baddhittu 140 settembre 2 012 (2)
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e-mail [email protected] n° 140 SETTEMBRE 2012 anno 11 TEMPIO PAUSANIA ASSOCIAZIONE TURISTICA PRO LOCO TEMPIO UNO SGUARDO ALLE NOSTRE RADICI LU BADDHITtiTmUpiésu ACCADEMIA TRADIZIONI POPOLARI “CITTA’ DI TEMPIO” dal 1966 Da questo mese una nuova rubrica, curata da Bastianu Scanu, cultore appassionato di poesia e tradizioni, ci aiuterà a ricordare o a conoscere ex novo antiche parole della nostra splendida lingua che purtroppo si stanno perdendo. PARAULI ANTICHI a cura di Sebastiano Scanu Accunoltu: rassegnazione. Faceva parte delle cerimonie funebri: dopo la sepoltura, quelli che avevano partecipato al funerale si recavano presso la famiglia del defunto per confortarli e indurli alla rassegnazione. Es.: “Mustra un pientu amu- rosu e sunzéru/massimu candu 'eni accunoltu.” (Da “Si molgu e vi se' tu no vóddu ammentu” di Pétru Alluttu). Attilóiu: baccano. Es.: “A folza d'attilóiu in corso matteotti il BAR — GELATERIA COMU SI DICI “QUASI LEZIONI” DI TEMPIESE a cura di Gianmario Pintus Fustialbu: gattice, pioppo bianco Fustialbu di pippà o vitialbu: vitalba Gjàcia: ginepro maschio Ghjuncu di mari o zinnia: sparto Ghjuncu di padula: scialino, giunco triangolare Riali: osmunda, felce reale, palustre focciu tantu/chi dugnu m'intendi e si n'affrici.” (Da “Chi invidia ch'aggju di la solti...” d'Antoni Paggjólu). USI COSTUMI TRADIZIONI POPOLARI a cura di Mario Pirrigheddu COM’ ÉRAMI a cura di Nicola Deriu Questo mese vogliamo sapere dove è posteggiata la vecchia motocarrozzella che si vede nella foto sbiadita elaborata su PC da Gerolamo Baffigo. La foto del n° 138/139 crediamo che siano stati in pochi ad individuarla: éra la fila di casi addananzi a l’ACLI, il vecchio cinema di don Mureddu, la jesgja di Santu Franciscu Sciaéri a lu cumenciu di via Dettori. CUREMUCI CU L’ALBA a cura di Giovanna Rau Giovanna Rau Francesco De Rosa a proposito dei banditi scrive: Quando un gallurese commette, o viene imputato d’azione criminosa che gli metta innanzi agli occhi il tetro fantasma del galeotto o del recluso, rammentando il vecchio adagio È’ meglio uccel di bosco che di gabbia, batte la campagna, contento, piuttosto che cadere sotto gli artigli della dea Astrea, la quale, implacabile com’è, potrebbe privarlo di quella libertà che è a lui così cara di vivere all’aperto esposto alle intemperie, all’imperversar delle tempeste, al furioso scatenarsi dei venti, al cader (segue a pag. 5) Curemuci cu l’almulatta, sinapi o senape bianca La Senape, dal nome scientifico Sinapis alba L. è una pianta erbacea a fitInformatica e tone, con foglie alterne, picciolate peTelematica Venditalose, ispide nel picciolo e sulle nervatuAssistenza re. I fiori sono in racemi, gialli e provia Padre S.Vico 13/a fumati. Frutto a siliqua, cresce spontaTempio tel. 079 631048 nea nei campi, nelle zone ruderali. Fax 079 634688 Si utilizzano i semi macinati che danno [email protected] la farina di senape bianca. I principi MUTTETTI attivi sono: mucillagini, il glucoside sinalbina, oli grassi. La senape bianca è Cilcati, agattati e adducati usata soprattutto in cucina, meno in fitoterapia perché più da Maria Lucia Pirrigheddu usata è la senape nera. Le proprietà sono stomachiche, diLa Patrona di Gaddura gestive perché stimola la secrezione della mucosa gastrica, l’emu noi in Locusantu ha anche proprietà lassative per le mucillagini che la pianta incurunata da cantu contiene. E’ necessario utilizzarla con cautela perché può cussi bedda criatura produrre irritazione all’apparato digerente, specie se usata (La più bedda di Gaddura di di frequente. Ha anche proprietà Ciccheddu Mannoni dedicata antiscorbutiche. L’uso più frequente è quello culina- alla Madonna di Luogosanto) rio, si usa infatti come condimento piccante nei cibi, in salsa per preparare la mostarda. A Castel Sardo alla fine dell’800, nella Settimana Santa si usava mangiare pane di mostarda. A Gonnosfanadiga nei casi di polmonite si applicava sul torace, un da panno con una miscela di lino e senape. In Tempiu si spalmàa la troverai i numeri Maria Lucia Pirrigheddu BAFFIGO pianta pistata cu un pocu d’ociu innantu a li caicioni. COM’ÉRAMI in Gaddura: LURISI a cura di Mario Pirrigheddu-Antonello Concu con il prezioso contributo di Andrea Rasenti Una antica foto dell’Archivio di Luigi Cabras ci presenta la Stazione di Luras nel VII anno dell’era fascista e che accompagna le rime del poeta. Lurisi a contu soiu vilmatu cu lu logudoresu ill’istazzu parò, lu vaeddu è gadduresu (Andrea Rasenti) arretrati del BADDHITTU timpiésu di Giovanni Pirrigheddu Tempio Pausania tel. 079-670449 c.ne S. Sebastiano TESSUTI TENDE RIVESTIMENTI NUOVA ESPOSIZIONE D I T T I G A D D U R È S I e COSSI a cura di Giuseppe Pintus Dugnunu sà cosa buddi illa so’ pignatta Ognunu sa ciò chi boddi in a so pignatta ALLELLELLOMBA da la zirrióla al computer di Giovannino Maciocco LA PILUTTEDDA Traduzione: la pallottola Occorrente: una pallina di piombo (simile ai pallettoni che i cacciatori usano per il cinghiale), monete di metallo di diverso valore. Come si gioca: si mettevano per terra, una sopra l’altra, le monete in numero uguale al numero dei giocatori e tutte nello stesso verso (testa o croce in su). Si stabiliva l’ordine di inizio; si lanciava quindi il solito sasso, lu mastru, a una distanza di 8/10 metri e ognuno tirava la sua ‘mbrestia cercando di collocarla il più vicino possibile a lu mastru. Il primo giocatore prendeva la piluttedda e, mirando attentamente, la lasciava cadere dall’altezza di circa un metro (a piacere) sul mucchietto di monete. Per il peso della pallina le monete saltavano e si sparpagliavano per terra: quelle che, per la botta, si giravano, erano preda del giocatore che per primo aveva lanciato. Compito più difficile per la verità toccava al secondo: il colpo era diretto su una singola moneta e non sempre si riusciva a farla girare. leggete LU BADDHITTU timpiésu Pagina 2 Non voglio un premio per la mia fine. Racconta, però, con parole semplici alla gente di domani, destinata a darmi il cambio che ho lottato sino all’impossibile e sono caduto infuocato. PER NON DIMENTICARE CURRAGGJA SOLIDARTE 2012 Il giorno 16 settembre alle ore 17, nei locali dell’Ufficio Turistico, si terrà l’estrazione dei biglietti che concorreranno all’assegnazione di decine e decine di premi: opere donate da artisti locali e non e opere donate da privati. Avete tempo fino al giorno 16 per procurarvi qualche biglietto, magari uno di quelli vincenti e contribuire alle realizzazione di parco giochi nella nostra citta. Con questa edizione 2012 l’ Associazione Amici di Monica ha già realizzano un Parco giochi nell’Oratorio San Giuseppe, un altro, verrà realizzato a breve in Viale don Sturzo. Inoltre due giochi sono stati donati a due Asili cittadini. Grazie a tutti e grazie agli artisti e donatori: Agnese Usai, Yura Agostina Zaccagni Alessandro Derudas Alessandro Fadda Anfossi Angela Mundula, Angelo Porqueddu Anna Grindi, Anna Palitta Antonella Giglio, Baffigo Uomo e Donna Bruna Scano, Bruno Masu Carla Girelli, Cinzia Arras Don Josef Ackarian Luigi Santinello Elisa Pedroni, Ettore Brai Forgiarini Franca Palitta,Antonia Ruzzu Francesca Orecchioni Franco Pellegrino Gian Franco Cossu Gian Mario Azzena Gian Pio Porcu, Gavino Ganau Giovanna Cherchi, Lusso Giuseppe Gatto Giuseppe Pellegrino Giuseppe Pintus, Giuseppe Loi Giusy Lattuneddu Graziella Diana La Nuvola, Liceo artistico Lina Alias, Luisella Stangoni Luca Raineri, Luigi Mureddu Luigi Stazza,Angela Urgeghe Mannoni arredamenti Marco Petitta, Marco Zola Margherita Balata Maria Antonietta Pirrigheddu Maria AntoniettaCusseddu Maria Baltolu, Marica Casu Maria Franca Strusi Masino Luciano, OK Pelle Massimo Dessena,Nica Bazzu Matteo Aisoni,Pietro Inzaina Nino Demuro,Tipografia2000 Paola Scano,Pasquale Ciboddo Paolo Salis, Patrizia Pitzianti Pier Paolo Carta, Piero Gala Piermario Mureddu Piero Romano,Stefano Manca Pina Bisson, Sara Bauchmann Quirico