baddhittu 140 settembre 2 012 (2)

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baddhittu 140 settembre 2 012 (2)
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n° 140 SETTEMBRE 2012 anno 11
TEMPIO PAUSANIA
ASSOCIAZIONE TURISTICA PRO LOCO TEMPIO
UNO SGUARDO ALLE NOSTRE RADICI
LU BADDHITtiTmUpiésu
ACCADEMIA TRADIZIONI POPOLARI “CITTA’ DI TEMPIO” dal 1966
Da questo mese una nuova rubrica, curata da Bastianu Scanu, cultore appassionato di poesia e tradizioni, ci aiuterà a
ricordare o a conoscere ex novo antiche
parole della nostra splendida lingua che
purtroppo si stanno perdendo.
PARAULI ANTICHI
a cura di Sebastiano Scanu
Accunoltu: rassegnazione. Faceva parte
delle cerimonie funebri: dopo la sepoltura, quelli che avevano partecipato al funerale si recavano presso la famiglia del
defunto per confortarli e indurli alla rassegnazione. Es.: “Mustra un pientu amu-
rosu e sunzéru/massimu candu 'eni accunoltu.” (Da “Si molgu e vi se' tu no vóddu ammentu” di Pétru Alluttu).
Attilóiu: baccano. Es.: “A folza d'attilóiu
in corso matteotti
il BAR — GELATERIA
COMU SI DICI
“QUASI LEZIONI” DI TEMPIESE
a cura di Gianmario Pintus
Fustialbu: gattice, pioppo bianco
Fustialbu di pippà o vitialbu:
vitalba
Gjàcia: ginepro maschio
Ghjuncu di mari o zinnia: sparto
Ghjuncu di padula: scialino,
giunco triangolare
Riali: osmunda, felce reale, palustre
focciu tantu/chi dugnu m'intendi e si
n'affrici.” (Da “Chi invidia ch'aggju di la solti...” d'Antoni Paggjólu).
USI COSTUMI TRADIZIONI POPOLARI
a cura di Mario Pirrigheddu
COM’ ÉRAMI
a cura di Nicola Deriu
Questo mese vogliamo sapere dove è posteggiata la vecchia
motocarrozzella che si vede nella foto sbiadita elaborata su
PC da Gerolamo Baffigo. La foto del n° 138/139 crediamo
che siano stati in pochi ad individuarla: éra la fila di casi addananzi a l’ACLI, il vecchio cinema di don Mureddu, la jesgja di Santu Franciscu Sciaéri a lu cumenciu di via Dettori.
CUREMUCI CU L’ALBA a cura di Giovanna Rau
Giovanna Rau
Francesco De Rosa a proposito dei banditi scrive: Quando un gallurese commette, o viene imputato d’azione criminosa
che gli metta innanzi agli occhi il tetro
fantasma del galeotto o del recluso, rammentando il vecchio adagio È’ meglio uccel di bosco che di gabbia, batte la campagna, contento, piuttosto che cadere sotto
gli artigli della dea Astrea, la quale, implacabile com’è, potrebbe privarlo di
quella libertà che è a lui così cara di vivere all’aperto esposto alle intemperie,
all’imperversar delle tempeste, al furioso
scatenarsi dei venti, al cader (segue a pag. 5)
Curemuci cu l’almulatta, sinapi
o senape bianca
La Senape, dal nome scientifico Sinapis alba L. è una pianta erbacea a fitInformatica e
tone, con foglie alterne, picciolate peTelematica
Venditalose, ispide nel picciolo e sulle nervatuAssistenza
re. I fiori sono in racemi, gialli e provia Padre S.Vico 13/a
fumati. Frutto a siliqua, cresce spontaTempio
tel. 079 631048
nea nei campi, nelle zone ruderali.
Fax 079 634688
Si utilizzano i semi macinati che danno
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la farina di senape bianca. I principi
MUTTETTI
attivi sono: mucillagini, il glucoside sinalbina, oli grassi. La senape bianca è
Cilcati, agattati e adducati
usata soprattutto in cucina, meno in fitoterapia perché più
da Maria Lucia Pirrigheddu
usata è la senape nera. Le proprietà sono stomachiche, diLa Patrona di Gaddura
gestive perché stimola la secrezione della mucosa gastrica,
l’emu noi in Locusantu
ha anche proprietà lassative per le mucillagini che la pianta
incurunata da cantu
contiene. E’ necessario utilizzarla con cautela perché può
cussi bedda criatura
produrre irritazione all’apparato digerente, specie se usata
(La più bedda di Gaddura di
di frequente. Ha anche proprietà
Ciccheddu Mannoni dedicata
antiscorbutiche.
L’uso più frequente è quello culina- alla Madonna di Luogosanto)
rio, si usa infatti come condimento
piccante nei cibi, in salsa per preparare la mostarda.
A Castel Sardo alla fine dell’800,
nella Settimana Santa si usava
mangiare pane di mostarda.
A Gonnosfanadiga nei casi di polmonite si applicava sul torace, un
da
panno con una miscela di lino e senape. In Tempiu si spalmàa la
troverai i numeri
Maria Lucia
Pirrigheddu
BAFFIGO
pianta pistata cu un pocu d’ociu innantu a li caicioni.
COM’ÉRAMI in Gaddura: LURISI
a cura di Mario Pirrigheddu-Antonello Concu
con il prezioso contributo di Andrea Rasenti
Una antica foto
dell’Archivio di
Luigi Cabras ci
presenta la Stazione di Luras
nel VII anno
dell’era fascista
e che accompagna le rime del
poeta.
Lurisi
a contu soiu
vilmatu
cu lu logudoresu
ill’istazzu parò,
lu vaeddu è gadduresu
(Andrea Rasenti)
arretrati del
BADDHITTU timpiésu
di Giovanni Pirrigheddu
Tempio Pausania tel. 079-670449
c.ne S. Sebastiano
TESSUTI TENDE RIVESTIMENTI
NUOVA ESPOSIZIONE
D I T T I G A D D U R È S I e COSSI
a cura di Giuseppe
Pintus
Dugnunu sà cosa buddi
illa so’ pignatta
Ognunu sa ciò chi boddi
in a so pignatta
ALLELLELLOMBA
da la zirrióla al computer
di Giovannino Maciocco
LA PILUTTEDDA
Traduzione: la pallottola
Occorrente: una pallina di piombo
(simile ai pallettoni che i cacciatori usano per il cinghiale), monete di metallo di diverso valore.
Come si gioca: si mettevano per
terra, una sopra l’altra, le monete
in numero uguale al numero dei
giocatori e tutte nello stesso verso (testa o croce in su). Si stabiliva l’ordine di inizio; si lanciava
quindi il solito sasso, lu mastru, a
una distanza di 8/10 metri e
ognuno tirava la sua ‘mbrestia
cercando di collocarla il più vicino
possibile a lu mastru. Il primo
giocatore prendeva la piluttedda
e, mirando attentamente, la lasciava cadere dall’altezza di circa
un metro (a piacere) sul mucchietto di monete. Per il peso della pallina le monete saltavano e si
sparpagliavano per terra: quelle
che, per la botta, si giravano,
erano preda del giocatore che
per primo aveva lanciato. Compito
più difficile per la verità toccava
al secondo: il colpo era diretto su
una singola moneta e non sempre
si riusciva a farla girare.
leggete
LU BADDHITTU timpiésu
Pagina 2
Non voglio un premio
per la mia fine.
Racconta, però,
con parole semplici
alla gente di domani,
destinata a darmi il cambio
che ho lottato
sino all’impossibile e
sono caduto infuocato.
PER NON DIMENTICARE CURRAGGJA
SOLIDARTE 2012
Il giorno 16 settembre alle
ore 17, nei locali dell’Ufficio
Turistico, si terrà l’estrazione
dei biglietti che concorreranno all’assegnazione di decine e
decine di premi: opere donate
da artisti locali e non e opere
donate da privati. Avete tempo fino al giorno 16 per procurarvi qualche biglietto, magari
uno di quelli vincenti e contribuire alle realizzazione di
parco giochi nella nostra citta.
