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26 ottobre 2016 - 02 novembre 2016
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INDICE
ANICA - ANICA SCENARIO
01/11/2016 Corriere della Sera - Nazionale
Italia digitale
6
30/10/2016 Corriere della Sera - Nazionale
Western sulle Dolomiti
9
01/11/2016 La Repubblica - Nazionale
Cosa fanno gli animali lasciati soli in casa? Volano al botteghino
11
31/10/2016 Corriere Economia
Telecom & Media Nozze forzate
12
02/11/2016 La Repubblica - Nazionale
"I, Daniel Blake" Ken Loach verso altri trionfi
14
31/10/2016 Corriere Economia
Film Così l'Italia è diventata il set del cinema mondiale
15
31/10/2016 Corriere Economia
Tivù Tutti a caccia di realtà (virtuale)
17
02/11/2016 La Repubblica - Nazionale
"Così ho dato vita al piccolo samurai nascosto in tutti noi"
19
02/11/2016 La Stampa - Nazionale
Ma che Natale affollato Sarà guerra tra cinepanettoni
20
01/11/2016 Il Messaggero - Nazionale
Ben Affleck: basta fumetti adesso è l'ora degli antieroi
22
30/10/2016 Corriere della Sera - La Lettura
La luce non mi basta più
24
02/11/2016 La Stampa - Nazionale
"Con la crisi che c'è al cinema questa è come un'oasi protetta"
26
29/10/2016 La Repubblica - Nazionale
"Grazie a papà porto in Italia Steven Spielberg"
27
27/10/2016 La Repubblica - Nazionale
Se il falso d'autore in tv piace più della Storia
29
01/11/2016 Il Tempo - Nazionale
L'ultima «patacca» Rai Così ruba i video a Sky
31
02/11/2016 Il Messaggero - Nazionale
Blunt e la ragazza del treno: racconto il nostro lato più oscuro
32
01/11/2016 Il Tempo - Nazionale
Fantascienza e fumetti Besson sfida Cameron a colpi di effetti speciali
34
30/10/2016 L'Espresso
Sogni tristi in libertà
35
30/10/2016 L'Espresso
Quei film andati in fumetto
37
02/11/2016 Il Giornale - Nazionale
«Il cinema va male? Colpa dei registi: fanno film pallosi»
38
01/11/2016 La Sicilia - Nazionale - Catania
Il duo comico I Soldi Spicci da oggi girerà a Castelbuono il primo film
40
31/10/2016 La Stampa - Nazionale
La serie tv che libera la brutalità e cancella ogni senso di colpa
41
30/10/2016 La Stampa - Nazionale
"Le serie tv sono un'eccellenza italiana Il nostro obiettivo è farne tre all'anno"
43
29/10/2016 La Stampa - Nazionale
DAI LIBRI ALLA TV, UNA BELLISSIMA PAURA
45
31/10/2016 Il Messaggero - Nazionale
«La televisione genera mostri»
46
02/11/2016 Diva e Donna
GIOVANNI MINOLI ALTRO CHE RAI: FINALMENTE A LA7 FACCIO SERVIZIO
PUBBLICO
47
30/10/2016 Il Messaggero - Nazionale
Come truffare i truffatori si "impara" in un mio film
50
30/10/2016 Il Messaggero - Nazionale
Virna Lisi un sorriso senza fine
51
30/10/2016 Il Messaggero - Nazionale
"Il medico di campagna" supereroe che conquista i botteghini francesi
52
29/10/2016 Il Messaggero - Nazionale
«Che risate con Mafia Capitale»
53
29/10/2016 Il Messaggero - Roma
Una porta sul Medio Oriente
55
29/10/2016 Il Messaggero - Umbria
Torna il Festival d'inverno e porta Claudia Cardinale
56
29/10/2016 Il Messaggero - Metropolitana
Fiction e reality, Tivoli fa il pieno
57
29/10/2016 Il Fatto Quotidiano
" L ' ora legale " di Ficarra e Picone: " Cosa succede se vince l ' onesto? "
58
29/10/2016 L'Unità - Nazionale
Radar La serialità dalla tv al cinema secondo Crespi e l ' esperienza di Cubeddu in "
Pechino Express "
60
31/10/2016 Il Tempo - Nazionale
La profezia di Gabriele Salvatores «Il futuro del cinema è hi-tech»
62
29/10/2016 Il Tempo - Nazionale
Parata di star del cinema per il premio RdC Awards
63
ANICA WEB - ANICA WEB
31/10/2016 www.ansa.it_sicilia 16:33
Cinema: Ciak a Castelbuono per film con I soldi spicci
65
31/10/2016 www.spotandweb.it 16:45
Tre spot per la campagna IO FACCIO FILM
66
29/10/2016 youmovies.it 14:30
"Io faccio film": il concorso
67
29/10/2016 cinetvlandia.it 12:49
Io faccio film: 3 nuovi spot e concorso ufficiale in difesa delle maestranze del
cinema italiano
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ANICA - ANICA SCENARIO
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INTERVISTA
Italia digitale
Salvatores «La mia sfida? Coniugare effetti speciali e racconto»
Stefania Ulivi
Ent'anni fa immaginò un mondo dominato dai videogiochi. Oggi non si separa dal suo cellulare (anzi ne ha
due) ma non ama i social network. Se deve scegliere tra passare il tempo davanti a una serie tv o davanti a
un Caravaggio non ha dubbi. Ma, pioniere dell'era del digitale sul grande schermo, pensa che le immagini
generate digitalmente possano aiutarlo a evolvere. Non tradisce comunque l'amore per il teatro, dove tutto
per lui cominciò, e pensa che possa essere un antidoto contro un uso compulsivo della tecnologia che
anziché aprirci nuovi mondi rischia di rinchiuderci in tante monadi autoreferenziali.
Benvenuti nel mondo di Gabriele Salvatores, il più eclettico dei nostri registi, sempre in cerca di un confine
da spostare un po' più in là. In questi giorni la frontiera artistica è legata agli effetti speciali. Lo incontriamo
a poche ore da una masterclass all'Area Movie di Lucca Comics and Games 2016 in cui, insieme al
maestro dei visual effects Victor Perez (in curriculum da Harry Potter a Il cavaliere oscuro , passando per
Star Wars ) ha illustrato le innovazioni grazie a cui sta dando vita al sequel de Il ragazzo invisibile , prodotto
da Indigo con Rai Cinema, che uscirà per 01 Distribution nell'autunno del 2017.
L'anno del ventennale di Nirvana .
«Al prossimo Torino Film Festival dove sarò guest director , lo proietteranno. Lo girammo negli ex
stabilimenti dell'Alfa Romeo, quelli dell'uscita degli operai di Rocco e i suoi fratelli . Fu un tentativo da pazzi,
per fortuna andato a buon fine. Il vero figlio dell'Oscar».
In che senso?
«Quando ci arrivò la notizia del premio per Mediterraneo eravamo in Messico a girare Puerto Escondido
che seguiva il filone di Marrakech Express e Turné , italiani all'estero alla ricerca del nuovo. L'Oscar è stato
il mio superpotere: potevo, anzi dovevo, osare, fare cose diverse. Cambiai strada e arrivò Sud e poi
Nirvana ».
Il più ardito dei suoi esperimenti, già allora con il suo sito web. Come le venne l'idea?
«Dal bigliettino che Kurt Cobain lasciò prima di ammazzarsi con la citazione da Neil Young: "It's better to
burn out than to fade away". E l'aggiunta: "Non riesco più a stare in questo gioco". E da tanta fantascienza
su cui mi sono formato. 1984 di Orwell, letto forse fin troppo presto. E poi Philip Dick, Ray Bradbury. Libri
che raccontavano la paura di un futuro spersonalizzato. Che poi è quello che ci è successo veramente».
Gli effetti speciali erano, per così dire, poco spettacolari.
«Harvey Weinstein che comprò i diritti Usa rimase sbalordito dalla qualità degli effetti. Tecnicamente, mi
disse, si possono fare meglio ma voi ne avete fatto un uso legato alla narrazione unico. Lo fece anche
doppiare ma ebbe più successo nelle proiezioni in italiano sottotitolate. Non c'è bisogno di canottiere e
mandolini per essere riconosciuti come italiani».
Eppure siamo i primi a vivere di nostalgia.
«È il nostro vizio. Siamo stati spesso i più moderni di tutti - Archimede, Galileo, Marco Polo, Colombo -, veri
pionieri. Come l'Olivetti e l'Alfa Romeo. Ma singoli prototipi. La difficoltà è fare sistema e riconoscere i nostri
meriti. Per esempio, la vicenda della sonda Schiaparelli si è conclusa male ma neanche lo sapevamo che
eravamo stati capaci di arrivar fin là».
Innovare vuol dire?
«Chiudere una porta per aprirne un'altra. Solo affrontando l'ignoto si rinasce, la vita è fatta di abbandoni. È
la cosa che mi spaventa di più l'abbandono. Io riesco a farlo bene nel lavoro meno bene nella vita privata.
E, infatti, non avendo una famiglia tradizionale, ho costruito un gruppo di lavoro, prima in teatro e poi nel
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cinema, con cui mi trovo da trent'anni».
Che rapporto ha con la tecnologia?
«Contraddittorio. La uso per il mio lavoro e per rendere la vita più facile. Va bene per comunicare ma non è
la comunicazione. Non sono molto tecnologico in effetti, non sto su Facebook né su Twitter, i social network
non mi piacciono. Non amo molto neanche le serie tv che hanno ribaltato il concetto di racconto, non ho
mai voglia di stare lì a vederle. In un'ora e 40 minuti forse tutte le storie sono state raccontate invece le
serie funzionano come la rete, apri dei link su storie laterali. In fondo è quello che facevano i romanzi a
puntate dell'Ottocento...».
Ha detto che il web ci apre al mondo ma toglie spazio all'ignoto.
«È un paradosso. La Rete è nata come punto di incontro libero e anche anarchico di idee diverse, ora
rischia di diventare da un lato un supermercato, dove chiunque cerca di venderti qualcosa, e dall'altra una
fonte di informazione di superficie. Non che questo sia dannoso ma non è il vero sapere. Passi da un link
all'altro, hai più notizie ma sai meno della singola cosa. È un processo orizzontale, si è persa la profondità.
Una volta si diceva un pozzo di saggezza... E ci si sta isolando. Sento in giro il desiderio di esperienze
dirette, uniche e irripetibili. Il teatro potrebbe giocare un ruolo anche sociale».
Sta girando con attori giovanissimi come Ludovico Gilardello, 16 anni. Come li vede?
«I millennials , nati con le tecnologie, sono veramente una generazione a sé, Internet ha creato una frattura
molto forte. Conosco alcune persone di quell'età insopportabili, mosci, i famosi "sdraiati" di Serra, per
capirsi. Ma tanti altri fantastici. Ogni generazione ha avuto avanguardie e retroguardie. A loro abbiamo
bruciato sogni, spinte, abbiamo già fatto tutto e non ci togliamo di mezzo. E infatti la rivincita la prendono
sulla tecnologia».
Il futuro del cinema passa dalla realtà virtuale?
«No. Quella è l'evoluzione dei videogiochi. Il cinema è ancora quel quadratino in cui io regista racconto una
storia. Se metti lo spettatore al centro della scena cambia la prospettiva».
Ora torna a Malta per le ultime scene del sequel de Il ragazzo invisibile. Come sarà?
«Il primo film raccontava di un ragazzo che scopriva di avere superpoteri e ne era spaventato. Qui entra in
scena una sorella, Natasha e la madre biologica in conflitto con quella adottiva. Intrighi, tradimenti, azione.
Sarà più adulto e spettacolare del primo, ma anche più dark . E molto innovativo sul fonte degli effetti. Miles
Davis quando chiamò Coltrane per il suo quartetto disse: "Non cercavo un sassofonista ma qualcuno che
cambiasse la musica". È quello che voglio fare con Victor».
E dunque?
«Sarà il primo film italiano con l'uso del 3D anche per generare immagini in post-produzione. Con Victor ho
ricreato in 3D personaggi in carne e ossa, e spazi: un'innovazione che potrebbe cambiare molto il modo di
girare».
Una nuova frontiera per lei è il racconto del femminile. Negli ultimi film ci sono più spesso donne e ragazze
complesse .
«È vero, ho perso la paura di farlo, anche lavorando a contatto con le giovani attrici. Per me il femminile è
sempre stato un mondo misterioso. E ora ho anche un nuovo progetto con un personaggio femminile
bellissimo».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
L'industria dell'intrattenimento LA QUOTA DEL DIGITALE NEI VARI SETTORI LA MUSICA I VIDEO
uomini 50% donne 50% degli italiani over 14 49,7% Corriere della Sera *Non vengono forniti dati italiani
21% Film 20% Libri 7% Riviste 60% Giochi 45% Musica I GIOCHI Gli abbonati nel mondo* Il fatturato (nel
2015) Supporto digitale (+10,2%) 45% Streaming (nel 2015) 45% Supporto fisico (cd, vinilio altro) 39% Il
sorpasso del 2015 (quote di mercato) Apple music 17 milioni Spotify 39 milioni 25 milioni i videogiocatori
952 milioni di euro (+6,9 sul 2014) di cui 569 milioni 59,8% Videogiochi più venduti: Fifa 16, Call of Duty:
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Black Ops III e Minecraft 300 milioni 31,5% Console 1,029 milioni di console vendute: 78% home, 22%
Portable 83 milioni 8,7% altri Gli italiani che utilizzano almeno un servizio di streaming su abbonamento 3,2
milioni La spesa per i servizi di video streaming nel 2015 Ricavi derivanti dall'accesso ad Internet nel 2015
Internet previsto nel 2020 Videogames Tv Radio 29,7% 34,1% +7,2% +4,6% +4,6% + 27% sul 2014 +2,4%
50 milioni di euro Incremento previsto dei ricavi nel periodo 2015-2020
Foto: È possibile seguire i contenuti e
le riflessioni su
«Italia digitale» all'indirizzo www.corriere.it/italia-digitale/ Su corriere.it si trovano anche servizi
e storie sul mondo digitale, che riguardano l'innovazione, la ricerca e la tecnologia
Foto: Gabriele Salvatores,
è nato a Napoli 66 anni fa. Vincitore del premio Oscar nel 1991 con «Mediterraneo»,
sta girando le riprese
del sequel del «Ragazzo invisibile», che uscirà
nelle sale nell'autunno
del 2017. È stato tra
i protagonisti all'Area Movie di Lucca Comics
and Games (foto Ernesto Ruscio /Getty Images)
Foto: Vent'anni fa, con «Nirvana» , immaginai il mondo dominato dai videogiochi
I Millennials si vendicano di noi con la tecnologia perché gli abbiamo bruciato i sogni
Foto: L'evento Il 7 e 8 novembre a Milano due giorni per capire e raccontarsi
con esperti italiani e internazionali Avanguardia Noi italiani siamo stati spesso i più moderni, penso a
Galileo
o all'Olivetti, ma non facciamo sistema
ANICA - ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 26/10/2016 - 02/11/2016
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Western sulle Dolomiti
In arrivo Paure, leggende e drammi familiari in «La pelle dell'orso» Un padre rabbioso, il figlio adolescente,
la montagna Il film di Paolini evoca l'Italia profonda degli Anni 50
Gian Antonio Stella
«E l à balegà sulla peca del Matharol», dicevano sulle montagne dolomitiche, facendo con la mano destra il
gesto d'avvitar qualcosa in aria, per descrivere chi era andato via di testa: «Ha messo il piede sull'orma del
Matharol». Il folletto vestito di rosso che gironzolava per i boschi e faceva uscir di senno chi voleva perdere.
Forse anche Pietro Sieff, il selvatico protagonista dell'ultimo film di Marco Paolini, La pelle dell'orso , tratto
dall'omonimo romanzo di Matteo Righetto e firmato dal regista Marco Segato, aveva messo il piede su
quelle orme maledette. Imboccando quel sentiero di rancori e sventure che porta inesorabile verso un
cattivo destino. Ruvido, incattivito, rabbioso coi compaesani e i compagni dell'osteria «Alla Posta» e i
parenti e perfino Domenico, il figlio di quattordici anni (interpretato da Leonardo Mason) che non si capacita
di tanta ostilità e tenta di contenere come può gli sfoghi di collera paterni, Pietro è un brutto figuro. Uno di
quegli uomini che nelle maschere popolari delle valli veniva rappresentato appunto come un uomo orso.
Coperto di pelo, torvo, le fauci assassine.
Siamo nel 1955, in un borgo dalle parti di Fornesighe, un paese della Val Zoldana povero e bellissimo. Ma
potremmo essere nella vicina Carnia, in Valtellina, in Garfagnana o sui Nebrodi. Perché la storia, al di là
della cadenza bellunese dei personaggi, è una storia universale. Una specie di western dove padre e figlio,
scossi entrambi dalla morte della figura femminile che avrebbe potuto dare alla famiglia qualche equilibrio,
imparano a conoscersi arrancando, inciampando, ruzzolando rovinosamente in un viaggio attraverso i
dirupi e le foreste.
È un'Italia povera. Affamata. Uscita dalla guerra popolata da contadini e montanari che dopo aver
combattuto a volte sui rilievi lontanissimi del Corno d'Africa cantando «Mamma ritorno ancor nella casetta/
sulla montagna che mi fu natale / son pien di gloria, amata mia vecchietta...», si sono ritrovati al ritorno
ancora più isolati di prima. Ostaggi di contrade via via più spopolate.
Con maestri impegnati a tenere aperte scuole sempre più piccole e malmesse per scolari sempre più ridotti,
esposti a inverni duri come quelli raccontati anni addietro dal maestro Emilio Alchini: «Oggi pochi gli assenti
ma il freddo e la mancanza di legna non mi permisero di fare le mie lezioni regolari... Non è possibile tener
la penna in mano. I ragazzi piangono dal freddo...».
Contrade così lontane e mal servite che se qualcuno moriva in certe annate di nevicate eccessive veniva
appeso alle funi in un «tabià» al sicuro dai topi per poi fare il funerale al momento in cui si scioglievano le
nevi. Così tagliate fuori dal resto del mondo che di malga in malga girava la «cromera», una donna
instancabile e senza età che a dorso di mulo portava alle famiglie una miriade di piccole cose in vendita.
Anche nel film di Marco Segato e Marco Paolini prodotto da Jole Film c'è una «cromera», interpretata da
Lucia Mascino. E con lei un po' tutte le figure del piccolo mondo antico dolomitico che in quegli anni 50
sarebbe stato in gran parte svuotato dall'emigrazione. Un piccolo mondo dov'era dura vivere per gli uomini.
E ancor di più per gli orsi. Certo, una volta ce n'erano tanti. E gli Appennini tosco-emiliani degli «Orsanti» e
tutto l'arco alpino erano pieni di leggende. Come quella dell'«orso de San Luguan» che seminava il terrore
nella cadorina Val d'Ansièi uccidendo e sbranando vacche e capre e pecore finché i valligiani chiesero
aiuto a un sant'uomo e quello andò senz'armi a cercarsi la fiera sanguinaria e riuscì ad ammansirla
carezzandola sul petto e se ne tornò in groppa al plantigrado come fosse un pacifico bue.
Leggende. Tolte quelle, gli orsi sono stati decimati da secoli e secoli fino a ridursi sulle Dolomiti a rarissimi
esemplari di passaggio o scampati ai cacciatori di valli ancora più remote. Come appunto il nostro. Lui pure
sopravvissuto alla guerra e arrivato chissà da dove nei boschi di Fornesighe dove fa strage di animali
ANICA - ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 26/10/2016 - 02/11/2016
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domestici spaventando la popolazione.
Reduce, solitario e incattivito. Come Pietro. Che una sera, bastonato dal vino e da mille umiliazioni, sfida il
padrone della cava per cui lavora: lo ucciderà lui, l'orso che nessuno riesce a uccidere. Lui. In cambio di un
anno di stipendio. E tra la diffidenza altrui parte per la sua caccia tra i boschi.
È la sua occasione. Il suo riscatto. E giorno dopo giorno scopre che quel figlio che gli sta alle costole per
aiutarlo in fondo in fondo... Una scoperta reciproca. Ma non va bene raccontare come va a finire. In ogni
western, sia pure dolomitico, deve restare il dubbio: vinceranno i buoni o i cattivi? Meglio: chi sono i buoni?
E chi i cattivi?
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Il profilo
Marco Paolini è nato a Belluno il 5 marzo 1956. È un dramma-turgo, regista, attore, scrittore. Con «Il
racconto del Vajont» arriva al grande pubblico: lo spettacolo vince nel 1995 il Premio Ubu per il Teatro
Politico, nel 1997 l'Oscar tv per il programma dell'anno
Foto: Marco Paolini e Leonardo Mason, padre e figlio in «La pelle dell'orso», tratto dall'omonimo libro di
Matteo Righetto. Il film, ambientato negli anni Cinquanta in una comunità montana delle Dolomiti, racconta
la storia di un paese minacciato da un orso
Foto: Sul set Lucia Mascino in «La pelle dell'orso», film diretto da Marco Segato, sugli schermi italiani dal 3
novembre
01/11/2016
Pag. 49
diffusione:248077
tiratura:374273
Cosa fanno gli animali lasciati soli in casa? Volano al botteghino
Le bestiole antropomorfe di "Pets" tallonano la pesciolina Dory: e i bambini si identificano Lo spunto della
vicenda ricorda da vicino un altro successo del passato: "Toy Story"
EMILIANO MORREALE
NELLE ultime settimane, un nuovo film d'animazione è ai vertici degli incassi italiani. Pets, arrivato a 12
milioni in 4 settimane, tallona Alla ricerca di Dory (seguito di Alla ricerca di Nemo ), che ne ha incassati 15
in sette settimane.
Negli Usa, dove è uscito a luglio, il film ha finora guadagnato 366 milioni di dollari, e oltre 500 nel mondo.
Da notare, peraltro, che i primi 8 incassi dell'anno negli Usa sono 4 film di supereroi e 4 d'animazione: una
compagine poco varia, diretta soprattutto a un pubblico di giovani o giovanissimi. Il film è prodotto dalla
Illumination Entertainment, fondata 9 anni fa da Chris Meledandri, e lo spunto ricorda quello di Toy Story:
cosa fanno i giocattoli quando i bambini non ci sono? Qui al posto dei giocattoli ci sono animali domestici
(cani, gatti, ma anche porcellini d'india e quant'altro) che, quando i padroni sono fuori, si dedicano alle
attività più bizzarre e comunicano tra loro.
Un Jack Russell terrier e il suo nuovo "fratello", un altro cane appena adottato, si perdono al parco e
finiscono tra l'altro alle prese con una banda di animali cattivi, che odiano gli umani perché da loro
abbandonati. Ai tempi della rivalità tra Pixar e DreamWorks, la prima creava film per bambini che in realtà
funzionavano benissimo, e forse meglio, con un pubblico adulto e sofisticato, anche cinefilo; mentre la
seconda era come se si rivolgesse a un ideale pubblico di adolescenti, di non-più-bambini che cercavano di
uscire dalla semplicità delle storie godendone l'artificialità (la serie di Shreck ). Ora il cinema d'animazione
sembra riscoprire una vocazione più schiettamente infantile, magari articolandosi in film più "maschili" o più
"femminili". In Pets, va aggiunto, c'è anche la riconquista della città di New York, a quindici anni dal crollo
delle Twin Towers. È la metropoli la protagonista del film, attraversata dal basso nelle fogne o in verticale,
letteralmente a volo d'uccello, da Manhattan a Brooklyn (con tanto di battuta sul fatto che ormai ci vanno a
stare tutti).
Qualcosa che il cinema popolare aveva già proposto nel remake di Ghostbusters.
Alla proiezione cui ho assistito, il pubblico era composto esclusivamente da bambini accompagnati; e del
resto, in gran parte delle sale il film è programmato ormai solo il pomeriggio, quindi rivolto al nocciolo duro
del pubblico infantile. I bambini si divertono agli inseguimenti, e amano vedere animali antropomorfi.
Ma si ha anche l'impressione che scatti in loro un po' di identificazione. Insomma: e se i cuccioli e gli
animali domestici, i pets, fossero uno specchio degli spettatori del film, cioè appunto i bambini? Sì, forse
sono proprio loro, questi esserini coccolati, con vite ignote ai loro "padroni", gelosi dei "nuovi arrivati", che
lasciati soli si piazzano davanti al televisore (o davanti ai tablet o ai computer) e creano impossibili forme di
comunicazione da appartamento ad appartamento.
O sognano alleanze con i ragazzacci dei bassifondi, più cattivi ma forse più liberi.
Foto: IL FILM Una scena del film d'animazione "Pets-Vita da animali" la commedia sugli animali domestici:
come vivono quando li lasciamo soli
ANICA - ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 26/10/2016 - 02/11/2016
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R2 ROMA
31/10/2016
Pag. 11 N.36 - 31 ottobre 2016
Telecom & Media Nozze forzate
Tablet e smartphone hanno cambiato il modo di utilizzare i contenuti: ora l'utente sceglie dove e cosa
guardare. E i broadcaster devono ripensare al loro business. Diversificandolo
maria elena zanini
Ottantacinque miliardi sul tavolo per un'operazione che ha turbato anche il candidato alla Casa Bianca
Donald Trump. Quello annunciato da At&t e Time Warner è un accordo che ha dato una scossa a due
mercati complessi come quello delle telecom e dei contenuti. Il candidato repubblicano alla presidenza, ha
già detto che «c'è troppa concentrazione di potere nelle mani di poche persone». Ma verosimilmente dovrà
farci l'abitudine, perché sembra proprio che il trend da entrambe le sponde dell'Oceano sia questo: accordi,
partnership e fusioni, secondo la logica del «tieniti stretti gli amici, ma ancora più stretti i nemici».
