Osservazioni al documento di consultazione sul

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Osservazioni al documento di consultazione sul
“Piano d’Azione Nazionale sulle Fonti Rinnovabili”
Indice
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2
Osservazioni generali ...................................................................................................3
Osservazioni di carattere puntuale ...............................................................................6
2.1
Capitolo 2 – Consumo finale di energia atteso per il periodo 2010-2020 ..............6
2.2
Paragrafo 3.2 - Obiettivi e traiettorie settoriali........................................................7
2.3
Paragrafo 4.1 - Panorama delle politiche e misure per la promozione delle FER..9
2.4
Paragrafo 4.2 - Procedure amministrative e pianificazione territoriale...................9
2.5
Paragrafo 4.2.4 - Informazione ............................................................................14
2.6
Paragrafo 4.2.6 - Sviluppo dell’infrastruttura per l’elettricità e funzionamento delle
reti
............................................................................................................................14
2.7
Paragrafo 4.3 - Regimi di sostegno alla promozione delle FER elettriche...........16
2.8
Tabella 7 - Approvvigionamento di biomassa nel 2006, ......................................17
2.9
Paragrafo 4.6.1- Approvvigionamento di biomassa: produzione interna e scambi
17
2.10 Paragrafo 4.6.2 - Misure volte ad aumentare la disponibilità di biomassa, tenendo
conto di altri utilizzatori di biomassa ...............................................................................18
2.11 Paragrafo 4.7 - Uso previsto dei trasferimenti statistici tra Stati membri e
partecipazione prevista a progetti comuni con altri Stati membri ...................................18
2.12 Paragrafo 5.1 - Contributo totale di ogni tecnologia per le energie rinnovabili al
conseguimento degli obiettivi vincolanti fissati per il 2020 e traiettoria indicativa
provvisoria per le quote di energia da fonti rinnovabili nei settori dell’elettricità, del
riscaldamento e del raffreddamento e dei trasporti ........................................................19
3 Il settore termico .........................................................................................................19
3.1
Pompe di calore per la climatizzazione a ciclo annuale.......................................21
3.2
Pompe di calore per acqua calda sanitaria..........................................................22
3.3
Pompe di calore per il comfort domestico............................................................24
3.4
Caminetti e stufe a biomassa ..............................................................................25
3.5
Proposte per le pompe di calore per il settore termico e per caminetti e stufe a
biomassa........................................................................................................................27
3.6
Solare termico .....................................................................................................29
4 Trasporti .....................................................................................................................33
4.1
Ipotesi di sviluppo dei biocarburanti al 2020 ........................................................33
4.2
Sviluppo futuro delle specifiche tecniche dei carburanti e dei biocarburanti........33
4.3
Criteri di sostenibilità ambientale dei biocarburanti e verifica della conformità ....34
4.3.1
Criteri di sostenibilità ambientale dei biocarburanti ..........................................34
4.3.2
Verifica della conformità...................................................................................35
4.4
Armonizzazione del Piano e del recepimento della Direttiva 2009/28/CE con la
legislazione nazionale vigente........................................................................................36
4.5
Biocarburanti di seconda generazione ed impiego di elettricità nei trasporti .......37
2
1
Osservazioni generali
Confindustria, apprezzando l’azione del Governo volta a colmare i vacuum legislativi che
costituiscono da molto tempo un serio impedimento ad uno sviluppo efficiente delle fonti
rinnovabili, ha sempre sottolineato l’importanza strategica di un framework legislativo certo
e stabile, necessario per consentire all’industria italiana di programmare gli investimenti e
per garantire la competitività sul piano internazionale.
Ciò appare ancora più indispensabile alla luce degli obiettivi di sviluppo delle fonti
rinnovabili e dell’efficienza energetica al 2020: scelte legislative chiare ed adeguate
risultano infatti fondamentali per il conseguimento degli obiettivi nazionali in questi settori.
In un’ottica di più ampio respiro la definizione di un quadro regolatorio stabile dovrebbe
inserirsi all’interno di un indirizzo di politica energetica di lungo periodo che definisca il
ruolo prospettico di ciascuna fonte nel mix del paese alla luce di obiettivi di efficienza,
economicità, sicurezza e di una corretta politica di sviluppo industriale italiano.
Il Piano di Azione, seppur rappresenta un primo passo verso un’azione di
programmazione per uno sviluppo efficiente delle energie rinnovabili, tuttavia per molti
aspetti appare come un documento embrionale che contiene linee di principio che
dovranno essere meglio specificate per renderle attuabili o rafforzate affinché producano
effetti concreti.
Una strategia di sviluppo coerente non può prescindere da una ripartizione del
potenziale per ogni singola regione, fatta eccezione per il settore dei trasporti, volta a
responsabilizzare le autorità locali nel raggiungimento dell’obiettivo al 2020. In tal senso
sarebbe utile capire fin da ora il criterio attraverso cui l’eventuale responsabilità per il
mancato raggiungimento del target al 2020 sarà ripartito o sulle regioni o anche sui singoli
settori.
Il burden sharing regionale dovrebbe basarsi su criteri di efficienza tecnica che
considerino le potenzialità di risorse e impieghi presenti sul territorio. Il PAN tuttavia
sembra non tenere conto delle reali potenzialità di ogni singola fonte sviluppabili sul
territorio nazionale, in funzione dei vincoli morfologici, paesaggistici, urbanistici e delle
peculiarità di molte aree del nostro Paese.
Inoltre non si ravvisa all’interno del Piano alcuna considerazione sulle tecnologie
impiegate, sull’analisi costi-benefici caratterizzata dai rendimenti tecnologici delle differenti
tecnologie e, soprattutto, non sono stati tenuti in considerazione i conseguenti costi per il
Paese per la copertura delle misure di incentivazione che dovranno supportare lo sviluppo
degli investimenti.
Non è stato considerato che il PAN pone obiettivi molto ambiziosi sia nel complesso sia
ripartiti per singola fonte, la cui fattibilità tecnica e sostenibilità economica avrà un impatto
importante sull’economia del nostro Paese.
Oggi infatti le risorse economiche per gli strumenti di incentivazione dell’energia elettrica
prodotta da fonte rinnovabile vengono reperite direttamente o indirettamente in bolletta
elettrica, con gli oneri di sistema (onere A3) o sul prezzo dell’energia (Certificati Verdi).
Quindi i consumatori di energia elettrica contribuiscono al finanziamento delle fonti
3
rinnovabili in proporzione al proprio consumo (principalmente le imprese medie e piccole
in quanto i grandi consumatori di energia pagano oneri ridotti).
L’attuale onere di incentivazione in bolletta elettrica vale oltre 3 miliardi di euro all’anno,
che potrebbe arrivare, secondo prime stime a più che raddoppiarsi nel 2020.
Tali risorse se reperite esclusivamente in bolletta rendono pertanto gravoso l’impatto
economico per i consumatori per i prossimi decenni (alcuni incentivi vengono riconosciuti
per 20 anni quindi fino al 2040 potrebbero comunque pesare anche se in maniera
decrescente sulle spalle dei consumatori industriali con picchi per le piccole e medie
imprese di un aumento di oltre il 20% della bolletta).
Nella definizione degli obiettivi al 2020 e della loro ripartizione per settore e per fonti si
devono tenere in considerazione anche i risvolti appena descritti e, pertanto, è auspicabile
rivedere gli obiettivi del PAN e ripartire gli stessi in modo da tener conto di criteri importanti
di equità ed economicità e non solo del potenziale tecnico.
Il raggiungimento di questi impegni coinvolge tutto il Paese. È pertanto necessario
ristabilire nuovi meccanismi di reperimento delle risorse per gli incentivi che non pesino
esclusivamente sui consumatori di energia elettrica e soprattutto sulle imprese che sono il
principale fattore di sviluppo economico. A tal riguardo i costi dovrebbero essere coperti in
maniera diversificata impiegando sistemi di mercato e pesando anche sulla fiscalità e non
solo sulle bollette.
Al contrario per quanto riguarda il settore dei trasporti si evidenzia che, al momento, i
biocarburanti non usufruiscono di alcuna agevolazione e, pertanto, si rende necessario
equilibrare la concorrenza del mercato nazionale con i mercati comunitari ed extra –
comunitari, dove vigono interessanti sistemi di incentivazione che stanno penetrando sul
nostro mercato a grave danno della capacità produttiva nazionale.
In sintesi nel PAN la parte di valutazione degli impatti è stata rimandata al recepimento
della Direttiva 2009/28/CE, mentre dovrebbe essere uno degli aspetti principali della
definizione degli obiettivi e della loro ripartizione sia per settori che per fonti.
In un’ottica di funzionalità tecnica ed economica lo strumento dell’efficienza energetica
può rappresentare un elemento strategico per il raggiungimento degli obiettivi al 2020.
In tal senso è auspicabile un’integrazione tra il Piano di Azione delle Rinnovabili ed il
Piano Straordinario per l’Efficienza Energetica di prossima emanazione.
Il raggiungimento di un elevato potenziale di risparmio energetico rappresenta una leva
fondamentale per centrare l’obiettivo FER perseguendo al contempo un obiettivo di
sostenibilità tecnica ed economica. Per una valida implementazione delle strategie di
sviluppo dell’efficienza energetica è necessario definire a livello paese un approccio
strutturale basato sui principi dell’efficienza tecnico-amministrativa, economica e di
crescita industriale del Paese. In tale ottica è necessario garantire una maggiore certezza
del framework normativo e la definizione di una strategia di incentivazione con un
orizzonte temporale nel medio-lungo periodo, che consenta agli operatori di pianificare gli
investimenti e la strategia di crescita industriale in un contesto di stabilità regolatoria.
Tale approccio tuttavia non è riscontrabile nel quadro normativo e regolatorio di
riferimento.
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Si consideri che un programma di incentivazione deve tenere in considerazione
l’evoluzione storica, agire sulla riduzione degli elevati costi all’acquisto (che tali prodotti
continueranno ad avere sino a che non si sarà raggiunto un livello di industrializzazione e
diffusione sufficiente) ed essere complementare alle caratteristiche di finanziamento a
lungo termine che caratterizzano gli investimenti nel settore energetico. Le esperienze
condotte in altri Paesi dell’Unione Europea hanno infatti mostrato che azioni di supporto
della durata di un anno portano a benefici limitati, mentre le azioni di promozione di
maggior durata (5 anni) sono in grado di fornire un contributo significativo sia per quello
che riguarda gli aspetti ambientali, sia per gli aspetti socio-economici della nazione.
Iniziative di breve durata producono inoltre l’effetto negativo di “drogare” il mercato
creando un picco di domanda, poi destinato a crollare.
Per quanto riguarda gli obiettivi sarebbe opportuno che il PAN esplicitasse le logiche
economiche, strategiche e/o industriali con le quali sono stati definiti gli obiettivi, traiettorie
e finalità presenti nel documento, indicando peraltro gli interventi in caso di mancato
raggiungimento dei target intermedi ed i criteri di una eventuale rimodellazione degli
strumenti di sostegno.
Inoltre, in una logica di politica industriale volta a promuovere la creazione di una filiera sul
energia
territorio italiano è fondamentale ribadire l'
importanza di promuovere l'
rinnovabile prodotta sul territorio nazionale rispetto a quella importata da altri Paesi,
che sono molto spesso favoriti in quanto, anche qualora facenti parte dell'
UE, non devono
sottostare alle regole e alle pesanti limitazioni burocratiche, amministrative e fiscali degli
impianti di produzione nazionale, con conseguenti svantaggi economici in termini di
redditività degli stessi. Tali differenze vanno quindi tenute in debita considerazione al fine,
non di favorire, ma quantomeno di non svantaggiare i produttori italiani di energie
rinnovabili. Tutto ciò a maggior ragione in un periodo di crisi congiunturale in cui il settore
delle rinnovabili sembra poter permanere tra i pochi trainanti dell'
economia, con
conseguenti benefici per l'
occupazione.
Pertanto il PAN dovrebbe contenere un richiamo alla necessità che il raggiungimento degli
industria nazionale individuando,
obiettivi si traduca in un’occasione di crescita per l'
almeno in via generale, le misure che si intende adottare in tal senso per far crescere
specie quelle tecnologie italiane già ricche di know-how, promuovendo le soluzioni più
efficienti e quelle soluzioni che comportano un maggior grado di evoluzione tecnologica.
Lo sviluppo di una filiera industriale nazionale non può tuttavia prescindere da una forte
azione di semplificazione amministrativa per rendere più veloci e trasparenti gli iter
autorizzativi per la costruzione delle infrastrutture energetiche con particolare riferimento
alla reti di connessione degli impianti di produzione da fonte rinnovabile.
Negli ultimi anni si è assistito ad un consistente aumento della quantità di energia prodotta
da fonte rinnovabile a cui non è corrisposto un adeguato sviluppo della rete elettrica,
causato per lo più dai ritardi autorizzativi1. Infatti le reti elettriche trovano una maggiore
difficoltà nel processo autorizzativo perché spesso necessitano del consenso di più enti
locali, alcuni dei quali non hanno alcun interesse ad accettare il passaggio dell’elettrodotto
nel proprio territorio per far connettere alla rete un impianto che sorge su un altro territorio.
1
Ad oggi ci sono richieste pendenti di connessione di impianti di produzione di energia da fonte rinnovabili
alla rete di trasmissione e distribuzione per ben 152.502 MW, che rappresentano una potenza considerevole
se si considera che la domanda di potenza alla punta è stata nel 2007 di 57.000 MW e si stima che al 2018
1
sarà di 74.000 MW .
5
Ciò crea delle forti inefficienze per il sistema elettrico perché, a causa degli ostacoli
autorizzativi per costruzione delle opere di connessione e/o per l’adeguamento della rete
elettrica alla nuova potenza connessa, spesso viene immessa in rete solo una percentuale
minore della capacità produttiva di un impianto.
