La fortuna del brutto anatroccolo

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La fortuna del brutto anatroccolo
La fortuna
del brutto
anatroccolo
di Enrico Cernuschi
T
to ideato, sin dal 1920,
come banco di prova dei
sistemi di sicurezza e
movimentazione della
benzina da adottare a
bordo di una futura portaidrovolanti.
Dopo aver accarezzato,
tra il 1919 e il 1920, l’idea di realizzare una
portaerei sul tipo di
quelle appena messe in servizio dagli inglesi, adattando lo scafo dell’incompiuta nave da battaglia
Caracciolo o, meglio, quello appena recuperato
della corazzata Leonardo da Vinci, i vertici della Regia Marina avevano ripiegato, alla fine, anche per
mancanza di fondi, sulla realizzazione di un “trasporto speciale da 7.000 tonnellate”, inserito nel
programma navale del bilancio 1921-22.
L’unità in parola, dotata di una velocità massima
sui 27 nodi, destinata a permetterle di navigare assieme agli incrociatori della Squadra, sarebbe stata
analoga, per capacità aerea ed armamento, alle
portaidrovolanti britanniche in servizio, in quegli
anni, nella Mediterranean Fleet.
Ma i cronici tagli al bilancio apportati dai Governi
del tempo compromisero, sin dal principio, quest’idea, e alla fine la Regia Marina fu costretta ad
adottare una soluzione di ripiego acquistando,
nell’estate 1922, su pressioni del Governo, lo scafo
del piroscafo Città di Messina, in quel momento in
costruzione per conto delle Ferrovie dello Stato, da
parte di un consorzio che versava ormai da mesi
Brutta, lenta, sgraziata,
sembrava la sfortuna
della cisterna Stige.
Invece fu la sua salvezza
utte le navi hanno un’anima.
Non tutte hanno
una storia. Le cronache,
infatti, si occupano, di
solito, soltanto di bastimenti prestigiosi o di
gloriose navi da guerra
spendendo appena qualche riga, quando va bene, su quelle ausiliarie.
Quella che segue è la storia di quella che fu, probabilmente, la più brutta unità della Regia Marina nel
corso della Seconda Guerra Mondiale e degli uomini, senza nome e senza volto (ma di gran cuore) che
navigarono su di lei. Non vinsero, certo, la guerra,
ma, dopo essere stati catapultati nella più dura delle
campagne combattute nel Mediterraneo nel corso
del 1942, riuscirono, almeno, a non perdere, il che
non fu poco. Tanto più che tutto sembrò, a un certo
punto, giocare contro di loro.
La nave segnata
Impostata il 7 marzo 1921 nell’Arsenale di Spezia, la
regia cisterna per benzina Stige, di 1.364 tonnellate
di dislocamento, nacque, sin dal principio, sotto
una stella maligna. Tanto per cominciare era una sorellastra e si sa, sin dai tempi di Cenerentola, cosa
succede in questi casi. Il progetto di quel bastimento, infatti, risaliva alle due cisterne per acqua Pagano
e Verde, impostate nel 1919. Dalle linee non proprio
aggraziate lo Stige, lungo 52,83 metri, largo 9,32 e
con un’immersione di 4 (4,4 a pieno carico), era sta-
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Una delle rare immagini esistenti dello Stige, fotografato a La Spezia negli Anni 30
in stato fallimentare. Il risultato del compromesso,
più politico che navale, si tradusse, alla fine, nella
malriuscita e meno veloce (21 nodi) portaidrovolanti Giuseppe Miraglia.
Le soluzioni adottate a bordo dello Stige (varato l’8
aprile 1922) relativamente alla sicurezza dei depositi e delle condutture della pericolosissima benzina si rivelarono, invece, adeguate sin dalle prime
prove successive al completamento della cisterna,
avvenuto il 13 giugno 1925.
La fine, quello stesso anno, dei programmi sulle
portaerei (sempre rimandati, da allora fino al
1939, a causa della cronica mancanza di fondi)
privò però lo Stige della propria ragione d’essere in
qualità di banco di prova dei sistemi ausiliari destinati a quel tipo di unità.