Certamente l'Europa non può aspettarsi un'operazione simile, sia a livello di cifre, sia a livello di utenti
coinvolti. Per ovvi motivi quello europeo è un mercato più frammentario rispetto a quello statunitense e
quello italiano in particolare. Troppi canali free to air e un settore pay decisamente poco sviluppato a livello
di contenuti rispetto agli altri cugini europei sono due dei tasti dolenti dell'Italia. Alessandro Araimo, chief
operating officer di Discovery per il Sud Europa, lo scorso aprile auspicava un consolidamento che potesse
passare anche dagli operatori di telefonia che, a suo dire, «non si sono mai messi veramente messi in
gioco». E mettersi in gioco converrebbe a entrambi, media e telecom, i primi costretti a confrontarsi con un
mercato sempre più «à la carte» con competitor come Netflix, i secondi con un business che nel tempo ha
dovuto adattarsi alle diverse esigenze dei consumatori. Basti pesare all'importanza che il traffico dati ha
assunto negli ultimi anni, a discapito di chiamate e messaggi. Non solo, anche lo sviluppo della banda larga
in cui sono coinvolti più che attivamente Enel, Wind e Vodafone avrà una parte decisamente interessante.
Cambiare
Un modo che le società di telecomunicazione hanno per alzare il valore del proprio business è quello di
diversificare e puntare sui contenuti. E il modo più veloce di farlo è comprarli già «pronti» da chi ne ha. Da
parte loro le telecom possono contare su reti di proprietà che gli eventuali partner possono utilizzare. Una
strategica win win che evidentemente funziona se dal 2013 a oggi le partnership tra tlc e media sono state
oltre 700 in Europa. Quando Mediaset e Vivendi avevano annunciato l'acquisto da parte dei francesi del
100% della pay tv del Biscione, tra i nomi inclusi nella partita era stato fatto quello di Telecom, come
naturale partner accanto ai colossi dei media.
E in Europa?
Chi è riuscito in Europa a creare un piccolo impero in grado di unire telecom e media è Telefonica,
l'operatore spagnolo che, creando una cospicua base di sottoscrittori, aveva fondato Via Digital, poi
diventata Canal+ in seguito alla fusione nel 2003 con Canal Satélite Digital. Lo scorso anno Canal+ è stata
rilevata interamente da Telefónica, che l'ha fusa con Movistar TV, dando vita a Movistar+. Resta da capire
cose decideranno di fare i vertici della società spagnola con la quota dell'11% detenuta in Mediaset
Premium, ora che i francesi di Vivendi si sono tirati indietro.
Anche nel Regno Unito il processo di merger tra telco e contenuti è cominciato e un ruolo chiave l'ha
giocato l'ex monopolista British Telecom che ha lanciato nel 2013 un canale sportivo, BT Sport, per il quale
ha speso 1,2 miliardi per assicurarsi i diritti della Champions League fino al 2018, decidendo, appunto, di
investire in contenuti. Chi ha fatto il percorso inverso è stata Sky che nel Regno Unito ha triplicato il proprio
business, come ha rivelato il ceo di Sky Europa Jeremy Darroch nella conference call con gli analisti sui
risultati del terzo trimestre: «L'offerta di una scheda sim per il telefono mobile è vicina al lancio». La
creatura di Murdoch in Gran Bretagna offre già un pacchetto che comprende tutta la telefonia per casa oltre
alla connessione pay tv. In questo modo si troverebbe a fornire ai propri clienti un'offerta a 360 gradi che
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Numeri Negli ultimi tre anni sono partite oltre 700 partnership di varia natura tra i due settori. In Italia
Telecom ha lanciato TimVision
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ANICA - ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 26/10/2016 - 02/11/2016
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spazia dalla tecnologia, alle infrastrutture, fino ai contenuti. In Francia c'è Orange che a livello di contenuti
ha deciso di investire in Deezer, una app in grado di offrire lo streaming on demand di circa 35 milioni di
brani]di numerose case discografiche ed etichette indipendenti.
E in Italia? Il mercato dei media deve fare i conti con un netto cale della pubblicità, situazione che ha spinto
molti broadcaster a produrre contenuti per poi rivenderli. E da parte loro le tlc sono ben contente di
approfittarne. Propria piattaforma, contenuti altrui continua a essere la formula vincente. Da noi il principale
player è Telecom che ha deciso di diversificare il proprio business con TimVision, tv on demand nata come
Cubovision nel 2009. Nel corso degli ultimi anni ha siglato accordi con RaiCom, Mgm e Lucky Red, dando
anche la possibilità di integrare la propria piattaforma con abbonamenti a Netflix, oltre a Infinity, e Mediaset
Premium. Resta attualmente esclusa la piattaforma Now TV di Sky.
@mezanini
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SPAGNA Telefonica: Digital+ e una quota in Mediaset Premium Le forze in campo Media e
telecomunicazioni: tutti gli accordi europei REGNO UNITO British Telecom: possiede Bt Sport per cui ha
acquisito i diritti della Champions League fino al 2018 Sky: mobile broadband, tv Sir Michael Rake,
presidente di British Telecom Jeremy Darroch, presidente di Sky FRANCIA Orange: possiede Deezer, La tv
d'Orange Vivendi: possiede Canal+, Daily Motion, Studio+. Partecipazioni in Telecom Italia, Telefonica
Stéphane Richard, Ceo di Orange Vincent Bolloré, Ceo di Vivendi ITALIA Tim: Con la sua tv on demand
TimVision ha stretto accordi con Sky, Mediaset, Netflix, 20th Century Fox e Mgm Vodafone Italia: servizio
broadband lancerà Vodafone TV Ha stretto accordi commerciali con Mediaset Flavio Cattaneo, Ceo di Tim
Aldo Bisio, Ceo di Vodafone Italia José María Álvarez Pallete López, Ceo di Telefonica Franchino
Foto: M&A Randall Stephenson, amministratore delegato di At&T, la maggiore società di telecomunicazioni
americana
Foto: Vertici Jeff Bewkes, amministratore delegato di
Time Warner, colosso Usa che opera nel settore del
cinema e della televisione
02/11/2016
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tiratura:374273
"I, Daniel Blake" Ken Loach verso altri trionfi
I, Daniel Blake l'ultimo film di Ken Loach è in cima alla classifica delle nomination per i British Independent
Film Awards, premio dedicato ai film "indipendenti" prodotti in Inghiltera. Le nomination riguardano sette
categorie tra cui miglior film, miglior regia e miglior sceneggiatura. Candidature che confermano il successo
della pellicola tra i critici del mondo: I, Daniel Blake ha trionfato all'ultimo Festival di Cannes.
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IL FILM News/R2 CULTURA/in pillole
31/10/2016
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Film Così l'Italia è diventata il set del cinema mondiale
Dai Medici a The Young Pope, è partita la corsa a girare nel nostro Paese Gli effetti sul turismo: boom di
brasiliani in Toscana sull'onda della telenovela «Passione» di Globo tv
stefania ulivi
Delocalizzazione. La fuga delle produzioni cinematografiche e televisive verso l'estero, dove per abbattere i
costi venivano ricostruiti pezzi d'Italia in studi allestiti dai paesi dell'Est Europa alla Tunisia, è stato a lungo
uno spauracchio per tutto il comparto dell'audiovisivo. Ora la stessa parola, delocalizzazione, assume un
significato opposto. Ad attrarre gli stranieri siamo noi Ora preferiscono l'originale alle copie grazie agli
incentivi e al rinnovato modello organizzativo. Operazioni come Inferno di Ron Howard (con tanto di prima
mondiale a Firenze a coronamento di settimane di riprese in esterni e ambientazioni da sogno), I Medici ,
The Young Pope , oltre a titoli ignoti al nostro pubblico ma seguiti da moltitudini di spettatori in paesi come
India, Cina, Brasile, mercati i cui operatori stanno sfruttando gli strumenti che hanno favorito l'inversione di
tendenza. Lo conferma Stefania Ippoliti, presidente dell'Associazione delle Film Commission Italiane (Ifc)e
a capo della Film Commission Toscana.
Il ritorno
«Gli stranieri sono tornati a privilegiare l'Italia, aumenta la richiesta di girare in esterno in tutta la Penisola.
Stiamo raccogliendo i frutti della politica di incentivazione fiscale attraverso strumenti come il tax credit per
le produzioni internazionali e le co-produzioni. Abbiamo azzerato il gap. E i ritorni in termini di indotto sono
immediati». I tour operator, per fare un esempio, già vendono pacchetti tematici «Inferno», «I Medici», si
registrano nuovi flussi turistici, come il boom di brasiliani arrivati sull'onda di puntate della telenovela
Passione di Globo tv girate in Toscana. E gli effetti si sentono anche sul piano del coinvolgimento di
maestranze e imprese italiane.
In Italia il sistema delle Film Commission è composito e in via di evoluzione, anche alla luce del nuovo
disegno di legge sull'audiovisivo in via di approvazione che ne riconosce ufficialmente il ruolo nell'articolo 4.
Le Film Commission, autorità amministrative indipendenti finanziate dagli enti locali, sono 17.
«L'organizzazione è mutuata dal modello anglosassone - spiega Ippoliti -. Di fatto sono sportelli di
accoglienza, un servizio che il pubblico mette al servizio dell'industria audiovisiva. Dobbiamo rendere
possibile la delocalizzazione temporanea delle imprese di produzione».
I servizi
I servizi offerti comprendono guida alla produzione, comprensiva di database di maestranze, professionisti
e imprese, database delle location, mediazione e contatto diretto con enti governativi ed autorità locali,
assistenza nell'ottenere i permessi e facilitazioni nell'utilizzo delle location, nel contatto con aziende locali
per product placement e fundraising , agevolazioni tariffarie per trasporti, vitto e alloggio. Gli obiettivi,
rilanciati nei giorni scorsi a Roma di fronte agli interlocutori internazionali in occasione del Mia (Mercato
internazionale dell'audiovisivo) nello showcase «The Italian Journey», sono molteplici. «Promuovere i
territori e attrarre investimenti mettendo in contatto le produzioni con il mondo delle professionalità tecniche
e artistiche e le imprese di servizi».
Nei primi sei mesi del 2016 le produzioni sono aumentate del 20% rispetto allo stesso periodo del 2015,
circa la metà sono straniere. Uno scenario lontano dagli anni dei mancati redditi e tasse per lo Stato per la
«fuga» dalla Penisola.
La chiave sta nelle possibilità offerte dai fondi. «Il combinato disposto tra gli incentivi fiscali statali e i fondi
regionali ha dato ottimi risultati», sostiene Ippoliti. I fondi sono di natura e provenienza diversa: fondi per
sviluppo, produzione, distribuzione, post-produzione, fondi ospitalità, incentivi fiscali e contributi automatici,
statali e regionali. Con grandi differenze tra le diverse realtà. Si va dai 10 milioni del Fondo annuale
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Incentivi Parla Stefania Ippoliti, presidente dell'associazione Film commission
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regionale del Lazio per le co-produzioni ai 3 della Puglia per la produzione. Diversi anche tempistica e
forme di rendicontazione. Tra i compiti delle diverse Film Commission anche il supporto per semplificare
tutti gli iter burocratici. «I produttori internazionali ci dicono che accettano la maggior complessità di girare
da noi perché il ritorno in termini di appeal è evidente. L'Italia è il valore aggiunto delle loro produzioni. E
comunque non pensiamo che girare all'estero sia una passeggiata».
Modelli
Negli ultimi anni il sistema delle Film Commission si è evoluto. «Il coordinamento ci permette di fare
squadra, puntiamo a essere sempre più indispensabili. Ma certo tra noi siamo concorrenti», continua
Ippoliti. Obiettivi futuri, la semplificazione. «Occorre rendere più omogeneo il sistema in termini di regole e
tempistica. E stiamo lavorando per trovare un equilibrio nel nomadismo tra fondi».
C'è chi si è mosso per primo: tra i pionieri, il Piemonte, attivissimo così come la Puglia, il Lazio, il Trentino.
E chi, ancora, sta a guardare. «Casi come il Molise o l'Abruzzo che non si sono mai dotati di una Film
Commission pur avendo un patrimonio di territori che ben si presterebbe» fa notare Ippoliti.
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Produzioni future: film, film per la Tv, Web series, documentari, cortometraggi, animazioni, video game
Archivio compagnie di audiovideo e operatori del settore Assistenza nell'ottenere i permessi per le riprese
Location temporanea per la produzione Tariffe speciali per alloggi e catering Rapporti diretti con
l'amministrazione locale Ufficio stampa Agevolazioni fiscali e fondi locali per la progettazione per la
produzione per la post-produzione per la distribuzione ASSISTENZA ALLA PRODUZIONE SERVIZI
GRATUITI Archivio delle location Pparra IL LUNGO CAMMINO PER ARRIVARE IN SALA
Foto: Scene Un'inquadratura di «Inferno», il film di Ron Howard con Tom Hanks girato a Firenze. Sopra: la
mini serie
sulla famiglia Medici
interpretata da Dustin Hoffmann
31/10/2016
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Tivù Tutti a caccia di realtà (virtuale)
Non più solo giochi. Sky punta sullo sport, la Bbc sulla natura, Discovery sui viaggi Euronews lancia il
giornalismo immersivo con Google. È l'ora dei video a 360 gradi
CHIARA SOTTOCORONA
La realtà virtuale? «È una nuova frontiera dalle incredibili capacità: stiamo lavorando su tutto
l'intrattenimento, oltre i game ». Kazuo Hirai, presidente e amministratore delegato di Sony Corporation, ha
lanciato la sua sfida il 17 ottobre dal Palais du Cinéma di Cannes aprendo il Mipcom, il più grande mercato
mondiale di contenuti digitali per i media. E con la sponsorizzazione di Sony il Mipcom ha dedicato, prima
volta, due giornate di conferenze alla realtà virtuale: produzioni, modelli di business e alleanze per i video a
360 gradi.
«La Playstation Vr sarà il nuovo standard», assicura Hirai, che spera di aprire un mercato di massa.
Disponibile da metà ottobre, è l'offerta più consumer (a un prezzo più basso degli Oculus Rift o del Vive
Htc) e conta già su 40 milioni di Playstation. Ma i game non bastano. A determinare il successo della realtà
virtuale saranno più vari contenuti di intrattenimento. Per la capacità di produzione nella musica, nei film,
nell'animazione, Sony è ben piazzata. Ma il tempo stringe perché altri big sono entrati in campo.
I piani dei big
Il 5 ottobre presentando Oculus Connect3 Mark Zuckerberg ha svelato i suoi piani per far diventare la realtà
virtuale «la più social delle piattaforme tecnologiche». E ha annunciato il raddoppio a 500 milioni di dollari
degli investimenti di Facebook (250 milioni nel 2016 e altrettanti nel 2017) per sviluppare contenuti come
film e programmi in Vr. Oltre a un fondo di 10 milioni di dollari destinato all'Educational nella Vr. Con il
nuovo controller Oculus Touch, Zuckerberg ha perfino mostrato a 360° il salotto di casa sua scattando un
selfie virtuale con il suo avatar, con la moglie e il cane sul divano.
Negli stessi giorni Google ha lanciato l'offensiva per far diventare il dispositivo mobile la via per un uso di
massa della realtà virtuale.
Lo farà con un nuovo casco, il Daydream Vr, a basso prezzo (69 euro), in arrivo a novembre: funziona con
gli smartphone Pixel, ma nei prossimi mesi sarà abbinato anche ad altre marche di telefonini Android. E
con i contenuti sui canali di YouTube360°, che propongono centinaia di video in realtà virtuale.
Sono prodotti non solo dagli studi di animazione, ma anche da televisioni. Euronews, per esempio, ha
introdotto il «giornalismo immersivo», con Digital News Initiative, fondo di Google per l'innovazione.
«Abbiamo iniziato quest'estate a girare le news a 360°, il primo servizio è stato sulle manifestazioni contro il
colpo di Stato in Turchia, e ora produciamo due video a settimana su attualità, sport, cultura - racconta
Thomas Seymat, giornalista di Euronews, supervisore di questi programmi - . Sono visibili da YouTube con
i caschi Samsung Gear o da Facebook con gli Oculus». Pioniera nella tv a 360° é la RT Television russa,
che al Mipcom ha dedicato una sessione al giornalismo immersivo. «RT è il canale tv internazionale
multilingue più visto su YouTube, con 4 milioni e mezzo di abbonati», dice Alina Mikhaleva, consulente per
la Vr. «In dicembre abbiamo iniziato le produzioni in realtà virtuale, con una piattaforma dedicata e un'app spiega Eduard Chizhikov, producer di RT 360° -. Ogni settimana, nuovi reportage su Facebook e su
YouTube, dove abbiamo da aprile un canale anche per i contenuti live in 360°. Abbiamo mostrato le rovine
di Homs e di Palmira, ma anche incontri sportivi o documentari di viaggio. Servizi brevi o di 10-12 minuti».
La produzione
Bbc, Discovery e Sky sono le altre reti tv che producono video a 360°. «La Vr è una macchina per l'empatia
- ha osservato al Mipcom Nathan Brown, vicepresidente sviluppo di Discovery -. Abbiamo grandi storie e la
tecnologia permette di entrarci dentro: la sensazione di prossimità è un elemento chiave dell'intrattenimento
in Vr, nell'avventura come nello sport». Neil Graham, produttore esecutivo degli Sky Vr Studios, che da
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Programmi I nuovi contenuti protagonisti del Mipcom di Cannes. L'obiettivo è il consumo di massa. Dal
telefonino
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Londra producono per le pay-tv del gruppo, nota: «C'è molta richiesta di servizi in Vr nello sport, facciamo
anche riprese aeree a 360 gradi degli eventi. E stiamo iniziando a girare storie di fiction».
In ottobre è stata lanciata la SkyVr app, anche in Italia, per vedere video immersivi e sono già disponibili
una ventina di titoli.
Alla Vr sui dispositivi mobili crede anche Orange, prima telecom europea che ha lanciato, il 20 ottobre, un
casco Vr per smartphone a 49,99 euro e l'app VR360 Discovery per iOs e Android. «Abbiamo investito
nella startup Wevr che a Los Angeles ha studi di produzione per l'intrattenimento in VR - spiega Morgan
Bouchet, direttore dei digital contents di Orange -. Da dicembre proporremo una ventina di titoli in realtà
virtuale offerti gratuitamente per sei mesi». Una vera offensiva, ma anche un test: Orange raccoglierà i dati
su gusti e preferenze del pubblico della realtà virtuale.
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Pparra AZIENDA SETTORE CHE COSA OFFRE Giochi-Tvcinema Oltre 50 videogiochi già disponibili e in
produzione contenuti di video-intrattenimento per Playstation VR Social e video Facebook 360, community
per incontri social in realtà aumentata e il nuovo controller Oculus Touch per il visore Oculus Web-video e
mobile Il visore Daydream VR per smartphone (in arrivo a novembre) e i nuovi canali video a 360° su
YouTube Mobile e contenuti Il visore VR360, da 50 euro, con app per smartphone. Ora sta investendo nella
startup WeVr produttrice di contenuti per realtà virtuale Televisione e mobile Programmi tv a 360°, prodotti
dagli SkyVR Studios e, da ottobre, la Sky VR App per i video immersivi su telefonino Fonte: elaborazione
CorrierEconomia su dati delle aziende L'immersione nella Realtà virtuale
02/11/2016
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tiratura:374273
"Così ho dato vita al piccolo samurai nascosto in tutti noi"
Lontani da Hollywood e da New York, i suoi studios accolgono molti giovani talenti Con ogni suo film il
produttore ha ottenuto una candidatura dall'Academy
ARIANNA FINOS
TRAVIS KNIGHT, 43 anni, in appena dieci ha costruito uno degli studi d'animazione più originali nel
panorama mondiale. Figlio del fondatore della Nike, Phil Knight, il ragazzone biondo di Portland con la sua
Laika ha incassato una candidatura all'Oscar per ciascuna delle sue creature: Coraline e la porta magica,
ParaNorman, Boxtrolls - Le scatole magiche. Chissà che il produttore e animatore non agguanti la statuetta
con il suo primo film da regista, Kubo e la spada magica, suggestiva fusione di stop motion e animazione
digitale, in sala domani.
Viaggio di formazione ambientato nel Giappone antico, vede il giovane cantastorie Kubo affrontare divinità
e mostri per scoprire il mistero della sua famiglia. «La fascinazione per il Giappone arriva da un viaggio
fatto con mio padre quando avevo otto anni». All'epoca Philip, co-fondatore della Nike, viaggiava spesso. E
il ragazzino biondo spendeva le giornate da solo, chiuso in garage. «Impazzivo per i film epico-fantastici
come Sinbad - La leggenda dei sette mari e Jason e gli argonauti. Mi piaceva disegnare, ma soprattutto
cercavo di capire come venivano realizzati gli effetti. Non c'erano scuole, ho imparato la stop motion nel
garage dei miei, errore dopo errore. Presto ho iniziato a lavorare nella produzione tv». Solo una parentesi
l'esperienza rapper, con lo pseudonimo di Chilly Tee, «mi piaceva comporre, odiavo il palco. Per fortuna
nell'animazione si lavora dietro le quinte». Nel suo film più personale, Kubo, Knight ha messo anche la
rabbia e il senso di perdita che lo accompagna dalla scomparsa del fratello maggiore, Matthew, morto in
mare nel 2004. A lui Travis dedicò il primo corto della Laika, fondata sulle ceneri dei Will Vinton Studios
(proprietà della famiglia). Ecco cosa rende la Laika diversa dai giganti dell'animazione secondo Knight: «La
tecnica: ci sono pochi studi specializzati in stop motion, il nostro modo di fonderlo con l'avanguardia digitale
è unico. Il tono delle nostre storie: esploriamo temi mai battuti dai film cosiddetti per famiglie». E se
Coraline fu considerato un gioiello fin troppo dark per i bambini, ParaNorman affrontava gli zombie
consegnando il primo coming out nella storia dell'animazione e due genitori dello stesso sesso
s'affacciavano nel teaser di Boxtrolls. «Un artista deve portare il proprio punto di vista nel mondo.
Accettando le critiche. Far emergere dal buio una questione è il primo passo verso la soluzione. Ogni
nostro film affronta una questione sociale forte o provocatoria.
Non ci interessano le belle confezioni vuote». Un coraggio, quello della Laika, molto premiato dai critici,
meno dagli incassi. «Noi non abbiamo potere sul pubblico, possiamo solo cercare di fare un buon prodotto.
Siamo piccoli e indipendenti, teniamo il budget basso, non abbiamo bisogno di introiti miliardari». La Laika
ha il suo quartier generale a Hillsboro, Portland, in Oregon, dove Travis Knight vive con la moglie e i tre
figli: «È il posto a cui apparteniamo. Un luogo bizzarro, che si porta dietro il retaggio dell'era hippie.
C'è un grande senso di comunità che ha infettato il nostro studio. Abbiamo uno spirito anni Sessanta e
l'essere lontani da New York e Los Angeles ci aiuta a restare originali». Come Kubo, l'eroe del suo film,
anche Travis conosce la paura: «Tutti noi artisti siamo nevrotici, ma alla Laika talenti eccentrici e spesso
emarginati da altri studios sono diventati una comunità e questa consapevolezza mi dà una grande forza».
I FILM KUBO E LA SPADA MAGICA Nell'antico Giappone il giovane cantastorie Kubo intraprende un
viaggio alla ricerca dell'armatura del padre samurai e del segreto della sua famiglia CORALINE E LA
PORTA MAGICA Coraline è una bimba che scopre un mondo parallelo. Tratto dal racconto di Neil Gaiman,
il film in stop motion del 2009 è stato candidato all'Oscar
Foto: SUL SET Travis Knight 43 anni, regista di "Kubo"
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Il personaggio. La favola di Travis Knight dall'azienda di famiglia all'animazione da OscarR2 CULTURA
02/11/2016
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Ma che Natale affollato Sarà guerra tra cinepanettoni
È il periodo in cui si risanano i conti, però quest'anno ci sarà un ingorgo di film La torta di profitti da dividere
a colpi di risate si aggira sui 30 milioni di euro
FULVIA CAPRARA ROMA
Eserciti pronti a scendere in campo, generali del marketing che meditano strategie, produttori che
s'interrogano, timori, promesse e, in alcuni casi, anche riti scaramantici. Come l'anteprima napoletana cui
Aurelio De Laurentiis, re da alcuni decenni del cinepanettone formato vacanziero, non rinuncerebbe mai,
per tutto l'oro del mondo. Manca un mese e mezzo all'avvio della battaglia per gli incassi dei film natalizi, un
match che ormai fa parte dei tradizionali riti delle festività e che, in tempi di magra al botteghino, acquista
significati sempre più rilevanti. Il 15 dicembre arriveranno nei cinema tre commedie tutte da ridere, Natale a
Londra - Dio salvi la Regina diretto da Volfango De Biasi, Poveri ma ricchi di Fausto Brizzi, Fuga da Reuma
Park, di (e con) Aldo, Giovanni e Giacomo. Il target è il pubblico delle famiglie, soprattutto, sostengono gli
esperti, quello che non frequenta abitualmente le sale. È proprio questo tipo di afflusso a determinare il
picco di entrate e a risanare, almeno per un po', il sistema cinematografico italiano. Ma non è tutto. Un altro
specialista di comicità con retrogusto sociologico come Luca Miniero (regista dei due hit Benvenuti al Sud e
Benvenuti al Nord) ha da poco deciso di anticipa re di una settimana l'uscita di Non c'è più religione (7
dicembre), mentre il primo gennai o, senza nemmeno aspettare la Befana, ecco stagliarsi all'orizzonte il
pericolo Alessandro Siani con la sua ultima creatura Mister Felicità. Uscite contemporanee Risultato? Un
ingorgo di risate che da una parte fa sognare produttori e distributori, ma dall'altra li preoccupa perché la
torta da dividere, per i titoli «made in Italy» si aggira intorno ai 25-30 milioni di euro, da raccogliere
contando su 3500 schermi: «Vedo questo Natale molto affollato - ha dichiarato sulla rivista Boxoffice
Richard Borg, direttore generale e ad di Universal Italia - . Alcuni film riusciranno a raggiungere i loro
obiettivi, altri no. Saranno i gusti e le scelte del pubblico a determinare l'esito delle uscite contemporanee».