Piana, Rossella Pintus Simone Sanna, Teresa Alias Tino Magnani, Tosca Romano Tomaso Pirrigheddu Tonina Pasta Fresca Vittorina Maciocco “Pensiero dell’Eroe” e foto di Nino Solinas pubblicati sul n° 2 del 1988 di CM3 GALLURA 28 LUGLIO 1 9 8 3 GIGI MAISTO MARIO GHISU DIEGO FALCHI NINO VISICALE TONUCCIO FARA CLAUDIO MIGALI TONINO MANCONI SALVATORE PALA SILVESTRO MANCONI PER NON DIMENTICARE GLI EROI DELLA COLLINA DI CURRAGGJA Come ogni anno Tempio, il 28 luglio, ha ricordato i suoi eroi nella “Giornata Nazionale di prevenzione contro gli incendi”. Una seduta del Consiglio Comunale, nel quale si è ricordato il sacrificio di chi ha voluto salvare la propria città. Un corteo con Autorità civili e militaPersone, odori, sapori, profumi, preghiere ri si è diretto alla Collina di Curraggja dove è stata deposta una corona sul monumento. Il pomeriggio dopo la Santa Messa ritornano alla mente del poeta quando da celebrata da S.E. Mons. Sebastiano Sanguinetti, un’altra coro- giovane, con gli amici più cari trascorreva na è stata deposta nel Mausoleo dove riposano le nove vittime giornate spensierate sulle alture del Limdi quei tragici giorni del lontano 1983. Ma se sono passati tanti bara: esperienze che appagavano non solo anni il ricordo è ancora vivo e si sente in tutte le manifestazioni. il corpo ma soprattutto lo spirito. La Giornata della memoria si è conclusa al Teatro del CarmiLIMBARA: AMMENTI DI CIUINTURA ne, dove una splendida Daniela Poggi ha interpretato con pasLimbara a li tò cimi sione e trasporto i toccanti testi scritti per l’occasione da Mons. Canti ‘olti socu alzatu Sanguinetti. Sono stati momenti intensi e di vera commozione Canti ciurrati hagghiu passatu che hanno coinvolto emotivamente non solo il pubblico del Ammirendi li tò 'agghìmi Teatro del Crmine ma anche chi seguiva la diretta televisiva Arrugghiendi pa li tò camini sul canale satellitare Sat 2000. Apprezzati ed applauditi i momenti musicali proposti con stra- Stirrati e sulatii cu lu sóli e cu la nii Canta cióia hagghiu pruatu ordinaria bravura da: Francesco Demuro, Coro di Neoneli, In li tanti 'olti chi vi socu alzatu Daniela Tamponi, Coro Gabriel, Giusy Deiana, Luigino A facc'a a mani a Ghiucantinu s'andàa Cossu, Giovanni Puggioni, Alessio Devita, Karel Quartet, Pal vidé lu sóli nascendi da lu mari Anna Maria Carroni, Orlando ed Eliseo Mascia. Un grazie da tutti i tempiesi a chi si è impegnato e ha collabora- Pal nói éra cosa eccezionali E l'anima sciolta a li più alti sféri alzàa to per la riuscita della Giornata. Per ultimo vogliamo citare chi da anni, dietro le quinte lavora e organizza: l’Assfor, il suo pre- M'ammentu ziu Barore e ziu Franciscu: sidente Salvatore Scrivia e Angelo Mavuli, deus ex machina e Li pécuri alzàani da lu mari a la muntagna Palchì d’ stìu, in Multaragna regista della piece teatrale. (Luigi Pirrigheddu) Agattàani pasculu più friscu. Chiddu latti appena muntu Chi sapia di multa e albabarona Era cosa cussì bona Chi ancóra n'agghiu lu saóri in bucca E lu miciuratu chi zia Maria A la séra da la conca ni bucàa Appena unu l'assagghiàa li paria d'esse in pasticceria E li rusari ricitati a séra Cu l’esploradóri ghiunti a campeggià Lu sóli, chi a l'altu emisféru andàa, e uniti ci lassàa in un’irreali atmosféra. Ammenti di ciuintura Chi cummóini a cassisia Agghia autu la 'intura D'alzà a Limbara in bona cumpagnia. (Salvatore Masoni) . VIA MANNU E DINTORNI a cura di Bruno Vargiu Altro personaggio degno di menzione è Baignu lu zoppu in arte bandiadori. Era il corrispondente dell'annunciatore pubblicitario televisivo o radiofonico odierno. Arrivava con passo svelto, ancorché claudicante, con una tromba da caccia d'ottone in mano che ogni tanto scuoteva per far sgocciolare la saliva che vi era colata avendoci soffiato poco prima. Brevi soste nelle bettole (allora numerose) che si trovavano lungo il percorso per dare più vigore alla voce, e via. La tappa precedente era stata nella zona Funicédda e Palunéddu. Prendeva posizione nei gradini di zia Pasca, nostra dirimpettaia e, avendo davanti a sè tutta la lunghezza di via Mannu, dopo essersi rapidamente aggiustato i pantaloni nel punto vita tirando su la cintura, si schiariva la voce ed emetteva tre squilli di tromba. Il primo annuncio lo effettuava, credo, in LA e il volume di emissione era regolato come se i destinatari del messaggio fossero a cento metri: Ciarrettu di Castéddu arriat'abal'abà in piazza di lu malcatu. Il secondo annuncio, preceduto da un altro squillo, era decisamente in tonalità calante per far meglio capire che si era passati ad altro messaggio, o forse perchè la sua voce tendeva naturalmente a calare: Mazza, córi, fiétu, pulmoni e parasangu in la maccelleria d' Antuniccu Sindiésu!. A volte erano comunicati ufficiali della Amministrazione Comunale relativi agli orari di erogazione dell'acqua: S'avvelti la populazioni, chi dumani, l'ea mancarà da li nói finz'a li cincu di sirintina!. Terminati gli annunci si dirigeva verso la Angelo ACCOGLI revisioni auto e moto * Officina * Elettrauto ora anche AGENZIA PRATICHE AUTO Passaggi di proprietà TEMPIO PAUSANIA Viale don Sturzo n° 38 tel. 079/630398 Piazza del Carmine, tappa successiva, scuotendo la tromba come all'arrivo e snocciolando nel frattempo una serie di improperi se i ragazzi non avevano mantenuto il sufficiente silenzio. AIUTACI per continuare la pubblicazione del BADDHITTU timpiésu Se ancora non l’hai fatto PUOI CONTRIBUIRE in 3 modi: offerta libera che potrai consegnare personalmente -o versala sul c/c postale n°42198150 si ti ’eni meddu cu l’IBAN n° IT26 V076 0117 2000 0004 2198 150 intestato a: ACCADEMIA TRADIZIONI POPOLARI CITTÀ DI TEMPIO NOZZE La Redazione del Baddhittu timpiésu è felice di congratularsi con i novelli sposi REBEKA NIKOLLA MAURIZIO MANNONI che si sono uniti in matrimonio il 22 luglio scorso nella chiesa di San Pietro. Gli auguri affettuosi estesi a Caterina e Martino, fedeli lettori del Baddhittu, e a li parenti di la spósa. LU BADDHITTU timpiésu BULICHENDI IN INTERNET a cura di Mario Pirrigheddu Nella BNE Biblioteca Naciónal de España abbiamo recuperato un vecchio giornale CARAS Y CARETAS pubblicato a Buenos Aires, Argentina, il 15/9/1917 in cui è riportato un racconto scritto da Salvatore Farina (Sorso 1846-1918) un importante e famoso scrittore di origini tempiesi. Il padre, Agostino Farina, fu magistrato negli anni ‘50 dell'800, aveva iniziato la sua carriera nel suo luogo d'origine, a Tempio, e aveva prestato servizio come procuratore del Re di Sardegna a Tempio, a Nuoro, a Sassari in quei centri urbani aveva amministrato la giustizia, e a Nuoro anche le carceri. La madre Chiara Oggiano apparteneva ad una famiglia benestante originaria di Sorso. Non siamo riusciti a reperire il testo italiano quindi abbiamo affidato il compito di tradurre dallo spagnolo, al nostro collaboratore Luigi Pirrigheddu. Il Farina, si è ispirato ad un fatto vero e questo racconto, ambientato a Tempio nella prima metà dell’800, ha la conferma, che riportiamo alla fine, fornita da Franco Vacca, in una testimonianza riportata su La Beltula.it. Le due immagini che pubblichiamo accompagnano il testo originale che ha per titolo CRIMEN Y CASTIGO In un giorno del 1838, arrivò a Tempio, in Sardegna, proveniente dalla vicina Corsica, un giovane sacerdote vestito alla maniera francese, con pantaloni e fibbia d’argento, giubbotto e cappello da prete. Alto e forte, snello e vivace, giovane che aveva più di 30 anni. Se non fosse stato sposato con la chiesa cattolica, forse avrebbe fatto qualche vittima tra il gentil sesso, avendolo voluto. Però non voleva. Altri pensieri passavano per la sua testa che non l’idea di una moglie. Il suo amore era la musica. In questa, il giovane sacerdote, che i tempiesi già chiamavano don Joc, impiegava tutto il suo tempo e anche il denaro del quale non sembrava preoccuparsi. Oltre alla musica, don Joc aveva un'altra passione. Conosceva molto bene varie lingue europee, tra queste vi erano il francese e l’italiano, ed