Rimasta “orfana” la cisterna fu noleggiata, quello
stesso anno, dalla Regia Marina al “Consorzio
Utenti Nafta Società Anonima” per il trasporto, tra
Vado Ligure e Venezia, di benzina e di olio pesante
da autotrazione.
Il contratto in questione prevedeva, oltre allo Stige, anche il noleggio di un’altra unità, l’Acheronte.
Quest’ultima cisterna da 1.430 tonnellate, sorella
delle di poco precedenti gemelle Cocito e Lete, era
stata concepita anch’essa, nel 1914, come nave
sperimentale per verificare l’operatività di un Diesel FIAT a circuito chiuso destinato a un auspicato,
futuro sottomarino, dotato di un apparato motore
unico, progettato dalla Krupp.
Radiata sin dal 1920, dopo appena quattro anni di
servizio, in seguito a diverse avarie lamentate a
causa del mal riuscito impianto di propulsione,
l’Acheronte era andata perduta, nel 1923, a Santa
Margherita Ligure, dopo un’esplosione e un grave
incendio dovuti alle medesime cause.
La cisterna, recuperata, era rimasta sul gobbo del
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Ministero a causa di
un processo per evizione intentato dalla società armatrice e protrattosi per anni. L’aver deciso di appaiare
lo Stige, nuovo di trinca, a quel cavallo bolso della scuderia delle
navi ausiliarie non era, invero, di buon auspicio.
Quando poi, nel 1926, il “Consorzio Utenti Nafta
Società Anonima” diede indietro le due cisterne,
preferendo optare per due petroliere più grosse ed
economiche, la breve carriera dello Stige sembrò
segnata, tanto più quando si apprese che l’Acheronte era stato venduto, alla fine di quello stesso
anno, all’Unione Sovietica, dove diventò prima
Grozny e poi Yalta affondando, infine, senza superstiti, a Tuapse, nel Mar Nero, nel marzo 1942, confermando la sua natura di nave disgraziata.
Contrariamente alle attese, lo Stige rimase, tuttavia, nei ruoli della Regia Marina.
Adibita a trasporto di benzina e nafta lungo le coste italiane a beneficio delle basi dei MAS e degli
idrovolanti, la piccola unità ausiliaria spese in tutta
modestia i propri successivi quindici anni di vita
navigando lentamente, e infaticabilmente, alla velocità massima di 8 nodi, sotto la spinta della propria unica elica, mossa da un Diesel Tosi da 650 HP.
Utile e senza pretese, la nostra cisterna, ormai logora, parve avviata, nel 1938, lungo la strada di una
prossima radiazione. Quell’anno, infatti, il Comitato Progetto Navi, complice il risveglio aeronavale
in corso presso il Ministero, mise allo studio uno
Stige II da 2.500 t dotato di tutte le ultime novità
statunitensi in materia di sicurezza, dagli estintori
automatici a pioggia fino all’uso di gas inerte sotto
pressione costante per le cisterne e le condutture
destinate al passaggio della benzina avio.
Il nuovo progetto, completato l’anno successivo,
fu subito approvato e la relativa costruzione, considerata urgente data l’efficienza piuttosto precaria
della vecchia cisterna omonima, fu messa in programma per il 1940, ma l’inizio della Seconda
Guerra Mondiale e la successiva entrata in guerra
dell’Italia bloccarono l’iniziativa.
La nave portaidrovolanti
Giuseppe Miraglia, un
compromesso di dubbia
qualità realizzato con le
scarse possibilità economiche della Regia Marina
Fu così che il 10 giugno 1940 il vecchio
Stige, sempre adibito ai soliti compiti
ausiliari lungo le coste della penisola, si
ritrovò inquadrato
nel Nucleo Ausiliario Autonomo di
unità speciali dipendenti direttamente da Supermarina, ovvero il
Comando Centrale della Marina in guerra.