Ma sarà anche, e soprattutto, la forza delle storie e delle interpretazioni. Nel cinepanettone do c, prodotto
da Aurelio e Luigi De Laurentiis, tornano Lillo & Greg, stavolta alle prese con il furto dei cani prediletti della
Regina d'Inghilterra, gli adorati Welsh Corgi Penbroke, trafugati per far colpo sul boss «Er Duca»,
interpretato da Ninetto Davoli: «Il film - dice il regista - si ispira un po' a Ocean's Eleven e un po' ai Soliti
ignoti. Non avendo i mezzi per mettere su un colpo serio, un gruppo di inetti pasticcioni ripiega sui cani
della Regina. Non mi piace la comicità volgare e non l'ho mai fatta, mi piace, piuttosto, divertire in maniera
onesta intelligente». Sul set di Poveri ma ricchi, prodotto da Wildside e Warner Bros Entertainment, la
famiglia Tucci, semplice e indigente, è colpita in seguito alla vincita di cento milioni, da un ciclone di
improvvisa ricchezza. Guidati dal capofamiglia Christian De Sica, i Tucci si trasferiscono da un paesino del
Lazio a Milano e provano ad adeguarsi ai ritmi della vita agiata: «Il fatto - spiega Brizzi è che i ricchi di oggi
sono cambiati, i Tucci se li immaginavano in un modo e invece li trovano diversi, tutti magri, vegani,
salutisti, abituati a fare beneficenza». Ma le leggi del «less is more» non si addicono ai poveracci:«La
famiglia farà cose appariscenti, tipo mettersi un Bancomat in salotto o comprare Al Bano e il divo tv Gabriel
Garko per far felice la nonna». In Fuga da Reuma Park, per festeggiare i 25 anni di felice collaborazione,
Aldo, Giovanni e Giacomo (produttore Paolo Guerra per Medusa Film e Agidi Due) propongono una summa
della loro comicità surreale: «I nostri tipi umani sono stati definiti stralunati e paradossali, questo film
celebra il loro mondo come nessun'altro prima d'ora». In Non c'è più religione (produzione Cattleya con Rai
Cinema) Luca Miniero punta sul duo Alessandro Gassmann - Claudio Bisio e lo immerge nella realtà
multietnica dell'Italia di oggi. Tutto ruota sulla realizzazione di un Presepe vivente. Impresa problematica
perché il bambinello è diventato un adolescente con i brufoli, tre amici litigano a morte per fare i Re Magi e,
siccome il bue non c'è, bisognerà sostituirlo con un lama. c
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Anteprima
02/11/2016
Pag. 31
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tiratura:244697
ANICA - ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 26/10/2016 - 02/11/2016
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Non c'è più religione Alessandro Gassmann e Claudio Bisio diretti da Luca Miniero: per sbaragliare i
concorrenti la commedia esce addirittura il 7 dicembre
Fuga da Reuma Park Non attendono il Natale nemmeno Aldo Giovanni e Giacomo: il trio festeggia con il
film i 25 anni di carriera uscendo a metà dicembre
Natale a Londra Nel cinepanettone doc prodotto da Aurelio e Luigi De Laurentiis torna la coppia Lillo &
Greg, nelle sale dal 15 dicembre
Foto: Poveri ma ricchi È la commedia corale diretta da Fausto Brizzi con protagonista il «capo famiglia»
Christian De Sica: appuntamento in sala dal 15 dicembre
Foto: Strategie Le commedie saranno in sala dal 15 dicembre, ma c'è chi anticipa e chi, come Siani,
attende il 1
01/11/2016
Pag. 25
diffusione:129764
tiratura:185029
Ben Affleck: basta fumetti adesso è l'ora degli antieroi
L' attore americano parla del suo ruolo in "The Accountant": «Un uomo autistico che riesce a superare la
sua condizione grazie a un padre che lo sottopone a prove incredibili». Ed è proprio la sua menomazione a
dargli capacità straordinarie
Francesca Scorcucchi
L O S A N G E L E S ella Hollywood che sempre più spesso si affida ai fumetti per fare incassi al cinema è
arrivato finalmente il film che l'audience adulta, quella che non ne può più di supereroi e saghe fantasy,
vorrebbe vedere al cinema. Si tratta di The Accountant , diretto da Gavin O'Connor e interpretato da un
cast stellare composto da Ben Affleck, Anna Kendrick, J.K. Simmons, Jeffrey Tambor, John Lithgow e
Alison Wright. Ben Affleck è più bravo come sceneggiatore, regista e produttore - in queste vesti ha vinto
due Oscar - che come attore, eppure questa volta il ruolo di un autistico "savant", genio della matematica,
che tiene in scacco polizia e organizzazioni malavitose, sembra davvero azzeccato. Christian Wolff, questo
è il nome del suo personaggio, è un uomo che ha più affinità con i numeri che con le persone, lavora sotto
copertura in un piccolo studio ed è il contabile freelance di alcune delle più pericolose organizzazioni
criminali del pianeta. Nonostante abbia la Divisione anti-crimine del Dipartimento del Tesoro alle costole,
Christian accetta l'incarico di un nuovo cliente: una società di robotica dove una delle contabili ha scoperto
una discrepanza nei conti. Le cose si faranno pericolose non appena Christian inizierà a svelare il mistero e
ad avvicinarsi alla verità. Mr. Affleck, chi è Christian Wolff? «Un uomo diviso fra la sua natura, dolce e
gentile e la vita che ha vissuto, con un padre esigente che lo ha sottoposto a prove incredibili per farlo
diventare quello che è diventato, per fargli superare le difficoltà dell'autismo. Un uomo che passa la vita a
cercare di riconciliare queste diverse influenze. Un personaggio interessante, descrivendo il quale abbiamo
cercato di essere il più leali possibili nei confronti della comunità delle persone affette da autismo». Per
interpretare un uomo autistico come si è preparato? «Ho avuto le stesse difficoltà che ogni ruolo comporta.
Ho fatto ricerche. Una delle cose che ho imparato grazie al mio lavoro di regista è che i migliori film sono
quelli in cui si attinge dalla vita reale. La realtà è sempre più interessante che qualsiasi cosa inventata.
Quindi ho fatto ricerche con ragazzi che sono nello "spectrum" dell'autismo. Mi ha aiutato molto guardare i
loro comportamenti e trovare gesti da imitare e soprattutto calarmi nel loro essere, nel loro sentirsi, nel
provare a capire come si sente una persona che riesce a fare un puzzle dal rovescio ma non ha la minima
idea di come si interagisca con gli altri». Non mancherà qualcuno che criticherà la vostra rappresentazione
dell'autismo. «C'è molto dibattito sull'argomento. Il tema crea dibattiti arrabbiati e noi sapevamo che
avremmo toccato corde personali in molte famiglie e quindi è vero, non sarei sorpreso di sentire di eventuali
critiche né di sapere che qualcuno si è sentito oltraggiato da un film in cui convivono le tematiche
dell'autismo con scene d'azione. Probabilmente urteremo la sensibilità di qualcuno ma non avrei fatto
questo film se non fossimo stati certi di aver reso un buon servizio alla comunità dei ragazzi autistici. In che
modo? «Ribadendo un concetto semplice: il gene dell'autismo è grandioso, se non esistesse non avremmo
i più grandi matematici del mondo, non avremmo avuto Einstein e non avremmo avuto Mozart». Il suo
personaggio però compie azioni difficili da approvare. «È un combattente e in fondo difende persone in
pericolo. Difende la donna per la quale è attratto. L'autismo non c'entra, l'avrebbe fatto in ogni caso, perché
lui ha dei sentimenti ed è stato preparato dal padre ad affrontare situazioni di estremo pericolo». Ben
Affleck è altrettanto bravo con le armi? «No, ma ho cercato di essere il più credibile possibile. Ho fatto
molte esercitazioni per essere in grado di dare l'impressione di un uomo cresciuto in un ambiente militare.
Dovevo dimostrare di avere una grande familiarità con le armi automatiche e non è facile. È come quando
fai un film di sport, per quanto ti prepari non sarai mai un vero battitore». Questo film ha impiegato molto
tempo ad essere realizzato. «Capita spesso a Hollywood, ci sono copioni che girano per anni prima di
trovare la strada dell'esecuzione». Capita spesso ma oggi capita più spesso per questo tipo di film. «È
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L'INTERVISTA
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tiratura:185029
ANICA - ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 26/10/2016 - 02/11/2016
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vero». Dove sta andando Hollywood? «Non penso che i film tratti da fumetti smettano tanto presto di
essere prodotti. Fino a che ci sarà un'audience ci sarà qualcuno che li produrrà. Molti pensano che sia il
canto del cigno di Hollywood ma io credo che non sia così. Certo, il pubblico che va a vedere film come The
Accountant è lo stesso che può, invece, decidere di stare a casa a guardare tutte le puntate dell'ultima
stagione del T rono di spade, ma spazio per il grande schermo ci sarà sempre».
Foto: IL CAST Da sinistra Cynthia Addai-Robinson, Ben Affleck e Anna Kendrick alla prima londinese di
"The Accountant"
Foto: (foto AP)
Foto: IL TEMA DI QUESTO DISTURBO CREA SEMPRE POLEMICHE ROVENTI MA IN REALTÀ NE
SOFFRIVANO ANCHE MOZART E EINSTEIN
30/10/2016
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Corriere della Sera - La Lettura
La luce non mi basta più
Vittorio Storaro : tutto cambia, non temo la tecnologia, anzi Dobbiamo imparare a conservare e proteggere
le immagini digitali
laura zangarini
grazie a un sogno appoggiato sulla spalla - quello di suo padre Renato, proiezionista di una grande casa
cinematografica a Roma - è diventato il signore della luce. «A undici anni - ricorda a "la Lettura" Vittorio
Storaro, tra i più grandi autori della fotografia cinematografica di tutti i tempi, tre volte vincitore dell'Oscar -,
un po' come il bambino di Nuovo Cinema Paradiso , spiavo il mondo da quel quadrato attraverso cui mio
padre controllava tutto. È stato lui a spingermi a frequentare l'istituto tecnico fotografico, credo sognasse di
fare parte delle immagini che proiettava. Un sogno che ha appoggiato su di me». C'è chi scrive con le
parole, chi con le note «e chi, come me, con la luce». Ma guai a chiamarlo direttore della fotografia. «Di
direttore sul set - precisa - ce n'è solo uno, il regista. Preferisco definirmi un cinematographer , uno che
scrive con la luce».
Storaro parteciperà alla masterclass ospitata alla Università Iulm di Milano il prossimo 4 novembre.
Un'occasione per conoscere da vicino l'arte di un maestro. A partire dalla sua più recente esperienza
cinematografica, al fianco di Woody Allen sul set del film Café Society , il primo del regista newyorkese
girato in digitale. «A dire il vero è stata la prima volta per entrambi: avevamo collaborato insieme alla fine
degli anni Ottanta, poi per via dei rispettivi impegni ci siamo solo sfiorati ma non più incontrati. Fino a
quando un anno fa il mio agente mi ha telefonato per chiedermi se ero disposto a lavorare con Woody». La
risposta? «Sì, a patto che potessi leggere il copione. Il fatto che sia libero non vuol per forza dire che possa
fare film con tutti... E Allen mi ricorda un po' Fellini, nei suoi film mette se stesso, i suoi amarcord , avevo
bisogno di visualizzare la storia prima di mettermi al lavoro. Studiare immagini, pitture, fotografie».
Il film prende il via dal Bronx, dalla modesta casa della famiglia Dorfman, da cui Bobby (Jesse Eisenberg)
parte per approdare nella Hollywood degli anni d'oro prima e tornare agli sfarzi della New York della high
society poi. «Nella prima parte della storia, quella ambientata nel Bronx, ho cercato di usare un colore
desaturato, monocromatico, con una bassa tonalità della luce, ispirato alla fotografia di Alfred Stieglitz, e ad
alcuni lavori su New York fatti da Georgia O'Keeffe». Nella seconda parte, quando Bobby arriva a
Hollywood, Storaro ha dato invece alle immagini un aspetto molto caldo. «Qui - sottolinea - a ispirarmi è
stata la fotografia di Edward Steichen e i pittori espressionisti tedeschi». La New York del ritorno a casa di
Dorfman «non è più quella del Bronx e della povera gente, ma quella dell' Upper Class che andava a cena
in smoking. Così ho alzato la luminosità della luce, conferendole un tono di colore più sofisticato, che
richiama lo stile Art Déco dei dipinti di Tamara de Lempicka». L'uso sul set della Sony F65 («il top di
gamma oggi sul mercato per una fotocamera cinematografica digitale»), dice Storaro, lo ha pienamente
soddisfatto. «Ho studiato per anni questa tecnologia, volevo che mi consentisse di esprimermi come ho
sempre fatto prima. Ma non si può fermare il progresso. E così credo che tornerò al digitale anche per il
prossimo set di Woody con Kate Winslet, Jim Belushi e Justin Timberlake».
Nel frattempo esorta i ragazzi a imparare le nuove tecniche, perché «è importante prepararsi. Nei nuovi
supporti tutto è automatico: ma è fondamentale la conoscenza della luce e dei colori, e dei loro significati».
In ogni periodo della storia, spiega, «c'è stata una forma espressiva che ha guidato le altre. In epoca greca
la scultura e la filosofia, nel Rinascimento la pittura, la musica nel Settecento e la letteratura nell'Ottocento.
Questo è il secolo dell'immagine: per questo motivo non si può prescindere dallo studio di tutte le
espressioni d'arte che circondano questa parola. Immagine». A partire da significati e simbologie. «Quando
noi guardiamo un film riceviamo dallo schermo un'energia che non tocca solo i nostri occhi, ma tutto il
corpo. Ogni colore dà un certo tipo di energia, ci fa provare emozioni diverse. La luce cambia la nostra
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Protagonisti /1 Il padre, Bertolucci, Coppola, Allen. Parla il Premio Oscar della fotografia che sarà a Milano
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Corriere della Sera - La Lettura
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pressione sanguigna, il nostro metabolismo».
Tra i temi che toccano la sensibilità di Storaro c'è anche quello della friabilità del futuro del digitale. «Si
pensa che la digitalizzazione sia permanente: non è così, il supporto su cui vengono registrati i film è
persino più deteriorabile della tradizionale pellicola. La conservazione digitale è una sfida che va affrontata
seriamente». Non è il solo ambito che chiede un cambio di passo. «Ancora oggi si tende a formare chi si
occupa di cinematografia in modo tecnico, come un esecutore - osserva -. Poi c'è la necessità di qualcuno,
di solito è il regista, che dice cosa fare: io credo che questo non basti più. C'è bisogno di un
approfondimento culturale di tutto ciò che c'è intorno a un'immagine, dalla filosofia all'architettura, dalla
pittura alla musica. Solo con queste conoscenze possiamo capire ciò che il regista ci chiede di fare». Quali
sono stati i suoi maestri? «Devo molto ai fratelli Bazzoni. Poi ho conosciuto Bernardo Bertolucci nel 1963
quando ero aiuto operatore. Con lui ho fatto Prima della rivoluzione , un'esperienza che mi ha aperto un
altro mondo, quello visivo. Il rapporto con lui ha riempito tutta la mia vita artistica». Incontra di nuovo
Bertolucci nel 1970 sul set de Il conformista e di Strategia del ragno ; due anni dopo si ritrovano per Ultimo
tango a Parigi a cui seguono Novecento (1976), La luna (1979) e L'ultimo imperatore (1987), con cui
Storaro vince il suo terzo Oscar dopo quello per Reds (1981) di Warren Beatty e Apocalypse Now di
Francis Ford Coppola. «Pensare che inizialmente non volevo fare questo film. Mi spaventava il pensiero di
trovarmi su un set gigantesco, con elicotteri e plotoni di soldati, dove è difficile gestire le cose come si
vuole. Al ciak! si doveva girare, mica potevo aspettare la luce adatta per ogni scena. Coppola mi aiutò
moltissimo, mi fece leggere Cuore di tenebra di Conrad. Mi spiegò che non dovevo considerarlo un film di
guerra, ma un film sulla civilizzazione e sull'atto di violenza insito nella sovrapposizione di una cultura su
un'altra. Come nel libro originale il Belgio si era sovrapposto alla cultura del Congo, così l'America si
sovrapponeva alla cultura vietnamita».
Tra gli incontri che hanno cambiato la sua vita, Storaro non dimentica quello fatto nella chiesa di San Luigi
dei Francesi, nei pressi di piazza Navona, a Roma, dove poco più che ventenne, accompagnato dalla
moglie Antonia, si imbatte nei tesori della cappella Contarelli. Tra cui la Vocazione di San Matteo di
Michelangelo Merisi . «Pensai: Dio mio, tutti quegli anni a scuola per studiare cinematografia e mai una
volta che qualcuno mi avesse insegnato qualcosa su di lui, sulla sua pittura! Con Caravaggio scoprii l'arte
di un genio visionario: utilizzava la pittura, e quindi l'immagine, per raccontare storie. In lui il rapporto tra
luce e ombra ha un valore psicologico profondissimo». Nella Vocazione la scena è immersa in una
penombra tagliata da squarci di luce bianca da cui emergono visi, mani, abiti. «Con quel fascio di luce
Caravaggio divide la luce dalle tenebre, il passato dal futuro, il conscio e l'inconscio, l'umano e il divino...
Quel dipinto fu per me uno shock. Anche quando non ci penso - quando nemmeno sto facendo una
connessione specifica tra la storia per un film e la Vocazione -, c'è qualcosa dentro di me sempre rivolto a
quel dipinto. È parte di me».
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Foto: Le opere In alto, da sinistra: una scena di L'ultimo imperatore (1987), il film di Bernardo Bertolucci
vincitore di nove Oscar, tra cui quello alla migliore fotografia firmata da Vittorio Storaro; Jesse Eisenberg e
Blake Lively in Café Society (2016), primo film in digitale di Woody Allen; Marlon Brando in Apocalypse
Now (1979) di Francis Ford Coppola: candidata a otto statuette, la pellicola ottenne quella alla migliore
regia e quello alla fotografia
02/11/2016
Pag. 31
diffusione:159849
tiratura:244697
"Con la crisi che c'è al cinema questa è come un'oasi protetta"
Il regista Brizzi: comunque vada, le sale si riempiono
[F. C.]
ROMA Il target di Poveri ma ricchi, ha spiegato Fausto Brizzi durante le riprese romane del film, «va dagli 8
agli 80 anni, un po' come quello Disney. In realtà, del classico cinepanettone, il film ha solo il gran numero
di risate. E alla fine riserva anche un pizzico di malinconia perché mostra il modo veloce e casuale con cui i
soldi arrivano e se ne vanno». Che valore ha, nel panorama cinematografico italiano, la guerra di Natale
per gli incassi? «In questo periodo di risultati imbarazzanti, nel senso che tutti i film faticano ad affermarsi,
quella di Natale è un'oasi protetta, l'unico periodo dell'anno in cui le probabilità che la gente vada al cinema
sono alte. Perché ci sono le vacanze, perchè fa freddo, perché fa parte della tradizione». Non è pericoloso
far uscire tanti film simili nell'identico periodo? «È lo stesso pericolo che corrono i commercianti quando ci
sono i saldi. Si abbassano i prezzi, ma la gente fa la fila per entrare nei negozi e approfittare». Perché,
secondo lei, la quota del pubblico che va in sala è in calo? «L'offerta tv complessivamente è meravigliosa, e
parlo di tutte le reti, dell'on demand, del fatto che basta andare su Sky e vedere quattro film di Paolo
Sorrentino uno dietro l'altro. Insomma, io stesso sono appassionato di serie tv, mi metto a guardarle e poi
mi rimprovero "ma come? Tu fai il cinema, non dovresti stare qui"». Come si affronta, in questo quadro, la
sfida di Natale? «Non ci si deve pensare tanto, la lunga pratica mi dice che ognuno deve fare il suo,
cercando di raggiungere il risultato migliore. E anche che, una volta usciti, non è detto che chi parte
piazzandosi in testa alla classifica, arrivi primo fino in fondo». Qual è l'asso nella manica di «Poveri ma
ricchi»? «L'accoppiata di Christian De Sica con Enrico Brignano, e poi una cosa completamente nuova,
ovvero due donne comiche, Lucia Ocone e Anna Mazzamauro, che fanno ridere tantissimo e se la battono
con i colleghi maschi». Come inizia il film? «Come una favola, quindi con un libro che si apre e con la voce
di un bambino che racconta... in fondo la sorte dei poveri che diventano ricchi è uguale a quella di
Cenerentola». C'è un rivale, nella competizione delle festività, che teme più di tutti gli altri? «Sì, Star Wars:
Rogue One, l'idea del prequel in cui gli appassionati rivedranno Darth Vader, mi sembra fantastica. Quello
sì che è un avversario fastidioso, anche io andrò a vederlo, ma dopo... e così spero faccia il pubblico».
Il rivale che temo di più? Sicuramente «Star Wars: Rouge One», trovo l'idea del prequel fantastica
Fausto Brizzi Regista della commedia «Poveri ma ricchi»
ANICA - ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 26/10/2016 - 02/11/2016
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Intervista
29/10/2016
Pag. 53
diffusione:248077
tiratura:374273
"Grazie a papà porto in Italia Steven Spielberg"
ARIANNA FINOS
DAVANTI all'entrata due leoni in cotto. Dal portone s'affaccia Bice, la barboncina bianca che porta il nome
della mamma di Sergio Leone, nonna di Raffaella. La bella villa all'Eur è il quartier generale della dinastia
cinematografia, racconta proprio Raffaella, amministratore delegato della Leone film group.
«Qui fanno base i mie i due figli Francesco e Federico, uno lavora nel marketing, l'altro studia regia in
America. Nell'appartamento accanto c'è mia a sorella Francesca, in quello di sotto mia madre Carla, e lì di
fronte c'è la casa di mio fratello Andrea».
Seduta nel salotto in cui spicca un cactus bianco, stilizzato omaggio allo spaghetti western, Raffaella
Leone racconta il suo anno «magnifico, incredibile». Ha distribuito The hateful eight di Tarantino, La La
Land e La ragazza del treno. Ha prodotto Perfetti sconosciuti, e ora il film che Steven Spielberg sta per
girare in Italia, The kindnapping of Edoardo Mortara. Nel frattempo ne distribuirà nelle sale Il GGG - Il
grande gigante gentile.
Sul fronte televisivo ha fatto un accordo con la società di Maite Bulgari per creare un polo di produzione di
serie televisive internazionali. «Due serie sono in fase di trattamento, una sui Beati Paoli, dal libro di Luigi
Natoli, che sarà curata da Giuseppe Tornatore, che girerà il primo dei dodici episodi, e Colt, da un'idea di
mio padre: sei episodi, una pistola che passa di mano in mano raccontando la storia del West, alla regia
Sergio Sollima». Il regista di Suburra intanto è nel New Mexico per i sopralluoghi di Soldado. «Sì, mio figlio
volerà su quel set per far fare un po' di gavetta, come assistente». I figli di Raffaella sono divisi tra la
vocazione per l'arte e quella degli affari, come tutti i Leone. «Io e mio fratello Andrea siamo in azienda, mia
sorella Francesca è pittrice», racconta prendendo dal tavolino un libro di disegni, «ecco, vede, questa sono
io». I Leone sono una famiglia affiatatissima, «con mia sorella Francesca abbiamo litigato e ci siamo perfino
picchiate.
Ma siamo inseparabili. A ogni festa ognuno fa progetti per il mondo e poi finiamo per ritrovarci tutti
insieme».
Ne sarebbe felice Sergio, anche se i suoi disegni dinastici si sono realizzati solo in parte.
«Mio padre diceva che bisogna pensare in grande. Lavorando all'estero ho capito quando l'Italia sia un
grande paese. Ci ha insegnato anche a non dare nulla per scontato. Ci faceva i racconti cupi della Seconda
guerra mondiale e quelli festosi - anche se con mio padre non sapevi mai dove finiva la realtà e dove
iniziava qualcos'altro - riguardavano la scalinata, le risse con i ragazzini di Monteverde. Difficile
immaginarlo così, per me che l'ho sempre visto con la barba e la pancia».
Il primo ricordo di cinema insieme sono «le estati passate in Spagna, papà girava e noi lo seguivamo. Per
farci divertire in queste lande polverose ci faceva farei costumi e ci metteva a fare le comparse». I bambini
con Claudia Cardinale nel treno di C'era una volta il West sono Raffaella e Francesca. «Per questa cosa ci
preparavamo come fosse un ballo».
Ma, ancora prima, Raffaella s'era affacciata in Per qualche dollaro in più «piccolissima, sembravo un
maschietto, mi affacciavo dietro al capotreno». Poi ci sono i ricordi consapevoli. « C'era una volta in
America, mio padre veniva da dieci anni di inattività cinematografica come regista. Avevamo vissuto questo
genitore presente e inattivo, ossessionato dal suo film, io scappavo dalle scale con le amiche per non
farmelo raccontare ancora.