era capace di insegnarle agli adolescenti che desideravano apprenderle. Con tutte le buone qualità che possedeva, si conquistò da subito le simpatie della popolazione e con le sue maniere cortesi, ogni famiglia lo accolse con gentilezza ed era oggetto di tutti i tipi di attenzioni e omaggi. Nel frattempo don Joc continuava a insegnare ai ragazzi e alle ragazze le grammatiche neolatine. Però la sua vera sposa, la tiranna della quale era innamorato, era sempre e solo la musica. Don Joc insegnava a suonare strumenti a corda e a fiato, tra i quali il flauto, il clarino e la tromba. Non solo suonava questi e altri strumenti, ma era anche un prodigioso solfeggiatore. E cosi riuscì a formare attorno a lui un circolo di giovani: dalle sue labbra pendevano non meno di trenta giovani. Tutti questi appassionati di musica, in breve tempo, formarono un orchestra strumentale che mai Tempio aveva visto qualcosa di simile. Quando si esibivano in piazza, nella Chiesa o in teatro, tutti gli abitanti di Tempio abbandonavano le loro case per assistere a questi concerti. Il Vescovo di quel tempo, amante della musica sacra e pagana, era mons. Capece, che in vari modi si complimentava con il sacerdote corso. Don Joc apparve un po’ curioso agli occhi di tutti: per la sua condotta, per le lezioni che dava, per la direzione d’orchestra e il canto, per amore di Dio… gratis; poiché non aveva spese ne retribuzione adeguata, fece il patto con le famiglie dei giovani musicisti che era quello di ricevere un pane fresco il giorno in cui in casa facevano l’abitudinaria infornata. Questo pane che riusciva a raccogliere due volte alla settimana, come era uso corrente nelle famiglie sarde di quell’epoca, don Joc lo distribuiva ai poveri. E anche questo aumentava la buona reputazione del giovane e misterioso sacerdote. Era chiaro che don Joc non aveva bisogno di niente; che la sua modesta vita, con rispetto per se stesso, era per gli altri ricca in beneficienza. E si ha anche la prova che ricevette da lontano somme di denaro non considerevoli, ma sufficienti per permettersi una decorosa indipendenza. In quel tempo, prima ancora che il misterioso Joc arrivasse in Sardegna dalla Corsica, viveva a Tempio un certo Pancrazio Ordioni: anche lui di origine corsa che rimase cieco in età adulta. Suonava il violino, e facendosi accompagnare da una o due chitarre sarde aveva acquisito la fama di grande musicista. Anche se la sua fama mai corrispose al merito, Ordioni si era reso prezioso nelle allegre comitive o in teatro, ogni volta che vi erano delle danze. Quando a Tempio comparve il misterioso Joc, tutto il prestigio di Ordioni scomparve. E l’invidia cominciò a muoversi nel cieco, che, non poteva dirsi che era stato totalmente ferito per la cecità, perché trovava senza sbagliarsi tutte le strade, partecipava a tutti i lavori, fino al punto di poter decidere che gli occhi sono un lusso inutile per chi sa godere degli altri sensi. Forse Pagina 3 Ordioni diventò completamente cieco, quando la sfortuna lo mise al fianco di Joc, che conosceva le Muse. L’epoca alla quale mi riferisco era di governo assoluto. A Tempio regnava, in nome del Re di Sardegna, il nobile Salazar, che aveva il titolo di Comandante Militare: titolo rispettato e temuto nelle albe grigie di un rinascimento che si annunciava solo in lontananza. Salazar, forte del suo incarico, non era un uomo amato; trattava i sudditi tempiesi con la vanteria tipica di certi nobili, ricchi soprattutto di una grande presunzione rivelatrice di una mentalità povera. Una notte, del 1840, il prete Joc divertiva il pubblico tempiese a teatro, dirigendo un concerto musicale nel quale prendevano parte i suoi amati ragazzi. Il Comandante militare si trovava tra gli spettatori, nel suo palco personale; piaciutogli uno dei brani eseguiti, incaricò il suo factotum, un certo Salias, di ordinare a Joc di ripetere il pezzo. Quelle parole “ordine del comandante” suonarono tanto male che stonarono anche alle orecchie attente di chi ascoltava gli armoniosi suoni. Joc, non abituato forse a ricevere ordini da qualsiasi, rispose: “Dite al vostro comandate che Joc non riceve ordini da nessuno”. Il comandante, in quel momento imbarazzante, non dimostrò di essere stato ferito nel suo orgoglio; ma appena però, conobbe come il sacerdote ebbe accolto il suo desiderio, si affacciò fuori dal palco, e con parole offensive e il viso arrossato, ripeté l’ordine a Joc. Il sacerdote non si scompose: con voce forte e piena di fierezza, disse: “Quando saprete chi sono io, scuoterete la vostra arroganza, e non mi darete più ordini”. E detto questo abbandonò il teatro. Quella notte venne ricordata come la notte dello scandalo. Agli occhi di ogni tempiese il nobile Salazar perse tutto il suo decoro. Quel comandante vanitoso non era certamente un eroe. Egli aveva impartito un ordine superiore nonostante ipotizzasse l’alto rango di Joc; e poiché non poteva apertamente vendicarsi per l’ingiuria, che fece? Ricorse all’insidia. E nella notte del 5 giugno del 1840, Joc fu ucciso nella propria casa. Gli alunni, che tanto amavano il maestro, la mattina seguente alla notte del delitto, trovarono il cadavere del generoso uomo nelle scale del pianerottolo: nelle pareti vi erano molte tracce di una mano insanguinata. E tutti gli scalini erano sporchi di sangue. Sul corpo dell’artista-sacerdote, si contarono 30 pugnalate. Il numero delle ferite fece pensare che la vittima si fosse difesa e che l’assassino non era stato solo uno. L’uccisione dell’amato sacerdote, del corsicano Joc, aveva riempito di paura l’animo affabile per natura dei tempiesi e afflitto fortemente i buoni. Il giorno dei solenni funerali celebrati in onore del misterioso morto illustre, si videro molti tempiesi piangere per il generoso sacerdote corsicano giunto in terra sarda per trovare una morte orribile. Durante il governo assoluto, quasi dispotico, nel quale un orgoglioso Comandante di piazza poteva primeggiare sopra gli altri mortali a tal punto di prendersi gioco degli onesti, vi era tuttavia in Italia una forza modesta, fastidiosa per i malfattori, alla quale mai nessun comandante era riuscito a comandare. Questa forza modesta e veramente forte era il Magistrato che faceva sempre giustizia e la cercava di continuo. All’omicidio ignominioso seguì un breve periodo di silenzio. Ogni tempiese, cercando le cause che avevano portato all’aggressione, esprimevano tranquillamente le loro opinioni al riguardo. Ma il tribunale restava in silenzio. Dopo aver effettuato l’autopsia del cadavere, registrato sommariamente l’orribile fatto, sembrava che ogni cosa fosse stata messa a tacere. Attorno allo spaventoso crimine regnava il più assoluto silenzio. Tuttavia, in un giorno dello stesso mese di giugno, il giudice inviò una lettera al comandante Salazar, invitandolo a presentarsi per essere interrogato. E bastò questo semplice invito del giudice per sconvolgere la mente del nobile Salazar. Salazar, senza nemmeno essere interrogato, iniziò a dire frasi incoerenti, proclamò la sua innocenza, invocò la buona amicizia che lo univa al procuratore, e fu vile, sia nel chiedere la sua salvezza, sia nell’essere stato una canaglia, per fare male agli altri, per incolpare gli altri. Da quel momento il procuratore, il Signor Cartasciac, trovò la prova che il mandante era il viceré Salazar. Il Procuratore era furbo; non si dichiarò contro di lui, onde evitare di essere, lui stesso, la prossima vittima; al contrario, non lo accusò nemmeno; lo incastrò in una rete di domande per ottenere qualche indizio e arrivare agli esecutori materiali del delitto. Ma l’orgoglioso Comandante, cadde in quella rete, imprigionato in essa: era già perso. Dal momento in cui era comparso davanti al procuratore Cartasciac, il Comandante non chiedeva niente, si sottometteva, stava castigato: anche se fosse tornato al suo trono di despota, il prepotente sarebbe stato sempre un debole, era un un uomo (Segue a pagina sei) Pagina 4 GIULIO COSSU nei ricordi di