Per risolvere queste criticità è fondamentale che nell’autorizzazione unica per la
costruzione e l’esercizio degli impianti di produzione da fonte rinnovabile sia compresa
anche quella per la costruzione delle opere di connessione alla rete elettrica di
trasmissione o distribuzione.
In sintesi nel Piano manca dunque una visione strutturale che sia in grado di eliminare le
criticità attuali (prima fra tutte quelle attinenti ad una pianificazione degli interventi di
potenziamento della rete elettrica), gettando le basi per una piattaforma regolamentare
che sia equa, efficace e sostenibile.
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Osservazioni di carattere puntuale
2.1 Capitolo 2 – Consumo finale di energia atteso per il periodo 2010-2020
In relazione alla quota di energie rinnovabili, fissata per l’Italia dalla Direttiva comunitaria
ad un valore pari al 17% di consumo finale lordo, il documento quantifica in 22,306 Mtep
l’obiettivo complessivo di produzione da energie rinnovabili al 2020.
La valorizzazione del consumo lordo di energia è fondamentale per la quantificazione
dell’obiettivo finale di energia prodotta da fonti rinnovabili. Nel complesso il documento
prevede un valore al 2020 di 131,6 Mtep che è pressoché pari al valore del consumo
interno lordo per il 2008 ed inferiore rispetto all’anno base 2005. Questo valore è inoltre al
di sotto a quello inizialmente previsto negli studi della Commissione (Studio Primes 2007)
e incorpora:
l’effetto della crisi economica;
gli ulteriori sforzi supplementari sull’efficienza energetica previsti dalla legge 99/09.
Per il settore elettrico è invece previsto un aumento del consumo lordo che raggiungerà i
31,448 Mtep, pari a 365,7 TWh.
Come già detto l’efficienza energetica rappresenta una leva fondamentale per consentire il
raggiungimento dell’obiettivo del 17% di produzione da rinnovabili. Tuttavia il Piano non
specifica le ipotesi che conducono alle previsioni relative allo scenario di “efficienza
energetica supplementare” preso come riferimento per il calcolo dell’obiettivo. E’ quindi
necessaria:
una qualificazione, oltre alla quantificazione, degli obiettivi di efficienza energetica;
un coordinamento fra sviluppo delle rinnovabili e sviluppo e mantenimento delle
tecnologie che garantiscono un utilizzo efficiente dell’energia.
Dunque in attesa della definizione del Piano straordinario per l’efficienza e il risparmio
energetico, sulla base degli elementi forniti nel PAN non è possibile valutare la congruità
delle previsioni assunte per consumi energetici.
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Si ribadisce la necessità di evidenziare gli elementi necessari per permettere una
valutazione circa gli interventi previsti nei tre settori di interesse (elettricità, calore e
raffrescamento, trasporti) e gli strumenti (incentivi, obblighi, ecc.) individuati per supportare
tali interventi.
2.2 Paragrafo 3.2 - Obiettivi e traiettorie settoriali
Nella trasposizione dell’obiettivo percentuale in quantitativo di energia nazionale da fonte
rinnovabile (in Mtep), da rendere disponibile per il consumo finale all’anno 2020, vengono
inevitabilmente introdotti alcuni elementi di incertezza, quali il livello dei consumi finali al
2020 ed il contributo dato dalle importazioni da Paesi terzi. Per far fronte a tali incertezze,
il Piano dovrebbe prevedere adeguati “margini di sicurezza” nella definizione del
quantitativo di energia di cui sopra, sufficienti al raggiungimento dell’obiettivo del 17%
anche in condizioni diverse (e meno favorevoli) da quelle indicate.
Si suggerisce pertanto nella definizione degli obiettivi numerici al 2020 di adottare
proiezione maggiormente flessibili.
Ciò premesso il Piano ipotizza consumi di energia da fonti rinnovabili ripartiti nei tre settori
– elettricità, calore e trasporti - come da tabella seguente:
Fermo restando che tali contributi settoriali non sono vincolanti ai fini del raggiungimento
dell’obiettivo complessivo assegnato all’Italia, bensì indicativi delle potenzialità dei singoli
settori, queste proiezioni di sviluppo si discostano da quelle individuate da Confindustria,
sia per il settore termico, che nel PAN appare sottostimato, sia per quello elettrico al quale
invece si richiede un contributo eccessivo.
In particolare si rileva una un’eccessiva cautela nel guardare alle rinnovabili termiche, con
stime ampiamente al di sotto delle concrete possibilità di crescita. Infatti la ripartizione
operata appare eccessivamente condizionata dal potenziale tecnico trascurando criteri
importanti di equità ed economicità. Il principio dell’equità prevedrebbe l’applicazione della
quota del 17% in maniera omogenea all’elettrico, al termico ed al trasporto.
Poiché l’obiettivo per il settore trasporti è già definito dalla direttiva 28/2009, la ripartizione
riguarda soprattutto i settori elettrico e calore. In tale situazione è necessario evitare di
attribuire un onere eccessivo al settore elettrico sulla base della percezione di un
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potenziale più accessibile rispetto ai consumi di calore, mentre è ampiamente riconosciuto
il notevole potenziale del settore termico, nonché il contributo attuale dello stesso ai
consumi energetici totali (circa 48% nel 2005). In tal senso è fondamentale tenere in
considerazione i costi marginali di sviluppo relativi alle varie tecnologie e quindi il rapporto
costi-benefici relativo alle scelte di sviluppo.
Una ripartizione dell’obiettivo complessivo non basata su un’attenta analisi costi-benefici
potrebbe comportare oneri ingiustificati per il sistema. Al riguardo si rimarca che
l’equiparazione effettuata dalla nuova direttiva tra energia termica ed energia elettrica
dovrebbe comportare un’attenta comparazione tra i costi delle diverse tecnologie in gioco
nei due settori che non favorisce certamente quelle del settore elettrico, anche in
considerazione della necessità di sfruttare le risorse marginali.
Da un punto di vista quantitativo, assumendo come obiettivo complessivo al 2020 i 22, 3
Mtep, Confindustria ha individuato un realistico sviluppo delle energie rinnovabili nel
settore termico in circa 11,4 Mtep, in linea con le stime prudenziali del Position Paper del
Governo italiano del 2007, contro i soli 9,5 Mtep del PAN.
Il possibile sviluppo delle rinnovabili elettriche sarebbe individuabile in circa 84 Mtep (98
TWh) ma a causa dei limiti amministrativi, geografici ed infrastrutturali, segnalati nelle
considerazioni di carattere puntuale, si attesta realisticamente intorno a 7,3 Mtep (85
TWh) contro i 9,1 Mtep (106 TWh) del PAN.
Si ritiene che lo sviluppo del settore risulterà comunque inferiore a quello previsto dalla
bozza di Piano a causa del limitato intervento teso a migliorare le procedure autorizzative
per la realizzazione degli impianti e delle infrastrutture di rete, a risolvere i problemi di
gestione del dispacciamento delle unità di produzione non programmabili ed infine ad
ottimizzare il sistema di incentivazione dell’elettricità prodotta da fonti rinnovabili.
Il Piano dovrebbe inoltre prevedere, con cadenze prefissate, meccanismi di revisione tali
da consentire l’adeguamento degli obiettivi in funzione dell’effettivo andamento delle
condizioni al contorno (consumi finali, efficacia degli schemi d’incentivazione, ecc.) che ne
potrebbero condizionare il buon esito.
Nell’ambito del contributo delle varie tecnologie il contributo attribuito alla biomassa
indicato dal Piano deve essere valutato con attenzione, in relazione alle difficoltà nel
mobilitare le filiere di approvvigionamento della biomassa, alle problematiche di
inquinamento locale nonché all’impatto sulle filiere industriali esistenti (vedi par. 2.10 di
questo documento). Inoltre sembrerebbe opportuno fornire gli elementi necessari per
permettere una valutazione sugli strumenti (incentivi, obblighi, ecc.) atti a supportare lo
sfruttamento della biomassa nei tre settori di interesse (elettricità, calore e raffrescamento,
trasporti).
Al contrario, nel caso del solare fotovoltaico, l’auspicato raggiungimento della “grid-parity”
(con conseguente e relativo adeguamento della struttura di incentivazione) è destinato ad
attivare un processo di sviluppo capillare sul territorio di impianti di piccole dimensioni
installati su aree edificate (es. edifici, capannoni e parcheggi) che potrebbero portare ad
uno sviluppo maggiore di quello previsto dal Piano. Tale effetto potrebbe essere solo in
parte limitato da incertezze relative ai processi amministrativi ed alla riduzione dei costi
tecnologici. Anche nel caso dell’eolico la mancata completa risoluzione di incertezze di
tipo amministrativo e legate allo sviluppo della rete potrebbero portare ad un contributo
potenziale inferiore rispetto a quello previsto dal Piano.
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2.3 Paragrafo 4.1 - Panorama delle politiche e misure per la promozione delle FER
Si segnala che, per quanto riguarda il settore elettrico, molte delle misure elencate nelle
tabelle avrebbero dovuto essere già operative da tempo e tra quelle maggiormente
rilevanti si segnalano quelle relative alle reti elettriche, alla semplificazione degli iter
autorizzativi, le linee guida nazionali e la ripartizione regionale.
Per quanto riguarda il settore dei biocarburanti sostenibili, lo sviluppo degli stessi di
seconda e terza generazione, dovrà avvenire attraverso la valorizzazione dei biocarburanti
ottenuti da rifiuti, residui e anche da sottoprodotti. Dovranno, inoltre, essere previsti l’uso
dei bioliquidi nella sostituzione di vecchie caldaie e caminetti con nuove caldaie, nonché la
defiscalizzazione accisa del biodiesel uso riscaldamento e riduzione di IVA al 10%.
Una considerazione a parte merita il caso paradossale costituito dall’articolo 45 della
manovra finanziaria che prevede l’annullamento del meccanismo di riacquisto dei CV da
parte del GSE, meccanismo ritenuto fondamentale nello stesso PAN.
2.4 Paragrafo 4.2 - Procedure amministrative e pianificazione territoriale
Si ritiene che il Piano di Azione non approfondisca in maniera sufficiente le procedure
amministrative legate allo sviluppo delle fonti rinnovabili. In particolare esso non appare
prendere atto dell’alto livello di criticità che caratterizza il sistema attuale e di conseguenza
non individua misure specifiche di intervento.
Il mancato rispetto del termine di 180 giorni per la conclusione del procedimento di
autorizzazione unica ha assunto una condizione cronica., quando, invece, la
specificazione da parte del legislatore di tale termine (art. 12 comma 4 D.lgs. 387/2003) è
stata proprio definita al fine di garantire la celere conclusione del procedimento su tutto il
territorio nazionale. Di conseguenza l’omesso rispetto del termine costringe gli operatori a
rivolgersi all’Autorità Giudiziaria per obbligare l’amministrazione competente a pronunciarsi
entro un termine fissato in sede giurisdizionale. Con ciò, tra l’altro, gravando le Corti
Amministrative di contenziosi che potrebbero essere evitati se l’amministrazione
improntasse l’azione amministrativa al principio del buon andamento. Sarebbe quindi
opportuno introdurre una forma di responsabilità specifica per danni ingiusti derivanti
dall’inosservanza dolosa o colposa del termine di 180 giorni, sul modello della fattispecie
contemplata nell’articolo 2 – bis della legge n. 241/1990.
Nel Piano, descrivendo il procedimento autorizzativo per gli impianti di produzione di
energia da fonti rinnovabili, da svolgersi ai sensi dell’art. 12 del D.Lgs. 387/03, si afferma
che i lavori della Conferenza di Servizi possono essere sospesi per tutto il tempo
necessario al completamento della procedura di verifica di assoggettabilità a VIA e per il
conseguimento della VIA medesima: non viene quindi citato il termine massimo entro il
quale la VIA si deve concludere .
Di conseguenza, non essendo indicato un termine per la VIA, il termine di 180 giorni
previsto dall’art. 12 del D.Lgs. 387/03 per lo svolgimento del procedimento unico è da
intendersi al netto dei tempi necessari per la procedura di Screening e per l’eventuale
Valutazione di Impatto Ambientale.
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Si legge infatti: “Anche l’esito della verifica di assoggettamento a valutazione d’impatto
ambientale (VIA) del progetto confluisce nella Conferenza dei servizi, nella quale parimenti
sfocia l’esito della valutazione stessa, comprensiva della valutazione di incidenza se
prescritta. Tuttavia i lavori della Conferenza possono rimanere sospesi fino al termine
prescritto per la conclusione di detta procedura, decorsi i quali l’amministrazione
competente si esprime in sede di conferenza.” (pag. 41 capoverso 4)
“Sono di seguito esposte modalità e tempi, al netto di quelli necessari per l’eventuale
valutazione di impatto ambientale e di altri procedimenti inerenti interessi sensibili, di
svolgimento della Conferenza di Servizi per il rilascio dell’Autorizzazione Unica per gli
impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, prevista dall’art. 12 del
D.Lgs. 387/2003” (pag. 43 ultimo capoverso).
Le previsioni riportate sono contrarie al disposto dell’art. 12, comma 4 del D.Lgs. 387/03,
che prevede il termine perentorio di 180 giorni dalla presentazione dell’istanza per la
conclusione del procedimento di autorizzazione degli impianti a fonte rinnovabile,
comprensivo degli eventuali procedimenti di VIA o di screening necessari.
Se cosi non fosse, peraltro, si esporrebbe il soggetto proponente ad un’inammissibile
incertezza in merito ai tempi autorizzativi dell’impianto che avrebbe esclusivamente
l’effetto di disincentivare lo sviluppo e gli investimenti nel settore.
Questa previsione contraddice sia l’art. 14-ter comma 4 della Legge 241/90, che,
regolando lo svolgimento della Conferenza di Servizi, prevede la possibilità di sospendere
i lavori della Conferenza in attesa della pronuncia di Valutazione di Impatto Ambientale
per un periodo non superiore a 90 giorni, sia l’art. 12 comma 4 del richiamato D.Lgs.