Quel set è stato una liberazione e io ho capito chi era: la sua passione, il suo studio, la sua maniacalità. A
casa era flemmatico, sul set infaticabile, bisognava trascinarlo via». Per la famiglia «aveva già i suoi
programmi precisi: lui regista, mio fratello produttore, io costumista e mia sorella scenografa. Questo era il
piano. Io ho iniziato con Gabriella Pescucci, poi sette anni con la Sartoria Tirelli. Poi mio padre è morto, io e
ANICA - ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 26/10/2016 - 02/11/2016
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R2 Il personaggio La storia/ Raffaella Leone, figlia di Sergio, parla del suo anno d'oro
29/10/2016
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ANICA - ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 26/10/2016 - 02/11/2016
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Andrea abbiamo iniziato a occuparci di distribuzione. È qualcosa che abbiano nel sangue». Non sono molte
le produttrici donne in Italia. «Non ho mai sofferto il fatto di esser una donna, anche perché mia madre e
mio padre non hanno mai fatto distinzioni tra me e mio fratello». www.repubblica.it leonefilmgroup.com PER
SAPERNE DI PIÙ
RITRATTO DI FAMIGLIA Sergio Leone con la figlia Raffaella (anche in basso) Nella foto grande una scena
di "Il GGG - Il grande gigante gentile"
COMPARSA
"
Da piccola sono apparsa in "C'era una volta in America"
FICTION
Nel cassetto c'è l'idea di una fiction tratta da un progetto di mio padre
"
27/10/2016
Pag. 1
diffusione:248077
tiratura:374273
Se il falso d' autore in tv piace più della Storia
NATALIA ASPESI
PARE che la seconda delle doppie quattro parti de I Medici l'abbiano vista 6 milioni e 326mila spettatori,
poco meno della prima, ma sempre un successone per una fiction storica, su Rai Uno poi. A PAGINA 38
PARE che la seconda delle doppie quattro parti de I Medici l'abbiano vista 6 milioni e 326 mila spettatori,
poco meno della prima, ma sempre un successone per una fiction storica, su RaiUno poi. Purtroppo molti
appassionati del ramo, incalliti divoratori di vaneggiamenti meravigliosi sul passato, non sono riusciti a
sopportare l'intera lunga puntata di due episodi, La peste e Il giudizio: e non per i possibili errori storici che
sono connessi a tutte le serie storiche, anche le migliori, e che seccano solo gli studiosi di massima cultura
che di solito non le seguono, ma perché un po' noiosa e molto confusa, per chi non è allenato ai prodigi
della soap opera. La quale, in qualsiasi epoca si collochi, compreso il presente, oppure il XV secolo della
repubblica fiorentina, come casualmente questa volta, non si discosta mai dalle sue solite attrattive,
soprattutto lacrimose, e dai suoi schemi, sempre, appunto, schematici. Del resto si è avvisati: "La trama si
ispira liberamente ai fatti storici aggiungendo fatti e romanzando alcune situazioni".
Come capita nei romanzi storici, persino a quelli molto belli di Hilary Mantel, che hanno vinto ben due
Booker Prize. Così non conta davvero nulla che Cosimo detto Il Vecchio fosse, per esempio da un affresco
di Benozzo Gozzoli, un nasone dalle grosse guance, e va benissimo che abbia il bel volto melanconico di
Richard Madden: ma perché nell'incomparabile Trono di spade era tanto affascinante e qui pare uno di quei
lindi giovanotti privi di ogni espressione che fanno la pubblicità ai profumi firmati? I divoratori di fiction
storica angloamericana non si stupiscono se l'Enrico VIII di Jonathan Rhys Meyers in I Tudor è bellissimo
sino alla morte, tranne un po' di gotta e un ciuffetto di barba grigio, come del resto gli spettatori anni 30 di
Le sei mogli di Enrico VIII di Alexander Korda non avevano nulla da obiettare se lo stesso monarca era già
vecchio e molto grasso sin da fanciullo, trattandosi sempre di Charles Laughton: con Cosimo si vedrà, ma
già gli eventi suscitano torpore in chi non ha perso una sola puntata delle interminabili serie di ben due
diversi "Borgia", che ingigantiscono gli anni di papato di Alessandro VI: una franco tedesca con Jeremy
Irons, pontefice particolarmente mascalzone, e l'altro canadese-irlandese-ungherese, con il papa Borgia,
John Doman, sessuomane. È ovvio che Luca e Matilde Bernabei, i sapienti produttori italiani dei Medici,
prima grandiosa fiction in costume per la Rai, conoscono benissimo il loro pubblico; quindi si sono affidati a
un autore americano, Nicholas Meyer, a un regista croato-americano, Sergio Mimica-Gezzan, ad attori già
famosi su ogni schermo casalingo possibile, e a nostre facce conosciute: però imponendo, e ottenendo
storie da telenovela brasiliana che dagli anni 70 non cambiano mai. Quindi c'è l'eroe Cosimo, politico e
banchiere buono, la moglie Contessina che nei flash-back è più vecchia che nel presente e comunque
cadrà in tentazione, c'è Maddalena la schiava regalata in esilio al protagonista, che la porta a casa e si sa
che due donne litigano, c'è fratelli-coltelli con Lorenzo, c'è il perfido Albizzi, c'è Brunelleschi che come tutti
gli artisti immaginati dalla tv fa i capricci; c'è la mamma crudele che già vecchia aggredisce il povero
Cosimo perché, piccino, lasciò morire il fratellino gemello! C'è un aborto spontaneo della moglie di Piero
figlio e successore di Cosimo, detto ai suoi tempi il Gottoso e qui molto grazioso. C'è soprattutto Giovanni
di Bicci, babbo di Cosimo (e di altri tre figli), che tiene per mano la sua signora e dice al povero figliolo
impegnato con banche e guerre e assassini, "non permetterti mai più di trattar male la mamma". Il buon
uomo è stato resuscitato per poter vantare all'impresa storica il nome di Dustin Hoffman, che se non c'era
era lo stesso, visto che si capisce benissimo che non sa di che cosa si sta parlando. La cupola vuota di
Santa Maria del Fiore che il popolo bue vuole distruggere è ridicola, i morti di peste sempre gli stessi, i
costumi paiono comprati da H&M, il colore troppo luminoso e pulito in tempi di sporcizia, epidemie, piaghe
marciumi e puzze tremende.
ANICA - ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 26/10/2016 - 02/11/2016
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IL BOOM DELLE FICTION IN COSTUME
27/10/2016
Pag. 1
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Stiamo vedendo una prima stagione, e può essere che se ne vedano tante, proseguendo con Lorenzo il
magnifico, i tre papi Medici, le due regine di Francia Caterina e Maria Medici, la famiglia sontuosa e
protettrice delle arti sino al 1737. Dipende dalla molto promettente audience. Il vantaggio per gli spettatori
generalisti è che trovano le loro amate vicende d'appendice in un contesto storico così così, ma che magari
fa venire voglia di saperne di più e di evitare i canuti talk show: la buona notizia per gli amanti della fiction
storica chic è che in queste settimane, se sono abbonati a Sky, possono godere di quella meraviglia che è
The young Pope, con il giovane papa americano Jude Law anche nudo, dal sorriso crudele e dallo sguardo
omicida, prodotto di perfezione americana, ma italiano per regia, soggetto, sceneggiatura, per tutto ciò che
di geniale sa creare Paolo Sorrentino.
LE ALTRE
THE YOUNG POPE (2016) La serie diretta da Paolo Sorrentino racconta il pontificato di un fantomatico
papa Pio XIII conservatore e rivoluzionario I BORGIA (2011) Vita e regno di Alessandro VI al secolo
Rodrigo Borgia e della sua famiglia ambiziosa e assetata di potere I TUDOR (2007) Intrighi, mogli, lotte
intestine La storia di Enrico VIII re d'Inghilterra e d'Irlanda dal 1509 al 1547
Foto: NELLA FINZIONE Sopra, una scena della fiction "I Medici", con al centro Steven Waddington, nel
ruolo di Cardinale Baldassarre Cossa A sinistra Dustin Hoffman, che nella serie televisiva interpreta
Giovanni de' Medici
01/11/2016
Pag. 7
diffusione:12188
tiratura:25650
Viale Mazzini spaccia le riprese da Norcia per proprie Anzaldi (Pd): «Perché continuare a pagare il canone»
Michele De Feudis
La copertura giornalistica della Rai sull'ultimo terremoto genera nuove polemiche politiche e compie il
miracolo di mettere d'accordo, nella richiesta all'azienda di spiegazioni, il caterpillar renziano Michele
Anzaldi e avversari sfegatati del premier come i forzisti Brunetta, Gasparri e Minzolini. Casus belli è la
trasmissione da parte di Viale Mazzini - su RaiNews e altre reti - di «immagini gemelle» con quelle di Sky,
registrate poco dopo il sisma che ha colpito due giorni fa il centro Italia. Da qui il sospetto (più che un
sospetto) che i video fossero presi dalla tv i Murdoch. Anzaldi e i forzisti hanno chiesto chiarimenti alla
Commissione di Vigilanza sulla Rai, guidata dal grillino Roberto Fico. «A che servono venti sedi regionali
Rai se poi le telecamere della tv di Stato arrivano sempre dopo quelle di Sky?», si domanda Anzaldi.
Gasparri, Brunetta e Minzolini rincarano la dose: «Rattrista che la Rai, pur dotata di presenze capillari sul
territorio nazionale, sia al centro di polemiche per l'impiego di mezzi o l'uso di immagini altrui in occasione
del sisma che ha colpito in queste ore l'Italia centrale». Anzaldi approfondisce la querelle con Il Tempo :
«Questa vicenda è il simbolo di un tv pubblica inadeguata, dove c'è chi pensa di farla franca. Sbagliando il
countdown di Capodanno o mandando immagini riprese da un altro media. Non a caso quando ho
chiamato Sky per chiedere chiarimenti, mi hanno detto che davanti alla Cattedrale di Norcia c'era solo il
loro operatore». Per il deputato Pd «emerge una grande sciatteria gestionale e un lavoro mal svolto da una
azienda che ha un esercito di dipendenti, tra cui 1.700 giornalisti. Turba l'arroganza. In casi come questo,
sarebbe bastato avere il garbo di ringraziare con un mazzo di fiori Sarah Varetto, direttrice del Tg Sky.
Alcuni direttori hanno ammesso che le immagini erano della tv del magnate australiano, ma non c'è una
nota ufficiale dell'azienda». Da qui l'amarezza: «Le immagini di Norcia o delle Marche sono essenziali per
comunicare come la tragedia del terremoto non riguardi solo le comunità colpite - aggiunge Anzaldi - ma
tutto il Paese. Anche con il giornalismo la comunità nazionale va esortata a ritrovare l'unità. Per questo ho
presentato un'interrogazione parlamentare al fine di conoscere i responsabili di aver mandato in onda
immagini di un'altra tv». Infine l'ultima polemica riguarda il tributo che Osservatore Romano e il CorSera
hanno riservato al giornalista marocchino Zouhir Louassini, esperto di Islam e giornalista Rai, «che - chiosa
Anzaldi - la tv pubblica non fa mai vedere nei talk show o nei dibattiti. Perché pagare il canone per una tv
amministrata così?».
Foto: Scontro Nella foto in alto, l'inviata Sky a Norcia nelle immagini di Rai News. Qui sopra, Michele
Anzaldi del Pd e Monica Maggioni, presidente Rai
ANICA - ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 26/10/2016 - 02/11/2016
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L'ultima «patacca» Rai Così ruba i video a Sky
02/11/2016
Pag. 1
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tiratura:185029
Blunt e la ragazza del treno: racconto il nostro lato più oscuro
Gloria Satta
Satta a pag. 22 Blunt e la ragazza del treno: racconto il nostro lato più oscuro A 33 anni, alle spalle una
carriera di tutto rispetto, Emily Blunt affronta la prova del fuoco: La ragazza del treno , il film (in sala
domani) ispirato al thriller di Paula Hawkins, un "caso" editoriale da 15 milioni di copie nel mondo, di cui
600mila in Italia dove il libro è uscito da Piemme. L'attrice inglese interpreta la protagonista della storia,
trasferita dal regista Tate Taylor da Londra a New York: Rachel, una donna alla deriva. Alcolizzata,
disoccupata, prende ogni giorno il treno che un tempo la portava al lavoro solo per spiare l'ex marito con la
sua nuova famiglia e una coppia, apparentemente perfetta, di loro vicini. Ma niente è come sembra e un
giorno, dal finestrino, Rachel vede qualcosa che innescherà un crescendo di suspense e tensione, violenza
e morte fino al clamoroso colpo di scena finale. Completano il cast Justin Theroux, Haley Bennett, Rebecca
Ferguson. Ma il fulcro del film è proprio Emily: perennemente annebbiata, senza trucco, emotivamente
instabile, incarna benissimo l'autodistruzione del suo personaggio. E dopo aver convinto pubblico e critica
nei panni dell'assistente nevrotica di Meryl Streep-Miranda in Il diavolo veste Prada e in quelli della
poliziotta anti-narcos ( Sicario ), l'attrice si candida ora a tutti i premi della stagione. Non ha temuto che il
film potesse attirare critiche "di genere" perché i personaggi femminili sono poco edificanti? «Si tratta di una
rarità nel cinema attuale in cui abbondano i personaggi maschili sgradevoli. E io sono orgogliosa di aver
acceso una luce sulle donne imperfette, che sbagliano ogni giorno: sono esseri umani e, almeno all'inizio
della storia, vengono sfruttate». Intende dire che il film riflette la realtà? «Certo, racconta fatti comuni nella
vita domestica, tutti ne sentiamo parlare. Ma quelle donne che quasi vengono messe una contro l'altra e si
considerano non all'altezza del loro ruolo, incomplete o difettose, oggi si sentono più unite». Ha recitato
incinta della sua seconda figlia Violet: un'impresa difficile? «Il primo trimestre della gravidanza è stato
funestato da nausea e stanchezza, gli unici veri ostacoli contro cui ho dovuto combattere. Non sono un'
attrice che ama farsi torturare dai suoi personaggi e non avrei resistito se fossi rimasta tutto il tempo nella
testa di Rachel. Così, per staccare un po' e ricaricarmi, sul set mi sono concessa dei pisolini, anche di dieci
minuti. Ha funzionato». Che effetto le ha fatto interpretare un personaggio che perde la testa? «È stata una
sfida eccitante, esaltata dalla direttrice della fotografia Charlotte Bruus Christensen che ha catturato
magnificamente il confine, molto sfocato, tra realtà e manipolazione. La mia Rachel non riesce a ricordare
quello che è successo e perciò non è affidabile. Il film combina il mio viaggio emotivo dentro il personaggio
e l'aspetto visivo della vicenda». E dal punto di vista emotivo qual è stata la scena più dura da girare?
«Quella ambientata nel bagno della Grand Central Station in cui l'alcolismo rabbioso di Rachel raggiunge
l'apice. Lei deve far paura, risultare potenzialmente sospetta e pericolosa. Ma nel film ci sono tante altre
sequenze ad alta densità emotiva. Di solito non faccio prove, imparo le diligentemente battute ma poi mi
affido all'istinto». Abbiamo cominciato a vedere, nei film, personaggi femminili sempre più complessi: le
cose stanno finalmente cambiando? «È una cottura lenta, una piccola onda gentile, non uno tsunami. Ma il
concetto della corretta rappresentazione di genere è entrato nel lessico di Hollywood e spero vi rimanga. Le
donne stanno dando la prova che possono fare soldi. La ragazza del treno manda in soffitta l'idea si
debbano fare solo film per ragazzini». Questo cambiamento progressivo sta avvenendo dietro le quinte o
anche la società se n'è accorta? «Solo solo che le cose si stanno muovendo e noi dobbiamo continuare a
sostenere i grandi ruoli femminili, incoraggiando le sceneggiatrici a scrivere di più e meglio per le donne.
Ma parlare non basta, bisogna aiutare concretamente quelle che vogliono lavorare nel cinema». Il pubblico
oggi è pronto ad accettare film, come La ragazza del treno, costruiti intorno a un'anti-eroina? «Lo vedremo,
ma c'è una ragione per cui il libro ha avuto tanto successo: la gente non volta la testa di fronte al lato
oscuro della vita domestica, alla brutalità, alle donne in qualche modo sgradevoli. Gli spettatori
ANICA - ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 26/10/2016 - 02/11/2016
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Il film
02/11/2016
Pag. 1
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ANICA - ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 26/10/2016 - 02/11/2016
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riconosceranno nei personaggi molti aspetti di sé».
Foto: L'attrice britannica protagonista del film diretto da Tate Taylor SUL SET Sopra Rebecca Ferguson e
Justin Theroux in un'altra scena
01/11/2016
Pag. 22
diffusione:12188
tiratura:25650
Fantascienza e fumetti Besson sfida Cameron a colpi di effetti speciali
L'ispirazione Il film si basa sulla graphic novel scritta da Mézières con Christin Nelle sale In Italia la pellicola
uscirà tra l'estate e l'autunno 2017
Giulia Bianconi
LUCCA Già ai tempi de «Il quinto elemento» il fumettista Jean-Claude Mézières aveva cercato di
convincere Luc Besson a realizzare un film tratto dalla sua graphic novel «Valérian e Laureline». Vent'anni
dopo, il regista francese ha deciso di adattare per il grande schermo il fumetto di fantascienza, scritto da
Mézières insieme a Pierre Christin, edito dal 1967 al 2010. Ad oggi di immagini sulla pellicola ne sono
circolate molto poche. Ma ieri a Lucca Comics & Games sono state mostrate in anteprima due clip inedite
del backstage di «Valerian e la città dei mille pianeti» con protagonisti Dane DeHaan, Cara Delevingne,
Clive Owen, Ethan Hawke e Rihanna. Il film uscirà in Francia nel luglio 2017, mentre in Italia con 01
Distribution tra l'estate e l'autunno prossimi, grazie a Leone Film Group in collaborazione con Rai Cinema.
Nelle immagini in esclusiva proiettate sul grande schermo del cinema Astra di Lucca si percepisce quanto
abbia voluto investire in questo progetto (ricco di effetti speciali) Besson, che di film di fantascienza, oltre a
«Il quinto elemento», ha realizzato due anni fa «Lucy» con Scarlett Johansson. Il cineasta ha dovuto
aspettare «che la tecnologia riuscisse ad andare di pari passo con la mia immaginazione», prima di
realizzare il film. Con l'uscita nel 2009 di «Avatar» di James Cameron, Besson ha voluto riscrivere la
pellicola dall'inizio, per essere allo stesso livello della grandiosa opera cinematografica campione d'incassi
(ben 2,8 miliardi di dollari in tutto il mondo) del collega canadese. Ora con questo film il regista francese è
convinto che sarà lui a mettere in crisi C a m e r o n , che sta lavorando al secondo capitolo della pellicola
di fantascienza. La storia di «Valerian e la città dei mille pianeti» è ambientata nel 28esimo secolo in un
mondo in cui convivono umani e alieni. Nell'anno 2740, Valerian e Laureline sono Corpi speciali incaricati
dal governo di mantenere l'ordine in tutto l'universo. S e g u e n d o gli ordini del loro comandante, i due
entrano a far parte di una missione nella città intergalattica di Alpha, metropoli in continua espansione e
dimora di migliaia di specie diverse provenienti da ogni angolo della Galassia. La storica e grandiosa città è
sotto attacco da parte di un nemico sconosciuto e Valerian e Laureline dovranno fare una corsa contro il
tempo per trovarlo e sconfiggerlo prima che distrugga tutto l'universo. Besson ha scelto di affidare il ruolo
dei due protagonisti ai giovani attori Dane DeHaan e Cara Delevingne. Il primo apprezzato in «Chronicle» e
«The Amazing Spider-Man 2» dove interpreta il cattivo Goblin, lei vista ultimamente in «Suicide Squad» nei
panni dell'Incantatrice. A dare il volto al comandante Arün Filitt è, invece, l'attore britannico Clive Owen,
mentre alla cantante Rihanna è stato affidato il personaggio di una conturbante ballerina di nightclub
spaziale.
Foto: I protagonisti Da sinistra Luc Besson, Jean-Claude Mézières, Dane DeHaan e Cara Delevingne
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Il regista presenta «Valerian e la città dei mille pianeti»
30/10/2016
Pag. 79 N.44 - 30 ottobre 2016
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Bellocchio racconta il nuovo film ispirato dal libro di Massimo Gramellini
colloquio con Marco Bellocchio di Alessandra Mammì
«MASSIMO GRAMELLINI? È stato molto discreto. Ha letto il copione ma non è mai intervenuto nella
lavorazione del film. Una sola volta ci ha raggiunto sul set di "Fai bei sogni". Con ossessione filologica
avevamo ricostruito in studio l'appartamento della sua infanzia: corridoio, stanza da pranzo, camera da
letto... Ambienti identici a quelli della casa dov'era cresciuto a Torino. Lui visibilmente turbato scrisse poi un
post sul suo blog. Ci furono diecimila commenti e molti dei diecimila a ripetere la stessa frase: "Speriamo
che Bellocchio non ci rovini il tuo libro"». Ride Marco Bellocchio, lo diverte la scarsa fiducia che ripongono
in lui i fan di Gramellini. Un vero esercito che lo aspetta al varco il prossimo 10 novembre, quando il film,
dopo la presentazione al Festival di Cannes, sarà finalmente nelle sale italiane, sotto il giudizio dei lettori
che han permesso a quel commovente romanzo autobiografico di vendere più di un milione di copie,
restare per oltre cinquanta settimane in testa alle classiche, vantare ben 24 ristampe e diventare un caso
editoriale. La storia è nota ai più. Racconto della morte misteriosa di una madre che lascia orfano un
bambino molto amato. Ma anche storia di un padre anaffettivo e rigido, di un'omertà familiare, di un
bambino divenuto un adulto malinconico (lo interpreta Valerio Mastandrea), emotivamente irrisolto, in preda
a rimozioni, vittima di crisi di panico e soprattutto incapace di vedere la verità nascosta dietro a quella
improvvisa scomparsa. Col cuore in mano Gramellini scrive un libro carico di sentimenti e di buoni
sentimenti. Marco Bellocchio fa invece un film sulla morte e sul rapporto con la morte come sempre
dialetticamente teso fra una visione lucidamente laica e una consolazione cattolica. Teso e inevitabilmente
irrisolto, come impossibile è risolvere la prematura perdita di una madre se non come tragedia congelata
nel tempo. «Alla mia età», ha detto, «si gira ogni film con il retro-pensiero che potrebbe essere l'ultimo. Non
mi dispiacerebbe se il mio ultimo film fosse una storia come questa». Però "Fai bei sogni" non sarà l'ultimo
film: Bellocchio è già al lavoro su un progetto ispirato alla vita del pentito Buscetta. E soprattutto "Fai bei
sogni" è un film "alla Bellocchio", dove la morte è catalizzatore di umani sentimenti e lo spazio di una casa
di media borghesia diventa la scena primaria e universale del rapporto madre-figlio. Un film che vive di vita
propria, al di là del libro. Con buona pace dei fan di Gramellini. L'aspettano al varco, Bellocchio, i lettori
fedeli, nonostante lei abbia detto e scritto che il film è "liberamente tratto" dal libro: ma quanto liberamente?
«Ho fatto un film con notevole libertà. Ho chiamato a lavorare alla sceneggiatura insieme a me e Valia
Santella uno scrittore lontanissimo da Gramellini: Edoardo Albinati. E non penso che sia davvero
necessario aver letto il libro per vedere questo film, come non dovrebbe essere mai necessario, anche se si
gira "Guerra e Pace". Sinceramente non avevo letto il libro, è stato il produttore Beppe Caschetto a
suggerirmelo. E mi ha colpito l'infelicità di quest'uomo, la sua forzata freddezza, la sua paura legata al
trauma iniziale della vita, ma soprattutto la sua verità. A monte di questa storia e di questo successo, non
dimentichiamolo, c'è una reale tragedia. È questo che mi ha convinto». Molti invece dopo la proiezione a
Cannes sono stati colpiti da un'analogia con i "Pugni in tasca", il suo film rivelazione del 1965. La casa, la
madre che muore, lì odiata qui amata. Un'alfa-omega, un opposto simmetrico.... «È una domanda che mi
sono posto io stesso. Là c'è chi uccide una mamma anaffettiva da cui vorrebbe essere amato, mentre lei
non è in grado di farlo per una serie di disgrazie che l'hanno colpita. E quella è un po' la storia della mia
vita. Qui c'è un bambino troppo amato che perde paurosamente sua madre, una tensione sul potere dei
sentimenti o su una loro verità che è difficile da decifrare a livello tematico. Ed anche questa è una storia
vera. In entrambi casi la perdita di una madre, non aver avuto ciò che volevi da lei apre la strada alla
nevrosi che evolve in maniera diversa, fino alla psicosi. Ma, ciò detto, fra i due film ci sono cinquant'anni di
vita e di cinema, una padronanza del mezzo che allora non avevo. E anche un diverso rapporto con la
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Sogni tristi in libertà
30/10/2016
Pag. 79 N.44 - 30 ottobre 2016
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tiratura:472673
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morte». Intende dire con la morte come dispositivo narrativo? «Non solo. In un momento della mia vita che
nel suo complesso comincia a prevedere la sua conclusione, il tema della morte mi porta a riflessioni più
approfondite, diventa parte integrante della materia d'ispirazione. Forse gli artisti più di altri sentono il
bisogno di dar forma a un appuntamento a cui nessuno può sfuggire, anche per esorcizzare la paura di
questo evento inevitabile che mi sottrarrà l'unica cosa che ho: la mia vita. In quanto laico io vivo solo della
mia vita terrena e invidio coloro che credono in quella ultraterrena». Qui il laico però è il bambino che non
accetta la visione benevola di una mamma che lo protegge dal cielo e si batte contro le ragioni del parroco
sempliciotto o di un più colto e filosofico sacerdote interpretato da Roberto Herlitzka. Un conflitto tra logica
e fede che ritroviamo spesso nei suoi film. «È la tesi di un mio amico sacerdote: "Tu sei in bilico", mi dice
sempre. E tende a riconoscere nei miei passi o movimenti una specie di bagliore della fede, come se
inconsciamente avessi delle aperture. Ma in realtà quel che mi attrae è un modo di ragionare del credente
che riassumo nelle parole di Herlitzka quando dice al protagonista che lo interroga sull'esistenza di Dio: "Ci
deve essere un Dio". Non dice che Dio "c'è", ma che "deve esserci", altrimenti il mondo perde di senso». È
sicuro che non abbia ragione il suo amico sacerdote? «Le assicuro che il salto nella fede come follia non
sento di averlo ancora fatto (e ride, ndr)». Comunque nel film i sacerdoti son più simpatici dei giornalisti. Del
resto lei a Cannes ha dichiarato che «bisognerebbe fare un film sugli estremismi di questo tragico mestiere,
sulla sua dimensione disumana, sulla superficialità necessaria ad afferrare il presente e sintetizzarlo». «C'è
una dimensione tragica nel mestiere di giornalista che ti impedisce di andare oltre, di svelare certe verità o
complessità perché l'attualità ti obbliga a sintetizzare e comprimere tutto. Ancora di più adesso che il tempo
si riduce e anche il testo si fa sempre più breve. È in questo clima che il protagonista vive il peso di tutte le
sue contraddizioni». Come trasformare il trauma della morte della madre in un articolo o un libro di
successo, carico di sentimentalismo? In alcuni tratti del film si sente anche un filo di polemica. Per esempio
nell'acidità del vecchio giornalista che dice a Massimo: «A te il libro "Cuore" ti fa una pippa». «Ci sono dei
punti in cui accolgo la contestazione che insieme al grande amore c'è stata intorno a questa operazione
letteraria. Ma più che nel vecchio giornalista mi riconosco nella durezza di quelle cinque parole pronunciate
da Piera Degli Esposti, vecchia madre arida che dopo aver letto l'articolo di Massimo dice al figlio: "E ora
cosa dovremmo fare: abbracciarci?". Sono sconnessioni necessarie se si vuole trasferire uno stile letterario
in linguaggio cinematografico che ha bisogno di un certo tipo di secchezza o sobrietà. Ma non c'è nessuna
volontà polemica di denunciare una certa oggettiva e quasi inevitabile superficialità del giornalismo». Ma il
confronto con un libro di tale successo non la spaventa? O anche lei ha ceduto alla tentazione di essere più
popolare? «So che la libertà di un regista è legata al successo dei suoi film ma non è per questo che ho
girato "Fai bei sogni". Ripeto che ho lavorato in totale libertà: non c'è una sola scena piegata all'illustrazione
del romanzo. Ho voluto indagare e raccontare una storia vera che ha inizio e fine nella morte di una madre.