Marilena Sechi A qualche anno dalla scomparsa intendo onorare il ricordo di professor Cossu, le cui spoglie giacciono in una zona centrale dell'area cimiteriale di Tempio in una semplice tomba di granito, di quel granito che orna ed arricchisce il panorama gallurese da lui amato e cantato in tante opere. Scrivo questa pagina non perché non si sappia abbastanza di lui, ma per offrire una mia testimonianza personale insieme a quanto egli stesso mi raccontò poco tempo prima della morte. Giulio Cossu rimarrà nella memoria di quanti lo conobbero come uno dei più grandi rappresentanti della cultura gallurese del Novecento e i posteri, per molti anni ancora, ne leggeranno le opere con stima e ammirazione. A lui vada tutta la nostra riconoscenza per le virtù umane, per le raffinate doti letterarie, per l’onestà e profondità intellettuale, per tutti quei suoi caratteri personali insomma, che hanno contribuito ad arricchire il nostro patrimonio culturale e a rendere onore alla nostra città. Nacque a Tempio in via Roma, nel tratto che da piazza Gallura conduce verso San Giuseppe, in una casa situata di fianco a quella dell’ingegner Secchi, anch'egli illustre cittadino tempiese che molti sicuramente ricordano. Era il 6 dicembre del 1920 e i suoi genitori furono Mario Cossu e Tomasina Spano. Ebbe due fratelli di cui il primo, Fausto, fu ufficiale dei carabinieri ed eroico protagonista delle vicende antifasciste della seconda guerra mondiale; costui alla testa dei suoi uomini ebbe il merito di liberare la città di Piacenza dai Tedeschi, per cui fu insignito di una medaglia d’oro dal Comune di Tempio nel 1999. Il secondo invece, Gerolamo, portò avanti l’attività commerciale del padre legata al mondo del sughero, trasferendosi ad Asti dove già da tempo viveva lo zio, fratello della madre. Il padre, da sempre occupato nel settore sughericolo, presto si rivelò persona di ottime capacità imprenditoriali; recatosi in Francia ed esattamente a Marsiglia per vendere una partita di turaccioli, diede inizio ad una intenso commercio con quella nazione che determinò la sua fortuna economica e gli consentì di offrire alla sua famiglia ogni tipo di agio e soprattutto di mantenere i figli agli studi. Giulio, a 5 anni,frequentò la prima elementare presso le maestre Depollon (o Depaul o Depol), (Mercedes, Antonina e Gennarina, note insegnanti dalle lunghe vesti nere che per tanti anni tennero le loro lezioni al secondo piano di un antico palazzo di via Gramsci a due passi da Piazza Di l'Ara. Esattamente trent'anni dopo anch'io avrei frequentato questa scuola !) e proseguì gli studi senza problemi in un periodo in cui la cultura tempiese era dominata da personaggi di spicco come il prof.Sansan al quale egli fu sempre legatissimo; conseguì la laurea in Lettere nel 1943 presso l’università di Cagliari all’età di 22 anni. Ma i suoi anni universitari furono travagliati dalle tristi vicende belliche; infatti, iscrittosi prima all’università di Firenze, per due anni poté frequentare i corsi solo sporadicamente poiché impegnato nel servizio militare; a Firenze ottenne dal professor Bianchi Bandinelli una tesi di archeologia su cui lavorare, ma non fu possibile portare a termine gli studi in quella sede poiché la guerra si era inasprita a tal punto da farlo optare per un trasferimento all’università di Cagliari dove ebbe subito l’opportunità di conoscere professor Giovanni Lilliu già a quel tempo illustre studioso d’ar-cheologia e di protostoria sarda; propose allora al Lilliu un titolo per una nuova tesi di laurea, con un argomento originale ed intelligente che fu accettato con entusiasmo dallo studioso cagliaritano: “L’arte greca classica e il suo legame con la filosofia contemporanea”. I terribili bombardamenti che in quel periodo dovette subire anche la città di Cagliari inizialmente considerata un porto sicuro, determinarono il trasferimento della sede universitaria ad Oristano. Giulio ottenne dal comando militare un mese di licenza per le attività connesse alla discussione della tesi di laurea; tornato quindi a Tempio per alcuni giorni, poté salutare i suoi famigliari prima di ripartire per Oristano; fu allora che il treno sul quale viaggiava fu colpito dalla mitragliatrice di un aereo inglese che sorvolava la zona nelle vicinanze di Giave. L’episodio determinò il blocco del treno da cui i viaggiatori scapparono atterriti. Egli rimase al proprio posto ad osservare incredulo quel maledetto aereo che li aveva colpiti: dopo qualche istante lo stesso aereo andò in malora in quanto, in seguito ad un movimento rotatorio di avvitamento, si incendiò e precipitò a breve distanza, non perché colpito dalla contraerea, ma probabilmente per un guasto. “Dio provvide a salvare in questo modo gli inermi viaggiatori che pensavano solo ai fatti loro!” esclamò Giulio. Arrrivato ad Oristano a notte fonda, andò alla ricerca di una casa il cui indirizzo gli era stato fornito in precedenza da conoscenti,... una casa che lo accogliesse in occasione della sospirata laurea. La città era però avvolta nel buio e per un po’ di tempo andò vagando alla cieca senza sapere dove si trovasse; perciò, non sapendo dove andare, bussò ad una porta qualunque per avere informazioni: gli aprì un’anziana signora molto gentile che, compreso il bisogno del giovane viaggiatore/laureando, lo ospitò con cortesia e senso di responsabilità, in vista della data fatidica, cioè del giorno successivo che sarebbe stato appunto il giorno della laurea. Ad un certo momento la signora, non sapendo che cosa offrirgli da mangiare, si fece pensierosa e scomparve per alcuni minuti per ricomparire subito dopo con un vassoio di arance fresche colte al momento nel suo giardino. Gliele offrì commossa, come dono per quella occasione: era tutto quel che aveva! Ma il giorno seguente, tra i laureandi i cui nomi figuravano in un elenco esposto al pubblico, rischiò di non laurearsi poiché un professore della commissione, per una svista aveva saltato il suo nominativo. Egli, trepidante e ansioso, tacque e solo alla fine trovò il coraggio di farsi avanti per far presente l’accaduto; dopo tante peripezie, po- LU BADDHITTU timpiésu teva forse perdere quell’occasione? Il professore per fortuna gli diede appuntamento per il pomeriggio e tutto andò per il meglio, ma il voto di laurea non fu alto: 95! Egli, sebbene scrupoloso e preparatissimo, afferma però di esser stato sempre agevolato dalla carriera di militare grazie alla quale ottenne dei privilegi e dei permessi speciali per il conseguimento dei suoi obiettivi di studio.Tornato a casa nel novembre successivo, gli fu offerta la prima supplenza presso la Scuola Media di Tempio la cui preside era già allora Prudenza Murgia (!), ma nel periodo successivo sembrò che non dovesse accadere più niente quanto ad attività lavorativa. Pensò allora di iscriversi alla Facoltà di Farmacia per poter contare su una professione sicura per il futuro. Si recò quindi a Sassari per informarsi a questo proposito ed iscriversi al nuovo corso di studi, ma tornato a Tempio subito dopo, ottenne un incarico a tempo indeterminato come insegnante di lettere e quindi abbandonò il progetto precedente. Dopo qualche mese fu indetto un concorso a cattedra a Roma, ma il programma da preparare gli sembrò di dimensioni assurde; tentò comunque, senza molte speranze, di affrontarlo, consapevole però dell’arricchimento culturale conseguito per un suo continuo aggiornarsi in occasione di innumerevoli lezioni private da lui già impartite fino a quel momento a tanti e tanti studenti galluresi, in italiano, greco, latino, storia, geografia e francese. A Roma il compito scritto del concorso consisteva in un tema da svolgere in latino, incentrato sui caratteri della civiltà alessandrina rapportati a qualcosa che non ricordo e su cui avrei dovuto informarmi (ma non ne ho più avuto l’opportunità!). L’impegno gli sembrò gravoso, ma egli svolse il tema in modo tale da soddisfare i suoi esaminatori; tant’è vero che nella lunghissima graduatoria