Con questa edizione 2012
l’ Associazione
Amici di Monica
ha già realizzano un Parco
giochi nell’Oratorio San Giuseppe, un altro, verrà realizzato a breve in Viale don Sturzo. Inoltre due giochi sono
stati donati a due Asili cittadini. Grazie a tutti e grazie
agli artisti e donatori:
Agnese Usai, Yura
Agostina Zaccagni
Alessandro Derudas
Alessandro Fadda
Anfossi
Angela Mundula,
Angelo Porqueddu
Anna Grindi, Anna Palitta
Antonella Giglio,
Baffigo Uomo e Donna
Bruna Scano, Bruno Masu
Carla Girelli, Cinzia Arras
Don Josef Ackarian
Luigi Santinello
Elisa Pedroni, Ettore Brai
Forgiarini
Franca Palitta,Antonia Ruzzu
Francesca Orecchioni
Franco Pellegrino
Gian Franco Cossu
Gian Mario Azzena
Gian Pio Porcu, Gavino Ganau
Giovanna Cherchi, Lusso
Giuseppe Gatto
Giuseppe Pellegrino
Giuseppe Pintus, Giuseppe Loi
Giusy Lattuneddu
Graziella Diana
La Nuvola, Liceo artistico
Lina Alias, Luisella Stangoni
Luca Raineri, Luigi Mureddu
Luigi Stazza,Angela Urgeghe
Mannoni arredamenti
Marco Petitta, Marco Zola
Margherita Balata
Maria Antonietta Pirrigheddu
Maria AntoniettaCusseddu
Maria Baltolu, Marica Casu
Maria Franca Strusi
Masino Luciano, OK Pelle
Massimo Dessena,Nica Bazzu
Matteo Aisoni,Pietro Inzaina
Nino Demuro,Tipografia2000
Paola Scano,Pasquale Ciboddo
Paolo Salis, Patrizia Pitzianti
Pier Paolo Carta, Piero Gala
Piermario Mureddu
Piero Romano,Stefano Manca
Pina Bisson, Sara Bauchmann
Quirico Piana, Rossella Pintus
Simone Sanna, Teresa Alias
Tino Magnani, Tosca Romano
Tomaso Pirrigheddu
Tonina Pasta Fresca
Vittorina Maciocco
“Pensiero dell’Eroe” e foto di Nino Solinas pubblicati sul n° 2 del 1988 di CM3 GALLURA
28
LUGLIO
1 9 8 3
GIGI MAISTO
MARIO GHISU
DIEGO FALCHI
NINO VISICALE
TONUCCIO FARA
CLAUDIO MIGALI
TONINO MANCONI
SALVATORE PALA
SILVESTRO MANCONI
PER NON DIMENTICARE
GLI
EROI
DELLA
COLLINA
DI CURRAGGJA
Come ogni anno Tempio, il 28 luglio, ha ricordato i suoi eroi nella “Giornata Nazionale di prevenzione
contro gli incendi”. Una seduta del Consiglio Comunale, nel quale si è ricordato il sacrificio di chi ha voluto salvare la propria città. Un corteo con Autorità civili e militaPersone, odori, sapori, profumi, preghiere
ri si è diretto alla Collina di Curraggja dove è stata deposta
una corona sul monumento. Il pomeriggio dopo la Santa Messa ritornano alla mente del poeta quando da
celebrata da S.E. Mons. Sebastiano Sanguinetti, un’altra coro- giovane, con gli amici più cari trascorreva
na è stata deposta nel Mausoleo dove riposano le nove vittime giornate spensierate sulle alture del Limdi quei tragici giorni del lontano 1983. Ma se sono passati tanti bara: esperienze che appagavano non solo
anni il ricordo è ancora vivo e si sente in tutte le manifestazioni. il corpo ma soprattutto lo spirito.
La Giornata della memoria si è conclusa al Teatro del CarmiLIMBARA: AMMENTI DI CIUINTURA
ne, dove una splendida Daniela Poggi ha interpretato con pasLimbara a li tò cimi
sione e trasporto i toccanti testi scritti per l’occasione da Mons.
Canti ‘olti socu alzatu
Sanguinetti. Sono stati momenti intensi e di vera commozione
Canti ciurrati hagghiu passatu
che hanno coinvolto emotivamente non solo il pubblico del
Ammirendi li tò 'agghìmi
Teatro del Crmine ma anche chi seguiva la diretta televisiva
Arrugghiendi pa li tò camini
sul canale satellitare Sat 2000.
Apprezzati ed applauditi i momenti musicali proposti con stra- Stirrati e sulatii cu lu sóli e cu la nii
Canta cióia hagghiu pruatu
ordinaria bravura da: Francesco Demuro, Coro di Neoneli,
In li tanti 'olti chi vi socu alzatu
Daniela Tamponi, Coro Gabriel, Giusy Deiana, Luigino
A facc'a a mani a Ghiucantinu s'andàa
Cossu, Giovanni Puggioni, Alessio Devita, Karel Quartet,
Pal vidé lu sóli nascendi da lu mari
Anna Maria Carroni, Orlando ed Eliseo Mascia.
Un grazie da tutti i tempiesi a chi si è impegnato e ha collabora- Pal nói éra cosa eccezionali
E l'anima sciolta a li più alti sféri alzàa
to per la riuscita della Giornata. Per ultimo vogliamo citare chi
da anni, dietro le quinte lavora e organizza: l’Assfor, il suo pre- M'ammentu ziu Barore e ziu Franciscu:
sidente Salvatore Scrivia e Angelo Mavuli, deus ex machina e Li pécuri alzàani da lu mari a la muntagna
Palchì d’ stìu, in Multaragna
regista della piece teatrale.
(Luigi Pirrigheddu)
Agattàani pasculu più friscu.
Chiddu latti appena muntu
Chi sapia di multa e albabarona
Era cosa cussì bona
Chi ancóra n'agghiu lu saóri in bucca
E lu miciuratu chi zia Maria
A la séra da la conca ni bucàa
Appena unu l'assagghiàa
li paria d'esse in pasticceria
E li rusari ricitati a séra
Cu l’esploradóri ghiunti a campeggià
Lu sóli, chi a l'altu emisféru andàa,
e uniti ci lassàa in un’irreali atmosféra.
Ammenti di ciuintura
Chi cummóini a cassisia
Agghia autu la 'intura
D'alzà a Limbara in bona cumpagnia.
(Salvatore Masoni)
.
VIA MANNU E DINTORNI a cura di Bruno Vargiu
Altro personaggio degno di menzione è Baignu lu zoppu in arte bandiadori. Era il corrispondente dell'annunciatore pubblicitario televisivo o radiofonico odierno. Arrivava con passo
svelto, ancorché claudicante, con una tromba da caccia d'ottone in mano che ogni tanto scuoteva per far sgocciolare la
saliva che vi era colata avendoci soffiato poco prima. Brevi soste nelle bettole (allora numerose) che si trovavano lungo il
percorso per dare più vigore alla voce, e via. La tappa precedente era stata nella zona Funicédda e Palunéddu. Prendeva
posizione nei gradini di zia Pasca, nostra dirimpettaia e, avendo davanti a sè tutta la lunghezza di via Mannu, dopo essersi
rapidamente aggiustato i pantaloni nel punto vita tirando su la
cintura, si schiariva la voce ed emetteva tre squilli di tromba.
Il primo annuncio lo effettuava, credo, in LA e il volume di
emissione era regolato come se i destinatari del messaggio
fossero a cento metri: Ciarrettu di Castéddu arriat'abal'abà
in piazza di lu malcatu. Il secondo annuncio, preceduto da un
altro squillo, era decisamente in tonalità calante per far meglio capire che si era passati ad altro messaggio, o forse perchè la sua voce tendeva naturalmente a calare: Mazza, córi,
fiétu, pulmoni e parasangu in la maccelleria d' Antuniccu Sindiésu!. A volte erano comunicati ufficiali della Amministrazione Comunale relativi agli orari di erogazione dell'acqua: S'avvelti la populazioni, chi dumani, l'ea mancarà da li nói finz'a li
cincu di sirintina!. Terminati gli annunci si dirigeva verso la
Angelo ACCOGLI
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ora anche AGENZIA PRATICHE AUTO
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TEMPIO PAUSANIA
Viale don Sturzo n° 38 tel. 079/630398
Piazza del Carmine, tappa
successiva, scuotendo la
tromba come all'arrivo e
snocciolando nel frattempo
una serie di improperi se i
ragazzi non avevano mantenuto il sufficiente silenzio.
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intestato a: ACCADEMIA TRADIZIONI POPOLARI CITTÀ DI TEMPIO
NOZZE
La Redazione del Baddhittu timpiésu è
felice di congratularsi con i novelli sposi
REBEKA NIKOLLA
MAURIZIO MANNONI
che si sono uniti in matrimonio il 22 luglio
scorso nella chiesa di San Pietro.
Gli auguri affettuosi estesi a Caterina e
Martino, fedeli lettori del Baddhittu, e a
li parenti di la spósa.
LU BADDHITTU timpiésu
BULICHENDI IN INTERNET
a cura di Mario Pirrigheddu
Nella BNE Biblioteca Naciónal de España abbiamo recuperato un vecchio giornale CARAS Y CARETAS pubblicato a Buenos Aires, Argentina, il 15/9/1917 in cui è
riportato un racconto scritto da Salvatore Farina
(Sorso 1846-1918) un importante e famoso scrittore
di origini tempiesi. Il padre, Agostino Farina, fu magistrato negli anni ‘50 dell'800, aveva iniziato la sua carriera nel suo luogo d'origine, a Tempio, e aveva prestato servizio come procuratore del Re di Sardegna a
Tempio, a Nuoro, a Sassari in quei centri urbani aveva
amministrato la giustizia, e a Nuoro anche le carceri.