Al di là del libro è un mio film. Giudicatelo come volete».
Foto: Una scena di "Fai bei sogni" di Marco Bellocchio
Foto: Marco Bellocchio
30/10/2016
Pag. 96 N.44 - 30 ottobre 2016
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tiratura:472673
Quei film andati in fumetto
Grandi progetti di grandi registi mai realizzati
Oscar Cosulich
LE GAMI TRA CINEASTI italiani e cartooning precedono il boom attuale del cine-fumetto, che ha visto
l'espressione migliore in "Lo chiamavano Jeeg Robot" di Gabriele Mainetti. Il motivo è che alcuni maestri
del nostro cinema si sono formati sulle pagine di un giornale satirico come il "Marc'Aurelio". Ecco allora
Federico Fellini affidare a Milo Manara la realizzazione a fumetti di due film mai realizzati ("Viaggio a
Tulum" e "Il viaggio di G. Mastorna detto Fernet") ed Ettore Scola tornare alla passione originaria,
sceneggiando per Ivo Milazzo "Un drago a forma di nuvola", debutto del regista come sceneggiatore di
graphic novel. Ancora, c'è stato Massimo Bonfatti che ha trasformato in fumetto "Capelli Lunghi", sogget to
scritto da Mario Monicelli negli anni '60 e mai portato al cinema, facendo venire alla luce una storia dove il
regista dei "Soliti ignoti" e di "Un borghese piccolo piccolo", racconta trasgressioni e ribellismi degni del
miglior Andrea Pazienza. "Storia meravigliosa di Niccolò Paganini" (Edizioni ETS, pp. 100, € 10), firmato da
Furio Scarpelli, Mario Monicelli e Giacomo Scarpelli, è un volumetto che segna un ulteriore passo avanti
nelle commistioni tra cinema, fumetto e grafica. Anche qui c'è un film "non fatto" e il testo è corredato dagli
schizzi di Furio Scarpelli. Ci sono ritratti di Monicelli, bozzetti per il progetto del cartoon "L'Isola del Tesoro",
olii e chine, che fanno riscoprire il talento pittorico di uno dei più grandi sceneggiatori del nostro cinema.
Foto: Diamantina di Scarpelli, da "Io e Napoleone". Sotto: grande impiego di legno a Utoya. A destra: Pattie
Boyd
ANICA - ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 26/10/2016 - 02/11/2016
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Cartooning
02/11/2016
Pag. 25
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«Il cinema va male? Colpa dei registi : fanno film pallosi»
L' autore di «Ladro di bambini»: vado ogni giorno in sala e capisco perché gli spettatori stanno fuori
Laura Rio
Se glielo chiedessero, Gianni Amelio si metterebbe subito al lavoro. Convinto sostenitore delle serie
televisive che, a suo parere, nulla tolgono al cinema, anzi le une si compensano con l'altro, non avrebbe
alcun problema a «sporcarsi le mani» con la fiction. Anzi. Non per nulla ha partecipato con entusiasmo a
una delle masterclass proposte dal Mia, il mercato internazionale della televisione che si è svolto a Roma,
dedicata a creatività e business tra cinema e tv. Amelio, lei sostiene che in Italia si producono poche serie
moderne, non c'è ancora una mentalità industriale. Perché non contribuisce lei per primo? «Perché non me
lo hanno ancora chiesto. Sono a disposizione. Certo ci vorrebbe una storia emozionante, adatta a me,
anche qualcosa di forte... Figuriamoci che esiste ancora nei cassetti di Raidue uno sceneggiato che avevo
scritto negli anni '70: all'epoca non era stato capito, forse avevo precorso i tempi. E comunque non ho mai
avuto preclusioni verso la tv: in passato ho girato molti documentari e film, anche qualche episodio di serie
lunghe». In Italia la serialità moderna è arrivata con Romanzo criminale e Gomorra . Entrambe hanno
dovuto passare prima per le sale cinematografiche: è stato necessario per dare un'impronta artistica al
percorso televisivo? «Secondo me nel caso di Romanzo criminale se non ci fosse stato il film, non ci
sarebbe stata la serie. Il mercato ha imposto a Riccardo Tozzi della Cattleya di girare il film, poi il mercato
stesso ha voluto di più ed è arrivata la fiction. Quindi la dobbiamo smettere con questa rivalità tra i due
settori, il cinema si sta evolvendo nella serialità e la serialità buona contiene il cinema». Insomma il suo è
un invito ai grandi registi a contaminarsi? Sorrentino si è appena cimentato con grande successo in The
Young Pope ... «Alla Scuola di cinematografia se chiedi agli allievi con chi vorrebbero lavorare non ti
rispondono più Moretti o Tarantino, ma... Sollima, il regista televisivo di Romanzo criminale e Gomorra .
Ormai in Italia si dovrebbero produrre una decina di titoli, invece si va avanti sempre con gli stessi due o
tre..». Ma qual è la sua serie preferita? «Senza dubbio Six Feet Under , la serie americana che parla delle
vicende che ruotano attorno a un'impresa funebre, ho passato notti intere a gustarmela. Io sono uno
spettatore onnivoro: guardo qualsiasi serie in tv, anche le più turpi e imbarazzanti, come qualsiasi film.
Vado tutti i giorni al cinema, vedo tutto, e, credetemi, se mi rompo le palle io figuratevi lo spettatore». Cioè
non crede che la crisi del cinema sia dovuta al cambiamento delle abitudini dello spettatore? «Macché, la
gente si rompe le scatole ad andare nelle sale per colpa di noi registi: facciamo troppi film e troppo brutti. Mi
fa ridere quella frase usata dal Ministero per finanziare i film: "ritenuti di interesse culturale". All'estero ci
prendono in giro. Il pubblico c'è: se i film sono belli, le persone corrono a vederli. Bisogna avere amore per
il cinema e senso di responsabilità». Intanto ha appena finito di girare il suo ultimo film La tenerezza con un
grande cast, da Elio Germano a Micaela Ramazzotti a Giovanna Mezzogiorno. «Parla dei rapporti
conflittuali tra genitori e figli in una Napoli borghese, non quella delle periferie ed è tratto dal libro La
tentazione di essere felice del giovane Lorenzo Marone. Ora è in fase di montaggio, sarà pronto nel 2017».
Mentre è da poco uscito il suo romanzo d'esordio, Politeama , che non è un'autobiografia ma contiene
molto del suo vissuto. «Proprio in questi giorni l'ho presentato in Calabria, la regione dove sono nato e
cresciuto (vicino a Catanzaro). Politeama, si sa, è il luogo della città dove avviene lo spettacolo. Racconta
l'infanzia di un bambino nel Sud povero degli anni '50, con un padre assente. Io mio padre l'ho conosciuto
poco perché era emigrato per lavoro. Ma quel che importa è che è un libro che parla di dignità e riscatto».
Le frasi
TV E ARTE
ANICA - ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 26/10/2016 - 02/11/2016
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DEBUTTO Gianni Amelio è nato nel '45 a San Pietro di Magisano (Catanzaro). Sotto la copertina del suo
romanzo d'esordio «Politeama» Gianni Amelio l'intervista »
02/11/2016
Pag. 25
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tiratura:149120
ANICA - ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 26/10/2016 - 02/11/2016
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I cineasti devono sporcarsi le mani con le serie Io, se me lo chiedessero, ne farei una subito
SUL SET
Nel mio ultimo film «La tenerezza» girato a Napoli affronto il tema dei rapporti tra genitori e figli
Foto: GUSTI Una scena di «Six Feet Under», la serie americana preferita da Gianni Amelio, ambientata in
un'impresa funebre
01/11/2016
Pag. 13
diffusione:20803
tiratura:33216
Il duo comico I Soldi Spicci da oggi girerà a Castelbuono il primo film
Roma. Prenderanno il via oggi a Castelbuono, sulle Madonie, le riprese del secondo progetto
cinematografico di Cattleya Lab. Dopo il successo del primo lungometraggio Troppo Napoletano , adesso si
vira ancora più a Sud, in Sicilia, con la prima avventura sul grande schermo per I Soldi Spicci, il duo comico
composto da Annandrea Vitrano e Claudio Casisa. I due giovani comici, che da qualche anno spopolano
sul web e dal vivo, in teatro e ospiti di programmi tv, spesso a " Insieme " su Antenna Sicilia, saranno diretti
per il loro esordio, da Mimmo Esposito, anche lui al debutto, dietro la macchina da presa. Il film, una
commedia brillante di cui non è ancora stato reso noto il titolo, è scritto da Marco Alessi, Salvo Rinaudo e I
Soldi Spicci. Protagonisti, insieme ad Annandrea e Claudio, ci saranno, Barbara Tabita, David Coco,
Stefania Blandeburgo, Paride Benassai, con la partecipazione di Maurizio Marchetti, Francesco Guzzo,
Alessandro Bolide, Matranga e Minafò, Luca Lombardi, Ernesto I SOLDI SPICCI Maria Ponte, Vito e Grazia
Zappalà, Toti e Totino. Le riprese si protrarranno per cinque settimane a Castelbuono, in provincia di
Palermo, uno scenario meraviglioso che fa parte del Parco delle Madonie. Previste anche alcune incursioni
nel capoluogo siciliano. Il film è realizzato dalla Run Film (di Alessandro e Andrea Cannavale) per Cattleya
Lab, la factory creata da Alessandro Siani e Riccardo Tozzi per valorizzare le giovani promesse del cinema
italiano. I due si sono conosciuti a un corso di teatro a Palermo, nel 2013 debuttano con il loro primo
spettacolo di cabaret F e mmino & Maschia con la regia di Salvo Rinaudo ed Ernesto Maria Ponte, poi
partecipano ai laboratori Zelig e nel 2014 entrano nel cast di Colorado con i loro personaggi dei " fratelli " ,
due adolescenti insopportabili e litigiosi, costretti a condividere la casa e sempre pronti a farsi la guerra e
ad ammazzarsi per ogni cosa, dal bagno al telecomando. Poi sono arrivati " i fidanzati " , con una valanga
di gag di successo che spopolano sul web prendendo in giro con esiti esilaranti - tutti i problemi delle
coppie, gli stereotipi tra uomo e donna, le dinamiche degli innamorati.
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COPPIA DI PALERMO
31/10/2016
Pag. 33
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La serie tv che libera la brutalità e cancella ogni senso di colpa
"Westworld" si spinge ai confini della moralità: sangue e violenza ma, dice il titolo, nel parco virtuale "Tutto
è concesso". O quasi
GIULIA ZONCA
L'ultimo giocattolo della tv si spinge in una zona d'ombra difficile da decifrare. Westworld, ambiziosa serie
della Hbo in onda in contemporanea negli Stati Uniti e in Italia, porta nel titolo, «Dove tutto è concesso», le
istruzioni per l'uso. Solo che la mappa è molto meno chiara di quanto possa sembrare. L'elaborato parco
dei divertimenti a tema western si trasforma ogni dieci minuti in un bagno di sangue festeggiato con stupri e
violenze. E il limite non esiste perché tutta questa brutalità, venata di vago romanticismo e interrotta solo da
lunghe occhiate languide, non si sfoga contro degli esseri umani ma contro delle sofisticate macchine.
Quindi, appunto, vale tutto. Molti personaggi non fanno che ripeterlo ad amici più timidi: «È disegnato
apposta per farti divertire, lasciati andare, non è reale» ed è pure girato per non essere mai neanche
vagamente verosimile. Non esiste nemmeno una realtà contemporanea da contrapporre alla mattanza del
vecchio west, si vedono solo gli uomini che vivono dietro al parco e lo controllano e nulla si sa dell'epoca e
del luogo in cui si muovono. Gli and roidi dalle sembianze perfettamente umane stanno quasi tutto il tempo
nudi, in officina, dove una serie di programmatori psicologi, tutti fuori controllo, impartiscono ordini surreali
del tipo: «Togli la parte emotiva». E poi cancellano ogni giornata dalla memoria dei cyborg. È un fumetto e
la responsabilità non trova radici, scivola, perde di senso. Eppure la domanda di fondo torna: ma davvero
avrebbe senso pagare quasi 40 mila euro al giorno per poi sparare a tutto quello che si muove e violentare
quel che resta in piedi? Preoccupati che il quesito contagi l'audience, gli attori iniziano a rivelare trame e
dettagli per chiarire che nulla è gratuito e del resto pure il copione rispecchia l'idea perché segue
letteralmente il percorso di un labirinto che appare fra le mani di diversi ospiti. Trovare un senso nel
disegno della fiction avrebbe poco senso: da Twin Peaks a Lost ormai si è capito che conta l'atmosfera,
l'idea di fondo. L'evoluzione della storia on è poi così importante in molta parte delle serie contemporanee.
Accantonato il problema di logica resterebbe quello morale. Però in una scenografia dove il fondale cambia,
le intenzioni pure, i protagonisti si perdono e le menti dietro il progetto sono logorate dai segreti, dare un
peso a quel che è giusto diventa complicatissimo. Il padre del baccanale, int e r p r e t a t o d a A n t h o ny
Hopkins, non aiuta. Tanto memo il visitatore seriale con la faccia di Ed Harris e nemmeno un nome a
disposizione. Per sciogliere qualche nodo e capire se il fascino supera l'imbarazzo o viceversa bisogna
andare alle radici dell'idea. Westworld è figlio di una visione più arcaica già diventata film nel 1973 grazie
alla regia di Michael Crichton che ha scritto il soggetto originale. La realizzazione non lo aveva soddisfatto e
in realtà lui si era tolto lo sfizio di un parco degenerato con Jurassic Park, diciassette anni dopo. Gli
avevano proposto un remake di Westworld, ha rifiutato. Il primo a cui hanno offerto la direzione del remake
è stato Quentin Tarantino e pure lui ha deciso di stare alla larga. Più raffinati diventavano i mezzi e più
rischioso si faceva il programma. C'erano tutti gli elementi del fiasco e invece la serie ha successo. Esordio
sopra le aspettative, nessun rimpianto per Games of Thrones ,che ha creato persino casi di inspiegabile
dipendenza, seconda stagione più o meno concordata nonostante i costi. Il giocattolone perverso funziona,
il sangue finto è catartico, peccato che alla quinta puntata ormai sia chiaro che le intelligenze artificiali
hanno imparato pure a p rova re emozioni e anche quando ven gono resett ate mantengono psichedelici
ricordi. Quindi prenderle a pistolettate e trascinarle per i capelli torna a essere un reato. Non proprio, la
sceneggiatura ci risparmia il voyarismo illecito. Gli ospiti non sanno che le macchine stanno assimilando
sentimenti, se la godono. Con quel che costa il soggiorno. Il pubblico è adulto e consenziente ed è lo
stesso che chatta on line raccontando frottole in cambio di sesso virtuale. Il senso di colpa per quel che non
è reale lo ha perso almeno da una generazione. c
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36.5
23 mila euro Il costo minimo di un giorno dentro il parco di Westworld. Ma vale solo se l'ospite si ferma una
intera settimana, altrimenti si sale a 57.300 milioni Il costo della puntata pilota di «Westworld», tra le più
care della Hbo, il canale a pagamento Usa. Il budget della 1ª serie arriva a 91 milioni
1973
10 l'originale La serie in onda adesso è basata sull'omonimo libro e film (in italiano «Il mondo dei robot»)
scritto e poi diretto da Michael Crichton episodi La durata della prima serie in onda in contemporanea negli
Usa in Italia: ci sono già accordi per la 2ª stagione che non è ancora stata confermata
Cyberdonne mai troppo felici Maria - Metropolis 1927 Prima della cura, la versione di latta pronta a
ricevere le sembianze umane e destinata a diventare il prototipo della cyborg femmina. Non proprio una
parte edificante di solito Zhora Blade Runner 1982 Una replicante impiegata come danzatrice esotica al
Taffey's Bar. Anche lei seducente, anche lei con un'ottima intelligenza artificiale e anche lei destinata a una
brutta fine come la maggioranza delle colleghe Fembots - Austin Powers 1997 Sembra uno dei primi
costumi di Britney Spears, ma è la tenuta delle Fembots, costume che in tema Halloween va moltissimo:
una versione più decorativa di Wonder Woman Terminatrix - Terminator 3 2003 Quando le macchine
prendono il potere, arriva l'androide con tailleur in lattice, progettata per ritirare dalla circolazione i modelli
superati. Inquietante spia meccanica Ava - Ex Machina 2015 La femme fatale fatta umanoide, volutamente
più ferro che carne: lei sembra dolce, candida e indifesa anche se è progettata sfruttare le debolezze altrui.
La freddezza del robot
Foto: Ogni lunedì alle 21,15 su Sky Atlantic Evan Rachel Wood (Dolores), ultimo prototipo del cyborg e
James Marsden (Teddy) in una scena di Westworld
30/10/2016
Pag. 26
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"Le serie tv sono un'eccellenza italiana Il nostro obiettivo è farne tre
all'anno"
Andrea Scrosati Vice President di Sky: "Per il nostro Paese è un momento d'oro Dopo Gomorra e
Sorrentino, puntiamo sulla commedia con Bisio e Matano"
GIANMARIA TAMMARO
Lo scorso 21 ottobre, su Sky Atlantic, ha fatto il suo debutto The Young Pope, la serie tv scritta e diretta da
Paolo Sorrentino: première mondiale a Venezia (con cinquantamila euro devoluti alle vittime del terremoto
da Sky e dalla Biennale) e un'accoglienza promettente, +45% di share rispetto al primo episodio di G
omorra. Nemmeno tre settimane fa, il Wall Street Journal titolava: «Il rinascimento della tv italiana». E
citava tutte le serie di Sky: da Romanzo Criminale a Gomorra, fino, appunto, al Papa di Sorrentino. Andrea
S crosati, Vice President Programming, è colui che decide tutti i contenuti non sportivi dei canali di Murdoch
in Italia. Come sta la televisione italiana? «Se si intendono programmi e contenuti, ciò che le persone
vogliono vedere, non è mai stata meglio. Se invece si intende il modo in cui questi contenuti vengono visti,
siamo in costante evoluzione. Quello che oggi vediamo sul tel eviso re t ra qualche anno verrà visto con
altre metodologie, di cui Sky mi permetto di dire - è uno dei promotori principali». Siamo davvero in un
momento così favorevole come pensa il Wall Street Journal? «È un momento d'oro, molto simile a quello
che hanno avuto le produzioni scandinave circa cinque anni fa, quando sono arrivate serie televisive come
The Killing e The Bridge ». Secondo lei, perché? « In Italia ci sono semp re st ati talenti st rao rdinari in g
rado di fa re film o p rodotti tel evisivi di alta qualità; questi talenti però hanno sempre avuto una dimensione
pe rsonal e. O ggi c'è una realtà p rodutti va in g rado di ga ranti re risult ati al li vello delle p roduzioni
internazionali». In altre parole? «In altre parole, oggi siamo in grado di fare sistema. Questa è la grande
differenza». Ma perché proprio adesso? « Intanto va p reso atto che l'estensione da parte del governo del
Tax Credit alle serie tv ha favorito la creazione di un automatismo che premia le produzioni più efficaci. E
poi va tenuto in conto di un'altra cosa». Cosa? «Che in questi anni nel mercato sono ent rati sog getti nuovi,
a partire da Sky, e ciò crea una sana dinamica di concorrenza». Le aspettative e l'attenzione internazionale
non mettono anche una certa pressione? «Sinceramente io non la vedo così. Abbiamo un modello di
business che ci ha portato naturalmente a fare questo tipo di prodotti. I nostri abbonati sono abituati a
vedere le migliori serie tv internazionali. E se mandiamo in onda Lost o House of Cards, le nostre
produzioni devono poter competere a questo livello di qualità. Anche in termini di linguaggio». «The Young
Pope» sembra avere un'attenzione particolare per lo spettatore internazionale. «Nel caso di The Young
Pope, Lorenzo Mieli di Wildside e Paolo Sorrentino sono venuti a proporci l'idea, e noi abbiamo detto subito
di sì. Tutto qui. Contava l'idea: un'idea forte e vicina agli spettatori. Quella del Papa è una figura con cui
ciascuno di noi è cresciuto, che influenza le nostre vite, e con cui c'è una relazione molto importante». Se
c'è un genere in cui la produzione seriale di Sky è ancora carente, è la commedia. «C'è un'eccezione:
Dov'è Mario? di Guzzanti. In questo momento, è in produzione Comedians con Claudio Bisio e Frank
Matano, che segna il nostro ingresso strutturato nel gene re comed y. Dobbiamo produrre qualcosa di
diverso dal solito affinché il nostro pubblico lo noti». Vorrei chiederle, in conclusione, di parlarci della Sky
del futuro: in quale direzione va? «Certamente il volume delle nostre produzioni originali a u m e n t e r à . S
i a m o p a r t i t i con una serie ogni t re anni, e o ra abbiamo l 'obietti vo di arri va re a p rodurne almeno t
re all 'anno». c
Come programmi, non siamo mai stati meglio, come modi per vederli, siamo in evoluzione: tutto
cambierà
Il talento da noi c'è sempre stato, ora come produzioni siamo al livello delle migliori al mondo Andrea
Scrosati Vice President Programming a Sky FOTO DI EMANUELA SCARPA Il rinascimento televisivo Qui
ANICA - ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 26/10/2016 - 02/11/2016
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Intervista
30/10/2016
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sopra, un'immagine sul set di «Gomorra»; in alto, «The Young Pope» al Mipcom di Cannes: per queste
serie negli Usa si è parlato di «Rinascimento» Chi è Qui sopra, Andrea Scrosati, 44 anni: come
responsabile del «programming» di Sky è uno dei principali artefici di serie come «Gomorra» e «The Young
Pope»
29/10/2016
Pag. 24
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DAI LIBRI ALLA TV , UNA BELLISSIMA PAURA
STEFANO PRIARONE
Macché festa importata. Come scritto da Eraldo Baldini e Giuseppe Bellosi in Halloween - Nei giorni che i
morti ritornano (Einaudi) solo il nome è anglosassone (è la deformazione di «All Hallows' Eve», vigilia di
Ognissanti): il periodo che va da fine ottobre a San Martino è ricco di tradizioni antichissime. Si può quindi a
buon diritto festeggiare la ricorrenza, magari immergendosi in film, serie tv, romanzi e fumetti dell'orrore. Al
cinema Come sempre arrivano nelle sale film horror, come Ouija L'origine del male di Mike Flanagan o Pay
the Ghost di Uli Edel con Nicolas Cage, ma il più atteso è Doctor Strange di Scott Derrickson, con il
Benedict Cumbe rb atch di She rlockHolmes. Stephen Strange è un chirurgo che ha perso l'uso delle mani
in un incidente stradale, per guarire va in una scuola di magia e usa i suoi poteri per combattere il male In
tv Il regno dell'horror è in tv. Intanto è appena iniziata la settima stagione di The Walking Dead, la serie
zombi di grandissimo successo (lunedì su Fox). E poi ci sono le serie del duo Ryan Murphy, Brad Falchuk,
American Horror Story e Scream Queens, sempre su Fox. La prima, con le sue atmosfere angoscianti, è
alla sesta stagione, Roanoke, ambientata in una casa stregata, e vorrebbe fare luce sul mistero della
colonia inglese abbandonata nel 500. Scream Queens, invece, gioca con ironia sugli stereotipi degli slasher
movie, i film con il pazzo assassino, il cui capostipite è considerato Halloween (1978) di John Carpenter, e
non a caso nel cast, nel ruolo della perfida decana del colle ge, c'è una straordinaria Jamie Lee Curtis, già
protagonista del film. I libri Fra i romanzi, proprio sotto Halloween, per la prima volta, escono
contemporaneamente in libreria (entrambi da Sperling & Kupfer) i nuovi romanzi di Stephen King e suo
figlio Joe Hill (sta per Joe Hillst rom King). Il padre torna con il capitolo finale di una trilogia più thriller che
horror, Fine turno. Il figlio, invece, con The Fireman si confronta direttamente con un classico del padre,
L'ombra dello Scorpione: anche il suo è un romanzo apocalittico fiume su una misteriosa malattia che
provoca la morte e come il libro del padre inizia con una citazione dalla canzone di Bruce Springsteen
Jungleland: al ragazzo non manca il coraggio. Fumetti Fra i fumetti consigliamo Rachel Rising (Bao) di
Terry Moore. Rachel si risveglia in una tomba. Chi l'ha uccisa? E chi è veramente? Ma forse il fumetto più
adatto a Halloween è The Graveyard Book (Nicola Pesce), adattamento di Philip Craig Russell del romanzo
di Neil Gaiman. Racconta la storia di Nobody (Bod) Owens, un ragazzino che cresce in un cimitero, allevato
dai fantasmi e dal vampiro Silas, affascinante e insondabile. Ci ricorda che Halloween è sì una festa horror,
ma a misura di bambini. c
Foto: Mestiere spavento Stephen King con il figlio Joe Hill: entrambi escono con i loro libri in questi giorni. A
destra la graphic novel tratta da Neil Gaiman
Foto: Non solo fantasmi A sinistra Benedict Cumberbatch in «Doctor Strange» qui sopra «Scream
Queens», horror ironico su Fox
ANICA - ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 26/10/2016 - 02/11/2016
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Tutti i consigli per la serata del 31 ottobre
31/10/2016
Pag. 25
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«La televisione genera mostri»
Gerard Depardieu a Firenze racconta l'ultimo film , "Tour de France", nel quale ha il ruolo di un razzista alle
prese con un giovane rapper. E parla di politica, informazione e potere
Gloria Satta
La politica è come la pornografia». «Il razzismo nasce dalla disinformazione propagata dalla tv». «Oggi le
guerre hanno tutte la stessa causa: la lotta tra il dollaro e l'euro». «L'unica cosa che ormai mi rende felice è
girare il mondo per conoscere le persone». E poi Brexit e Deneuve, l'integralismo islamico il cinema,
internet e la solita tirata contro «l'imperialismo americano». Gérard Depardieu a ruota libera, una Gitane
senza filtro dietro l'altra, la faccia arrossata e le immense mani nelle quali il cellulare sparisce, presenta al
festival France Odeon di Firenze il film Tour de France , interpretato in coppia con il rapper Sadek e diretto
da Rachid Djaïdani. È una storia on the road che mette tanta carne al fuoco (confronto tra culture, musica,
rabbia, dialogo padri-figli) ed è giocata sullo scontro tra i due protagonisti: un vecchio francese razzista
armato di tavolozza e pennelli per riprodurre le marine del pittore settecentesco Vernet e un giovane rapper
arrabbiato di origine maghrebina, inseguito da una gang rivale. Insieme, a bordo di un van sgangherato,
attraversano la Francia tra incomprensioni e avventure, scoperte e sentimenti. Djaïdani, 42 anni, di padre
algerino, guarda Depardieu estasiato e lo chiama Tonton, cioè zione. «In "Tour de France" ho trovato una
sincerità rara nel cinema», ribatte Gérard, 67. È ansioso di parlare, l'attore francese vivente più grande e
più discusso, 230 film, due autobiografie, un passaporto russo preso in polemica con la Francia (per via
delle tasse?) e la propensione alla provocazione, allo scandalo, all'exploit. A Firenze sta buono buono, ma
mette un limite: niente domande sull'amico Putin. Cosa ha imparato sul set? «Che tanti diventano razzisti
perché hanno paura. Confondono gli arabi con gli integralisti islamici, il rap con la violenza. Ma è colpa
della tv: anziché fare informazione, racconta solo massacri e stronzate. E addormenta i vecchi con i telefilm
di Derrick». È stato difficile interpretare un razzista? «Mi è bastato ispirarmi alla realtà: il mio personaggio
appartiene alla tribù di quelli che non escono dai confini per paura e ignoranza. Il film è profondamente
umano». Perché? «Racconta la discriminazione. Il razzismo è un contagio che si sta estendendo in Europa.