finale, poiché i partecipanti al concorso erano diverse decine di migliaia, trovò per fortuna il suo nome, al quart’ultimo posto, ma lo trovò! La sua carriera di professore di liceo fu conosciuta e apprezzata da un gran numero di studenti; col tempo egli diventò il professore d’italiano per eccellenza della città di Tempio anche se qualche volta la sua magnanimità fu scambiata per debolezza da quelli che son stati i suoi allievi più…distratti. Ad un certo momento, per necessità contingenti, dovette affrontare tutte le responsabilità del Liceo Classico di Tempio nel ruolo di vicepreside, per l’improvvisa assenza del preside prof.Perinu; quindi fu preside del Liceo stesso per cinque anni fino al 1985, anno della sua andata in pensione. All’età di 16 aveva affrontato un intervento di appendicite a Sassari, con complicazioni talmente gravi da far pensare ad una fine imminente, ma sopravvisse. Nel treno colpito dal fuoco dell’aereo inglese, aveva ugualmente rischiato la morte, ma era destino che si salvasse, tant’è vero che ha avuto la possibilità d’invecchiare nella sua bella casa di via Roma che il padre aveva acquistato dal noto commerciante genovese Sanguinetti. Giulio è stato scrittore, poeta, storico; ha ricevuto importanti incarichi, è stato commissario d’esame in concorsi di stato. Conosceva bene il dialetto tempiese ormai scomparso, conosceva la musica e suonava il pianoforte, si dilettava di pittura (molti suoi lavori ornavano le pareti delle numerose stanze di casa sua), ha collaborato alle attività culturali dell’Università della terza età e ha goduto gli anni della maturità nella sua elegante abitazione di via Roma, infastidito soltanto dall’artrosi e dalla sordità; durante gli ultimi tempi, poiché non sentiva squillare né il telefono, né il campanello di casa, per prendere un appuntamento con lui era necessario lasciargli un biglietto nel cassettino della posta in cui indicare giorno e ora d'arrivo: egli era solito allora far trovare aperta la porta di casa… Professor Cossu spiegava le lezioni con sentimento e partecipazione (molti ritengono a ragione che queste lezioni fossero di livello universitario!) e permetteva a chi non provava interesse di non ascoltarlo e di chiacchierare disinvoltamente, poiché egli possedeva un senso della libertà altrui che forse non posso spiegare, cioè riteneva che per un certo tipo di discorso occorreva la maturità necessaria per apprezzarlo e perciò non si arrabbiava quasi mai; solo qualche volta spazientito, ma non più di tanto, si alzava e disegnava un grande “2 artistico” alla lavagna, un 2 con occhi sognanti e cravattino a pois: era quanto prometteva agli studenti pigri, ma alla fine... non manteneva mai... la promessa. Per ascoltare bene le sue spiegazioni era necessario spostarsi al primo banco, poiché altrove... si chiacchierava... senza problemi. Ricordo la profonda sensibilità manifestata nel commento di un certo tipo di poesia o di personaggi dei romanzi come, per esempio, quelli del Verga… spesso era commovente e durante l’ascolto capitava di doversi asciugare qualche lacrima! Ricordo ancora la sua bella relazione del 1965 in occasione dei settecento anni dalla nascita di Dante Alighieri nell’Aula Magna dell’antica sede del liceo classico (convento degli Scolopi), il lungo applauso che ne seguì… e la commozione di colleghi e studenti...Spesso appariva sul suo volto un velo di tristezza e probabilmente la tristezza era uno dei caratteri costitutivi della sua personalità.Fu sempre magnanimo cogli studenti che cercava di incoraggiare attraverso bei voti sia nello scritto che nell'orale; comunque, quando arrivava il giorno degli scrutini i bei voti venivano assegnati solo se meritati pienamente. Ora, poiché la sua scomparsa avvenne in dicembre come la sua nascita, ricordiamo per un istante il freddo dell’inverno nella sua poesia Natali Di nii incappucciatu Ghjucantinu / Si idi allonga da lu mé balconi Ma son sicura che la vita eterna lo ha condotto verso una nuova primavera… dove Lu celi ha di pruinca lu culori (Primmaéra) in quanto... tuttu lu ch'è e lu ch'era/è come bolu di entu/chi passa illa carrera (Intrinata) Addio professore! Marilena Selis Foto Archivio: Vittorio Ruggero LU BADDHITTU timpiésu Pagina 5 FESTA DELL’UVA SETTEMBRE 1934 a cura di Mario Pirrigheddu Una festa le cui sole testimonianze sono date dalle immagini che qualche anno fa, la Signora Cicu ci aveva fatto avere, assieme a qualche notizia riportata sul retro delle foto e a qualche ricordo letto da qualche parte. Non le abbiamo pubblicate prima perché volevamo corredarle con ulteriori notizie, curiosità, ma purtroppo, nonostante le nostre ricerche non siamo riusciti a trovare nulla. Durante il periodo fascista in un settembre del 1934 i tempiési parteciparono alla prima Festa dell’uva. Molte facciate delle case tempiési, di Piazza Gallura e via Roma, furono adornate da ghirlande di fiori, verdi frasche, grappoli, pampini d’uva e manifesti. Una sfilata con carrul’a boi, debitamente addobbati di verde e da cui spiccavano grandi brutoni d’ua bianca e niédda e carichi di bambini e figuranti passava tra due ali di folla. Arricchivano la sfilata numerose ragazze tempiési che indossavano l’antico costume locale riportato alla luce qualche anno prima da un gruppetto di tempiesi e non, capeggiati da professor Giovanni Andrea Cannas, tutti appassionati di tradizioni popolari. Il successo della manifestazione si vede dalla folla che assisteva alla manifestazione Riportiamo quanto scritto sul retro delle fotografie: Nel secondo carro, partendo da sinistra si riconosce la Signora Dalila Spano e nel terzo carro le Signore Cappai. Nella foto con il manifesto SALUS si riconoscono le bambine Rosanna Seazzu e Bianca Giua vestite di bianco. Se qualcuno OCCORRONO 4 DONATORI AL GIORNO! dei nostri lettoUno potresti essere tu! ri ha dei ricordi Dona e fai donare c/o il su questa festa, CENTRO TRASFUSIONALE li condivida con noi e sareaperto tutti i giorni sabato compreso mo ben lieti di dalle 8.00 alle 12.00 pubblicarle sul nostro PASTA FRESCA da Tonina giornale. PRODUZIONE GIORNALIERA DOLCI TIPICI rivendita specialità sarde: FORMAGGI SALUMI LIQUORI Via Sassari, 24 e C.so Matteotti Tempio Pausania tel. 079 633280 CHISTU SOCH’ÉU a cura di Mario Pirrigheddu Con gli ultimi caldi una foto invernale innevata è piacevole, soprattutto con una macchina scappottata. Nella foto del 1972, elaborata su PC da Gerolamo Baffigo, abbiamo riconosciuto Gerolamo Spano, Leonardo Derosas e i compianti Tonuccio Fara e Raimondo Sanna controllati a vista da Josto Mio Babbo. USI COSTUMI TRADIZIONI POPOLARI (dalla prima pagina) delle piogge e delle nevi, e ai cocenti raggi del sole; mancante spesso di nutrimento e d’un misero giaciglio in cui possa riposare; lontano dai vecchi genitori, desiderosi che egli chiuda loro gli occhi al sonno della morte; dall’affettuosa e dolce compagna della sua vita; dai teneri figli tanto bisognosi d’aiuto e protezione; ramingo, perseguitato senza tregua, dalla fazione nemica e dalla pubblica forza. Non si creda no, che egli, appena messosi al bando della legge, si dia al ladrocinio o al mestiere infame del sicario: se ciò si avvera si contenta meglio d’andare incontro alle più desolanti privazioni ed alla stessa morte, che torcere un capello a persone contro cui non abbia ragione di rammaricarsi. Egli ama è vero la libertà più che ogni altra umana cosa, ma al di sopra della libertà ama la nomea di bandito onesto e cortese, come lo furono tutti gli altri della Gallura, onde non v’è pericolo che si renda colpevole d’azione biasimevole o per avidità di danaro, o per farsi vile strumento dell’altrui vendetta. E’ sufficiente un tozzo di pane, mangiar pietanze è per lui rarissima cosa, d’un pò d’acqua bevuta all’onda di limpidissima fonte, e d’un sottile strato di foglie secche in qualche grotta, nelle spaccature delle rupi, sulle cime inaccessibili dei monti o nel covo abbandonato di qualche animale. Ciò che non gli dà generosamente la natura, se