La madre Chiara Oggiano apparteneva ad una famiglia
benestante originaria di Sorso. Non siamo riusciti a reperire il testo italiano quindi abbiamo affidato il compito di tradurre dallo spagnolo, al nostro collaboratore
Luigi Pirrigheddu. Il Farina, si è ispirato ad un fatto
vero e questo racconto, ambientato a Tempio nella prima metà dell’800, ha la conferma, che riportiamo alla
fine, fornita da Franco Vacca, in una testimonianza riportata su La Beltula.it. Le due immagini che pubblichiamo accompagnano il testo originale che ha per titolo
CRIMEN Y CASTIGO
In un giorno del 1838, arrivò a Tempio, in Sardegna, proveniente dalla vicina Corsica, un giovane sacerdote vestito alla maniera francese, con pantaloni e fibbia
d’argento, giubbotto e cappello da prete. Alto e forte, snello e
vivace, giovane che aveva più di 30 anni. Se non fosse stato sposato con la chiesa cattolica, forse avrebbe fatto qualche vittima
tra il gentil sesso, avendolo voluto. Però non voleva. Altri pensieri passavano per la sua testa che non l’idea di una moglie. Il suo
amore era la musica. In questa, il giovane sacerdote, che i tempiesi già chiamavano don Joc, impiegava tutto il suo tempo e anche il denaro del quale non sembrava preoccuparsi. Oltre alla
musica, don Joc aveva un'altra passione. Conosceva molto bene
varie lingue europee, tra queste vi erano il francese e l’italiano,
ed era capace di insegnarle agli adolescenti che desideravano
apprenderle. Con tutte le buone qualità che possedeva, si conquistò da subito le simpatie della popolazione e con le sue maniere
cortesi, ogni famiglia lo accolse con gentilezza ed era oggetto di
tutti i tipi di attenzioni e omaggi. Nel frattempo don Joc continuava a insegnare ai ragazzi e alle ragazze le grammatiche neolatine. Però la sua vera sposa, la tiranna della quale era innamorato, era sempre e solo la musica. Don Joc insegnava a suonare
strumenti a corda e a fiato, tra i quali il flauto, il clarino e la
tromba. Non solo suonava questi e altri strumenti, ma era anche
un prodigioso solfeggiatore.
E cosi riuscì a formare attorno a lui un circolo di giovani: dalle
sue labbra pendevano non meno di trenta giovani. Tutti questi
appassionati di musica, in breve tempo, formarono un orchestra
strumentale che mai Tempio aveva visto qualcosa di simile.
Quando si esibivano in piazza, nella Chiesa o in teatro, tutti gli
abitanti di Tempio abbandonavano le loro case per assistere a
questi concerti.
Il Vescovo di quel tempo, amante della musica sacra e pagana,
era mons. Capece, che in vari modi si complimentava con il sacerdote corso. Don Joc apparve un po’ curioso agli occhi di tutti: per la sua condotta, per le lezioni che dava, per la direzione
d’orchestra e il canto, per amore di Dio… gratis; poiché non aveva spese ne retribuzione adeguata, fece il patto con le famiglie
dei giovani musicisti che era quello di ricevere un pane fresco il
giorno in cui in casa facevano l’abitudinaria infornata. Questo pane che riusciva a raccogliere
due volte alla settimana, come era uso corrente
nelle famiglie sarde di quell’epoca, don Joc lo
distribuiva ai poveri. E anche questo aumentava
la buona reputazione del giovane e misterioso
sacerdote.
Era chiaro che don Joc non aveva bisogno di
niente; che la sua modesta vita, con rispetto per
se stesso, era per gli altri ricca in beneficienza.
E si ha anche la prova che ricevette da lontano
somme di denaro non considerevoli, ma sufficienti per permettersi una decorosa indipendenza. In quel tempo, prima ancora che il misterioso
Joc arrivasse in Sardegna dalla Corsica, viveva a Tempio un certo Pancrazio Ordioni: anche lui di origine corsa che rimase cieco
in età adulta. Suonava il violino, e facendosi accompagnare da
una o due chitarre sarde aveva acquisito la fama di grande musicista. Anche se la sua fama mai corrispose al merito, Ordioni si
era reso prezioso nelle allegre comitive o in teatro, ogni volta
che vi erano delle danze.
Quando a Tempio comparve il misterioso Joc, tutto il prestigio
di Ordioni scomparve. E l’invidia cominciò a muoversi nel cieco,
che, non poteva dirsi che era stato totalmente ferito per la cecità, perché trovava senza sbagliarsi tutte le strade, partecipava a tutti i lavori, fino al punto di poter decidere che gli occhi
sono un lusso inutile per chi sa godere degli altri sensi. Forse
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Ordioni diventò completamente cieco, quando la
sfortuna lo mise al fianco di Joc, che conosceva le
Muse. L’epoca alla quale mi riferisco era di governo
assoluto. A Tempio regnava, in nome del Re di
Sardegna, il nobile Salazar, che aveva il titolo di
Comandante Militare: titolo rispettato e temuto
nelle albe grigie di un rinascimento che si annunciava solo in lontananza. Salazar, forte del suo incarico, non era un uomo amato; trattava i sudditi tempiesi con la vanteria tipica di certi nobili, ricchi soprattutto di una grande presunzione rivelatrice di
una mentalità povera. Una notte, del 1840, il prete
Joc divertiva il pubblico tempiese a teatro, dirigendo un concerto musicale nel quale prendevano
parte i suoi amati ragazzi. Il Comandante militare
si trovava tra gli spettatori, nel suo palco personale; piaciutogli uno dei brani eseguiti, incaricò il suo
factotum, un certo Salias, di ordinare a Joc di ripetere il pezzo. Quelle parole “ordine del comandante” suonarono tanto male che stonarono anche
alle orecchie attente di chi ascoltava gli armoniosi
suoni. Joc, non abituato forse a ricevere ordini da
qualsiasi, rispose:
“Dite al vostro comandate che Joc non riceve ordini da nessuno”.
Il comandante, in quel momento imbarazzante, non
dimostrò di essere stato ferito nel suo orgoglio; ma
appena però, conobbe come il sacerdote ebbe accolto il suo desiderio, si affacciò fuori dal palco, e con parole offensive e il viso arrossato, ripeté l’ordine a Joc.
Il sacerdote non si scompose: con voce forte e piena di fierezza,
disse:
“Quando saprete chi sono io, scuoterete la vostra arroganza, e
non mi darete più ordini”.
E detto questo abbandonò il teatro. Quella notte venne ricordata come la notte dello scandalo. Agli occhi di ogni tempiese il nobile Salazar perse tutto il suo decoro. Quel comandante vanitoso non era certamente un eroe. Egli aveva impartito un ordine
superiore nonostante ipotizzasse l’alto rango di Joc; e poiché
non poteva apertamente vendicarsi per l’ingiuria, che fece? Ricorse all’insidia. E nella notte del 5 giugno del 1840, Joc fu ucciso nella propria casa. Gli alunni, che tanto amavano il maestro, la
mattina seguente alla notte del delitto, trovarono il cadavere del
generoso uomo nelle scale del pianerottolo: nelle pareti vi erano
molte tracce di una mano insanguinata. E tutti gli scalini erano
sporchi di sangue. Sul corpo dell’artista-sacerdote, si contarono
30 pugnalate. Il numero delle ferite fece pensare che la vittima
si fosse difesa e che l’assassino non era stato solo uno.
L’uccisione dell’amato sacerdote, del corsicano Joc, aveva riempito di paura l’animo affabile per natura dei tempiesi e afflitto
fortemente i buoni. Il giorno dei solenni funerali celebrati in
onore del misterioso morto illustre, si videro molti tempiesi
piangere per il generoso sacerdote corsicano giunto in terra sarda per trovare una morte orribile. Durante il governo assoluto,
quasi dispotico, nel quale un orgoglioso Comandante di piazza poteva primeggiare sopra gli altri mortali a tal punto di prendersi
gioco degli onesti, vi era tuttavia in Italia una forza modesta,
fastidiosa per i malfattori, alla quale mai nessun comandante era
riuscito a comandare. Questa forza modesta e veramente forte
era il Magistrato che faceva sempre giustizia e la cercava di
continuo. All’omicidio ignominioso seguì un breve periodo di silenzio. Ogni tempiese, cercando le cause che avevano portato all’aggressione, esprimevano tranquillamente le loro opinioni al riguardo. Ma il tribunale restava in silenzio. Dopo aver effettuato l’autopsia del cadavere, registrato sommariamente
l’orribile fatto, sembrava che ogni cosa fosse
stata messa a tacere. Attorno allo spaventoso
crimine regnava il più assoluto silenzio.