Dopo Brexit, spero che Irlanda e Scozia lascino il Regno Unito così gli inglesi potranno divertirsi con i loro
amici americani, da sempre contrari all'euro». Cosa la spinge a girare un film dietro l'altro? «Più che altro
faccio piccole partecipazioni. Ho girato tanti film e oggi l'industria del cinema è più interessata ad attori
impegnati come DiCaprio e Cotillard che vogliono salvare il mondo. Io invece non ho missioni da compiere,
il mondo mi piace girarlo per conoscere chi è diverso». Perché afferma che la politica è come la
pornografia? «I politici sono degli idioti e dicono troppe bugie. Internet, poi, ha impoverito il linguaggio. A
me piace la musica, l'arte, lo scambio profondo. Altro che quella m... dei blog! La gente vuole sognare e
non c'è soltanto il cinema americano. Devono esistere anche i film d'autore e sono grato a France Odeon
che continua a proteggerli». Ha scritto due libri (l'ultimo, Innocente, con Clichy, ndr) per correggere
l'immagine che il mondo ha di lei? «Nella prima parte della mia vita sono stato troppo emotivo per parlare.
E quando ho imparato ad esprimermi ho scritto i libri per dire senza filtri quello che penso». Ha finito di
girare Bonne pomme con Catherine Deneuve, è la decima volta che lavorate insieme. «Ho accettato il film
soprattutto per la regista Florence Quentin, giovane come Djaïdani. Amo i nuovi talenti». C'è un ruolo che le
è rimasto particolarmente caro? «No. Una volta fatti, i film li dimentico».
IL MIO PERSONAGGIO APPARTIENE ALLA TRIBÙ DI QUELLI CHE NON ESCONO DAI CONFINI PER
PAURA E IGNORANZA
Foto: «Ora mi rende felice solo girare il mondo»
ANICA - ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 26/10/2016 - 02/11/2016
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L'INTERVISTA
02/11/2016
Pag. 36 N.45 - 4 novembre 2016
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GIOVANNI MINOLI ALTRO CHE RAI: FINALMENTE A LA7 FACCIO
SERVIZIO PUBBLICO
Il giornalista dalle mille anime, che ha inventato trasmissioni cult come "Mixer" e soap di successo come
"Un posto al sole", torna in tv in "Faccia de balena spiaggiata. Su La7 finalmente sono nel servizio pubblico
». «Dopo tanti anni siamo ancora qui, sopravvissuti a tutto». Sposato con Matilde Bernabei, figlia dell'ex
direttore generale della Rai Ettore, e padre di Giulia, ha scandagliato le vite dei potenti. «L'intervista
perfetta? A Gianni Agnelli; a Fanfani quella più complicata»
Giancarlo Dotto
novembre 1 match imperdibile sarebbe Minoli che intervista Minoli, XO.K. Corrai allo specchio e, prima o
poi, con l'evoluzione degli avatar, accadrà. Nell'attesa, da intervistato è un osso duro. L'uomo che ha in,
ventato Mixer e tanti santini televisivi Rai, Un posto al sole, Quelli della notte, Report, Blitz, per citarne
alcuni. Televisione o no, il primo piano di sé è sempre stereofonico, poggiando su un'autostima a prova di
bomba, largamente suffragata dai fatti. Dici televisione e Minoli non può non essere uno dei primi cinque
nomi che associ. A incalzarlo di questi tempi è Faccia a faccia, debutto domenica 6 novembre in prima
serata su La7. Trentasei anni dopo Mixer, il totem Minoli torna a coincidere con quello che è
nell'immaginario della gente, l'uomo che scandaglia le anime dei potenti e dei personaggi pubblici. La
novità assoluta è che lo farà per La7 e non per la Rai. r «Finalmente sono nel servizio pubbli co. L'altra
buona notizia è che, dopo tanti anni, siamo ancora qui, soprav vissuti a tutto». Sono 71 gli anni. H tempo
che pasf sa deprime soprattutto gli uomini di spettacolo. ,«Non è il mio casa II tempo noni quieta e la morte
non mi fa paura». A pochi giorni da un eccitante ritorno. «Eccitante è troppo. Non è l'avventura della vita.
Stiamo parlando di un piccolo programma di 45 minuti in una collocazione morta dove La7 non arriva di
solito al 2 per cento». Chi te lo fa fare? «Il feeling profondo che ho con Urbano Cairo. Mi sono lasciato
sedurre». Complicato arrivare al lieto fine? «Sono stato molto incerto se accettare. Perché dovrei essere
una cosa •• •«N nuova rispetto a quello che sono stato, mi chiedevo. Poi, ha prevalso la natura del
giocatore». Solo Minoli può andare oltre Minoli? «I talk contemporanei hanno ucciso parole e protagonisti.
Vince il codice linguistico della pubblicità. La ripetizione a oltranza dello stesso slogan». Il tuo Cairo. «Tante
facce. È un uomo che sa ascoltare, cosa rara in chi sta ai vertici. Attento ai dettagli. Segue tutto, in mezzo a
tutte le bufere in cui si è trovato. Il dio e il diavolo si nascondono nei particolari». Le altre facce? «Quella
molto rassicurante, e anche questa rara oggi, di uno che cerca di fare i soldi da editore». Vi divide il tifo. «Io
sono inesorabilmente juventino». Da Mixer in poi, quanti tentativi di imitazione? «Non si contano. Ma se
hanno rispolverato la matrice, qualcosa vuoi dire». Sei un classico. «Può darsi. Anche se la mia
soddisfazione maggiore, da direttore, è di essermi inventato Un posto al sole, la prima soap italiana». Un
posto al sole per tanti attori, altrimenti destinati alla disoccupazione e alla desolazione. «Millesettecento
posti di lavoro intellettuale in vent'anni. La prima industria di Napoli». La serialità televisiva. Molti
storcevano naso e bocca all'epoca. «Umberto Agnelli mi chiamò a Torino. "Noi abbiamo messo su
Pomigliano d'Arco, ma l'industria del Sud è quella che stai facendo tu". Ma a inorgoglirmi fu Confalonieri:
"Stai facendo il vero servizio pubblico"». Tornando & Faccia a faccia. Anticipazioni sugli ospiti? «Saranno
freschi di giornata. Da Papa Francesco in giù. Vorrei anche scoprirne di nuovi». L'impresa sarà. .. «Se
facciamo il 2% abbiamo vinto, se facciamo il 3 è un trionfo. Siamo sereni. Contro la corazzata Fazio, siamo
Davide contro Golia. Ma posso contare su una fortuna enorme». Sarebbe? «Di essere il settimo di sei
giorni straordinari coperti dalla Gruber. Se qualcuno si sbaglia, cercando Lilli, finisce da noi e magari ci
resta». Ti piace Fazio? «Mi piace la sua capacità di sfruttare le sue spalle, da Baglioni alla Littizzetto e
Frassica». Sandra Milo mi parlava del vostro sodalizio. «Ha lavorato con me a Mixer. Un genio. Una volta
intervistò il cavallo di Garibaldi in studio. Un'altra, Maurizio Costanzo in piscina quando, dopo la P2, non lo
voleva più nessuno». L'intervista più complicata. «Amintore Fanfani. Mi consegnò un malloppo di cento
ANICA - ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 26/10/2016 - 02/11/2016
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LE INTERVISTE DI DOTTO
02/11/2016
Pag. 36 N.45 - 4 novembre 2016
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cartelle con le domande e le risposte già scritte. "Professore, non funziona così a Mixer", gli dissi. Era un
tipino tosto». Ettore Bernabei, il tuo potente suocero fanfaniano, ti aiutò? «Gli chiesi una mano. Mi disse:
"Caro Giovanni, sono cavoli tuoi". Alla fine Fanfani accettò le mie condizioni e venne fuori una cosa bella».
Il tuo Bernabei, morto da poco. «Il privilegio di confrontarmi con chi la televisione l'ha inventata. Privilegio
che ha coperto tutti i piccoli guai che mi ha procurato». Quella volta con Enrico Berlinguer. «Non ci credeva
che gli avessi fatto 60 domande in 24 minuti. Mi confidò che aveva detto più cose in quell'occasione che
nelle trasmissioni passate». L'intervista perfetta. «Tante. Scelgo l'Avvocato Agnelli. I grandi come lui,
all'inizio, alzano il muro, poi si appassionano al match». Delusioni? «Il viaggio a Washington per intervistare
Ted Kennedy. Pose la condizione che non si parlasse di Mary Jo, la donna in sua compagnia morta
affogata in un incidente di macchina. Tornai in Italia senza intervista». Momenti memorabili. «Quando il
capo della Cia si alzò e se ne andò, seccato dalle mie domande. Abbandonò lo studio anche il premier
israeliano Shamir, tirandomi in faccia l'auricolare». La Rai è la tua storia. L'hai definita un'azienda morente.
«È una grande balena spiaggiata. 0 trovi un rimorchiatore che ti aggancia alla pancia e ti riporta al largo o ti
saltano addosso e ti fanno a pezzi». La Rai deve meritarselo il canone in bolletta, ha detto il direttore
generale Campo Dall'Orto. «Dico solo che la linea editoriale resta un mistero. Ricordo il mandato del
premier Renzi: "Educazione, cultura e meritocrazia". Non sono sicuro che le scelte rispondano a questi
criteri». Renzi ha una giusta attenzione per la "balena spiaggiata"? «Lui è cresciuto con Canale 5, non con
la Rai. Televisivamente, la sua cultura è berlusconiana. Non so quanto abbia capito il nesso profondo che
lega la Rai al Paese». Il ragazzo, se si applica, è dotato. «È uno molto sveglio. Che può diventare anche il
suo limite. Il rischio è capirle le cose, ma non approfondirle». Giancarlo Leone: «II tasso d'innovazione della
nuova Rai è altissimo». «Cosa devo dire? Forse sono miope e lui è presbite». Carlo Freccerò: «La Rai è
un'azienda monocorde dal pensiero unico». «Di Freccerò parlo poco. Faccio fatica. Non so bene che cosa
abbia fatto veramente. È molto bravo, invece, nell'orale». Ti sfuggono le opere del suo ingegno... «Non mi
ricordo un solo programma importante fatto e pensato da lui. Alla nostra età siamo quello che abbiamo
fatto. Freccerò sarebbe un ottimo capo di palinsesto. Lo vedrei bene nell'ufficio studi e ricerche della Rai».
Cosa guardi in tivù? «Le serie americane. Tantissimo. Narcos è la mia preferita». La moglie Matilde, la figlia
Giulia, le altre. Le donne nella vita di Giovanni Minoli. «Essenziali. Ti dico solo una cosa: non si può vivere
senza l'amore». Dimmene un'altra. «Che i grandi amori si sommano, non si escludono. Poi, ognuno ci
metta i nomi e i cognomi che vuole». Per salvare la Rai ci vorrebbe un Bernabei contemporaneo? «Lui
vince anche da morto. / Medici, l'ultima sua opera, vince sui mercati e se la gioca con le serie straniere».
Una vita di e dava=
;,
alla televisioni
RE DEL PICCOLO SCHERMO. A sin., Giovanni Minoli con Urbano Cairo, presidente della nostra casa
editrice e proprietario di La7, tv su cui va in onda "Faccia a faccia", il nuovo programma del noto giornalista.
«E un uomo che sa ascoltare, cosa rara in chi sta ai vertici. Attento ai dettagli. Segue tutto, in mezzo a tutte
le bufere in cui si è trovato. Il dio e il diavolo si nascondono nei particolari», dice Minoli. Più a sin., con
Gianfranco Fini, 64 (a sin.), e Francesco Rutelli, 62, a "Mixer", programma di cui Minoli è stato autore e
conduttore prima su Rai Due (1980-1996) e poi su Rai Tre (19961998). Sotto, a sin., Renzo Arbore, 79 (con
la camicia rossa), con la sua squadra a "Quelli della notte" (Rai Due, 1985). Sotto, col cast di "Un posto al
sole" (Rai Tre), la prima soap italiana, ideata da Minoli, che il 21 ottobre ha festeggiato i 20 anni dalla prima
messa in onda.
Foto: AL LAVORO Roma. Un sorridente Giovanni Minoli, 71 anni, pronto per iniziare una nuova avventura
televisiva: dal 6 novembre alle 20.30 su La 7 conduce la trasmissione "Faccia a faccia". «Finalmente sono
nel servizio pubblico. È un piccolo programma di 45 minuti. Chi me loft fare? Il feeling profondo che ho con
Urbano Cairo», racconta il giornalista e autore tv. A sin., dal sito di Dagospia, Minoli accanto alla figlia
02/11/2016
Pag. 36 N.45 - 4 novembre 2016
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tiratura:352035
ANICA - ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 26/10/2016 - 02/11/2016
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Giulia. 34, il suocero nonché ex direttore generale della Rai Ettore Bernabei, scomparso lo scorso agosto a
95 anni, e la moglie Matilde Bernabei, 62, presidente della Lux Vide, società che ha prodotto anche la
fiction di successo "I Medici" (Rai Uno).
Foto: RITORNO IN TV A ds., Giovanni Minoli con Lilii Gruber, 59, conduttrice di "Otto e mezzo" su La7: la
domenica sera Minoli prende il suo posto. Sotto, il direttore generale della Rai Antonio Campo Dall'Orto, 51.
«La linea editoriale della Rai resta un mistero», commenta Minoli. LA POLITICA DELLA TV A sin., i fratelli
Umberto (1934-2004) e Gianni Agnelli (19212003). «Umberto Agnelli mi disse a proposito della mia fiction
"Un posto al sole": "Noi abbiamo messo su Pomigliano d'Arco, ma l'industria del Sud è quella che stai
facendo tu"». E dell'Avvocato dice: «I grandi come lui all'inizio alzano il muro ma poi si appassionano al
match». Sotto, Fabio Fazio, 51, e il premier Matteo Renzi, 41. «Fazio è un fantastico succhiatore di ruote.
Renzi è veloce di testa ma questo può diventare il suo limite».
30/10/2016
Pag. 50
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tiratura:185029
ENRICO VANZINA
Non mi piace parlare del mio lavoro. Penso che questa rubrica debba, soprattutto, parlare di Noi. Voglio
dire: parlare della gente, quella che osservo, che mi fa ridere, sorridere, riflettere, incuriosire, arrabbiare e
talvolta indignare. Oggi, però, le due cose si mischiano: perché insieme a mio fratello Carlo abbiamo fatto
un film che parla di quei personaggi che hanno riempito (e stanno ancora riempiendo) le pagine di tutti i
giornali. Un film che parla dei "furbetti" di Mafia Capitale. Un argomento molto romano. Il film uscirà nelle
sale il 3 novembre e si intitola "Non si ruba a casa dei ladri". Un titolo, secondo me, azzeccato, perché fa
capire subito ai possibili spettatori che si tratta di una commedia. Infatti, gli attori del film sono degli
affermati protagonisti della commedia italiana, Vincenzo Salemme, Massimo Ghini, Maurizio Mattioli,
Stefania Rocca e la bella Manuela Arcuri in un ruolo sorprendente di "bona ignorante, amante di un
corrotto". Vi parlo del nostro film perché (cosa che non mi succede spesso, visto che sono ipercritico con il
mio lavoro) a me piace moltissimo e spero che possa piacere anche al pubblico. Perché mi piace? Perché
tratta, in maniera buffissima, un argomento drammatico di grande attualità: il sacco di Roma che è
avvenuto negli ultimi anni sotto i nostri occhi da parte di un gruppo di intrallazzatori della politica. Un grande
argomento di commedia. Già, perché la vera commedia italiana deve sempre partire da un tema
drammatico per poi raccontarlo in maniera leggera, mettendo alla berlina i "cattivi". Fino ad oggi questo
argomento era stato trattato in film drammatici. Nel nostro, invece, viene affrontato come forse lo avrebbe
affrontato il grande Dino Risi: ridendoci sopra per far riflettere. L'idea forte del film è questa: una coppia di
persone perbene, Vincenzo Salemme e Stefania Rocca, vengono rovinati da un faccendiere (Massimo
Ghini) legato a Mafia Capitale. I due tapini cercano in tutti i modi di incastrarlo, di denunciarlo. Ma non ci
riescono. Allora, al limite della disperazione, decidono di organizzare un vero e proprio "colpo" per
riprendersi quello che il malfattore e i suoi complici hanno rubato. Insomma, quelli perbene decidono di
rubare ai ladri (è il sogno di tutti, o no?). Ma, come dice il titolo, non è facile rubare in casa dei ladri. Per
riuscirci, mettono su una piccola banda di persone oneste, tutte vessate dalla mala politica, e architettano
una truffa a metà strada tra "I soliti ignoti", una super Mandrakata e il recente "American Hustle". C'è da
ridere, ma anche da riflettere su quello che è successo a Roma, su chi sono questi furbetti ma soprattutto
su come si può sconfiggerli. Già, perché questi delinquenti non sono invincibili. Hanno un punto debole:
sono dei ridicoli miserabili. Che bello il cinema di intrattenimento. Quello che, con grande modestia, mio
fratello Carlo ed io cerchiamo di fare da quattro decenni. Un cinema che parla di noi italiani, dell'Italia, dei
suoi vizi e delle sue debolezze. Un cinema vero che racconta, talvolta bene, talvolta meno, cosa succede in
questo paese. E stavolta mi sembra che ci siamo riusciti.
Foto: "NON SI RUBA A CASA DEI LADRI": LA COMMEDIA AFFRONTA CON IRONIA IL REALE
DESIDERIO DI RIVINCITA DELLA GENTE PERBENE SUI MALFATTORI
ANICA - ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 26/10/2016 - 02/11/2016
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Come truffare i truffatori si "impara" in un mio film
30/10/2016
Pag. 52
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Virna Lisi un sorriso senza fine
L'8 novembre all'Auditorium, gala per l' attrice scomparsa Sul palco Giletti, Gino Paoli e la premiata Paola
Cortellesi
Micaela Urbano
La grande seduzione. Arabella è una bellissima creatura con una nonna principessa che non concepisce
nemmeno da lontano di dover pagare le tasse. La ragazza si trova così con un debito che cresce a
dismisura e, per pagarlo, truffa un maìtre d'albergo, un generale inglese, ridona la pace a un duca fino ad
allora convinto di avere un figlio gay, per poi però cadere nell'eterna, infida trappola dell'amore ... Negli Anni
60 era raro che un regista dedicasse un intero film a un'attrice. Ma nel 1967 ecco che Mauro Bolognini
mette sull'altare della bellezza e della bravura Virna Lisi e gira Arabella. Piero Tosi disegna per lei 75
sublimi costumi (il film si svolge nella Roma del 1928, epoca di Charleston e piume, assetata di champagne
e di letteratura d'Oltre Oceano. Giorgio Arlorio, Brunello Rondi e Adriano Baracco scrivono la sceneggiatura
, Ennio Morricone compone la colonna sonora. Bolognini la contorna di attori come Margaret Rutherford,
James Fox, Giancarlo Giannini, Terry Thomas, Milena Vukotic e Paola Borboni. E la storia,
apparentemente un elegante divertissement, in realtà cela idee anticlericali e libertine. LA FONDAZIONE
Da quasi due anni (se n'è andata il 14 dicembre 2014) Virna Lisi non c'è più. Ma la Fondazione che porta il
suo nome, nata grazie al figlio Corrado Pesci, la celebra all'Auditorium nel giorno del suo compleanno, l'8
novembre, con la seconda edizione del Premio Virna Lisi che va all'attrice migliore della stagione, Paola
Cortellesi. Una serata di gala condotta da Massimo Giletti, con Gino Paoli, Cristina Comencini, e Piera De
Tassis che introdurrà il film. Per non dimenticare. La grande bellezza del cinema italiano e internazionale.
La grande classe. La grande schiettezza. Quella sincerità così potente e prepotente con la quale riusciva a
rendere reali i suoi personaggi. Un dono naturale, come la sua risata. Travolgente come la sua personalità.
Una delle pochissime gentildonne, Virna Lisi, che è riuscita a coniugare con maestria l'amore per la famiglia
e la passione per il lavoro. E quando le piaceva un ruolo era pronta a sacrificare la sua bellezza. «Sai che
me ne importa?», diceva. E infatti quando interpretò Caterina De' Medici nella Regina Margot era farcita di
gomma piuma, stempiata e costretta in un corsetto che pesava più di lei. Per non dimenticare Virna Lisi,
amica di chi le voleva bene. Amica della sua casa, rifugio da occhi indiscreti, amica e custode gelosa dei
suoi affetti- il figlio, il marito, i nipoti - con la a maiuscola. E sono tanti quelli che la hanno amata. Come il
produttore Alberto Tarallo, la sua memoria cinematografica. Fin da ragazzo non perdeva un suo film e lei gli
chiedeva: «Alberto, ma sei sicuro che ho girato Una vergine per il principe prima di Signore e signori ?».
Non era possibile non lasciarsi travolgere da Virna Lisi. Dalla grande attrice. Dalla donna. Che ti racconta di
quando era un'adolescente con la sottana a pieghe e, con le compagne di scuola, si divertiva a suonare il
campanello di un convento di suore per poi nascondersi «pensando di fare chissà che. Com'eravamo
sceme...». E poi ti dice: «Però non giocavamo solo a campana, sognavamo anche noi. C'era chi
immaginava il grande amore. E c'ero io che dopo le prime particine pensavo al cinema. Sono stata
fortunata. Molto. Ho vissuto il grande amore. E la passione per il cinema».
Foto: DURANTE LA SERATA VERRÀ PROIETTATO "ARABELLA" DI MAURO BOLOGNINI UN FILM
AMBIENTATO NELLA ROMA DEL '28
Foto: PROTAGONISTI Sopra, Virna Lisi, in basso a sinistra Gino Paoli e a destra Paola Cortellesi alla
quale verrà consegnato il Premio dedicato alla grande attrice
ANICA - ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 26/10/2016 - 02/11/2016
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L'EVENTO L'OMAGGIO
30/10/2016
Pag. 25
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tiratura:185029
"Il medico di campagna" supereroe che conquista i botteghini francesi
Gloria Satta
Il supereroe che ha conquistato i francesi non sbarca da un'astronave ma da una monovolume sporca di
fango. Al posto della spada laser imbraccia un vecchio ma infallibile stetoscopio. Viene spesso pagato in
natura, con uova o prodotti della terra, ed è in servizio sette giorni alla settimana, 24 ore su 24. Il supereroe
che ha sbancato i botteghini d'Oltralpe ha l'umanità e il talento senza fronzoli di François Cluzet: l'attore,
lanciato da Quasi amici , è ora il magnifico protagonista di Il medico di campagna , un film diretto da
Thomas Lilti. Molto applaudito a France Odeon, il festival di cinema francese in corso a Firenze, uscirà in
Italia il 22 dicembre con Bim. Lilti, 40 anni, prima di diventare regista ha fatto il medico («ma ho sempre
coltivato in segreto la passione per il cinema», rivela). Nel film racconta con sincerità e ammirazione la vita
quotidiana di un medico condotto a tu per tu con i pazienti delle zone rurali: agricoltori, vecchi, giovani
handicappati che in lui vedono non soltanto il dottore capace di guarirli dai malanni ma anche un amico, un
confessore, una persona su cui contare. E ignorano che sta combattendo in silenzio la sua guerra
personale contro la malattia che l'ha colpito. «Il mio film vuole essere un omaggio al medico di campagna,
una figura che rischia di scomparire», spiega Lilti. «Quando indossavo il camice bianco, mi è capitato di
sostituire dei colleghi più anziani in servizio nelle zone di provincia più isolate. E sono rimasto colpito dalla
loro dedizione al lavoro che considerano una missione sacerdotale». PUBBLICO Ma come spiega il
clamoroso successo del film in Francia? «Impossibile trovare una giustificazione razionale», risponde al
regista che all'antica professione aveva dedicato anche l'opera prima Hyppocrate , altro successo al
botteghino. «Il medico di campagna ha portato al cinema tanta gente che non ci andava mai perché non si
sentiva rappresentata: non tutti abitano a Parigi e hanno i problemi dei borghesi e degli intellettuali...». È
stato difficile ottenere la star Cluzet? «Il successo di Hyppocrate ha facilitato le cose. In più, François
moriva dalla voglia di interpretare un personaggio introverso, essenziale. È stato formidabile, sul set si è
creata un'atmosfera amichevole e affettuosa». Lilti racconta di aver praticato la medicina fino a due anni fa.