387/03, dove si afferma inequivocabilmente che “il termine massimo per la conclusione del
procedimento non può comunque essere superiore a 180 giorni”.
Si propone pertanto:
− Alla pag. 41 capoverso 4, dopo le parole “rimanere sospesi” aggiungere le parole “per
un massimo di 90 giorni”.
− Alla pag. 43 ultimo capoverso, sostituire le parole “al netto di” con le parole
“comprensivi di”.
È inoltre necessario:
introdurre criteri e modalità che assicurino un’adeguata selezione delle iniziative in
fase progettuale. Questo permetterebbe di ridurre il livello di congestionamento del
sistema ed un iter più veloce per progetti validi attivati da soggetti credibili. Sarebbe
opportuno, ad esempio, prevedere l’impegno, da parte del soggetto propositore, a
corrispondere una cauzione a garanzia dell’esecuzione del progetto a favore
dell’amministrazione procedente, secondo un importo variabile tra il 3% ed il 5% del
valore complessivo dell’impianto. Un’ulteriore misura utile allo scopo di selezionare
le iniziative in fase progettuale consiste nell’impedire le richieste di autorizzazione
per gli impianti per i quali non è stata accertata la disponibilità di suolo.
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Riportare il ruolo della DIA a quanto previsto dal D.Lgs 387/2003 (tabella 1) con le
disposizioni introdotte dal D.Lgs. 115/2008. Qualora non fosse ritenuto opportuno il
mantenimento di tali soglie, sarà comunque necessario non estendere l’accesso
alla DIA agli impianti con potenza superiore a 200 kW (fermo restando le
disposizioni introdotte dal Dlgs. 115/2008). Ciò contribuirebbe a ridurre il livello di
congestionamento del sistema e ad attenuare il disallineamento esistente tra i tempi
di realizzazione degli impianti di generazione e quelli delle reti di distribuzione e
trasmissione.
Prevedere al più presto una semplificazione delle procedure autorizzative e
l’emanazione delle linee guida previste dal Dlgs 387/2003. Le discipline regionali
adottate hanno creato un panorama normativo assai disomogeneo, come evidenzia
lo stesso Piano, generando non solo un grave disorientamento tra gli operatori
interessati ad operare in più territori regionali, ma un danno ben più grave allo
sviluppo delle fonti rinnovabili. La differenziazione delle procedure autorizzative a
livello regionale, infatti, ha contribuito innanzitutto a creare distorsioni della
concorrenza tra operatori localizzati in differenti zone del territorio e ad alimentare
l’infelice mercato (speculativo) delle autorizzazioni.
Inoltre, le discipline regionali sono spesso in evidente contrasto con la normativa
nazionale e comunitaria. Si tratta ad esempio, di disposizioni di contingentamento
della potenza o del numero o della tipologia di impianti installabili, della
sospensione a tempo indeterminato dei procedimenti autorizzativi (le c.d.
moratorie), dell’introduzione di requisiti di accesso al procedimento non previsti
dalla disciplina nazionale di principio, della individuazione di aree aprioristicamente
non idonee alla installazione di impianti, della creazione di società energetiche
regionali, a partecipazione pubblica, idonee a competere direttamente con i
potenziali produttori privati. Di conseguenza tali discipline hanno avuto anche
l’effetto, da un lato, di rendere particolarmente gravosa o addirittura paralizzante
l’installazione di potenza rinnovabile sul territorio da parte degli operatori interessati,
che hanno dovuto presentare ricorso presso le opportune sedi giudiziarie, con
derivati perdite di tempo e di denaro. Dall’altro esse si sono tradotte in ulteriori
barriere all’accesso al mercato di produzione di energia da fonti rinnovabili.
Il regime dell’autorizzazione unica ha solo in parte risolto il problema della lentezza
degli iter; sarebbe auspicabile, infatti, ridurre il numero degli atti di assenso
compresi nell’autorizzazione stessa (ad oggi il numero degli enti coinvolti per un
parere autorizzativo oscilla tra 20 e 30, in funzione delle Regioni interessate dal
procedimento), nonché unificare le procedure attuative del D.Lgs 387/2003 a livello
nazionale. Ciò potrebbe essere realizzato in maniera analoga a quanto proposto in
Francia per il piano di sviluppo delle fonti rinnovabili dove si nota uno snellimento ed
una riduzione dei rinvii da un‘amministrazione all’altra nelle diverse fasi del
processo.
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Migliorare le procedure amministrative per lo sviluppo delle infrastrutture di rete, al
fine di garantire la capacità di ricezione di una produzione da fonti rinnovabili in
forte aumento. In particolare, dovrebbe essere applicato in modo più stringente
quanto previsto dall’articolo 12 comma 3 del Decreto Legislativo 387/2003, che
permette l’accesso a procedure semplificate, quali l’autorizzazione unica, anche
alle opere di adeguamento della rete connesse allo sviluppo degli impianti di
produzione da fonte rinnovabile. Ciò contribuirebbe a ridurre il disallineamento
tra i tempi autorizzativi dell’impianto, comprese le opere di connessione, ed i tempi
di adeguamento e di potenziamento delle reti, con la conseguenza di un ritardo
sull’entrata in esercizio dell’impianto. Andrebbero previsti dei sistemi di silenzioassenso, in modo da rendere effettivo il rispetto dei termini previsti per il processo
autorizzativo.
Andrebbe inoltre rivisto il sistema di incentivazione previsto per gli adeguamenti di
rete, oggi ovviamente insufficiente rispetto agli ambiziosi obiettivi di sviluppo delle
fonti rinnovabili. A queste misure andrebbe poi affiancata un’attività di monitoraggio
della tempestività dell’azione dei gestori con l’obiettivo di individuare con anticipo
eventuali problemi ed apportare le soluzioni necessarie.
Introdurre modalità specifiche che regolino il processo di aggregazione delle singole
richieste di allaccio. Ad oggi, la normativa permette al gestore di ricondurre la
connessione di un lotto di impianti di produzione all’interno di un’unica procedura
solo nel caso in cui sia il produttore ad avviare la procedura “in forma aggregata”.
Sarebbe opportuno, al fine di razionalizzare gli interventi sulle reti elettriche,
prevedere disposizioni specifiche che attribuiscano al gestore di rete la facoltà
piena di gestire, in modo unitario e indipendentemente dall’iniziativa del produttore,
richieste di connessioni plurime o richieste di connessione che, presentate in un
arco temporale da definire, interessano una pluralità di impianti localizzati nella
medesima area.
Accompagnare la progressiva trasformazione delle infrastrutture in reti intelligenti
con opportuni strumenti regolatori. Il progetto europeo ADDRESS per lo sviluppo
delle smart grids nonché le altre numerose iniziative che riguardano le smart grids
sono la testimonianza dell’attenzione internazionale e della spinta verso la
realizzazione di reti elettriche interattive. Tale innovazione dovrebbe essere
facilitata anche attraverso la creazione di un quadro normativo e regolatorio
adeguato per supportare gli operatori di rete nel garantire la piena integrazione
degli impianti di generazione distribuita nonché una migliore gestione dei carichi di
rete e lo sviluppo di meccanismi di active demand e di strumenti per stimolare la
consapevolezza dei consumatori. Tale sviluppo è necessario in quanto la
generazione distribuita, se non integrata in una rete “intelligente”, non potrebbe
diffondersi capillarmente sul territorio senza rischiare di minare la sicurezza
dell’intero sistema elettrico.
Gli enti locali sono sovente inefficienti e non formati alla gestione di iter autorizzativi
eccessivamente farraginosi e complessi. Inoltre azioni specifiche di lobby tendono a
12
rendere maggiormente difficoltoso l’accesso da parte degli imprenditori a queste
fonti. Cosa che accade ad esempio con il biogas dove in alcune regioni solo se
l’impianto è di proprietà dell’agricoltore la gestione dei digestati (di origine
esclusivamente organica) avviene tramite lo spandimento in agricoltura mentre se
l’impianto è di proprietà di un soggetto industriale lo stesso digestato di origine
organica diventa rifiuto con costi gestionali e di smaltimento elevatissimi.
Le informazioni e le condizioni di acceso alle procedure amministrative sono
tutt’altro che definite, a discapito della trasparenza delle stesse. Ad oggi infatti non
esiste, salvo per qualche caso isolato (Regione Lombardia), un elenco chiaro,
completo e univoco: (i) della documentazione da allegare all’istanza di
autorizzazione unica o alla denuncia di inizio attività edilizia, (ii) degli enti coinvolti
nel procedimento, (iii) dei pareri che essi devono rendere e dei termini entro cui essi
devono esprimersi, (iv) del ruolo e del peso che hanno i singoli enti (soprattutto i
Comuni) all’interno del procedimento. Si auspica che le linee guida introducano
l’obbligo per le amministrazioni competenti di rendere disponibili e facilmente
accessibili le sopra informazioni elencate.
Inoltre si ritiene necessario che tale obbligo venga esteso anche ai Comuni che si
renderanno destinatari di un numero sempre maggiore di istanze (D.I.A. e
comunicazioni) per la installazione di impianti.
Il collegamento tra amministrazioni dovrebbe avvenire nell’ambito del modulo
procedimentale della conferenza di servizi (che, sarebbe opportuno venisse
precisato nel Piano, ha natura istruttoria) attraverso il responsabile del
procedimento, unico tramite tra il proponente e le amministrazioni interessate. In
concreto sono assai frequenti i casi in cui le amministrazioni coinvolte nel
procedimento si pronunciano al di fuori della conferenza di servizi, snaturandone
così lo scopo cui essa tende: raccogliere gli enti attorno a un tavolo per valutare
contestualmente e in modo integrato il progetto sottoposto alla loro attenzione.
Analogamente, le amministrazioni spesso si rivolgono direttamente al proponente,
anziché veicolare le proprie richieste attraverso il responsabile del procedimento
che non è più in grado di operare quel necessario coordinamento tra enti e
proponente. Sarebbe pertanto necessario rafforzare il ruolo del responsabile del
procedimento.
Si segnala la necessità di introdurre ulteriori procedure semplificate, rispetto a
quelle fino ad oggi introdotte per rendere più celere l’installazione degli impianti a
fonte rinnovabile anche per modifiche, rifacimenti totali o parziali e riattivazione di
impianti esistenti. Infatti, ai sensi della disciplina dell’articolo 12, D.Lgs. 387/2003, il
procedimento ordinario di autorizzazione è necessario, non solo per la
realizzazione di nuovi impianti ma altresì per le ipotesi di modifica, rifacimento totale
o parziale e riattivazione di impianti già esistenti. Per quest’ultime tipologie
d’intervento, si suggerisce l’introduzione di procedure ulteriormente semplificate e di
meccanismi che permettano una migliore efficienza e rendimento delle
apparecchiature da sostituire prevedendo la possibilità di aumentare la potenza
della macchina a fronte di una (eventuale) riduzione nel numero delle stesse.
13
2.5 Paragrafo 4.2.4 - Informazione
Si segnala che la Campagna di informazione prevista dall’art 15 del D. Lgs 387/2003 non
è mai stata effettuata, pertanto rimane urgente provvedere.
2.6 Paragrafo 4.2.6 - Sviluppo dell’infrastruttura per l’elettricità e funzionamento
delle reti
Relativamente allo sviluppo delle infrastrutture di rete, unitamente alla stesura del
Piano, sembrerebbe utile la definizione di obiettivi vincolanti di potenziamento
della rete di trasmissione e distribuzione in grado di traguardare gli sviluppi
previsti dal Piano stesso e i futuri trend (es. veicoli elettrici). Nel fare questo, appare
particolarmente opportuno disegnare una strategia nazionale per l’implementazione
delle smart grid, includendo lo sviluppo di sistemi intelligenti per i consumi finali.
In più parti del PAN si evidenzia come le FER beneficino della priorità nel
dispacciamento dell’energia ma nella realtà operativa non è così sebbene questa
sia una condizione necessaria per il raggiungimento degli obiettivi della Direttiva
2009/28/CE. Ne consegue che è prioritaria l’azione di sviluppo e potenziamento
della rete elettrica esistente per superare le attuali congestioni strutturali. E’ da
specificare che la remunerazione della mancata produzione rinnovabile, pur
finalizzata a non compromettere gli investimenti effettuati, non prevede un
riconoscimento immediato dei Certificati Verdi per l’energia producibile ma non
immessa in rete per congestioni di rete.
Sul tema delle iniziative da intraprendere per favorire lo sviluppo delle infrastrutture
necessarie al trasporto dell’energia elettrica prodotta da impianti a fonte rinnovabile,
il Piano prevede “la possibilità di porre in capo al medesimo soggetto chiamato ad
autorizzare gli impianti a fonti rinnovabili (Regione o Province delegate) la
responsabilità di autorizzare, con specifici provvedimenti, anche i potenziamenti
delle reti necessari per l’evacuazione dell’energia, in modo da perseguire uno
sviluppo armonizzato di impianti e reti, accelerando dunque i tempi di sviluppo delle
reti e delle infrastrutture necessarie al collegamento e alla piena valorizzazione
dell’energia producibile” (pag. 9 capoverso 2 e pag. 68 primo capoverso).
E’ corretto prevedere che le Regioni autorizzino, insieme ai singoli impianti, anche
gli interventi di “potenziamento” della Rete di Trasmissione Nazionale che si
rendano necessari per l’immissione in rete dell’energia prodotta dagli stessi, in
quanto opere connesse all’impianto di produzione, ma non con specifici e separati
provvedimenti.