Nonostante quell’etichetta altisonante, lo Stige continuò a fare il proprio mestiere di tutti i giorni sia
pure, adesso, col rischio supplementare di rimanere
vittima del siluro di un sommergibile nel corso dei
propri lenti spostamenti da una base all’altra, tra il
Mar Jonio e l’Adriatico. Poi, improvvisamente, all’inizio dell’estate 1942, tutto cambiò di colpo.
La grande avventura
Nel giugno 1942, mentre la apparentemente invincibile armata italo tedesca del maresciallo
Rommel sembrava procedere inarrestabile alla volta del Canale di Suez e della fine della guerra, la
lotta per la difesa del traffico dell’Asse con l’Africa
Settentrionale entrò nella fase decisiva.
Gli inglesi, incapaci di sconfiggere sul campo i propri avversari, concentrarono infatti come non mai
tutte le proprie cospicue risorse nel tentativo di tagliare i loro rifornimenti inviati via mare, e le petroliere italiane furono, naturalmente, il bersaglio privilegiato e più evidente di questa strategia. La flotta
italiana di cisterne, tutt’altro che numerosa prima
della guerra, era già stata falcidiata dai primi due anni di conflitto; di conseguenza, qualcuno pensò, a
Supermarina, di ricorrere persino allo Stige, in quel
momento nel Mar Jonio, per rifornire la Libia.
L’idea era, di per sé, poco meno che criminale. Lo
sfiatato Diesel di quell’unità assicurava, infatti, in
quel periodo, un’improbabile andatura massima
di soli sette nodi e una di crociera di appena cinque - sei a seconda dello stato del mare. Nave ed
equipaggio, per di più, erano adibiti da sempre a
semplici navigazioni costiere. Il pensiero di attra-
versare, in quelle condizioni, il Mediterraneo
orientale, affrontando in pieno il sempre più violento contrasto aeronavale avversario con un carico di benzina era, oggettivamente, un azzardo.
Tuttavia la carenza di navi e il senso del dovere fecero sì che il comandante (un tenente di vascello
del Ruolo Speciale) e i quaranta uomini, tra sottufficiali, graduati e comuni, dell’equipaggio accettassero, in tutta semplicità, quella nuova, inusitata
missione senza mugugni, accingendosi ad affrontare, in luglio, quella grossa e imprevista avventura.
Dopo un primo trasferimento da Taranto a Navarino, la cisterna si spostò al Pireo dove rimase qualche giorno per imbarcare il proprio carico. In quest’occasione, l’equipaggio, mosso a pietà davanti
alle scene di fame nera che affliggevano la popolazione greca, offrì, su preghiera di un francescano
bolognese dal fisico imponente e dalla voce tonante che presiedeva la locale mensa dei poveri, di
spartire gli scarsi viveri della cooperativa di bordo.
Quel gesto, frutto probabilmente di una combinazione tra l’umana pietà e una sorta di fioretto collettivo, non fu dimenticato. Dal continente la cisterna
passò quindi a Suda, nell’isola di Creta, dove attese
pazientemente per oltre una settimana l’occasione
propizia per “balzare”, si fa per dire, in Africa.
Data la natura di cosiddetto tran tran delle missioni affrontate fino a quel momento da quella nave,
nessun aveva pensato, dal 1941 in poi, di mimetizzarla. Si pensò di farlo in quell’occasione, ma alla fine tutto si ridusse a una semplice linea spezzata tratteggiata sull’albero di prora lasciando il resto dello scafo invariato.
Infine, il 14 agosto 1942, dopo che un precedente allarme antinave in merito a una pretesa presenza, nel
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Carri italiani M 13/40 della divisione
Ariete fotografati a Misurata, in Libia;
per rifornire i mezzi italo tedeschi in
avanzata verso il Cairo venne deciso di
“mandare in trincea” anche lo Stige
Mar Jonio, di una portaerei inglese, scortata da incrociatori e cacciatorpediniere, proveniente da Gibilterra e segnalata dai tedeschi si era rivelato, in realtà,
inesistente, la cisterna incominciò la propria lenta
traversata in compagnia della torpediniera Lince.