i parenti non sono in grado di aiutarlo, egli lo chiede all’amicizia ed alla carità dei pastori, contento di supplicare e di stender la mano ai generosi, che di allungarla per impossessarsi col furto o con la rapina, della roba altrui. E non solo egli non commette azione criminosa e riprovevole che non sia a scopo di vendetta o di legittima difesa, o per castigare meritatamente un infame delatore, nei quali casi è improbabile ed efferato; ma non permette neppure che altri commettano, nelle cussorgie, o nei pressi ove dimora, e trovasi di passaggio, crimine o delitto che possa venire a lui addebitato, e se qualcuno ardisse farlo, sa egli costringerlo a restituire il mal tolto ed a fargli pagare in modo più spiccio e grave il fio della di lui scellerataggine. E non solo non vuole che si attenti alla vita ed alle sostanze altrui, ma nemmeno di macchiarne la fama e l’onore con le calunnie o col venir meno alla parola data da qualcuno ai parenti d’una fanciulla di farla sua sposa; che se ciò facesse, si prende egli l’incarico di metter a senno l’imprudente e far accordare all’offeso la dovuta riparazione. LU BADDHITTU timpiésu Pagina 6 DA LA PISCHINACCIA AL DEMURO a cura di Tino Pintus — (Foto: Archivio Vittorio Ruggero) Una foto dei tempi epici della Pischinaccia. Anche se in bianco e nero, le condizioni del campo di gioco, l'impermeabile del guardalinee e qualche ombrello aperto, fanno pensare ad una tipica giornata novembrina tempiese, eppure l'appassionato pubblico non manca, ordinatamente assiepato dietro la precaria recinzione. Erano gli anni mitici della SEF che spadroneggiava su tutti i campi della Sardegna, quando ancora il calcio regionale viveva di poche grandi sfide. I personaggi immortalati nella foto sono, ai più, abbastanza riconoscibili a partire da Giovannino Zicchina, classico trequartista, che successivamente, come allenatore, ha allevato decine di generazioni di giovani calciatori. Quindi Salvatore Luciano Jadditthu, attaccante furbo e rapido, che dopo la carriera da calciatore è rimasto vicino al Tempio in qualità di massaggiatore, continuando a giocare sino ad età avanzata nei Tornei estivi. Infine Aldo Manconi, possente centromediano.Quarto della foto Masino Azara ineffabile ed elegante guardalinee. BULICHENDI IN INTERNET — CRIMEN Y CASTIGO (dalla 3° pagina) ABBISABBISA E IRRISPOSTI la cui ragione cominciava a vacillare. Fu rinchiuso nel manicomio di Cagliari e morì pazzo. Le indagini del A LA PASTURINA procuratore non avevano dato molti frutti. Prima che il Comandante, spinto dalla pazzia, si fosse tradito a cura di Sebastiano Scanu e tradito i suoi consiglieri, la voce pubblica indicava come autori dell’assassinio il cieco Ordioni (il pessi- ABBISABBISA: di Salmo violinista rosicchiato dall’invidia), l’ufficiale del Comandante chiamato Franceschi e il factotum Sa- vadóri Moretti dittu Mulias. Come istigatore veniva indicato l’orgoglioso Salasar. I deliri del comandante attaccato dalla pazzia rettu di 'Ignóla che lo puniva senza pietà, portarono un altro indizio al magistrato. Come prima cosa, arrestò il violinista Sarìa lu me’ piacéri cieco, dopo ispezionò la casa, trovando nel pozzo interno i vestiti insanguinati e tre pugnali che erano d'aesse cuntentu e sanu. serviti per l’omicidio. Il cieco malfattore aveva sempre vissuto con una sorella minore, che, incalzata Un cammellu in Marianu dalle domande del magistrato, e in presenza dei vestiti strappati, insanguinati e dei pugnali trovati nel I’à présa ch'éra murendi pozzo, per non incorrere nell’accusa di complicità, confessò che in quella notte fatale, il fratello era tornato a tarda notte, l’aveva svegliata, l’aveva obbligata affinché lo aiutasse a lavarsi, a cambiarsi i ve- palchì s'éra maggjinendi isciuta da lu salottu, stiti macchiati e danneggiati, e a buttare nel pozzo la prova del malvagio crimine. Anche il giudice Cardi chjamà lu patriottu, tasciac, per avere un maggior convincimento della verità, aveva dovuto cercare nella casa del morto e ch’è in Francia pumpiéri. nei suoi vestiti. Come risultato di queste indagini, si accese un'altra luce, e questa fu che il sacerdote lu me' piacéri... Joc era il figlio naturale di Luciano Bonaparte, fratello del grande Napoleone, e di una principessa Bar- LUSarìa FINI: berini, di Roma. Non fu possibile trovare ulteriori indizi e nuove prove a riguardo degli altri complici del cani di Franciscu Pumdelitto: rimase solo il sospetto della partecipazione del Salias e del Franceschi, e in questo modo questi Un pitta, illu mari aia présu, no complici, che tutta la popolazione accusava a voce bassa, si salvarono. Il cieco Ordioni, prima della fine socu comu, una murena. del 1840, fu impiccato nella piazza pubblica di Tempio. Lo accompagnarono alla morte le maledizioni di PISATI: tutta la popolazione. Qualcuno che conobbe quel fatto e vive ancora, ricorda che mentre Ordioni era ac- LI Un cammellu: un cani compagnato all’impiccagione, una voce dalla folla gli gridò: “Coraggio” e che lui rispose: “Per la vostra In Marianu: illu mari anima, non mi fate parlare”. Per tantissimo tempo, i tempiesi dimostrarono un profondo dolore per la éra murendi: una murena morte del sacerdote Joc. E oggi, tuttavia, i nipoti di quella generazione, dopo settant’anni, parlano di Maggjinendi: magnendi ? quello come se si trattasse di una disgrazia popolare. A questa memorabile esecuzione si collega un fat- Da lu salottu: ? to strano e raccapricciante. Nel carnevale dell’anno precedente al delitto e castigo, il cieco Ordioni par- Lu patriottu: lu patronu tecipava, come era sempre abituato a fare, ad una mascherata allegra. L’allegria, come voleva il gusto di In francia: Franciscu quell’epoca poco spiritosa, consisteva nella simulazione di un impiccagione. Per tutte le strade di TemPumpièri: Pumpitta pio, nell’ultimo giorno di carnevale del 1839, sfilò un carro sul quale vi erano un sacerdote confortatore, il boia e i suoi aiutanti. Seguivano la Fratellanza e un gruppo di soldati: tutti i personaggi FOLA DI FEDRO della scenetta. Ogni tanto il carro si fermava tra la folla festosa e scherzosa: il sacerdotradotta da Mario Solinas te mormorava parole nel più spregevole latino, gli aiutanti del boia preparavano l’impiccato LU LUPU E LA GRU Lupus et gruis (I,8 ) e una lunga frittella (come si usa in tutta la Regione) era legata attorno al collo della vittima. E chi era l’impiccato? Quell’anno, per stare un pò allegri, e l’anno seguente, l’impicca- Ca vó la paca pa un trabaddu to era sempre il cieco Ordioni. Nella scenetta carnevalesca, di un’allegria selvaggia, quasi Fattu a li delinquenti, sbalgja dui ‘olti: si dirà che il cieco aveva letto l’ultima pagina della sua vita mortale. (Salvatore Farina) unu, palchì à aggiutatu lu delinquenti, tradotto dallo spagnolo da Luigi Pirrigheddu dui, pa aé pinsatu di falla franca. Incuriositi da questo personaggio abbiamo fatto delle ricerche e c’è venuto in aiuto Goffedo Casalis nel suo Dizionario Storico che così conclude: “Qualunque egli fosse, era A un lupu,inguddendisi un ossu sill’éra arressu illu gjangastólu certamente un uomo stimabilissimo e meritò che i tempiési dessero molte lacrime alla sua e dispiratu pa lu dulóri, disgrazia. Consentendo a questi animi grati, scrivo queste poche parole perché la sua virtù prummittendi paca bona sia pure onorata dai posteri.” Di seguito l’articolo firmato da Franco Vacca, e pubblicato cilcaa gjenti pal tustavinnillu. su www.labeltula.it che conferma la veridicità del fatto. Fidèndisi di lu gjuramentu Uno degli omicidi del quale si sono trovate diverse notizie nell’Archivio Storico Comunale, Cu lu so códdu longu, una gru Fési la priculósa operazioni a lu lupu. riguarda un misterioso personaggio: PIETRO CESARE JOCK Fece parte della Società Filarmonica di Tempio dove insegnò canto. A riguardo il Casalis Pratindendi, pói, la paca cuntrattata “Séi tamente ingrata –li disi lu sfidiatu– scrisse che il numero dei componenti «crebbe di molto dopo che un giovine straniero di molti lumi