In questo modo, infatti, la Regione porterebbe avanti in maniera separata due
distinti iter autorizzativi, con esiti e tempistiche assolutamente incerti e,
verosimilmente, molto diversi tra loro. Viaggiando su due binari diversi l’impianto di
produzione e l’infrastruttura elettrica indispensabile all’immissione in rete
dell’energia prodotta dal medesimo impianto, il rischio attuale e concreto sarebbe
quello di avere uno o più impianti di produzione autorizzati e le infrastrutture di rete
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ancora in iter autorizzativo, senza avere più alcuna certezza circa le tempistiche di
autorizzazione di queste ultime. Nessuna Regione sarebbe infatti in grado di
garantire un’autorizzazione contestuale di progetti con peculiarità e caratteristiche
diverse.
Le conseguenze sarebbero quindi: un notevole incremento dei rischi di congestione
delle reti, la creazione di inefficienze di sistema e, di fatto, un aggravio di costi per i
consumatori.
Si raggiungerebbe, in altre parole, un obiettivo opposto rispetto a quello annunciato
di “uno sviluppo armonizzato di impianti e reti”. Obiettivo che sarebbe invece
perseguito efficacemente attraverso una corretta attuazione delle disposizioni
vigenti (art. 12 decreto legislativo 387).
Si aggiunga che si ingenererebbe confusione circa la demarcazione di competenze
fra Stato e Regione laddove sia necessario autorizzare nuovi tratti di rete elettrica
facenti parte della Rete di Trasmissione Nazionale.
Tutto ciò in contrasto con le stesse finalità del D.Lgs. 387/03 che, al fine di garantire
uno sviluppo ordinato del sistema ed evitare il proliferare di provvedimenti, dai tempi
ed esiti incerti e, comunque, non coordinati, prevede espressamente che tutte le
opere connesse siano autorizzate contestualmente agli impianti.
Pertanto, anche per gli “interventi di potenziamento delle reti” compresi nel
preventivo per la connessione, in quanto opere connesse, occorre applicare il
disposto dell’art. 12 del D.Lgs. 387, autorizzando gli stessi contestualmente
all’impianto di produzione.
Pertanto si propone alla pag. 9 capoverso 2 ed alla pag. 68 primo capoverso, di
sostituire le parole “con specifici provvedimenti” con le parole “contestualmente agli
impianti e nell’ambito del medesimo procedimento unico”.
In questa stessa sede sarebbe opportuno richiamare anche la necessità di
autorizzare, sempre nell’ambito dell’autorizzazione unica di cui all’articolo 12 del
D.Lgs 387/03 e laddove la rete di distribuzione non sia in grado di assorbire tutta
l’energia prodotta dall’impianto di produzione a fonte rinnovabile, anche la
connessione dell’elemento di distribuzione (Cabina Primaria di Raccolta) alla
rete elettrica nazionale.
Si propone, quindi, alla pag. 9 capoverso 2 ed alla pag. 68 primo capoverso di
aggiungere dopo le parole “evacuazione dell’energia” le parole “nonché le opere di
connessione tra le dette reti”.
Uno dei principali problemi legati allo sviluppo delle FER elettriche è quello relativo
ai costi di sbilanciamento derivanti dal dispacciamento dell’energia elettrica
rinnovabile non programmabile. Costi che il sistema sostiene e che sono
difficilmente gestibili. Tuttavia il problema tecnologico deve essere un’opportunità
per le nostre imprese che devono poter investire nella ricerca per migliorare il
rendimento elettrico e diminuire la discontinuità della fonte con sistemi di
accumulo idonei. Nel paragrafo sullo sviluppo delle infrastrutture per l’elettricità
viene accennata la possibilità di ricorrere a “sistemi di accumulo/stoccaggio
15
dell’energia elettrica prodotta e non immettibile in rete”. Su questo punto si
chiedono maggiori dettagli su cosa si intenda e su come si vuole procedere.
E’ apprezzabile il recente intervento dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas, che
con il documento di consultazione 15/10 intende, tra l’altro, porre un freno alle
speculazioni inerenti le richieste di connessione, tramite il sistema della
“prenotazione del punto di connessione”, che affossa il lavoro dei Gestori delle Reti
e i progetti degli Operatori seriamente intenzionati alla realizzazione del punto di
connessione. Si avalla l’ipotesi dell’AEEG di introdurre una garanzia al momento
della richiesta di punto di allaccio e si suggerisce di introdurre (in alternativa o in
aggiunta) anche una sorta di “quantum” dovuto dal detentore della richiesta di
connessione in caso di cessione del progetto a terzi. Questo al fine di rendere
sempre più complesso il fenomeno di speculazione sulle “connessioni”,
riuscendo a limitarlo se non annullarlo, quantomeno economicamente.
2.7 Paragrafo 4.3 - Regimi di sostegno alla promozione delle FER elettriche
Si ritiene che le previsioni di produzione dei nuovi impianti dovrebbero essere fondate su
una dettagliata valutazione dei regimi di sostegno, dalla cui efficacia dipende il
raggiungimento degli obiettivi di sviluppo. Contestualmente, appare opportuno che tale
analisi consideri gli effetti dell’incentivazione anche in termini di impatti che lo strumento
adottato determina sul sistema elettrico.
In tale prospettiva, si propone che venga indetto un tavolo tecnico con lo scopo di valutare,
anche con il contributo degli operatori, i correttivi da apportare all’attuale regime di
incentivazione al fine di delineare un sistema che garantisca:
una necessaria stabilità regolatoria per tutto il periodo considerato;
il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo prefissati nel rispetto del vincolo del minimo
costo per il sistema. A tal riguardo, gli strumenti di mercato come il certificato verde
devono essere lo strumento incentivante privilegiato per le rinnovabili in quanto non
gravano direttamente sulle bollette elettriche con un onere esplicito. Il sistema di
mercato può avvantaggiare tecnologie più efficienti e sostenibili economicamente;
la minimizzazione di effetti distorsivi sul mercato dell’energia;
la possibilità di perseguire gli obiettivi europei congiuntamente con altri Stati membri.
Inoltre sarebbe opportuno introdurre anche il parametro connesso all’impatto sociale
considerato che il ricorso ad alcune fonti energetiche rinnovabili determina ricadute
positive non solo a livello di produzione energetica ma anche a livello di servizio reso alla
collettività.
Pur in una logica di adeguamento del livello di incentivazione ai costi di produzione per
ciascuna fonte, anche in considerazione delle dinamiche di costo delle tecnologie, le
maggiori priorità dovranno essere rivolte alla stabilità dei meccanismi di incentivazione,
soprattutto ai fini di tutela delle iniziative già avviate. Pertanto, con riferimento al sistema
dei Certificati Verdi, diviene fondamentale il riequilibrio dei fondamentali (domanda e
offerta), tale da consentire lo sviluppo delle iniziative necessarie al raggiungimento del
sub-obiettivo del settore elettrico al 2020 indicato all’interno dello stesso PAN.
16
In un ottica di stabilità del meccanismo, è dunque fondamentale determinare con certezza
le modalità per garantire l’equilibrio della domanda e dell’offerta e, dunque, il
mantenimento del livello dei prezzi per mezzo delle logiche di mercato, evitando di sovraregolare il meccanismo mediante continui interventi di aggiustamento. In ogni caso,
qualsiasi aggiornamento dovrà avere una durata almeno quinquennale ed essere
pubblicato con un congruo anticipo.
Le tariffe incentivanti (come il conto energia del fotovoltaico) o tariffa feed-in (tariffa
omnicomprensiva dedicata agli impianti di energia rinnovabile di piccola taglia) a partire
dai livelli attuali dovranno essere caratterizzate da un tasso di riduzione, definito con
ampio anticipo, funzione sia del livello di penetrazione sia dello sviluppo tecnologico come
È necessario individuare prioritariamente il supporto alle vere fonti rinnovabili e non come
è avvenuto in passato con il provvedimento CIP 6/92. Gli incentivi devono essere calibrati
per favorire la diffusione nel mercato delle tecnologie più efficienti sul piano effettivo e
potenziale dal punto di vista tecnologico.
Si segnale infine che a pagina 111 terzo capoverso vi è probabilmente un refuso infatti la
dicitura “In una situazione di eccesso di offerta in cui il prezzo di ritiro …” rispecchia
semmai una casistica in cui è maggiormente plausibile l’eccesso di domanda e non di
offerta.
2.8 Tabella 7 - Approvvigionamento di biomassa nel 2006,
Nella valutazione specifica relativa ai rifiuti, si evidenzia che i valori sulla biomassa (rifiuti
inclusi), relativi alla disponibilità per il 2015 e 2020, non tengono in considerazione, anche
con riferimento alle disposizioni europee, della necessaria riduzione del ricorso alla
discarica soprattutto per i rifiuti con carico organico. Pertanto, nell’ipotesi che la
produzione di rifiuti urbani si stabilizzi nei prossimi anni, per quanto riguarda le previsione
al 2015, e ancora di più 2020, non può essere confermato il presupposto assunto in
tabella 7 per il 2006 (70% FORSU in discarica), e quindi dovrebbe essere conteggiato ai
fini energetici almeno quanto imputato nel 2006 come FORSU conferita in discarica.
Questione analoga interessa i fanghi da depurazione, considerate le disposizioni già
definite dalla Regione Lombardia in merito alla gestione di tali rifiuti e la presenza, in
ambito nazionale, di impianti a biomassa che utilizzano tali rifiuti, dovrebbe essere
implementata la tabella 7a relativamente a tale voce.
2.9 Paragrafo 4.6.1- Approvvigionamento di biomassa: produzione interna e scambi
Al fine di una più chiara indicazione riguardo la destinazione d’uso della biomassa, per
ogni provenienza contenuta nel piano di approvvigionamento sembrerebbe utile ripartire le
quantità indicate in funzione degli usi finali (in particolare distinguere tra filiera legno,
biogas e biocarburanti nel caso delle colture agricole dedicate a scopi energetici e dei
sottoprodotti agricoli).
17
2.10 Paragrafo 4.6.2 - Misure volte ad aumentare la disponibilità di biomassa,
tenendo conto di altri utilizzatori di biomassa
Nell’ottica di promuovere, attraverso lo sviluppo delle rinnovabili, anche l’industria di
settore occorre non dimenticare di considerare l’impatto che gli obiettivi posti
comporteranno sulle filiere industriali esistenti.
Riguardo la disponibilità di biomasse legnose, si sottolinea che in Italia l'
industria del
recupero di materiali legnosi di scarto per la produzione di pannelli ha già investito molto
nelle tecnologie per il recupero e il riciclo dei rifiuti legnosi, arrivando ad una percentuale di
utilizzo di rifiuti legnosi per la produzione di pannelli truciolari che è circa il triplo della
media europea, ed è quindi difficile ipotizzare un ulteriore incremento di questa quota.
L’industria del compensato e dei pannelli di fibre, che si approvvigionano di materiale
vergine, sono poi in diretta competizione per il materiale con gli utilizzi energetici.
Pertanto, nel paragrafo 4.6.2. “Misure volte ad aumentare la disponibilità di biomassa”
tenendo conto di altri utilizzatori di biomassa del piano, dove si fa cenno alla necessità di
monitorare l'
impatto di queste misure sugli altri settori, dovrebbe essere citata anche la
verifica dell’impatto sulla necessità di materia prima per le industrie del settore, sia quelle
basate sulla silvicoltura, sia quelle che utilizzano scarti industriali come materia prima. Un
ruolo importante sarà poi svolto dalla declinazione a livello territoriale degli obiettivi, per cui
è importante dare maggior impulso all’utilizzo energetico delle biomasse legnose là dove
la risorsa è meno utilizzata.
2.11 Paragrafo 4.7 - Uso previsto dei trasferimenti statistici tra Stati membri e
partecipazione prevista a progetti comuni con altri Stati membri
Con riferimento alle misure di cooperazione internazionale e ribadendo la necessità di
adottare misure atte a sviluppare un’industria nazionale di settore, il Piano correttamente
individua nei meccanismi flessibili un’importante opportunità per il raggiungimento
dell’obiettivo a costi contenuti grazie allo sviluppo di progetti in Paesi che presentano
condizioni più favorevoli rispetto al nostro e che dispongono di un surplus di capacità di
produzione da fonti rinnovabili.
Essi dovrebbero essere tenuti in considerazione alla luce dei limiti e dei costi associati allo
sviluppo nazionale delle tecnologie.
La possibilità di sviluppare progetti in altri Stati Membri tramite i joint projects o di trasferire
virtualmente energia dal conto di uno Stato Membro ad un altro rappresenta
un’opportunità per l’industria italiana di realizzare progetti all’estero e per il sistema Paese
di ridurre il rischio di sanzioni conseguenti al mancato raggiungimento dell’obiettivo.
Particolare interesse dovrebbe essere rivolto allo sviluppo di sistemi di incentivazione
congiunti nei Paesi in cui sono già presenti sistemi analoghi al nostro (ad esempio Albania
o Romania) e di progetti di sviluppo congiunto anche con altri Stati rispetto a quelli
individuati nel Piano (ad esempio la Spagna e la Bulgaria per quanto riguarda i Paesi della
CE e gran parte dei paesi dell’Africa del Nord, come Tunisia, Egitto, Marocco, o del Medio
Oriente per quanto riguarda i Paesi Terzi).
Tuttavia, contrariamente a quanto previsto dal Piano, si ritiene opportuno individuare le
potenzialità ed i possibili attori di tali meccanismi, ma non obiettivi quantitativi puntuali.
18
L’entità del ricorso a tali strumenti dovrebbe infatti essere determinata “in corso d’opera” in
base alle esigenze contingenti, al fine di garantire la necessaria flessibilità per il
conseguimento dell’obiettivo. La definizione di regole troppo stringenti, vista l’incertezza
circa la capacità del sistema di risolvere le criticità rilevate, comporterebbe un uso non
ottimale degli strumenti di flessibilità e delle risorse del Paese. In tal senso potrebbe
essere sufficiente individuare un range di 10-13 TWh di consumi finali elettrici che
potrebbero essere soddisfatti tramite risorse di altri Stati Membri o Paesi terzi.