Parlare di scorta ravvicinata, in quelle condizioni,
era impossibile, in quanto le miserabili cinque miglia dell’unità in parola imponevano alla silurante
che l’accompagnava di andare su e giù, senza esporsi inutilmente essa pure al rischio di un siluramento.
In effetti questo pericolo era tutt’altro che remoto,
visto che già alle 06.45 del 14, ovvero a meno di
sei ore dalla partenza da Suda, il sommergibile britannico Taku (un battello classe T al comando del
leutenant commander Jack Gethin Hopkins) avvistò, al periscopio, quel bersaglio lento e maturo. Il
mare era un olio e il comandate di quel battello,
dopo aver apprezzato, con un certo ottimismo, la
cisterna italiana alla stregua di “una grossa nave
ausiliaria” caratterizzata, potenza della mimetizzazione, da due fumaioli, e raddoppiando altresì, in
sede di rapporto di missione, anche la scorta (elevata da una a due torpediniere in aggiunta a un
idrovolante tedesco, effettivamente presente), si
avvicinò lentamente alla propria preda.
Alla fine il Taku lanciò, da 2.000 yard, quattro siluri. Tutte le armi mancarono, fortunatamente, il
bersaglio passando largamente di prora alla cisterna, la cui troppo bassa velocità (degna, in effetti,
più di un pattino che non di un bastimento) aveva tratto in inganno il sommergibile. Attaccato
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dall’aereo e dalla torpediniera il
Taku si allontanò, a sua volta,
senza danni.
Dopo quest’episodio, la navigazione procedette tranquillamente ed il 15 agosto, alle ore 12.51,
il piccolo convoglio oltrepassò,
felicemente, le ostruzioni del
porto di Tobruch. La cisterna scaricò, poco dopo, le 635 tonnellate di benzina avio trasportate in
Libia, con soddisfazione generale
dell’equipaggio, legittimamente
preoccupato di navigare sopra
una potenziale bomba incendiaria. Sei giorni dopo,
al termine di altrettanti bombardamenti notturni
(risoltisi tutti senza conseguenze) e di una preoccupante dieta a base di durissima carne di dromedario,
lo Stige ripartì per la Grecia sotto la scorta del cacciatorpediniere Turbine arrivando, il 23, al Pireo.
Ancora una volta, dati gli appena quattro nodi sviluppati in quell’occasione dalla sfiatata nave, non
furono adottati zigzagamenti di sorta e le evoluzioni
dell’unità di scorta rimasero libere, tanto che il caccia si divertì persino a fare esercizi di cinematica davanti allo Stige, con la prora della silurante che scorreva dalla prua sino alla poppa della nave ausiliaria
a pochi metri di distanza e a velocità sostenuta, come avrebbe ricordato anni dopo l’allora tenente di
vascello Ugo Foschini nelle proprie memorie.
Già il 20 agosto, tuttavia, l’ammiraglio Luigi Rubartelli, “dittatore” sin dagli anni Trenta delle riserve di nafta e delle petroliere italiane, aveva deciso
“di sfruttare ancora” quella cisterna per trasportare
in Libia un altro carico di benzina per aerei. Il sottocapo di Stato Maggiore della Marina, ammiraglio
Luigi Sansonetti, approvò e tutti, a partire dall’equipaggio, confidarono, ancora una volta, nella
fortuna.
La nuova traversata, sempre con destinazione Tobruch, ebbe inizio il 1° settembre con una partenza,
in pieno giorno, dal Pireo, accompagnata dai saluti e
dagli auguri della pittoresca comunità locale dei poveri con, in testa a tutti, il solito grosso frate bolognese, grato per i quarti di pur coriaceo dromedario
che il piccolo frigorifero della nave
aveva portato in Europa. La scorta,
questa volta, era assicurata dal cacciatorpediniere tedesco Hermes (ex Vasilefs Georgios, preda bellica greca).
Poco prima di salpare, la nave aveva
imbarcato un ufficiale e due sottufficiali marconisti, presentatisi al comandante e scomparsi, subito dopo,
assieme al proprio bagaglio, nel locale RT, senza parlare con nessuno. Le
voci di prora, subito allertate, parlarono immediatamente di “spie” destinate a raggiungere il Nilo.