«Avevo scelto la professione di mio padre, ma anche quando lavoravo all'ospedale ho girato dei corti
all'insaputa di tutti. Dichiarare che facevo il medico mi ha aperto molte porte, rendendomi più affidabile».
Anche il prossimo film del regista sarà dedicato al mondo da cui proviene: «La storia sarà ambientata
durante il severissimo concorso che affrontano gli studenti di medicina dopo il primo anno: passano solo in
10 e io parlerò dei bocciati». Lilti è un fan del cinema italiano degli anni '60 e '70: «Coniuga il gusto del
racconto con le esigenze del pubblico, proprio quello che voglio fare io nei miei film».
Foto: CON FRANÇOIS CLUZET È DIRETTO DA LILTI: «HO RACCONTATO LA QUOTIDIANITÀ DI UN
DOTTORE NELLE ZONE RURALI»
Foto: Cluzet e Denicourt
ANICA - ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 26/10/2016 - 02/11/2016
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IL CASO
29/10/2016
Pag. 25
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«Che risate con Mafia Capitale»
ABBIAMO PRESO SPUNTO DALL'INCHIESTA E RACCONTATO LA RIVINCITA DI UN UOMO ONESTO
Gloria Satta
C'è il toga-party, preso di peso dalla cronaca recente. C'è il politico romano intrallazzone, "facilitatore" di
affari sporchi (Massimo Ghini) che sembra il ritratto di tanti inquisiti di Mafia Capitale e si accompagna alla
squinzia vistosa e arrivista (Manuela Arcuri). C'è l'imprenditore onesto (Vincenzo Salemme) che aveva
lasciato la natìa Napoli per sfuggire al malaffare ma, paradossalmente, viene ridotto sul lastrico da Roma
ladrona: decide perciò di vendicarsi assistito dalla moglie torinese (Stefania Rocca) che, per la causa,
impara il romanesco e dall'amico economicamente disastrato (Maurizio Mattioli). E ci sono tante risate. Non
si ruba a casa dei ladri , nelle sale il 3 novembre con Medusa, è la 60ma commedia della coppia d'oro
Carlo Vanzina regista-Enrico Vanzina sceneggiatore: in 40 anni di carriera, hanno descritto l'Italia cafonal di
rampanti, arricchiti e furbetti meglio di tante inchieste, pamphlet e trattati sociologici. Girato tra Roma e
Zurigo, Non si ruba a casa dei ladri è dedicato a Dino Risi: «Ci siamo umilmente ispirati al suo capolavoro
In nome del popolo italiano », spiega Carlo, gran signore di 65 anni, appassionato e motivato come al
debutto. Perché avete tenuto presente quel film del 71? «Appartiene alla gloriosa tradizione della
commedia di costume che rispecchiava la realtà denunciandone i vizi. Di quella tradizione, alla quale Enrico
e io abbiamo voluto riallacciarci, fanno parte film come C'eravamo tanto amati , Una vita difficile , La
congiuntura . Il grande cinema italiano non ha solo riprodotto la realtà ma a volte l'ha anticipata». Qual è
stato lo spunto di Non si ruba a casa dei ladri? «Un paio d'anni fa abbiamo cominciato a pensare a una
commedia dedicata alla corruzione, protagonista un cittadino onesto che si prende la rivincita sugli abusi
subìti. Ci siamo ispirati all'inchiesta Mafia Capitale, mentre il personaggio di Ghini ricalca il consigliere
Fiorito, il famoso "Batman" dello scandalo dei fondi regionali. Ma rispetto a certe intercettazioni diffuse dai
media, abbiamo fatto troppo poco!». Cosa intende? «I dialoghi tra inquisiti sono surreali, avrebbero potuto
essere scritti dagli sceneggiatori Age e Scarpelli». La denuncia deve appoggiarsi alla commedia? «Certo,
l'ho imparato da Mario Monicelli di cui sono stato "aiuto": il tono leggero resta il più efficace per affrontare
argomenti serissimi e ti permette di lanciare un messaggio sociale. Chiunque, vedendo il nostro film, potrà
riconoscere personaggi e fatti reali. Per poi indignarsi». Le commedie che attualmente monopolizzano il
mercato non corrispondono a questi requisiti? «Di fronte ai risultati del box office, siamo tutti un po'
disorientati. Oggi non c'è più nulla di sicuro e sembrano vincere quei comici, come Alessandro Siani e
Maccio Capatonda, intorno ai quali si confezionano i film solo per adeguarli ai loro personaggi e alle loro
battute. Ma l'unico a fare incassi fenomenali è Checco Zalone». E cosa deve fare un autore? «Girare dei
film sinceri, in sintonia con il pubblico. Come Perfetti sconosciuti : sulla carta, sette persone intorno al tavolo
non promettevano un exploit, poi il film di Genovese ha sbancato i botteghini. La gente si è riconosciuta».
Da autore di commedie, pensa che l'Italia sia condannata a non liberarsi mai della corruzione? «Ci vorrà
molto tempo per sradicarla: noi italiani siamo un popolo senza unità e sempre pronto a vedere nella politica
un antagonista da cui difendersi con ogni mezzo». Perché ha scelto Ghini e Salemme? «Massimo è un
grande attore che ripercorre la tradizione di Gassman e Sordi riuscendo a rendere simpatici anche i
cialtroni. Con Vincenzo ho girato sette-otto film e ormai ci intendiamo al volo: è un comico straordinario,
capace di improvvisare spunti e situazioni». Avete in pentola un'altra commedia ispirata all'attualità? «Di
idee ne abbiamo tante, ma nessuna messa ancora a fuoco. Non contiamo di tornare immediatamente sul
set anche perché, con il produttore Aurelio De Laurentiis, abbiamo deciso di creare una factory destinata a
realizzare serie tv. Ormai tra piccolo e grande schermo non c'è più differenza, basti pensare a The Young
Pope di Sorrentino i cui trailer hanno invaso anche i cinema. Le serie rappresentano il futuro».
ANICA - ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 26/10/2016 - 02/11/2016
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Carlo Vanzina parla del suo ultimo film , "Non si ruba a casa dei ladri", con Ghini e Salemme, in sala dal 3
novembre «Mio fratello Enrico e io abbiamo messo in commedia il malaffare ispirandoci a "In nome del
popolo italiano" di Risi» L'INTERVISTA
29/10/2016
Pag. 25
diffusione:129764
tiratura:185029
ANICA - ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 26/10/2016 - 02/11/2016
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Foto: IL REGISTA & I PROTAGONISTI Accanto Carlo Vanzina e nella foto sopra Vincenzo Salemme e
Massimo Ghini in una scena di "Non si ruba a casa dei ladri"
29/10/2016
Pag. 53 Ed. Roma
diffusione:129764
tiratura:185029
Una porta sul Medio Oriente
Valentina Venturi
Un evento culturale che da ventidue anni sceglie di rappresentare un ponte culturale ideale tra noi, il Medio
Oriente e il Mediterraneo. Questo fa il MedFilm Festival, rassegna cinematografica diretta da Ginella Vocca
e in programma dal 4 al 12 novembre in diverse location romane. I 90 film proposti tra lungometraggi,
cortometraggi e documentari (di cui 60 anteprime italiane, europee e internazionali) vengono proiettati al
cinema Savoy, al Macro e nelle biblioteche e centri culturali delle periferie. Tre i concorsi: il Premio Amore e
Psiche curato da Giulio Casadei («in ogni film emerge la volontà di mettere al centro l'uomo») propone
nove pellicole che vengono giudicate dall'attrice Isabella Ragonese, dal giornalista e scrittore Federico
Pontiggia, dalla distributrice Claudia Bedogni, dal critico cinematografico Angela Prudenzi e dalla scrittrice
Tiziana Lo Porto. Confermato poi il concorso internazionale documentari (a cura di Gianfranco Pannone),
con il Premio Open Eyes assegnato da cinque giurati: il critico cinematografico Roberto Silvestri, la regista
Irene Dionisio, la scrittrice Francesca Bellino, il direttore della fotografia Tarek Ben Abdallah e la giornalista
Katia Ippaso. I dieci film in gara sono uniti dal tema della memoria. C'è infine il concorso internazionale
cortometraggi (a cura di Alessandro Zoppo) che assegna il Premio Methexis: in questo caso la giuria è
formata da 9 studenti diplomandi provenienti dalle Scuole Nazionali di Cinema europee e mediterranee e
dai detenuti della Casa Circondariale di Rebibbia Nuovo Complesso. A loro il compito di scegliere tra 20
corti che si muovono lungo lo spettro espressivo del cinema contemporaneo. Venerdì Yousry Nasrallah
inaugura il MedFilm: il regista egiziano è in concorso con l'anteprima italiana del film Brooks, Meadows and
Lovely Faces (Al Ma' wal Khodra wal Wajh El Hassan). Tra i protagonisti della primavera araba, Nasrallah
torna a Roma dopo tre anni, per spiegare le motivazioni che l'hanno spinto a dirigere un melodramma sulle
difficoltà che vive l'Egitto di oggi. Sempre venerdì viene assegnato il Premio alla Carriera 2016 al regista
Gianni Amelio, da sempre impegnato a testimoniare la realtà che ci circonda, come avvenne con Lamerica
del 1994. A sottolineare l'importanza del dialogo tra culture, a consegnare il premio c'è la vedova di Abd
Elsalam Ahmed Eldanf, l'operaio ucciso un mese fa a Piacenza mentre manifestava insieme ai compagni di
lavoro. Da non perdere le due vetrine speciali, dedicate ai Paesi ospiti d'Onore: l'Iran e la Tunisia, con un
omaggio al maestro Abbas Kiarostami e la proiezione del suo ultimo cortometraggio Take Me Home. Tra le
novità di questa edizione c'è poi la sezione Letture dal Mediterraneo: sei appuntamenti letterari che
attraversano le frontiere parlando di geografie, storie, vita, culture, gusti e fenomeni. Luoghi vari, dal 4
novembre `
Foto: Una scena del film "Ailleurs"
Foto: AL VIA LA KERMESSE CINEMATOGRAFICA, NOVANTA I TITOLI IN CARTELLONE TRA I
GIURATI I DETENUTI DI REBIBBIA
ANICA - ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 26/10/2016 - 02/11/2016
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MEDFILM FESTIVAL IL PROGRAMMA
29/10/2016
Pag. 51 Ed. Umbria
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tiratura:185029
L'EVENTO
Attori, produttori, sceneggiatori, musicisti, direttori della fotografia, scenografi, montatori e una madrina
d'eccezione: Claudia Cardinale. Da Assisi a Spoleto, trasloca Primo Piano sull'Autore, rassegna di cinema
italiano che si svolgerà nella città del Festival dei Due Mondi dal 5 al 12 novembre, dedicata quest'anno alla
rilettura dell'opera del regista Pasquale Squitieri. Siamo orgogliosi di poter ospitare Primo piano sull'autore
nella nostra città - dichiara la neo-assessore alla cultura e al turismo Camilla Laureti che omaggia il cinema
di Pasquale Squitieri e il suo legame artistico e umano con Claudia Cardinale. Sarà una settimana di
incontri, dibattiti e proiezioni in cui si celebra il grande cinema italiano con una finestra dedicata anche ai
registi più giovani. Il cinema, per una città fondata sulla cultura come Spoleto è uno straordinario strumento
di crescita. Il cinema è arte, conoscenza, apertura a nuovi linguaggi e nuovi mondi. Tutti valori intrinseci al
modo di concepire la cultura nella nostra città.
EREDITA' DI QUARANTA
La manifestazione, per la verità, porta anche il marchio dell'ex assessore alla cultura Gianni Quaranta che,
nei mesi scorsi, ha molto lavorato dietro le quinte facilitando l'arrivo dell'iniziativa. Poi, la revoca delle
deleghe ha impedito, di fatto, che fosse lui a tenere a battesimo il nuovo corso spoletino della rassegna. In
ogni caso Quaranta ha già annunciato che sarà presente alla serata finale: Sono stato invitato
all'appuntamento conclusivo, conferma l'ex assessore alla cultura. Direttore artistico della rassegna
cinematografica, giunta quest'anno alla sua trentacinquesima edizione, è Franco Mariotti: giornalista,
collaboratore di diverse testate specializzate, autore di monografie e volumi sulla storia del cinema italiano,
collaboratore della Mostra Cinematografica di Venezia, del David di Donatello, del premio De Sica e dei
Nastri d'argento, del Festival dei Popoli di Firenze, degli Incontri internazionali di Sorrento. «Sono grato
all'amministrazione comunale di Spoleto - afferma Mariotti - per aver scelto di accogliere una rassegna di
qualità come la nostra. Ci siamo già messi al lavoro e la prossima settimana annunceremo date e
protagonisti. La rassegna Primo Piano sull'Autore di quest'anno, avrà dunque come titolo: Pasquale
Squitieri - Il piacere della libertà. L'iniziativa conferma un format collaudato che prevede la proiezione, al
Cinema Sala Pegasus e alla Sala Frau, di una selezione di film diretti da Squitieri e interpretati da Claudia
Cardinale. Previsto anche un incontro con gli studenti delle scuole medie superiori venerdì 11 novembre.
Antonella Manni
ANICA - ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 26/10/2016 - 02/11/2016
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Torna il Festival d'inverno e porta Claudia Cardinale
29/10/2016
Pag. 43 Ed. Metropolitana
diffusione:129764
tiratura:185029
IL CASO
La città tiburtina per una settimana è diventata la fabbrica dei sogni. In questi giorni per le vie della Superba
si sono fermate tre produzioni, di cui una russa. I set hanno girato per il centro storico, per Villa d'Este e in
altre zone della città. Le telecamere stanno realizzando un film per il cinema, La Banda dei Tre, una fiction
Sofia che sarà trasmessa in Russia ed un reality show per Rai Italia, That's My Country. Intenso lavoro,
quindi, per la Tibur Film Commission che segue le troupe per agevolare i lavori.
Per le riprese de La Banda dei Tre, prodotta dalla casa Format, che ha iniziato la lavorazione la scorsa
settimana, sono già arrivati a Tivoli gli attori Francesco Pannofino, Marco Bocci, Carlo Buccirosso, J Ax,
Matteo Branciamore e Pupo. Le prime scene sono state girate nel centro storico ed è stata caccia ai selfie
per tanti tiburtini, con gli attori che si sono gentilmente prestati. La pellicola, tratta dall'omonimo romanzo
noir di Carlo Callegari, resterà in città ancora per un paio di settimane.
Nella splendida cornice di Villa d'Este, sito Unesco, si è fermata da mercoledì la produzione di Sofia,
prodotta da Alimatika per la tv russa. Personaggi in costume storico si sono aggirati per il cortile e le sale
della dimora del cardinale Ippolito d'Este ed è come se per qualche istante la villa sia tornata ai fasti di un
tempo.
Da martedì si sono fermate anche le telecamere della casa di produzione Stand By Me che sta realizzando
un nuovo programma per Rai Italia. That's My Country racconta i viaggi nella Penisola di italiani residenti
all'estero accompagnati da loro cari che non hanno mai visto il nostro Paese. I tour non saranno solo
turistici ma durante il tragitto conosceranno e parleranno con le persone che incontreranno e saranno
chiamati a superare alcune prove. Un modo per far conoscere l'Italia ai nostri connazionali all'estero.
A Tivoli, per That's My Country, sono arrivate due persone, un uomo ed una donna, dal sud America. Le
riprese, con l'assistenza della Tibur Film Commission, hanno girato al centro della città. Si sono dovuti
scontrare con il tiburtino e, facendosi aiutare da alcuni passanti, hanno fatto un giro della Città. Di tappa in
tappa sono passati da piazza Plebiscito fino al Tempio della Sibilla per arrivare alla Villa Gregoriana che
con i suoi splendidi paesaggi ha fornito le scenografie naturali per le ultime riprese. Importante il lavoro
svolto in questi giorni dalla Tibur Commission, un impegno che «potrà contribuire a valorizzare il turismo
nella nostra città ha commentato l'assessore al Turismo Urbano Barberini -, promuovendone l'immagine a
livello nazionale e internazionale. Potrà anche essere uno stimolo per l'economia locale, soprattutto per i
settori ricettivo e della ristorazione».
Queste riprese hanno sancito il ritorno a Tivoli delle grandi produzioni. Dopo che nei mesi scorsi erano stati
girati due cortometraggi, alcune scene delle serie Sorelle e Medici con Dustin Hoffman e del remake del
colossal Ben Hur, da diversi anni non si vedevano tutte queste telecamere. Tra il 2010 ed il 2013 erano
venuti a Tivoli artisti del calibro di Woody Allen, che ha girato alcune scene di To Rome With Love, e
numerose fiction, tra cui Squadra Antimafia, Rossella, Donna Detective. Senza scomodare il Brucee Lee
d'annata che passò per Villa d'Este nel 1972 per L'urlo di Chen terrorizza anche l'occidente.
Fulvio Ventura
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Fiction e reality, Tivoli fa il pieno
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" L ' ora legale " di Ficarra e Picone: " Cosa succede se vince l ' onesto?
"
TOMMASO RODANO Termini Imerese (Pa)
sterno giorno. La camera riprende una Panda verde, piuttosto malconcia, che si infila nel vicolo di un
paesino siciliano. Una ragazza col megafono scandisce slogan per un candidato sindaco. Il set del nuovo
film di Ficarra e Picone è come una città nella città. Siamo a Termini Imerese, 40 minuti di macchina da
Palermo, ma i confini tra il paese reale e quello inventato - Pietra a Mare - sono sfumati. Termini si
immedesima e si mescola con la scenografia: da quando sono iniziate le riprese, a settembre, la cittadina
vive in simbiosi con gli spostamenti della troupe. " Salvo " e Valentino sono diventati di casa: le signore
offrono cannoli e pasticcini, i ragazzi allungano gli s m a r t p h one per rubare una foto. TORNIAMO alla
Panda verde. Il candidato si chiama Natoli. Parole d ' ordine: " C a m bi amento " , " o n e st à " e " t r a s p
are nza " , e un calcio " alla vecchia politica " (da qualche parte pare di averle già sentite...). A metà del
vicoletto, però, l ' au to si trova di fronte il pulmino che fa campagna elettorale per l ' avversario, il sindaco
uscente, Patanè. Arriva contromano ma è decisamente più massiccio. Non si muove di un passo: tra
clacson e lampeggianti, impone al dirimpettaio di arretrare. Dietro c ' è già una fila di automobilisti furenti.
Tutti costretti alla retromarcia per far strada alla propaganda del primo cittadino. La cinepresa gira e i ciak si
accumulano. I registi-attori entrano ed escono dalle auto, tra la scena e il dietro le quinte: Salvatore Ficarra
sostiene Patanè, il vecchio politico maneggione che non schioda dalla poltrona; Valentino Picone è con
Natoli, il nuovo che avanza e promette di spazzare via il malcostume. Il film si chiama L ' ora legale . Siamo
pronti a spostare in avanti le lancette de ll ' orologio? " Noi vogliamo raccontare questo - spiega Ficarra cosa succede in una città italiana se vince le elezioni un candidato veramente onesto? Ogni tanto ci siamo
andati vicini (ride) ma non l ' abbiamo mai sperimentato " . Poi si fa più serio: " Non è una storia politica in
senso stretto. È un film di costume. La raccontiamo dal punto di vista dei cittadini, del popolo. Ci interessa
la gente. E il cortocircuito tra legalità e cattive abitudini si crea proprio tra le persone comuni " . Come va a
finire - e ci mancherebbe - non lo dicono nemmeno sotto tortura e dopo qualche meritato calice di vino
bianco, alla fine di un ' infinita giornata di riprese. " Però siamo orgogliosi. È un film corale: abbiamo oltre
100 ruoli ' parlanti ' e diverse centinaia di comparse. Ci sono Tony Sperandeo, Vincenzo Amato, Leo
Gullotta, Antonio Catania, Marcello Mondino. E ancora, una moltitudine di attori, molti siciliani. Tutti
veramente bravi " . L ' appuntamento è nelle sale dal 19 gennaio. Intanto c ' è l ' abbraccio di Termini
Imerese. La città sembra fatta apposta per raccontare questa Il cast " È un ' opera corale, ci sono oltre 100
personaggi ' p a rl a nt i ' e centinaia di comparse Sperandeo, Amato, Gullotta, tanti giovani siciliani: tutti
bravissimi " storia. Si divide tra bellezza e storture: le strade strette e gli affacci sul mare. Il golfo
spettacolare, macchiato dai profili delle fabbriche e dagli affluenti di cemento. Ficarra e Picone, palermitani,
giocano in casa, ma l ' affetto intorno al set è oltre ogni aspettativa. NON ESISTE attestato migliore per una
carriera ultraventennale: Salvatore e Valentino si sono conosciuti nel 1993 in un villaggio turistico. Si sono
amati - e presi per i fondelli - dal primo momento. Poi l ' a sce sa costante verso il pantheon del
nazionalpopolare: Zelig , Stri sca la Notizia , il grande schermo e i botteghini pieni. L ' ora legale è il loro
sesto film. I numeri non sembrano averne inquinato la qualità migliore, e il segreto dei tempi comici: la
semplicità. Sono quanto di più lontano dalle star televisive che " se la tirano " . A cena Valentino racconta,
con gli occhi quasi lucidi, che quest ' es tate Lello Arena li ha voluti sul palco per omaggiare Troisi,
recitando la sua " annunciazione " . " Ci tremavano le gambe, fino a quando Ficarra, prima di iniziare, ha
alzato gli occhi al cielo e ha fatto capire a tutti che non ci sentivamo degni: ' Scu sa, Massimo '" . Ai due non
sfugge la responsabilità civica di chi, per lavoro, vuole " solo " fare ridere: " Se Troisi fosse ancora vivo ANICA - ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 26/10/2016 - 02/11/2016
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SUL SET Il sesto lungometraggio del duo palermitano, la battaglia politica tra un sindaco arrogante che non
vuole uscire di scena e un outsider: " Ma non è un film politico. È costume "
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ANICA - ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 26/10/2016 - 02/11/2016
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continua Picone - il berlusconismo sarebbe durato meno di 10 anni. L ' avrebbe seppellito con tre battute " .
Sul referendum costituzionale torneranno più avanti. Ne hanno parlato a Striscia in termini chiari, lo faranno
ancora presto (e infatti passano metà della cena a " litigare " con un ' amica che vuole votare Sì). Per
adesso, però, lasciano parlare L ' ora legale . B iog ra f i a FICARRA E PICONE S a l va to re Ficarra e
Valentino Picone sono nati entrambi a Palermo ed entrambi nel 1971. Nel 1993, insieme con l ' a m i co
Salvatore Borrello, fondano il trio dei " Chiamata Urbana U r ge n te " . Nel 1998 diventano un d u o.