In particolare sembrerebbe necessaria una maggior cautela nel computare flussi di
energia in importazione attraverso nuove linee di interconnessione da realizzare su base
merchant. L’effettiva realizzazione di tali collegamenti dipenderà comunque da diversi
fattori, tra cui la sostenibilità economica e finanziaria delle iniziative, che per loro stessa
natura potrebbero comprometterne la fattibilità.
Infine sarebbe opportuno che il Piano espliciti che l’onere del ricorso alle misure di
cooperazione ricadrà su quei settori che non saranno in grado di rispettare il proprio
obiettivo.
2.12 Paragrafo 5.1 - Contributo totale di ogni tecnologia per le energie rinnovabili
al conseguimento degli obiettivi vincolanti fissati per il 2020 e traiettoria
indicativa provvisoria per le quote di energia da fonti rinnovabili nei settori
dell’elettricità, del riscaldamento e del raffreddamento e dei trasporti
Appare utile che nelle tabelle 10a, 10b e 11 l’obiettivo di ciascuna fonte sia ripartito in
funzione della taglia degli impianti (ad esempio nel settore elettrico per il fotovoltaico:
impianti fino a 20 kWe, da 20 a 200 kWe, da 200 a 1.000 kWe, superiori a 1 MWe, per la
biomassa solida: impianti fino a 1 MWe, da 1 a 5 MWe, superiori a 5 MWe). Per quanto
riguarda invece la tabella 12, sembrerebbe utile esplicitare la voce “biometano” visto il
potenziale significativo contributo di tale fonte.
3
Il settore termico
Come già detto lo sviluppo realistico delle rinnovabili termiche contenuto nel PAN pari a
9,5 Mtep appare sottostimato rispetto alle stime di crescita elaborate dal settore industriale
per le quali il potenziale al 2020 è di 11,4 Mtep.
Tale scenario risulta anche prudenziale se si considerano i contributi del solare termico e
del solar cooling, in rapida ascesa, delle pompe di calore, della cogenerazione e dello
sfruttamento delle biomasse.
Tali aspettative si fondano su almeno due considerazioni di primaria importanza: da un
punto di vista economico, il costo di produzione di un kWh termico è nella maggior parte
dei casi inferiore a quello necessario per produrre un kWh elettrico e l’industria italiana, già
oggi molto ampia e ricca di capacità innovativa nei settori della termoidraulica (ad es.
solare termico), delle pompe di calore e degli impianti di cogenerazione, sta investendo
massivamente per trovare nuovi sbocchi di mercato.
In merito al primo punto non è trascurabile sottolineare che gli attuali sistemi di
incentivazione per le rinnovabili del settore elettrico comportano oneri in bolletta sostenuti
19
da tutti i cittadini, stimolando l’applicazione di tecnologie che generano energia elettrica e
scaricando sugli utenti del sistema elettrico gran parte dei costi.
Diversi scenari, partendo dal presupposto che la direttiva europea sulle fonti rinnovabili
non distingue tra energia elettrica e calore, indicano come sia molto più conveniente
incentivare questa seconda forma di energia per raggiungere le quote di fonti rinnovabili
fissate per ciascun paese.
Vero è che, per concretizzare i grandi sforzi che il sistema industriale sta compiendo con
ingenti investimenti, è necessaria una strategia politica di sostegno al termico per colmare
il grave ritardo ad oggi accumulato in questo settore.
Il quadro di promozione delle fonti rinnovabili nel settore del riscaldamento e
raffrescamento necessita di interventi organici di riforma strutturale. La frammentarietà e
l’incertezza che hanno caratterizzato gli strumenti di incentivazione in questo settore
hanno creato ritardi nella diffusione tecnologica non più sostenibili. La riforma strutturale
va attuata anche tramite un rafforzamento degli strumenti esistenti.
Si segnala che sebbene sia stata evidenziata la criticità rappresentata dalla
contabilizzazione dei contributi in questo settore, non pare sufficientemente delineato il
quadro di interventi necessari per ovviare a tale problema. La mancata emersione di
contributi che potrebbero risultare determinanti per il raggiungimento dell’obiettivo
potrebbe richiedere sforzi aggiuntivi ad altri settori (in particolare quello elettrico) per cui
sono già posti obiettivi sfidanti.
Per quanto riguarda i Titoli di Efficienza Energetica occorre superare le problematiche
emerse e dare maggiori certezze in termini di prospettive di mercato. In primo luogo
occorre fissare gli obiettivi di risparmio nel medio lungo periodo, oltre l’orizzonte temporale
del 2012 attualmente previsto, coerentemente con il perseguimento degli obiettivi del
pacchetto ambiente-energia dell’Unione Europea. È inoltre necessario accelerare
l’estensione del riconoscimento di tali certificati a soggetti diversi da quelli attualmente
titolati (distributori ed ESCO) come previsto dall’articolo 6, comma 4 del D.Lgs. n. 20/2007.
Occorre inoltre operare interventi mirati ad aumentarne l’efficienza per cui appare
necessario:
a) introdurre nuove schede standardizzate, ampliare e garantire l’efficacia di quelle
esistenti per facilitare gli interventi di efficienza energetica; a tal fine nuove schede
dovrebbero riguardare l’introduzione di sistemi di visualizzazione dei dati di consumi
per i clienti finali, come anche la maggiore incentivazione degli interventi di
integrazione delle rinnovabili negli edifici e nelle infrastrutture al fine di renderli più
remunerativi;
b) una revisione dell’ambito delle azioni ammesse al riconoscimento dei TEE;
dovrebbero essere interessate dal meccanismo le attività di core business dei
soggetti obbligati, in particolare le attività che riguardano la promozione e lo
sviluppo delle reti attive (smart grid), la diffusione dei veicoli elettrici e quindi di tutte
le iniziative che contribuiscono allo sviluppo delle smart city;
20
c) garantire la cumulabilità degli strumenti di incentivazione al fine di ottimizzare
l’utilizzo delle risorse in particolare per alcune tecnologie, coerentemente con
quanto previsto dal D.Lgs. 115/2008.
Il meccanismo delle detrazioni fiscali va rafforzato e stabilizzato nel tempo. Il rinnovo dello
strumento deve essere effettuato con maggior anticipo e su base triennale. Le modalità di
promozione delle fonti rinnovabili nel settore del riscaldamento e del raffrescamento vanno
migliorate al fine di aumentare l’efficacia e l’efficienza del meccanismo.
3.1 Pompe di calore per la climatizzazione a ciclo annuale
La pompa di calore costituisce una delle soluzioni impiantistiche più efficienti oggi
disponibile
nel
settore
della
climatizzazione
a
ciclo
annuale,
per
il
riscaldamento/raffreddamento e la produzione di acqua calda.
Le previsioni di successo per questa tipologia impiantistica e l’incremento della
penetrazione del prodotto derivano da aspetti legati alle caratteristiche tecniche e
dall’elevata compatibilità ambientale del prodotto, in particolare:
è possibile fornire con un unico impianto un servizio di climatizzazione estiva ed
invernale, di produzione di acqua calda sanitaria e di ventilazione meccanica.
Sono impianti che, rispetto a quelli tradizionali con sistemi a combustione, consentono
risparmi dell’ordine del 50% con una corrispondente riduzione delle emissioni di CO2.
Qualunque sia la fonte di calore ambientale, aria-acqua-suolo, consentono un impiego
del 75% di energia rinnovabile.
Migliorano la qualità dell’aria nelle grandi aree urbane perché, rispetto ai sistemi a
combustione, le emissioni locali sono nulle poiché vengono spostate verso grandi
impianti remoti dove possono essere controllate ed abbattute.
Un maggiore impiego di energia rinnovabile nella produzione di energia elettrica, riduce
ulteriormente la produzione di CO2.
Con questi impianti è possibile assicurare anche una corretta ventilazione dei locali.
Questi sistemi attingono dall'
ambiente l'
energia gratuita presente nell'
aria, nel suolo e nel
terreno. E'energia rinnovabile e per questa ragione le pompe di calore impiegano circa il
75% di energia rinnovabile gratuita catturata dall'
ambiente e il 25% di energia primaria,
generalmente elettrica; sono quindi in grado di raggiungere efficienze altissime e ridurre
anche del 50% i consumi e la relativa CO2.
Ipotizzando un tasso di crescita del mercato del 12% l'
anno, per arrivare a soddisfare con
le pompe di calore circa il 50% della domanda di servizio del residenziale e del terziario
(69% nel terziario e il 39% nel residenziale) nei prossimi dieci anni è possibile un risparmio
di energia primaria di 8 Mtep, che equivale ad una riduzione di circa 15 milioni di tonnellate
di CO2 .
Nell’ambito delle rinnovabili termiche l’apporto di questi sistemi a pompa di calore si può
stimare in almeno 6 Mtep, considerando la sola energia catturata per il riscaldamento. Altri
21
3 Mtep di rinnovabile sarebbero da aggiungere nel caso fosse possibile considerare
l’energia catturata dalle pompe di calore operanti in raffrescamento.
Tuttavia questo potenziale è riconosciuto solo parzialmente dal PAN che individua un
obiettivo al 2020 di appena 2,5 Mtep, presupponendo un tasso di crescita di appena il
4,4% l’anno.
3.2 Pompe di calore per acqua calda sanitaria
Con riferimento al settore domestico, si sottolinea che il PAN non fa esplicito riferimento al
contributo delle pompe di calore per la produzione di acqua calda sanitaria, ma si riferisce
sempre e solo alle pompe di calore per il riscaldamento/raffreddamento.
Per quanto riguarda le pompe di calore per la produzione di acqua calda sanitaria si
deve considerare che in media, in Italia, si consumano circa 50-60 litri al giorno di acqua
calda sanitaria pro capite, alla temperatura di 45 °C. Ipotizzando una temperatura
dell’acqua proveniente dall’acquedotto pari a 15 °C, si può calcolare il quantitativo unitario
di energia termica necessaria, pari a circa 1.500 kcal (1,7 kWh/g persona).
Le apparecchiature tradizionalmente utilizzate per assicurare tale fabbisogno sono gli
scaldacqua elettrici o gli apparecchi a gas.
Nel caso di uno scaldabagno elettrico, per produrre tale fabbisogno di acqua calda
sanitaria, sono necessari circa 1,94 kWhel (assumendo rendimento medio di uno
scaldabagno elettrico pari a 90%). Considerando un fattore di conversione dell’energia
elettrica in energia primaria pari a 2,54, il consumo necessario a soddisfare il fabbisogno
procapite giornaliero di acqua calda sanitaria risulta pari a circa 5 kWhep. Pertanto, una
famiglia di quattro persone consuma annualmente una quantità di energia per acqua calda
sanitaria pari a 7.200 kWhep (corrispondenti a 2.800 kWhel).
Nel caso di un apparecchio a gas sono invece necessari 2,18 kWhth (assumendo un
rendimento medio del prodotto pari al 80%), che portano ad avere un consumo in energia
primaria per la produzione di acqua calda sanitaria pari a 3.200 kWhep/anno per famiglia.
Simili valori non vanno sottovalutati visto l’alto numero di apparecchiature di questo tipo
ancora installate nelle prime case; basti prendere di esempio il parco installato di
scaldacqua elettrici con capacità maggiori di 50 litri nelle prime case nel 2009, risultante
pari a circa 5.600.000 unità2).
Le nuove regolamentazioni a livello nazionale ed europeo stanno già da tempo spingendo
verso l’utilizzo di tecnologie più efficienti (solare termico e/o apparecchi a gas ad alta
efficienza in primis); tuttavia esse non sono al momento in grado di attecchire in maniera
consistente nel parco degli impianti esistenti, a causa del loro maggior costo e della non
completa intercambiabilità tecnologica con prodotti di così semplice installazione (assenza
delle linee di alimentazione del gas, mancanza di condotti di scarico idonei, superfici a
tetto insufficienti, frequenti dispute condominiali etc.).
2
Stime Industria da fonti BRG
22
Di conseguenza al 2020 non è difficile ipotizzare un parco abitazioni prima casa nelle quali
si continueranno ad utilizzare ancora prodotti di bassa efficienza, superiore a 5 milioni di
unità; tradotto in consumi di energia, tale stock porta a generare almeno 2,7 Mtep.
Le regolamentazioni sui nuovi edifici richiedono altresì l’utilizzo di fonti energetiche
rinnovabili per la produzione di acqua calda sanitaria.
Le considerazioni che seguono sono riferite ad un potenziale di circa 6 Milioni di
installazioni.
Considerando un coefficiente di performance medio pari a 3,0 ne risulta che il consumo
procapite di energia per soddisfare il fabbisogno di acqua calda sanitaria risulta pari a 1,48
kWhep.
Il consumo annuo di una famiglia dotata di uno scaldacqua a pompa di calore si riduce
quindi a 2.156 kWhep (pari a 850 kWhel; pari a 0 se abbinato con fotovoltaico), con un
risparmio netto di 5.000 kWhep (corrispondente a 0,38 tep/anno), rispetto all’utilizzo di uno
scaldacqua elettrico.
Senza un adeguato programma di supporto nei primi anni della loro commercializzazione
gli scaldacqua a pompa di calore avrebbero difficoltà nell’imporsi, in virtù del loro maggior
costo rispetto ai prodotti tradizionali (oggi 1.100 contro i soli 350 ad esempio, di un
elettrico).
Con un adeguato programma di sostegno alla vendita garantito per almeno 3-5 anni
(ipotesi di incentivo adottata: 55% di detrazione dal credito di imposta), si ritiene di poter
accelerare la penetrazione di questa nuova tecnologia sino ad avere 3.145.000 pompe di
calore installate al 2020 (pari al 50% del parco potenziale), ottenendo un risparmio
cumulato 1,22 Mtep e contemporaneamente fornendo un valore di uso finale di energia
da fonti rinnovabili pari a 0,5 Mtep. Da non sottovalutare il contributo in termini di
tonnellate di CO2 (87,6 ktCO2/a) evitate annualmente grazie alla elevata performance
energetica di simili apparecchiature.