Tuttavia, in un giorno dello stesso mese di giugno, il giudice inviò una lettera al comandante
Salazar, invitandolo a presentarsi per essere interrogato. E bastò questo semplice invito del
giudice per sconvolgere la mente del nobile Salazar. Salazar, senza nemmeno essere interrogato, iniziò a dire frasi incoerenti, proclamò la
sua innocenza, invocò la buona amicizia che lo
univa al procuratore, e fu vile, sia nel chiedere
la sua salvezza, sia nell’essere stato una canaglia, per fare male agli altri, per incolpare gli altri. Da quel momento il procuratore, il Signor Cartasciac, trovò la prova che il
mandante era il viceré Salazar. Il Procuratore era furbo; non si
dichiarò contro di lui, onde evitare di essere, lui stesso, la prossima vittima; al contrario, non lo accusò nemmeno; lo incastrò in
una rete di domande per ottenere qualche indizio e arrivare agli
esecutori materiali del delitto. Ma l’orgoglioso Comandante, cadde in quella rete, imprigionato in essa: era già perso. Dal momento in cui era comparso davanti al procuratore Cartasciac, il Comandante non chiedeva niente, si sottometteva, stava castigato:
anche se fosse tornato al suo trono di despota, il prepotente sarebbe stato sempre un debole, era un un uomo (Segue a pagina sei)
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GIULIO COSSU nei ricordi di Marilena Sechi
A qualche anno dalla scomparsa intendo onorare il ricordo di
professor Cossu, le cui spoglie giacciono in una zona centrale
dell'area cimiteriale di Tempio in una semplice tomba di granito, di quel granito che orna ed arricchisce il panorama gallurese da lui amato e cantato in tante opere. Scrivo questa pagina non perché non si sappia abbastanza di lui, ma per offrire una mia testimonianza personale insieme a quanto egli
stesso mi raccontò poco tempo prima della morte. Giulio Cossu rimarrà nella memoria di quanti lo conobbero come uno dei
più grandi rappresentanti della cultura gallurese del Novecento e i posteri, per molti anni ancora, ne leggeranno le opere con stima e ammirazione. A lui vada tutta la nostra riconoscenza per le virtù umane, per le
raffinate doti letterarie, per l’onestà e profondità intellettuale, per
tutti quei suoi caratteri personali insomma, che hanno contribuito ad
arricchire il nostro patrimonio culturale e a rendere onore alla nostra
città. Nacque a Tempio in via Roma, nel tratto che da piazza Gallura
conduce verso San Giuseppe, in una casa situata di fianco a quella
dell’ingegner Secchi, anch'egli illustre cittadino tempiese che molti sicuramente ricordano. Era il 6 dicembre del 1920 e i suoi genitori furono
Mario Cossu e Tomasina Spano. Ebbe due fratelli di cui il primo, Fausto, fu ufficiale dei carabinieri ed eroico protagonista delle vicende antifasciste della seconda guerra mondiale; costui alla testa dei suoi uomini ebbe il merito di liberare la città di Piacenza dai Tedeschi, per cui fu
insignito di una medaglia d’oro dal Comune di Tempio nel 1999. Il secondo invece, Gerolamo, portò avanti l’attività commerciale del padre legata al mondo del sughero, trasferendosi ad Asti dove già da tempo viveva
lo zio, fratello della madre. Il padre, da sempre occupato nel settore
sughericolo, presto si rivelò persona di ottime capacità imprenditoriali;
recatosi in Francia ed esattamente a Marsiglia per vendere una partita
di turaccioli, diede inizio ad una intenso commercio con quella nazione
che determinò la sua fortuna economica e gli consentì di offrire alla sua
famiglia ogni tipo di agio e soprattutto di mantenere i figli agli studi.
Giulio, a 5 anni,frequentò la prima elementare presso le maestre Depollon (o Depaul o Depol), (Mercedes, Antonina e Gennarina, note insegnanti dalle lunghe vesti nere che per tanti anni tennero le loro lezioni
al secondo piano di un antico palazzo di via Gramsci a due passi da
Piazza Di l'Ara. Esattamente trent'anni dopo anch'io avrei frequentato questa scuola !) e proseguì gli studi senza problemi in un periodo in
cui la cultura tempiese era dominata da personaggi di spicco come il
prof.Sansan al quale egli fu sempre legatissimo; conseguì la laurea in
Lettere nel 1943 presso l’università di Cagliari all’età di 22 anni. Ma i
suoi anni universitari furono travagliati dalle tristi vicende belliche; infatti, iscrittosi prima all’università di Firenze, per due anni poté frequentare i corsi solo sporadicamente poiché impegnato nel servizio militare; a Firenze ottenne dal professor Bianchi Bandinelli una tesi di archeologia su cui lavorare, ma non fu possibile portare a termine gli studi
in quella sede poiché la guerra si era inasprita a tal punto da farlo optare per un trasferimento all’università di Cagliari dove ebbe subito l’opportunità di conoscere professor Giovanni Lilliu già a quel tempo illustre studioso d’ar-cheologia e di protostoria sarda; propose allora al
Lilliu un titolo per una nuova tesi di laurea, con un argomento originale
ed intelligente che fu accettato con entusiasmo dallo studioso cagliaritano: “L’arte greca classica e il suo legame con la filosofia contemporanea”. I terribili bombardamenti che in quel periodo dovette subire anche la città di Cagliari inizialmente considerata un porto sicuro, determinarono il trasferimento della sede universitaria ad Oristano. Giulio
ottenne dal comando militare un mese di licenza per le attività connesse
alla discussione della tesi di laurea; tornato quindi a Tempio per alcuni
giorni, poté salutare i suoi famigliari prima di ripartire per Oristano; fu
allora che il treno sul quale viaggiava fu colpito dalla mitragliatrice di un
aereo inglese che sorvolava la zona nelle vicinanze di Giave. L’episodio
determinò il blocco del treno da cui i viaggiatori scapparono atterriti.
Egli rimase al proprio posto ad osservare incredulo quel maledetto aereo che li aveva colpiti: dopo qualche istante lo stesso aereo andò in malora in quanto, in seguito ad un movimento rotatorio di avvitamento, si
incendiò e precipitò a breve distanza, non perché colpito dalla contraerea, ma probabilmente per un guasto. “Dio provvide a salvare in questo
modo gli inermi viaggiatori che pensavano solo ai fatti loro!” esclamò
Giulio. Arrrivato ad Oristano a notte fonda, andò alla ricerca di una casa il cui indirizzo gli era stato fornito in precedenza da conoscenti,...
una casa che lo accogliesse in occasione della sospirata laurea. La città
era però avvolta nel buio e per un po’ di tempo andò vagando alla cieca
senza sapere dove si trovasse; perciò, non sapendo dove andare, bussò
ad una porta qualunque per avere informazioni: gli aprì un’anziana signora molto gentile che, compreso il bisogno del giovane viaggiatore/laureando, lo ospitò con cortesia e senso di responsabilità, in vista della data
fatidica, cioè del giorno successivo che sarebbe stato appunto il giorno
della laurea. Ad un certo momento la signora, non sapendo che cosa offrirgli da mangiare, si fece pensierosa e scomparve per alcuni minuti
per ricomparire subito dopo con un vassoio di arance fresche colte al
momento nel suo giardino. Gliele offrì commossa, come dono per quella
occasione: era tutto quel che aveva! Ma il giorno seguente, tra i laureandi i cui nomi figuravano in un elenco esposto
al pubblico, rischiò di non laurearsi poiché
un professore della commissione, per una
svista aveva saltato il suo nominativo. Egli,
trepidante e ansioso, tacque e solo alla fine
trovò il coraggio di farsi avanti per far presente l’accaduto; dopo tante peripezie, po-
LU BADDHITTU timpiésu
teva forse perdere quell’occasione? Il professore per fortuna gli
diede appuntamento per il pomeriggio e tutto andò per il meglio,
ma il voto di laurea non fu alto: 95! Egli, sebbene scrupoloso e
preparatissimo, afferma però di esser stato sempre agevolato
dalla carriera di militare grazie alla quale ottenne dei privilegi e
dei permessi speciali per il conseguimento dei suoi obiettivi di
studio.Tornato a casa nel novembre successivo, gli fu offerta la
prima supplenza presso la Scuola Media di Tempio la cui preside
era già allora Prudenza Murgia (!), ma nel periodo successivo sembrò che non dovesse accadere più niente quanto ad attività lavorativa. Pensò allora di iscriversi alla Facoltà di Farmacia per poter
contare su una professione sicura per il futuro. Si recò quindi a Sassari
per informarsi a questo proposito ed iscriversi al nuovo corso di studi,
ma tornato a Tempio subito dopo, ottenne un incarico a tempo indeterminato come insegnante di lettere e quindi abbandonò il progetto precedente. Dopo qualche mese fu indetto un concorso a cattedra a Roma, ma
il programma da preparare gli sembrò di dimensioni assurde; tentò comunque, senza molte speranze, di affrontarlo, consapevole però dell’arricchimento culturale conseguito per un suo continuo aggiornarsi in occasione di innumerevoli lezioni private da lui già impartite fino a quel
momento a tanti e tanti studenti galluresi, in italiano, greco, latino, storia, geografia e francese. A Roma il compito scritto del concorso consisteva in un tema da svolgere in latino, incentrato sui caratteri della civiltà alessandrina rapportati a qualcosa che non ricordo e su cui avrei
dovuto informarmi (ma non ne ho più avuto l’opportunità!). L’impegno gli
sembrò gravoso, ma egli svolse il tema in modo tale da soddisfare i suoi
esaminatori; tant’è vero che nella lunghissima graduatoria finale, poiché
i partecipanti al concorso erano diverse decine di migliaia, trovò per
fortuna il suo nome, al quart’ultimo posto, ma lo trovò! La sua carriera di
professore di liceo fu conosciuta e apprezzata da un gran numero di
studenti; col tempo egli diventò il professore d’italiano per eccellenza
della città di Tempio anche se qualche volta la sua magnanimità fu scambiata per debolezza da quelli che son stati i suoi allievi più…distratti.