Conoscono il successo nel 2001 con " L ' o t t avo n a n o " . Quattro finora i film di cui hanno firmato la
regia. In queste e in altre quattro p e l l i co l e hanno re c i t a to anche come a t to r i
Foto: Ciak si gira Due scene dal set de " L ' o ra lega le " : Ficarra e Picone e Tony Sperandeo
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Alberto Crespi
P. 12 -13 l Mia, il Mercato Internazionale dell ' Audiovisivo che ormai è fondamentale fiancheggiatore della
Festa del cinema di Roma, si è chiuso domenica con un " panel " sulla serialità. Messa così sembra una
rottura di scatole, invece è stato molto interessante. Hanno coordinato Piera Detassis (presidente della
Fondazione Cinema per Roma) e il produttore Riccardo Tozzi, sono intervenuti Gianni Amelio e Matteo
Rovere (registi), Mariapia Calzone (attrice, la mitica Imma di G omorra ), Emiliano Morreale (critico),
Leonardo Fasoli (sceneggiatore, tra l ' a l t ro della suddetta serie G omorra ) e Alexandra Lebret (dell '
European Producers Club). Si è parlato di molte cose: del rapporto fiduciario che la serialità televisiva
instaura con lo spettatore, del fatto che il cinema stesso è nato seriale, della grande domanda di " raccon t
o " dapartedelpubblico cherendeparadossalmenteilcinema quanto mai vivo proprio nel momento storico in
cui la sala cinematografica è quasi scomparsa, del paradosso per cui i film più originali del cinema italiano
rifiutano il racconto tradizionale e si contaminano con il documentario (Gianfranco Rosi, Pietro Marcello,
Michelangelo Frammartino, Claudio Giovannesi ... ) proprio mentre i desideri del pubblico sembrano
rilanciare la narrazione classica. Da questi spunti, molto densi, vorremmo partire perun
ragionamentoapparentemente contraddittorio. Anticipiamo il finale: forse la serialità che oggi conquista gli
spettatori non è sempre ed esclusivamente legata all ' idea di " n a r r a t iv i t à " , di " r a c c o n to " e di "
romanz o " così come la conosciamo da Dickens in poi. Sperando nel perdono dei lettori, è indispensabile
che la riflessione rompa un tabù che, qui sul l ' Uni tà , abbiamo quasi sempre rispettato: si parlerà in prima
persona, perché questa è (anche) una storia di famiglia. Nonsonoun granfruitorediserietv.Non
riescoaseguirle nel palinsesto e non mi piace l ' idea di farmi, come suol dirsi, " la lunga " , ovvero di
raccogliere le puntate (on demand, o su dvd) e di spararmele tutte in un weekend. I vecchi sceneggiati Rai
erano invece un appuntamento imperdibile, ma era un ' al tra epoca, un ' altra tv, un altro mondo. Però ho
una figlia di 7 anni che vede le Winx. Vede anche altre cose, come i classici di Walt Disney, ma qui ora ci
interessano le Winx, che sono un ' eccellenza italiana (se avesse voluto fare le cose per bene Renzi
avrebbe dovuto portarsi a Washington anche il loro creatore Iginio Straffi). Nate nel 2004, le Winx sono
distribuite in 150 paesi nel mondo e trascinano con sé un pazzesco merchandising fatto di libri, fumetti,
videogiochi, giocattoli, dvd, dischi, parchi a tema. Come sanno i genitori e i nonni di tutto il mondo, le Winx
sono sei fatine: Bloom, Aisha, Stella, Flora, Tecna e Musa. Le loro avventure si muovono in modo
cronologico ma anche sincronico: esistono cartoni - cliccatissimi su youtube - che non raccontano delle " s
torie " , ma mettono in scena i poteri di ciascuna fatina e le loro trasformazioni. Tecnicamente potremmo
definirli degli extra da dvd, ma filosoficamente sono molto di più: sono rappresentazioni celibi,
autosufficienti dei personaggi, come se Disney avesse mai concepito un cartoon in cui a Topolino non
succede nulla ... se non il ribadire in modo apodittico di essere lui, Topolino, e non altri. Le Winx hanno una
doppia caratteristica. Essendo la loro cosmogonia molto complessa (intorno alle sei fatine girano centinaia
di personaggi) il primo impatto, per un adulto, è di totale incomprensione, anche di repulsione. Poi, se si
vuole interagire con la propria figlia, gli si dà un ' occhia ta ... e dopo una ventina di minuti ci caschi dentro!
La natura profonda dell ' univers o creato da Straffi si nasconde nella possibilità di entrarci in medias res .
Credo che nessuno, bambino o adulto, abbia mai visto tutti i cartoni delle Winx in ordine cronologico.
Sicuramente non l ' ha fatto mia figlia, che pesca in modo random dai dvd, dai file condivisi su youtube e
dagli episodi che incrocia casualmente sui canali di Sky (ma presto andranno su Netflix, prepariamoci). Ciò
nonostante la piccola sa tutto, ma proprio TUTTO della cosmogonia Winx ed è in grado di raccontarla con
dovizia di dettagli. Siamo quindi di fronte a una serialità " cir c o l a re " , non lineare: è come una sfera, e
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Radar La serialità dalla tv al cinema secondo Crespi e l ' esperienza di
Cubeddu in " Pechino Express "
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non ha importanza da quale punto della sfera entri, quando sei dentro capisci tutto e non esci più. Voi
direte: è una bambina di 7 anni, ha un rapporto con la narratività diverso, è nata con i computer, è molto più
avanti di noi. Fruisce i racconti in modo diverso da come li fruivamo noi. Non è così. Intanto mia figlia adora
le fiabe della buonanotte (che iniziano e finiscono, sono cioè " line ari " ) e vede volentieri anche film come
C enerentola o La carica dei 101 . Inoltre quel tipo di approccio che abbiamo definito " s f e r i c o " non è
assolutamente esclusivo dei bambini! Nel 1996 i miei genitori, già anziani, cominciarono a vedere Un posto
al sole e ci andarono, come suol dirsi, in fissa. Un posto al sole è una delle soap italiane più longeve:
mentre scrivo wikipedia dice che siamo arrivati a 4.606 puntate, ma quando leggerete è possibile che siano
aumentate! Io li prendevo un p o ' in giro, perché mi raccontavano le vicende dei personaggi come se
fossero dei parenti, o dei vicini di casa, ma capivo che era proprio quello il motivo della loro passione. Un
giorno, a casa loro, ne vidi una puntata. Dopo dieci minuti avevo capito tutto! Certo, ero stato " b r i e f f a to
" , conoscevo i presupposti: ma la forza incredibile di Un posto al sole (e di tutte le soap ben fatte) è che si
può partire dalla puntata numero 843 e trovarsi perfettamente a proprio agio nella storia. Ancora una volta
non siamo di fronte a una serialità lineare, ma a una " sfera narrativ a " : una sfera è un pianeta, cioè un
mondo. La serialità è forte quando crea dei mondi, e i mondi sono interessanti - almeno per i loro abitanti anche quando non vi succede assolutamente nulla. Ho parlato di mia figlia e dei miei genitori. Dove sono
io, in questa storia? Sono in mezzo. Sono nel Signore degli anelli , grandioso esempio di serialità
squisitamente cinematografica. Non dimenticherò mai la sera in cui noi la stampa vide l ' an teprima di La
compagnia dell ' a n el l o , il primo film. Avendo letto e riletto il fluviale romanzo di Tolkien (al quale i film di
Peter Jackson sono molto fedeli) sapevo benissimo che il primo film sarebbe finito " m o n c o " , e sapevo
anche a quale punto della storia si sarebbe fermato. Ma diversi colleghi che non avevano letto il libro alla
fine erano disperati. Uno si avvicinò, mi chiese come sarebbe andata avanti la storia e concluse: e io
adesso devoaspettareunannopersapere comevaafinire?Quelcollega aveva smascherato un altro
meccanismo narrativo: la serialità che nasce da un testo preesistente, e che essendo cinematografica (lì si
parlava ancora di film, da vedere al cinema: i bellissimi dvd e blu-ray sarebbero usciti tempo dopo)
imponeva l ' attesa tra un film e l ' altro. Tale attesa era tollerabile per chi conosceva il romanzo, ma era
punitiva e crudele per chi si stava appassionando a una storia per lui nuova che si sarebbe conclusa solo
due anni, e due film, dopo. Per chi è " d e n t ro " , Il signore degli anelli è una sfera, un universo. A me credo a tanti - piace spesso rileggere capitoli sparsi del libro. Fin dalle prime visioni avrei potuto vedere i
film dalla metà, e poi ritornare all ' inizio. È un caso limite, diverso dalle Winx e da Un posto al sole : vale
solo per chi ha letto e riletto il romanzo (cioè, per inciso, per molti milioni di persone in tutto il mondo). La
morale èche lagrande serialitànon èil raccontoche iniziada Aefinisce aZ;è,piuttosto,unracconto
ciclicocheritornaperennemente su se stesso. Quindi la grande serialità non dovrebbe necessariamente
distruggere il cinema, che è in gran parte fatto di prototipi autosufficienti (I l signore degli anelli è una
grande eccezione, ne esistono molte altre, come l ' op era omnia di Charlie Chaplin - un infinito racconto
seriale sul Vagabondo - o di Dziga Vertov). La grande serialità è un modo di vivere, oltre che di ascoltare
storie, e può incrociare tutti i nuovi media recentemente inventati eanche quelli che verranno inventati in
futuro.
31/10/2016
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tiratura:25650
La profezia di Gabriele Salvatores «Il futuro del cinema è hi-tech»
Soldi Il film è costato 8 milioni di euro Nelle sale il prossimo autunno
Giulia Bianconi
LUCCA Sarà ricco di nuovi personaggi «speciali» ed effetti visivi il sequel del cinecomic italiano «Il ragazzo
invisibile». Parola del regista Gabriele Salvatores e del supervisore dei visual effects Victor Perez che, ieri a
Lucca Comics & Games, hanno mostrato, in anteprima mondiale, alcuni momenti del backstage e altre
immagini esclusive della pellicola, ancora in fase di riprese. Salvatores, dopo l'incontro al Teatro San
Girolamo e l'appuntamento con i fan allo stand Panini Comics, è immediatamente ripartito alla volta di
Malta (una delle location del film, insieme a Trieste, Roma e Montecarlo), dove ultimerà la pellicola prodotta
da Indigo Film e Rai Cinema costata circa 8 milioni di euro, nelle sale con 01 Distribution nell'autunno 2017.
Il protagonista de «Il ragazzo invisibile 2» - scritto da Alessandro Fabbri, Ludovica Rampoldi e Stefano
Sardo - è sempre Michele Silenzi, con il volto del biondissimo Ludovico Girardello, che stavolta non sarà il
solo a capire di essere «speciale». Incontrerà altri giovani come lui, a partire dalla sorella Natasha in grado
di generare il fuoco. Il supereroe dovrà confrontarsi, poi, con due madri: una biologica che lo rivuole, Ksenia
Rappoport, e colei che lo ha adottato, Valeria Golino. «I sequel sono sempre un problema, non solo a livello
narrativo - spiega il regista - Così abbiamo previsto più personaggi e più poteri. Prima c'era solo il nostro
ragazzo invisibile come supereroe, ora ne arrivano altri. Il protagonista aveva 14 anni nel primo film, adesso
17. Siamo andati più in profondità, raccontando una storia più matura, che ci ha permesso di rendere
esterni dei sentimenti interni». Gli effetti visivi realizzati al computer, che si vedranno nel film, sono frutto
della Frame by Frame con la supervisione di Perez, che nel curriculum vanta una serie di collaborazioni
internazionali, da «Pirati dei Caraibi-Oltre il confine del mare» a «Il cavaliere oscuro-Il ritorno». «Per la
prima volta nel cinema italiano è stato utilizzato il digidouble e ci sono inquadrature realizzate interamente
in computer grafica», spiega. Un grande lavoro è stato fatto proprio con Natasha, «una ragazza che si
infiamma facilmente, dopo averne subite di tutti i colori», aggiunge il regista premio Oscar. «Normalmente il
fuoco si realizza sul set, grazie alla luce e alla distorsione dell'aria. Noi abbiamo lavorato tutto in digitale»,
svela Perez. Dalle prime immagini in esclusiva de «Il ragazzo invisibile 2» sembra che la sfida sia stata
quella di creare qualcosa di nuovo per il cinema italiano, che non ha nulla a che invidiare alle pellicole
internazionali come i cinecomics. «Sono state create vere e proprie sequenze di immagini non solo
cancellando il verde del green screen - spiega ancora Salvatores - ma ricreando qualcosa in più, anche
personaggi in carne e ossa totalmente in 3D. Ecco perché avevamo bisogno di uno bravo (riferendosi a
Perez, ndr )». Per il regista «l'avvento di nuove tecnologie per far andare avanti il cinema è importante». Ma
pensando alla nascita di film con i visori da realtà virtuale, Salvatores aggiunge: «Se metti lo spettatore al
centro della scena, sarà lui a decidere cosa vedere trasformando il film in altro. Forse qualcosa più vicino a
un videogioco, che non sarà più cinema. Un film, invece, è lo sguardo di chi lo sta realizzando. Chi disegna
fumetti capisce molto bene cosa sto dicendo. Da regista voglio che lo spettatore veda ciò che ho scelto di
fargli vedere». Come era accaduto anche con l'uscita del primo film, Panini realizzerà il fumetto tratto dal
sequel de «Il ragazzo invisibile». L'appuntamento per conoscere la nuova Graphic Novel potrebbero essere
ancora una volta i Lucca Comics, naturalmente edizione 2017. E chissà che il prossimo anno per
Salvatores non possa essere il momento giusto per girare, come ha annunciato ieri, un film su una storia
d'amore ambientata proprio nella città delle mura.
Foto: Talento Gabriele Salvatores sul palco di Lucca Comics
ANICA - ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 26/10/2016 - 02/11/2016
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Il regista napoletano presenta il sequel de «Il ragazzo invisibile» che punta sugli effetti speciali
29/10/2016
Pag. 24
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Parata di star del cinema per il premio RdC Awards
Placido a Konchalosvky: «Mi prenoto per il tuo prossimo film »
Gabriella Sassone
Parata di star al cinema Trevi per la consegna degli «RdC Awards 2016», riconoscimenti della Rivista del
Cinematografo assegnati nell'ambito del Tertio Millennio Film Fest organizzato dalla Fondazione Ente dello
Spettacolo (FEDS) col patrocinio del Vaticano. A condurre la serata, il cinecritico di TV2000 Fabio Fazone.
Il Presidente della Fondazione Don Davide Milani ha accolto il grande maestro russo Andrei Konchalosvky ,
premiato per il Miglior film straniero: il commovente «Paradise». Il film è stato proiettato in una sala gremita
da spettatori che hanno atteso in coda un'ora pur di assicurarsi un posto. Col regista, la moglie Yuliya
Vysotskaya , protagonista di «Paradise», e l'Ambasciatore russo presso la Santa Sede Alexander Avdeev.
A consegnare il riconoscimento è stato l'amico Michele Placido che sul palco ha raccontato il loro primo
incontro a Mosca a un convegno su Dante. Poi lo ha pregato di affidargli un ruolo nel film su Michelangelo
che girerà in Italia: «Mi offro fin d'ora come regista del backstage per questo tuo prossimo grandioso
progetto». A Paolo Virzì è andato il Premio Navicella Cinema Italiano per il suo «La Pazza Gioia». A ritirarlo
Valentina Carnelutti . Momenti di riflessione quando a ritirare il Premio Navicella Fiction per «Lampedusa Dall'orizzonte in poi» sono saliti sul palco il regista Marco Pontecorvo e Carolina Crescentini. Ai
giovanissimi attori di «Piuma», Luigi Fedele e Blu Yoshimi, accompagnati dal loro regista Roan Johnson , il
Premio Rivelazione 2016. Gabriele Mainetti è arrivato da Milano per raggiungere il compositore Michele
Braga che si è aggiudicato il Premio Colonna Sonora per «Lo chiamavano Jeeg Robot». Ad Alberto Crespi
il Premio Diego Fabbri per il libro «Storia d'Italia in 15 film».
Foto: Premiato Andrei Konchalosvky con la moglie Yuliya Vysotskaya
Foto: Attrice Carolina Crescentini
Foto: Protagonista Michele Placido
Foto: Regista Marco Pontecorvo
Foto: Sul palco Valentina Carnelutti
ANICA - ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 26/10/2016 - 02/11/2016
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Fontana di Trevi Riconoscimenti a Virzì, Crescentini e Pontecorvo
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4 articoli
31/10/2016 16:33
Sito Web
www.ansa.it_sicilia
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Al via secondo progetto cinematografico Cattleya Lab
I soldi spicci © Ansa
(ANSA) - PALERMO, 31 OTT - Prenderanno il via domani 1 novembre a Castelbuono, le riprese del
secondo progetto cinematografico di Cattleya Lab. Dopo il successo del primo lungometraggio che ha
sancito il successo del film Troppo Napoletano, adesso si vira ancora più a Sud, in Sicilia, con la prima
avventura sul grande schermo per I Soldi Spicci, il duo comico composto da Annandrea Vitrano e Claudio
Casisa. I due giovani, che da qualche anno spopolano sul web, saranno diretti per il loro esordio, da
Mimmo Esposito, anche lui al debutto, dietro la macchina da presa.
Il film, una commedia brillante di cui non è ancora stato reso noto il titolo, è scritto da Marco Alessi, Salvo
Rinaudo, e I Soldi Spicci. Protagonisti, insieme ad Annandrea e Claudio, ci saranno, Barbara Tabita, David
Coco, Stefania Blandeburgo, Paride Benassai, con la partecipazione di Maurizio Marchetti, Francesco
Guzzo, Alessandro Bolide, Matranga e Minafò, Luca Lombardi, Ernesto Maria Ponte, Vito e Grazia
Zappalà, Toti e Totino. Le riprese si protrarranno per cinque settimane a Castelbuono, un piccolo centro in
provincia di Palermo che fa parte del Parco delle Madonie. Previste anche alcune incursioni nel capoluogo
siciliano. Il film è realizzato dalla Run Film (di Alessandro e Andrea Cannavale) per Cattleya Lab, la factory
creata da Alessandro Siani e Riccardo Tozzi per valorizzare le giovani promesse del cinema
italiano.(ANSA).
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Cinema: Ciak a Castelbuono per film con I soldi spicci
31/10/2016 16:45
Sito Web
www.spotandweb.it
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E' alle professioni nascoste del cinema che è dedicata la campagna IO FACCIO FILM (www.iofacciofilm.it)
annunciata nell'ambito della 73° Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia, raccontata sulla
pagina Facebook https://www.facebook.com/IoFaccioFilm e che, dopo diversi eventi nelle principali
manifestazioni cinematografiche, prosegue nella sua impresa con tre nuovi spot e un importante
appuntamento per il lancio del concorso ufficiale.
Sarà infatti al Lucca Comics & Games, storica manifestazione dedicata al fumetto, giochi, videogiochi,
musica, cinema, immaginario fantasy e fantascientifico, che verrà lanciata una nuova fase fondamentale
della campagna, la Web App IO FACCIO FILM disponibile all'indirizzo: http://condividievinci.iofacciofilm.it.
Accedendo ad essa, sarà possibile caricare la propria foto che, grazie all'applicazione, verrà incorniciata
all'interno di una cornice brandizzata #IOFACCIOFILM. Condividendo l'immagine su Facebook attraverso
l'app, si potrà partecipare all'Instant Win che mette in palio buoni cinema e codici per il noleggio o l'acquisto
di film su CHILI, importante piattaforma indipendente italiana di streaming e download. Chi non vincerà
subito, parteciperà comunque all'estrazione del premio finale che permetterà di vivere in prima persona
l'edizione 2017 di Lucca Comics & Games grazie all'ingresso alla manifestazione per tutta la durata del
festival e alla possibilità di soggiornare gratuitamente per 4 notti in albergo.
La campagna, che mostra al grande pubblico tutto il lavoro necessario alla realizzazione di un contenuto
audiovisivo dando un volto a quei professionisti che rendono possibile l'incantesimo e la magia della
settima arte, si arricchisce di tre nuovi spot presentati in anteprima alla Festa del Cinema di Roma appena
conclusa.
Tre nuovi video dedicati alle professioni del doppiatore, del compositore e del dog trainer che hanno come
protagonisti Roberto Pedicini, noto al grande pubblico per essere la voce ufficiale di importanti attori quali
Kevin Spacey, Jim Carrey, Ralph Fiennes e Javier Bardem,
Pivio, autore insieme a Aldo De Scalzi di molte colonne sonore per il cinema, al servizio di registi come i
Manetti Bros, Alessandro D'Alatri, Ferzan Ozpetek, Enzo Monteleone, Alessandro Gassmann, Giacomo
Battiato,
e Massimo Perla, il Dog Trainer delle star che ha addestrato cani come il famosissimo Rex e lavorato in
oltre 700 film tra cui "Italo" di Alessia Scarso.
La campagna social #IoFaccioFilm su Facebook ha raggiunto più di 240.000 utenti dall'inizio del progetto.
L'iniziativa è promossa da ANICA, FAPAV, MPA e UNIVIDEO ed ha recentemente ricevuto i patrocini della
Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per l'Informazione e l'Editoria, del Ministero per i Beni e
le Attività Culturali e del Turismo e dell'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni.
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Tre spot per la campagna IO FACCIO FILM
29/10/2016 14:30
Sito Web
youmovies.it
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fotoIOFACCIOFILM
E' alle professioni nascoste del cinema che è dedicata la campagna IO FACCIO FILM (www.iofacciofilm.it)
annunciata nell'ambito della 73° Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia, raccontata sulla
pagina Facebook https://www.facebook.com/IoFaccioFilm e che, dopo diversi eventi nelle principali
manifestazioni cinematografiche, prosegue nella sua impresa con tre nuovi spot e un importante
appuntamento per il lancio del concorso ufficiale.
Sarà infatti al Lucca Comics & Games, storica manifestazione dedicata al fumetto, giochi, videogiochi,
musica, cinema, immaginario fantasy e fantascientifico, che verrà lanciata una nuova fase fondamentale
della campagna, la Web App IO FACCIO FILM disponibile all'indirizzo: http://condividievinci.iofacciofilm.it.
Accedendo ad essa, sarà possibile caricare la propria foto che, grazie all'applicazione, verrà incorniciata
all'interno di una cornice brandizzata #IOFACCIOFILM. Condividendo l'immagine su Facebook attraverso
l'app, si potrà partecipare all'Instant Win che mette in palio buoni cinema e codici per il noleggio o l'acquisto
di film su CHILI, importante piattaforma indipendente italiana di streaming e download. Chi non vincerà
subito, parteciperà comunque all'estrazione del premio finale che permetterà di vivere in prima persona
l'edizione 2017 di Lucca Comics & Games grazie all'ingresso alla manifestazione per tutta la durata del
festival e alla possibilità di soggiornare gratuitamente per 4 notti in albergo.
La campagna, che mostra al grande pubblico tutto il lavoro necessario alla realizzazione di un contenuto
audiovisivo dando un volto a quei professionisti che rendono possibile l'incantesimo e la magia della
settima arte, si arricchisce di tre nuovi spot presentati in anteprima alla Festa del Cinema di Roma appena
conclusa.
Tre nuovi video dedicati alle professioni del doppiatore, del compositore e del dog trainer che hanno come
protagonisti Roberto Pedicini, noto al grande pubblico per essere la voce ufficiale di importanti attori quali
Kevin Spacey, Jim Carrey, Ralph Fiennes e Javier Bardem, Pivio, autore insieme a Aldo De Scalzi di molte
colonne sonore per il cinema, al servizio di registi come i Manetti Bros, Alessandro D'Alatri, Ferzan
Ozpetek, Enzo Monteleone, Alessandro Gassmann, Giacomo Battiato, e Massimo Perla, il Dog Trainer
delle star che ha addestrato cani come il famosissimo Rex e lavorato in oltre 700 film tra cui "Italo" di
Alessia Scarso.
La campagna social #IoFaccioFilm su Facebook ha raggiunto più di 240.000 utenti dall'inizio del progetto.
L'iniziativa è promossa da ANICA, FAPAV, MPA e UNIVIDEO ed ha recentemente ricevuto i patrocini della
Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per l'Informazione e l'Editoria, del Ministero per i Beni e
le Attività Culturali e del Turismo e dell'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni.
Di seguito potete vedere tre spot:
ANICA WEB - ANICA WEB - Rassegna Stampa 26/10/2016 - 02/11/2016
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
"Io faccio film": il concorso
29/10/2016 12:49
Sito Web
cinetvlandia.it
Io faccio film: 3 nuovi spot e concorso ufficiale in difesa delle maestranze del cinema italiano
E' iniziato in questi giorni il concorso ufficiale della campagna "io faccio film", nata per sostenere e
valorizzare i professionisti e gli appassionati di cinema: ecco tre nuovi spot con alcuni addetti ai lavori del
settore e il lancio della nuova web App.
E' alle professioni nascoste del cinema che è dedicata la campagna annunciata nell'ambito della 73°
Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia, raccontata sulla pagina Facebook
https://www.facebook.com/IoFaccioFilm e che, dopo diversi eventi nelle principali manifestazioni
cinematografiche, prosegue per il suo viaggio di diffusione in Italia.
Sarà infatti al Lucca Comics & Games, storica manifestazione dedicata al fumetto, giochi, videogiochi,
musica, cinema, immaginario fantasy e fantascientifico, che verrà lanciata una nuova fase fondamentale
della campagna, la Web App IO FACCIO FILM.
Accedendo ad essa, sarà possibile caricare la propria foto che, grazie all'applicazione, verrà incorniciata
all'interno di una cornice brandizzata #IOFACCIOFILM. Condividendo l'immagine su Facebook attraverso
l'app, si potrà partecipare all'Instant Win che mette in palio buoni cinema e codici per il noleggio o l'acquisto
di film su CHILI, importante piattaforma indipendente italiana di streaming e download. Chi non vincerà
subito, parteciperà comunque all'estrazione del premio finale che permetterà di vivere in prima persona
l'edizione 2017 di Lucca Comics & Games grazie all'ingresso alla manifestazione per tutta la durata del
festival e alla possibilità di soggiornare gratuitamente per 4 notti in albergo.
La campagna, che mostra al grande pubblico tutto il lavoro necessario alla realizzazione di un contenuto
audiovisivo dando un volto a quei professionisti che rendono possibile l'incantesimo e la magia della
settima arte, si arricchisce di tre nuovi spot presentati in anteprima alla Festa del Cinema di Roma appena
conclusa e che trovate qui sotto in fondo all'articolo.
Tre nuovi video dedicati alle professioni del doppiatore, del compositore e del dog trainer che hanno come
protagonisti Roberto Pedicini, noto al grande pubblico per essere la voce ufficiale di importanti attori quali
Kevin Spacey, Jim Carrey, Ralph Fiennes e Javier Bardem, Pivio, autore insieme a Aldo De Scalzi di molte
colonne sonore per il cinema, al servizio di registi come i Manetti Bros, Alessandro D'Alatri, Ferzan
Ozpetek, Enzo Monteleone, Alessandro Gassmann, Giacomo Battiato, e Massimo Perla, il Dog Trainer
delle star che ha addestrato cani come il famosissimo Rex e lavorato in oltre 700 film tra cui "Italo" di
Alessia Scarso.
La campagna social #IoFaccioFilm su Facebook ha raggiunto più di 240.000 utenti dall'inizio del progetto.
L'iniziativa è promossa da ANICA, FAPAV, MPA e UNIVIDEO ed ha recentemente ricevuto i patrocini della
Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per l'Informazione e l'Editoria, del Ministero per i Beni e
le Attività Culturali e del Turismo e dell'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni.
ANICA WEB - ANICA WEB - Rassegna Stampa 26/10/2016 - 02/11/2016
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Io faccio film: 3 nuovi spot e concorso ufficiale in difesa delle
maestranze del cinema italiano