La tabella sottostante ricapitola lo scenario stimato attraverso un programma di
incentivazione di almeno 3 anni per il settore residenziale.
Scenario al 2020 con Incentivi nei primi 3 anni
Tipologia di
abitazioni
Nuove multiEsistenti monoEsistenti multiTotale
Scaldacqua a pompa
di calore installati
(‘000)
645
400
2.100
3.145
Quota F.E.R.
(Mtep)
0,1
0,1
0,3
0,5
Risparmio
energetico
(Mtep)
0,2
0,2
0,8
1,2
Scenario estremo (completa sostituzione del parco potenziale, pari a 6 Mln di abitazioni): risparmio
di 2,3 Mtep, contributo di FER pari a 0,88 Mtep.
Considerando anche le installazioni riferite ai molteplici usi commerciali (ristoranti,
alberghi, parrucchiere, bar, lavanderie etc.), si può tranquillamente stimare per il 2020 un
risparmio globale di 1,4 Mtep ed un totale di FER pari a 0,6 Mtep garantito dagli
scaldacqua a pompa di calore.
23
Data la rilevanza di tale tecnologia, il Piano dovrebbe considerarla ed esplicitarne il suo
contributo, pertanto:
alla tab. 11 (pag. 156) e successivo grafico, si propone di inserire una riga + grafico
dedicata alle pompe di calore per acqua calda sanitaria con previsione di contributo
FER al 2020 pari 0,5 Mtep;
Per quanto appena indicato sulla rilevanza di tale settore, si propone altresì di
sostituire in tutto il testo la frase “Riscaldamento e raffreddamento” con quella più
consona di “Riscaldamento, Acqua calda sanitaria e raffreddamento”,.
Si fa inoltre presente che esplicitare la funzione acqua calda sanitaria è in linea con l’art. 4
della Direttiva RES, nel quale si menzionano i settori “riscaldamento” e “raffreddamento”,
sottintendendo la parte di acqua calda sanitaria come integrata nel ”riscaldamento”.
Le presenti richieste sono altresì in linea con quanto indicato nel Piano stesso, che già
considera la funzione di produzione acqua calda sanitaria quando si menzionano le
regolamentazioni/ incentivi sulle FER al momento in vigore.
3.3 Pompe di calore per il comfort domestico
Gli apparecchi elettrici per il comfort domestico sono prodotti tuttora prevalentemente in
fase di prima installazione con margini di miglioramento sul fronte dell’efficienza
energetica, con un parco installato in crescita.
Circa il 95% dei climatizzatori fissi venduti attualmente hanno la funzione di pompa di
calore; ovvero la quasi totalità dei condizionatori venduti possono essere utilizzati nella
stagione fredda per riscaldare in maniera molto efficiente le abitazioni, con COP che può
arrivare a circa 4 garantendo così basse emissioni di CO2 rispetto ai sistemi tradizionali.
La direttiva di etichettatura energetica 2002/31/CE copre tutti i climatizzatori d’aria per uso
domestico e assimilabile con un limite di potenza unitaria di 12 kW che trovano utilizzo sia
nel settore residenziale sia nel settore terziario. Le valutazioni che seguono considerano le
pompe di calore etichettate con potenze tali da rientrare nel settore domestico e
assimilabile.
Negli ultimi anni al momento dell’acquisto, l’etichettatura energetica ha di fatto indotto il
consumatore di elettrodomestici a dare sempre maggiore importanza al consumo
energetico rispetto ad altri fattori. Pertanto risulta essenziale sfruttare al meglio questo
importante strumento d’informazione per incrementare l’efficienza del parco installato.
Gli incentivi all'
acquisto delle pompe di calore efficienti per il comfort termico contribuirà a
migliorare l’efficienza del riscaldamento e del raffrescamento nelle case nonché ad
incrementare l’utilizzo di fonti energetiche rinnovabili ai sensi della Direttiva europea
2009/28/CE.
Si stima che il parco installato attuale (inizio 2010) conti circa 10.600.000 apparecchi in
pompa di calore.
Nei calcoli effettuati abbiamo ipotizzato all’anno 2009 una potenza media per apparecchio
di 3,3 kW, con EER/COP 3 (valore medio parco installato) e 700 ore funzionamento (350
24
in raffrescamento e 350 in riscaldamento). Con un adeguato programma di sostegno alla
sostituzione (ad esempio con un’ipotesi di incentivo tramite detrazione fiscale del 20%,
come vigente per alcuni elettrodomestici), si ritiene di poter accelerare la sostituzione di
apparecchi in pompa di calore obsoleti con prodotti ad alta efficienza (EER/COP al 2020
pari a 5,5 che, nelle ipotesi adottate, equivale all’indice SPF) portando la percentuale di
sostituzione al 35%. Si ipotizza pertanto un parco installato di 20,6 milioni di pompe di
calore per il comfort termico al 2020, fornendo così un contributo all’utilizzo di energie
rinnovabili di circa 3,1 Mtep/anno; il contributo aggiuntivo - cumulato sui 10 anni - di tali
apparecchiature rispetto uno scenario BAU è pari a 0,6 Mtep. Da non sottovalutare la
riduzione di tonnellate di CO2 (circa 350 ktCO2/anno) emesse grazie alla elevata
performance energetica di simili prodotti.
Inoltre si sottolinea che nel conto effettuato non è calcolato il contributo per il domestico
delle pompe di calore aria-acqua, oggi esiguo, ma che ha grandi potenzialità di sviluppo al
2020.
In sintesi i benefici ottenibili con un incentivo alla sostituzione di pompe di calore per il
comfort termico residenziale si sostanziano in:
Quota FER (Mtep) anno 2020
Incremento quota FER BAU/BAT cumulata (Mtep)
Risparmio energetico BAU/BAT (Mtep)
3,1
0,6
1,3
Si evidenzia quindi il beneficio dovuto sia al maggior contributo alle FER, sia alla riduzione
dei consumi elettrici.
3.4 Caminetti e stufe a biomassa
E’ ormai ampiamente riconosciuto che la legna costituisce una valida fonte energetica
alternativa rispetto ai combustibili fossili convenzionali per numerosi motivi.
La tecnologia ha fatto passi avanti importanti anche per quanto riguarda i rendimenti: nei
nuovi prodotti si bruciano quantità di biomassa enormemente inferiori rispetto al passato
(circa il 50%) ottenendo tra l’altro un maggior calore reso attraverso una migliore diffusione
all’interno della abitazione.
L’industria italiana ha vissuto momenti di crescita interessanti grazie anche ad una forte
vivacità imprenditoriale, agevolata da un mix tecnologico/design che pochi paesi al mondo
possono vantare. Al contrario, il territorio nazionale ha risposto con una visione quasi del
tutto mono-indirizzata dal prezzo e dal design e non da parametri di qualità come
emissioni e prestazioni di prodotto.
L’industria crede invece che un’incentivazione del 36% (come in vigore attualmente – arco
temporale 10 anni - ma applicata nell’arco temporale di 5 anni), ripercuotendosi sul
numero di sostituzioni riduca di fatto le emissioni, sia in modo diretto che indiretto: in
termini di diminuzione di consumi di legna, di polveri emesse, e di risparmio energetico
nazionale incidendo sulla parte derivata dall’utilizzo di combustibili fossili.
Inoltre in tale contesto
calore/riscaldamento.
sarà
sviluppato
l’utilizzo
di
biodiesel
nel
settore
25
L’analisi considera i prodotti con una potenza termica inferiore ai 35 Kw che sono in
particolare, le Cucine economiche - Caminetti/inserti chiusi Legna - Stufe a legna idro/aria
- Stufe a Pellets idro/aria.
Si consideri che di tali apparecchiature ne sono installate circa 10 milioni, delle quali
funzionati sono circa 4,8 milioni al 2009 per un consumo stimato di 11.000.000 di
Tonnellate, pari a 5 Mtep.
Sono state analizzate due situazioni: una in assenza di strumenti di orientamento del
mercato (scenario BAU) e l’altra in loro presenza (scenario BAT).
Le assunzioni per lo scenario BAT prevedono la sostituzione delle tecnologie esistenti con
tecnologie più efficienti, in particolare (i) chiusura dei caminetti aperti con inserti (ii)
diffusione degli prodotti ad alta efficienza (con rendimento dei generatori maggiore del
75% per i prodotti a legna, maggiore dell’85% per quelli a pellet).
Pertanto, promuovendo la diffusione delle tecnologie efficienti attraverso la sostituzione
degli apparecchi vetusti si arriverebbe al 2020 a risparmiare 3 milioni di tonnellate di
biomassa (ossia 1,35 Mtep) di cui 2,7 milioni di tonnellate (1,2 Mtep) solo dalla
sostituzione di apparecchi a legna vetusti con apparecchi a legna ad alta efficienza.
Tra le misure per il raggiungimento dei consumi finali previsti nel Piano, si individua
l’utilizzo dei bioliquidi nei generatori di calore anche attraverso incentivi alla sostituzione di
vecchie caldaie e caminetti con nuove caldaie a bioliquidi ad alta efficienza energetica,
nonché attraverso una revisione dei TEE premiando, in maggior misura, l’efficienza
energetica ottenuta mediante impianti che utilizzano biomasse e bioliquidi.
Si consideri inoltre che tali tecnologie hanno una bassa soglia economica di accesso ed
una facile integrazione con altri sistemi.
L’analisi parte da due concetti chiave, uno il raggiungimento degli obiettivi nazionali in
attuazione alla direttiva RES, il secondo l’abbattimento delle polveri in aria nel bacino
padano.
Per conciliare questi due fattori siamo partiti dal dato di consumo accreditato formalmente
da ENEA, 1,5 Mtep per poter poi stimare in 4,6 Mtep di consumi di biomassa per
riscaldamento attualmente utilizzati in impianti domestici.
Successivamente abbiamo individuato le tecnologie BAT che ci permetteranno di ridurre le
emissioni in ambiente.
I risultati si possono quindi riassumere in riduzione del consumo di legna - con effetto
sull’emissione complessiva di polveri in ambiente - per cui si registrerebbe un aumento
della quota nazionale ascrivibile alle biomassa e bioliquidi in attuazione della direttiva
RES dall’attuale 1,5 Mtep al 4,5 Mtep al 2020. Inoltre si avrebbe una riduzione delle
emissioni di ogni singolo impianto in alcuni casi del 70%.
In aggiunta si deve considerare un incremento/mantenimento dell’attuale situazione
occupazionale; il mantenimento del ruolo strategico che l’industria nazionale può giocare
su mercati esteri; la promozione delle tecnologie efficienti; un maggior introito per lo Stato
con effetto sull’economia e relativo indotto ed emersione del nero; un risparmio sulla
bolletta energetica per gli utenti ed infine la creazione del primo catasto nazionale dei
26
prodotti per la certificazione dei valori di Mtep derivanti dall’uso della biomassa legnosa
per riscaldamento.
3.5 Proposte per le pompe di calore per il settore termico e per caminetti e stufe a
biomassa
a. Strumenti per la riduzione dei costi di gestione
Le tariffe elettriche, in particolare per il settore domestico, penalizzano i costi energetici di
gestione delle pompe di calore perché presentano un prezzo dell’energia ( /kWh) variabile
per scaglioni di consumo (kWh/anno) e crescente all’aumentare dei consumi: i consumi
della pompa di calore, che funziona sia nel periodo estivo sia in quello invernale, ricadono
negli scaglioni più alti con tariffe più elevate.
Tutto questo è in contrasto con lo spirito della Direttiva RES la quale, in merito alle
forniture di energia elettrica ai beni che producono energia rinnovabile (HP), prevede che
queste siano improntate sui costi reali sostenuti e quindi opportunamente depurate dei vari
balzelli che oggi aggravano i costi gestionali degli impianti alimentati da pompe di calore e
ne ostacolano la diffusione.
Inoltre è indispensabile non applicare a questa tecnologia la tariffa a scaglioni
sopraesposta, che inevitabilmente, a causa dei consumi obbligati del settore domestico, fa
ricadere la pompa di calore nella tariffa più elevata.
A titolo puramente esemplificativo, possiamo dire che nei vari periodi a fronte di un prezzo
medio di circa 6,2 cent del kWh nel mercato all’ingrosso, il cliente domestico che installa
una pompa di calore paga anche 30 cent /kWh.
E’ necessario definire per le pompe di calore, in particolare per il domestico, una tariffa
“omnicomprensiva” improntata sui costi reali e quindi opportunamente depurata dei vari
balzelli che oggi aggravano i costi gestionali degli impianti alimentati da pompe di calore e
che ne ostacolano la diffusione.
b. Regime di sostegno per la promozione delle pompe di calore nel settore del
riscaldamento e del raffrescamento
Gli strumenti previsti nel Piano, pur con l’approccio dell’integrazione delle politiche di
incentivazione, per le pompe di calore prevedono:
Detrazioni fiscali del 55% delle spese sostenute per l’installazione di pompe di
calore; per ora fino a tutto il 2010.
Come già detto è necessario che il 55% abbia un orizzonte di medio-lungo termine
per assicurare la certezza degli investimenti di processo. Inoltre sarebbe opportuno
estendere la misura anche e a tecnologie ad oggi non previste (ad es. pompe di
calore per la produzione di acqua calda sanitaria).
Vanno anche rimodellati i valori di prestazione COP e EER di alcune tipologie
(aria/acqua sotto i 35 kW) per rendere più diffuso il ricorso a questo strumento di
incentivazione.
27
Titoli di efficienza energetica
È riconosciuta anche nel Piano la necessità di un potenziamento e adeguamento
dello strumento dei certificati bianchi.
Suggeriamo un potenziamento del valore a TEP di energia primaria risparmiata
(oggi è circa dieci volte inferiore alla valorizzazione di un Tep risparmiato con il
55%). Inoltre l’incentivo dei certificati bianchi dovrebbe andare (anche) direttamente
all’utente finale.