e di cor magnanimo, con le altre molte cose da lui ben conosciute, comunicava ai chì, sanu,tinn’aggju lassatu bucà lu capu da indrentu a la bucca méa giovani tempiesi...». Da una lettera del Sindaco apprendiamo che: «…fra le altre belle qualità e virtù riuniva anche quella di ammaestrare gratuitamente uno stuolo di giovanetti e chì alta paca ancóra mi chelti!” alla Divina arte musicale, al di cui genio Tempiese ne faceva diggià gustare gli armonici concerti....». Questa sua dote, insieme ai modi cortesi, lo resero par- ticolarmente benvoluto ai cittadini, ma forse fu anche la causa della sua rovina. Per vendicare un Comandante militare di qualche frizzo pubblico, alcuni individui, che erano stati mandati a bastonarlo, lo uccisero. Il fatto fu particolarmente sentito in città: il Sindaco il 22 Giugno 1840 scrisse all’incaricato delle funzìoni Viceregie, fu pubblicato un manifesto con un premio di cento scudi, una somma enorme per l’epoca pari a £ 250 (ovvero allo stipendio di oltre due anni di una guardia civica) destinata a chi forniva informazioni utili per scoprire gli autori dell’assassinio mentre la Società Filarmonica gli dedicò un concerto. Sempre il Casalis ci fornisce altri particolari su questo misterioso personaggio che pare celasse la sua vera identità: «Costui, che aveva nascosto stu- GI.RI. MARKET F.lli Masu in Funicédda è LA BRUTTÉA DI PATTETTA ALIMENTARI - ARTICOLI VARI -APERTO LA DOMENICA tel=079 632520 fax = 079 9943695 www.girimarket.it - e-mail [email protected] LI FURRÉDDI di RUSÉDDA Ricetta pubblicata sul Calendario 2011 del Comitato Li Quasi Fidali 2011 di Nuchis: L’aciuléddi Mescolare1 kg di farina bianca, 150/170 gr di strutto, 250 gr di zucchero, un pizzico di sale, una fialetta di limone in acqua tiepida e lavorare la pasta sino a farla diventare morbida. Formare tante cannoli della stessa diosamente l’essere suo; ma che per le ottime qualità era ben veduto dà gallu- lunghezza, piuttosto sottili. Prenderne uno alle due resi, fu da uno o più corsi traditori barbaramente trucidato. Non si può spiega- estremità e attorcigliarlo su se stesso. Riprenderlo allo re il cordoglio di tutti i cittadini per la sventura di questo ospite carissistesso modo e attorcigliarlo una seconda volta. Friggemo….Nominavasi Pietro Cesare Jock, e il sospetto che egli fosse nato d’alto li- re l’acciuléddi e scolarle. Sciogliere il miele in una gnaggio, come facea credere la sua cultura e gentilezza singolare, confermata- padella e immergervi l’acciuléddi girandole più volte. si da certe carte che furon trovate presso di lui, e da alcune voci che il diceano uno dei figli di Murat, o di un illustre personaggio di Aquisgrana……». Del cognome “Jock” sembra non aver riscontri in Sardegna. Il Casalis non fornisce alcuna data sul fatto di sangue, ma una frase che compare nella lettera del Sindaco del 10 Dicembre 1840 indirizzata al Sig. Avv. Don Pietro Paolo Pes membro e Direttore della Società Filarmonica ci ha consentito di risalire alla data approssimativa del suo assassinio. «Se pur troppo trista si manteneva la rimembranza dell’atroce caso or sette lune occorso…» cioè il 3 Maggio 1840. La lettura di altri documenti lascia pensare che il delitto di Pietro Cesare Jock sia maturato nell’ambiente teatrale come strascico dei violenti scontri tra nobili e autorità militari da una parte e borghesi dall’altra. Nel Febbraio 1842 fu ucciso il Comandante militare Carlo Sielti e il Vicerè per risposta inviò altri rinforzi di truppe. (Franco Vacca) LU BADDHITTU timpiésu MASSIMO DESSENA: TIMPIESI MINORI E MANNI a cura di Anna Demuru Se chiedi ai tempiesi se conoscono Massimo Dessena subito avrai notizie su tutta la famiglia. Moltissimi gli amici, altrettanti i conoscenti e clienti del giovane Max che si è inventato un lavoro fuori da ogni sua conoscenza culturale e ambientale. I Dessena vantano a Tempio la fama meritata di grandi lavoratori: padre, madre e figli sono instancabili ed affidabili su tutto ciò che fanno, soprattutto ci credono e per loro vale veramente il detto “meglio essere il primo degli ultimi che l’ultimo dei primi”: in città sono pertanto una istituzione di serietà e laboriosità. I genitori da Tula si trasferiscono in Lombardia, a Vigevano, dove i giovani sposi trovano un lavoro e nascono i primi figli (solo l’ultimo è nato a Tempio). Il padre continua, però, ad essere nostalgico del suo paese e della Sardegna, ma la madre proveniente da una numerosa famiglia, non vuole rivivere le privazioni della sua infanzia e soprattutto, desidera che i figli crescano in un ambiente completamente nuovo senza riferimenti dolorosi alle spalle. Lei tiene i contatti con i familiari dal paese ma non porta mai i ragazzi. È’ solita dire “non devono passare ciò che ho passato io”. Con il marito decidono quindi di trasferirsi a Tempio. Tutta la famiglia lavora nel bar: i genitori a tempo pieno, i ragazzi quando sono liberi dalla scuola, crescendo seri, volenterosi e ben voluti da tutti. La famiglia non conosce ferie e rispetta le festività nell’intimo della casa. Diplomatosi, Max sente la necessità di crearsi un mondo suo. La piccola libreria della vedova Spano, situata alla fine della scalinata di San Pietro è in vendita ed il giovane pur non abbandonando i genitori che hanno bisogno del suo aiuto, si divide per otto ore al bar e otto cercando di apprendere il funzionamento, anche se rudimentale, del piccolo negozio che pur essendo una mini cartolibreria un pò arruffata è pur sempre un punto di partenza. Circa due anni dopo si liberano i locali attuali occupati da una esposizione di laterizi ed Pagina 7 Anna Demuru il proprietario che conosce il giovane, mantiene la promessa fatta affinchè possa trasferirsi in un ambiente più idoneo alle sue prospettive. Le lacune di Max, autodidatta come si definisce, sono immense, sia dal punto di vista culturale (sente la mancanza degli studi classici di base), sia per il salto di qualità che si rivela allucinante: l’utenza di un bar con tutto ciò che segue, è ben diversa dall’attuale lavoro. Non bastano le energie, ci vuole umiltà, desiderio di apprendere da tutti e su tutto. Ci sono negozi a Tempio che gli danno, anche se diversi, esempi ai quali può far riferimento. A questo punto facciamo uno sforzo enorme per non commuoverci vistosamente. Ci parla del Signor Paolino Maciocco il quale conosceva a menadito tutti i prodotti del suo negozio di generi alimentari: dal parmigiano agli insaccati, indimenticabile il sapore della mortadella, pasta, vini, scatolame e quanto altro. Quando li consigliava sembrava averne seguito il percorso di lavorazione. Il contatto umano era poi assicurato da lunghe conversazioni. Il buon Mego Menicucci, toscanaccio con la battuta pronta, andava a cercare personalmente i prodotti dell’orto che inizialmente esponeva in un minuscolo negozio, diventato successivamente la Boutique della frutta: uscendo eri certo di portare a casa… ceci nostrani. Max non fa voli pindarici quando si riferisce alla qualità del suo commercio. Lui è sempre il Max che ha conservato i vecchi amici e da ragazzo ha fatto ogni genere di sport, arbitro di calcio, ciclismo, paracadutismo ed il desiderio di stare con gli altri non è mai venuto meno. I tempiesi amano questa famiglia: quando Max si è candidato negli anni in cui non esisteva il gioco delle parti è stato il più votato. Tutta la città ha seguito con dolore la malattia della madre e ne ha accompagnato con affetto il funerale. Bella figura di donna, ottima figura di madre rinunciataria alla propria vita per il benessere della famiglia. (segue) LU BADDHITTU timpiésu Aut. Tribunale di Tempio n° 507 del 01.02.2001 DIRETTORE RESPONSABILE: TONIO BIOSA DIRETTORE REDAZIONALE: MARIO PIRRIGHEDDU REDAZIONE: Via di Vittorio, 4 Tempio tel. 079/632929, 079/670172—PROPRIETA’: ACCADEMIA TRADIZIONI POPOLARI “CITTA’ DI TEMPIO” Il n° 140 è stato realizzato grazie al lavoro e alla collaborazione gratuiti di: ANNA DEMURU, GEROLAMO BAFFIGO, GIUSEPPE BAFFIGO, ANTONELLO CONCU, NICOLA