Il nervosismo a bordo, nel corso di
quella nuova sfida al destino, era
palpabile. Mentre il caccia tedesco
andava su e giù ad una certa distanLa corvetta Lince, impossibilitata ad effettuare una scorta ravvicinata allo Stige non
za, l’equipaggio, forte di un vecchio
per la sua troppo elevata velocità, ma da quella troppo bassa di quest’ultimo
cannone da 120/45 a poppa, di un
pezzo da 76/40 a prora e di due mitragliere da 13,2 mm, per fare buon
In effetti, la luce di quelle candele era più che giupeso, montate sulle due ali di plancia, pensava a
stificata. L’efficiente Intelligence Service britanniquella rinnovata traversata del Mediterraneo da
co aveva infatti preso di mira proprio lo Stige, alla
percorrere, con ulteriore carico di benzina a borfine di agosto, dopo la decrittazione e la lettura di
do, procedendo alla velocità, degna di un ciclista
alcuni messaggi cifrati tedeschi, avendo l’Aeroin vacanza, di quattro nodi (meno di 8 km l’ora).
nautica germanica sollecitato ripetutamente e senTutto andò bene, ad ogni modo, ancora una volta e
za
mezzi termini, per tutta una settimana, l’arrivo
il 3 settembre, alle ore nove e mezza del mattino, lo
del prezioso carico di quella nave.
Stige entrò trionfalmente, è il caso di dirlo, a ToSupermarina, sospettando correttamente da ormai
bruch. Un grosso cero, portato appositamente dalla
un anno a quella parte qualcosa di poco chiaro in
Grecia, fu acceso, quello stesso giorno, in omaggio
merito alla sicurezza delle comunicazioni radio teagli accordi presi in precedenza con il frate bolodesche, aveva inviato a sua volta, da Roma, per via
gnese, nella sconquassata chiesetta dei francescani
aerea, tre specialisti del Reparto Informazioni, imdi quella cittadina. Altre candele seguirono, il 10, al
barcandoli sulla cisterna. Il compito del misterioso
Pireo, dove la cisterna era rientrata sotto la scorta
terzetto
era quello di avvisare il comandante dello
della torpediniera Partenope; l’omaggio alla Vergine,
Stige, all’insaputa dei troppo ciarlieri tedeschi, in
questa volta, era comune da parte sia dei marinai
merito ad alcuni messaggi in codice che Supermasia del frate petroniano, beneficiato a sua volta da
rina avrebbe potuto trasmettere direttamente, nel
un ulteriore carico di carne di cammello congelata,
corso della traversata, mediante un apposito cifraintegrato da un’adeguata quantità di brenosa.
rio monouso ad hoc, nel caso si fosse concretizzaL’ex voto definitivo per grazia ricevuta, rappresenta una precisa minaccia avversaria.
tato da una fotografia della nave, con le firme di
Il carico della cisterna, giudicato della massima
tutti i componenti dell’equipaggio, incorniciata in
importanza, “doveva” arrivare a qualsiasi costo.
argento, fu però quello che la gente, accuratamenL’inedita analisi dei documenti conservati oggi nete sbarbata e ripulita, depose assieme al comangli archivi italiani e britannici conferma il fatto
dante, la sera del 16 settembre, nella cattedrale di
che Supermarina aveva avuto buon naso. La notte
San Cataldo, a Taranto, qualche ora dopo essere
tra l’1 e il 2 settembre gli inglesi inviarono, infatti,
arrivata nella maggiore base della Marina alla veuna nutrita formazione di aerosiluranti bimotori
locità, tutt’altro che entusiasmante, di meno di
Wellington, decollati appositamente dall’Egitto,
quattro nodi, per eseguire, finalmente, un indiproprio alla caccia di quella cisterna.
spensabile periodo di grandi lavori in Arsenale.