Nel paragrafo 4.2.2 relativo alle specifiche tecniche richieste per l’accesso allo
strumento dei TEE si sottolinea che:
− a pag. 46 nell’elenco delle schede dell’AEEG manca il riferimento alla
Scheda 26 (scheda analitica per TEE che riguarda le GAHP) e
contestualmente a pag. 126 bisogna inserire la correzione che i TEE (si
applicano anche alle Pompe di calore a gas (vedi Scheda 26)
− sarebbe opportuno indicare che ulteriori iniziative (nuove schede) sono
in fase di elaborazione e non ancora pubblicate (in particolare per
l’installazione di (i) pompa di calore elettrica per produzione di acqua
calda sanitaria in impianti nuovi ed esistenti e (ii) di caminetti o stufe
alimentate a biomasse legnose in ambito residenziale con potenza
inferiore a 35 kW);
Nel par. 4.4. e 4.6 tra le possibili iniziative di supporto per promuovere l’uso di rinnovabili
rispettivamente nel riscaldamento e raffreddamento e della biomassa e bioliquidi – nonché
nelle tabelle e riferimenti vari - andrebbero elencati altri strumenti, quali:
incentivi alla sostituzione diretti al consumatore al fine di creare una leva in grado di
anticipare la domanda di sostituzione e di indirizzarla in fascia alta. Gli incentivi
diretti al consumatore riescono a trasformare molto rapidamente il mercato.
prestiti a tasso agevolato attraverso programmi di credito, nonché eventuali fondi di
garanzia istituiti con propri stanziamenti dalle Regioni, dalle Province o dai Comuni
(il prestito potrebbe essere in parte sostenuto anche con stanziamenti volontari
dell’Industria, da portare in detrazione dalla tassazione di impresa)
sgravi fiscali per l’industria grazie ai quali i produttori, per poter godere dei benefici
fiscali, sarebbero impegnati ad immettere sul mercato una gamma completa di
apparecchiature funzionanti ad energia rinnovabile e/o con prestazioni energetiche
di alto livello
anticipare subito a livello nazionale l’introduzione della definizione di aria ambiente
come fonte di energia rinnovabile di cui alla Direttiva RES. Un rapido recepimento a
livello nazionale di questa definizione accrediterebbe sin da subito le pompe di
calore ad aria come apparecchi utilizzanti fonte energetica rinnovabile,
consentendo loro una maggiore penetrazione nel mercato attraverso le attuali
regolamentazioni.
introdurre un metodo di contabilizzazione della biomassa consumata. Le stime
ufficiali non contabilizzano una grande quantità di biomassa utilizzata a livello
nazionale per produrre calore. La sola contabilizzazione dei flussi non registrati di
28
biomassa porterebbe ad un notevole contributo agli obiettivi nazionali relativamente
agli obblighi imposti dalla Direttiva RES.
Revisione e potenziamento dei TEE premiando, in maggior misura l’efficienza
energetica ottenuta mediante impianti che utilizzano biomasse e bioliquidi.
Programmi di formazione ed informazione per figure tecniche ed utenti finali.
Infine si ritiene necessaria l’immediata:
introduzione dell’obbligo nazionale di produzione di almeno il 50% del fabbisogno
energetico per Aqua Calda Sanitaria “da rinnovabile” considerando come tali anche
da “pompe di calore” e non solo “da solare termico”;
emissione dei decreti legislativi di riconoscimento della sorgenti “aerotermica,
idrotermica e geotermica” come fonti rinnovabili in tutta Italia (alcune ragioni
attualmente non le riconoscono come tali: per esempio Piemonte, Liguria, Marche
ed Emilia Romagna).
3.6 Solare termico
Oltre alla notevole esposizione del nostro territorio all’irraggiamento solare, che è già un
elemento non trascurabile a favore dello sviluppo del solare termico, vi è da valutare che
stiamo considerando un'
industria comprendente piccole e medie imprese specializzate e
grandi aziende termoidrauliche, che arricchisce di fatto il tessuto industriale italiano,
creando innovazione e occupazione e che lascia intravedere con facilità l’obiettivo di 1 m2
di pannelli installati per abitante al 2020.
Come scenario previsionale di crescita ipotizziamo che la potenza termica media per
pannello sia pari a 700 W/m2 e la produzione media annua nelle varie regioni italiane sia
pari a 760 kWh/m2 (nord), 950 kWh/m2 (centro), 1050 kWh/m2 (sud).
Inoltre si assume che per soddisfare il 50% del fabbisogno di una famiglia di 4 persone
occorrano circa 2,5 m2 di pannelli (potenza installata pari 1,7 kW).
Assumiamo che vi sia un incremento delle installazioni dei collettori solari in Italia,
soprattutto per il soddisfacimento del fabbisogno di acqua calda sanitaria nelle abitazioni,
che inciderà sempre di più in futuro sul fabbisogno complessivo dell’edificio. In base a
questa ipotesi si considera un forte impulso all’installazione di tali collettori
prevalentemente negli edifici monofamiliari e nei condomini nuovi o ristrutturati dotati di
produzione di acqua calda sanitaria centralizzata.
Nulla vieta d’installare pannelli solari in altri casi, ma si ritiene che i casi di seguito
contemplati riassumano le principali casistiche e potenzialità di questa tecnologia, che si
integra perfettamente con i sistemi di riscaldamento e produzione di acqua calda sanitaria
a combustibili fossili, in particolare a condensazione.
Si assume pertanto che per soddisfare il 50% del fabbisogno di energia primaria per la
produzione di ACS per un appartamento di circa 140 m2 (mediamente una famiglia di 4
persone) occorrano circa 2,5 m2 di pannelli (potenza installata pari 1,7 kW).
29
Lo scenario cumulato al 2020 si basa sulle seguenti ipotesi:
Edifici monofamiliari – ristrutturazioni e/o interventi sull’impianto
− Numero stimato di edifici appartenenti a questa tipologia: 7 milioni
− Ciascun edificio è dotato in media di una superficie di collettori solari pari a 2,5
m2, per una potenza termica di 1,75 kW, che fornisce una produzione di ACS di
0,18 tep/anno. La superficie complessiva di collettori solari su questa tipologia di
edificio sarà quindi pari a 17,5 milioni di m2, pari a 12.250 MW, per una
produzione di energia pari a circa 1,23 Mtep
Edifici monofamiliari – nuove costruzioni
− Numero stimato di edifici appartenenti a questa tipologia: 550.000
− La superficie complessiva di collettori solari su questa tipologia di edificio sarà
quindi pari a 1,375 milioni di m2, pari a 962,5 MW, per una produzione di
energia pari a circa 0,1 Mtep.
Condomini nuovi o ristrutturati con ACS centralizzata - ristrutturazioni e/o interventi
sull’impianto
− Numero stimato di edifici con impianto centralizzato: 1.000.000 condomini.
− Media di 6 unità abitative per condominio, per un totale di circa 6 milioni di unità
abitative.
− Ciascun condominio è dotato in media di una superficie di collettori solari pari a
15 m2, per una potenza termica di 10,5 kW, che fornisce una produzione di ACS
di 1,08 tep/anno per condominio.
− La superficie complessiva di collettori solari su questa tipologia di edificio sarà
quindi pari a 15 milioni di m2, pari a 10.500 MW, per una produzione di energia
pari a circa 1,05 Mtep.
Condomini nuovi o ristrutturati con ACS centralizzata - nuove costruzioni.
− Numero stimato di edifici con impianto centralizzato: 88.000 condomini.
− Media di 6 unità abitative per condominio, per un totale di circa 528.000 unità
abitative La superficie complessiva di collettori solari su questa tipologia di
edificio sarà quindi pari a 1,320 milioni di m2, pari a 924 MW, per una
produzione di energia pari a circa 0,09 Mtep.
La tabella che segue riassume la situazione:
30
A questi valori sono da aggiungersi tutti gli interventi di:
− edilizia non residenziale: ad esempio alberghi, ospedali, case di riposo, carceri,
palestre, piscine, etc;
− “solar cooling”: particolare attenzione meritano i sistemi di raffrescamento solare, che
rappresentano una tecnologia in forte espansione, che utilizza l’energia termica
proveniente dalla fonte solare nel periodo in cui questa è maggiormente disponibile e
necessaria, ovvero durante il periodo estivo per la produzione di freddo. Il settore, nel
quale le aziende stanno pianificando grandi investimenti in ricerca e sviluppo, trova
già oggi applicazioni di interesse.
Quanto sopra evidenziato lascia quindi intravedere con facilità il traguardo di 1 m2
installato per abitante, ovvero superiore ai 3 Mtep e di gran lunga superiore a 1,4 Mtep
della bozza di Piano d’azione attualmente in consultazione.
Al fine di raggiungere tale potenziale è necessario garantire un sistema di incentivazione
stabile nel tempo e, a tal proposito, si sottolinea la necessità di:
prorogare degli incentivi del 55% successivamente al 2010, almeno nel medio
periodo;
incentivare i sistemi ibridi con tecnologie solari termiche + elettriche e dei sistemi
avanzati ad alta efficienza (es microCHP);
prevedere l’“ecoprestito” per l’acquisto di tecnologie ad alta efficienza, tra cui i
pannelli solari termici, eventualmente sostenendo il prestito ai cittadini anche
con stanziamenti volontari dell’industria da portare in detrazione dalla tassazione
di impresa;
mantenere l'
attuale “premio efficienza energetica" nel Conto Energia Fotovoltaico
come stimolo indiretto all’utilizzo del solare termico;
prevedere un contributo dato in base a valori tabellari (una tantum ad installazione
avvenuta, variabile in funzione della dimensione dell'
impianto) per impianti fino ai 30
2
m di superficie e di un “conto energia termico” (attraverso conta calorie applicato
all’impianto e sistema di trasmissione dei dati a un soggetto terzo), per impianti di
taglia superiore ai 30 m2.
Rileviamo inoltre che lo strumento dei certificati bianchi non è oggi economicamente
conveniente per incentivare anche quei numerosissimi piccoli e medi interventi che
concorrerebbero all’obiettivo finale, ma che rischiano di rimanere solo sulla carta.
Cogliamo con interesse il proponimento della bozza del Piano d’Azione laddove si indica
di attivare strumenti logicamente simili alle detrazioni fiscali per gli interventi con tempi di
31
ritorno elevati o dimensione minore ed eseguiti da soggetti diversi da imprese. Le risorse
potrebbero essere raccolte con le stesse modalità con le quali sono coperti gli oneri
connessi ai certificati bianchi.
Con riferimento al tema della semplificazione e all’abbattimento delle barriere non
economiche è necessario che, pur nel rispetto del burden sharing regionale con la
condizione che tutte le regioni fondino la loro politica ambientale dal punto di vista tecnico
su standard europei riconosciuti (ad es. norme EN), vi sia un forte coordinamento
nazionale per evitare distorsioni nell’applicazione di uno strumento legislativo di
fondamentale importanza.
A tal fine è auspicabile che si proceda al più presto a definire le modalità applicative per
l’obbligo, per tutte le categorie di edifici pubblici e privati, nel caso di nuova costruzione o
di nuova installazione o ristrutturazione degli impianti termici, di assicurare la copertura di
almeno il 50% (20% per edifici in centri storici) del fabbisogno annuo di energia primaria
richiesta per la produzione di acqua calda sanitaria con l’utilizzo di fonti rinnovabili.
In un contesto di abbattimento delle barriere non economiche e per una piena diffusione
delle fonti di energia rinnovabile chiediamo che si valuti la possibilità di accesso a livello
nazionale a premi volumetrici e sconti di urbanizzazione per i costruttori edili che utilizzano
le tecnologie solari, sulla base di quanto è da tempo in atto in alcuni Comuni virtuosi con
una buona rispondenza pratica.
Per quanto riguarda invece la certificazione o qualificazione degli installatori, riteniamo
importante formare i profili delle figure di installatori di sistemi con energie rinnovabili, che
sono sempre più complessi ed evoluti; parimenti riteniamo che lo schema di qualificazione
debba essere volontario e guidato dall’industria per evitare di “ingessare” il mercato in
attesa della definizione di uno schema di qualificazione.
Solleviamo infine l’attenzione su una possibile criticità legata all’ipotesi di regolamentare e
sostenere economicamente l’immissione di biogas opportunamente trattato nella rete del
metano, laddove tecnicamente possibile, oppure, nei casi di elevate concentrazioni di
biogas, sostenere anche la realizzazione di reti di trasporto del biogas alla rete del gas
naturale. Ricordiamo che è attualmente in corso una valutazione legata alla definizione di
nuovi parametri di qualità del gas distribuito in rete come richiesto dal mandato M400 della
Commissione Europea. E’ pertanto questo un tema da valutare con molta attenzione per
evitare problemi di incompatibilità o danneggiamenti sugli apparecchi esistenti, a volte
anche molto obsoleti.
Come ultima nota citiamo quanto riportato a pag. 89 della bozza di Piano d’Azione, ovvero
che lo sviluppo del teleriscaldamento e del teleraffrescamento, soprattutto se abbinato alla
cogenerazione, è ritenuto utile per più obiettivi: risparmio ed efficienza energetica,
riduzione dell’inquinamento delle città e sviluppo economico e occupazione. Riteniamo
che l’atteso Piano straordinario per l’efficienza energetica debba esprimersi proprio in
materia di risparmio ed efficienza energetica e chiediamo che ciò venga fatto sulla base di
evidenze scientifiche e di dati oggettivi; nel fare ciò riteniamo che debbano essere
considerate altre “best available technology” (ad esempio generatori di calore a
condensazione abbinate a pannelli solari termici) che, soprattutto nella riqualificazione
dell’esistente, possono garantire importanti obiettivi di risparmio ed efficienza energetica
con costi-benefici non trascurabili.