Ad un certo momento, per necessità contingenti, dovette affrontare
tutte le responsabilità del Liceo Classico di Tempio nel ruolo di vicepreside, per l’improvvisa assenza del preside prof.Perinu; quindi fu preside del Liceo stesso per cinque anni fino al 1985, anno della sua andata
in pensione. All’età di 16 aveva affrontato un intervento di appendicite a
Sassari, con complicazioni talmente gravi da far pensare ad una fine imminente, ma sopravvisse. Nel treno colpito dal fuoco dell’aereo inglese,
aveva ugualmente rischiato la morte, ma era destino che si salvasse,
tant’è vero che ha avuto la possibilità d’invecchiare nella sua bella casa
di via Roma che il padre aveva acquistato dal noto commerciante genovese Sanguinetti. Giulio è stato scrittore, poeta, storico; ha ricevuto
importanti incarichi, è stato commissario d’esame in concorsi di stato.
Conosceva bene il dialetto tempiese ormai scomparso, conosceva la musica e suonava il pianoforte, si dilettava di pittura (molti suoi lavori ornavano le pareti delle numerose stanze di casa sua), ha collaborato alle
attività culturali dell’Università della terza età e ha goduto gli anni
della maturità nella sua elegante abitazione di via Roma, infastidito soltanto dall’artrosi e dalla sordità; durante gli ultimi tempi, poiché non
sentiva squillare né il telefono, né il campanello di casa, per prendere un
appuntamento con lui era necessario lasciargli un biglietto nel cassettino della posta in cui indicare giorno e ora d'arrivo: egli era solito allora
far trovare aperta la porta di casa… Professor Cossu spiegava le lezioni
con sentimento e partecipazione (molti ritengono a ragione che queste
lezioni fossero di livello universitario!) e permetteva a chi non provava
interesse di non ascoltarlo e di chiacchierare disinvoltamente, poiché
egli possedeva un senso della libertà altrui che forse non posso spiegare, cioè riteneva che per un certo tipo di discorso occorreva la maturità
necessaria per apprezzarlo e perciò non si arrabbiava quasi mai; solo
qualche volta spazientito, ma non più di tanto, si alzava e disegnava un
grande “2 artistico” alla lavagna, un 2 con occhi sognanti e cravattino a
pois: era quanto prometteva agli studenti pigri, ma alla fine... non manteneva mai... la promessa. Per ascoltare bene le sue spiegazioni era necessario spostarsi al primo banco, poiché altrove... si chiacchierava...
senza problemi. Ricordo la profonda sensibilità manifestata nel commento di un certo tipo di poesia o di personaggi dei romanzi come, per
esempio, quelli del Verga… spesso era commovente e durante l’ascolto
capitava di doversi asciugare qualche lacrima! Ricordo ancora la sua bella relazione del 1965 in occasione dei settecento anni dalla nascita di
Dante Alighieri nell’Aula Magna dell’antica sede del liceo classico (convento degli Scolopi), il lungo applauso che ne seguì… e la commozione di
colleghi e studenti...Spesso appariva sul suo volto un velo
di tristezza e probabilmente la tristezza era uno dei caratteri costitutivi della sua personalità.Fu sempre magnanimo cogli studenti che cercava di incoraggiare attraverso bei voti sia nello scritto che nell'orale; comunque,
quando arrivava il giorno degli scrutini i bei voti venivano
assegnati solo se meritati pienamente. Ora, poiché la sua
scomparsa avvenne in dicembre come la sua nascita, ricordiamo per un istante il freddo dell’inverno nella sua
poesia Natali
Di nii incappucciatu Ghjucantinu / Si idi allonga da lu mé balconi
Ma son sicura che la vita eterna lo ha condotto verso una
nuova primavera… dove
Lu celi ha di pruinca lu culori (Primmaéra) in quanto...
tuttu lu ch'è e lu ch'era/è come bolu di entu/chi passa illa carrera (Intrinata)
Addio professore!
Marilena Selis
Foto Archivio: Vittorio Ruggero
LU BADDHITTU timpiésu
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FESTA DELL’UVA
SETTEMBRE 1934
a cura di Mario Pirrigheddu
Una festa le cui sole testimonianze sono date dalle immagini che qualche anno fa, la Signora Cicu ci aveva fatto
avere, assieme a qualche notizia riportata sul retro delle
foto e a qualche ricordo letto da qualche parte. Non le abbiamo pubblicate prima perché volevamo corredarle con
ulteriori notizie, curiosità, ma purtroppo, nonostante le
nostre ricerche non siamo riusciti a trovare nulla.
Durante il periodo fascista in un settembre del 1934 i
tempiési parteciparono alla prima Festa dell’uva.
Molte facciate delle case tempiési, di Piazza Gallura e
via Roma, furono adornate da ghirlande di fiori, verdi
frasche, grappoli, pampini d’uva e manifesti. Una sfilata con carrul’a boi, debitamente addobbati di verde e da cui spiccavano grandi brutoni d’ua bianca e niédda e carichi di bambini e figuranti passava tra due ali di folla. Arricchivano la sfilata numerose ragazze
tempiési che indossavano l’antico costume locale riportato alla luce
qualche anno prima da un gruppetto di tempiesi e non, capeggiati
da professor Giovanni Andrea Cannas, tutti appassionati di tradizioni popolari. Il successo della manifestazione si vede dalla folla
che assisteva alla manifestazione
Riportiamo quanto scritto sul retro delle fotografie: Nel secondo
carro, partendo da sinistra si riconosce la Signora Dalila Spano e
nel terzo carro le Signore Cappai.
Nella foto con il manifesto SALUS si riconoscono le bambine Rosanna Seazzu e Bianca Giua vestite di bianco.
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CHISTU SOCH’ÉU a cura di Mario Pirrigheddu
Con gli ultimi caldi una foto invernale innevata è piacevole, soprattutto con una
macchina scappottata. Nella foto del 1972, elaborata su PC da Gerolamo Baffigo, abbiamo riconosciuto Gerolamo Spano, Leonardo Derosas e i compianti
Tonuccio Fara e Raimondo Sanna controllati a vista da Josto Mio Babbo.
USI COSTUMI TRADIZIONI POPOLARI (dalla prima pagina)
delle piogge e delle nevi, e ai cocenti raggi del sole; mancante spesso di nutrimento e d’un misero giaciglio in cui
possa riposare; lontano dai vecchi genitori, desiderosi che
egli chiuda loro gli occhi al sonno della morte; dall’affettuosa e dolce compagna della sua vita; dai teneri figli tanto
bisognosi d’aiuto e protezione; ramingo, perseguitato senza tregua, dalla fazione nemica e dalla pubblica forza. Non
si creda no, che egli, appena messosi al bando della legge,
si dia al ladrocinio o al mestiere infame del sicario: se ciò
si avvera si contenta meglio d’andare incontro alle più desolanti privazioni ed alla stessa morte, che torcere un capello a persone contro cui non abbia ragione di rammaricarsi. Egli ama è vero la libertà più che ogni altra umana
cosa, ma al di sopra della libertà ama la nomea di bandito
onesto e cortese, come lo furono tutti gli altri della Gallura, onde non v’è pericolo che si renda colpevole d’azione
biasimevole o per avidità di danaro, o per farsi vile strumento dell’altrui vendetta. E’ sufficiente un tozzo di pane,
mangiar pietanze è per lui rarissima cosa, d’un pò d’acqua
bevuta all’onda di limpidissima fonte, e d’un sottile strato
di foglie secche in qualche grotta, nelle spaccature delle rupi, sulle cime inaccessibili dei monti o nel covo abbandonato di qualche animale. Ciò che non gli dà generosamente
la natura, se i parenti non sono in grado di aiutarlo, egli lo
chiede all’amicizia ed alla carità dei pastori, contento di
supplicare e di stender la mano ai generosi, che di allungarla per impossessarsi col furto o con la rapina, della roba altrui. E non solo egli non commette azione criminosa e riprovevole che non sia a scopo di vendetta o di legittima difesa, o per castigare meritatamente un infame delatore, nei
quali casi è improbabile ed efferato; ma non permette neppure che altri commettano, nelle cussorgie, o nei pressi ove
dimora, e trovasi di passaggio, crimine o delitto che possa
venire a lui addebitato, e se qualcuno ardisse farlo, sa egli
costringerlo a restituire il mal tolto ed a fargli pagare in
modo più spiccio e grave il fio della di lui scellerataggine.