DERIU, ANTONELLA GARAU, GIOVANNINO MACIOCCO, GIANMARIO PINTUS, GIUSEPPE PINTUS, TINO PINTUS, LUIGI PIRRIGHEDDU, MARIA LUCIA PIRRIGHEDDU, MARIO PIRRIGHEDDU, GIOVANNA RAU, VITTORIO RUGGERO, MARIO SOLINAS, BASTIANO SCANU, BRUNO VARGIU stampato in 1500 copie presso TIPOGRAFIA 2000 Tempio LA ILUSTRACION – PERIODICO UNIVERSAL FIOCCO CELESTE Ai neo genitori: mamma Raffaela e babbo Maurizio, gli auguri sinceri dalla Redazione del Baddhittu per la nascita del loro primogenito FIOCCO CELESTE Il piccolo Gege presenta orgoglioso il fratellino FEDERICO SIMONE CAPUTO CAMPUS Auguri affettuosi estesi ai nonni Rina e Paolo, Irene e Piero e a tutti gli zii e cugini. Ai genitori Domenica e Gianpietro gli auguri sinceri dal Baddhittu. Auguri estesi ai nonni e in particolare a Zio Simone. é un giornale spagnolo di Madrid, che pubblicava il 22/9/1856 questa notizia e la riportiamo nella lingua originale perché facilmente intuibile sia per l’argomento che per la maggior parte delle parole. (Il giorno seguente anche il giornale La España pubblicava la stessa notizia) En la provincia de Gallura, reino de Cerdeña, provincia que cuenta entre las menos civilizadas de aquella isla, hállase no muy distante de Tempio la aldea Agius. A consecuencia de una boda estrepitosamente deshecha, resultó entre las dos familias. Vasa y Mamio avecindadas en aquel pueblo, una discordia profunda, la que fué convirtiéndose en objeto de encarnizada ven ganza, en cuya vendetta quedó poco á poco comprometido todo el vecindario; tanto que en pocos años perecieron en su consecuencia hasta 71 personas. En 29 de mayó próximo pasado consiguióse por fin una reconciliación. Reuniéronse ambas parentelas, contando los Mamíos 324 personas, y 273 los Vasas, en una plaza en cuyo centro se había eregido un grande crucifijo, para solemnemente reconciliarse y reanudar las antiguas amistades. Después de haberse todos dado un afectuoso abrazo, pronunció el párroco todavía un discurso ad hoc, que enterneció íntimamente á todos los concurrentes. La Gallura * Le sue tradizioni La sua storia * Le più belle immagini Lu BADDHITTU timpiésu su www.labeltula.it Via Olbia 29 tel-fax 079630038 Tempio Pausania LU BADDHITTU timpiésu Pagina 8 FOCHI DI SANTU GHJUANNI RESISTONO… NEI SECOLI “Dal giorno della natività di san Giovanni Battista fino alla festa degli apostoli Pietro e Paolo (dal 24 al 29 giugno), i Galluresi e segnatamente i giovani e i fanciulli, costumano farsi compari di san Giovanni. Tal comparatico si fa in tre modi: col fazzoletto, colla corona e col fuoco. Si fanno compari di fazzoletto prendendo una pezzuola bianca (simbolo della purità dei sentimenti e del casto legame che si vuole stringere), della quale ciascuno annoda una delle cocche, scambiandola con colui che gli sta di fronte: le cocche vengono annodate, ricambiate e snodate per tre volte consecutive e per tre volte ognuno annoda e snoda quella che gli è rimasta in mano, complimentandosi poi, seconda la diversa condizione dei compari, a vicenda colle parole: A molti anni; Dio vi conceda un buono sposo, o una buona sposa. Oppure: A molti anni; Dio vi dia pace e salute. Si fanno compari di corona, stringendosi a vicenda la destra mano, tenendo fra esse una corona del rosario, pronunziando, mentre se le stringono, i versi seguenti: Comare e compare, Sa fide mi poltades, Sa fide mi poltei, Santu Gjuanne e Dei, Dei e santu Gjuanne, Comare e compare, Sa fide non m’ingannes Si fanno compari di fuoco accendendo dei falò o mucchi di stoppie, girando attorno o saltandovi sopra, e cantando: Cumpari, lu fócu di Santu Gjanni, Cumpari, lu fócu di San Petru, Cumpari, lu fócu di Sant’Antoni, Cumpari, lu fócu di Sant’Accésu Talvolta invece di girare attorno il fuoco prendono dal medesimo i rami accesi e li portano presso le case delle ragazze, dove messili in terra, fansi con esse a compari, afferrandosi le mani al dissopra, ripetendo il solito ritornello, mentre incrociano le mani ora a destra, ora a sinistra. Quindi girano attorno al fuoco, prima a destra, poi a sinistra e infine si complimentano stringendosi di nuovo le mani. Anche nel Friuli e nell’Istria è antichissima usanza di accendere cataste di fascine nella notte di san Giovanni, attorno a cui danzano i fanciulli, giovani e vecchi, cantando qualche stornello o canzonetta. Un tempo, quando la malizia era minore che in questi tempi di vantata civiltà, i compari nel complimentarsi si abbracciavano e baciavano, come i cristiani dei primi secoli, dopo la celebrazione dei sacri misteri. Io ricordo d’averlo fatto nella mia fanciullezza con più d’una ragazza. Il comparatico di san Giovanni, specialmente se viene celebrato per mezzo della corona, è considerato sacro come quello del battesimo. Pare ormai che tale attaccamento e fedeltà vada mancando; a giudiIl giornale Lu Baddhittu timpiésu, le famiglie Pirrigheddu, Garau, Masu si stringono al dolore della moglie Gina Masu, dei figli Lorenzo con Dalia, Lucio, Pasquale con Vittoria, Franco con Paola, Anna Rita con Luciano, Assunta con Antonio, del fratello Giovanni con Vanna, dei nipoti Matteo, Daniele, Fabio e Dario per la scomparsa del loro caro PAOLINO CUSSEDDU La Gallura * Tempio Le tradizioni - La storia Le più belle immagini su www.labeltula.it La Redazione si unisce al dolore della moglie Vincenza Fancellu, dei figli Michele con Domenica, Antonio, con Luisella, Gian Mario con Carlotta e parenti tutti per la morte del loro congiunto PIETRINO TAMPONI carne dei seguenti versi, che corrono sulla bocca di tutti: Cummari e cumpari semu di Santu Giuanni e fócu; si c’imbicchemu in lu lócu la cummaria scuncemu Quando si legavano in comparatico per via del fuoco, usavano i fanciulli pure saltarlo più volte, e le fanciulle sedersi attorno, sollevando spesse volte le vesti, perché il calore riscaldasse direttamente il ventre: le avrebbe preservate dai dolori addominali e da sconcerti nella matrice, secondo un’antica tradizione, per tutto l’anno. I fuochi di san Giovanni, come quelli che si usano accendere il sabato santo (questi benedetti dal sacerdote), ci ricordano l’antico culto che fu reso al sole, importato dai popoli orientali e specialmente dai Fenici in Sardegna. Ognuno sa che il fuoco sacro ardeva nei tempi d’Apollo in Atene e Delfo, di Cerere in Mantinea, da Giove Ammone e nei Pritanei di tutte le città della Grecia, ove accendevansi, come avviene nelle nostre chiese nella cappella del SS. Sacramento, lampade che giammai si estinguevano. I così detti fuochi di san Giovanni erano pure in uso nella Bretagna, dove gli abitanti ponevano delle sedie attorno ai fuochi, affinché i loro parenti defunti vi si potessero scaldare a loro bell’agio”. Ciò che vi abbiamo proposto è stato scritto da Francesco De Rosa e accadeva più di cento anni fa ed oggi, anche se con diverse modalità si ripete questo antico rito. I vari rioni di Tempio, i giorni precedenti la festa, grazie all’iniziativa di Associazioni, Fidali, Comitati, gruppi più o meno numerosi di giovani, sono animati da un continuo andarivieni: chi recupera lu ‘itichignu, ca attacca li bandiritti, ca faci lu banconi pa la robba di bì e di magnà e ca... figghjula..(umbè)... Nella piazzetta antistante la chiesa di san Francesco, l’Associazione Famiglia di San Francesco presieduta dall’instancabile Tonina Puddu con la preziosa collaborazione delle Famiglie Angioi, Dettori, Bosic, Gala, Pisciottu, Minutti, Fiori, Eraldini, Oggiano, Muzzu, Puddu, Zizzi, Cossu e Magri hanno organizzato una bellissima e riuscitissima festa in cui il divertimento è stato assicurato pa manni e minóri e non sono mancate neanche le saporitissime frisgjóli preparate da Agostino Zizzi. A unalt’annu meddu! (Mario Pirrigheddu) Servizio fotografico di Vittorio Ruggero CHISTU SOCH’ÉU a cura di Mario Pirrigheddu È arrivata via mail la foto che pubblichiamo più sotto: ci siamo commossi nel riconoscere il compianto Davide Calaminici a fianco di Giuseppe Aisoni, Angelo Fontana, Vanni Bionda, Costanza Stincheddu, Daniela Fontana, Franco Dettori e … bo!