MARKETING INTERNAZIONALE: LA “GOOD PRACTICE” DELL
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MARKETING INTERNAZIONALE: LA “GOOD PRACTICE” DELL
APPROFONDIMENTI MARKETING INTERNAZIONALE: LA “GOOD PRACTICE” DELL’INCOMING di Marco Minossi (*) organizzazione di azioni di Incoming, cioè di individuazione, richiamo e guida strutturata di operatori professionali esteri a beneficio di realtà imprenditoriali e distretti industriali operanti in un determinato territorio (ad esempio nella provincia di Ancona), è una delle attività più intense di cui si occupano istituzioni quali la Camera di Commercio di Ancona – nell’ambito della Promozione - e la sua Azienda Speciale per l’Internazionalizzazione delle Imprese “Ancona Promuove”. Quando operano in autonomia, tuttavia, molte imprese sottovalutano spesso l’efficacia di tale buona pratica di marketing internazionale, preferendo di gran lunga focalizzare le proprie strategie di export e di internazionalizzazione sugli spostamenti del proprio personale all’estero per la conoscenza diretta e la frequentazione dei mercati. Le considerazioni di questo articolo si ripropongono di spiegare perché, a nostro avviso, l’Incoming è importante almeno quanto lo spostarsi in loco nei territori della clientela straniera, e dovrebbe essere praticato meglio e di più dalle imprese anche con una visione propria, oltre che mediante le risorse organizzative del supporto istituzionale. È necessaria a nostro avviso una premessa generale per calarsi meglio nell’argomento. La crisi che l’economia mondiale attraversa sta facendo emergere anche alcuni aspetti positivi. Per gli attori economici italiani – imprese e lavoratori dipendenti ed autonomi - questi possono essere individuati in una capacità diffusa di pazienza, sopravvivenza e reazione. Per gli studiosi ed i professionisti delle problematiche L’ aziendali, in una opportunità molto più efficace di prima nel cercare di diffondere ed attuare le cosiddette “good practices”, cioè quelle strategie e comportamenti virtuosi di pianificazione, prudenza ed efficienza che dovrebbero caratterizzare il business anche nei cicli di espansione, ma ai quali imprenditori e manager sono curiosamente più sensibili e attenti durante le recessioni. Nel Marketing, specie internazionale, è da tempo predicata da tutti ma realizzata da pochi la cosiddetta strategia del “Branding”, che consiste molto brevemente nella creazione da parte di un’ azienda di una forte identificazione nei propri Marchi (sia d’impresa che di prodotto), che la renda percepita dai clienti e dagli stake-holder (dipendenti, banche, fornitori e molti altri soggetti ed organizzazioni con cui viene scambiato valore) come una realtà economica in grado di differenziarsi dalla media di settore per caratteristiche di competenza distintiva, di qualità del prodotto ed affidabilità dei servizi ad esso collegati, di gratificazione del cliente che avverte nel Brand il beneficio di sentirsi parte di un “mondo di appartenenza” di tipo anche emozionale. Tutte le numerose rilevazioni e studi economici e di marketing, italiani ed internazionali, che stanno copiosamente monitorando ed interpretando le situazioni e le reazioni delle aziende al difficilissimo momento economico, stanno evidenziando all’unanimità una condizione che è assunta oramai come regola: i Brand forti stanno permettendo ai propri detentori non solo di avere eccellenti strumenti di difesa, ma spesso di comportarsi in contro-tendenza, cioè di conseguire fatturati ed utili in cresci- ta anche rispetto a medie settoriali in pesante calo. Basta scorrere la classifica dei 50 brand più ammirati al mondo, pubblicata qualche mese fa dalla rivista americana “Fortune” per capire come sia stretto e interdipendente il legame tra Brand-Equity (creazione e veicolazione di valore) e superamento della crisi economica. Il Brand è dunque “la Marca”, il “mondo di appartenenza” (dei clienti e degli altri stake-holder, come abbiamo già citato), in una accezione di marketing che ricalca quella politicogeografica della Marca nel Medioevo (ad esempio la Marca Anconetana quale mondo di appartenenza dei propri cittadini). Soprattutto, poi, la Brand-Equity non è solo appannaggio di multinazionali e grandi imprese, ma può e deve essere costruita anche dalle PMI. Da questa premessa, possiamo proseguire un ragionamento per gradi. Nelle relazioni internazionali “Business to Business” (tra le organizzazioni d’impresa quindi, escludendo per ipotesi il consumatore/utilizzatore finale) le pratiche commerciali hanno vissuto negli ultimi 25 – 20 anni tre periodi completamente diversi tra loro. 20 anni fa, in quella che potremmo definire la preistoria del Marketing internazionale, lo scambio era contraddistinto da un prodotto-servizio che passava da un fornitore ad un cliente. In un’epoca più moderna, diciamo 10 anni fa (nel marketing le evoluzioni sono temporalmente vorticose), già non si parlava e non si ragionava più in termini di