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Il sommergibile britannico di Sua Maestà Taku che tentò di affondare lo Stige,
vanificato nelle sue intenzioni dalla
infima velocità della cisterna, che impediva di effettuare degli accurati calcoli di tiro per il lancio dei siluri
La rotta e i tempi noti alla Royal Air Force erano,
grazie ai tedeschi, quelli giusti. I messaggi radio
trasmessi quella notte dai piloti britannici, come
sempre piuttosto nervosi quando si trattava di sorvolare il mare alla luce delle stelle, furono tuttavia
intercettati e violati, a loro volta, dai decrittatori
della Regia Marina nel giro di un quarto d’ora.
Roma fu quindi in condizioni di lanciare, subito
dopo, un messaggio PAPA (Precedenza Assoluta su
Precedenza Assoluta) diretto allo Stige. Questo tempestivo marconigramma consentì, di conseguenza,
alla cisterna di “perdere”, per qualche ora, nel corso della notte, invocando un’inesistente avaria, il
proprio cane pastore tedesco, evitando in tal modo, l’attacco aereo nemico. Il rapporto inglese relativo a quella stessa circostanza riferisce, a sua volta,
il fatto che la petroliera italiana era scomparsa, misteriosamente nell’oscurità, per quanto fosse stata
puntualmente avvistata, il pomeriggio precedente,
dalla ricognizione aerea britannica, vanificando, in
tal modo, l’attacco notturno già pianificato. Nel
corso della giornata del 3 settembre, un altro messaggio PAPA favorì ulteriormente la traversata fino
alla sua felice conclusione.
L’ultima stagione
Tornata in servizio nella primavera 1943 la cisterna navigò, nel corso dei mesi successivi, tra l’Italia
e la Grecia. Colto a Pola dall’armistizio dell’8 settembre 1943, lo Stige rimase, con il proprio equipaggio, sotto la bandiera della Marina Repubblicana navigando, da allora fino alla fine del 1944,
con cadenza quasi settimanale, tra la raffineria di
Fiume e i depositi di Marghera, evitando ogni vol-
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ta le minacce degli aerei e delle motosiluranti britanniche.
La nave fu infine affondata,
quando era ormai senza più
utile impiego e in disarmo,
dal bombardamento aereo inglese di Venezia del 21 marzo
1945. Il relitto della piccola
unità fu poi risollevato dal
fondo nel 1947, ma neppure
allora le vicende dello Stige conobbero la parola fine.
Il trattato di pace imponeva, infatti, il trasferimento
della nave all’Unione Sovietica. Cosa mai potesse
farsene la Russia di quel vecchio pontone rimane, a
tutt’oggi, un mistero. Il destino che aveva unito
vent’anni prima l’Acheronte allo Stige sembrava, ad
ogni modo, saldarsi inesorabilmente, alla fine, intorno alla cisterna.
La Marina sovietica, infatti, aveva già assegnato,
nel 1949, il nuovo nome di Sozh a quel bastimento, salvo mutarlo, poco dopo, in Myshako. Si trattò, peraltro, di manovre puramente cartacee poiché tutto si risolse, alla fine, per il meglio. Gli italiani avendo rifiutato, da un lato, di ricostruire la
nave per poi consegnarla al nuovo proprietario
mentre i russi, dall’altro, avevano apprezzato, nel
contempo, che le condizioni dello scafo e dell’apparato motore erano troppo deteriorate per poter
sperare di portarlo senza pericoli, sia pure a rimorchio, nel Mar Nero.
La vecchia cisterna, pertanto, dopo una carriera
ventennale trascorsa tutta sotto la bandiera italiana, trovò finalmente la pace, venendo radiata il 1
settembre 1950 per essere quindi demolita.
Nave piccola e ignota ai più lo Stige e la sua gente
meritano, tuttavia, l’omaggio del ricordo dei marinai di oggi e di allora, a conferma della verità già ricordata dal celebre scrittore (e marinaio) statunitense Herman Wouk nel proprio capolavoro, “L’ammutinamento del Caine”: non sono certo le navi ausiliarie a vincere la guerre, ma nessuna flotta può sperare, a sua volta, di vincere senza l’opera silenziosa,
misconosciuta e indispensabile di quelle umili unità
■
e dei loro equipaggi, tanto spesso dimenticati.