E non solo non vuole che si attenti alla vita ed alle sostanze
altrui, ma nemmeno di macchiarne la fama e l’onore con le
calunnie o col venir meno alla parola data da qualcuno ai
parenti d’una fanciulla di farla sua sposa; che se ciò facesse, si prende egli l’incarico di metter a senno l’imprudente
e far accordare all’offeso la dovuta riparazione.
LU BADDHITTU timpiésu
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DA LA PISCHINACCIA AL DEMURO a cura di Tino Pintus — (Foto: Archivio Vittorio Ruggero)
Una foto dei tempi epici della Pischinaccia. Anche se in bianco e nero, le condizioni
del campo di gioco, l'impermeabile del guardalinee e qualche ombrello aperto, fanno
pensare ad una tipica giornata novembrina tempiese, eppure l'appassionato pubblico
non manca, ordinatamente assiepato dietro la precaria recinzione. Erano gli anni mitici
della SEF che spadroneggiava su tutti i campi della Sardegna, quando ancora il calcio
regionale viveva di poche grandi sfide. I personaggi immortalati nella foto sono, ai più,
abbastanza riconoscibili a partire da Giovannino Zicchina, classico trequartista, che
successivamente, come allenatore, ha allevato decine di generazioni di giovani calciatori. Quindi Salvatore Luciano Jadditthu, attaccante furbo e rapido, che dopo la carriera da calciatore è rimasto vicino al Tempio in qualità di massaggiatore, continuando
a giocare sino ad età avanzata nei Tornei estivi. Infine Aldo Manconi, possente centromediano.Quarto della foto Masino Azara ineffabile ed elegante guardalinee.
BULICHENDI IN INTERNET — CRIMEN Y CASTIGO
(dalla 3° pagina)
ABBISABBISA E IRRISPOSTI
la cui ragione cominciava a vacillare. Fu rinchiuso nel manicomio di Cagliari e morì pazzo. Le indagini del
A LA PASTURINA
procuratore non avevano dato molti frutti. Prima che il Comandante, spinto dalla pazzia, si fosse tradito
a
cura di Sebastiano Scanu
e tradito i suoi consiglieri, la voce pubblica indicava come autori dell’assassinio il cieco Ordioni (il pessi- ABBISABBISA:
di Salmo violinista rosicchiato dall’invidia), l’ufficiale del Comandante chiamato Franceschi e il factotum Sa- vadóri Moretti dittu
Mulias. Come istigatore veniva indicato l’orgoglioso Salasar. I deliri del comandante attaccato dalla pazzia rettu di 'Ignóla
che lo puniva senza pietà, portarono un altro indizio al magistrato. Come prima cosa, arrestò il violinista
Sarìa lu me’ piacéri
cieco, dopo ispezionò la casa, trovando nel pozzo interno i vestiti insanguinati e tre pugnali che erano
d'aesse cuntentu e sanu.
serviti per l’omicidio. Il cieco malfattore aveva sempre vissuto con una sorella minore, che, incalzata
Un cammellu in Marianu
dalle domande del magistrato, e in presenza dei vestiti strappati, insanguinati e dei pugnali trovati nel
I’à présa ch'éra murendi
pozzo, per non incorrere nell’accusa di complicità, confessò che in quella notte fatale, il fratello era
tornato a tarda notte, l’aveva svegliata, l’aveva obbligata affinché lo aiutasse a lavarsi, a cambiarsi i ve- palchì s'éra maggjinendi
isciuta da lu salottu,
stiti macchiati e danneggiati, e a buttare nel pozzo la prova del malvagio crimine. Anche il giudice Cardi chjamà lu patriottu,
tasciac, per avere un maggior convincimento della verità, aveva dovuto cercare nella casa del morto e
ch’è in Francia pumpiéri.
nei suoi vestiti. Come risultato di queste indagini, si accese un'altra luce, e questa fu che il sacerdote
lu me' piacéri...
Joc era il figlio naturale di Luciano Bonaparte, fratello del grande Napoleone, e di una principessa Bar- LUSarìa
FINI:
berini, di Roma. Non fu possibile trovare ulteriori indizi e nuove prove a riguardo degli altri complici del
cani di Franciscu Pumdelitto: rimase solo il sospetto della partecipazione del Salias e del Franceschi, e in questo modo questi Un
pitta, illu mari aia présu, no
complici, che tutta la popolazione accusava a voce bassa, si salvarono. Il cieco Ordioni, prima della fine
socu comu, una murena.
del 1840, fu impiccato nella piazza pubblica di Tempio. Lo accompagnarono alla morte le maledizioni di
PISATI:
tutta la popolazione. Qualcuno che conobbe quel fatto e vive ancora, ricorda che mentre Ordioni era ac- LI
Un cammellu: un cani
compagnato all’impiccagione, una voce dalla folla gli gridò: “Coraggio” e che lui rispose: “Per la vostra
In Marianu: illu mari
anima, non mi fate parlare”. Per tantissimo tempo, i tempiesi dimostrarono un profondo dolore per la
éra murendi: una murena
morte del sacerdote Joc. E oggi, tuttavia, i nipoti di quella generazione, dopo settant’anni, parlano di
Maggjinendi: magnendi ?
quello come se si trattasse di una disgrazia popolare. A questa memorabile esecuzione si collega un fat- Da lu salottu: ?
to strano e raccapricciante. Nel carnevale dell’anno precedente al delitto e castigo, il cieco Ordioni par- Lu patriottu: lu patronu
tecipava, come era sempre abituato a fare, ad una mascherata allegra. L’allegria, come voleva il gusto di In francia: Franciscu
quell’epoca poco spiritosa, consisteva nella simulazione di un impiccagione. Per tutte le strade di TemPumpièri: Pumpitta
pio, nell’ultimo giorno di carnevale del 1839, sfilò un carro sul quale vi erano un sacerdote confortatore,
il boia e i suoi aiutanti. Seguivano la Fratellanza e un gruppo di soldati: tutti i personaggi
FOLA DI FEDRO
della scenetta. Ogni tanto il carro si fermava tra la folla festosa e scherzosa: il sacerdotradotta da Mario Solinas
te mormorava parole nel più spregevole latino, gli aiutanti del boia preparavano l’impiccato
LU LUPU E LA GRU Lupus et gruis (I,8 )
e una lunga frittella (come si usa in tutta la Regione) era legata attorno al collo della vittima. E chi era l’impiccato? Quell’anno, per stare un pò allegri, e l’anno seguente, l’impicca- Ca vó la paca pa un trabaddu
to era sempre il cieco Ordioni. Nella scenetta carnevalesca, di un’allegria selvaggia, quasi Fattu a li delinquenti, sbalgja dui ‘olti:
si dirà che il cieco aveva letto l’ultima pagina della sua vita mortale. (Salvatore Farina)
unu, palchì à aggiutatu lu delinquenti,
tradotto dallo spagnolo da Luigi Pirrigheddu
dui, pa aé pinsatu di falla franca.
Incuriositi da questo personaggio abbiamo fatto delle ricerche e c’è venuto in aiuto Goffedo Casalis nel suo Dizionario Storico che così conclude: “Qualunque egli fosse, era
A un lupu,inguddendisi un ossu
sill’éra arressu illu gjangastólu
certamente un uomo stimabilissimo e meritò che i tempiési dessero molte lacrime alla sua e dispiratu pa lu dulóri,
disgrazia. Consentendo a questi animi grati, scrivo queste poche parole perché la sua virtù prummittendi paca bona
sia pure onorata dai posteri.” Di seguito l’articolo firmato da Franco Vacca, e pubblicato cilcaa gjenti pal tustavinnillu.
su www.labeltula.it che conferma la veridicità del fatto.
Fidèndisi di lu gjuramentu
Uno degli omicidi del quale si sono trovate diverse notizie nell’Archivio Storico Comunale, Cu lu so códdu longu, una gru
Fési la priculósa operazioni a lu lupu.
riguarda un misterioso personaggio: PIETRO CESARE JOCK
Fece parte della Società Filarmonica di Tempio dove insegnò canto. A riguardo il Casalis Pratindendi, pói, la paca cuntrattata
“Séi tamente ingrata –li disi lu sfidiatu–
scrisse che il numero dei componenti «crebbe di molto dopo che un giovine straniero di
molti lumi e di cor magnanimo, con le altre molte cose da lui ben conosciute, comunicava ai chì, sanu,tinn’aggju lassatu bucà lu capu
da indrentu a la bucca méa
giovani tempiesi...». Da una lettera del Sindaco apprendiamo che: «…fra le altre belle
qualità e virtù riuniva anche quella di ammaestrare gratuitamente uno stuolo di giovanetti e chì alta paca ancóra mi chelti!”
alla Divina arte musicale, al di cui genio Tempiese ne faceva diggià gustare gli
armonici concerti....». Questa sua dote, insieme ai modi cortesi, lo resero par-
ticolarmente benvoluto ai cittadini, ma forse fu anche la causa della sua rovina.