32
4
Trasporti
La quota di biometano (biogas depurato e immesso in rete) appare sottostimata e
andrebbe incentivata anche in considerazione della notevole diffusione in Italia di
autoveicoli alimentabili a metano (soprattutto nel trasporto pubblico) e della capillarità della
rete di distribuzione del gas naturale.
Per quanto riguarda i biocarburanti di seconda generazione appare utile monitorare gli
sviluppi tecnologici nei prossimi anni per valutarne l’effettiva potenzialità al raggiungimento
dell’obiettivo al 2020.
4.1 Ipotesi di sviluppo dei biocarburanti al 2020
Gli obiettivi di energia rinnovabile da impiegare nel settore dei trasporti, indicati nel piano,
sono coerenti con le ipotesi di consumi finali di energia nei trasporti ipotizzati al 2020. La
previsione di tali consumi è stata determinata prevedendo un consumo finale lordo di
energia per i trasporti al 2020, di 38.544 kTep (Scenario di riferimento) che si riduce a
33.975 kTep con misure di efficienza energetica supplementare. Ne consegue un obiettivo
di energia da fonti rinnovabili da traguardare nei trasporti di 3.397 kTep.
Ai fini del calcolo dell’obiettivo per i trasporti, devono essere considerati i biocarburanti
ricavati da rifiuti, residui, sottoprodotti, alghe materie prime non alimentari.
Dall’analisi del Piano non emergono con chiarezza le misure di efficienza energetica
supplementare che portano ai consumi finali previsti e poiché tale dato è rilevante sia ai
fini della stima di energia rinnovabile nei trasporti che per la ripartizione di tale energia
nelle varie misure è opportuno che le ulteriori misure di efficienza energetica vengano
evidenziate con maggiore visibilità.
Per promuovere ulteriormente le misure di efficienza energetica e allinearsi ai consumi
finali previsti nel Piano, si dovrebbero prevedere agevolazioni a sostegno degli impianti
nazionali di produzione di biodiesel che ottengono miglioramenti in termini di efficienza
energetica (valutata per tonnellata di biodiesel prodotto).
Si dovrebbero, altresì, prevedere agevolazioni a sostegno degli impianti nazionali di
produzione di biodiesel che utilizzano il sottoprodotto glicerina quale materia prima
energetica.
Tuttavia, per la parte relativa ai trasporti sono stati correttamente previsti quantitativi di
biodiesel e bioetanolo al 2020 abbastanza in linea con le attuali specifiche tecniche
(massimo 7% in volume di biodiesel nel gasolio e 10% in volume di bioetanolo nella
benzina) specifiche tecniche che, per l’industria motoristica, devono essere confermate
fino al 2020.
4.2 Sviluppo futuro delle specifiche tecniche dei carburanti e dei biocarburanti
I volumi di biocarburanti ipotizzati nel Piano al 2020 rappresentano la massima quantità
utilizzabile in linea con la possibilità di miscelare percentuali di biocarburanti di prima
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generazione (bioetanolo e biodiesel) nelle benzine e nei gasoli alle attuali specifiche (7%
vol. per il biodiesel e 10% vol. per il bioetanolo in conformità con la Direttiva 2009/30/CE).
La previsione di un volume superiore non sarebbe accettata dall’industria motoristica in
questo periodo.
Lo sviluppo di specifiche adeguate e totalmente condivise dall’industria automobilistica,
che consentano di rispettare una completa intercambiabilità dei carburanti, rappresenta la
condizione indispensabile per accettare volumi crescenti di biocarburanti nel settore dei
trasporti. In assenza di tale specifiche non possono essere gestite percentuali di
biocarburanti di prima generazione superiori alle attuali.
La Direttiva 2009/28/EC (RED), che impone l’uso del 10% di energia da fonti rinnovabili in
tutte le forme di trasporto entro il 2020 comporterà una miscelazione di biocarburanti nelle
benzine e nei gasoli superiore rispetto alle attuali percentuali.
La Direttiva 2009/30/EC (FQD), che prevede un regime di sostenibilità per i biocarburanti
equivalenti ai dispositivi introdotti dalla Direttiva 2009/28/EC (RED), per quanto riguarda la
benzina, ha regolamentato unicamente un grado della benzina ad alto contenuto di biofuel
(max 10% vol. di bioetanolo).
Le nuove caratteristiche ambientali dovranno ora essere recepite nella Norma prEN 228
del CEN, che fissa i parametri della benzina sia in termini ambientali che prestazionali.
Per quanto riguarda il gasolio, il limite al contenuto di FAME (biodiesel) è del 7% Vol. ma,
ai sensi della Direttiva 2009/30/EC, gli Stati membri possono autorizzare l’immissione sul
mercato di diesel con contenuti di FAME superiori al 7%.
L’Italia adeguerà le specifiche tecniche dei biocarburanti alle specifiche che saranno
adottate e concordate con l’industria petrolifera, motoristica e dei produttori di biodiesel, a
livello comunitario.
E’ pertanto importante confermare senza modifica le ipotesi di sviluppo dei biocarburanti di
prima generazione in prospettiva 2020 riportate nella bozza di Piano attualmente in
inchiesta.
4.3 Criteri di sostenibilità ambientale dei biocarburanti e verifica della conformità
4.3.1 Criteri di sostenibilità ambientale dei biocarburanti
Nel Piano è previsto che il principale meccanismo nazionale volto a promuovere l’utilizzo
delle energie rinnovabili nel settore trasporti è costituito dall’obbligo di immissione in
consumo di una quota minima di biocarburanti, a carico dei fornitori di carburanti. Viene
anche specificato che per i biocarburanti, è necessario tenere conto solo di quelli che
rispettano i criteri di sostenibilità della direttiva 2009/28/CE (articolo 5, paragrafo 1, ultimo
comma).
Le condizioni di sostenibilità dovranno riconoscere maggior valore, ai fini del rispetto
dell’obbligo della quota minima, ai biocarburanti ricavati dai rifiuti, da residui e sottoprodotti
o comunque di seconda generazione, e a quelli che presentano maggior vantaggi in
termini di emissioni evitate di gas serra ed anche attraverso lo sviluppo di filiere produttive
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per l’ottenimento di biocarburanti di seconda generazione e lo sviluppo di filiere produttive
di biodiesel prodotto da materie prime di origine non alimentate come ad esempio alghe e
tabacco, oltre ai rifiuti, ai residui e ai sottoprodotti.
Si dovrebbero introdurre inoltre misure volte a sostenere l’impiego in extra rete di biodiesel
miscelato al 25% e, nel contempo, si sosterrà la revisione delle norme tecniche per un
graduale aumento della percentuale miscelabile in rete.
Si dovrebbero, altresì, introdurre, in particolare, misure volte a sostenere l’impiego di B25
e/o biodiesel puro:
− nel settore della nautica da diporto con particolare riferimento alle caratteristiche di
biodegradabilità in acqua;
− nel settore della moto pesca;
− nel settore del gasolio agricolo, con adeguata rimodulazione dell’agevolazione delle
accise.
La conformità alla direttiva 2009/28/CE deve essere dimostrata rispetto al prodotto finale.
Allo scopo di contribuire allo sviluppo di sistemi volontari di "certificazione" per la
sostenibilità dei biocarburanti e dei bioliquidi ai sensi dell'
articolo 18, paragrafo 4, della
direttiva 2009/28/CE, potrebbe essere richiesto agli operatori di certificare la “catena di
rintracciabilità” basata sul metodo dell’equilibrio di massa, quale sistema in cui le
caratteristiche di sostenibilità rimangono associate alle partite di prodotto finito (biodiesel)
e non alle partite di olio da avviare all’esterificazione.
Potrebbe essere adottato anche un sistema di certificazione analogo a quello istituito in
Germania.
Inoltre, per scongiurare distorsioni al mercato globale dei biocarburanti con adempimenti
amministrativi impropri ed in grado di determinare gravi ripercussioni sul prezzo dei
prodotti, è necessario sottolineare l’importanza di evitare eccessive rigidezze burocratiche
nel definire le regole per le verifiche delle certificazioni ambientali e di assicurare la
massima semplificazione per gli adempimenti a carico dei soggetti obbligati.
4.3.2 Verifica della conformità
Il Ministero della Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, ha elaborato uno studio che
definisce la metodologia per il calcolo della riduzione delle emissioni ad effetto serra del
biodiesel, confrontando i valori ottenuti con i valori standard di riduzione delle emissioni ad
effetto serra riportati nell’Allegato V alla direttiva 2009/28/CE.
Le filiere analizzate hanno riguardato il biodiesel da semi di colza italiani e da semi di
colza francesi, il biodiesel da soia italiana, il biodiesel da olio di palma proveniente dalla
Malesia, nonché da seme di girasole nazionale. La metodologia ed il calcolo dei valori
emersi saranno utili per la definizione del quadro normativo nazionale. La procedura per la
verifica del rispetto dei criteri di sostenibilità della filiera agroalimentare sarà basata sulla
norma UNI 22005:2008.
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Per i biocarburanti prodotti al di fuori dell’Unione Europea o a partire da materia prima
proveniente da paesi terzi, si farà ricorso agli accordi bilaterali o multilaterali
eventualmente conclusi dalla Commissione ai sensi dell’art. 18, paragrafo 4, della Direttiva
2009/28/CE.
In alternativa, il prodotto o la materia prima proveniente da Paesi extra comunitari,
dovranno essere accompagnati da certificazione rilasciata da Ente certificatore accreditato
a livello europeo. Per la verifica del rispetto dei criteri di sostenibilità per i biocarburanti di
cui all’art. 18 della direttiva 2009/28/CE, il prodotto dovrà essere accompagnato da
certificazione rilasciata da un Ente accreditato, secondo parametri individuati e
regolamentati dalla normativa europea e/o nazionale.
Per quanto riguarda i biocarburanti di seconda generazione, si valorizzerà la produzione
da rifiuti, da residui e da sottoprodotti e si promuoveranno le attività di ricerca e sviluppo
finalizzate alla produzione di biocarburanti da materiale ligno-cellulosico. In tale senso il
Ministero delle Politiche Agricole e Forestali ha finanziato attività di ricerca applicata che
saranno realizzate nel prossimo triennio.
4.4 Armonizzazione del Piano e del recepimento della Direttiva 2009/28/CE con la
legislazione nazionale vigente
La legislazione vigente sui biocarburanti prevede l’obbligo di immissione in consumo di
una quota minima di biocarburanti, a carico dei fornitori di carburanti. La quota di
biocarburanti stabilita per il 2010 è pari al 3,5% su base energetica che per il 2011 cresce
al 4% e nel 2012 al 4,5%. Come strumento per il monitoraggio e la verifica
dell’adempimento all’obbligo, sono stati istituiti i “certificati di immissione in consumo di
biocarburanti”, emessi dal Ministero delle Politiche Agricole avvalendosi dell’Agenzia per le
Erogazioni in Agricoltura (AGEA).
Per il futuro si conta di agire principalmente con lo strumento dell’obbligo della quota
minima, nel rispetto delle condizioni di sostenibilità e con attenzione allo sviluppo di
biocarburanti di seconda e terza generazione, nonché alla sostenibilità sociale dei
biocarburanti. Le condizioni di sostenibilità potranno essere utilizzate in modo da
riconoscere maggior valore, ai fini del rispetto dell’obbligo della quota minima, ai
biocarburanti ricavati dai rifiuti, residui e sottoprodotti, o comunque di seconda
generazione, e a quelli che presentano maggior vantaggi in termini di emissioni evitate di
gas serra.
Si richiede che l’obbligo di utilizzo esclusivo di biocarburanti certificati sotto il profilo
ambientale sia introdotto con gradualità per consentire agli operatori di pianificare con
attenzione gli approvvigionamenti di prodotti necessari al rispetto della legislazione
italiana.
In particolare la Direttiva 2009/28/CE differisce al 1° aprile 2013 l’obbligo di certificazione
ambientale per i biocarburanti prodotti in impianti già in servizio al 23 gennaio 2008.
Richiediamo conseguentemente che ai fini del rispetto degli obblighi vigenti con la
legislazione nazionale, la certificazione ambientale dei biocarburanti venga imposta a
partire dal 31 dicembre 2013. Prima di quella data esigere una certificazione ambientale
creerebbe pesanti distorsioni al mercato dei biocarburanti.
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Con il recepimento della Direttiva 2009/28/CE andrebbe inoltre recepito nell’ordinamento
nazionale anche la possibilità di ricorrere a biocarburanti di seconda e terza generazione
nonché a quelli ricavati dai rifiuti residui e sottoprodotti, o comunque di seconda
generazione, e a quelli che presentano maggior vantaggi in termini di emissioni evitate di
gas serra, nonché a quelli che consentono di raggiungere più agevolmente gli obiettivi
fissati (B25 - biodiesel miscelato al 25%, B100, bio-metano, HVO, ecc.).
4.5 Biocarburanti di seconda generazione ed impiego di elettricità nei trasporti
Il Piano prevede al 2020 l’impiego di 250 kTep di Biodiesel di seconda generazione e di
100 kTep di bioetanolo/ETBE sempre di seconda generazione. Inoltre è stato ipotizzato un
utilizzo di auto elettriche tali da generare un consumo di energia elettrica da fonti
rinnovabili nel trasporto su strada pari a circa 100 kTep.
Sulla base dello stato dell’arte attuale non è possibile fare previsioni sulla correttezza di
tali ipotesi. Ciò nonostante, in presenza di una rapida evoluzione delle tecnologie di
riferimento, le ipotesi del Piano potranno essere confermate o addirittura superate.
Si evidenzia che qualora lo sviluppo di queste nuove fonti di energia rinnovabile nei
trasporti non dovesse rispondere alle aspettative attese, sarebbe oltremodo difficoltoso
ribaltare i consumi mancanti di energia rinnovabile sui biocarburanti di prima generazione i
cui limiti sono stati ampiamente illustrati in precedenza.
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