola. È già parte di
noi. Che ne sarà di lei se la mandiamo via?»
«Non sta a noi preoccuparcene» ribattè Nai Nai. «Ci sono orfanotrofi
per bambini così.»
Guardai Ba Ba, ma l’unica cosa che fece fu alzarsi e uscire di casa. Più
tardi, quella sera, quando ritornò, udii a lungo nella notte la sua voce
e quella di Ma Ma.
Quasi non dormii per sorvegliare Hua. Il mattino seguente, dopo che
Ba Ba uscì, venne la donna. Era grossa e aveva occhi piccoli, una bocca severa, e un neo sulla guancia da cui spuntava un lungo pelo nero.
Indossava una camicia larga e floscia, un paio di pantaloni e uno
scialle avvolto intorno alle spalle. Pensai che avrebbe potuto afferrare
Hua e nascondersela sotto tutta quella stoffa.
La donna guardò Hua da vicino come se volesse contarle le dita delle
mani e dei piedi per vedere se le aveva tutte.
Ero sicura che non aveva notato come brillavano i suoi occhi e come
la tenevo pulita e in ordine.
«Una comune femminuccia» disse. «Sarà difficile trovare un posto per
lei.»
La donna propose un prezzo e Nai Nai, che non aveva mai guardato
per davvero Hua, cominciò a far notare la sua bella carnagione, i capelli folti e le membra forti.
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«Osserva come si guarda in giro e si accorge di ogni cosa intorno a lei»
disse Nai Nai. «Ci sentiamo offesi dalla cifra che tu ci offri. Il doppio
sarebbe ancora troppo poco.»
Per tutto quel tempo Ma Ma rimase seduta in un angolo della stanza,
pallida e silenziosa. Quando le due donne presero a discutere, cominciò a piangere. Mi ero chiesta perché Nai Nai non l’avesse mandata
nell’altra stanza. Ma all’improvviso capii, quando Nai Nai disse: «Dopo tutto potremmo anche non venderla. Vedi, la sua Ma Ma non
vuole lasciarla andare.» E infatti, Ma Ma stava singhiozzando più forte che mai; i suoi gemiti non erano una messinscena per quella donna
ma le provenivano dal profondo del cuore.
A questa vista la donna offrì di più, perché vedeva che ciò che Nai Nai
diceva era vero, che Ma Ma non voleva separarsi da Hua. Quel che la
donna non capiva era che il desiderio di Ma Ma non contava niente
in quella situazione.
Alla fine fu raggiunto un accordo sul prezzo, e la donna disse che
dopo essersi informata sulla destinazione di Hua sarebbe ritornata a
prenderla l’indomani mattina.
Il nostro pasto quella sera fu silenzioso. Né io né Ma Ma riuscimmo a
mangiare. Ba Ba teneva il capo chino. Persino Nai Nai tenne a freno
la lingua. Quando la cena fu finita ed ebbi lavato le ciotole e pulito la
pentola, portai Hua nei campi.
Strinsi più forte Hua. Nel villaggio avevo sentito storie di bambini
portati via, dei quali non si era più saputo niente. Ovunque circolavano storie come quelle, per suscitare emozioni e far parlare la gente.
Avevo sempre pensato che le raccontassero per spaventarci in modo
innocente.
Ora sapevo che quelle storie erano vere. Guardai Hua. Dormiva. Le sue
lunghe ciglia nere sembravano frange scure sulle guance. La bocca
rosea e rotonda era leggermente socchiusa. Hua sarebbe stata mandata via per far credere alle autorità che la nostra famiglia avesse un
solo bambino. Un giorno Ma Ma avrebbe avuto un figlio maschio per
compiacere la mia Nai Nai e il mio Ba Ba.
Se la mia Ma Ma non poteva impedire che Hua fosse mandata via,
come potevo farlo io? Desiderai di poter sparire, così che ci sarebbe
stata una sola figlia. La parola “sparire” risuonava nella mia mente
come quegli insetti minuscoli che si possono udire, ma non vedere.
«Sparire, sparire» ronzavano. «Allora ci sarà solo un figlio, Hua.»
Quando ero piccola, per sfuggire a una sgridata della mia Nai Nai mi
ero nascosta tra i rami di un albero di banano lì vicino. Se ripiegavo le
gambe sotto di me e rimanevo immobile, non mi trovava. Se ero riuscita a nascondermi così vicino alla nostra casa, perché mai non avrei
potuto nascondermi da qualche parte nella grande carta geografica?
In un primo momento mi piacque l’idea di scomparire. Pensai all’emozione di partire per un viaggio avventuroso. Pensai alle meraviglie
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1 dian-shi: televisore
della Cina che avevamo studiato a scuola: la grande muraglia nel nord
e le immense città dove molte case avevano un dian-shi1 e dietro ogni
angolo di strada c’era un cinema.
C’erano fabbriche nelle città. Forse potevo trovare un lavoro, dato che
sapevo confezionare fiori di seta.
Hua si muoveva nel sonno. Quando fu mezza sveglia, emise una specie di cinguettio come un piccolo uccello chiacchierone. Se non scomparivo io, sarebbe scomparsa Hua. Sapevo che toccava e me e sapevo
che dovevo farlo subito, prima di perdere coraggio, e prima del mattino seguente quando la donna sarebbe ritornata.
Ma in alternativa a lasciare la mia casa, la mia Ma Ma e il mio Ba Ba,
vedevo Hua portata via, piangente, con le braccine tese verso di me.
Gli orfanotrofi erano così pieni di femminucce che non c’era abbastanza cibo per nutrirle. Alcune delle bambine venivano adottate da
waiguoren, gli stranieri, ma la maggior parte era lasciata negli orfanotrofi affollati, senza cura e con poco cibo. Giravano persino storie di
bambine vendute per essere allevate come domestiche o operaie o
peggio. Non avrei permesso che Hua fosse portata via. Sarei stata io a
scomparire.
G. Whelan, Una casa per Chu Ju, trad. di A. Milanese, Fabbri