Per vendicare un Comandante militare di qualche frizzo pubblico, alcuni individui, che erano stati mandati a bastonarlo, lo uccisero. Il fatto fu particolarmente sentito in città: il Sindaco il 22 Giugno 1840 scrisse all’incaricato delle
funzìoni Viceregie, fu pubblicato un manifesto con un premio di cento scudi,
una somma enorme per l’epoca pari a £ 250 (ovvero allo stipendio di oltre due
anni di una guardia civica) destinata a chi forniva informazioni utili per scoprire gli autori dell’assassinio mentre la Società Filarmonica gli dedicò un concerto. Sempre il Casalis ci fornisce altri particolari su questo misterioso personaggio che pare celasse la sua vera identità: «Costui, che aveva nascosto stu-
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LI FURRÉDDI di RUSÉDDA
Ricetta pubblicata sul Calendario 2011 del Comitato
Li Quasi Fidali 2011 di Nuchis: L’aciuléddi
Mescolare1 kg di farina bianca, 150/170 gr di strutto,
250 gr di zucchero, un pizzico di sale, una fialetta di
limone in acqua tiepida e lavorare la pasta sino a farla
diventare morbida. Formare tante cannoli della stessa
diosamente l’essere suo; ma che per le ottime qualità era ben veduto dà gallu- lunghezza, piuttosto sottili. Prenderne uno alle due
resi, fu da uno o più corsi traditori barbaramente trucidato. Non si può spiega- estremità e attorcigliarlo su se stesso. Riprenderlo allo
re il cordoglio di tutti i cittadini per la sventura di questo ospite carissistesso modo e attorcigliarlo una seconda volta. Friggemo….Nominavasi Pietro Cesare Jock, e il sospetto che egli fosse nato d’alto li- re l’acciuléddi e scolarle. Sciogliere il miele in una
gnaggio, come facea credere la sua cultura e gentilezza singolare, confermata- padella e immergervi l’acciuléddi girandole più volte.
si da certe carte che furon trovate presso di lui, e da alcune voci che il diceano
uno dei figli di Murat, o di un illustre personaggio di Aquisgrana……». Del cognome “Jock” sembra non aver riscontri in Sardegna. Il
Casalis non fornisce alcuna data sul fatto di sangue, ma una frase che compare nella lettera del Sindaco del 10 Dicembre 1840 indirizzata al Sig. Avv. Don Pietro Paolo Pes membro e Direttore della Società Filarmonica ci ha consentito di risalire alla data approssimativa del suo assassinio. «Se pur troppo trista si manteneva la rimembranza dell’atroce caso or sette lune occorso…» cioè il
3 Maggio 1840. La lettura di altri documenti lascia pensare che il delitto di Pietro Cesare Jock sia maturato nell’ambiente teatrale come strascico dei violenti scontri tra nobili e autorità militari da una parte e borghesi dall’altra. Nel Febbraio 1842 fu ucciso il Comandante militare Carlo Sielti e il Vicerè per risposta inviò altri rinforzi di truppe.
(Franco Vacca)
LU BADDHITTU timpiésu
MASSIMO DESSENA: TIMPIESI MINORI E MANNI a cura di Anna Demuru
Se chiedi ai tempiesi se conoscono Massimo Dessena subito avrai notizie su tutta la famiglia. Moltissimi gli amici, altrettanti i conoscenti e clienti
del giovane Max che si è inventato un lavoro fuori
da ogni sua conoscenza culturale e ambientale. I
Dessena vantano a Tempio la fama meritata di
grandi lavoratori: padre, madre e figli sono instancabili ed affidabili
su tutto ciò che fanno, soprattutto ci
credono e per loro
vale veramente il
detto “meglio essere
il primo degli ultimi
che l’ultimo dei primi”: in città sono
pertanto una istituzione di serietà e laboriosità.
I genitori da Tula si
trasferiscono in
Lombardia, a Vigevano, dove i giovani sposi trovano
un lavoro e nascono i primi figli (solo
l’ultimo è nato a Tempio). Il padre continua, però, ad essere nostalgico del suo
paese e della Sardegna, ma la madre proveniente da una numerosa famiglia, non
vuole rivivere le privazioni della sua infanzia e soprattutto, desidera che i figli
crescano in un ambiente completamente
nuovo senza riferimenti dolorosi alle spalle. Lei tiene i contatti con i familiari dal
paese ma non porta mai i ragazzi. È’ solita
dire “non devono passare ciò che ho passato io”. Con il marito decidono quindi di
trasferirsi a Tempio. Tutta la famiglia lavora nel bar: i genitori a tempo pieno, i ragazzi quando sono liberi dalla scuola, crescendo seri, volenterosi e ben voluti da
tutti. La famiglia non conosce ferie e rispetta le festività nell’intimo della casa.
Diplomatosi, Max sente la necessità di
crearsi un mondo suo. La piccola libreria
della vedova Spano, situata alla fine della
scalinata di San Pietro è in vendita ed il
giovane pur non abbandonando i genitori
che hanno bisogno del suo aiuto, si divide
per otto ore al bar e otto cercando di apprendere il funzionamento, anche se rudimentale, del piccolo negozio che pur essendo una mini cartolibreria un pò arruffata è pur sempre un punto di partenza. Circa due anni dopo si liberano i locali attuali
occupati da una esposizione di laterizi ed
Pagina 7
Anna Demuru
il proprietario che conosce il giovane, mantiene
la promessa fatta affinchè possa trasferirsi in
un ambiente più idoneo alle sue prospettive. Le
lacune di Max, autodidatta come si definisce,
sono immense, sia dal punto di vista culturale
(sente la mancanza degli studi classici di base),
sia per il salto di qualità che si rivela allucinante: l’utenza di un bar con tutto ciò che segue, è
ben diversa dall’attuale lavoro. Non bastano le
energie, ci vuole umiltà, desiderio di apprendere da tutti e su tutto. Ci sono negozi a Tempio
che gli danno, anche se diversi, esempi ai quali
può far riferimento. A questo punto facciamo
uno sforzo enorme per non commuoverci vistosamente. Ci parla del
Signor Paolino Maciocco il quale conosceva a menadito tutti i prodotti del suo negozio di generi alimentari: dal parmigiano agli insaccati, indimenticabile il sapore della mortadella, pasta, vini, scatolame e quanto altro. Quando li consigliava sembrava averne seguito il
percorso di lavorazione. Il contatto umano era poi assicurato da lunghe conversazioni. Il buon Mego Menicucci, toscanaccio con la battuta pronta, andava a cercare
personalmente i prodotti
dell’orto che inizialmente
esponeva in un minuscolo negozio, diventato successivamente la Boutique della frutta: uscendo eri certo di portare a casa… ceci nostrani. Max
non fa voli pindarici quando si
riferisce alla qualità del suo
commercio. Lui è sempre il
Max che ha conservato i vecchi amici e da ragazzo ha fatto
ogni genere di sport, arbitro di
calcio, ciclismo, paracadutismo ed il desiderio di stare
con gli altri non è mai venuto
meno. I tempiesi amano questa famiglia: quando Max si è
candidato negli anni in cui
non esisteva il gioco delle parti è stato il più votato.
Tutta la città ha seguito con
dolore la malattia della madre
e ne ha accompagnato con affetto il funerale. Bella figura
di donna, ottima figura di madre rinunciataria alla propria
vita per il benessere della famiglia.
(segue)
LU BADDHITTU timpiésu Aut. Tribunale di Tempio n° 507 del 01.02.2001
DIRETTORE RESPONSABILE: TONIO BIOSA
DIRETTORE REDAZIONALE: MARIO PIRRIGHEDDU
REDAZIONE: Via di Vittorio, 4 Tempio tel. 079/632929, 079/670172—PROPRIETA’: ACCADEMIA TRADIZIONI POPOLARI “CITTA’ DI TEMPIO”
Il n° 140 è stato realizzato grazie al lavoro e alla collaborazione gratuiti di:
ANNA DEMURU, GEROLAMO BAFFIGO, GIUSEPPE BAFFIGO, ANTONELLO CONCU, NICOLA DERIU, ANTONELLA GARAU, GIOVANNINO MACIOCCO, GIANMARIO PINTUS, GIUSEPPE PINTUS, TINO PINTUS, LUIGI PIRRIGHEDDU, MARIA LUCIA PIRRIGHEDDU, MARIO PIRRIGHEDDU, GIOVANNA RAU, VITTORIO RUGGERO, MARIO SOLINAS, BASTIANO SCANU, BRUNO VARGIU
stampato in 1500 copie presso TIPOGRAFIA 2000 Tempio
LA ILUSTRACION – PERIODICO UNIVERSAL
FIOCCO CELESTE
Ai neo genitori: mamma Raffaela e
babbo Maurizio, gli auguri sinceri
dalla Redazione del Baddhittu per
la nascita del loro
primogenito
FIOCCO
CELESTE
Il piccolo Gege
presenta orgoglioso il fratellino
FEDERICO SIMONE
CAPUTO CAMPUS
Auguri affettuosi
estesi ai nonni Rina
e Paolo, Irene e
Piero e a tutti gli
zii e cugini.