prodotto, di cliente e di fornitore, ma di “package” (tutta una serie di beni e di servizi ad alto valore aggiunto quali assistenza, garanzia, dilazioni di pagamento, finanziamen- Quieconomia 51 ti, premi, bonus e supporti), di cliente fidelizzato e di fornitore strategico. Gli scambi diversi da questo circuito virtuoso erano considerati “commodities”, cioè a basso valore. Nel periodo contemporaneo, il business si svolge tra due o più organizzazioni che hanno quasi del tutto perduto i connotati tradizionali di cliente e di fornitore, perchè il valore scambiato è talmente e reciprocamente rilevante da renderli entrambi dei Partner. Il partner-cliente non compera solo un prodotto più una serie di servizi, ma idealmente acquista un’ azienda nella sua totalità. La persuasione tangibile del Brand di quest’ ultima ne assicura infatti la serietà a lungo termine, l’affidabilità, il vantaggio competitivo in termini di “premises” (le strutture e gli impianti), di “facilities” (le dotazioni quali laboratori di controllo, di ricerca, le piattaforme logistiche, le installazioni informatiche ecc.), di “skill” (le abilità professionali umane) e in termini di Know-How (le competenze distintive tecnologiche di processo specifiche). A questo punto possiamo porci più consapevolmente il quesito che secondo noi è centrale quando si considera l’Incoming, la strategia di ricevere in azienda le controparti d’ affari, e di svolgere nei propri locali una parte importante delle attività di informazione e fidelizzazione a beneficio reciproco nel business. Se quanto sopra esposto è plausibile, come può allora il cliente-partner estero condividere un Brand, cioè un mondo di appartenenza, se non è egli stesso conoscitore della realtà visibile e tangibile del partner-fornitore, e del territorio nel quale questa azienda che egli “acquista” si trova ad operare? La risposta a tale interrogativo ci pare ovvia, ma va a nostro avviso sviluppata proponendo alcuni princìpi che le nostre aziende dovrebbero adottare sistematicamente, cioè seguire in forma ripetuta e mirata. L’obiettivo è di mantenere sempre vivo e crescente in un cliente-partner estero il desiderio di sviluppare una “long-term business relationship” sulla base di una leadership di valore, piuttosto che con altri concorrenti nel mercato sulla base di 52 Quieconomia una leadership di costo (quest’ ultimo problema è di particolare delicatezza per alcuni settori trainanti dell’economia marchigiana, come ad esempio quello della Meccanica, a fronte del crescente peso ed aggressività delle nuove economie di Cina, India, Brasile, Turchia ed altre emergenti). Vediamo quindi come una strategia di Incoming può facilitare un processo di internazionalizzazione, facendo leva sui fattori di Brand sopra menzionati, ed apportando un ulteriore valore aggiunto che richiameremo in conclusione. • La “leva” delle premises rappresenta lo spazio tangibile di attrazione e rassicurazione del partner-cliente estero, il solido contenitore all’interno del quale egli ripone la propria fiducia. Nella nostra regione, anche le PMI hanno strutturato le proprie sedi ed i propri locali in forme esteriormente e funzionalmente molto valide, creando degli ambienti interessanti per chi, venendo dall’estero, è già condizionato da un’ idea positiva per quanto concerne lo stile ed il gusto estetico italiano in generale. Spesso gli imprenditori dimenticano o sottovalutano, tuttavia, che questi frutti di investimenti e sacrifici, e certamente di soddisfazione per loro e per i dipendenti, possono essere “ venduti “ anche a beneficio di una ricezione di partner d’ affari che sia un punto di partenza favorevole ad una lunga collaborazione. Quando poi, all’interno degli stessi locali in Italia, si concludono contratti, accordi e partnership, nella propria sede piuttosto che in quella del cliente, l’effetto quasi di tipo sportivo del “ giocare in casa “ sortisce energie molto positive per la sicurezza ed il successo del nostro imprenditore. Anche gli impianti di produzione possono svolgere un ruolo che trascende la loro mera destinazione d’ uso, per arrivare ad essere leve di marketing. In stabilimento, il partner-fornitore potrà trasmettere al cliente le stesse informazioni sui plus di performance e di innovazione delle tecnologie che utilizza, gli stessi che generarono la sua decisione di dotarsene, sprigionando ulte- riori elementi di affidabilità. • Troppi imprenditori ed export manager si trovano spesso, a nostro avviso, a gettare basi e a stipulare accordi nella sede del cliente all’estero, assorbendo pressioni culturali (e spesso anche giuridiche) locali che sovente si rivelano fonte di insoddisfazione non preventivata e di collaborazioni di vita breve. • La leva delle facilities è quella che secondo noi rappresenta più di ogni altra la vera discriminante competitiva tra il negoziare in azienda piuttosto che all’estero. Quando il cliente viene posto in condizione di vedere nei dettagli le dotazioni, i laboratori, i servizi logistici, le reti informatiche e le piattaforme web e windows aziendali, e di comprendere come queste renderanno efficienti gli scambi di informazioni, transazioni e valore, spesso la trattativa commerciale vera e propria si conclude per l’azienda italiana con ottimi risultati ed anche con margini migliori, perché è stato capito il valore addizionale che il prezzo del prodotto incorpora. • Le abilità professionali umane, i cosiddetti skill aziendali, sono anch’ essi molto importanti nelle valutazioni del cliente, che in casa dell’imprenditore può conoscerle di persona anziché sentirsele raccontare, conoscenza che nello svolgimento della collaborazione faciliterà la risoluzione di molti equivoci e problemi. Detto che il “visitor”, il partner-cliente estero, dovrà percepire solo agio e padronanza degli ospitanti rispetto alla lingua straniera che contraddistinguerà il rapporto (lingua francese o tedesca a seconda della sua nazionalità, e per lo meno la lingua inglese nei casi di provenienza diversa), è fondamentale che (in una di tali lingue) egli possa avvertire un ambiente professionalmente molto preparato rispetto alla tecnica del business internazionale (back-office, conferma d’ordine e fatturazione, customer-care, conoscenza dei pagamenti e finanziamenti internazionali per ricevere soluzioni finanziarie valide per sé e non solo per il partner-fornitore, proposte contrattuali strutturate che dimostrino un’attenzione a lui e non solo alla tranquillità del fornitore stesso). Se poi l’impresa marchigiana si è dotata di un sistema di assicurazione finanziaria dei crediti esteri, la trattativa potrà facilmente recepire le richieste di forme di pagamento che diano al cliente respiro anziché rigidità (pretese di anticipi o di garanzie), a tutto beneficio del rapporto. Unitamente alla dotazione di standard certificati sulla adozione di comportamenti socialmente responsabili ed ambientalmente innovativi, questi requisiti anche per una nostra PMI sono oramai indispensabili per operare con successo con l’estero oltre che per migliorare la competitività verso le controparti. Spesso, agli occhi di un businessman o delegazione estera, un’azienda che risulti approssimativa nella propria organizzazione di commercio estero è giudicata poco professionale in generale, magari anche in presenza di produzioni eccellenti. Si sviluppa il timore che la relazione possa essere di stressante e farraginosa gestione, foriera di potenziali e minaccio- si costi, palesi o occulti. • La quarta leva, quella del KnowHow, se idoneamente trasmessa convince il cliente estero non soltanto della qualità dei prodotti finali, ma soprattutto della capacità dell’azienda italiana di rispondere esattamente alle specifiche, specie se e quando personalizzate, e di garantire un problem-solving tecnologico di assoluta affidabilità (assistenza, garanzia, pronta individuazione e soluzione di una criticità). Tutte le variabili cui abbiamo fatto riferimento, e che abbiamo definito “leve” per esprimerne le potenzialità spesso ignorate, risulteranno tanto più efficaci nei rapporti con interlocutori esteri quanto più, avendo l’azienda italiana la lungimiranza ed i mezzi per provvedervi, saranno accompagnate da certificazioni internazionali, oltre che da registrazioni per quanto concerne i marchi di impresa e di prodotto. La quinta leva, quella con cui concludiamo queste nostre riflessioni sull’importanza dell’attività di Incoming nel marketing internazionale, è quella del Territorio, un plus che nelle Marche non possiamo permetterci di trascurare. Gli stranieri amano molto non soltanto vedere e gustare bellezze e bontà italiane di cui la nostra Regione, per dono di natura e per impegno degli abitanti, è ricca; amano approfondire, sentirsi informare su peculiarità e tradizioni storiche e culturali, preferiscono essere loro a esprimere apprezzamento piuttosto che sentirselo continuamente ripetere da chi in quel territorio vive e lavora. Meglio allora prevedere una Check-list con alcune informazioni su come e dove si organizza il tempo extra-aziendale piuttosto che affidarsi al “dove capita”, che probabilmente non deluderebbe ma forse non renderebbe efficacemente comunicato e valorizzato il plus territoriale. Quanto espresso in questo articolo ha voluto mettere l’accento su un aspetto delle attività di internazionalizzazione che spesso è troppo marginale rispetto ai viaggi d’affari nei mercati esteri; teniamo comunque a precisare che la nostra ottica rispetto a questi ultimi è di complementarietà, di suggerimento ad una maggiore alternanza tra trasferte ed Incoming, senza voler mettere in discussione l’irrinunciabile necessità del frequentare, e possibilmente presidiare, i mercati ed i partner internazionali. Incoming operatori cinesi del vino, organizzato dall'Azienda Speciale Ancona Promuove - giugno 2009 (*) Consulente e Docente di Marketing e Commercio Internazionale Quieconomia 53