Ai
genitori
Domenica
e
Gianpietro gli auguri sinceri dal
Baddhittu. Auguri estesi ai nonni
e in particolare a Zio Simone.
é un giornale spagnolo di Madrid, che pubblicava il 22/9/1856
questa notizia e la riportiamo nella lingua originale perché facilmente intuibile sia per l’argomento che per la maggior parte delle
parole. (Il giorno seguente anche il giornale La España pubblicava
la stessa notizia)
En la provincia de Gallura, reino de Cerdeña, provincia que cuenta entre las menos civilizadas de aquella isla, hállase no muy distante de Tempio la aldea Agius. A consecuencia de una boda estrepitosamente deshecha, resultó entre las dos familias. Vasa y Mamio
avecindadas en aquel pueblo, una discordia profunda, la que fué
convirtiéndose en objeto de encarnizada ven ganza, en cuya vendetta quedó poco á poco comprometido todo el vecindario; tanto que
en pocos años perecieron en su consecuencia hasta 71 personas. En
29 de mayó próximo pasado consiguióse por fin una reconciliación.
Reuniéronse ambas parentelas, contando los Mamíos 324 personas,
y 273 los Vasas, en una plaza en cuyo centro se había eregido un
grande crucifijo, para solemnemente reconciliarse y reanudar las
antiguas amistades. Después de haberse todos dado un afectuoso
abrazo, pronunció el párroco todavía un discurso ad hoc, que enterneció íntimamente á todos los concurrentes.
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Tempio Pausania
LU BADDHITTU timpiésu
Pagina 8
FOCHI DI SANTU GHJUANNI
RESISTONO… NEI SECOLI
“Dal giorno della natività di san Giovanni Battista
fino alla festa degli apostoli Pietro e Paolo (dal 24 al
29 giugno), i Galluresi e segnatamente i giovani e i
fanciulli, costumano farsi compari di san Giovanni.
Tal comparatico si fa in tre modi: col fazzoletto, colla
corona e col fuoco.
Si fanno compari di fazzoletto prendendo una pezzuola bianca (simbolo della purità dei sentimenti e
del casto legame che si vuole stringere), della quale
ciascuno annoda una delle cocche, scambiandola con
colui che gli sta di fronte: le cocche vengono annodate, ricambiate e snodate per tre volte consecutive e
per tre volte ognuno annoda e snoda quella che gli è rimasta in mano, complimentandosi poi, seconda la diversa condizione dei compari, a vicenda colle parole:
A molti anni; Dio vi conceda un
buono sposo, o una buona sposa.
Oppure: A molti anni; Dio vi dia
pace e salute.
Si fanno compari di corona,
stringendosi a vicenda la destra
mano, tenendo fra esse una corona
del rosario, pronunziando, mentre
se le stringono, i versi seguenti:
Comare e compare,
Sa fide mi poltades,
Sa fide mi poltei,
Santu Gjuanne e Dei,
Dei e santu Gjuanne,
Comare e compare,
Sa fide non m’ingannes
Si fanno compari di fuoco accendendo dei falò o mucchi di stoppie, girando attorno o saltandovi
sopra, e cantando:
Cumpari, lu fócu di Santu Gjanni,
Cumpari, lu fócu di San Petru,
Cumpari, lu fócu di Sant’Antoni,
Cumpari, lu fócu di Sant’Accésu
Talvolta invece di girare attorno il
fuoco prendono dal medesimo i
rami accesi e li portano presso le
case delle ragazze, dove messili in
terra, fansi con esse a compari, afferrandosi le mani al dissopra, ripetendo il solito ritornello, mentre
incrociano le mani ora a destra,
ora a sinistra.
Quindi girano attorno al fuoco, prima a destra, poi a
sinistra e infine si complimentano stringendosi di
nuovo le mani.
Anche nel Friuli e nell’Istria è antichissima usanza
di accendere cataste di fascine nella notte di san
Giovanni, attorno a cui danzano i fanciulli, giovani
e vecchi, cantando qualche stornello o canzonetta.
Un tempo, quando la malizia era minore che in questi tempi di vantata civiltà, i compari nel complimentarsi si abbracciavano e baciavano, come i cristiani dei primi secoli, dopo la celebrazione dei sacri
misteri. Io ricordo d’averlo fatto nella mia fanciullezza con più d’una ragazza.
Il comparatico di san Giovanni, specialmente se
viene celebrato per mezzo della corona, è considerato sacro come quello del battesimo. Pare ormai che
tale attaccamento e fedeltà vada mancando; a giudiIl giornale Lu Baddhittu timpiésu, le
famiglie Pirrigheddu, Garau, Masu si
stringono al dolore della moglie Gina
Masu, dei figli Lorenzo con Dalia, Lucio,
Pasquale con Vittoria,
Franco con Paola,
Anna Rita con Luciano,
Assunta con Antonio,
del fratello Giovanni con
Vanna, dei nipoti Matteo, Daniele, Fabio e
Dario per la scomparsa
del loro caro
PAOLINO
CUSSEDDU
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La Redazione si unisce al dolore della moglie Vincenza Fancellu, dei figli Michele con
Domenica, Antonio, con Luisella, Gian Mario con Carlotta e parenti tutti per la morte
del loro congiunto
PIETRINO TAMPONI
carne dei seguenti versi, che
corrono sulla bocca di tutti:
Cummari e cumpari semu
di Santu Giuanni e fócu;
si c’imbicchemu in lu lócu
la cummaria scuncemu
Quando si legavano in comparatico per via del fuoco,
usavano i fanciulli pure saltarlo più volte, e le fanciulle sedersi attorno, sollevando spesse volte le vesti, perché il calore riscaldasse direttamente il
ventre: le avrebbe preservate
dai dolori addominali e da
sconcerti nella matrice, secondo un’antica tradizione, per
tutto l’anno.
I fuochi di san Giovanni, come quelli che si
usano accendere il sabato santo (questi benedetti
dal sacerdote), ci ricordano l’antico culto che fu
reso al sole, importato dai popoli orientali e specialmente dai Fenici in Sardegna. Ognuno sa
che il fuoco sacro ardeva nei tempi d’Apollo in
Atene e Delfo, di Cerere in Mantinea, da Giove Ammone e nei Pritanei di tutte le città della
Grecia, ove accendevansi, come avviene nelle
nostre chiese nella cappella del SS. Sacramento,
lampade che giammai si estinguevano.
I così detti fuochi di san Giovanni erano pure in
uso nella Bretagna, dove gli abitanti ponevano
delle sedie attorno ai fuochi, affinché i loro parenti defunti vi si potessero scaldare a loro
bell’agio”.
Ciò che vi abbiamo proposto è stato scritto da
Francesco De Rosa e accadeva più di cento anni
fa ed oggi, anche se con diverse modalità si ripete questo antico rito. I vari rioni di Tempio, i
giorni precedenti la festa, grazie all’iniziativa di
Associazioni, Fidali, Comitati, gruppi più o
meno numerosi di giovani, sono animati da un
continuo andarivieni: chi recupera lu ‘itichignu,
ca attacca li bandiritti, ca faci lu banconi pa la
robba di bì e di magnà e ca... figghjula..(umbè)...
Nella piazzetta antistante la chiesa di san Francesco, l’Associazione Famiglia di San Francesco presieduta dall’instancabile Tonina Puddu
con la preziosa collaborazione delle Famiglie
Angioi, Dettori, Bosic, Gala, Pisciottu, Minutti, Fiori, Eraldini, Oggiano, Muzzu, Puddu,
Zizzi, Cossu e Magri hanno organizzato una
bellissima e riuscitissima festa in cui il divertimento è stato assicurato pa manni e minóri e non
sono mancate neanche le saporitissime frisgjóli
preparate da Agostino Zizzi.
A unalt’annu meddu!
(Mario Pirrigheddu)
Servizio fotografico di
Vittorio Ruggero
CHISTU SOCH’ÉU
a cura di
Mario Pirrigheddu
È arrivata via mail la foto che
pubblichiamo più sotto: ci siamo commossi nel riconoscere il
compianto Davide Calaminici
a fianco di Giuseppe Aisoni,
Angelo Fontana, Vanni Bionda, Costanza Stincheddu,
Daniela Fontana, Franco Dettori e … bo!